SANTA MARIA ASSUNTA IN CAMPAGNA (FERNO)


 

Un altro dei bellissimi monumenti che circondano il territorio di Lonate, e che meriterebbe di essere visitato da tutti noi, è la splendida Chiesa di Santa Maria Assunta in Campagna. Essa è posta nel territorio del comune di Ferno, che confina a nordest con quello di Lonate, su un'altura naturale affacciata verso la pianura della valle del Ticino, e ad un tiro di schioppo dal perimetro della Grande Malpensa. La collocazione della Chiesa indica la caratterizzazione "campestre" dell'edificio: non una parrocchiale, non la cappella di una piccola comunità, ma edificio di culto.

La Facciata e il lato Nord della Chiesa

La Facciata e il lato Nord della Chiesa; si vedono la sagrestia e il campanile

Sezione della chiesa di Santa Maria Assunta

Sezione della chiesa di Santa Maria Assunta

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FASI COSTRUTTIVE

L'antico edificio con le pareti esclusivamente in ciottoli di fiume, meno ampio e meno alto di quello di oggi, poteva risalire, tutto o in parte, a prima dell'anno 1000. Sono state individuate le seguenti fasi costruttive:

PRIMA FASE (Medioevo - prima del XIV sec.) Il corpo originale della chiesa è a navata unica con tetto a falde, presumibilmente a travatura lignea e manto di copertura in coppi, con due entrate: una a nord, posta come accesso principale dalla strada, ed una a sud, che comunica con le zone di servizio retrostanti. Sempre Sul prospetto sud vi è la presenza di una finestra posta sul lato che può assicurare una giusta luminosità a tutta la navata.

SECONDA-TERZA FASE (XIV sec.): Sopralzo della chiesa originaria con formazione di monofore sempre sul lato sud, per dare luminosità ad un vano-chiesa ampliato, e realizzazione del portico sul lato ovest, che poteva costituire un sicuro ricovero per i viandanti.

QUARTA FASE (XV sec.): Ampliamento a ovest del vano-chiesa realizzato con il tamponamento del portico, dopo aver ingrandito e rinforzato il terrazzamento a ovest verso la scarpata. Per illuminare la navata si rendono necessarie due finestre costruite sul lato ovest. La chiesa così ampliata ha bisogno di un'altra entrata, e si costruisce un portone sul lato nord. Sul lato sud si rileva la presenza di locali di servizio con copertura in travi di legno.

QUINTA-SESTA FASE (1564) Sopralzo della chiesa con ampliamento dell'area "presbiteriale-abside" e fondazione del campanile. La data di questa fase costruttiva (1564) è posta sul prospetto est. In tale data si realizzano anche un piccolo sagrato, un nuovo portale-ingresso e un rosone. A questa nuova disposizione del prospetto ovest fa seguito un riordino generale delta chiesa stessa. L'apertura del nuovo ingresso e del rosone rende necessaria la sistemazione del fronte ovest, con la chiusura dei finestroni anche per motivi statici. Sempre a questa fase si fa risalire la demolizione, sul fronte sud, degli edifici di servizio, con la seguente chiusura delle monofore, della porta e della finestra.

SETTIMA FASE (1705): Sopralzo del campanile e costruzione della sacrestia.

OTTAVA FASE (1930-1940): Primi restauri della chiesa.

STATO ATTUALE (1940-1997): il restauro del 1981 vede l'intonacatura di tutta la chiesa tranne il lato sud. Realizzazione di riquadrature che evidenziano cantonali e tecniche costruttive. Riapertura delle due monofore sul fronte sud e dei due finestroni con rosone sul lato ovest.

