"Nineveh Never Dies"

ovvero: l'Assiria eterna

di Alessio Mammarella

La lunga storia di Ninive è visibile dalla molteplicità di stili architettonici ed artistici che caratterizzano il suo paesaggio, rendendola una delle più affascinanti e visitate città al mondo. Eppure questa splendida capitale, tra antichi palazzi e moderni grattacieli, ha rischiato varie volte di essere conquistata da eserciti stranieri animati da pessime intenzioni.

Si contano in particolare cinque grandi assedi che la città subì in vari momenti della sua storia plurimillenaria. Ripercorreremo uno per volta tutti i cinque storici assedi che la città di Ninive è riuscita a superare. Per questa serie di articoli non potevamo ovviamente che scegliere come titolo quello della celebre canzone "Nineveh Never Dies" dei Rolling Stones.

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Primo assedio
Anno: 612 a.C.
Assedianti: coalizione composta da babilonesi, medi e altri iranici

Il primo grande assedio subito da Ninive risale a moltissimo tempo fa, il 612 a.C. A quel tempo l'Assiria era già una grande potenza e aveva sottomesso vari popoli vicini. Alcuni anni di micidiale siccità, tuttavia, misero in crisi la produzione agricola, che all’epoca si basava su tecniche alquanto primitive e dipendeva molto dalla regolarità delle piogge. Il sistema militare assiro puntava fortemente sulla produzione di cibo per poter sfamare gli eserciti che venivano mobilitati per le campagne militari. Il segreto della superiorità assira sui popoli conquistati era proprio la capacità di schierare velocemente un grande numero di armati e di spostarli senza che fosse necessario portarsi dietro il cibo o procurarselo localmente: lungo le principali strade del regno erano stati approntati magazzini appositamente per i soldati. La siccità ed il conseguente calo della produzione determinarono da una parte una crisi di credibilità dei sovrani, che non sembravano più beneficiare del sostegno degli dèi e quindi subivano complotti e ribellioni, e dall'altra lo svuotamento dei magazzini con indebolimento dell’esercito.

Di questa crisi avevano approfittato i medi, una popolazione che gli assiri avevano in precedenza sconfitto e obbligato a un’alleanza subalterna. Formata una coalizione con altre tribù iraniche, come quelle dei cimmerii, degli sciti e dei persiani, avevano cominciato ad attaccare una dopo l’altra le città assire. Particolare clamore aveva suscitato la conquista di Assur: si trattava della prima capitale del regno assiro, che era rimasta il principale centro religioso, soprattutto in onore alla divinità principale degli assiri antichi, che portava appunto quel nome. Per questo motivo, quando era caduta nelle mani dei medi la città del potente Assur, nume della guerra, molti pensarono che i giorni del popolo assiro fossero contati. Anche il sovrano di Babilonia, a sua volta ribelle nei confronti della potenza assira, era rimasto favorevolmente impressionato dalla caduta della città, e subito dopo aveva stretto un’alleanza con i medi.

Il sovrano assiro Sin Shar Ishkun, mentre si preparava per subire l'assedio della sua capitale, apprese da alcuni sacerdoti del tempio di Shamash, dell'invenzione di un’arma segreta, denominata alito di Shamash. Si trattava, in pratica, di una mistura fortemente infiammabile, a base di bitume reperibile naturalmente nei dintorni della città. L’esatta formula non è mai stata accertata, ma si pensa si trattasse di una sorta di primitivo napalm. Arrivati i giorni dell’assedio, gli assiri inviarono un finto traditore presso il campo dei nemici, avvisandoli di un punto debole nelle mura. Secondo la leggenda, inizialmente i medi dubitarono della sua onestà, e il finto disertore per dimostrare di essere sincero sfidò a duello sette guerrieri medi. Poiché non si trattava di un soldato qualunque, ma di una delle migliori guardie del corpo del sovrano, egli riuscì a sconfiggere tutti i nemici, e a ingannare i nemici inducendoli a pensare che godeva del favore degli dèi per la sua sincerità.

Fu così che l’esercito invasore si concentrò su un punto specifico delle mura e, dopo combattimenti comunque lunghi e sanguinosi, riuscì ad aprirvi una breccia. Gli invasori, esaltati dall’avere finalmente creato un ingresso, si riversarono all’interno con grande slancio, senza avere il minimo sospetto di ciò che li stava aspettando: gli assiri gettarono loro addosso una grande quantità di alito di Shamas, con effetti devastanti: i soldati medi si gettavano a terra nel tentativo vano di spegnere le fiamme, mentre altri inorriditi tentavano di scappare, calpestando i propri compagni. Gli assiri si avventarono su di loro facendone grande strage.

Al di là delle grandi perdite di quella giornata, l’esercito assediante fu decimato dalla paura: varie tribù si ribellarono al comando comune e si rifiutarono di combattere, rompendo l’alleanza. Sfarinata la coalizione iranica, il solo esercito babilonese restava a insistere nell’assedio, e Sin Shar Ishkun uscì orgogliosamente ad affrontarlo. L’alito di Shamash fu usato ancora una volta, e anche se si rivelò più complicato da usare in campo aperto ebbe comunque un efficace effetto psicologico sui nemici, che a un certo punto si diedero alla fuga e furono, come capita in tali casi, massacrati in gran numero.

