10 giugno 1940...

di Ignazio Rana


Premessa: 10 giugno 1940, il Duce non si affaccia al balcone

Come ormai tutti sanno, dal balcone in questione il Duce annunciò l'entrata in guerra della Nazione al fianco della Germania. Come finì tutti lo sanno.
Ma se da quel balcone non si fosse mai affacciato a dare quell'annuncio, quali scenari si sarebbero verificati? Quale evoluzione avrebbero avuto i successivi avvenimenti?
In questa ucronia tenterò di illustrare cosa sarebbe potuto verificarsi se l'Italia non fosse entrata in guerra a fianco della Germania.

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Europa centrale, 1 settembre 1939

Alle 04. 45 l'incrociatore corazzato Schleswig-Holstein apre il fuoco sulla baia polacca di Westerplatte. Subito dopo la Wehrmacht invade la Polonia. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania. E' la seconda guerra mondiale. Il 17 dello stesso mese la guerra inizia anche per l'Unione Sovietica. L'Italia, invece, pur avendo aderito al Patto d'Acciaio, conscia della propria inferiorità militare e industriale, restava per il momento a guardare. Alcuni giorni prima, sul finire di agosto, forse rendendosi conto del cattivo affare fatto coi tedeschi, il governo aveva inviato loro una lista enorme di materiali di cui aveva bisogno la Nazione per poter entrare in guerra senza sfigurare a fianco dell'alleato, forse nella speranza di vedersela rifiutare e potersene uscire, o almeno procrastinare il più possibile, l'entrata in guerra. Nel frattempo, volendo salvare la faccia, si coniò la formula della “non belligeranza”, che voleva dire tutto e non voleva dir niente.

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Fronte occidentale, maggio-giugno 1940

Mentre l'Italia non belligerante si prepara alla guerra, la Storia segue il suo corso. Il 10 maggio Hitler invade la Francia, il cui esercito era considerato il migliore d'Europa. Dopo otto mesi di guerra seduta, adesso si fa sul serio. Nel frattempo è stata invasa la Norvegia, i tedeschi hanno passeggiato in Danimarca e adesso assieme a Belgio e Olanda, è la volta della Francia. Ma anche qui la Wehrmacht è un rullo compressore . Gli anglofrancesi sono asserragliati sulle spiagge di Dunkerque che aspettano l'evacuazione in Gran Bretagna e una nuova arma , i paracadutisti di Kurt Student va ad arricchire l'arte della guerra.

Nessuno al momento sembra aver dubbi sulla vittoria della Germania, è ciò fa tornare l'appetito guerresco all'Italia non belligerante. Se la parte filo tedesca o Acciaisti vuole senza indugio correre in soccorso del vincitore, la parte neutralista o attendista , capeggiata dal genero del Duce il conte Ciano, assieme a personalità come Grandi, Bottai, Balbo ha i suoi motivi, se non di mantenere la non belligeranza, almeno di procrastinare il più possibile l'entrata in guerra. E sono motivi fondati. L'impreparazione militare, un apparato industriale che non tiene il passo con una guerra che sta diventando sempre più tecnologica, la Gran Bretagna non ancora sconfitta ed il sempre più probabile intervento degli Stati Uniti. Senza contare le ripercussioni che potrebbe subire la numerosa comunità italiana lì presente e la difficoltà di approvvigionamento e difesa delle colonie più lontane. Ma la parte interventista riesce a prevalere e, il 10 giugno si decide, in una riunione segreta, che la guerra sarà dichiarata il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma.

Caduta la Francia, iniziano le incursioni sull'Inghilterra prologo all'operazione Leone Marino, lo sbarco in Gran Bretagna. Le incursioni durano fino a settembre, per poi concentrarsi su Londra. Ma la Gran Bretagna resiste, la Luftwaffe non riesce a venire a capo all'ostinata resistenza britannica e, anzi, tra il 25 e 26 agosto la RAF compie la prima incursione su Berlino. L'operazione Leone Marino viene rinviata sine die e alla metà di ottobre le truppe tedesche lasciano i punti d'imbarco sulle spiagge francesi.

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Roma, settembre-ottobre 1940

In Italia a volte succede che un segreto non resti tale a lungo. Nonostante la segretezza della riunione del 10 giugno, la notizia trapela nelle cancellerie delle nazioni non ancora coinvolte o non ancora occupate dalla Wehrmacht. Ed iniziano i contatti diplomatici. Gli Stati Uniti fanno capire che, nonostante la neutralità, non possono chiudere gli occhi e lasciare i cugini britannici alla mercè di Hitler, i britannici cominciano a rinforzare le difese egiziane e far affluire truppe in Kenia e Somalia britannica, circondando, di fatto, l'Africa Orientale Italiana. I greci, non si sa mai, cominciano la mobilitazione e firmano un' accordo di mutuo soccorso con gli inglesi. Nel contempo tutti cercano l'amicizia dell'Italia, non essendo a conoscenza, come i tedeschi della realtà circa la sua preparazione militare. Preparazione che non migliora ad ottobre e così, visto che la Gran Bretagna resiste, la guerra che doveva durare poche settimane dura ormai da un anno, la Germania non è così invulnerabile come sembrava, egli Stati Uniti cominciano a mandare messaggi subliminali, viene deciso un secondo rinvio alla primavera del1941. Dopodichè, si legheranno i destini dell'Italia a quello dell'alleato germanico.

Ma l'alleato germanico sembrava non aver urgente bisogno dell'Italia, o meglio non aveva bisogno di un esercito a cui fare da balia. E così, passò l'inverno del 1940.

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Aprile-maggio 1941

Il 6 aprile i tedeschi invadono la Jugoslavia, campagna che si conclude in pochi giorni e pochissime perdite, quindi , con l'operazione Marita, proseguono per la Grecia. Entro la fine del mese, le operazioni sul continente hanno fine. Ma con l'invasione dei Balcani venivano toccati gli interessi italiani in quella regione e, nonostante le proteste del nostro ambasciatore a Berlino, la questione venne liquidata come un affare interno della Germania. Questo venne considerato come un tradimento da parte dell'alleato tedesco, e provocò, con grande sollievo dell'ala neutralista del regime, un allontanamento da quest'ultimo. L'Italia faceva buon viso e cattivo gioco. Restava nel patto d'Acciaio, ma nel frattempo trescava contro. Ma i tedeschi ancora una volta dimostrarono che dell'Italia non avevano alcun bisogno. Almeno per ora.

Il 22 giugno la Wehrmacht da inizio all'operazione Barbarossa. 3. 500. 000 uomini, 3300 carri armati e 7700 aerei affrontano l'Armata Rossa nella più vasta operazione militare di tutti i tempi. L'inizio sembra promettere bene. In meno di un mese, i sovietici hanno perso 40 divisioni e lamentano 300. 000 prigionieri . In Italia l'ala interventista rialza la testa , ma, interpellati gli alleati tedeschi sulla possibilità di un invio di un corpo di spedizione al loro fianco, rispondono, in buona sostanza, di ripassare quando l'Italia si sarà dotata di un vero esercito, con mezzi e, soprattutto, comandanti all'altezza. Ingoiato il rospo, e facendo di necessità virtù, per non perdere la faccia, il duce dichiara che l'Italia “pur non combattendo ancora, tiene impegnate attorno ai suoi possedimenti, ingenti forze nemiche all'alleanza , distogliendole da altri fronti, ed contribuendo così alla vittoria finale”. Che qualcuno vi abbia creduto o no, era tempo guadagnato dall'ala neutralista.

Intanto la guerra va avanti. I tedeschi vengono bloccati alle porte di Mosca, i sovietici lanciano la prima controffensiva che respinge la Wehrmacht, ormai sfibrata da mesi di combattimenti, di decine di chilometri , richiamando i tempi della ritirata napoleonica. In estremo oriente, dopo Pearl Harbour, l'America entra nel conflitto e ciò fa tramontare definitivamente i sogni guerreschi dell'Italia. Ora il problema maggiore diventa un altro. Uscire dal Patto d'Acciaio, cosa non facile.

I tedeschi, benché siano entrati nel terzo anno di guerra, sono ancora una potente macchina bellica. Hanno ancora riserve abbondanti (in questa ucronia, l'intervento tedesco in Nord Africa non ha avuto luogo, non essendo ancora entrata in guerra l'Italia, con notevole risparmio di uomini e mezzi), gli americani hanno bisogno di tempo per schierarsi in Europa e la Gran Bretagna ha gran parte delle sue forze armate nell'estremo oriente, riuscendo, in Europa, solo a controbattere agli attacchi tedeschi, magari qualche bombardamento sulla Germania, ma nulla più. Il resto delle Nazioni, sotto il tallone di Hitler.

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1942, Febbraio - marzo

L'invio di consistenti riserve, richiamate dai Balcani e dalla Germania, ha stabilizzato la situazione sul fronte orientale. La Germania riprende l'iniziativa strategica ma i sovietici resistono. Sulle città Tedesche, i bombardamenti aumentano di intensità e qualcuno comincia a mettere in dubbio la vittoria finale della Germania. In Francia e nei paesi occupati la Resistenza è sempre più audace e le rappresaglie sono all'ordine del giorno. In Italia sembra che il pericolo di un coinvolgimento bellico si stia allontanando e un cauto ottimismo comincia ad insinuarsi nell'opinione pubblica. Ma una nota dall'ambasciata d'Italia a Berlino ha l'effetto di una doccia gelata . Benchè ancora forti, anche i tedeschi cominciano ad essere in affanno sul fronte orientale. E si sono ricordati che hanno un alleato nel patto d'Acciaio. L'incontro avviene a Bolzano, tra i ministri degli esteri, della guerra e i vertici militari dei due Stati, agli inizi di marzo. Si discute dell'entrata in guerra dell'Italia, la quale porta a conoscenza la propria situazione, che, pur migliorata, non consente di impegnarsi prima di un anno. I tedeschi cominciano a farsi l'opinione, per altro non del tutto errata, di un tentativo di svincolarsi degli italiani dagli obblighi contratti. Minacciano molto velatamente, e questo è recepito dagli italiani ma, impegnati su più fronti, altro momentaneamente non possono fare, e anche questo gli italiani lo hanno capito. Il tutto si conclude sostanzialmente con un nulla di fatto. Un altro anno di respiro.

Mentre l'Italia sta alla finestra domandandosi se e quando, ma soprattutto con chi, schierarsi, il mondo va a fuoco. Nel Pacifico i nipponici, dopo una impressionante serie di successi, vengono fermati alle Midway e contrattaccati a Guadalcanal, l'Europa è un campo di battaglia. A Dieppe il 18 agosto vi è un'incursione in forze da parte di truppe del Commonwealth prontamente stroncata dalle truppe tedesche. . In Russia l'iniziativa strategica è in mano ai tedeschi, che grazie alle riserve fatte affluire durante la primavera, dirigono verso Stalingrado . Da lì, poi, dirigeranno versi i pozzi di petrolio del Caucaso.

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Operazione Götterdammerung

Mentre in Russia la Wehrmacht avanza verso Stalingrado e i pozzi del Caucaso, torna d'attualità l'Operazione Götterdammerung. Progettata per il febbraio del 1942, e rinviata sine die per necessità di riserve sul fronte orientale dopo il contrattacco sovietico del dicembre precedente, consisteva in tre distinte operazioni minori nel Mediterraneo. L'operazione Hercules, ovvero la conquista di Malta, l'Operazione Minosse, e cioè la presa di Cipro. Queste due operazioni dovevano preparare il terreno ad una operazione più grossa, l'Operazione Radames, ovvero l'occupazione dell'Egitto. Con la presa di Malta, si prende una base aeronavale britannica in un punto strategico nel Mediterraneo e si bloccano i rifornimenti all'Egitto. Successivamente si neutralizzano le basi britanniche di Cipro, dando contemporaneamente un segnale alla titubante Turchia, e isolato l'Egitto, si dà avvio all'operazione Radames. Prendere l'Egitto significa prendere il canale di Suez e dirigersi verso i pozzi di petrolio mediorientali, dove troverebbero l'appoggio delle popolazioni che mal sopportano la dominazione britannica. Quindi, una manovra a tenaglia a congiungersi con le truppe tedesche nel Caucaso. Addirittura Radames diventava superflua qualora la Turchia avesse deciso di entrare in guerra a fianco dei tedeschi. Ma la Turchia nicchiava.

L'operazione nel suo complesso era forse realizzabile come numero di uomini, ma sussisteva il problema delle basi di partenza. Infatti, se al momento delle riserve potevano essere distolte dai vari fronti di guerra, rimaneva il problema di dove dislocare le truppe per l'invasione di Malta. La Sicilia, ovviamente, stante la non belligeranza dell'Italia non era utilizzabile, la Corsica e la Provenza, appartenevano ad uno stato sovrano, pur se uno stato fantoccio nelle mani dei tedeschi. Mentre la diplomazia tedesca trattava col governo di Vichy per la cessione di alcune basi corse, si riprese a sondare le intenzioni dell'Italia. Se non il suo esercito, almeno che avessero a disposizione la Sicilia. E dopo mesi di abboccamenti e rinvii, venne il giorno della resa dei conti.

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Italia, marzo-settembre 1943

Mentre in Italia si tergiversava, arriva il 1943 e con esso la disfatta di Stalingrado. Preso dalla Operazione Götterdammerung e confortato dalla buona riuscita delle operazioni estive attorno a Stalingrado, l'OKW fece l'errore strategico di stornare truppe da quel fronte per destinarle al teatro del Mediterraneo. La disfatta era costata alla Germania un numero enorme di uomini e materiali per cui, adesso, l'apporto dell'Italia cominciava ad essere fondamentale. Il cui esercito era diventato, agli occhi dei tedeschi, improvvisamente degno di marciare al loro fianco verso la vittoria finale!Non si poteva rimandare all'infinito. Messa con le spalle al muro, l'Italia acconsente ad inviare una delegazione a Berlino. L'incontro avviene, in un clima di diffidenza, all'inizio di marzo e la delegazione è guidata dal conte Ciano, notoriamente antitedesco. Si concorda l'entrata in guerra entro l'8 settembre dello stesso anno, e l'Italia parteciperà all'operazione Götterdammerung con un nutrito contingente di uomini e mezzi, oltre che mettere a disposizione le basi aeronavali siciliane. S'impegna anche ad invadere la Somalia britannica e fornire un corpo di spedizione in Russia in data da concordare. E' la vittoria dell'ala filotedesca. Si decide di mantenere il massimo segreto sulla preparazione alla guerra. Intanto si comincia a trescare per trovare una soluzione al problema. Comunque sarà la guerra, questo è inevitabile. Qualsiasi decisione si prenda, sarà la guerra.

