Un'altra Prima Guerra Mondiale scoppia nel 1905

di Ainelif


 

Nel 1870 Napoleone III non cerca di fermare l'unificazione tedesca,e l'Alsazia rimane francese.

Bismarck nel 1871 proclama a Berlino l'Impero Germanico o II Reich sotto la corona del kaiser Guglielmo I di Hohenzollern.

Ci sarà un lunga ed intensa corsa alle colonie in Africa e peggioreranno i rapporti tra Francia e Germania.

Il Continente Nero viene spartito così al Congresso di Madrid del 1880:

L'Impero Ottomano che aveva perso tutti i suoi territori in Africa Settentrionale vede scatenarsi gravi rivolte nazionaliste da parte dei Giovani Turchi nel 1895, mentre la Grecia unita a Bulgaria, Serbia e Albania scaccia i turchi dalla penisola balcanica.

L'Impero Russo mantiene saldamente sotto il proprio potere l'intera Alaska, mentre gli Stati Uniti creano vere e proprie colonie in Sudamerica come Cile, Argentina, Brasile, Venezuela, Nicaragua, Cuba e Santo Domingo.

Nel 1900, dopo l'uccisione a Monza del Re Umberto I da parte dell'anarchico russo Bakuin, l'Italia si allea con l'Impero Francese in funzione antirussa nei Balcani, mentre l'Impero Ottomano si allea con l'Inghilterra per impedire un dominio mediterraneo italo-francese.

La Russia d'altro canto era alleata dell'Impero Germanico e con l'Impero Austro-Ungarico con il Patto dei Tre Imperatori.

Poi però l'Inghilterra rinuncia all'alleanza con la Turchia e rimane fedele alla Francia, fondando l'Intesa Europea formata da Italia, Francia, Inghilterra, Portogallo, Grecia e Bulgaria.

Intanto a Vienna si riuniscono Russia, Germania, Austria-Ungheria respingendo ogni richiesta di entrata della Turchia e fondano l'Alleanza Imperiale.

In Asia il Giappone nutre molta antipatia per Russia e Germania ed entra nell'Intesa.

Proprio in Asia avverrà la scintilla della guerra mondiale: nel 1905 le navi russe attaccano a Sakhalin quelle giapponesi: il Giappone dichiara guerra alla Russia, l'intera AI dichiara guerra al Giappone, cosicché tutta l'IE dichiara guerra all'AI.

La Francia ha un livello industriale pari a quello tedesco e subito dà inizio all'invasione della Germania occupando la Saar e la Renania, gli inglesi sbarcano con i rinforzi in Olanda e nel porto belga di Anversa, mentre la Spagna viene tirata in guerra dall'Alleanza facendo guerra a Francia e Portogallo.

Gli spagnoli occupano in breve tempo il Portogallo, e il governo è costretto a riparare in Angola con il Re Manuel II, gli italiani combattono sull'arco alpino in Trentino e Istria contro gli austriaci mentre aiutano i greco-albanesi a resistere contro i russi alle porte di Belgrado.

I francesi occupano i Paesi Baschi e l'intera Catalogna respingendo l'esercito spagnolo,mentre in Asia i soldati nipponici occupano in breve tempo le colonie della Spagna di Filippine e Guam.

Stessa sorte tocca alle colonie tedesche come il Camerun che viene invaso dagli italo-francesi, e al Togo che viene occupato dagli anglo-francesi, mentre la Liberia resiste strenuamente.

I tedeschi occupano tutta la Danimarca, Belgio(tranne Anversa) e Lussemburgo scontrandosi con i francesi, i russi invadono il Regno di Svezia che cede ma l'intervento inglese respinge i russi fino in Finlandia e lì la guerra è un pantano nevoso e ghiacciato.

I giapponesi risalgono da Vladivostok e conquistano l'intera Manciuria per poi invadere la Mongolia.

La Micronesia Tedesca con la Guinea germanica viene occupata dagli anglo-olandesi, mentre Tsingtao è occupata dai nipponici.

Gli spagnoli occupano l'intero Marocco francese ed entrano in Algeria; qui incontrano intensissime resistenze arabe e francesi.

Gli italiani combattono sui monti dell'Africa Equatoriale contro gli spagnoli che vogliono invadere il Camerun ma falliscono, mentre gli inglesi li attaccano da sud.

I fronti di guerra sono questi:

La situazione si rovescia in favore dell'Intesa quando gli USA intervengono contro l'AI

E poi?

Ainelif

.

Ed ora, ecco alcune intelligenti osservazioni di Rivoluzionario Liberale:

Davvero bella questa versione di Ainelif. comunque con tutti questi scenari sulla prima guerra mondiale, abbiamo visto che il fusibile del sistema (il più debole) è proprio l'impero asburgico, che stranamente è quello che ha dichiarato guerra per primo, per differenti ragioni:

* eterogeneità etnica del suo territorio 
* attaccabilità su più fronti 
* crisi della monarchia

Quindi il buon senso avrebbe fatto auspicare una più cauta politica estera.

Chi rischiava di meno era la GB, isolata e difficilmente invadibile. Anche gli USA stavano bene (anzi meglio della GB), circondati da paesi deboli (Messico) e spopolati (Canada), al massimo un'eventuale sconfitta (solo una forte alleanza europea potrebbe innescarla e comunque difficilmente invaderebbe il territorio USA) pagherebbero con il canale di Panama o con l'Alaska, cioè con una parte insignificante della popolazione.

La Francia rischiava per la contiguità territoriale con la Germania, e un'eventuale entrata in guerra dell'Italia a fianco di quest'ultima avrebbe provocato la catastrofe. La Russia rischiava per l'eterogeneità della sua popolazione e per la decadenza della monarchia, ma aveva il vantaggio di un territorio immenso.

Ed ecco allora, a mio giudizio, il coefficiente di rischio dal più alto al più basso:

1) Austria-Ungheria - contiguità territoriale, multietnicità, crisi della monarchia
2) Impero Ottomano - contiguità territoriale, territori da fare gola, multietnicità, crisi della monarchia
3) Francia - contiguità territoriale, multietnicità delle colonie
4) Italia - contiguità territoriale, risorse limitate, multietnicità delle colonie
5) Russia - contiguità territoriale ma territorio vasto e incontrollabile, crisi della monarchia, multietnicità
6) Germania - contiguità territoriale ma paese omogeneo etnicamente
7) Giappone - territorio isolato e omogeneo etnicamente 
8) GB - territorio isolato, risorse immense ma multietnicità delle colonie
9) USA - territorio isolato, risorse immense.

Sembra davvero assurdo che il paese con il tasso di rischio più alto sia quello che ha iniziato la guerra!

.

Questo è ciò che gli risponde Lord Wilmore:

In realtà Francesco Giuseppe era esasperato, gli avevano ammazzato il fratello, la moglie e il nipote, e suo figlio s'era suicidato con l'amante. Quando gli diedero la notizia dell'attentato di Sarajevo, Cecco Beppe si coprì gli occhi e pianse: "Nulla, nulla mi è stato risparmiato!" Ecco perchè dichiarò guerra contro ogni logica.

Lui non lo sapeva, ma il suo mondo sarebbe morto con lui.

.

Alessio Mammarella ha voluto presentarci una proposta diametralmente opposta:

Prima di guai peggiori

Dopo la disfatta di Adua, la politica italiana continua a considerare importante l'Abissinia. Nonostante le trattative con il Negus e la sottoscrizione di un nuovo trattato che sembra archiviare le pretese italiane di controllo sull'Impero, in realtà i vertici politici e militari continuano a pensare a prendere un giorno Addis Abeba. Del resto, i britannici non hanno svolto una singola campagna di Birmania né una singola campagna afghana: per fare colonialismo sul serio c'è bisogno di insistere! Ecco perché nel 1911, dopo la seconda crisi marocchina, l'Italia riesce a strappare a Francia e Gran Bretagna un atteggiamento di benevolo disinteresse nei confronti dell'Abissinia. Verso la fine dell'anno inizia la campagna militare.

Memore degli errori commessi in precedenza, il comando italiano decide di avanzare moderatamente nel territorio di confine del Tigré e creare dei capisaldi pesantemente fortificati. Gli italiani scavano trincee, stendono reticolati, si muniscono di moderne mitragliatrici. In questo modo contano di riuscire a resistere alle sterminate ondate di guerrieri abissini che cercheranno di annientarli. Nel frattempo, dietro il fronte fortificato, continueranno ad affluire uomini e mezzi, destinati a entrare in azione quando la proporzione numerica con gli avversari sarà considerata adeguata.