Ninive uscì quindi salva dal primo grande assedio della sua storia e anzi, quei giorni posero le basi per la gloria successiva dell'Assiria. Fra le tribù che avevano voluto abbandonare l’assedio c’era anche quella diretta dal persiano Kurush, re di Anshan. Negli anni successivi i medi vollero vendicarsi dei sovrani che consideravano dei traditori, e quando finalmente riuscirono a conquistare Anshan sterminarono la famiglia di Kurush. Si salvò solo un neonato, con lo stesso nome del nonno, che uno dei servitori riuscì a portare via.

Dopo un viaggio di alcuni anni, il servitore riuscì a portare il bimbo in Assiria. Egli non aveva modo di presentarsi a corte, anche se avrebbe voluto presentare il bambino come legittimo pretendente al regno di Anshan, che i medi avevano annesso. Un astrologo di corte, tuttavia, rivelò al re Assur Uballit III che era arrivato a Ninive un bambino straniero che sarebbe diventato un grande guerriero e non sarebbe mai stato sconfitto da uomo. Il sovrano, che era privo di figli, decise di trovarlo e di adottarlo. Kurush fu quindi educato come un guerriero assiro tra i guerrieri assiri ed ebbe poi modo di vendicarsi dei medi distruggendo completamente il loro impero e facendoli scomparire dalla storia. L'epopea di Kurush è una delle opere epiche assire più conosciute e racconta in versi poetici tutte le campagne di Kurush da giovane comandante e quelle successive da sovrano, quando, per ordine del padre adottivo sul letto di morte, assunse il nome di Assur Uballit IV.

Aspetto curioso, la profezia dell'astrologo di corte di Assur Uballit III si avverò quando il suo successore morì in battaglia ma non ucciso da un uomo: a sconfiggerlo in duello fu infatti Tomiris, giovane e indomita regina del popolo nomade dei massageti. Assur Uballit IV morì così lontano dalla propria capitale, sulle rive orientali del Mar Caspio, lasciando al suo successore il compito di distruggere l'ultimo e il peggiore dei nemici dell'Assiria: Babilonia. Il suo successore fu appunto Sargon III, universalmente noto come il distruttore di Babilonia.

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Secondo assedio
Anno: 336 a.C.
Assedianti: Filippo II di Macedonia e alleati greci

Il secondo assedio di Ninive fu ad opera del combattivo Filippo II di Macedonia. Ma facciamo qualche passo indietro, per comprendere come si arrivò all’assedio della nostra celebre città.

Dopo la conquista di Babilonia da parte di Sargon III, l’Assiria si era ritrovata a essere l’unica grande potenza del Vicino Oriente. Appena al di là dei domini assiri si trovava l’Egitto, che però era un alleato e comunque tra i due paesi c’era il piccolo regno di Giuda a fare da cuscinetto. I sovrani assiri successivi a Sargon III approfittarono di questa situazione geopolitica stabile per dedicarsi alla costruzione di città, strade ed acquedotti.

L’opera più grandiosa di quegli anni fu probabilmente la ricostruzione di Akkad, anticamente la capitale dell’accadico Sargon I, che gli assiri consideravano come proprio progenitore. La città fu ricostruita soprattutto per utilizzare i materiali ricavati dallo smantellamento di Babilonia, di cui Sennacherib II non volle far restare traccia. Akkad comunque non fu ricostruita per essere una capitale, il ruolo di Ninive non era in discussione. Piuttosto sostituì Assur, la capitale spirituale che non si era mai completamente ripresa dalle distruzioni dei medi.

Nella parte occidentale dell’Asia Minore si trovava la Lidia, altro regno alleato. I sovrani lidi erano piuttosto alieni alle virtù militari: molto più importante per loro era il commercio. Il ricco regno di Lidia esercitava una notevole influenza sulle città-stato greche, seminando discordie e provocando continue guerre tra le città più importanti come Atene, Sparta e Tebe. Grazie a questa politica maliziosa e spregiudicata, i lidi si assicuravano che i bellicosi greci non rappresentassero un pericolo per loro.

La situazione in occidente cambiò in seguito al progressivo rafforzamento della Macedonia, un regno barbarico progredito via via grazie al contatto con greci e lidi. Filippo II, l’ultimo e il più ambizioso dei suoi sovrani, cominciò a intervenire sistematicamente nelle diatribe greche, e ben presto la sua spada cominciò a risultare più pesante dell’oro lidio. Filippo ottenne la supremazia sulle città greche e le sottomise al proprio comando. Anche il giovane figlio Alessandro era uno strumento della sua ambizione: Filippo lo fece educare da Aristotele, il più famoso tra i sapienti greci, e sin dall’adolescenza gli concesse compiti di comando militare, per prepararlo a diventare un grande condottiero.

Nel 338 a.C., Avuta notizia che il re di Lidia, l’anziano Creso IV, era caduto malato, Filippo II decise che fosse il momento giusto per tentare di sottomettere il ricco regno asiatico. Egli tuttavia sapeva che la Lidia riponeva la sua sicurezza anche nella protezione della potente Assiria, e che quindi non avrebbe potuto semplicemente invaderla in armi. Aveva bisogno che fosse la Lidia stessa a sottomettersi. Per questa ragione decise di inviare suo figlio Alessandro a trattare con i lidi per un’alleanza, che avrebbe celato in realtà una forma di sottomissione.