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Roma. 25 luglio, seduta del Gran Consiglio del Fascismo

Le manovre tra i neutralisti ormai duravano da diversi mesi, coinvolgendo anche il Re. Si doveva discutere l'ordine del giorno che doveva mettere in minoranza il Duce, tornato nel frattempo interventista, ed i filo tedeschi. Se il Re manteneva i patti, il capo del governo sarebbe diventato Dino Grandi(nella nostra Time Line l'incarico viene dato a Badoglio) , gli avversari sarebbero stati messi, cautelativamente, agli arresti domiciliari e, per presentarsi sotto una miglior luce alle altre Nazioni, oltre ad un rimpasto di governo con alcuni esponenti dei partiti antifascisti moderati, avrebbero abolito le leggi razziali, reintegrando i danneggiati da tali leggi nei titoli e proprietà. Quindi, rinnegare il Patto d'Acciaio e dichiarare al mondo un'impossibile neutralità. Le fortune della Germania sembravano declinare e, se guerra doveva essere, almeno che fosse guerra dalla parte giusta! Nel frattempo procedevano i preparativi militari. “Turisti” tedeschi, ovvero militari in borghese col compito di osservatori, verificavano i preparativi dell'Italia e affinavano strategie. Benchè non vi fosse molta fiducia, niente lasciava supporre ciò che si sarebbe verificato da li a poco. Avuta la disponibilità, secondo l'accordo di Berlino, delle basi aeronavali siciliane, ulteriori richieste presso il governo di Vichy per le basi corse non ebbero più luogo. Un errore del quale, di lì a qualche mese, i tedeschi ebbero modo di pentirsene.

E si arriva alla sera del 24 luglio.

Alle 17 del 24 luglio ha inizio la seduta, l'ultima, del Gran Consiglio. Durerà fino alle 02:30 del giorno dopo, quando, con 20 voti a favore, 8 contrari ed un astenuto (in quest'ucronia vota anche Balbo che, non essendo l'Italia entrata in guerra, non è stato mai abbattuto dal fuoco amico e dunque non è morto), la mozione di Grandi viene approvata. Il mattino seguente, il Duce si reca dal Re che gli toglie l'incarico mentre, durante la mattinata, i filotedeschi vengono arrestati da militi fedeli ai congiurati. E, come da programma, capo di governo diviene Grandi. Per non destare sospetti, non vengono subito abrogate le leggi razziali ed iniziano i primi cauti approcci con i rappresentanti dei partiti antifascisti moderati. Ma nonostante la segretezza mantenuta, il cambio della guardia non poteva passare inosservata. Mancavano solo quarantacinque giorni all'8 settembre, quarantacinque giorni alla guerra.

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Cassibile, 3 settembre 1943

Nessuno in Italia si illudeva che staccarsi dai tedeschi significasse evitare la guerra. Ragion per cui la diplomazia italiana iniziò dei con gli alleati occidentali, che portarono all'incontro segreto di Cassibile, il 3 settembre . L'Italia ripudiava l'alleanza con i tedeschi e si impegnava a fornire basi e truppe qualora venisse attaccata, cosa pressoché sicura. Insomma, entrava in guerra a fianco degli alleati. Nel contempo aboliva le leggi razziali ed apriva ai partiti antifascisti moderati. Ma l'intelligence tedesca non dormiva. Informazioni giornaliere giungevano sui tavoli dell'Abwehr che, tassello dopo tassello, ricostruivano le mosse ed i piani segreti dell'ormai ex alleato. E si preparavano di conseguenza.

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Roma, 8 settembre 1943

Alle 19: 42 dell'8 settembre Grandi, capo del governo, dette alla radio il seguente annuncio:

« Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare a mantenere l'alleanza con la Germania, con l'intento di risparmiare alla Nazione le sciagure della guerra, ne ha chiesto l'autorizzazione al disimpegno al Gran Consiglio del Fascismo, alla Camera delle Corporazioni  al Senato ed alle principali istituzioni. La richiesta è stata accolta. Di conseguenza, ogni manovra delle nostre forze armate che potrebbero essere interpretate come preparativi alla guerra, devono cessare in ogni luogo. Esse, però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza. »

Era la dichiarazione di guerra che la Germania si aspettava.

La Np Falcone (grazie a MAS)

La Np Falcone, ottenuta dalla trasformazione dello scafo della Nb Impero, la cui costruzione nella nostra Timeline fu sospesa nel 1941. In fase d'atterraggio STOL c'è un Fi167, in fase di sorvolo un CR.45 e tre Re.2005-GA-I (di cui uno in fase di decollo) sono sul ponte. Il pregevole disegno è opera di MAS

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9 settembre 1943 - 2 maggio 1945

Alle 07:50, ha inizio l'operazione Achse, il piano di invasione dell'Italia. Un Hitler furioso lanciò contro l'ex alleato venti divisioni che dal Brennero, Tarvisio e Trieste si riversarono in Italia. Altre operazioni nell'Egeo dove, grazie allo stanziamento di truppe in vista dell'abortita operazione Götterdammerung, il Regio Esercito resse egregiamente all'urto. Pur non essendo una poderosa macchina da guerra, aveva comunque fatto progressi durante gli anni di non belligeranza, quel tanto che bastava a reggere l'urto della Wehrmacht, almeno fino all'arrivo dei rinforzi promessi dagli alleati. Ma, per difficoltà logistiche, il loro schieramento avveniva piuttosto lentamente. Alcuni ridotti contingenti sbarcarono a Napoli e Salerno il 9 settembre, il giorno dopo a Taranto. Nelle settimane successive gran parte dei rinforzi erano sbarcati, ma nel frattempo i tedeschi dilagavano in Val Padana e puntavano verso Roma.

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Il Re si allontana

Sui tavoli del SIM era arrivato un dispaccio che parlava di uno sbarco di paracadutisti tedeschi attorno a Roma, volte a creare una testa di ponte per successivi invii di uomini e materiali. Era anche, stando al dispaccio, programmato uno sbarco sul litorale romano, entro i primi di ottobre. Ragion per cui, al fine di preservare l'augusta persona del Re, i servizi segreti consigliarono al sovrano di allontanarsi assieme alla famiglia, consiglio prontamente accolto. E così, alla fine di settembre, il Re, col suo numeroso seguito, approdò a Napoli.

Il piano tedesco non era poi così campato in aria. Per realizzarlo, però, aveva bisogno delle basi avanzate in Provenza e, soprattutto, in Corsica.

Resisi conto dell'errore strategico fatto alcuni mesi prima, i tedeschi ripresero le trattative col governo di Petain, che oppose un netto rifiuto alle pretese tedesche. Provocando ad arte incidenti di frontiera , i tedeschi invasero anche la Francia di Vichy allargando ulteriormente il conflitto nel Mediterraneo. Entro la metà di ottobre, i tedeschi avevano le loro basi, dalle quali iniziarono le loro incursioni nel Tirreno, destinazione Roma.

Intanto, si registra la perdita dell'Albania. Migliaia di militari, quelli che non si unirono alla resistenza in quel Paese o non tornarono in patria, furono internati in Germania . Gli alleati tardavano a schierarsi e nonostante alcuni contatti , le inesperte truppe alleate non riuscivano ancora a contenere l'avanzata tedesca. Alla metà di ottobre, erano a 50Km da Roma.

L'Operazione Alarico cominciò in quella data. Alle prime luci dell'alba del 16 ottobre, unità paracadutiste si lanciarono attorno alla Capitale. Quasi senza colpo ferire, presero l'aeroporto dell'Urbe, mentre un altro gruppo si lanciò e prese Guidonia col suo aeroporto militare . Il giorno dopo, i tedeschi sbarcarono sul litorale romano. Dopo breve resistenza, al fine di risparmiare la città Eterna dalle distruzioni germaniche, le truppe italiane si ritirarono più a sud, lasciando così campo libero agli avversari.

Più che una vittoria tedesca, la presa di Roma fu dovuta ad errori di valutazione delle forze nemiche da parte dello stato maggiore italiano. Le basi corse e provenzali , prese con oltre un mese di ritardo dall'entrata della Wehrmacht in Italia, non erano ancora pienamente operative e le relativamente scarse truppe inviate contro l'Urbe non avrebbero avuto vita facile contro forze meglio organizzate. Ma l'anello debole delle forze italiane era il suo Stato Maggiore. Ai primi novembre, però, l'avanzata tedesca si fermò. Dopo quattro anni di guerra, anche la Wehrmacht mostrava segni dei stanchezza. Troppe truppe impiegate su troppi fronti. Ad oriente in luglio avevano ottenuto una vittoria tattica a Kursk, ma, pur conquistando il saliente, le numerose perdite di uomini e mezzi rendevano necessaria una sosta per riorganizzarsi. Anche l'Armata Rossa era altrettanto provata per cui il fronte rimase per alcuni mesi stabile. In Italia si erano fermati sulla linea Pescara-Avezzano scendendo fino a Latina . Era il limite massimo raggiungibile. Gli Alleati ormai erano sbarcati in forze, Un Gruppo Navale era stato richiamato da Tripoli per contrastare gli attacchi dalle basi francesi. Dalla Sardegna partivano incursioni della Regia Aeronautica contro i dirimpettai in Corsica e dalle colonie arrivavano le truppe non indispensabili per la loro difesa. Il ritardo col quale furono occupate le basi francesi nel Tirreno dette il tempo di organizzare una linea di difesa. Da dove si ripartì.

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La Repubblica Sociale

La presa di Roma aveva fatto rialzare la testa ai filotedeschi, che, liberati , covavano desideri di vendetta. Iniziava adesso una caccia all'uomo. Esecuzioni, regolamenti di conti si registravano giornalmente. Erano soprattutto ricercati i votanti dell'ordine del giorno Grandi.

In quei giorni di caos, chi potè, fuggì. Non fuggirono, almeno per il momento, Grandi, Bottai, de Bono, il conte Ciano ed altri. Non sono noti i motivi che indussero loro a restare. I maligni dicono per presentarsi , dopo la guerra come i salvatori della Patria e continuare a detenere le leve del potere.

Le cose non andarono così. Mentre da Napoli il re continuava a governare su quello scampolo di Italia, da Roma i congiurati pretendevano di rappresentare il legittimo governo, aggiungendo confusione alla confusione che la guerra crea. Intanto il Duce, internato a Campo Imperatore e custodito dai Carabinieri, viene liberato durante l'avanzata tedesca da un incursione di commando. Quindi, viene fondata la Repubblica Sociale Italiana, le cui motivazioni e vicende in questa ucronia seguono di pari passo quelle reali.

Benché nascosti, alla fine uno per uno, grazie anche a delazioni di nemici personali, i congiurati vennero scoperti ed arrestati. Era la resa dei conti. Dopo un processo celebrato a Verona tra l'8 e il 10 gennaio 1944, Ciano, De Bono, Marinelli, Gottardi e Pareschi vennero fucilati al poligono di Porta S. Procolo. I rimanenti congiurati, poco alla volta fecero perdere le loro tracce, salvo poi comparire dopo la guerra. Ma questa è un'altra storia.

Balbo, invece, riparò agli inizi di gennaio al sud. Politicamente accettabile, in virtù della sua partecipazione al complotto del 25 luglio, sia dai Savoia che dagli alleati, chiese, ed ottenne, il comando di un reparto operativo della Regia Aeronautica.

La Guerra ormai stava prendendo una piega diversa. Ed anche più crudele. Al nord si diffondeva la resistenza con atrocità da ambo le parti. A Roma, una bomba esplosa in via Rasella contro un reparto della Wehrmacht , provocò, per rappresaglia, l'esecuzione di 335 ostaggi alle Fosse Ardeatine. Il 22 gennaio, intanto, vi fu lo sbarco di Anzio-Nettuno. Reparti del Reggimento San Marco presero terra assieme a reparti anglo americani in direzione Roma, che fu presa, senza quasi colpo ferire, il 4 giugno. Ma a nord, i tedeschi erano i veri padroni. I repubblichini di Salò procedevano ai rastrellamenti degli abili alle armi. Fucilazioni di renitenti alla leva si susseguivano alle azioni antipartigiane. L'odio tra italiani fascisti e antifascisti scavò un fossato difficilmente colmabile, almeno per la generazione che quegli eventi aveva vissuto. E intanto si risaliva la Penisola. Il 18 luglio viene liberata Ancona, 7 settembre tocca a Firenze, poi le piogge autunnali ed un'ostinata resistenza tedesca rallentano le operazioni. Riprendono in primavera e le truppe italiane il 21 aprile entrano a Bologna. Di fronte hanno la pianura Padana. Il resto è storia. C'è il 25 Aprile, il 28 Mussolini e la Petacci vengono fucilati, Piazzale Loreto e la Resa di Caserta il 29. Il 2 maggio, con le truppe agli estremi confini della Nazione, si conclude la guerra in Italia.

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L’Italia del dopoguerra e la crisi balcanica.

Alle 00. 00 del 2 maggio entrava in vigore in Italia la resa tedesca firmata a Caserta alcuni giorni prima. Di lì a pochi giorni , l’8 maggio, finisce ufficialmente anche la guerra.

In tale data, il Regio Esercito ha riconquistato quasi tutto il territorio nazionale, facendo una puntata e prendendo, praticamente senza colpo ferire, Villach, in Austria. Oltre non andò. Con la guerra alle ultimissime battute, nessuno voleva essere l’ultimo uomo a morire. Restavano da riconquistare le città di Fiume, Zara ed alcuni comuni minori dell’Istria più interna, che, invasi dai tedeschi nel settembre/ottobre del 1943, erano state sottratte loro dai partigiani di Tito, con la neanche tanto velata intenzione di annetterle alla nascitura repubblica socialista di Jugoslavia . Situazione simile in Albania, presa anch’essa dai tedeschi nell’autunno 1943. Mentre l’Italia dava la precedenza alla liberazione del territorio nazionale, l’Albania, dopo una feroce guerriglia delle brigate partigiane comuniste, era stata da essi ripresa poco più di un anno dopo, e con nessuna intenzione di restituirla all’Italia. Le isole del Dodecaneso, nonostante le incursione tedesche del ‘43/’44, erano rimaste in mano italiana e non avevano lamentato distruzioni irreparabili. Nessun problema per il resto dei possedimenti africani, non toccati dalla guerra.

Restava ora il problema, e neanche tanto trascurabile, di far tornare sotto la propria sovranità le terre non ancora in mani italiane. Se gli jugoslavi non si pronunciavano ancora, gli albanesi avevano detto chiaro e tondo che l’Albania era indipendente e che erano pronti ad una resistenza ad oltranza contro ogni straniero che si fosse intromesso nei loro affari interni. L’ipotesi di un intervento armato contro questi Paesi, era da considerare come extrema ratio. Venti mesi di guerra avevano lasciato il Bel paese in un profondo stato di recessione oltre che con l’apparato industriale, essenzialmente concentrato al nord, pressoché improduttivo. Nessuno, inoltre, voleva cominciare un’altra guerra subito dopo averne conclusa una. Inoltre, c’era il fondato timore di un intervento sovietico in quelle regioni, governate da regimi omologhi.