Il conflitto procede sin dall'inizio secondo previsioni: gli italiani dopo una iniziale avanzata condotta con il supporto degli aeroplani (che conducono utili ricognizioni e, per la prima volta nella storia, gettano qualche bomba a mano dall'effetto più psicologico che letale) conquistano le posizioni considerate ideali e lì si puntellano. Dopo alcune settimane di stallo, determinato dalla necessità del Negus di mobilitare il suo esercito dall'organizzazione decisamente obsoleta, iniziano effettivamente le "ondate umane" di guerrieri abissini. che non ottengono alcun risultato, se non quello di morire in gran numero e di provocare scoramento e liti tra il Negus e suoi principali comandanti.

A questo punto, gli abissini propendono per una tattica attendista: sono consapevoli infatti che la patria degli italiani è lontana, e che se il conflitto si prolunga i costi di rifornire i soldati si faranno sempre più rovinosi per gli attaccanti. Nonostante il successo tattico, quindi, gli italiani devono rassegnarsi: la conquista di Addis Abeba non si preannuncia rapida.

Nel corso del 1912, per sbloccare la situazione, il comando italiano opta per un secondo attacco diversivo attraverso la Somalia. Il controllo italiano della Somalia non è ancora totale, e i suoi porti sono un po' più lontani e scomodi rispetto all'Eritrea, tuttavia l'attacco dalla Somalia potrebbe costringere il Negus a dividere il suo esercito e mettere in crisi il delicato equilibrio di un impero ancora feudale. Le cose in realtà non cambiano molto: gli abissini lasciano fare, gli italiani occupano una notevole porzione del territorio chiamato Ogaden, desolato e privo di particolari risorse.

Nelle elezioni del 1913 la comparsa ufficiale dei cattolici, e la loro sostanziale affermazione, fa temere ai vertici militari che la costosa campagna militare abissina possa essere interrotta. Tuttavia, dalle stanze vaticane filtra un atteggiamento benevolo: la Santa Sede non si opporrà alla guerra se le autorità italiane si impegneranno, come prima cosa, ad abolire la schiavitù e impegnarsi concretamente per il benessere del popolo conquistato.

Nel 1914, il Tigré è quasi interamente conquistato quando lo scoppio della crisi europea mette di nuovo in forse la continuazione della campagna. Visto tuttavia il carattere offensivo della guerra, che rende l'Italia libera da obblighi rispetto alla Triplice Alleanza, e vista l'incertezza dei vertici istituzionali su quale Europa sia preferibile (tra quella con una Germania vincente e quella con una Germania perdente) la campagna abissina diventa un comodo alibi per giustificare la neutralità. In ogni caso, visti i costi sempre più pesanti, da Roma arriva l'ingiunzione di non temporeggiare eccessivamente.

Nel frattempo scoppia la Grande Guerra e gli Imperi Centrali ampliano la loro alleanza all'Impero Ottomano, nella speranza che possa distogliere una parte consistente delle truppe britanniche e di quelle russe dal fronte europeo. L'Impero Ottomano tuttavia occupa ancora una parte della Penisola Balcanica e Grecia e Bulgaria sono tentate di approfittarne per entrare in guerra con l'Intesa: senza un confine diretto con l'Austria-Ungheria, possono utilizzare tutto il loro potenziale per spartirsi i territori europei della Sublime Porta. La Germania opera una fortissima pressione sui sovrani dei due paesi, con forti legami familiari in Germania, ma Grecia e Bulgaria sono paesi giovani con un nazionalismo difficilmente tacitabile, e nessuno dei due sovrani vuole rischiare il futuro del proprio regno e della propria dinastia solo per compiacere il Kaiser. Già entro la fine del 1914 i turchi non controllano in Europa che una piccola porzione della Tracia a protezione di Costantinopoli. Una parte dell'Albania, non occupata né dai greci (a cui non interessa) né dai serbi (impegnati contro l'Austria-Ungheria) si auto-organizza in forma di repubblica indipendente.

Entro i primi mesi del 1915 la sottomissione dell'Abissinia è completata. Il 17 marzo, anniversario della proclamazione del Regno d'Italia, viene scelto per proclamare anche la nascita dell'Impero d'Abissinia. Vittorio Emanuele III, per favorire una benevola accettazione da parte dei nuovi sudditi, sceglie come Viceré non un membro della dinastia o un alto ufficiale delle forze armate, bensì un esponente della nobiltà locale. Pur rispettando la promessa tacitamente fatta al Pontefice, ossia l'abolizione della schiavitù, gli italiani si impegnano per non umiliare i notabili locali. Il paese è molto vasto e popoloso e l'Italia non avrebbe grandi mezzi per controllare il paese se la sua storica classe dirigente scegliesse di essere ostile al nuovo regime.

Nel frattempo, la Grande Guerra prosegue. Bulgari e greci uniscono le loro forze per conquistare Costantinopoli e gli ottomani sono costretti a ritirare aliquote di truppe sempre più importanti dagli altri fronti di guerra per difendere la loro capitale. I russi avanzano profondamente in Armenia, accolti come liberatori dalla popolazione, mentre i britannici proseguono spediti nella loro Campagna di Mesopotamia. Queste notizie cominciano a far pendere l'opinione pubblica italiana verso l'Intesa, perché un eventuale crollo dell'Impero Ottomano potrebbe determinare opportunità per l'Italia, a patto però che partecipi al conflitto. I vertici politici e militari sanno tuttavia che c'è bisogno ancora di tempo per smobilitare il contingente in Africa Orientale e per rafforzare le infrastrutture nel nord del paese per fronteggiare un eventuale conflitto alla frontiera alpina.

All'inizio del 1916, anche a causa dello sbarco britannico presso lo Stretto dei Dardanelli, la resistenza ottomana crolla di schianto. Al Sultano non resta che chiedere la pace, mentre ad Ankara si forma un governo militare golpista, guidato tra gli altri da Mustafà Kemal, intenzionato a resistere alla prevedibile spartizione dei territori turchi. I ribelli arabi arrivano in Palestina e Siria, le truppe russe proclamano la formazione di uno stato per i greci del Ponto. Per l'Italia è evidentemente troppo tardi per prendere parte a queste vicende ma il prevedibile afflusso di truppe britanniche, russe e bulgare su altri fronti di guerra lascia presagire che gli equilibri stiano saltando.

Nella tarda primavera l'Italia entra in guerra insieme agli stati dell'Intesa, contemporaneamente alla Romania. La potente "offensiva Brusilov" condotta dalla Russia, combinata con l'apertura dei nuovi fronti italiano e romeno, determina il collasso irreversibile dell'esercito austro-ungarico. Serbi e Bulgari avanzano verso nord di centinaia di km, minacciando Budapest; i romeni occupano la Transilvania in una situazione di tale tranquillità da poter celebrare un plebiscito di annessione; gli italiani raggiungono nel giro di poche settimane Gorizia, Trieste e Lubiana. Il 21 novembre 1916, nella cittadina di Modling poco a sud di Vienna, l'Austria-Ungheria firma l'armistizio con i generali italiani e serbi giunti ormai in prossimità della capitale.

Alla notizia della resa austro-ungarica, in Germania scoppiano agitazioni popolari: si diffonde la convinzione che, per quanto l'esercito imperiale appaia ancora forte, la Germania sarà attaccata da tutte le direzioni e comunque costretta ad arrendersi. Impressionato dalle imponenti manifestazioni, il rivoluzionario Lenin vive un ripensamento: invece che in Russia, che a questo punto sarebbe stata risollevata moralmente dalla vittoria ed economicamente dalle prevedibili riparazioni di guerra, è la Germania il paese sconfitto con una "situazione rivoluzionaria". Decide quindi di lasciare la Russia e trasferirsi proprio in Germania, attraversata solo pochi mesi prima senza fermarsi.

Subito dopo la resa, in Germania si accende la Rivoluzione, che porta alla trasformazione del paese in Unione Germanica. Lenin si ritrova al vertice del paese, e sorprendentemente accetta di buon grado condizioni economiche molto dure in cambio del riconoscimento della legittimità del nuovo regime. Dal punto di vista territoriale, la pace prevede la restituzione dell'Alsazia-Lorena alla Francia e la rinuncia della Germania a vari territori (Pomerania, Prussia, Slesia) destinati a entrare nel ricostituito stato polacco. Essendo la Russia tra i paesi vincitori, la ricostituzione della Polonia viene infatti prevista con un confine spostato più a occidente, sul fiume Oder.