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Il Presbiterio

Il Presbiterio. A sinistra: l'Ultima Cena. In alto: Maria Assunta in Cielo. Al centro da sinistra a destra: San Rocco e San Cristoforo; Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Ambrogio; San Gerolamo e San Sebastiano

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Pianta della chiesa. I numeri si riferiscono alla posizione degli affreschi illustrati qui sotto; cliccando su di essi si va alla fotografia corrispondente

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AFFRESCHI INTERNI

Gli affreschi interni, rimessi in luce nel 1981, non costituiscono un ciclo unitario, risultando opera di mani ed epoche differenti. Sono per lo più figure di santi, ben riconoscibili dai simboli tradizionali che li accompagnano. Della prima metà del '300 sono gli affreschi a metà della parete sud: San Bartolomeo Apostolo mostra il coltello con cui fu martirizzato, la Madonna siede tra i Santi Antonio Abate e Caterina di Alessandria.

Sono dell'inizio del '400 altri due Santi dipinti nella parete sud: San Bernardo e San Giovanni Battista. Sulla parete settentrionale, dove gli affreschi più antichi non si sono salvati, si leggono quattro scene dell' infanzia di Gesù: Nascita, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, che furono dipinte intorno al 1420 dai pittori Pietro e Tommaso di Varese. Le altre figure dipinte con maggior cura nella parete sud sono della meta del '400: sono San Bernardino da Siena, i Santi Medici Cosma e Damiano, un'altra Madonna con Bambino, Sant'Ambrogio, San Vittore, il predicatore domenicano Pietro Martire e di nuovo Santa Caterina.

Ciclo della Natività: la Nascita di Gesù

Ciclo della Natività: la Visita dei Magi

Ciclo della Natività: la Fuga in Egitto

(1) Ciclo della Natività. Dall'alto: Nascita di Gesù; Visita dei Magi; la Fuga in Egitto

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I Santi Cosma e Damiano

(2) I Santi Cosma e Damiano

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Anche gli affreschi del presbiterio cinquecentesco non vennero eseguiti in una sola volta. Sono del 1534 la Madonna con alcuni Santi nella parete di fondo che sono, da sinistra a destra: Girolamo, Sebastiano trafitto di frecce, Giovanni il Battista e, a destra della Madonna, il Vescovo Ambrogio, Rocco con la coscia piagata, il gigantesco Cristoforo con il bambino in spalla.

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Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Ambrogio

(3) Madonna col Bambino tra i Santi Giovanni Battista e Ambrogio

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San Rocco e San CristoforoSan Gerolamo e San Sebastiano

A sinistra: (4) San Rocco e San Cristoforo. A destra: (5) San Gerolamo e San Sebastiano

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Recano la data del 1592 l'Ultima Cena dipinta nella parte settentrionale del presbiterio: sulla parete contrapposta vediamo la Presentazione della Vergine al Tempio e l'incontro con Santa Elisabetta, San Francesco d'Assisi all'ingresso del presbiterio e un altro santo ancora senza nome, le lunette della volta, con al centro la Madonna Assunta in Cielo, alla Quale la chiesa è dedicata.

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L'Ultima Cena

(6) L'Ultima Cena

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(7) La Madonna Assunta in Cielo

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Dio Padre nell'oriflamma

(8) Dio Padre nell'orifiamma

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FRATI ERETICI IN SANTA MARIA?

Tra le vicende quattrocentesche di Santa Maria un posto particolare spetta ai frati che abitavano presso la chiesa. Una domenica sera di aprile dell'anno 1453 il Capitano del Seprio, per eseguire un ordine dell'Inquisitore ecclesiastico, scese da Gallarate con i suoi militi per arrestare i frati di Santa Maria in quanto "heretici". Cinquanta fernesi, allertati dalle campane di San Martino, accorsero in difesa dei frati, ma invano. Il capitano arrestò i frati ed anche alcuni fernesi che poi rilasciò, dopo un interrogatorio. Dell'episodio trattano due lettere scritte dal capitano al Duca di Milano, che sono conservate in copia nell'Archivio di Stato di Milano, ricche di dettagli e tuttavia insufficienti a chiarire quale frati fossero, di che cosa l'Inquisizione li incolpasse, e con l'aiuto di chi l'inquisitore milanese riusciva a curiosare nelle vicende di Ferno.