L’Italia era sola. Paradossale situazione, quella italiana. Pure essendosi schierata tra i vincitori, in realtà era la perdente tra le potenze alleate. Sembrava capitata tra i vincitori per caso. Unico Stato, forse, nella storia, che invece di acquisire territori dopo una vittoria li aveva persi. Non aveva ricevuto, come URSS, Gran Bretagna, USA e Francia, zone di occupazione nei territori del Reich, a parte qualche sparuto gruppo di osservatori, né avrebbe seduto nel Consiglio di Sicurezza dell’appena fondata ONU. Indubbiamente aveva influito il suo passato Fascista, gli atteggiamenti a volte strafottenti del passato regime nei confronti delle democrazie occidentali, ma soprattutto sembravano aver influito, e non poco, gli anni di amoreggiamento con la Germania nazista. Nessuno, insomma, avrebbe supportato l’Italia in un eventuale guerra contro il blocco sovietico. Non i francesi, usciti anche loro distrutti dalla guerra e non certo desiderosi di andare a morire per gli italiani e i loro sogni di gloria coloniali. E neanche gli americani, che non trovavano alcun tornaconto economico in una guerra contro i sovietici. La Gran Bretagna, invece, non vedeva di buon occhio un Italia forte nel mediterraneo per cui, fedele al principio del “Divide et Impera”, pensò bene, al di là di una solidarietà di facciata, di tirarsi fuori anch’essa. Inoltre, Francia e Gran Bretagna avevano le loro gatte da pelare in ambito coloniale.

La questione fu portata all’attenzione delle Nazioni Unite, che deliberarono che la Repubblica Socialista di Jugoslavia dovesse immediatamente restituire alla sovranità italiana i territori ancora sotto sua tutela. Gli slavi nicchiavano. Sostenevano che, pur riconoscendo quei territori italiani politicamente, erano abitati da una consistente parte della popolazione di etnia slovena e croata, e lanciarono una proposta di referendum da attuare quando la situazione di disagio dovuta al conflitto da poco concluso, fosse migliorata. Insomma, avevano tutto l’interesse a prendere tempo.

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Città di Zara e Fiume, maggio 1945, gennaio 1946.

Mentre all’ONU i rappresentanti jugoslavi insistevano per l’autodeterminazione dei popoli slavi nelle due città italiane, erano anche consci che non era assolutamente detto che un referendum avrebbe portato le due città sotto il regime del maresciallo Tito. Erano si consistenti gli slavi, ma tuttavia non costituivano la maggioranza della popolazione. Inoltre gli intellettuali e la classe imprenditoriale slava autoctona mal vedevano l’instaurarsi di un regime totalitario. Un referendum molto ma molto probabilmente avrebbe riportato le due città ed il resto dei comuni minori sotto la sovranità italiana. Per cui si cercò di incentivare, con mezzi non sempre ortodossi, di favorire l’esodo dell’etnia italiana mentre veniva favorito l’afflusso di abitanti di etnia croata e slovena. Questo, ovviamente , per alterare le percentuali etniche in caso di referendum. Iniziarono i primi screzi tra le due popolazioni e timide dimostrazioni di piazza si tennero dall’una e dall’altra parte. Ma, mentre gli abitanti di origine slava erano protetti dalle milizie titine, gli italiani rischiavano sulla propria pelle il diritto di protestare. E nel novembre di quell’anno, successe l’irreparabile. Stanchi di essere sottomessi in casa propria, i sindacati italiani locali dichiararono lo sciopero di tutte le attività produttive delle due città, e il blocco delle attività portuali . Le forze di occupazione jugoslave per un po' lasciarono fare, ma quando un comizio non autorizzato ebbe luogo , a Zara, proprio sotto la sede del Palazzo Comunale, decisero di intervenire prima che la situazione sfuggisse di mano. Si ebbero scontri con la polizia, che lasciarono sul terreno diversi morti. Altri scontri si ebbero al porto, ed anche lì si lamentarono vittime. Seguirono decine di arresti con numerose deportazioni. Era la rottura. Dalla Farnesina una dura nota diplomatica fu consegnata fu consegnata all’Ambasciatore Jugoslavo, quello italiano fu richiamato in patria. Non si poteva più stare a guardare. Verso la fine di novembre, l’Adriatico vide l’intensificarsi del traffico di navi di entrambe le marine militari. Un preludio a cosa?

Intanto in Parlamento le sedute si susseguivano, ma, a dire il vero, con poco costrutto. Prevaleva l’idea dell’azione diplomatica, anche se non si era d’accordo sui metodi. Idee abbastanza chiare invece, avevano due schieramenti particolari: il Pci e il Partito Unitario Repubblicano.

A questo punto è doverosa una piccola parentesi su questi due partiti.

Se, dopo la famosa seduta del 25 luglio, per meglio presentare il futuro regime agli occhi delle potenze occidentali, si decise di aprire ai partiti antifascisti moderati, non si intendeva certo includere il PCI. Ma la successiva guerra cambiò radicalmente le cose. Al nord il fascismo era associato alla Repubblica di Salò con le violenze e la collaborazione con gli occupanti che essa aveva portato. Quindi l’elemento comunista nella resistenza , combattendolo, trovò , qualora ce ne fosse bisogno, la legittimazione politica a poter sedere a Montecitorio e partecipare così alla vita politica del Paese.

Ne il regime lo poteva più impedire. Tecnicamente il Fascismo non era caduto(cade , come tutti sappiamo, nella nostra time line, il 25 luglio). Si era trasformato, o evoluto, a seconda dei punti di vista. Tra i firmatari dell’Ordine del Giorno Grandi quel 25 luglio c’erano gerarchi abbastanza intelligenti per non rendersi conto che un’epoca era finita e che, se il movimento voleva continuare a vivere, doveva rinnovarsi. Se voleva integrarsi con le democrazie occidentali, doveva cambiare. E cambiò. Rielaborò in senso più democratico la propria dottrina, attenuò il proprio nazionalismo, si circondò di gente nuova e non coinvolta col precedente regime e, durante il primo congresso che si tenne a Bari, nel Teatro Petruzzelli, il 21 dicembre 1944 enunciò il proprio programma e il nuovo nome: Partito Unitario Repubblicano, il cui segretario, con una maggioranza tutto sommato risicata, venne proclamato Dino Grandi.

Torniamo al presente. Nella maggioranza, nella discussione sulla crisi balcanica, i comunisti erano a favore di vie diplomatiche con una risoluzione delle Nazioni Unite, mentre anche per l’altra spinosa questione, la vicenda albanese, avevano idee chiare:” la piena e totale indipendenza ad un Paese vittima dell’aggressione fascista ed occupata con esili motivazioni giuridiche”. Naturalmente anche nella maggioranza non tutti erano d’accordo a questa presa di posizione. Men che meno il PUR, che, degno erede del defunto Partito Fascista, mai e poi mai avrebbe accettato una mutilazione del territorio Nazionale, e mai e poi mai avrebbe appoggiato una proposta comunista. Era favorevole ad una azione militare. “La Jugoslavia è allo stremo. La guerra l’ha duramente provata e il popolo aspetta solo una scintilla per ribellarsi al padrone comunista . Un intervento, anche limitato, sarebbe ora auspicabile”, disse un parlamentare di quel partito. In base a quale criterio affermasse ciò, non si è mai saputo. Non che avesse torto del tutto. Anche quel paese risentiva delle distruzioni della guerra ed il potere del Maresciallo non era ancora solido. Balbo, eroe guerra, voleva ripetere un’altra impresa di Fiume del 1919 e si dette da fare per reperire volontari. Ma siamo nel 1945, e la situazione geopolitica è del tutto differente. Per cui, diffidato dal Parlamento a compiere una simile impresa, viene arrestato e i pochi volontari raccolti ripongono nel cassetto i sogni di gloria.

E casa Savoia?

In questo caso la monarchia, non essendosi compromessa con gli aggressori e avendo continuato a governare anche col consenso popolare, aveva tenuto. Non aveva tenuto, però, il vecchio re, che, il 9 maggio del 1945, a 76 anni, abdicò a favore di suo figlio Umberto (nella nostra Timeline abdicò il 9 maggio dell’anno seguente).

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Il Re riformatore

All’epoca dell’abdicazione, Umberto aveva quarantun anni. Era un uomo del secolo corrente, abbastanza intelligente da non rendersi conto dei tempi che stavano arrivando. Promulgò diverse riforme in senso democratico. Non più “Re…per grazia di Dio e volontà della Nazione”, ma semplicemente “Re d’Italia”; il Regio Esercito, Marina e Aeronautica diventarono Esercito Italiano, Marina ed Aeronautica Militare. Ma la riforma più importante fu quella della nuova Costituzione Italiana, che doveva prendere il posto dell’ormai obsoleto Statuto Albertino. Fu un ottimo Re. Morì il 18 marzo 1983, in una clinica dove era ricoverato, a 79 anni.

Torniamo alle vicende balcaniche. Benché molti lo temessero, un intervento sovietico in quella regione non era affatto scontato. Il precedente della Grecia era molto esplicativo. Pur essendoci una guerra civile tra l’Elas, di orientamento comunista ed il governo di Atene, Stalin non era intervenuto. Quella zona apparteneva all’occidente, almeno secondo le decisioni di Yalta del febbraio precedente, e nella sfera occidentale era anche l’Italia con tutti i suoi possedimenti. In compenso, aveva mano libera ad oriente. Ragion per cui, anche con la mediazione sovietica, la Jugoslavia si vide costretta a sedersi al tavolo delle trattative. Trattative che non furono facili né veloci. Pur vedendosi con le spalle al muro, venutole meno l’appoggio sovietico, la delegazione jugoslava trovò ogni scusa, si attaccò ad ogni cavillo per fare un uscita dignitosa che le facesse salvare la faccia. Alla fine, presentatosi come “ il valoroso ed eroico popolo liberatore dei fratelli italiani dal dominio tedesco”, restituiva all’Italia le terre ancora in mano slava. L’accordo fu firmato a Berna, nel gennaio 1946, ed entro la fine di quel mese Zara, Fiume e comuni minori tornarono sotto la sovranità italiana . mentre le rispettive marine militari tornavano discretamente alle loro basi.

In Italia, la notizia del ritorno delle città occupate scaldò gli animi e vi furono manifestazioni di gioia spontanee un po' dappertutto, manco si fosse vinti i Mondiali di calcio. Agli occhi degli italiani si era trattato di un capolavoro di diplomazia, si era considerati una grande Potenza che aveva voce in capitolo con altre Potenze per il rispetto dei propri diritti, avevamo fatto la voce grossa con gli slavi e gli slavi avevano ceduto. Insomma, contavamo qualcosa. Era proprio così?

Ovviamente, l’uomo della strada sapeva poco. Quello che veniva considerato un capolavoro di diplomazia, in realtà era frutto di uno scambio. L’interessamento dell’Unione Sovietica non era del tutto disinteressato. La conferenza di Yalta aveva lasciato l’Italia con tutti i suoi possedimenti, compresa l’Albania, nell’orbita occidentale. Ma l’Albania ambiva all’indipendenza dall’Italia, e Stalin lo sapeva, come sapeva quale regime si sarebbe insediato. Per cui impose le sue condizioni.

Non sarebbe intervenuto nei Balcani e avrebbe mediato con gli jugoslavi, ma l’Albania doveva essere indipendente. E, tramite il PCI, lo fece sapere al nostro governo che, calcolando i rischi di un coinvolgimento in una eventuale guerriglia in terra albanese, decise che Zara, Fiume ed il resto dei comuni minori in Istria valessero lo scambio con l’Albania.

Ma questo il popolo non lo sapeva. I comunisti in Italia obbedientemente appoggiarono le prese di posizione del partito sull’indipendenza albanese, mentre il resto degli italiani ebbero atteggiamenti che andavano dal menefreghismo totale nei confronti “di quella pietraia abitata da pecore e pastori che non produce nulla” all’indignazione per la cessione “di un lembo del sacro suolo italico”. Ma come sempre in Italia, dopo l’indignazione vera o presunta, passata la tempesta e calmatesi le acque, si torna alla vita di sempre.

Ignazio Rana

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Degna di nota è l'ucronia di Alessio Mammarella:

Mi è capitata sottomano la prima pagina de "La Stampa" che annuncia l'ingresso dell'Italia nella II Guerra Mondiale:

Non so voi, ma io ho fatto caso a un dettaglio che avevo sempre trascurato: Mussolini indicò esplicitamente 5 paesi vicini all'Italia dichiarando che non dovevano temere un atteggiamento ostile da parte dell'Italia. (Una sorta di #statesereni nel linguaggio di allora). Come sappiamo ben 3 di questi 5 furono in realtà attaccati e parzialmente occupati dalle truppe italiane. A questo punto mi è sorta la domanda: come sarebbe stata la guerra dell'Italia se Mussolini avesse voluto restare coerente con quanto aveva dichiarato il 10/06/1940?
In effetti, è possibile che Mussolini abbia affermato ciò perché riteneva che, conclusa l'offensiva opportunista alla frontiera francese e sostenuto qualche combattimento navale nel Mediterraneo contro i britannici, nessun'altra manovra militare sarebbe stata necessaria. Quando si capì che la Gran Bretagna non si sarebbe affatto arresa velocemente, si decise che evidentemente bisognava aprire un nuovo fronte principale in Africa e magari attaccare qualche altra nazione vicina tanto per reggere il confronto con le rapide vittorie tedesche.

Proviamo però a forzare l'ipotesi della coerenza di Mussolini. Almeno nel 1940:
- in Libia il Regio Esercito non si concentra in grandi numeri (con conseguente stress enorme per i rifornimenti navali, spesso preda di attacchi britannici) ma resta un contingente leggero e sostenibile con semplici compiti difensivi;
- la Grecia non viene attaccata.