L'Austria-Ungheria cessa di esistere intanto perché al nuovo sovrano asburgico, Carlo I, viene imposto di scegliere su quale dei due stati regnare. La sua ovvia scelta, l'Austria, è ridotta a un piccolo stato di lingua tedesca, dal momento che negli ultimi giorni del conflitto la Cecoslovacchia ha proclamato la sua indipendenza, e la Carniola era già occupata in parte dagli italiani, in parte dai serbi. L'Ungheria a sua volta si riduce a un piccolo stato, dopo le cessioni territoriali alla Romania e alla Serbia, che si trasforma in Jugoslavia. Un punto delicato delle trattative è nella definizione dei confini tra Italia e Jugoslavia, e per evitare eccessive discussioni si tiene prevalentemente conto dei territori concretamente occupati nel corso del conflitto. Lubiana è dunque riconosciuta come città italiana, così come anche Fiume, occupata con una operazione anfibia della Regia Marina Italiana, mentre la Dalmazia diventa parte della Jugoslavia, anche perché la Serbia, impegnata a combattere contro l'Impero Austro-Ungarico con tutte le sue forze, non ha partecipato alla spartizione dei territori ottomani. L'ultimo tassello da sistemare per i trattati di pace è la Libia, controllata dall'Impero Ottomano ma lasciata praticamente in abbandono dall'inizio del conflitto, e quindi preda di bande locali. Con un trattato specifico (il trattato di pace con l'Impero Ottomano ha solo previsto una generica rinuncia alla Libia da parte di quest'ultimo e di stati eventualmente suoi eredi) si dispone la spartizione del paese in tre colonie: Tripolitania, attribuita all'Italia; Cirenaica, annessa all'Egitto e quindi sotto il controllo britannico; Fezzan, inglobata nel sistema delle colonie francesi.

I primi anni del dopoguerra vedono una moderata crescita economica, nonostante i problemi sociali. L'Italia vive il cosiddetto "biennio rosso" ma le istituzioni liberali sopravvivono. La Russia vive aspre insurrezioni che convincono Nicola II ad abdicare, ma anche in questo caso il paese vive una evoluzione pacifica e costruttiva. La nuova costituzione, adottata sotto il governo rivoluzionario provvisorio di Kerenskij, prevede un modello simile a quello americano: uno stato di tipo federale, a beneficio di tutti i diversi popoli che lo abitano, con un Presidente a capo dell'esecutivo e una Duma bicamerale eletta a suffragio universale. L'Unione Germanica governata da Lenin non riesce a innescare l'auspicata rivoluzione mondiale. Solo in Ungheria il rivoluzionario Bela Kun riesce a costituire una Repubblica Socialista sul modello di quella tedesca.

Nel 1923, Lenin è ormai gravemente malato e a sostituirlo arriva il suo giovane delfino. Si tratta di un giovane di origine austriaca, che ha scalato le gerarchie del partito grazie ai suoi discorsi appassionati ed alla profonda devozione che proclama in Lenin (è il primo uomo politico del mondo, a cui nessuno può paragonarsi nemmeno lontanamente; è una di quelle figure solitarie di tutti i tempi che non sono prodotti della storia, ma sono essi stessi artefici della storia). Il suo nome è Adolf Hitler.

Hitler, una volta salito al potere, si fa notare per alcune differenze rispetto alla politica di Lenin. Diversamente dal predecessore, sembra più interessato alle questioni militari (che giustifica con l'aver combattuto, diversamente da Lenin) e a promuovere la ricerca su nuove armi, per quanto la propaganda sostenga che semplicemente il settore militare è quello più idoneo per far progredire velocemente la tecnologia. Inoltre, Hitler ama indicare i nemici della rivoluzione in precise categorie: accusa gli ebrei di occultare le loro ricchezze per impedirne una equa redistribuzione, i testimoni di geova di essere ottusamente contro la scienza, gli omosessuali di non contribuire alle nascite e quindi di essere un esempio di edonismo capitalista.

Nel giro di alcuni anni, l'Unione Germanica realizza degli ampliamenti territoriali: il culmine è nel colpo di Stato in Austria che determina l'annessione all'Unione Germanica. I paesi circostanti sono preoccupati, tuttavia Francia e Gran Bretagna in particolare sono convinti che le rivendicazioni dell'Unione Germanica vadano fronteggiate con mezzi pacifici. Quando le truppe tedesche mettono fine all'esistenza della Cecoslovacchia (divisa con l'Ungheria, che annette la Slovacchia), si continua a optare per la mediazione. Solo la Russia protesta vivacemente, trattandosi di un paese slavo. Jugoslavia e Romania, che condividevano con la Cecoslovacchia un'alleanza chiamata "Piccola Intesa" si rivolgono alla Russia per sottoscrivere degli accordi di cooperazione diplomatica e militare, indispettendo la Gran Bretagna, che teme l'influenza russa sull'Europa orientale.

Nel 1929 la Russia propone alla Polonia un accordo simile a quello sottoscritto con Jugoslavia e Romania ma questo determina nel paese vicino una crisi politica. Nella politica polacca esiste una forte corrente antirussa, che ha in odio il periodo del dominio degli zar. A causa della paralisi del Parlamento, delle proteste e degli scioperi, Hitler decide un intervento militare per riportare l'ordine. Poiché un vecchio trattato contempla l'obbligo per Gran Bretagna e Francia di proteggere la Polonia da una eventuale invasione, le due potenze alla guida della Società delle Nazioni riescono a far approvare una risoluzione che "chiede" all'Unione Germanica di intervenire amichevolmente in Polonia per una operazione di pacificazione. La Russia per protesta abbandona la Società delle Nazioni.

Nel 1930, in risposta al minaccioso atteggiamento russo, Francia, Unione Germanica, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo fondano la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) per rafforzare la cooperazione economica e scongiurare il pericolo di conflitto in Europa occidentale. Il governo italiano rifiuta di partecipare, ritenendo non necessario legarsi in questo modo ad altri paesi, ma appena pochi mesi dopo, il senatore Benito Mussolini, stella di prima grandezza del giornalismo italiano, divulga le prove di un gigantesco scandalo di corruzione che riguarda membri del Governo. E' un anno terribile, perché nel frattempo i contraccolpi della crisi americana fanno crollare la borsa, svalutare la lira e fallire alcune banche. Vittorio Emanuele III decide di chiamare al governo, in questa difficile situazione, Pietro Badoglio un generale fedelissimo alla famiglia reale. Il nuovo Primo ministro annuncia un aumento delle tasse, una riforma delle pensioni e l'intenzione dell'Italia di entrare nella CECA.

Intanto i paesi europei vanno avanti e nel 1932, solo due anni dopo della CECA, nasce anche la CED (Comunità Europea della Difesa) pensata soprattutto per proteggersi dalla Russia. Solo l'anno successivo, tuttavia, si verifica un evento che cambia la storia. Un sicario russo, un georgiano noto solo per il nome da battaglia, "Stalin" assassina Adolf Hitler. Subito dopo la morte del leader tedesco inizia una tumultuosa lotta tra i suoi più stretti collaboratori per la successione. Incredibilmente, le istituzioni dell'Unione Germanica crollano come un castello di carta. L'esercito attua un colpo di Stato, ma solo per riportare velocemente il paese alla normalità democratica e alle elezioni, che vengono vinte dal partito liberale.

Il nuovo governo ripristina la legalità della proprietà privata, cancella tutte le norme repressive volute da Hitler e, pur mantenendo le forme di cooperazione instaurate con gli altri paesi europei inaugura una politica nuova e conciliante nei confronti dei paesi orientali (sarà poi chiamata "Ostpolitik"). L'esercito tedesco si ritira dalla Polonia nel corso del 1934, Berlino offre scuse ufficiali e risarcimenti economici per le distruzioni e l'occupazione. Nel 1935 la CECA e la CED confluiscono nella nuova CE (Comunità Europea) che allarga la sua competenza amministrativa in molti settori. In occasione della firma, i ministri dei paesi interessati invitano anche la Russia ad aderire.

Nel 1936 un gruppo di militari spagnoli cerca di abbattere il governo ed instaurare una dittatura ma dai paesi della Comunità Europea arrivano aiuti al governo spagnolo velocemente e generosamente, consentendogli di superare la crisi prima che diventi realmente pericolosa per le istituzioni e la vita civile. In seguito, anche la Spagna entrerà nella Comunità Europea.

Sembra che davvero potrebbero non esserci più guerre in Europa...

Alessio Mammarella

.