Gli assiri, che avevano spie anche nel palazzo di Filippo, decisero di contrastare la manovra diplomatica. Salmanassar IV decise di inviare a sua volta uno dei suoi figli, il futuro Shamshi-Adad V a proporre ai lidi il rinnovo dell’alleanza con l’Assiria. Di fatto una sfida tra le due missioni diplomatiche.

Alessandro impressionò la corte di Lidia con il suo eloquio, la sua bellezza e il suo portamento autorevole più di quanto riuscì a fare il principe assiro suo rivale. Quest’ultimo, per tentare di rovesciare le sorti di quella partita diplomatica gli propose una sfida: nella città di Gordio si trovava un carro legato ad un palo, con un nodo considerato inestricabile. Se uno fra loro due fosse riuscito a sciogliere il nodo, l’altro avrebbe dovuto accettare di tornare a casa a mani vuote.

Alessandro, al quale toccò in sorte di tentare per primo, per varie ore alternò momenti di riflessione a tentativi puntualmente falliti. Alla fine, forse temendo che il suo avversario potesse tentare il giorno seguente e riuscire, decise di chiudere la contesa impedendogli di partecipare: recise dunque il nodo con la spada. Shamshi-Adad, furioso, impugnò all'istante un giavellotto e lo scagliò contro il principe macedone, trafiggendolo in modo mortale.

A quel punto la guerra era inevitabile, poiché Filippo II intendeva vendicare il sangue di suo figlio con quello dell’intero popolo assiro. Di lì a poco l’esercito greco-macedone attraversò l’Ellesponto. L’esercito assiro, dopo lunghi anni di pace, non era così pronto al combattimento. Un primo contingente inviato contro i greco-macedoni fu spazzato via nella battaglia del Granico, e qualche mese dopo Filippo sconfisse un esercito assiro ancora più numeroso a Isso. La superiorità dei macedoni era tattica: la loro solida fanteria, schierata in ordine serrato nella formazione chiamata falange, era in grado di schiacciare gli avversari come un rullo compressore e la cavalleria macedone, temprata dalle lotte contro traci ed illiri, era potente e tenace.

A questo punto, Salmanassar IV comprese che avrebbe avuto bisogno di una buona strategia per salvare la sua nazione dalla furia distruttrice dei macedoni. Si rinchiuse quindi nella sua capitale Ninive, ordinando invece a suo figlio Shamshi-Adad, al comando delle truppe mobili, si dirigersi a nord, verso le montagne di Urartu. La sua idea era quella di costringere Filippo a fare una scelta: inseguire l’assassino di suo figlio ma avventurandosi tra aspre montagne e allontanando i propri soldati dal bottino che speravano di raccogliere nelle ricche città dell’Assiria centrale, oppure assediare la capitale, ma con il rischio di vedersi piombare addosso altre truppe assire che già si stavano raggruppando contro di lui.

Filippo scelse di assediare Ninive, temendo che ammutinamenti o imboscate avrebbero potuto falcidiare il suo esercito e vanificare le vittorie già ottenute. I greco-macedoni erano ben organizzati ed avevano al seguito dei combattenti numerosi ausiliari che subito furono messi al lavoro per costruire le opere d’assedio lungo l’ampio perimetro della città. Salmanassar aveva intenzione di usare la sua città esattamente come i macedoni usavano la falange: per fissare il proprio avversario, tenerlo cioè ingaggiato a combattere mentre la cavalleria, muovendosi intorno, poteva attaccare il nemico sui fianchi o alle spalle. La cosiddetta tattica dell’incudine e del martello.

Filippo non era uno sprovveduto, ed aveva inviato alcune parti del suo esercito a presidiare le principali vie che conducevano a nord, per guardarsi da un eventuale ritorno dell’esercito di Shamish-Adad. Ciò che non sapeva, tuttavia, era che gli assiri conoscevano dei passi segreti fra le montagne che permettevano loro, in caso di necessità, di aggirare le strade principali. Shamish-Adad per giunta rinunciò alla fanteria, ai carri e agli elefanti per muoversi solo con i cavalieri. In questo modo riuscì ad aggirare gli avversari che avrebbero dovuto sorvegliare i suoi movimenti, per puntare poi su Ninive.

L’arrivo improvviso dei rinforzi assiri spiazzò i greco-macedoni: Filippo non aveva tempo di recuperare i soldati dispersi lungo il perimetro della città, e di riassemblare la sua falange. Doveva accontentarsi di combattere con la sola cavalleria. Nella furiosa battaglia che ne seguì i macedoni lottarono valorosamente ma una freccia scoccata dalle mura della città (secondo la leggenda, scoccata dallo stesso Salmanassar) trafisse Filippo II. Quando i macedoni si accorsero della morte del loro re decisero di interrompere il combattimento e ritirarsi con le sue spoglie. Un buon numero di greci e macedoni, che non aveva partecipato alla battaglia, si disperse. In parte i fuggitivi furono inseguiti e catturati dall'esercito assiro, che li ridusse in schiavitù. Altri semplicemente di mescolarono alla popolazione locale, lì dove riuscirono a trovare accoglienza. Ancora molti anni dopo la battaglia c'erano in Assiria reduci greci oppure figli di questi ultimi capaci di parlare la lingua greca.