Provo a immaginare le conseguenze di queste scelte.
In Egitto/Libia, i britannici si dimostrarono notevolmente più abili a condurre la guerra nel deserto (soprattutto perché gli italiani erano quasi completamente appiedati, e avevano mezzi corazzati di qualità veramente scarsa). Tuttavia, la fatale "Operazione Compass" (che mise a rischio la presenza italiana in Libia, convincendo Mussolini a chiedere l'aiuto tedesco) avvenne soprattutto a causa dell'atteggiamento offensivo italiano. Le truppe italiane avanzarono e ben presto si trovarono in difficoltà non per il contrasto nemico, ma per propri limiti evidenti. Fu quella avanzata iniziale tragicomica che convinse i britannici a contrattaccare con fiducia.
Se però gli italiani fossero rimasti sulla difensiva, e avessero avuto una struttura di forze più sostenibile (i pochi veicoli e mezzi corazzati sarebbero stati più concentrati, invece che essere diluiti tra una enorme massa di fanti armati quasi solo di fucili) forse i britannici avrebbero preferito non attaccare ma attendere gli sviluppi su altri fronti (altre truppe britanniche stavano convergendo contro l'Africa Orientale Italiana e in più i britannici attendevano le mosse del Giappone in Estremo Oriente). La mia prima conclusione quindi è che non si sarebbe visto l'Afrikakorps, perlomeno non già all'inizio del 1941.
Per quanto riguarda i Balcani, malgrado la scelta di non attaccare la Grecia, ci sarebbe da capire se sarebbe avvenuto lo stesso il colpo di Stato che ha innescato l'invasione della Jugoslavia. Se non ci fosse stato, la Jugoslavia probabilmente si sarebbe allineata all'Asse pacificamente come fatto dalla Bulgaria. (Altrimenti sarebbe andata come in HL ma diciamo che per amore di questa ucronia prediligerei il primo scenario).
A questo punto, ci sarebbe da capire che guerra avrebbe combattuto l'Italia senza questi fronti. Malgrado le ambizioni italiane sulla Tunisia, l'allineamento del regime di Vichy con Hitler impediva agli italiani di accampare pretese su quel territorio. Militari italiani avevano occupato solo Nizza, Savoia e Corsica e non c'era modo di andare oltre. Nei confronti dei britannici, senza la guerra in Africa il confronto sarebbe stato esclusivamente aereo e navale. Forse sarebbe stato ineluttabile tentare la presa di Malta, sempre accantonata a causa della pesantezza dell'impegno in Libia. Più difficile (ma certamente suggestivo) immaginare tentativi italiani di attaccare Gibilterra oppure Cipro.
Gibilterra non poteva essere attaccata senza il sostegno della Spagna o della Francia di Vichy (non solo per ospitare eventuali truppe di terra, ma soprattutto per gli aeroporti: quelli italiani erano troppo lontani per pensare di bombardare efficacemente l'avamposto navale britannico). Cipro è abbastanza vicino alle isole del Dodecaneso, che all'epoca erano italiane, ma sarebbe da capire se nelle isole sarebbe stato possibile concentrare forze navali ed aeree adeguate. Se in HL Cipro non è mai stata attaccata seriamente, nonostante l'occupazione della Grecia, immagino che non fosse possibile, quindi non lo sarebbe neppure in questo scenario. Diciamo allora che l'Italia avrebbe occupato soltanto Malta nel 1940 e poi la guerra sarebbe stata solo aeronavale perlomeno fino a che il contingente britannico in Egitto non si sarebbe rafforzato a tal punto da ritenere possibile attaccare e conquistare la Libia.
Credo che la svolta ci sarebbe stata, a livello di intenzioni, all'inizio dell'estate del 1941, quando ormai i britannici avevano occupato le colonie italiane in Africa Orientale, sconfitto i golpisti iracheni, e visto che la Germania nazista aveva deciso di impegnarsi nella conquista dell'URSS. Immagino che l'offensiva britannica sarebbe partita all'inizio dell'autunno (quindi un anno dopo rispetto a quando cominciarono, in HL, le manovre italiane). A questo punto i nodi sarebbero arrivati al pettine e nel giro di qualche mese Mussolini avrebbe chiesto l'aiuto tedesco. Solo che questa richiesta non sarebbe arrivata in un momento di relativa stasi bensì nel momento di massima spinta tedesca verso Mosca. E' quindi possibile che l'Afrikakorps non sarebbe arrivato subito (e non è detto neppure che sarebbe stato guidato da un generale brillante come Rommel) e che i britannici, combinando gli effetti della superiorità numerica con quella tecnologica e logistica avrebbero forse sarebbero riusciti nel frattempo a occupare tutta la Libia. Diciamo quindi che dalla primavera del 1942 le truppe italo-tedesche sarebbero state concentrate in Tunisia. In ogni caso, gli sviluppi macroscopici del conflitto non credo che sarebbero cambiati: prima dell'arrivo degli americani non sarebbe stato comunque possibile chiudere il fronte africano e attaccare direttamente l'Italia... quindi penso che dal 1943 in poi sarebbe stato tutto uguale.

Sarebbe cambiato qualcosa nel dopoguerra? Mi viene in mente che la Grecia sarebbe rimasta fuori dal conflitto, e quindi non si sarebbero sviluppati i movimenti partigiani che successivamente hanno determinato la guerra civile. Il regime dittatoriale pre-bellico sarebbe rimasto in piedi almeno per qualche altro anno. In Jugoslavia, senza l'occupazione straniera e il frazionamento del paese probabilmente non sarebbe mai emersa la figura di Tito (chissà, magari sarebbe emersa più avanti nella storia del paese). L'Armata Rossa sarebbe entrata nel paese in modo incruento, come in Bulgaria, e probabilmente nell'immediato dopoguerra il paese sarebbe diventato una repubblica socialista. Diversamente dalla Jugoslavia che abbiamo conosciuto sarebbe stato un paese socialista ortodosso, membro del COMECON e del Patto di Varsavia.
Ovviamente senza una guerra tra Jugoslavia e Italia non ci sarebbero state le terribili stragi (quelle del Regio Esercito e quelle dei partigiani titini), e neppure un cambiamento dei confini tra i due paesi.

Alessio Mammarella

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E ora, diamo la parola a Dario Carcano:

I diari di Ciano

Nota: alcune parti del diario sono state cancellate dopo l’improvvisa morte del conte Galeazzo Ciano.

24 marzo 1940: Gioco a golf con Taleki. Ripete che l’Ungheria detesta la Germania nella proporzione del 95% dei cittadini. Egli desidera soltanto mantenere il paese fuori del conflitto e spera che l’Italia faccia del pari. Villani fa nuovamente cenno alla questione della Corona: conferma l’intendimento di offrirla ad un Savoia.
Mussolini in ripresa anticlericale. Attacca il clero sulla fede, sull’onestà e sulla morale. Dice che in numerosi paesi del meridione le popolazioni quasi impongono di avere al parroco una concubina, poiché solo così lascia tranquille le loro mogli.

25 marzo: Mentre sono a colloquio con Taleki, ricevo una telefonata in cui mi si invita a venire al più presto a palazzo Venezia; lì trovo il generale Soddu, che stava discutendo col Duce a proposito di alcune batterie antiaeree che i tedeschi intendono fornirci quando il Capo ha perso conoscenza. Spero non sia niente di serio, dopo la morte di Papà e di Maria non sopporterei perdere anche il Duce.

26 marzo: Questa notte è avvenuto ciò che temevo. Il Duce è morto. In lacrime, ho subito informato Edda, ed entrambi in lacrime ci siamo abbracciati; mi sono precipitato a villa Torlonia, dove avevano riportato Mussolini quando oramai era già privo di conoscenza.
Duce, dopo la morte di Papà come hai potuto abbandonarmi anche tu? Quando Rachele mi ha portato al tuo capezzale, mi sarebbe sembrato che stessi semplicemente dormendo, se non fosse stato per il crocefisso che stringevi tra le mani, tu che dai preti sei sempre stato lontano. Per questo, pensando che tu avresti voluto così, l’ho subito tolto mettendolo in un cassetto. Poi, io che ti ho sempre fedelmente servito, ho ordinato che ti fosse messa l’uniforme da caporale d’onore della milizia. Quando sono arrivati Grandi, Starace e Farinacci ho discusso con loro su come dare la notizia della tua morte, sul luogo dove allestire la camera ardente e sulle disposizioni da dare per il funerale.
Durante la giornata visti Taleki e Poncet, entrambi mi esprimono la loro costernazione per la morte di un così grande uomo. Nel pomeriggio, Taleki, in privato, mi domanda ex abrupto: “Sapete giocare a bridge?” “Perché?” “Per il giorno in cui ci troveremo insieme al campo di concentramento di Dachau!”

27 marzo: annuncio della morte del Duce. Commozione generale e grande folla alla camera ardente allestita a Palazzo Venezia; ricevuto un telegramma da Ribbentrop: Hitler parteciperà al funerale del Duce.
Colloquio con Grandi su come gestire la successione di Mussolini. La guerra sarebbe una iattura, ed entrambi lo sappiamo, quindi dobbiamo imporre un nostro uomo nel Gran Consiglio che si terrà tra pochi giorni. Abbiamo deciso di puntare su Balbo, che tornerà dalla Libia per i funerali del Duce.

28 marzo: nulla di nuovo

29 marzo: ultimi preparativi per i funerali del Duce. Colloquio Grandi-io-Balbo per concordare la linea da tenere al Gran Consiglio che terrà ad aprile.
Lungo colloquio col principe di Piemonte, in cui l’ho informato dell’intenzione mia e di Grandi e Balbo di tenere il paese fuori dalla guerra facendo prevalere la nostra linea al prossimo Gran Consiglio. Di solito prudente e riservato, non ha infatti nascosto la sua preoccupazione per un eventuale intervento nella guerra, preoccupazione aggravata dalla conoscenza delle nostre capacità militari.

31 marzo: funerali di Mussolini. Grande partecipazione popolare; tra due ali di folla in lacrime io e Edda abbiamo seguito a piedi il feretro. Dopo il funerale ho avuto un colloquio con Hitler, che mi ha espresso le sue condoglianze, poi con Ribbentrop, che dopo aver fatto lo stesso, è stato più diretto: mi ha chiesto se abbiamo ancora intenzione di entrare in guerra. Mi aspettavo questa domanda, gli ho risposto cambiando argomento: gli ho ricordato la scommessa che avevamo fatto lo scorso agosto, quando mi promise che se ci fosse stato l’intervento anglo-francese in aiuto della Polonia mi avrebbe dato una collezione di armi. Lui ha sbottato e se ne è andato via.

1 aprile: niente di nuovo

2 aprile: nel tardo pomeriggio, Gran Consiglio del Fascismo. Alla fine Balbo esce come nuovo Presidente del Consiglio. Immediatamente fa approvare una mozione contro l’intervento in guerra.

3-4 aprile: niente di nuovo

5 aprile: Ieri sera ho assistito al film tedesco sulla presa della Polonia; ben fatto dal punto di vista della forza bruta, bestiale dal punto di vista della propaganda. Anche i più germanofili in sala non sono andati oltre i giudizi di cortesia.
Oggi Balbo mi ha chiamato a Palazzo Venezia per discutere su un telegramma da Berlino in cui i tedeschi (omissis)

6 aprile: (omissis)

7 aprile: incontro col Principe di Piemonte, il quale si è detto preoccupato per (omissis). A tal proposito, inutile colloquio con Dingli, avvocato dell’Amb. a Londra e amico di Chamberlain; recava un inutile messaggio di goodwill da parte del Primo Ministro, destinato in partenza a rimanere inevaso.

8 aprile: (omissis)
Convulsa riunione del governo coi capi di stato maggiore per decidere come reagire a (omissis). Esercito schierato lungo i passi alpini.
Nuovo colloquio con Dingli su (omissis)
(omissis)

9 aprile: (omissis)

10 aprile: (omissis)

11 aprile: (omissis)

Il 12 aprile il conte Galeazzo Ciano fu ucciso da ignoti mentre si recava in auto al ministero degli Esteri. Il 15 aprile, dopo il fallimento delle trattative, la Germania dichiarò guerra all’Italia.

Dario Carcano

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La palla passa ora a Paolo Maltagliati:

Analisi dell'ucronia sulla NON entrata dell'Italia nella WWII
scritta da una mia studentessa

Un po' si sente l'influenza di come insegno la storia di quel periodo, lo so... Però vi prego di leggerla, è una lettura piuttosto divertente e interessante (e ha una discreta testa). Anche se non concorderete con tutto ciò che ha scritto, spero apprezzerete (purtroppo col copia incolla si son persi i corsivi e i grassetti, ma capirete lo stesso dal tono, credo).
P.S. credo le metterò 10 per questo lavoro (anche per l'ironia)

Il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra. Questa data è incisa nella pietra della memoria italiana, inchiodata sulle pagine della nostra storia col sangue del mezzo milione di italiani che pagarono questa scelta con la loro vita. Noi ne parliamo con risolini e sospiri, mezzo divertiti, mezzo rassegnati: è la tragedia che, in pieno stile italiano, si trasforma in burla, tanto che è diventata l’argomento di film e serie comici, come "Mediterraneo" o il manga e anime giapponese "Hetalia".

Il fatto che dalla firma della Triplice Alleanza (1882) all’Armistizio dell’8 settembre siano passati una sessantina di anni, relativamente pochi, e che in quel mentre l’Italia sia riuscita a cambiare quattro schieramenti, non cessa di provocare ilarità in un popolo che ama ridere del proprio modo di essere. L’aver dichiarato guerra ad una Francia sconfitta, poi, sembra proprio la beffa che segue il danno (anche se la beffa vera e propria è l’aver perso contro una Francia sconfitta).

Non dovrebbe sorprendere, dunque, che ciò che avrebbe potuto evitare la tragedia, sia proprio una burla.

Nel 1939, nonostante la sua personale diffidenza, il ministro degli Esteri Gian Galeazzo Ciano aveva firmato il patto d’acciaio con Ribbentrop. Esso aveva duplice valenza, offensiva e difensiva, ma tra le clausole imponeva la comunicazione e collaborazione tra Roma e Berlino. Ciò non avvenne: Mussolini non fu consultato sull’invasione della Polonia, né fu messo al corrente del patto Molotov-Ribbentrop. Facendo leva su questo, oltre che, come la Spagna, sulla sua impreparazione militare (ciò avrebbe però significato ingoiare l’orgoglio fascista), Mussolini avrebbe potuto rimanere fuori dalla guerra, come fece per quasi un anno.

Lo stratagemma lo aveva già inventato: la cosiddetta lista del Molibdeno. Le richieste, una più assurda dell’altra, erano impossibili per la Germania da soddisfare, anche perché l’Italia ne pretendeva la consegna immediata. Per il molibdeno, non sarebbe bastata la produzione mondiale dell’epoca. Il dittatore tedesco si rese conto del tentativo italiano di prenderlo per i fondelli, ma, per quanto arrabbiato fosse, decise, in pubblico, di lasciar correre. Con la lista del Molibdeno, ritengo, dunque, Mussolini avrebbe potuto rimanere fuori dalla guerra, proprio come fece Franco (che pure aveva nei confronti dei nazisti un debito di riconoscenza per l’aiuto nella guerra civile spagnola).