E ora, un'altra trovata dello stesso autore:

Dal "Corriere della Sera" del 24/08/1908:

L'attesa febbrile per l'annunzio dell'Imperatore Francesco Giuseppe
Chi sarà il Re di Bosnia?
Uno tra sei principi asburgici regnerà a Sarajevo

Domani, 25 agosto dell'anno 1908 potrebbe essere il giorno fatidico in cui l'Imperatore d'Austria-Ungheria, Francesco Giuseppe I, annunzierà quale capo della casa nobiliare d'Asburgo-Lorena è stato scelto come sovrano della Bosnia-Erzegovina, l'ultimo in ordine di nascita tra i reami d'Europa. Il sovrano ha dovuto ricercare non solo chi fra i suoi illustri familiari potesse essere all'altezza di regnare sulla novella nazione, ma egli si è per giunta impegnato in serrate trattative per sondare il consenso delle altre potenze europee su ciascuno dei possibili candidati. Fin dal principio dovrebbe essere stata accantonata una candidatura dell'Arciduca Carlo, troppo vicino al trono per poter diventare sovrano di un altro paese, ma altri sei principi asburgici sembrano possedere requisiti idonei per la prestigiosa nomina. Le trattative fra le potenze sono state condotte con riservatissimo pudore, e nessun nome è pubblicamente stato consegnato all'appetito dei cronisti, l'identità dei contendenti è tuttavia difficile da celare. Prima di passare in rassegna tali nomi, tuttavia, è d'uopo spiegare come si è arrivati sino a questo punto.
La Bosnia, o più correttamente Bosnia ed Erzegovina, è una terra illirica lungamente posseduta dall'Impero Ottomano. In seguito all'ultima guerra combattuta contro la Russia, la Bosnia fu tra le terre che la cosiddetta Sublime Porta dovette abbandonare. Il trattato di pace stabilì che tale terra fosse affidata all'amministrazione dell'asburgico impero. Alla corte di Vienna sembrava palese che tale assegnazione dovesse solo un temporaneo rinvio dell'annessione, ma quando all'inizio dell'anno corrente il governo di Vienna diede inizio ai concreti adempimenti per l'annessione, tosto si palesò l'irritazione della Serbia, e con essa del potente, seppur ferito dal recente conflitto asiatico, Impero Russo. Poiché anche Londra sembrava fortemente solidale con il fastidio di Pietrogrado, ecco che il Kaiser Guglielmo II decise di intercedere con il famoso telegramma suo del 1 aprile, nel quale suggeriva bonariamente al governo austriaco di astenersi dal compiere passi frettolosi e soprattutto unilaterali, su una questione che pare essere cara a tutte le potenze.
La Cancelleria di Vienna, tenendo in alta considerazione l'opinione del sovrano che tra tutti considera più amico, decise di rimettere la questione alla celere conferenza che ha stabilito quanto è ormai noto: tutte le potenze concordarono che la trasformazione della Bosnia in una nazione indipendente e rigorosamente neutrale sarebbe stata di alleviamento per le tensioni politiche internazionali, buona a conservare intonso l'equilibrio faticosamente raggiunto negli ultimi anni, nonché di buon auspicio per una pace duratura. Il consesso europeo riconobbe comunque il diritto di attribuire al paese un sovrano asburgico, in rispetto delle benevoli ed abbondanti energie profuse dall'Austria-Ungheria negli anni in cui ha amministrato il paese balcanico, a tutela della minore delle componenti della popolazione della Bosnia, che è di lingua croata e fede cattolica, e financo a garantire a Vienna che la Bosnia non le sarà mai politicamente e militarmente ostile. Veniamo dunque ai papabili per questa nomina prestigiosa.
L'Arciduca Pietro Ferdinando è il massimo rampollo della dinastia che regnò sul fu Granducato di Toscana. Sulla sua figura si è speculato di certo un favore da parte dell'Italia, interessato a ottenere in cambio la rinuncia dell'Arciduca a rivendicare il titolo di Granduca di Toscana. Non è dato sapere quanto siano fondate tali congetture, in ogni caso l'Arciduca ha 34 anni, è un generale dell'esercito austro-ungarico, è sposato con una principessa borbonica ed ha quattro figliuoli, fra i quali due maschi, seppure ancora molto giovani e non idonei a succedergli se ciò fosse necessario immediatamente.
L'Arciduca Leopoldo Salvatore, anch'egli della casa di Toscana, ha invece 45 anni, è dunque un comandante più esperto, e ha ben nove figliuoli, di cui ben quattro maschi. Egli potrebbe pertanto assicurare al Regno di Bosnia una discendenza reale che neppure un cataclisma potrebbe spazzare via. Essendo la sua consorte una Infanta di Spagna, egli potrebbe contare anche sul supporto di Madrid, seppure oggi giorno il paese non sia più contemplato nel novero delle potenze europee.
L'ultimo dei papabili del ramo toscano è l'Arciduca Francesco Salvatore, che si potrebbe definire il cadetto dei cadetti, essendo secondogenito di un ramo non primogenito. Egli tuttavia potrebbe risultare favorito per il fatto di essere il genero dell'Imperatore: la sua consorte è infatti Maria Valeria d'Asburgo-Lorena, figlia minore di Francesco Giuseppe I. Francesco Salvatore ha allietato l'augusto con ben nove nipoti, di cui quattro maschi, il maggiore di essi è per giunta vicino a raggiungere l'età maggiore.
L'Arciduca Federico, Duca di Teschen, è il più anziano dei papabili, ha più di cinquant'anni, certamente potrebbe regnare con la maggiore sapienza e sobrietà. Egli tuttavia fra i suoi nove figliuoli ha un solo maschio, l'ultimogenito. La sua consorte è belga e taluni malignamente osservano che ella, appartenente alla piccola nobiltà, sarebbe la meno prestigiosa fra le possibili Regine di Bosnia.
L'Arciduca Carlo Stefano, fratello minore del precedente e cognato di altri due papabili, Leopoldo Salvatore e Francesco Salvatore, è l'unico che serve il suo Imperatore nella marina invece che nell'esercito. Ciò non appare un buon viatico per una nazione, la Bosnia, che ironicamente non ha neppure un porto ma solo una piccolissima linea di costa così piccola che la si potrebbe definire l'errore di un cartografo. Egli inoltre intrattiene rapporti piuttosto positivi con personalità polacche, di cui parla la lingua, voci ben informate sostengono che potrebbe un giorno essere candidato come sovrano del grande paese che non è ancora riuscito a scuotersi dal giogo dell'occupazione straniera. Carlo Stefano ha 48 anni ed e tre dei suoi sei figliuoli sono maschi. Il maggiore di essi, Carlo Alberto, ha già raggiunto la maggiore età e forse sarebbe a sua volta un papabile, se avesse già contratto matrimonio e avuto dei figliuoli. Egli si contenterà, nel caso, di esser erede al trono.
L'arciduca Giuseppe Augusto appartiene al ramo ungherese della famiglia imperiale, ha 36 anni ed è sposato con una principessa bavarese nipote di Francesco Giuseppe. Egli ha tre figliuoli, di cui due maschi. Altri due sono sciaguratamente deceduti in tenera età. Taluni osservano che, essendo stata abolita la figura del Conte Palatino d'Ungheria, che aveva dato lustro a quel ramo della famiglia, forse il Regno di Bosnia potrebbe rappresentare una compensazione. Non sembra, comunque, che i pronostici siano favorevoli al candidato "ungherese".
I pareri delle cancellerie su questi candidati non sono noti. Nessuno di essi reca ha contratto matrimonio o risulta imparentato con le case reali britannica, tedesca, russa o italiana, pertanto le valutazioni possono essere attinenti più che altro alla reputazione personale di cui dispongono. La stampa viennese scrive che le potenze in realtà si sarebbero riservate solo per principio di sconsigliare qualche candidato in particolare, e che in realtà nessuno abbia intenzione di inoltrare veti, lasciando la scelta alla libera determinazione del sovrano asburgico.
Ordunque domani, salvo rinvii di cui ad oggi non si ha notizia, conosceremo il nome del Re della più giovane monarchia d'Europa, dopo che il governo provvisorio ha già reso nota la sua bandiera.

P.S. Potete rispondere alla domanda, naturalmente!

.

A rispondergli è stato Dario Carcano:

Pietro Ferdinando mi sembra la scelta più logica, in questo modo gli Asburgo-Toscana avrebbero di nuovo una corona (e magari rinuncerebbero alle pretese sul granducato toscano).

.

Il grande *Bhrg'howidhHô(n-) aggiunge:

Per curiosità, l’apparente errore del cartografo è stato voluto dalla Repubblica di Ragusa per non confinare con i Dominî di Venezia, ma solo con la Sublime Porta e da allora è stato ereditato (solo quello settentrionale) da quest’ultima nei confronti della Francia e poi dell’Austria.