A Filippo II sarebbe succeduto il figlio Filippo III, che a differenza dell'amato Alessandro non era considerato particolarmente intelligente. La politica del paese fu gestita soprattutto dalla sua regina, della quale i vari generali macedoni cercarono di contendersi i favori. Alcuni di essi riuscirono, intrigo dopo intrigo, a crearsi dei piccoli domini personali e a fondare delle dinastie. L’Assiria nel frattempo rafforzò il suo controllo su Urartu, l’Iberia e l’Albania, stabilizzando il confine settentrionale del mondo assiro in corrispondenza della catena montuosa del Caucaso.

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Intermezzo:
Il Processo

Scrivendo questa parte di Nineveh Never Dies, mi sono reso conto che si erano determinate delle variazioni, non trascurabili, su un piccolo paese del Vicino Oriente che ha avuto una grande importanza non tanto a livello geopolitico, quanto per la spiritualità. Mi riferisco ovviamente alla Giudea, che in questa TL non conosce la conquista babilonese, la distruzione del Tempio e la deportazione della sua élite. La redazione della Tanakh e del Talmud sarebbe stata probabilmente più tarda e frutto di memorie meno traumatiche. Forse non ci sarebbero state tante profezie sull'avvento del Messia, visto che la dinastia davidica avrebbe regnato sul paese fino a Crasso (vi ricordate? Crasso sconfigge l'ultimo re della dinastia davidica poco prima della disfatta di Carre, anche se poi Roma non annette il paese, che resta semplicemente un alleato). Mi sono chiesto allora se una certa storia sarebbe potuta accadere anche senza l'attesa di un Messia e in presenza di un vero re, seppure di una dinastia nuova e meno prestigiosa rispetto a quella davidica.
Ho provato a raccontare allora del processo forse più famoso e importante per la cultura occidentale, nell'ambito di queste differenti condizioni. Spero che lo troviate interessante, buona lettura.

Il sole era già alto, ma il re entrò nella stanza del trono ancora abbigliato in maniera approssimativa, dopo che i servi lo avevano disturbato nel pieno di un incontro amoroso in corso dalla notte precedente. Ad attenderlo c’era Pilato, ministro del regno, responsabile dei soldati, dei pubblicani e delle spie. Pilato era stato inviato da Roma dopo la stipula del trattato di amicizia con cui il Senato aveva cancellato certi grossi debiti contratti dal piccolo regno di Giudea. Il re si accomodò sul prezioso trono e interpellò il suo ministro:

- Perché mi hai fatto destare a quest’ora, Pilato? Notizie importanti da Ninive o da Roma? Bisogna forse preparare l’esercito?

- Nulla di tutto questo, vostra maestà. - rispose Pilato, mentre si accarezzava le guance rasate e lisce, secondo l’uso dei romani. Faceva sempre così quando era pensieroso.

- E allora cosa c’è? Questa notte dovevo dedicare le mie attenzioni alla nuova concubina, una giovane gemma d’Egitto. Prima che mio ministro sei stato mio precettore, ma ricordati sempre che la tua vita è nelle mie mani, non disturbarmi per questioni sciocche!

- Vostra maestà - rispose Pilato alzando finalmente lo sguardo verso di lui - se vi ho fatto disturbare a quest’ora inopportuna è perché quel Gesù che abbiamo fatto sorvegliare in questo momento è sottoposto al processo del Sinedrio.

- Lo hanno catturato? - sbottò il re, esprimendo stupore ma anche un sottile entusiasmo, per che in cuor suo voleva conoscerlo. - Ma come si permettono, senza la mia autorizzazione?

- Ora comprendete perché vi ho fatto chiamare, Vostra Maestà? Che cosa desiderate fare?

- Io sono il Re di Giuda. Posso lasciare che loro processino da soli qualche adultera o qualche profanatore del sabato, ma quell’individuo trascina il popolo, e tutto ciò che trascina il popolo può essere una minaccia per chi esercita il potere. Quindi è una minaccia contro di me. A proposito, la nostra spia non ha impedito il suo arresto?

- No, Vostra Maestà. Sembra che sia stato proprio lui a consegnarlo, per la modesta somma di trenta pezzi d’argento. Sono mortificato, mi avevano assicurato che fosse uomo di cui potersi fidare. -

A queste parole il re si innervosì, e replicò in modo sprezzante.

- Non mi interessa la tua desolazione, dovrai pagare un prezzo per questo errore! - Poi, calmandosi, si ricordò del fatto che comunque il suo ministro Pilato era stato inviato dal Senato di Roma in cambio di generosi aiuti, e che non poteva liberarsene senza arrecare fastidio, se non seria offesa, ai romani. Dopo qualche altro istante di silenzio, il re si alzò in piedi e cominciò a camminare: - Voglio che sia portato qui. Chiama subito il capo delle guardie, e digli di andare a prendere questo Gesù al Sinedrio. Che non torni indietro senza di lui.

Trascorse poco più di un’ora, quando le porte della grande sala del trono si aprirono e l’uomo di nome Gesù apparve alla vista del re. Indossava una logora tunica e aveva un volto sofferente. Evidentemente era già stato percosso strada facendo. Nei suoi occhi c’era tuttavia una luce di vita. Doveva essere un uomo forte e in piena salute, nonostante tutto.