Si sa già che il fattore determinante dell’entrata in guerra italiana fu la capitolazione della Francia: in pieno stile italiano, Mussolini tentò di saltare sul carro del vincitore, finendo miseramente con le chiappe per terra.

Ritengo che, per sbilanciare la decisione di Mussolini nell’altra direzione, ci sarebbe voluta una spintarella alleata, magari la concessione di qualche colonia. In certe ucronie, ho trovato l’offerta di Malta da parte dei britannici, ma non la ritengo probabile: Malta aveva un’importanza strategica troppo grande per essere regalata in quel modo. La sua vitalità è stata provata nel corso della guerra sul teatro mediterraneo, certo, ma era impossibile che gli inglesi non ne fossero già a conoscenza.

Nella mia opinione, è più probabile l’offerta della Somalia inglese. Infatti, il territorio si trovava circondato, insieme alla Somalia francese, da Eritrea, Etiopia e Somalia Italiana: sarebbe un’ offerta sensata il cedere delle zone confinanti all’Impero Coloniale Italiano, o persino l’intero protettorato inglese, in quanto era visto più che altro come puntello per l’avamposto di Aden, sulla costa opposta del Golfo di Aden, che controlla l’accesso Sud del Mar Rosso. Anche la Somalia Francese, a mio parere, avrebbe potuto essere merce di scambio: per quanto piccola, la sua posizione simmetrica ad Aden la rendeva desiderabile. I francesi, immagino, non sarebbero stati molto felici di cedere Djibouti, ma, d'altro canto, nel 1940 non erano esattamente in un’ottima situazione. Altra ipotesi, un po’ più azzardata, può essere un protettorato sull’Austria (una volta separatala dal Reich nel caso di una vittoria Alleata), in quanto Mussolini aveva espresso interesse in quella direzione. Sarebbe stato un po’ in stile Patto di Londra: promettere territori non propri senza preoccuparsi troppo.

Un fattore determinante nella proposta Alleata sarebbe sicuramente stato quanto stimassero la potenza dell’Italia fascista. Le contrattazioni con le due parti in guerra del 1914-1915 testimoniano che l’Europa di quel periodo sopravvalutasse la potenza militare italiana, ma, alla luce della pessima prova che l’Italia diede di sé nella Grande Guerra, quell’opinione era probabilmente cambiata. D’altra parte, era cambiato anche il governo, e si era dato un gran daffare per trasmettere l’immagine di un’Italia militarmente forte, vendicando, per esempio, la battaglia di Adua con la conquista dell’Etiopia.

Ammettiamo dunque che gli Alleati, volendo evitare l’apertura di un fronte meridionale, propongano una di queste soluzioni e Mussolini accetti (in segreto, ovviamente), ingolosito dalla prospettiva di guadagnare senza rischiare, anche se significa rinunciare al dimostrare la potenza bellica dell’Italia (che per di più, nel 1940, Mussolini sapeva benissimo non all’altezza di una guerra simile, l’aveva ribadito più volte a Hitler).

L’Italia se ne sta buona, buona: non attacca l’Egitto, il fronte nord-africano non si apre. C’è sempre, certo, la possibilità che Hitler avrebbe fatto comunque un tentativo di prendere l’Egitto, il canale di Suez e, in ultima, i pozzi di petrolio del Medio Oriente, ma, alla luce di certi avvenimenti appartenenti alla nostra linea temporale lo ritengo solo una possibilità. Hitler aveva, infatti, esitato a mandare del supporto agli italiani per evitarne la totale disfatta e, quando anche lo fece, mandò, soprattutto inizialmente, un numero limitato di truppe. Inoltre, agli Afrika Korps fu dato l’ordine di limitarsi a tenere la linea. Fu il generale Rommel che, agendo di testa sua come al suo solito, passò all’offensiva. Ciò dimostra che, almeno nel 1941, Hitler non aveva intenzione di impegnarsi in una guerra africana, volendo concentrarsi sulla Russia.

Anche gli interventi nazisti nel Medio Oriente furono limitati, e ciò da un certo discredito alla teoria che il comando tedesco intendesse unire il teatro nord-africano a quello mediorientale, i cui pozzi di petrolio potevano rappresentare la svolta decisiva della guerra. La guerra anglo-iraqena, scoppiata nel 1941 al seguito di un colpo di stato nazista, durò infatti un solo mese. Ritengo che se i tedeschi avessero avuto intenzione di collegare i due fronti, avrebbero investito più impegno nel far sì che l’Iraq rimanesse loro alleato (in quanto offriva anche un punto di partenza per operazioni in Iran, che avrebbe forse permesso di contrastarne anche direttamente l’invasione Anglo-Sovietica, o invaderlo a loro volta e impadronirsi del petrolio iraniano).

L’altro fronte aperto dagli italiani fu quello balcanico. Dopo un fallito tentativo di penetrare nella neutrale Grecia, gli italiani si ritrovarono respinti entro i confini dell’Albania: una nuova, umiliante disfatta. Inoltre, cosa ben più grave per i tedeschi, l’attacco italiano alla Grecia aveva fornito agli inglesi l’occasione di mettere le proprie truppe a Creta, da dove minacciavano i pozzi petroliferi rumeni, indispensabili per i tedeschi. Queste ragioni, dunque, indussero i tedeschi ad intervenire, portando all’occupazione della Jugoslavia, della Grecia e alla battaglia di Creta.

Quanto questi eventi siano stati determinati dalle azioni italiane, tenterò ora di stabilirlo.

A mio parere, la Germania era costretta ad intervenire a Creta (anche se l’alto comando tedesco non era d’accordo), nel momento in cui gli inglesi avessero stazionato le proprie forze sull’isola. Non potevano, infatti, rischiare che i loro pozzi di petrolio finissero nel range dei bombardieri inglesi. Se la battaglia di Creta sarebbe avvenuta o meno, dunque, a mio parere, dipende se la Grecia sarebbe rimasta neutrale per tutta la durata della guerra a fronte di una mancata invasione italiana, o se si fosse alleata comunque con gli inglesi. Siccome avevano ignorato le offerte inglesi fino a quel momento, è probabile che avrebbero continuato a farlo. Anche perché, con la probabile non-apertura del fronte nord-africano, gli inglesi sarebbero forse stati meno interessati ad un’alleanza con la Grecia (in quanto la sua importanza era limitata, se non si considerano i pozzi di petrolio rumeni, al teatro mediterraneo).

Un’altra questione è l’invasione della Jugoslavia, che avvenne al seguito di un colpo di stato che aveva sovvertito il governo filo-nazista del paese e che Hitler prese come un attacco personale. E’ possibile, forse anche probabile (data la follia del soggetto), dunque, che l’avrebbe invasa comunque, anche senza il motivo di andare in soccorso delle truppe italiane in Grecia. Forse, però, messo a confronto con un fronte ancora chiuso, ci avrebbe pensato due volte prima di aprirlo, magari limitandosi ad un intervento indiretto.

Si possono quindi individuare nel fronte mediterraneo e balcanico le prime divergenze storiche di un’Italia neutrale. Più difficile è stabilire, nel caso questi due fronti non fossero stati aperti, quale parte ne sarebbe stata avvantaggiata. Che questo compito risulti difficile è abbastanza ironico, in quanto, teoricamente, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che l’avere un alleato in meno svantaggi la parte che se ne ritrova a corto. In fondo, però, è dell’Italia che stiamo parlando. Questo compito è reso ancor più difficoltoso dal tentare di non sopravvalutare, in un impeto di campanilismo, l'importanza del nostro paese sul teatro globale.

Il fronte nord-africano e mediterraneo tenne impegnato un buon numero di truppe britanniche che, probabilmente, nel 1941 sarebbero state inviate nell’Estremo Est a contrastare l’avanzata giapponese, anche se non penso avrebbe fatto una gran differenza. Gli inglesi avrebbero avuto qualche migliaio di aerei in più a disposizione durante la battaglia di Inghilterra, che, però, comunque, hanno vinto. In ogni caso, furono distrutti circa 7 aerei dell’Asse per ognuno degli Alleati e, sappiamo, l’Asse non era in grado di rimpiazzarli così facilmente come lo saranno poi gli Stati Uniti.

Il non affidare a Rommel la direzione della campagna africana, nella mia opinione, l’avrebbe liberato per un uso più intelligente del suo genio offensivo. Ritengo infatti che per quanto fosse un generale incredibilmente dotato nell’offensiva, fosse poco adatto al comando di una lunga campagna. I suoi attacchi di estrema rapidita, che valsero alla sua divisione il soprannome di Divisione Fantasma e lo resero una leggenda, dimostrano una certa noncuranza nei confronti della logistica che, a lungo andare, è dannosa agli sforzi bellici.

La battaglia di Creta avrebbe sicuramente avvantaggiato l’Asse se non fosse accaduta. Nonostante la vittoria, infatti, fu definita la fine dell’aviazione tedesca, per il gran numero di perdite subite, perdite che, al contrario dell’America, la Germania non poteva facilmente rimpiazzare. Ciò ebbe un significativo impatto sull’Operazione Barbarossa, privando l’Asse di un significativo supporto aereo.

L’invasione della Jugoslavia e della Grecia è citata tra le principali cause del ritardo nell’avviare l’Operazione Barbarossa, insieme al maltempo. Non avendo perso tempo lì, Hitler sarebbe forse riuscito a evitare di impantanarsi a pochi chilometri dai suoi obiettivi, magari conquistando Mosca (con Rommel, libero dal teatro Nord Africano, all’offensiva), o schiacciando definitivamente la resistenza russa a Stalingrado. Un’altra interessante divergenza sarebbe avere Rommel al comando delle truppe naziste che avevano preso Stalingrado, in quanto, è storicamente dimostrato, si sarebbe ritirato contro gli ordini di Hitler, salvando la Settima Armata dall’accerchiamento e annientamento.

Nel complesso, penso che se i due fronti non fossero stati aperti, l’operazione Barbarossa non sarebbe andata molto diversamente da com’è effettivamente stata, ma sarebbe probabilmente durata di più. Quanto di più, non sono in grado di stabilirlo.

A occidente, senza il teatro Nord Africano, la (già controversa nei comandi Alleati) Operazione Torcia sulla Francia di Vichy molto probabilmente non sarebbe stata lanciata. La neutralità dell’Italia toglie il background per l’operazione Husky, non obbligando i tedeschi a distogliere le forze dall’Est per assicurarsi che gli Alleati non possano risalire fino in Germania.

Dunque, a seguito delle pressioni di Stalin (che si trova in una situazione peggiore di quella della nostra timeline), l’operazione Overlord verrebbe anticipata di circa un anno. I maggiori oppositori dell’idea, infatti, erano gli inglesi, che volevano concentrare le forze nel Mediterraneo. Senza questa ragione, non hanno altra scelta che accettare la direttiva americana e sbarcare. Supponiamo che, con Rommel in Russia, o comunque inascoltato come nella realtà, lo sbarco abbia successo.

Attorno a questo periodo, in Italia verrebbe completato il Vallo Alpino, in particolare il tratto al confine con l’Austria di Hitler (Iniziato nel 1939, quando fu firmato il patto d’acciaio, e per questo soprannominato linea non mi fido). Mussolini, intuendo la mala parata dell’Asse, inizierebbe probabilmente a strizzare l’occhio a USA e UK. La linea difensiva scoraggerebbe (almeno nell’idea fascista) Hitler dall’attaccare l’Italia per ripicca e, d’altronde, dopo lo sbarco Alleato in Normandia, l’apertura di un fronte sotto il sedere è l’ultima cosa di cui la Germania ha bisogno.

Ma, se così non fosse, la linea non mi fido, sarebbe potuta essere presidiata con gli alpini (magari armati e rinforzati dagli anglo-americani), mettendo così i tedeschi nella situazione in cui erano gli italiani nella prima guerra mondiale: in basso, contro nemici ben posizionati. C’è da dire, però, che durante l’effettiva invasione tedesca dell’Italia nel 1943, le fortificazioni non servirono a nulla, in quanto nel clima di confusione generale, i tedeschi avevano già posizionato le proprie truppe alle spalle di esse. Non penso che andrebbe molto meglio in questa timeline. In questo modo, però, l’Italia finirebbe comunque in guerra, quindi non lo ritengo inerente alla traccia.

Una volta assicuratosi la mancata reazione tedesca, una delle prime mosse di Mussolini potrebbe essere quella di togliere le leggi razziali (Mussolini aveva mostrato di non approvare il razzismo tedesco, prima di introdurre le leggi nel proprio paese… evviva la coerenza!) in modo da mostrare uno stacco dall’Asse senza particolari conseguenze.

Tornando al teatro principale, anglo-americani e russi avanzano come da timeline standard, ma con gli occidentali che hanno un anno di vantaggio circa, e i sovietici qualche mese indietro (più o meno a seconda di quanto più successo abbia avuto Barbarossa). Si arriva quindi a una linea di incontro dei liberatori di occidente e oriente (che poi diventerà il fronte della Guerra Fredda), che può variare, come detto prima, a seconda del successo di Barbarossa e del D-Day, fino al caso limite in cui sono gli americani a prendere Berlino.

In questo frangente, si potrebbe anche immaginare la guerra di qualche mese più lunga (nel 1943 i tempi sono troppo acerbi per lo sbarco in Normandia, le truppe anglo-americane fanno fatica - i tedeschi prendono Mosca e/o Stalingrado), il che permetterebbe agli americani di sganciare Little Boy sulla Germania. (Lasciando Fat Man e il Demon Core per il Giappone). Sulla probabilità di quest’ultima opzione ci sono lunghe discussioni online che spaziano da ragioni logistiche al razzismo americano. Non essendo legato alla traccia, sorvolerei su questo argomento.
***
Alla conclusione della guerra, dunque, l’Italia è ancora in piedi, ha le sue colonie, l’Istria e la Dalmazia, in più ha ottenuto ciò che gli Alleati avevano promesso. Mussolini, che ha tenuto il paese fuori dalla più grande carneficina dell’umanità, ha l’approvazione della nazione. L’opzione più probabile, a mio parere, è che, in questa situazione, il fascismo duri almeno fino alla morte di Mussolini, come il regime di Francisco Franco in Spagna. Ora, è impossibile stabilire quando Mussolini sarebbe morto, in quanto nella nostra timeline è stato assassinato. Si può supporre che tenga il potere fino alla seconda metà degli anni ‘50, i primi anni ‘60 o, a volerlo fare particolarmente longevo, fino al 1970 circa.