Pietro Ferdinando è nato dopo il 1866 e perciò era escluso da ogni titolo sulla Toscana, anche a livello di rivendicazioni o solo nominale: dal 1870, infatti, tutti i Diritti sono passati a Francesco Giuseppe e ai suoi Eredi, per cui – tenuto conto anche di quelli di Francesco Ferdinando su Modena e Reggio, a causa del matrimonio non di pari lignaggio passati alla Linea Ereditaria successiva alla sua Discendenza – in caso di Vittoria degli Imperi Centrali sull’Italia nella Prima Guerra Mondiale era già stabilito da decenni che l’Imperatore d’Austria avrebbe riottenuto non solo il Lombardo-Veneto, ma anche Modena-Reggio e la Toscana, tutto direttamente. Dato che Zita di Borbone-Parma era Imperatrice, il Ducato di Parma e Piacenza sarebbe stato restaurato e altrettanto vale per lo Stato Pontificio (è incerto se nei confini del 1859 o del 1869). Dato che ai Diritti sulle Due Sicilie era stato rinunciato in cambio di Parma e Piacenza, la restaurazione di quest’ultimo Ducato comporta il ripristino della rivendicazione del Regno (il che pone un’ipoteca sulle Legazioni Pontificie). Infine – e soprattutto – non sono mai venuti meno i Diritti sui Suffeudi Sabaudi (Lombardia Piemontese) e sugli ex-Feudi Imperiali Minori (una settantina, compreso San Marino).

Se posso quindi completare questa parentesi ucronica a lato dell’ucronia stessa, se l’Austria avesse vinto l’Italia nella Prima Guerra Mondiale le uniche restaurazioni sicure sarebbero stato Parma-Piacenza e il Lazio, molto probabilmente la Sardegna, mentre già in forse sono le Due Sicilie, le Legazioni Pontificie, Genova e il Piemonte Occidentale (con la Val d’Aosta), queste ultime due rivendicazioni più titolate che le Legazioni e geostrategicamente perfino più rilevanti (le Legazioni assicurerebbero la continuità territoriale con le Due Sicilie, ma Piemonte e Liguria sarebbero fondamentali rispetto alla Francia).

.

Dice la sua anche Iacopo:

Un candidato interessante (e interessato) potrebbe essere lo stesso Francesco Ferdinando, che così potrebbe togliersi dalla linea di successione asburgica (un mestiere pericoloso) e soprattutto offrire una corona ai suoi figli...

.

E Alessio risponde loro:

È interessante sapere che la titolarità del Granducato di Toscana non spetta più ai discendenti dei granduchi originari, ma è tornato al ramo principale della dinastia. Questa idea del Re di Bosnia è comunque funzionale a uno scenario in cui la guerra non si verifica proprio. Il Re di Bosnia di questa ucronia dovrebbe cercare di essere un sovrano moderato, neutrale in politica estera ed equilibrato in quella interna. In queste condizioni l'attentato di Sarajevo non dovrebbe accadere e seppure mai accadesse:

- non determinerebbe un problema dinastico per l'Austria-Ungheria;
- non la coinvolgerebbe nella questione (la Bosnia è un paese "terzo").

Insomma, se anche l'attentato si verificasse non potrebbe essere il detonatore di un conflitto europeo/mondiale. Detto questo... *Bhrg'howidhHô(n-), ci hai lasciato un po' nei guai! Non ci hai dato nessuna indicazione per capire quali tra i candidati ipotizzati avrebbe potuto essere scelto (o se avrebbe dovuto essere citato qualcun altro che non ho considerato)...

.

Riprende la parola *Bhrg'howidhHô(n-):

Premessa: l’annessione della Bosnia-Hercegovina era intesa, nientemeno che su proposta (a suo tempo) di Cesare Balbo (Delle Speranze d’Italia, Paris Firmin Didot, 1844), come indennizzo del Lombardo-Veneto (il Ducato di Holstein lo sarebbe dovuto essere della Lombardia), di cui a sua volta Venezia era compenso – su proposta di Napoleone – per i Paesi Bassi Meridionali (è per questo che non è stato previsto, in deroga alla Triplice, di cedere il Trentino all’Italia). Rinunciare all’annessione diretta significava procrastinare la questione del Lombardo-Veneto fra Austria e Italia.

Ad ogni modo, le Secondogeniture servivano appunto ad annettere ciò che in via diretta non era possibile; però il criterio era sempre senioratico e secondo l’ordine di Successione (come conferma il fatto che ancora il 16. aprile 1917 Carlo I. ha ceduto il titolo di Arciduca d’Austria-Este e con ciò i Diritti su Modena e Reggio al secondogenito Roberto), quindi, se si esclude perché ancora minorenne l’arciduca Massimiliano Eugenio (unico fratello minore di Carlo I., 13. aprile 1895 – 19. gennaio 1952), il primo in Linea di Successione nel 1908 era l’Arciduca Ferdinando Carlo (27. dicembre 1868 – 24. agosto 1915), terzogenito di Carlo Ludovico (a sua volta terzogenito di Francesco Carlo, quindi fratello minore di Francesco Giuseppe e Massimiliano) e all’epoca trentanovenne.

Gli altri Rami servivano per occasioni locali (in particolare appunto gli Asburgo-Teschen e segnatamente Carlo Stefano come Candidato per la Polonia e suo figlio Guglielmo Francesco per l’Ucraina, Giuseppe Augusto nell’eventualità di crisi istituzionale in Ungheria); Francesco Giuseppe era contrario alla dispersione della Sovranità e praticava una politica più di Stato che di Casato (ciò che spiega le vicende degli Asburgo-Toscana, passati da Granduchi a Prìncipi di Toscana, pur rimanendo Arciduchi in Austria).

.

Passiamo ora ad un articolo particolarmente interessante tratto da questo sito:

I Sultani della Primavera

Ogni anno l’Economist pubblica una serie di articoli in cui prova ad avanzare diversi ipotesi su come starebbero le cose se si fossero verificati o si verificassero certi eventi particolari. Quest’anno ha provato a chiedersi come sarebbe il mondo se l’Impero Ottomano esistesse ancora. L'articolo originale lo trovate a questo indirizzo; io ve ne farò una breve sintesi.

È l’estate del 1915 e a bordo di una corazzata ancorata a largo della neutrale Norvegia sono radunati gli emissari di tutte le potenze Alleate: Regno Unito, Francia e Russia. La Prima guerra mondiale è scoppiata ormai da un anno e sul fronte occidentale, tra Francia e Germania, sono già morti un milione di uomini: nessuno ha idea di come far breccia nell’intricato sistema di trincee e fortificazioni di entrambi i fronti e mettere così fine ai combattimenti.

Gli alleati sono in cerca di soluzioni creative: se a Ovest, tra Germania e Francia, non si riesce a fare progressi, forse la fine della guerra deve passare per l’Oriente. Per questo motivo, a bordo della corazzata ci sono anche gli inviati del Sultano, il sovrano dell’Impero Ottomano. Un tempo, era una delle potenze più temute al mondo. Fino non molte generazioni fa, il Sultano governava dall’Algeria fino ai confini dell’attuale Iran. Erano suoi vassalli i Tatari della Crimea, così come gli abitanti del Sudan. Per due volte i suoi eserciti si erano spinti fino al centro dell’Europa, arrivando ad assediare Vienna. In tutto il Mediterraneo, le popolazioni costiere vivevano con la preoccupazione delle scorrerie dei suoi corsari, che ogni primavera partivano dai porti del Nord Africa per andare a caccia di schiavi.

Nel 1915, questa potenza era oramai soltanto un ricordo. Il vecchio Impero aveva perso quasi tutti i Balcani, che si erano frammentati in una serie stati indipendenti non troppo diversi da quelli che vediamo oggi. La Francia si era presa Algeria e Tunisia, l’Italia la Libia e le isole del Dodecaneso, mentre il Regno Unito di fatto controllava l’Egitto. Ma, anche se diminuita, la potenza dell’Impero meritava ancora di essere tenuta in conto. I tedeschi da tempo cercavano di portarlo dalla loro parte e per questo Regno Unito e Russia erano costretti a tenere truppe ai confini con l’impero, truppe che sarebbero state molto più utili per combattere i tedeschi.
Le condizioni che offrono gli alleati, quindi, devono essere generose: la Francia alleggerisce l’enorme debito pubblico che la Turchia ha contratto nei suoi confronti, la Russia rinuncia alle sue pretese territoriali (sono secoli che gli Zar cercano di impossessarsi dello stretto dei Dardanelli) e il Regno Unito taglia il prezzo di due navi da guerra che i suoi cantieri navali stanno costruendo per l’Impero (alcuni, all’inizio della guerra, avevano suggerito di requisire quelle navi per la marina britannica: un gesto che, col senno di poi, avrebbe potuto significare la guerra).