Gli ordini più diffusi nel XV secolo erano quelli dei Francescani e degli Agostiniani, ma tutt'altro che rare erano le associazioni eremitiche spontanee, esposte al rischio di idee e comportamenti in sospetto alla Chiesa. In ogni caso, quei frati non tornarono più a Ferno. Due anni dopo, nel 1455, l'arcivescovo Gabriele Sforza in visita pastorale registrava presente in Santa Maria un eremita, che informazioni successive raccolte da un notaio portano a individuare in un certo Ganuzio Brusatori di Ferno, inabile al lavoro ma in grado di tenere in ordine la chiesa. Nelle carte del notaio è attestata la presenza attiva presso Santa Maria anche di una "Scuola", ossia di una confraternita, composta da fernesi. Come non sappiamo da quanto tempo i frati erano in Santa Maria prima di esserne espulsi, così non sappiamo quando nella stessa chiesa sorse la Scuola. Viene da pensare che fossero soprattutto gli "scolari" ad insorgere in difesa dei frati nel 1453 contro il capitano gallaratese, e che gli abbellimenti della chiesa siano da ricondurre in termini di committenza alla Scuola più che ai frati.

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LA CHIESA DI SAN MARTINO (FERNO)

(da "La Nona Campana", novembre 2013)

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È la più antica chiesa di Ferno. La dedicazione al santo vescovo di Tours suggerisce di collocare il primitivo edificio dedicato a san Martino al tempo della dominazione dei Franchi sull'Italia settentrionale, cioè nei secoli dall'VIII al X. Fu costruito fuori dall'abitato, collocazione non inconsueta in epoca altomedievale. Ancora nel 1586, secondo gli atti della visita pastorale di quell'anno, la chiesa di san Martino era separata dall'abitato di Ferno quanto il lancio di un sasso. In origine era certamente più piccola dell'attuale.

È citata per la prima volta nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, un repertorio del 1290 delle chiese allora presenti nella diocesi di Milano. Tale repertorio contiene un elenco di oltre 130 chiese dedicate san Martino e, in appendice ad esso, due biografie del santo, con molti episodi della sua vita tramandati dalla devozione popolare, che lo presentano come viaggiatore, taumaturgo, fondatore di comunità monastiche, mentre l'agiografia moderna lo ritiene soprattutto uomo di eccezionali virtù e grande missionario.

La chiesa di san Martino risulta poi citata nel 1398, nel 1455, nel 1564. La sua prima descrizione è soltanto del 1566. Il gesuita Lionello da Clivone, visitatore per conto dell'arcivescovo San Carlo Borromeo, annotò che si trattava di una chiesa consacrata, ove si celebrava regolarmente la messa festiva, un'aula di 25 x 10 braccia (= 12 x 5 m circa) con tre altari, l'altare maggiore e due minori, rispettivamente detti di san Francesco e dell'Annunciazionem ed il fonte battesimale in pietra. La circondava il cimitero. Fu allora che il console ed alcuni esponenti della comunità di Ferno chiesero al visitatore il trasferimento della dignità parrocchiale, o almeno delle funzioni parrocchiali, dalla chiesa di san Martino a quella di sant'Antonio. La loro richiesta fu accolta dal cardinale arcivescovo Carlo Borromeo nel 1570.

Dagli atti della visita compiuta nel 1622 dal cardinal Federigo Borromeo (di manzoniana memoria) si evince che presso l'altare maggiore erano dipinti i quattro evangelisti e i dodici apostoli, nell'arco i profeti, nella volta del presbiterio varie figure di santi, mentre sulla parte meridionale della chiesa era dipinta una Madonna Addolorata. La chiesa, dicono gli atti, aveva sacrestia e campanile con due campane, aveva perso molti legati di culto perché trasferiti alla chiesa di sant'Antonio, ma continuava ad essere luogo di sepolture e di uffici funebri. Nel 1644 era sede della Confraternita dei Disciplini, istituita tre anni prima. Prima del 1682 i disciplini ebbero un loro oratorio distinto, addossato alla chiesa di san Martino e intitolato a san Carlo. II visitatore ecclesiastico del 1684, constatando che la chiesa di san Martino continuava ad assolvere alle funzioni cimiteriali, chiese che la comunità rifacesse i sepolcri interni e alzasse una grande croce nel cimitero esterno.