Le guardie lo condussero in avanti, superando via via le colonne della sala. Ciascuna colonna era adorna di uno scudo di bronzo. In passato si trovavano al tempio, dove li aveva messi l'antico re Roboamo, il nuovo re aveva voluto trasferirli nel suo palazzo per dimostrare dove risiede il vero potere. Un capriccio di gioventù che aveva provocato non pochi problemi, visto che il popolino, sobillato dal sommo sacerdote di allora, aveva gridato al furto sacrilego.

Il prigioniero avanzò con capo basso, scalzo e con i polsi legati, finché il re fece cenno alle guardie di fermarsi. Anche lui si alzò quindi dal trono e andò incontro al prigioniero, per parlargli da vicino.

- Dunque tu sei il famoso Gesù. Sai chi sono io? Parla!

- Tu sei il re, Bar Abbas, figlio di tuo padre. Ho visto il tuo volto sulle monete. -

Gli altri presenti nella stanza rimasero sbalorditi da una risposta tanto insolente. Nessun "maestà" o “signore”. Osava parlare al re come si parla a uno qualsiasi dei suoi sudditi. Il soldato che era di fianco al prigioniero d'istinto lo colpì con un pugno sul lato del volto esposto verso di lui. Poiché si trattava di una guardia scelta del palazzo reale, ed aveva anche il dorso della mano coperto di ferro, il colpo fece girare la testa al prigioniero e gli provocò una ferita che fece immediatamente gocciolare sangue sul pavimento. Il prigioniero Gesù tossì una o due volte e poi voltò la testa porgendo alla guardia l'altra guancia. Ma non arrivarono altri colpi, perché il re riprese a parlare:

- Mi hanno raccontato l’aneddoto delle monete. Quando ti hanno domandato se fosse giusto pagare tributi a me. Brillante risposta, quella che hai dato, diplomatica. Sai perché ti hanno fatto quella domanda? Perché dicono che tu appartenga alla casa di Davide e volevano sapere se mi rispetti come tuo re.

L’affermazione del re fece scaturire un immediato mormorio nei presenti. Correva voce, infatti, che Gesù fosse discendente della famosa dinastia che aveva regnato sul paese per secoli e secoli, e che tutti consideravano estinta dopo la morte del re Mattàt nella battaglia di Megiddo contro il romano Crasso e la contestuale sparizione del giovane principe Eli. Il re nel frattempo continuava a parlare:

- …allora io voglio sapere se veramente tu discendi da Mattàt ed Eli e se intendevi ribellarti al mio potere. Dimmi la verità, posso essere magnanimo con te, non credo che tu sia mai stato pericoloso. Potrei schiacciarti in qualunque momento... e quindi posso anche perdonarti.

Dunque, tu sei della stirpe di Davide? Tu credi di essere il vero e legittimo re di Giuda?

- Tu lo dici, io lo sono. Ma il mio regno non è di questo mondo.

- Che cosa significa? Il tuo regno si trova forse sulla Luna? Oppure è un regno invisibile?

- Nel Regno dei Cieli non esiste la fame e non servono monete per comprare cibo. Dove il cuore degli uomini è puro, libero dalla cupidigia e dall’invidia. Un mondo dove non esistono l’inganno, il furto e la violenza.

- Posso entrare a visitare il tuo regno? Sono curioso di vedere come funziona… -

A questa domanda tutti si misero a ridere. Ormai sembrava chiaro che questo Gesù era un pazzo, e che il re si sarebbe divertito a prenderlo in giro.

- E’ più facile che un cammello passi per la cruna d'un ago. - rispose Gesù. - In verità ti dico: non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto.

- Dall’alto? E da chi, da quel profeta volato in cielo, Elia? A proposito, qualcuno dice che tu sia lui tornato dal cielo. Tu credi in questa sciocchezza?

- Non è passato un giorno intero da quando ho conversato con lui e Mosè. -

Un fortissimo grido si levò dal lato destro della sala. A pronunciarlo, un uomo con un lungo abito nero. Era il Sommo Sacerdote, Càifa. Affatto imbarazzato di aver interrotto l'interrogatorio, Càifa si prese da solo la parola:

- Vostra Maestà, come avete sentito, quest'uomo è un bestemmiatore come mai se n'erano mai visti in secoli di storia del nostro popolo. Egli ha detto che i precetti non servono a nulla, perché basterebbe amare il Signore e amare il prossimo. Ha negato l'utilità dei sacrifici al Tempio, dichiarando che è più efficace, alle orecchie dell'Altissimo, la preghiera sincera di un uomo pentito, ovunque pronunciata. Comprendete? Ha attaccato le basi di tutto ciò in cui crediamo, permettendosi anche di danneggiare i commercianti che lavorano nel Tempio. Intende sobillare perfino le nostre donne, raccontando loro che il ripudio è un illecito, e che se i loro mariti prendono una nuova moglie commettono adulterio. Quest'uomo deve morire!

Il re tornò quindi a rivolgersi a Gesù: - Vedi? Al Sinedrio hai fatto una notevole impressione. Pensano che tu sia una minaccia per tutto ciò in cui credono. Se ti lascerò nelle loro mani, morirai di una morte indegna e dolorosa. E’ forse questo che vuoi? Smettila di prendermi in giro con storie su regni celesti, conversazioni con i profeti e altre sciocchezze. Confessa e avrai una morte molto più onorevole e molto meno dolorosa di quella che il Sinedrio è ansioso di applicare. -

Gesù restò in silenzio per alcuni secondi. Poi, quando sembrava che volesse tacere definitivamente, rispose al re: - Io non sono venuto nel mondo di mia spontanea volontà, ma da parte di colui che mi ha mandato. Per rendere testimonianza alla verità.