Un’importante questione da esaminare per questo periodo sono le colonie. Risentendo del clima circostante di decolonizzazione, esse inizierebbero a ribellarsi al dominio fascista. A mio parere, Mussolini non accetterebbe mai di concedere l’indipendenza, troppo orgoglioso per accettare che il fascismo non riesca ad aver ragione di quattro neri ignoranti. L’Italia, quindi, si troverebbe impegolata, come il Portogallo, in delle estenuanti guerre coloniali (che, tra l’altro, perderebbe miseramente), le quali esaspererebbero l’umore in patria, suscitando una deriva anti-fascista (e comunista) dell’opinione pubblica, fino alla possibilità di una rivoluzione in quel senso.

Un’altra opzione sarebbe che l’Italia (magari al comando di un successore di Mussolini) concedesse l’indipendenza alle colonie, costituendo però una sorta di Commonwealth (un’ Augusta Confederazione), per mantenere più controllo possibile su di esse. (Governi fantoccio locali).

In ogni caso, sarebbe possibile per l’Italia avere ancora un qualche controllo sulla Libia negli anni ‘60, quando cominciò l’estrazione del petrolio dal paese che, si stima, ha le più grandi riserve petrolifere dell’Africa. Ciò avrebbe potuto dare una spinta all’economia italiana.

Negli anni ‘40- ‘50, inoltre, il fascismo italiano si sarebbe avvicinato all’America, che, vedendo diavoli rossi ovunque, abbracciava all’incirca qualunque governo si dichiarasse anti-comunista, infischiandosene della tutela dei diritti umani. Certo, per fare ciò avrebbe dovuto fare qualche concessione e accettare Superman e Coca Cola, ma, in fondo, Mussolini non era riuscito a tenere del tutto fuori l’influenza americana neanche nel ventennio (Rabagliati). Penso che, vedendo la possibilità di un vantaggioso (anche solo apparentemente) compromesso, avrebbe morso la carota americana piuttosto che affrontarne il bastone.
(Questo, ovviamente, ammesso che ci sia una Guerra Fredda, escludendo quindi i casi limite in cui l'operazione Barbarossa lascia l'URSS troppo debole per competere con gli Stati Uniti, comunque improbabili)

Interessante è anche esaminare il caso dell’Unione Europea, in quanto il primo ministro italiano Alcide de Gasperi fu tra i principali promotori della costituzione della CECA e la fondazione dell’Unione Europea stessa si fa risalire ai trattati di Roma. Con Mussolini al potere negli anni ‘50, ciò non può avvenire. Si può supporre che Francia e Germania avrebbero fondato comunque la CECA e la CEE, di cui l’Italia fascista non avrebbe ovviamente fatto parte. Forse, l’Italia avrebbe potuto creare una sorta di confederazione Mediterranea con i colleghi dittatori di Spagna e Portogallo e magari con il governo anti-comunista greco.

Come successore di Mussolini, io individuerei Galeazzo Ciano, in quanto, già nella nostra timeline sembrava che Mussolini potesse avere intenzione di nominarlo tale, intenzione che, dopo il successo della politica neutralista di Ciano, il Duce avrebbe probabilmente confermato.
A questo punto, vedo tre diverse opzioni:

Umberto II (suo padre è morto nel 1947) prende la situazione nelle sue mani e ripristina, senza troppi scossoni, la democrazia
Avviene l’equivalente della Rivoluzione dei Garofani portoghese: Italia socialista (o comunista?)
Galeazzo Ciano riesce a mantenere il potere: il fascismo resiste

Ritengo che lo stesso discorso si possa fare sia nel caso di una morte naturale di Mussolini, sia che venga ucciso in un attentato.

Il caso A è simile a ciò che è avvenuto in Spagna con Juan Carlos ed è, a mio parere, l’opzione più probabile. Anche senza un particolare interesse morale da parte del re, sarebbe un modo per recuperare il proprio potere e, al contempo, assicurarsi che la rivoluzione di un popolo esasperato dal totalitarismo non gli strappi il seggio da sotto il sedere.

Ciò darebbe origine ad un’Italia in fondo non troppo dissimile dalla nostra, ma, con tutta probabilità, ancora una monarchia (E, dati gli eredi Savoia in circolazione, gli dei ce ne scampino).

Il caso B avrebbe anch’esso discrete possibilità di verificarsi. Il partito comunista italiano era il più forte dell’Europa occidentale, rappresentando, alla sua massima estensione, circa un terzo del paese. Ciò testimonia una decisa pendenza verso sinistra della popolazione italiana che, le guerre di decolonizzazione e la repressione interna fascista avrebbero potuto esasperare fino alla rivoluzione (e/o all’assassinio di Mussolini).

Questa transizione verso sinistra sarebbe potuta avvenire anche in modo pacifico, partendo dalla situazione del caso A, con un governo comunista democraticamente eletto. Nel caso specifico, si può pensare che un’Italia non distrutta dalla guerra abbia meno bisogno dei soldi americani, togliendo così il maggior deterrente contro il comunismo.

Interessante è indagare quale sarebbe potuta essere la reazione americana al perdere un paese del blocco occidentale verso est. Gli esempi di Cuba e Cile non sono affatto confortanti, ma c’è anche da dire che essi erano paesi del continente americano, il giardino di casa degli USA.

Ritengo comunque che ci sarebbe stata una ragionevole probabilità di un colpo di stato supportato dagli USA a fronte di una svolta comunista in Italia. Essi avrebbero potuto far leva sugli scontenti, sui nostalgici del fascismo, sui militanti di estrema destra che, in qualche modo, come funghi velenosi spuntano fuori da qualsiasi situazione politica. Ammesso che il colpo abbia successo, ci si ritroverebbe in una situazione simile a quella del caso C.

Il caso C è, a mio parere, quello meno probabile. Necessiterebbe che Galeazzo Ciano (o, meno probabilmente, uno dei figli di Mussolini) vesta i panni di Ottaviano dopo l’assassinio, o la morte naturale, del suo predecessore, riuscendo a mantenere l’impero in vita. Penso che il fascismo avrebbe dovuto, comunque, ammorbidirsi per sopravvivere, altrimenti il nuovo duce avrebbe rischiato di fare la fine di Ngô Đình Diệm. Regime autoritario okay, repressione dei comunisti fantastico, ma senza arrivare ad estremi che possano indignare l’opinione pubblica americana e, soprattutto, senza mordere troppo la mano al padrone, pensando di potersi sganciare dal guinzaglio degli USA.

Ho già presentato il caso delle colonie e dell’Unione Europea, dunque mi dedicherò ad un altro stato la cui storia è legata indissolubilmente con l’Italia: il Vaticano. Esso era stato dichiarato uno stato neutrale coi Patti Lateranensi, certo, ma rimane pur sempre un quartiere di una città che, nel nostro universo distopico, sarebbe la capitale di uno stato dittatoriale. I nuovi papi (sempre se i fascisti non avessero condizionato le elezioni, facendo eleggere o miti agnelli spaventati o opportunisti) avrebbe accettato il rischio di reclamare la loro sede di diritto e, in contemporanea, proclamare il diritto alla libertà di ogni uomo? Avrebbero ritenuto moralmente giusto risiedere a gomito a gomito con una dittatura, scendendo, inevitabilmente, a compromessi con essa? Nella nostra timeline, esiste un famoso caso di un leader religioso in esilio in un altro paese a seguito dell’invasione del proprio, il Dalai Lama, ma forse non è molto rilevante in questo per suggerire quale potrebbe essere il comportamento dei papi.
Non ho una risposta, non essendo un’esperta delle biografie degli uomini in questione, ma ritengo vada comunque considerata l’ipotesi di un papa in esilio volontario di protesta.

Un’incognita in tutto questo è Edda Ciano, moglie di Galeazzo, figlia di Mussolini, che, tramanda la storia, aveva una personalità forte e ribelle. Di essa ci è testimone una foto del 1938, che la immortala in spiaggia con marito e figli (la brava moglie, angelo del focolare, della propaganda fascista), con indosso un paio di pantaloni, simbolo della sua anima indipendente.

In un’Italia fascista degli anni ‘60/’70/’80 sarebbe stata il collo che muoveva la testa del marito, succedendogli alla sua morte, magari? Avrebbe raccolto in sè le aspirazioni dell’Italia femminista, mostrando un fascismo progressista (per quanto sia un ossimoro, l’assurdo non è certo una novità per l’ideologia politica in questione) che potesse catturare i cuori delle nuove generazioni? Il fascismo sarebbe così riuscito a sedare gli inevitabili dissapori nei turbolenti anni ‘80-’90, quando caddero le dittature comuniste d’Europa?

E, in questo ultimo caso, sarebbe il fascismo riuscito a sopravvivere fino ai giorni nostri?

Abbastanza improbabile, nello sciame complessivo di mondi paralleli legati all’ e se l’Italia non fosse mai entrata in guerra?, ma vale comunque la pena di considerarlo, se non altro per riflettere sul tema: sarebbero gli Italiani del 2023 disposti ad accettare una dittatura?

Infatti, nel considerare ciò che sarebbe potuto succedere all’Italia se non fosse entrata in guerra, viene in automatico pensare che il fascismo sarebbe caduto ad un certo punto. Anche nel considerare la sua sopravvivenza come ipotesi, sono partita dal fascismo più blando, ammorbidito e imbastardito che potessi pensare, in quando mi risulta impossibile credere che un fascismo puro possa essere accettato ancora dagli Italiani.

Ma è davvero così? Davvero un’ Italia dittatoriale nel 2023 è inimmaginabile?
Nel 2022, si contavano 57 dittature nel mondo, circa un terzo del numero dei paesi. Ciò dimostra che la dittatura è ben lungi dall’essere un qualcosa del passato.

La mia generazione, come la generazione dei miei genitori, è nata nella democrazia e ha conosciuto sempre e solo questa. Mano a mano le persone che avevano provato sulla loro pelle la dittatura stanno morendo, e con loro la testimonianza diretta di quei terribili anni. Nemmeno i nostri nonni, ormai, ricordano: se sono nati negli anni del fascismo, erano troppo piccoli per conservarne la memoria. Per noi la democrazia è scontata. Lo dimostra la sempre crescente percentuale di astenuti alle elezioni: è l’avvertimento di Fichte che diventa realtà.
Il popolo, eternamente insoddisfatto ma, ai fatti, ben pasciuto, cresce in passività e disinteresse verso 'quelli lì, uno vale l’altro, che tanto rubano tutti'.

Si era fatto tanto rumore per la vittoria della destra, i fascisti, sembrava che dovesse finire il mondo: dov’è, ora, quel rumore? La Meloni è salita al governo (curiosamente, proprio nei giorni del centenario della marcia su Roma) e il popolo italiano sta già scrollando le spalle e borbottando un lasciamo fare, tanto più danni degli altri non li può fare.

Con questo non sto certo suggerendo che dovremmo ribellarci contro un governo democraticamente eletto che, ad oggi, a parte le infelici affermazioni di certi suoi componenti e certe proposte non proprio costituzionali, non ha ancora mostrato una spiccata anima autarchica e dittatoriale. (E speriamo così rimanga)

Ciò che voglio sottolineare è, invece, l’assuefazione. L’essere umano tende ad assuefarsi ad ogni cambiamento. Prendiamo ad esempio la guerra in Ucraina: se n’è parlato tanto per un mese o due, era su tutti i telegiornali, non si discuteva di altro. Ad un certo punto, però, la gente ha iniziato a stancarsi di carri armati e bambini orfani. Se capita ancora di imbattersi nella parola Ucraina al telegiornale, si sbuffa e si cambia canale. La guerra in Ucraina è diventata, come tante altre, una cosa normale, parte del background quotidiano, alla quale si da più o meno la stessa attenzione che agli alberi del viale di casa propria. C’è, punto. 'Si, si, è sbagliata. Ma che ci posso fare io? Beh, intanto la minestra mi si sta attaccando…'

E’ come un sasso che piomba nell’acqua: fa plof e tutti sobbalzano nel momento in cui cade, ma l’onda da esso generata si assottiglia nel tempo, finché l’acqua non ritorna calma. Il mare ha inglobato il sasso e nessuno se ne accorge più.

E’ una sorta di meccanismo di difesa, tramandatoci dai nostri antenati che piegavano la schiena sotto il giogo di regni, imperi, principati. Il male provocato dagli uomini veniva assimilato ad elemento naturale: il patibolo sulla piazza era nè più nè meno delle tempeste, della siccità, delle epidemie. Non ci si poteva fare nulla, tanto valeva rassegnarsi e rimboccarsi le maniche per sopravvivere in qualche modo. L’umanità, infatti, trova sempre il modo di andare avanti: il cambiamento di paradigma si nota solo nella fluttuazione della quantità di cadaveri lasciati alle spalle.

Esso fa sì che, a meno che la misura non sia davvero colma, un popolo tende a soffrire in silenzio. Quanto ci voglia per colmare la misura varia da popolo a popolo: i Francesi, per esempio, il popolo della Rivoluzione per eccellenza, sono pronti a scendere in piazza con striscioni e fumogeni per cose che in Italia fanno appena alzare un sopracciglio e cavare qualche parola non riportabile in un elaborato scolastico. E qui mi fermo, visto che coi tempi che corrono è sempre meglio evitare di parlare di altri popoli e culture, si sa mai che si offendano.

Oltre all’assuefazione, c’è l’assimilazione. Noi tendiamo ad assimilare ciò che ci viene riversato addosso dai telegiornali, dalla stampa, dai social, dai nostri familiari, vicini, amici. E’ il modo in cui impariamo, con cui costruiamo la nostra identità e il filtro attraverso cui vediamo il mondo. E’ per assimilazione che un appartenente ad un popolo ha un’identità culturale: prende ciò che gli viene presentato e lo fa suo, dimenticandosi della sua provenienza esterna. E’ impossibile sfuggire all’assimilazione. Per farlo, dovremmo rinunciare ad imparare alcunché, rinunciare al rapporto stesso con i nostri simili sin dal momento della nostra nascita (se non vogliamo considerare vere le teorie sulla percettività dei feti… ma qui si divaga).

Ciò ha un grande peso nella politica: citando Giacomo Leopardi, dalla tendenza dell’uomo a imitare, massimamente i suoi simili, nasce in parte quella sua inclinazione a seguire l’autoritá, sí nel risolvere e nell’operare che nel giudicare e nel credere, inclinazione incontrastabilmente propria dell’uomo, non solo dell’uomo debole, ma di tutti gli uomini piú o meno, posti che sieno in relazione cogli altri. (Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani)

L’essere umano, infatti, è da sempre un lanternino (per usare una metafora di Pirandello) alla disperata ricerca di un lanternone sotto il quale riparare, per convincersi che la luce sotto la quale vede il mondo sia proprio quella giusta. Una buona propaganda può fornire questo lanternone, questa sicurezza di cui l’essere umano sembra aver bisogno. E’ il dono più gradito alla massa della popolazione: la possibilità di non doversi mettere in discussione, di non avere dubbi sul proprio posto nel mondo, di sentirsi parte di un qualcosa. (Quest’ultima sensazione è ricercata così tanto che innumerevoli persone pagano decine, centinaia di euro per fare la ola a ventidue individui che inseguono un pallone).