San Martino a Ferno

Molto precisa è la descrizione lasciata nel 1706 dal visitatore monsignor Mario Corradi. Due gradini laterizi, sormontati da una cancellata di ferro, introducevano al presbiterio, profondo 8 cubiti e largo 8 cubiti e un quarto (= 3,5 x 4 m circa); sopra l'altare stavano due gradini di legno dipinti e una finestra con inferriata che guardava dentro l'oratorio dei disciplini. La sagrestia era a nord del presbiterio. La chiesa, a pianta rettangolare, lunga 29 cubiti e larga 14 (= 12 x 6 m circa), aveva pavimento alla veneziana e soffitto a cassettoni che in alcuni punti era da rifare, una finestra ovale nella facciata sopra la porta maggiore, nella parete meridionale tre finestre con inferriata e una porta che immetteva al cimitero. In fondo alla chiesa pendevano le corde delle campane installate sulla torre a pianta quadrata. I sepolcri interni alla chiesa erano otto: uno e per i sacerdoti, gli altri per le comunità. Il cimitero si estendeva davanti e a sud della chiesa, recinto da un muro. Nell'angolo di esso stava, non ancora finito, un ossario ove esporre per la pubblica meditazione le ossa dei morti.

Alle spalle della chiesa di san Martino c'era l'Oratorio di San Carlo, a pianta esagonale, con quattro finestre in alto e altrettante più in basso di sagoma semicircolare, la porta nella parete meridionale. L'altare era finto, adiacente a quello di san Martino, con un crocifisso di legno sopra la mensa.

La chiesa di san Martino fu restaurata nel 1731, come ricordano gli atti della visita del 1750 del cardinal Pozzobonelli. Costui attestava la struttura a navata unica con nove sepolcri (uno della famiglia Zocchi, due per i disciplini di san Carlo, gli altri della comunità), confermava addossato alla chiesa l'oratorio dei Disciplini, chiamava parrocchiale sia la chiesa di san Martino che quella di sant'Antonio (cimiteriale san Martino, sacramentale sant'Antonio). Nel 1750 l'oratorio di san Carlo era accessibile soltanto attraverso la chiesa di san Martino con la quale condivideva una finestra intermedia, a seguito della concessione che il parroco aveva accordato ai Disciplini a titolo di precario nel 1729. La confraternita dei disciplini, detta di san Carlo, durò fino al 1784, quando fu soppressa dal governo austriaco. Il cimitero adiacente alla chiesa di san Martino continuò a funzionare come unico cimitero della comunità fernese fino all'anno 1858.

La chiesa di san Martino fu restaurata nei primi anni del Novecento, e in quell'occasione la sua parte anteriore venne ridotta a cappella di Nostra Signora di Lourdes, erigendovi grotta e altare apposito: una cappella molto frequentata dalle operaie della vicina Manifattura. Dell'impianto della grotta inserito nella chiesa si hanno fotografie del 1920 circa. Simile a quella di Lourdes, la grotta era costruita in materiale di cartapesta e gesso, era preceduta da una cancellata di ferro, aveva al centro (infossato come in un antro) l'altare e, sul lato meridionale, l'accesso al campanile e al retrostante oratorio di san Carlo. Nel 1945 la grotta venne rimossa e fu ricostruita più piccola con gli stessi materiali lungo la parete settentrionale prima dei gradini di accesso al presbiterio.