- La verità, che cos'è la verità? - Esclamò Pilato, per poi guardarsi intorno imbarazzato. Forse pensava di parlare tra sé e sé, e invece aveva parlato con un tono tale che tutti nella sala lo avevano sentito.

- Pilato, smettila di fare filosofia e disponi che questo individuo sia riportato presso il Tempio!

- Vostra Maestà - rispose con voce sommessa Pilato - debbo ricordarvi che voi avete già preso la decisione di non lasciare il prigioniero al Sinedrio facendolo condurre qui. Questo ormai è il vostro processo…

- Che cosa intendi dire, romano?

Vostra Maestà, se mi è permesso di dirlo senza provocarvi fastidio, voi avete avocato un processo alla vostra competenza. Il processo presso il Sinedrio lo avete in questo modo annullato, e solo un vostro verdetto può condannare il prigioniero. Ne va della vostra credibilità di sovrano, dovete pronunciare una sentenza. Di assoluzione oppure di condanna.

- Non sai forse che io, essendo il re, posso disporre come voglio?

- Certamente maestà, ma vi devo avvisare che a Roma si parlerebbe molto male di voi se si venisse a sapere che celebrate dei processi solo per gioco e poi li annullate restituendone la competenza a un tribunale religioso. Anche dal punto di vista politico, non è un bel messaggio. Soprattutto Tiberio, l’uomo più forte a Roma in questo momento, potreste pensare che siete un alleato volubile e capriccioso...

- Che tu sia maledetto, Pilato! Avresti dovuto lasciarmi ai miei impegni invece di coinvolgermi in questa annosa vicenda! -

Dopo aver detto questo, quasi come se si fosse improvvisamente ricordato di Gesù fermo a pochi passi da lui, tumefatto e sofferente, tornò a rivolgersi a lui: - Come vedi, non sarai restituito al Sinedrio, sarò io a emettere la sentenza e sono ormai in procinto di farlo. Hai intenzione di dire qualcosa prima che io ti condanni a morte? Perché io sto per condannarti a morte, ne sei consapevole? Tu che sei così bravo a parlare, inventa una frase che mi stupisca e mi faccia cambiare idea. Oppure, visto che parli con i profeti e disponi di un regno nei cieli, mostraci qualche prodigio. Fulmini, magari legioni di angeli che vengano a salvarti. Fallo e capirò che non sei un bugiardo e un vigliacco. -

Gesù alzò gli occhi e, con uno sguardo perso nel vuoto, disse soltanto: - Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. -

- No, non mi ha stupito affatto, Gesù della casa di Davide. Scriba, prendi nota della mia sentenza:

Oggi, 14 nisan dell’anno ventisettesimo del mio regno, è stato condotto innanzi a me Gesù Bar Joseph.

Egli era stato condotto inizialmente presso il Sinedrio con l’accusa di bestemmia aggravata e ripetuta, tuttavia io ho deciso di avocare a me il processo, per la più grave accusa di tradimento e cospirazione contro il mio regno.

Ho interrogato l’accusato ed egli ha assunto un contegno privo di rispetto, e mi ha arrecato oltraggio tentando di fingersi pazzo per evitare la mia condanna.

Giudico, in modo irrevocabile, che egli è colpevole di tradimento e cospirazione, e per questa ragione dispongo che sia messo a morte.

Giudico, in modo irrevocabile, che egli è colpevole anche di oltraggio e lesa maestà, pertanto dispongo che prima della messa a morte subisca le pene della fustigazione e la flagellazione.

Questo è quanto ho deciso, nella mia infinita saggezza, e che sia riportato nell’archivio delle notizie del regno.

- Hai scritto tutto, scriba?

- Ho scritto, Vostra Maestà. - Rispose il funzionario senza nome.

- Bene, portatemi l’anello con il sigillo!

Subito un’ancella si avvicinò con un cuscino e sopra vi era l’anello con il sigillo. Il re prese l’anello e lo indossò, quindi provvide ad apporre il sigillo sulla sentenza di condanna. In quel momento, il re ebbe un attimo come di smarrimento. Pilato non se ne accorse, impegnato com'era a parlare a tutti i presenti:

- L'esecuzione avrà luogo nella giornata odierna, in modo da non lasciare in sospeso la questione fino a dopo la festività di Pesach. Era già in programma la crocifissione di due malfattori, che si provveda a reperire una terza croce per Gesù Bar Joseph, nel frattempo che subirà la pena accessoria della fustigazione e della flagellazione. -

Tutto era deciso, ormai. Le guardie presero di forza Gesù e lo trascinarono fuori. Furono più violenti rispetto a prima, perché ormai il processo era finito, e avevano per giunta saputo che il prigioniero sarebbe stato ridotto molto male. Uno strattone in più non avrebbe fatto differenza. Anche Càifa e gli altri del Sinedrio uscirono, lieti e soddisfatti di aver ottenuto la condanna che si aspettavano, e con loro anche vari servitori. Pilato rimase da solo con il re, e solo allora si rese conto che qualcosa in lui non andava.