Un popolo così istruito (o dis-istruito) non è altro che un gregge che, come scrive Nietzsche, segue il modello che si è imposto sopra esso, belando ciò che il maiale di turno gli insegna. (Sì, dovevo proprio citare "Animal Farm").

Se il fascismo, rimasto al potere, fosse riuscito a fare una simile propaganda e fosse stato attento a non versare quella fatidica goccia che fa traboccare il vaso, avrebbe, nella mia opinione, avuto una possibilità di resistere fino ai giorni d’oggi. Anche se, ritengo, con Alessandra Mussolini al governo, il vaso traboccherebbe ben presto.

Fonti: Wikipedia (pietà, prof, è maggio!)

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Così replica Bhrihskwobhloukstroy:

Complimenti da parte mia, lavoro inappuntabile!
In pratica suggella la massima parte delle ucronie su questo tema (sole escluse quelle che dal Punto di Divergenza ricaverebbero la mancata dichiarazione di guerra di Hitler agli Stati Uniti e di qui un possibile diverso esito del conflitto, conclusione molto controversa).
Mi verrebbe allora la curiosità di chiedere come sarebbero – anche in tal caso in prevalenza – le ucronie sulla Seconda Guerra Mondiale (in particolare sull’eventualità di un ingresso dell’Italia nel conflitto) in questo scenario ucronico: concorderebbero su una linea più o meno simile alla Storia reale o in maggioranza inclinerebbero a rimpiangere una (presunta) grande vittoria dell’Asse?

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E Federica Sangalli aggiunge:

Molto bella, complimenti!
L’idea di Edda Ciano, per quanto improbabile, è interessante e originale. Peraltro oggi Alessandra Mussolini si è convertita all’attivismo LGBT, sicché l’idea di un “Fascismo Progressista” che mantiene il potere riciclandosi come una sorta di versione italiana dei kemalisti potrebbe non essere così peregrina. L’unica cosa è che non credo che i fascisti sarebbero stati in grado di influenzare i conclavi: non perché non ci avrebbero pensato e non perché in passato non sia stato fatto, ma perché la Chiesa Cattolica ha sempre dato la priorità a conservare un profilo autonomo da qualunque potere temporale. Anche se in alcuni frangenti l’interferenza è stata imposta manu militari, come durante la Cattività Avignonese, alla lunga è sempre germogliata l’idea che si trattasse di un forzatura dovuta a un corpo estraneo e che la Chiesa dovesse riacquisire la sua autonomia, a costo di rotture decise con l’autore dell’intromissione. Se Mussolini avesse cercato di fare del Papa il suo cappellano, avrebbe potuto provarci ma solo al prezzo di lasciare una impressione tale che nell’arco di qualche tempo la Chiesa avrebbe iniziato a operare per favorire un cambiamento politico in Italia. Se poi questo tentativo si fosse accompagnato alla deriva laicista e progressista sopra prefigurata, allora c’è una forte possibilità che a un dato momento i “kemalisti italiani” vengano sbattuti fuori dal potere in favore di un partito cattolico di stampo sincretico, conservatore sulle questioni sociali e pro-welfare su quelle economiche, capace di costruire una macchina del consenso tale da proteggere perpetuamente la sua “rivoluzione” pur in presenza di elezioni democratiche. Se vogliamo mantenere l’analisi, forse servirebbe un Erdogan italiano, ma così su due piedi non mi viene in mente nessuno (No, Rosy Bindi non va bene!)

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Chiudiamo per ora con l'ucronia tradotta per noi da Generalissimus:

E se la Francia non si fosse arresa nella Seconda Guerra Mondiale?

Per qualche motivo la Francia, il paese che un tempo controllava un vasto impero coloniale, che conquistò mezza Europa e che in realtà ha vinto una significativa maggioranza delle guerre che ha combattuto, ha la reputazione di essere abitata da arrendevoli scimmie mangia-formaggio, ma nonostante tutte le battute sappiamo come la Francia ottenne questa falsa reputazione di incompetenza militare e tendenza alla resa: per via della Seconda Guerra Mondiale.
Nel solo primo anno di guerra l'intera nazione francese fu invasa dalla Germania e si arrese in poche settimane, al suo posto venne installato uno stato fantoccio Fascista.
La Francia non divenne di nuovo un paese libero che col D-Day di quattro anni dopo, e nei decenni successivi incominciarono a manifestarsi gli stereotipi.
Perciò rimane la domanda: e se in una qualche TL alternativa la Francia non si arrendesse nella Seconda Guerra Mondiale? Quale sarebbe stato il destino della nazione se avesse resistito fino alla fine? Va bene, ma prima un po' di contesto, non troppo, ve lo prometto, è solo per delineare i contorni.
Allora, è un 1940 alternativo, e anche se la Germania e gli Alleati erano in guerra già dal 1939 non c'erano stati veri combattimenti sul fronte occidentale, fino a quando non iniziarono davvero.
Ora, non mi inoltrerò nei dettagli esatti di come i Tedeschi riuscirono a sconfiggere gli Alleati così facilmente, se volete imparare quanto tutto questo fu un disastro per la Francia allora guardate questo video che lo spiega molto meglio di quanto potrei fare qui, io userò solo una parola per riassumere il tutto: blitzkrieg.
La blitzkrieg fu un qualcosa di mai visto prima, gli Alleati avevano aspettato troppo per eliminare la Germania dai giochi e adesso l'Asse era in posizione di vantaggio.
Considerato lo stato delle forze armate francesi e le tattiche tedesche, questo non è uno scenario in cui la Francia vince in qualche modo la guerra.
In un 1940 alternativo avvengono le stesse identiche manovre militari, i Tedeschi sfondano le difese, circondano le migliori forze francesi e inglesi e imperversano con facilità per la Francia, entro poco più di un mese non c'è praticamente più alcuna resistenza militare rimasta.
Si stima che quando nella nostra TL la Francia si arrese erano morti 80.000 soldati di quel paese, mentre gli Inglesi persero 70.000 uomini.
I Tedeschi ne persero solo 20.000, fu semplicemente un disastro.
Ma presumiamo che i Francesi vogliano ancora resistere e rifiutino di arrendersi, cosa succede dopo? Beh, non molto, sarebbe l'equivalente di una formica che cerca di sconfiggere uno stivale.
La Francia non si arrese perché pensò "Beh, ho fatto del mio meglio, basta così", e che non aveva più delle forze armate con le quali combattere.
I suoi uomini migliori erano già stati catturati dai Tedeschi o erano morti, era chiaro e tondo che anche se avesse resistito per un altro mese il risultato sarebbe stato lo stesso, perciò se la Francia non si arrende l'esito della guerra non cambia, quello che cambia è la rappresaglia tedesca.
Solo l'anno prima Varsavia era stata cancellata dalla faccia della Terra, la città praticamente non esisteva più, il fuoco dell'artiglieria, i bombardamenti aerei e i semplici combattimenti avevano distrutto l'80% della città.
Diciamo che il governo francese affermi di voler combattere ancora, ignori quello che è successo a Varsavia e pensi semplicemente "Sì, possiamo farcela!", raduni tutte le forze che gli sono rimaste e tenti di difendere la capitale Parigi: non ci sarebbe alcuna pietà.
I siti culturali e storici della capitale verrebbero obliterati da un infinito bombardamento tedesco, il Louvre, la Torre Eiffel, Versailles, Notre Dame, tutto potrebbe venire distrutto dalla susseguente battaglia tra le scarne forze rimaste ai Francesi e la macchina da guerra tedesca.
L'invasione finisce comunque con una resa francese e i Tedeschi impiegano un mese in più per conquistare l'intera Francia, ma siccome i Francesi si sono rifiutati di arrendersi dubito che i Nazisti permetteranno la nascita di uno stato fantoccio nel sud, l'intera Francia viene semplicemente assorbita nel Reich per tutta la durata della guerra.
La marina francese continua a combattere sui mari, così come le truppe che sono riuscite a fuggire in Nordafrica e in Inghilterra, ma per la maggior parte la Francia come forza militare è defunta.
Il trattamento Nazista nei confronti dei Francesi è di gran lunga più ostile che nella nostra TL e i punti di riferimento culturali non vengono risparmiati dai combattimenti.
Quando negli anni seguenti gli Alleati tenteranno di riconquistare la Francia troveranno una Parigi distrutta e in rovina.
Anche se i Nazisti sono stati sconfitti la guerra esige un pedaggio più pesante sull'identità dei Francesi, lasciando una cicatrice permanente.
Oggi Parigi potrebbe essere una città completamente diversa, degli edifici e delle cattedrali vecchi di secoli si potrebbe trovare traccia solo nelle vecchie foto in bianco e nero, sostituiti da uno skyline moderno fatto di palazzi d'acciaio, o forse verrebbero ricostruiti con un aspetto simile a quello delle strutture ormai distrutte, come è stato fatto in Germania, ma comunque alcuni pezzi artistici e culturali potrebbero essere non sostituiti affatto: se il Louvre venisse bombardato allora oggi non avremmo la Gioconda.
L'unico motivo per cui i Nazisti risparmiarono Parigi è che la resa arrivò al momento giusto.
La marina francese avrebbe potuto continuare a combattere? Sicuro, ma tutti all'epoca pensavano che il popolo francese avrebbe solo sofferto di più, così come la cultura nel complesso.
Alla fine ci vollero 10 milioni di soldati sovietici morti nella guerra contro la Germania per abbattere il Reich, comparateli con le vittime del fronte occidentale, che furono 1.300.000 di tre paesi messi insieme e capirete che la Francia si ritrovò a dover affrontare una forza inarrestabile.
Credetemi, ci sono tante cose per le quali prendersi gioco dei Francesi, ma la resa non è una di queste.

Il 22 Giugno 1940, dopo un mese di combattimenti accaniti nel nord della Francia, il Maresciallo Pétain firmò con Hitler e i suoi generali un armistizio umiliante.
L’alto comando tedesco festeggiò il fatto di essere riuscito a sconfiggere in poco tempo un esercito che prima della guerra era considerato il migliore al mondo.
Eh, sì, è così.
L’esercito francese del 1940 era effettivamente un buon esercito, disponeva di soldati addestrati e motivati, di buoni mezzi blindati, di una solida artiglieria e l’unica sua debolezza era il livello dell’aviazione.
Senza entrare nei dettagli, la causa principale della sconfitta francese fu la tattica: le dottrine utilizzate erano completamente sorpassate, cosa dovuta principalmente al fatto che lo stato maggiore aveva un’età media superiore ai 60 anni, mentre lo stato maggiore tedesco disponeva di ufficiali giovani e talentuosi come Guderian e Rommel.
Militarmente parlando, qual era la situazione in Francia alla vigilia dell’armistizio? Per non dire altro, era terribile, in effetti l’esercito francese era in piena rotta, l’esercito tedesco aveva raggiunto le Alpi e aveva catturato centinaia di migliaia di prigionieri e tonnellate di materiale che era stato abbandonato.
Un punto positivo era che l’eccessiva estensione delle linee logistiche tedesche aveva rallentato le operazioni per un momento.
In questo periodo di stop i Francesi iniziarono a chiedersi molto più seriamente quale condotta intraprendere negli avvenimenti seguenti.
Due campi si scontrarono: i “disfattisti”, guidati dal Maresciallo Pétain, che pensavano che interrompere i combattimenti fosse la miglior soluzione per salvaguardare il popolo francese, e gli “oltranzisti”, in particolare il Generale De Gaulle, che pensavano che continuare i combattimenti fosse la soluzione migliore.
Il 20 Giugno 1940 il Maresciallo Pétain, che in quel momento era in viaggio verso la sua residenza, viene colto improvvisamente da un malessere cardiaco fulminante.
Malgrado gli sforzi dei medici per rianimarlo, il Maresciallo Pétain muore qualche ora più tardi, e con lui scompare la figura di punta del campo dei “disfattisti”.
Il 22 Giugno 1940, che nella realtà corrisponde alla firma dell’armistizio con la Germania, il Presidente del Consiglio Paul Reynaud decreta lo stato d’emergenza e decide di nominare Charles De Gaulle ministro della guerra e degli armamenti.
Dopo una lunga notte di concertazione il nuovo governo francese decide di continuare a combattere al fianco degli alleati facendo base nelle colonie.
In effetti all’epoca la Francia poteva contare sul suo immenso impero coloniale, che rappresentava il 5% della popolazione mondiale ed era il secondo in termini di superficie dopo quello inglese.
Esso disponeva di risorse sia umane che minerarie, ma non aveva industrie, e questo rendeva la Francia dipendente dall’aiuto degli Alleati.
Il nuovo governo francese decide di espatriare quel che resta dell’esercito francese in Algeria assieme al governo mentre migliaia di uomini si sacrificano eroicamente per permettere il loro imbarco.
La flotta francese riesce così a imbarcare centinaia di migliaia di uomini e tonnellate di materiale a destinazione ad Algeri.
La flotta Franco-Britannica riuscirà ad ottenere il controllo totale del Mediterraneo, distruggendo alla fine la flotta italiana, che non è abbastanza forte da poter affrontare due nemici nello stesso momento.
Partendo dalle sue colonie la Francia non può attaccare direttamente l’invasore tedesco, ma può attaccare il suo alleato, l’Italia, che, disgraziatamente per essa, ha dei territori nella regione.
La guarnigione italiana dell’epoca aveva a disposizione diverse decine di migliaia di uomini, ma quasi tutti poco addestrati, mal equipaggiati e con a disposizione mezzi blindati obsoleti.
L’esercito francese, appena arrivato in Africa, lancia un attacco coordinato assieme ai Britannici contro la Libia italiana.
Gli Italiani non riusciranno ad ottenere né rinforzi né rifornimenti a causa delle flotte francese e inglese, e, demoralizzati e mal equipaggiati verranno massacrati.
La conquista della Libia nel 1940 permette agli Alleati di fare altre conquiste.
In questa realtà alternativa possiamo immaginare nel 1941 uno sbarco Alleato in Sardegna e una guerra nei Balcani che provocheranno la caduta del regime di Mussolini nel 1942.
La perdita dell’alleato italiano e l’entrata in guerra degli Stati Uniti costringerà la Germania a disperdere le sue truppe che sta utilizzando nell’invasione dell’Unione Sovietica.
L’invasione Alleata dei Balcani permetterà di aprire un secondo fronte contro la Germania e farà entrare la Grecia nel campo degli Alleati.
Tutti questi fattori messi insieme permetteranno all’Unione Sovietica di respingere l’invasione tedesca nel 1943 e permetteranno nello stesso tempo agli Alleati di organizzare alla fine uno sbarco in Francia.
La Conferenza di Jalta, che nel nostro scenario si svolgerà nel 1944, riunirà i principali leader Alleati, ovvero Churchill, Stalin, Roosevelt e in più Charles De Gaulle.
Il 10 Maggio 1944 gli eserciti sovietico e Alleati si congiungono in Germania.
In questo modo, in questa realtà alternativa, scegliendo di continuare a combattere, la Francia anticipa la caduta del terzo Reich di un anno ed entra automaticamente nel campo dei vincitori.
Ovviamente questa storia non è che una delle numerose realtà possibili se la Francia avesse scelto di continuare la guerra, e se volete più dettagli su questa realtà alternativa vi invito caldamente a visitare il sito www.1940lafrancecontinue.org, che presenta un lavoro di ricerca molto documentato e molto dettagliato riguardo a questa eventualità.