Gli emissari del Sultano accettano. L’incontro sulla corazzata, infatti, non è che l’ultimo atto di una lunga trattativa. In poco tempo, l’esercito dell’Impero inizia a combattere gli alleati balcanici della Germania. Russi e britannici possono spostare in Europa le truppe impegnate a sorvegliare i loro confini più remoti. L’apertura dello stretto dei Dardanelli permette agli Alleati di inviare rifornimenti in Russia tramite il Mar Nero. Quando la Bulgaria si arrende alle truppe del Sultano e l’esercito imperiale si prepara ad attaccare l’Austria-Ungheria, l’alto comando tedesco avverte l’Imperatore che la guerra non può più essere vinta. Poco dopo, gli Stati Uniti annunciano la loro entrata in guerra e la Germania è costretta ad arrendersi. Secondo gli strateghi, l’intervento turco ha accorciato la guerra di almeno un anno e ha salvato un numero incalcolabile di vite umane.

La fine del conflitto facilita importanti riforme nell’Impero Ottomano. La mobilitazione di milioni di uomini, appartenenti a tutte le numerose etnie che popolano le terre del Sultano, insieme alle dichiarazioni del presidente americano Woodrow Wilson, che ha promesso che dopo la guerra tutti i popoli potranno decidere liberamente il loro futuro, hanno suscitato ovunque rivendicazioni nazionaliste. Il sultano Mehmet V emana un proclama in cui annuncia l’autonomia per tutti i popoli che vivono sotto l’Impero. A lui rimane il titolo di Califfo, capo supremo dell’Islam, e quello di comandante degli eserciti imperiali. Sotto di lui arabi, curdi, armeni ricevono ampi poteri per potersi governare da soli. Quando una setta di fanatici religiosi guidata da un leader tribale, Ibn Saud, si ribella nella penisola arabica, l’esercito del Sultano interviene per stroncare la rivolta.

L’Impero rimane, come nella sua lunga storia, un paese di tolleranza e convivenza religiosa: l’unica strada possibile per tenere insieme una confederazione così eterogenea. Quando negli anni Trenta nell’Europa centrale cominciano una serie di feroci persecuzioni contro gli ebrei, il Sultano apre le sue porte ai migranti, come fecero i suoi predecessori all’epoca delle persecuzioni spagnole del Quindicesimo secolo. Decine di migliaia di ebrei arrivano a stabilirsi nella provincia di Gerusalemme.

Il racconto ipotetico dell’Economist finisce così: come sappiamo, però, la storia è andata in maniera diversa. Non ci fu nessun incontro a bordo di una corazzata a largo della Norvegia. L’Impero scelse di combattere accanto alla Germania, anche perché già nei primi giorni di guerra il ministro britannico della Marina, Winston Churchill, decise di sequestrare due costose e moderne navi da guerra che il Sultano aveva commissionato ai cantieri navali britannici: uno sgarbo che segnò profondamente le successive relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Per quattro anni di conflitto, lo stretto dei Dardanelli rimase chiuso e rifornire la Russia di armi e materie prime si rivelò un compito molto difficile per gli Alleati. Centinaia di migliaia di soldati russi, francesi e tedeschi rimasero per tutto il conflitto impegnati a combattere le truppe turche, invece di concentrarsi contro la Germania. Un milione di loro rimase ferito o ucciso in cruente battaglie poi passate alla storia: lo sbarco nei Dardanelli, la campagna di Iraq, l’invasione della Palestina. La Bulgaria cadde davvero e la sua sconfitta spinse l’alto comando tedesco a chiedere la resa. Ma questo accadde nel settembre del 1918, quando l’esercito tedesco in Europa era già a poche settimane dalla sconfitta definitiva.

Con la fine della guerra l’Impero cessò di esistere. Il sultano fu sostituito da un gruppo di nazionalisti che di altre etnie non volevano sapere nulla. Chiedevano una Turchia forte e moderna, abitata soltanto da popoli di lingua turca. Gli immensi possedimenti imperiali furono presi dalle potenze vincitrici: Francia e Regno Unito, che trasformano quella vasta area in una serie di mandati, cioè di fatto delle colonie, che sono poi diventate il Medio Oriente che vediamo oggi. Dopo l’ultimo sultano non ci furono più califfi e la porta fu così lasciata aperta a generazioni di successivi fanatici religiosi che hanno proclamato di esserne i “veri” successori: l’ultimo è stato Abu Bakr al Baghdadi.

Il leader tribale Ibn Saud e il suo esercito di fondamentalisti non fu sconfitto dall’esercito imperiale, ma conquistò gran parte della penisola arabica, portando alla nascita della moderna Arabia Saudita. Con la scoperta delle immense riserve di petrolio del paese, i suoi discendenti hanno potuto finanziare in tutto il mondo la diffusione della loro austera ed estrema versione dell’Islam. Quanto dell’attuale caos che attraversa il Medio Oriente, si chiede quindi l’Economist, si sarebbe potuto evitare se gli alleati avessero deciso di allearsi con l’Impero invece di fargli la guerra?

.

*Bhrg'howidhHô(n-) tuttavia obietta:

Si nota che:

- le concessioni britanniche sarebbero irrisorie rispetto a quelle altrui;

- il titolo si chiede se l'Impero Ottomano non fosse stato annientato, ma il Punto di Divergenza è l'Impero Ottomano con l'Intesa;

- non vedo il nesso con la Bulgaria (è stata la Turchia a farla entrare in guerra, addirittura cedendo Adrianopoli, per cui se la Turchia si fosse schierata con l'Intesa la Bulgaria sarebbe rimasta fuori dal conflitto e quindi non è possibile ipotizzare il cedimento della Germania per il crollo della Bulgaria);

- tutta l'impostazione sembra mirare più a una conclusione anticipata della Prima Guerra Mondiale a vantaggio dell'Intesa che a una revisione della Politica Britannica nel Vicino Oriente.

.

Neanche Paolo Maltagliati è d'accordo:

Nelle sue linee complessive ha anche senso, peccato che ci siano alcuni punti, e grossi, da sistemare, per rendere plausibile lo scenario prefigurato.

1) Chiedere alla Russia di rinunciare agli stretti come obiettivo geopolitico è un po' come chiedere al Regno d'Italia di rinunciare a Roma nel 1870.

2) L'impero ottomano stava DECISAMENTE cambiando politica nei confronti delle minoranze (in particolare quelle cristiane) almeno da Santo Stefano. La decadenza dell'impero era sempre più attribuita paranoicamente alla contaminazione etnica e religiosa. Dei popoli non musulmani prima (vedasi alla voce greci, ponto-greci e armeni) e non turchi poi non c'era da fidarsi, erano serpi in seno e potenziali traditori. Una vittoria ottomana non avrebbe fermato l'ideologia nazionalista e turanista dei giovani turchi (i massacri in Cilicia sono del 1898) e i tentativi di turchizzazione. E a sua volta, come in una profezia che si autoavvera, il nazionalismo montante non avrebbe permesso alle minoranze stesse di essere contente dello status Quo, in un circolo vizioso di repressione-infedeltà (all'aumentare della prima aumenta la seconda, che a sua volta alimenta e giustifica la necessità della prima e così via).

3) Il PoD non può essere nel 1915. I programmi di spartizione anglo-franco-(Italo)-russa dell'impero ottomano erano un segreto di pulcinella e la Germania aveva diretto già da diverso tempo un ingente flusso di capitali e armamenti verso la Sublime Porta.

Quindi non si scappa: il PoD DEVE passare per il cambio di atteggiamento inglese verso la Porta (da principale garante della sua indipendenza a principale avvoltoio pronto a spolparne le carni), che non accade. Ma qui torniamo al punto uno: la Russia avrebbe rinunciato a Costantinopoli (anzi, Zargrad) solo nel momento in cui agli asini sarebbero spuntate le ali. L'alleanza anglo-ottomana ha dunque senso solo in funzione anti-russa e, viceversa, l'entente anglo-russa implica la spartizione dei domini del sultano.

4) A meno di non implicare comunque un crollo dell'impero russo (cosa che l'autore, anche se poi se ne dimentica, esclude), l'intesa che compensi territoriali appetibili ha da offrire all'impero ottomano? Ammettendo pure che largheggiare in proposte di spartizione della Bulgaria possa bastare (o essere sufficientemente allettante, cosa di cui dubito), tanto poi arriverebbe Wilson, che col suo principio di nazionalità ridurrebbe le pretese ottomane a livelli ridicoli in proporzione allo sforzo bellico profuso. Altro che vittoria mutilata, qua arriveremmo proprio al livello di presa per i fondelli.