- Vostra Maestà, vi sentite bene? Mi sembrate turbato.

- Pilato, credo di avere avuto una visione.

- Che cosa avete visto?

- Ciò che ho visto forse mi tormenterà per il resto della mia vita.

- Ha a che fare con l'uomo che avete appena condannato, Vostra Maestà? -

Il re annuì con un cenno del capo. Pilato, senza sapere come affrontare quel momento di turbamento, disse soltanto: - Io pensavo che voi lo avreste congedato come innocente.

- Egli non era colpevole di alcun crimine. Nonostante questo, ho avuto paura di lui sin dal primo istante e ho voluto condannarlo, per eliminarlo.

- Sarà eliminato infatti. Entro poche ore sarà morto, e tutto sarà finito.

- No Pilato, sarà solo l'inizio...

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Terzo assedio di Ninive
Anno: 116-117
Assedianti: Romani, guidati dall'Imperatore Traiano

Tra gli storici assedi di Ninive, il terzo fu quello che andò più vicino alla presa della città. A condurlo, l'Imperatore romano Marco Ulpio Traiano, l'uomo che condusse l'Impero Romano alla massima espansione. Ma torniamo indietro e vediamo come Roma divenne una grande potenza, al punto da scontrarsi con l'Assiria.

Roma cominciò la sua ascesa nella seconda metà del IV secolo a.C., quando sconfisse etruschi e sanniti. Successivamente i romani si volsero contro le città greche italiote, guidate da Taranto. L'avanzata di Roma fu rallentata dall'intervento del Re dell'Epiro Pirro e successivamente dall'ascesa del suo luogotenente Antioco. Figlio di un generale di Filippo II di Macedonia di nome Seleuco, Antioco riuscì a sconfiggere in varie occasioni i romani e fondare una propria dinastia che a lungo ostacolò l'avanzata romana. In un secondo momento, cadute Taranto e Siracusa, la dinastia si trasferì in Macedonia, dove, nel corso delle guerre civili che sconvolgevano il paese, riuscì a soppiantare la dinastia regnante precedente, quella degli antigonidi. Fu solo nel 64 a.C. che i romani riuscirono ad avere definitivamente ragione della stirpe di Antioco, con la sconfitta e uccisione di Antioco XIII da parte del generale romano Gneo Pompeo.

Pompeo fu anche il primo romano che stabilì rapporti diplomatici ufficiali con l'Assiria. Egli visitò Ninive e scrisse un resoconto sulla città pieno di ammirazione. Proprio il suo atteggiamento, nonostante le grandi vittorie che aveva ottenuto per Roma, suscitò una certa diffidenza nei suoi confronti. In seguito all'accordo denominato "Triumvirato" Pompeo divenne uno dei tre dominatori della politica romana, ma a patto di spostare il centro dei suoi interessi in Spagna. L'area del Mediterraneo orientale fu invece affidata al ricco ed ambizioso Marco Licinio Crasso. Crasso, deciso a procurarsi altre ricchezze e gloria militare decise di conquistare l'Egitto. Il paese, che da millenni conosceva la civiltà e che era riuscito a mantenere fino ad allora la sua indipendenza, era piuttosto arretrato dal punto di vista militare e Crasso non ebbe particolari difficoltà a sottometterlo. Quest'azione tuttavia provocò la reazione dell'Assiria che dichiarò guerra a Roma. Crasso avanzò dapprima verso il piccolo regno della Giudea, che da secoli rappresentava lo stato cuscinetto tra Egitto e Assiria, e sconfisse a Meghiddo il suo re Mattàt. In seguito alla morte di quest'ultimo, Crasso scelse come nuovo re di Giuda un capotribù edomita di nome Antipatro, famoso per essere stato il padre di Erode il Grande. Successivamente Crasso entrò in territorio assiro, ansioso di scontrarsi con l'esercito assiro, che però evitò la battaglia, arretrando sempre più in profondità nel proprio territorio.

Bisogna precisare che da quando il clan degli arsacidi, di origine iranica, aveva soppiantato la vecchia dinastia assira, circa un secolo prima, l'esercito assiro era stato profondamente modificato. Abbandonati gli ormai obsoleti carri da guerra, che erano stati il vanto dell'esercito assiro antico, i nuovi sovrani di stirpe iranica avevano creato un forte corpo di arcieri a cavallo, che basavano la loro azione su attacchi rapidi e altrettanto rapide ritirate, bersagliando gli avversari con nugoli di frecce prima di arrivare al contatto diretto. Il generale assiro Surena si ritirò quindi davanti a Crasso, inducendolo ad avanzare sempre più in profondità, trascurando le necessità di approvvigionamento di cibo e di acqua alla ricerca di una vittoria rapida e decisiva. Fu così che la potente armata di Crasso, stremata da giorni di marce forzate sotto un clima torrido, fu infine affrontata e sconfitta dagli Assiri.