E se la Francia avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale?

Francia e Seconda Guerra Mondiale.
Questa combinazione non evoca esattamente gloria e vittoria, ed è un dato di fatto che probabilmente avete appena immaginato qualche meme sulla Francia che si arrende, e sì, la sconfitta della Francia per mano della Germania è una specie di barzelletta, ma se vi dicessi che la Francia aveva molte più capacità di quanto crediate? Questa era la nazione che solo alcuni decenni prima aveva tenuto la Germania a bada per anni durante la prima grande guerra, e nel 1939 era una notevole potenza industriale e aveva la seconda marina più grande del mondo, per non parlare dell’esercito più grande d’Europa, e possedeva molti più carri armati della Germania di costruzione presumibilmente superiore, anche se vennero utilizzati poco.
L’esercito francese del periodo viene spesso considerato, anche se erroneamente, male addestrato, e molti presumono che una grande quantità di soldati francesi fossero reclute indisciplinate provenienti dalle colonie, ma al suo picco l’esercito francese contava circa 8 milioni di uomini, e solo 300.000 di essi erano reclute delle colonie, ovvero meno del 5% del totale, e la maggioranza dei soldati francesi aveva già servito nella guerra precedente o era stata prontamente addestrata, perciò la qualità dei soldati francesi non era affatto scarsa.
Ma sicuramente era scarsa la qualità dei loro leader: la leadership francese, dal presidente fino ai suoi generali, era composta da persone timorose e deboli che esitarono quando si trattò di prepararsi alla guerra e non accettarono le raccomandazioni dei nuovi ufficiali più giovani come Charles de Gaulle, preferendo rimanere fedeli alle tattiche della Prima Guerra Mondiale, qualcosa che la Germania aveva abbandonato da tempo e dalle quali aveva già imparato la lezione.
Furono quegli stessi leader che si risolsero alla fuga, alla resa e ai negoziati quando le loro tattiche si dimostrarono erronee.
La mancanza di leadership e ispirazione, accoppiata col fatto che i soldati francesi erano già stanchi della guerra, risultò in un buon numero di uomini addestrati che semplicemente non volevano una ripetizione dell’ultima guerra, cosa che a sua volta ebbe l’effetto collaterale di dividere profondamente il popolo francese, in particolare tra nazionalisti e Socialisti, guidati rispettivamente dal Partito Popolare Francese e dal Fronte Popolare.
Sì, questi nomi possono creare un po’ di confusione.
Perciò, per riassumere tutto, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale la Francia aveva la possibilità di combattere la Germania: aveva molti più uomini, i suoi soldati erano certamente bene addestrati, aveva molti più carri armati e una marina molto più potente, anche se dei combattimenti navali contro la Germania non sarebbero stati del tutto necessari.
Tutto questo era controbilanciato da una cattiva leadership e dalla disunità all’interno della Francia, ma se le cose fossero andate diversamente per i Francesi? E se avessero avuto la leadership di cui avevano bisogno a dirigere il loro esercito contro la Germania ed, essenzialmente, vincere la Seconda Guerra Mondiale? Per fare questo proponiamo semplicemente che Charles de Gaulle, futuro leader e generale della Francia Libera, venga nominato Segretario Generale del Consiglio di Guerra, una posizione che si aspettava di ricevere dopo l’inaugurazione del nuovo primo ministro, Paul Reynaud, ma che invece andò al finanziatore della sua campagna elettorale, Paul Baudouin.
Se de Gaulle fosse diventato Segretario Generale sarebbe essenzialmente diventato il principale consigliere militare della Francia.
Questo forse non sarà abbastanza per correggere gli errori della leadership militare francese dell’epoca, ma se riuscisse a guidarla nella giusta direzione potrebbe bastare per rinforzare le difese francesi e forse persino organizzare un’offensiva prima ancora che la Germania abbia la possibilità di invadere, portando il conflitto ad una rapida fine e costringendo la Germania a liberare Polonia, Norvegia e Cecoslovacchia, neutralizzando la minaccia dell’espansionismo tedesco e annettendo altri territori occidentali della Germania come punizione.
Nonostante questo l’Unione Sovietica manterrà la sua fetta di territorio polacco ottenuta durante la sua invasione della Polonia insieme alla Germania.
Anche se la Francia si è assicurata la vittoria le divisioni politiche crescono ancora, e se non fosse stato per l’invasione della Francia della nostra TL è assolutamente possibile che saremo stati testimoni di qualcosa di simile ad una guerra civile francese o ad un cambio di regime rivoluzionario.
De Gaulle lo sapeva, e mantenne sempre nella sua mente l’idea di una Francia grande potenza indipendente, ma adesso la vedrebbe divisa tra due ideologie che avrebbero potuto sovvertire e spazzare via i vecchi ideali repubblicani della Rivoluzione Francese.
Un nazionalismo fondato sulla sovranità e unità nazionale, o, semplicemente, unità francese attraverso la forza francese.
In questa TL i fattori di stress di un’altra guerra, nonostante la vittoria francese, portano ad un grande scisma tra la destra e la sinistra che alla fine sfocia in una nuova rivoluzione.
Durante questo anno di instabilità all’interno della nazione francese de Gaulle si allineerebbe con i nazionalisti, una coalizione di numerose ideologie di destra, contro i Comunisti e la loro coalizione di ideologie di sinistra.
Il tutto mentre la Germania e i Sovietici sviluppano relazioni pericolosamente sempre peggiori, dato che i Sovietici percepirebbero la Germania come vulnerabile ma non sarebbero ancora preparati per lanciare un’invasione contro la loro nemesi ideologica.
La Germania, temendo la forza crescente dell’Unione Sovietica, continua a militarizzarsi e ad addestrare nuovi soldati sotto la guida del Generale Erwin Rommel per una guerra difensiva contro l’URSS, aspettando che i Sovietici invadano quello che è rimasto della Polonia e facciano loro la prima mossa, così da evitare un altro conflitto con la Francia o l’Inghilterra.
I Sovietici, non temendo più un’invasione tedesca, almeno non nell’immediato futuro, dirigono più risorse verso il sostegno dei Comunisti in Cina settentrionale e in Mongolia, e tentano di cacciare i Giapponesi dalla regione.
Allo stesso modo il Giappone avrà bisogno di incanalare più risorse nel suo fronte occidentale, ritardando la sua espansione e l’Attacco a Pearl Harbor fino a quando i Comunisti non verranno perlomeno neutralizzati momentaneamente.
Alla fine del 1941 la Francia si è stabilizzata di nuovo, con de Gaulle che assume il potere e crea la Quarta Repubblica Francese.
Bisognoso di eradicare dalla Francia tutti gli elementi sovversivi, lancerà una serie di purghe legalizzate per arrestare e mettere fuori legge qualsiasi fazione Comunista e dell’estrema sinistra radicale che percepirà come una minaccia per la sovranità nazionale francese, così come qualsiasi simpatizzante dell’Unione Sovietica e della Germania, lanciando una campagna di propaganda contro il Comunismo e il “Socialismo tedesco”.
Mussolini avvicinerà de Gaulle nella speranza di creare il Blocco Latino, precursore di quello che spera diventerà un nuovo Impero Romano.
De Gaulle non sarà a favore dell’ideale del grande Impero Romano, ma sarà a favore dell’idea dell’integrazione europea in una confederazione di stati sovrani.
Questo porterà la Francia e l’Italia a stabilire la Confederazione Commerciale Europea, una zona di libero scambio e movimento comprendente Belgio, Francia e Italia, alla quale verranno invitate Spagna, Portogallo e Olanda.
Questa, unita ad un movimento verso una valuta libera dal debito, verrà promossa da de Gaulle per allontanare la nazione dall’inflazione e dalla povertà in aumento.
L’ideale di de Gaulle di un grande stato francese arriverà alla realizzazione, ma la sua alleanza con l’Italia Fascista e varie fazioni di destra all’interno della sua nazione preparerà la strada ad una nuova forma di nazionalismo radicale francese, ispirata dal Nazionalsocialismo tedesco e con sfumature Golliste.
L’ideologia in ascesa non sarà necessariamente amichevole con la Germania, ma condividerà alcuni valori con essa, con alcuni dei quali de Gaulle non sarà d’accordo, ma ne riterrà validi molti.
La crescente minaccia posta dai Comunisti, che ha fatto fallire gli attacchi giapponesi e ha reso chiaro che la Germania potrebbe essere presto invasa, farà sì che molti nazionalisti radicali francesi inizieranno ad assumere incarichi di alta levatura, perfino all’interno del gabinetto di de Gaulle.
Il 1944 vedrà insurrezioni Comuniste scoppiare simultaneamente in Polonia, Finlandia e Romania, e tutte serviranno da cortina fumogena perché i Sovietici possano far avanzare truppe in Europa centrale.
La Germania fortificherà i suoi confini con divisioni corazzate posizionate a scopo difensivo e una forza aerea con scopi offensivi preparate per impedire un’invasione.
Entrambe le parti saranno ben preparate, ma le loro tattiche creeranno una doppia punta di lancia in cui tutte e due continueranno ad avanzare in regioni diverse dei loro confini.
I Sovietici useranno la vastità della loro terra per creare enormi campi di battaglia attraverso i quali le truppe tedesche saranno costrette alla carica, mentre la concentrazione delle forze tedesche in piccole aree creerà praticamente delle muraglie attraverso le quali i Sovietici dovranno farsi strada a forza.
Per la Germania sarà una questione di resistenza, mentre per i Sovietici sarà una questione di forza, ma nessuno dei due rallenterà.
Il fronte sovietico diventerà abbastanza estenuante per i Giapponesi da portarli al tavolo dei negoziati con la Cina Nazionalista, dove verrà proposta una risoluzione semplice: coesistenza e cooperazione per distruggere il loro nemico comune, convincendo i Nazionalisti che il loro cessate il fuoco con i Comunisti era un piano per indebolirli ed esautorarli dopo la guerra.
Il Giappone interromperà l’occupazione dei territori meridionali, con l’eccezione di Taiwan e dell’Hainan, e della regione settentrionale della Manciuria, che rimarrà un regno indipendente sotto il dominio della nuova Dinastia Qing.
La Guerra Tedesco-Sovietica continuerà ad intensificarsi con la caduta della Romania e dell’Ungheria.
Con la Jugoslavia minacciata da un’invasione imminente, Italia e Francia saranno costrette all’azione al fianco della Germania per proteggere l’Europa occidentale dal Comunismo.
Il Regno Unito ormai se ne è già lavato le mani da tempo della Polonia, pensando che la Germania ha fatto quello che doveva fare lui e rifiutandosi di farsi coinvolgere per conto di un’altra nazione, specialmente considerato che una situazione simile ha dato il via alla Prima Guerra Mondiale e al precedente conflitto, perciò la Gran Bretagna non sarà così ansiosa di farsi schiacciare di nuovo tra la Germania e i Sovietici, e quindi toccherà alla Francia risolvere la situazione.
La Germania, con l’avanzare delle sue truppe sempre più lontano dalla loro patria, vedrà la sua offensiva spegnersi e isolata dai rifornimenti.
Presto i numeri tedeschi inizieranno a diminuire, mentre i Sovietici avanzeranno, inglobando la Germania orientale nei loro confini, facendo sì che ciò che rimane della Germania si unisca alla Francia, ritirandosi e creando un’enorme terra di nessuno che i Sovietici non riusciranno ad oltrepassare, una grande fortificazione formata da trincee, terrapieni e barricate per fermare l’Armata Rossa a tutti i costi, perché se la Germania cadrà lo farà anche la Francia, e la caduta della Francia non sarà un’opzione.
I confini verranno fortificati e le ritirate verranno severamente punite.
Ad oriente il Giappone e la Cina cacceranno i Comunisti dalla Mongolia e dalla Cina settentrionale, minacciando ulteriori avanzate che costringeranno ad un’azione sovietica.
I gruppi ribelli lungo la costa settentrionale del Baltico si uniranno con le forze Franco-Tedesche e le truppe sovietiche inizieranno a perdere terreno a causa dei combattenti finlandesi in Carelia.
I mesi di guerra si trasformeranno in anni, ma la presa dei Sovietici sull’occidente inizierà sicuramente ad erodersi lentamente.
Nel 1949 si deciderà di cessare ogni conflitto, con gli Stati Baltici e le porzioni settentrionali della Germania orientale che verranno liberate e unificate in una nuova Prussia, mentre i Sovietici stabiliranno degli stati fantoccio lungo il suo confine occidentale sotto forma della Repubblica Popolare di Polonia, di una Slovacchia ai confini con l’Ucraina occidentale, dell’Ungheria e della Bulgaria nei Balcani orientali.
Dopo la guerra il Manciukuò, il Giappone e la Cina creeranno il Consiglio della Sfera di Co-prosperità, che unirà l’Asia nordorientale in una, come dirà il Giappone, “unione fraterna”.
La Francia di de Gaulle sarà in ascesa e con inclinazioni sempre più nazionaliste, specialmente dopo che egli esaurirà i mandati e il suo posto verrà preso da politici sempre più di destra.
Fino a quando questo non accadrà, le relazioni di de Gaulle con l’Inghilterra diventeranno sempre più tese, nonostante le sue azioni nella Guerra Euro-Sovietica abbiano potenzialmente salvato il Regno Unito.
Il governo inglese inizierà a dipingere de Gaulle come il pericolo più grande per la pace europea, anche se l’unica cosa che minaccerà davvero sarà l’egemonia della Gran Bretagna sull’Europa.
La Germania, ancora sotto il dominio Nazionalsocialista, svilupperà relazioni cooperative con la Francia per una mutua protezione contro i Sovietici, creando assieme ad alcuni simpatizzanti inglesi l’Unione Europea e dando il via ad un gioco bellico fatto di economie e arsenali, una nuova Guerra Fredda.

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