5) Nonostante il fatto che la Bulgaria avrebbe dovuto subire l'apertura di un secondo fronte in Tracia, oltre alla considerazione che gli effetti dell'ingresso degli ottomani in guerra a fianco degli alleati avrebbe avuto effetti difficilmente prevedibili sulla politica interna greca (paradossalmente potrebbe persino avvantaggiare la monarchia e spingerla verso gli imperi centrali e tanti saluti ai venizelisti, anche se so che è apparentemente controintuitivo), resta il fatto che l'esercito bulgaro era di gran lunga il più numeroso, efficiente ed addestrato dei Balcani e che per puntellare Vardar e Salonicco ci vollero consistenti truppe inglesi, francesi e italiane. Inoltre c'è da aggiungere che l'idea di un conflitto con lo storico avversario turco potrebbe avere effetti rinvigorenti sulla scettica opinione pubblica bulgara.

Tutto questo per dire che non sono sicuro al 100% che schierare l'impero turco con l'intesa possa garantire un vantaggio tattico-strategico immediato (potrebbe persino risolversi in un disastro controproducente come nel caso della Romania. Non è così assurdo ipotizzare che un'offensiva bulgara ben preparata e opportunamente rinforzata da contingenti tedeschi potrebbe addirittura sfondare in Tracia senza dare il tempo ai franco-britannici di intervenire. Risultato: Costantinopoli nelle mani degli imperi centrali e stretti chiusi, come da HL).

.

Federico Sangalli aggiunge di suo:

Sono d'accordo, l'Impero Ottomano era il malato d'Europa, d'Asia e d'Africa e lo sapevano pure i sassi; strutture statali semi-inesistenti, esercito pessimo, escalation di brutalità etnico-religiosa (non è "Sono stati i Giovani Turchi, prima non era così", basta pensare all'eccidio di civili bulgari nel 1878 che gli mise l'opinione pubblica occidentale e Gladstone contro da ridosso della Crisi di Santo Stefano), incapacità totale di riformarsi, persecuzioni politiche ed etniche (gli armeni erano già in rivolta a a fine Anni Novanta a causa delle sanguinose retate del Sultano, l'unica cosa che l'esercito ottomano era in grado di compiere efficientemente), pesante indebitamento con l'estero rendevano gli ottomani uno stato debolissimo, al cui confronto la Russia Zarista, la Cina di Cixi e l'Alabama delle Leggi Jim Crow erano la Federazione dei Pianeti Uniti.

Anche Bombay era considerata una città "britannica" come una delle perle dell'Impero eppure ciò non vuol dire che l'India fosse felice del dominio di Londra. Oggettivamente hanno più in comune i boeri e gli inglesi (e infatti afrikaner e coloni anglofoni non ci hanno messo molto a coalizzarsi contro il nemico comune, cioè i neri e gli indiani) che turchi e curdi o turchi e arabi. Poi certo, fino ad Atatürk Costantinopoli aveva più abitanti greci e non turchi che turchi, ma i greci avevano una nazione di riferimento che, le Guerre Balcaniche stavano lì a dimostrarlo, contava su forti amicizie e si inalberava facilmente alla prima avvisaglia di persecuzione delle minoranze elleniche (e infatti sia nella WWI sia dopo i due paesi sono andati in guerra sull'argomento), gli arabi no.

Ad ogni modo l'argomento non si pone perché era almeno dall'indipendenza della Grecia in poi che il destino dell'Impero Ottomano veniva deciso al di fuori dell'impero stesso, dagli equilibri tra potenze. Questo era chiaro a tutti e lo sapevano benissimo anche i turchi: con la fine dell'ombrello inglese sotto Lord Salisbury era chiaro che gli ottomani sarebbero finiti in pentola alla prossima crisi senza un nuovo protettore, da cui la svolta (ancor più) nazionalista e l'avvicinamento alla Germania, in ultima analisi fallimentare. Comunque vada l'impero è destinato a crollare, che sia per mano dello Zar, del Kaiser, di Lawrence d'Arabia o di Nasser il panarabista. Io concordo che col giusto POD e la giusta volontà si possa fare qualunque cosa, ma c'è l'Assunto di Custer ("Una volta che gli indiani ti hanno accerchiato, ti sovrastano dieci a uno e sono armati come te, puoi anche mettere George Washington a capo del Settimo Cavalleggeri, ma il tuo scalpo finirà comunque appeso a una tepee entro sera"), secondo il quale dopo un certo punto non c'è più nulla da fare, non importa quali qualità nascoste, capi formidabili e svolte audaci tu possa fornire al soggetto in questione. E l'Impero Ottomano era accerchiato e senza munizioni da un mucchio di tempo prima del POD considerato.

.

Sempre Federico Sangalli ha un'altra idea in proposito:

E se immaginassimo uno sviluppo diverso della Prima Crisi Egiziana?

Londra è distratta e impegnata con un'altra crisi (in India, in Irlanda, in Nordamerica, non so. Probabilmente una grossa rivolta irlandese sarebbe quella con meno effetti collaterali nella TL) e non può rompere le uova nel paniere a Francia e Russia come in HL, quando durante la Seconda Crisi Egiziana riuscì ad annullare i guadagni che Parigi e Pietrogrado avevano ottenuto con la prima. La Francia mantiene il suo protettorato sull'Egitto, ormai dominio ereditario di Mehmet Alì, mentre la Russia conserva il Trattato di Unkiar Skelessi, chiave di volta di questo scenario, con il quale, dietro l'obbligo di chiudere gli Stretti alle navi da guerra altrui ma non a quelle zariste, la Russia de facto imponeva un protettorato sul Sultano.

L'idea è proprio che tale sistema rimanga in piedi: Londra mugugna ma deve accettare il fatto compiuto, nel 1854, senza il sostegno francese, deve accettare la proposta di spartizione russa (niente Guerra di Crimea) a patto che sia nello spirito di sunnita Skelessi, cioè mantenendo un governo formale ottomano. L'Impero Ottomano diventa come la Cina, formalmente unite e sovrana ma in realtà divisa in sfere di influenza delle varie potenze: in pratica la Francia ha Egitto e Palestina, la Gran Bretagna Siria e Mesopotamia, la Russia Anatolia con possedimenti balcanici e caucasici. La Russia rosicchia comunque i Balcani ottomani con la scusa della difesa dei diritti degli ortodossi e forse si prende anche l'Armenia entro la fine del secolo. Probabilmente una crisi russo-turca nel 1878 ci sarà ugualmente e dovrà essere risolta internazionalmente, a causa dell'opposizione austriaca e delle remore britanniche. Inglesi e francesi comprano il Canale di Suez dall'indebitato Khedivé d'Egitto e nel 1882, alla rivolta di Urabi, Gladstone occupa il paese dopo che i francesi hanno declinato per ragioni di politica interna, esattamente come in HL. All'inizio del Novecento l'Impero Ottomano è inserito nel Protocollo Anglo-Russo che pone fine al Grande Gioco: esso è diviso in aree d'influenza lungo una linea di demarcazione nord-sud sulla falsariga della Persia. Nel 1908 i Giovani Turchi si sollevano contro il protettorato straniero con un incoraggiamento tedesco solo per essere presi a cannonate dai soldati dello Zar, che ormai hanno impiantanti basi navali stabili negli Stretti. La ribellione è un ottimo pretesto per rafforzare il protettorato e prendersi le ultime provincie balcaniche (niente Guerre Balcaniche). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l'Impero Ottomano entra in guerra a fianco dei suoi protettori, come in HL fece la Cina nonostante le angherie giapponesi. Concordo che la Bulgaria fosse un osso troppo duro per i soli ottomani, ma senza i conflitti balcanici, se in presenza di un'equa spartizione della Macedonia e di una maggiore presenza russa che faccia rigar dritto i generali di Sófia, è possibile che la Bulgaria rimanga semplicemente neutrale per poi scendere in campo con l'Intesa in secondo momento dietro pressioni russe, probabilmente contro la Grecia, ove, come ricordava Paolo, il filo-tedesco Re Costantino avrebbe buon gioco a esiliare Venizelos come "amico dei turchi" e a schierare Atene con gli Imperi Centrali (e non viceversa come in HL). Senza il petrolio bulgaro e con gli Stretti aperti che permettono di abbassare il prezzo del pane in Russia, è anche possibile che la Grande Guerra finisca in anticipo.