In quell'occasione nella parete sopra l'altare fu posizionato un quadro che raffigura san Martino a cavallo e il povero: lo vedete riprodotto qui sotto. È un lavoro di buona fattura pittorica, in cui San Martino è raffigurato nel gesto famosissimo di dividere il mantello con un povero. A una prima occhiata, la tela sembrerebbe riconducibile sotto il profilo stilistico al secondo Ottocento, ma non è mar menzionata nelle carte delle visite pastorali. Un grande cavallo bianco, con zampa anteriore alzata e bardature dorate, riempie tutto il quadro, un cavallo perfetto the richiama i meravigliosi animali dei pittori e degli statuari del Quattrocento. Martino, futuro vescovo di Tours (oggi in Francia), è effigiato da giovane come un soldato romano, con il cimiero sull'elmo, corazza sul petto, maneggia la spada nell'atto di tagliare per il povero un pezzo del suo mantello. Il povero, in piedi, scalzo, coperto nelle cosce ma nudo nel torace, rivolge lo sguardo implorante verso il cavaliere. Gli alberi molto carichi di fogliame e il cielo sanno di Ottocento romantico. Il pittore ha lasciato il suo nome e la data nell'angolo inferiore destro della tela: "S. Tosi [o Rosi] 1945", una data che spiega la mancata citazione nelle visite pastorali suddette. Forse il pittore è partito da un'immaginetta devozionale di disegno ottocentesco raffigurante il santo, il che spiega la prima impressione che se ne riceve. La tela ha una cornice centinata di gusto settecentesco, in tema con le modanature settecentesche esterne e interne alla chiesa.

Sottoposta a restauro intorno al 1980, la chiesa presenta elementi architettonici e decorativi di gusto settecentesco, oltre ai dipinti nel 1945 dal fernese Attilio Bertoni intorno al quadro del san Martino e sopra le due portine interne.

Quella che vedete qui sotto invece è la chiesa di San Rocco a Samarate in un disegno artistico:

La costruzione della prima chiesa di San Rocco va probabilmente collocata tra la metà del XV e la metà del XVI secolo. Un importante intervento di ampliamento della chiesa preesistente fu condotto tra il 1684 e il 1711, mentre tra il 1712 e il 1741 fu costruito il campanile. Nel 1993 è stato restaurato l'affresco cinquecentesco raffigurante il compianto sul Cristo morto inserito nell'altare maggiore, mentre tra il 2015 e il 2016 l'edificio è stato sottoposto ad un intervento di consolidamento strutturale.

Questa bellissima chiesetta presenta un corpo con impianto a croce greca e abside semicircolare, destinata ad accogliere la locale Confraternita di San Rocco. Lo spazio centrale della chiesa è coperto da una cupola un con grande rosone centrale in stucco e la raffigurazione degli Evangelisti nei quattro pennacchi. A destra di chi entra è visibile un altare che ospita il Crocifisso all’interno di una finta architettura barocca, ai lati della quale si vedono Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo. Dal lato prospiciente si trova un altare laterale dedicato alla Vergine, raffigurata da una statua collocata in una nicchia, ai cui lati si trovano raffigurazioni di due profeti.

L’altare maggiore, sopraelevato rispetto alla chiesa di quattro gradini, è delimitato da balaustre marmoree, e conserva al centro un affresco staccato raffigurante il compianto sul Cristo morto all’interno di una cornice in legno intagliata. Il grande e profondo coro posteriore ha ai lati due cornici in stucco di notevoli dimensioni, che contenevano tele raffiguranti San Rocco, titolare della Chiesa. Nell’abside sono presenti altre due tele in pessimo stato di conservazione raffiguranti dei santi non facilmente identificabili.

Il coro è coperto da una volta a crociera e da un catino nell’abside. Sull’arco trionfale è presente un’epigrafe con cartiglio in stucco che reca l’iscrizione: « SANCTIFICAVI DOMUM HANC QUAM AEDIFICASTI UT PONEREM NOMEN MEUM IBI IN SEMPITERNUM ET ERUNT OCULI MEI ET COR MEUM IBI CUNCTIS DIEBUS REG. III CAP: IX MDCCXIII ». Il pavimento è in pianelle di cotto.

La facciata, squisitamente barocca, interamente in mattoni a vista, è dominata dal grande timpano semicircolare che la corona. È divisa in due ordini: quello inferiore ospita al centro un portale trilitico in pietra, affiancato da due nicchie vuote con timpani semicircolari. L’ordine superiore è caratterizzato da una grande finestra con volute laterali e superiori. Sul lato sinistro, guardando la facciata, svetta il campanile, con fusto interamente intonacato e copertura in tegole a quattro falde.

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