La sconfitta di Crasso fu traumatica per Roma. Pompeo propose al Senato di recarsi a Ninive per ottenere pacificamente le insegne romane perse a Carre, ma questa sua proposta gli fruttò solo l'emarginazione, perché ormai era considerato un amico degli assiri. L'altro dei triumviri, Gaio Giulio Cesare si ritrovò pertanto a essere il dominatore incontrastato della politica romana. Tutti a Roma speravano che Cesare, già conquistatore della Gallie, sarebbe riuscito a riscattare l'onore di Roma contro gli assiri. Cesare in effetti condusse delle campagne militari in Asia Minore, strappando agli assiri vari territori. Cesare tuttavia intraprese anche politiche demagogiche a favore della plebe romana e cominciò ad assumere atteggiamenti che fecero temere l'intenzione di proclamarsi Re di Roma. Fu così che sorse una congiura per ucciderlo. La morte di Cesare scatenò una guerra civile: da una parte il Secondo Triumvirato, formato dal nipote ed erede Ottaviano, dal principale collaboratore di Cesare Marco Antonio e da Marco Emilio Lepido, dall'altra i congiurati guidati dai senatori Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino. A Filippi, in Macedonia, i due eserciti si scontrarono. Vinsero i congiurati, sembra grazie ai consigli tattici dello stesso Pompeo.

La repubblica romana era comunque fatalmente destinata a trasformarsi in un impero autocratico. Dopo la dittatura di Lucio Domizio Enobarbo, discendente alla lontana di Cesare, e l'effimero Terzo Triumvirato tra Galba, Otone e Vitellio, il potere passò a Tito Flavio Vespasiano, il primo vero "Imperator". Vespasiano e suo figlio Tito dovettero far fronte alla grande rivolta ebraica, promossa dal partito degli zeloti. Scopo dei ribelli era quello di scacciare il sovrano cliente dei romani, Erode Agrippa II e stabilire un altro sovrano, anche se la dinastia originaria, quella davidica, si era ormai estinta. Gli assiri sostennero la rivolta in funzione anti-romana, ma infine Gerusalemme fu conquistata dalle legioni guidate da Tito e l'intera giudea fu annessa a Roma. Una resa dei conti tra Roma e l'Assiria era nell'aria, tuttavia Tito, succeduto nel frattempo a suo padre come Imperatore, interruppe i preparativi per una spedizione contro l'Assiria interpretando come cattivo presagio l'eruzione del vulcano Vesuvio che distrusse le città di Pompei ed Ercolano. In seguito Roma fu distratta da campagne al confine settentrionale dell'Impero.

Dopo la morte violenta di Domiziano e il breve interregno dell'anziano senatore Nerva, il potere a Roma fu assunto da Traiano. Famoso comandante militare, Traiano era un fautore dell'espansione. Il suo primo obiettivo fu la Dacia, regno dotato di miniere di oro e argento che si stava organizzando e che sarebbe potuto diventare un problema per l'Impero. Dopo aver sottomesso il paese, Traiano cominciò a concepire una storica impresa contro l'Assiria. Secondo la visione di Traiano non doveva esserci un grande impero al confine orientale di Roma, perché questo avrebbe sempre fatalmente svantaggiato i romani nel commercio con l'oriente. In preparazione della sua grande spedizione contro l'Assiria, Traiano arrotondò i confini imperiali creando le due nuove province di Cappadocia e d'Arabia. Questo gli consentì di iniziare a concentrare le sue legioni in oriente senza annunciare apertamente le sue intenzioni contro l'Assiria. Gli assiri, tra l'altro, erano coinvolti in una guerra civile tra i fratelli Osroe, Vologase e Mitridate.

L'attacco di Traiano si sviluppò da due diverse direzioni, dall'Asia Minore e dalla Giudea. Traiano guidò il primo dei due contingenti, affrontando e sconfiggendo l'esercito di Osroe, considerato fra i tre fratelli rivali il legittimo sovrano. Osroe ripiegò verso il nord, rifugiandosi in Iberia e Traiano decise di non inseguirlo, ma di puntare verso la capitale Ninive. La città era molto estesa e solo da pochi anni aveva ricevuto nuove e moderne mura, ma Traiano recava con sé il più vasto parco di macchine d'assedio mai visto fino ad allora. A sud, nel frattempo, le legioni guidate da Lusio Quieto ottennero un primo successo contro Mitridate, ma furono successivamente infastidite dallo scoppio di una nuova rivolta giudaica. Le truppe di Quieto dunque non poterono continuare la loro avanzata verso nord, portando rinforzo all'Imperatore. Nonostante questo, Traiano fu in grado anche di affrontare l'esercito di Vologase senza togliere l'assedio a Ninive. Col tempo, tuttavia, le difficoltà logistiche e lo sviluppo di un'epidemia tra i soldati romani, provocarono ammutinamenti tra le truppe.

Traiano cominciò a convincersi che l'annessione dell'Assiria e della Mesopotamia non sarebbero state sostenibili nel lungo periodo, e decise di favorire l'ascesa al trono assiro di un sovrano filoromano. Scelse per questo compito Partamaspate, che aveva vissuto a Roma per lungo tempo e faceva parte del suo seguito. A lui affidò il comando, forse anche perché cominciava ad avvertire i sintomi del male che lo avrebbe portato alla morte. Quando ormai la città di Ninive era allo stremo e sembrava che nessun esercito potesse salvarla, Traiano morì e il suo successore Adriano si affrettò a concludere la pace con gli assiri. Fu ovviamente una pace vantaggiosa per i romani, ma ancora una volta la città era salva. Nei secoli successivi ci sarebbero state altre guerre tra Roma e l'Assiria, ma i romani non avrebbero più avuto l'opportunità di arrivare fin sotto le mura di Ninive.

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