La Sublime Porta può ottenere qualche guadagno territoriale a spese della Grecia e mantiene la sovranità formale su Cipro e Dodecanneso (le potenze hanno dato luce verde all'Occupazione italiana della Libia per attirare Roma nell'Intesa ma hanno lavorato per chiudere il conflitto il prima possibile per non danneggiare troppo i turchi, sicché niente Rodi), magari può riprendersi pure Creta, persa meno di dieci anni prima (immagino infatti che in Tracia sarà la Bulgaria a fare la parte del leone). Magari un protettorato sull'Albania? Ovviamente niente Lawrence d'Arabia, niente Sauditi e niente Arabia eccetera eccetera. L'Egitto diventa indipendente sotto dominio inglese. In questo scenario Londra favorirebbe ugualmente la nascita di un "Focolaio Ebraico" in Palestina? Date le circostanze è possibile che per il 2 novembre 1917 la guerra sia già finita rendendo superflua la Dichiarazione Balfour. Se il conflitto termina precocemente è probabile che un rimasuglio di Austria-Ungheria rimanga in piedi ed è a questo stato che sarebbe assegnata Fiume, come da Patto di Londra. Senza dispute sui confini istriani non c'è vittoria mutilata, ergo il Fascismo ne deve fare di strada prima di arrivare al potere. Potrebbe però aver maggior successo in Grecia e in Serbia, ambedue insoddisfatte dal nuovo assetto balcanico.

I nazisti arrivano al potere in Germania dopo la sconfitta e rapidamente portano il paese fuori da Versailles: durante gli Anni Trenta Hitler, alleatosi con i suoi seguaci austriaci e con i nazionalisti magiari e serbi, occupa e spartisce gli Stati Uniti di Grande Austria. Russia e Italia rifiutano di aiutare degli odiati Asburgo e senza di loro anche gli anglo-francesi, incatenati nell'Appeasement, non si muovono.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la Russia Zarista è spinta al collasso in breve tempo, assieme a Italia e Francia. Una rivoluzione depone lo Zar ma i bolscevichi (Trockij?) si rendono presto conto che Hitler non vuole trattare con i comunisti slavi mezzi ebrei ma solo ammazzarli tutti quindi parte la resistenza. I tedeschi occupano anche l'Anatolia, insediando un governo fantoccio di panturchisti ad Ankara (Costantinopoli è stata occupata dai greci): inizia la guerra nel deserto, dove i Türken Korps di Rommel tentano la conquista di Suez, senza successo.

Alla fine della guerra la Russia diventa una repubblica socialista federale e abbandona l'imperialismo ottocentesco. Gli inglesi occupano l'Anatolia e gli Stretti, impiccano per bene tutti i nazionalisti turchi e riportano al potere il Sultano Ahmed IV, che però è incapacitata da tempo come conseguenza di un brutto infarto. Approfittando della debolezza del potere imperiale centrale e in generale dei turchi, le istanze di autonomia e liberalizzazione, sostenute dagli inglesi, prevalgono: i Villajet diventano elettivi, sono concesse libertà di culto, d'opinione e di stampa, un'assemblea eletta assume i poteri legislativi e ad essa deve riferire il Gran Visir, capo dell'esecutivo. Gli inglesi completano il ritiro dal Medio Oriente nel giro di un decennio a causa della decolonizzazione e quando Ahmed muore nel 1954, il nuovo Sultano Osman IV, popolare eroe di guerra nei due conflitti mondiali, accetta il nuovo sistema. Oggi l'Impero Ottomano è uno stato in crescita, un'economia in rapido sviluppo grazie al petrolio, la cui unità è racchiusa nelle sue istituzioni democratiche e nella figura di Alí II, 89 anni, 45esimo Sultano e 37esimo Califfo dei Credenti. Nonostante gli occasionali atti di violenza compiuti da estremisti sunniti wahabiti, gruppi sciiti filo-persiani che non riconoscono il titolo di Califfo ad un sunnita, fanatici ebrei che pretendono la creazione di uno stato ebraico in Palestina, separatisti ellenici e neo-fascisti turchi che si ispirano ai Giovani Turchi l'Impero Ottomano è una potenza regionale è un'economia emergente, paese candidato all'Unione Europea e modello di coesistenza etno-religiosa.

.

Inuyasha Han'yō obietta:

Se le guerre balcaniche non avvengono non si creano neanche le basi per lo scoppio della WW1, che verrà rimandato.

Io propongo un POD più semplice: e se l'impero ottomano, come altre nazioni dell'epoca (Spagna, Norvegia, Svezia) si mantenesse neutrale? Dopotutto aveva appena subito una dura batosta contro l'Italia e le nazioni balcaniche, perdendo la Libia (ultimo territorio ottomano in Africa) e i Balcani.

.

Federico subito gli spiega:

Le Guerre Balcaniche non avvengono ma le sue conseguenze, cioè la spartizione delle spoglie ottomane europee, sì, per cui le cause permangono. Inoltre la Bosnia finisce comunque all'Austria nel 1878, perciò i serbo-bosniaci come Gavrilo Princip coltivano ugualmente i loro sogni irredentisti.

La neutralità non salverebbe gli ottomani, perché, come diceva Paolo, a quel punto della Storia l'impero era ormai in mano ad una cricca nazionalista turca che era destinata a far implodere l'impero, stile fanatici serbi in Iugoslavia.

.

Ecco invece la proposta venuta in mente ad Enrico Pellerito:

Forse mi sbaglio, ma credo che nessuno di noi abbia scritto finora su Pëtr (Pyotr) Arkadevich Stolypin.

Grazie a mio figlio, che ha presentato la sua tesi di laurea proprio su argomenti legati al problema agrario in Russia, affrontato sia durante l'impero zarista, sia durante il regime sovietico, nel leggere la suddetta tesi ho potuto rispolverare quanto operato da Stolypin.

In effetti molti analisti concordano sulla possibilità che l'azione "riformatrice" intrapresa da questo politico russo, nominato primo ministro dallo zar Nicola II nel luglio del 1906, avrebbe potuto cambiare il corso della Storia.

Considerare Stolypin un progressista non è, comunque, del tutto corretto; la legge agraria del 9 novembre 1906, ad esempio, mirava certamente a risolvere l'annoso problema della proprietà terriera, che affliggeva da secoli i contadini russi non possidenti, ma lo faceva in un'ottica para-feudale, consentendo, ad ogni modo, la possibilità di acquisire a prezzi abbordabili e tramite finanziamenti garantiti dall'autorità imperiale, terre che la stragrande maggioranza dei contadini non avrebbero mai potuto acquisire con le loro sole forze.

Stolypin aveva compreso che i sudditi dello Zar, per più del 90% contadini, aspiravano ad un miglioramento sociale che vedeva la proprietà terriera come obbiettivo primario e finale dei loro sforzi.

Onde evitare che ciò potesse sempre più venire strumentalizzato dai movimenti rivoluzionari, bisognava flemmatizzare le ambizioni offrendo progressivamente quanto desiderato, senza per questo produrre sconvolgimenti sociali. Una bella sfida, che aveva però iniziato a dar i primi frutti, sebbene non nella misura sperata.

Parallelamente all'azione nelle campagne, Stolypin rivolse la sua opera verso l'industrializzazione del paese, la realizzazione di infrastrutture e di vie di grande comunicazione, come l'impulso che diede alla ferrovia transiberiana, in costruzione sin dal 1891.

Tutto ciò cercò di farlo impedendo, per quanto gli fu possibile (e in buona parte ci riuscì creandosi, però, grandi nemici) alla finanza internazionale di investire propri capitali in queste opere, rischiando così una possibile sudditanza economica della Russia.

Nicola II aveva visto giusto nel nominare Stolypin a capo del governo; se questi avesse potuto portare a termine i progetti politici intrapresi, avrebbe certamente influenzato le condizioni perché si evitasse una nuova rivoluzione come quella del 1905.

Stolypin infatti disse "....date al paese dieci anni di calma e voi non riconoscerete più la Russia."

Forse dieci anni sarebbero stati troppo pochi per riuscire a dare a tutto l'impero un'impronta diversa: giustizia sociale, un più accentuato benessere tale da poter sottrarre vasti strati della popolazione all'indigenza, una scolarizzazione più ampia, un contenimento della pressione sovvertitrice. Ma a prescindere che la sua morte (il 18 settembre 1911 ad opera di Dmitrij Grigor'evic Bogrov, alias Mordechaj [Mordka] Gerškovic) impedì la prosecuzione della regia di questo abile e lungimirante politico, lasciando ai successori l'onere di un progetto che non furono in grado di sviluppare con la stessa progressione, Stolypin avrebbe veramente potuto impedire che il primo conflitto mondiale scatenasse a sua volta la rivoluzione del 1917 in Russia?

La "blasfema" alleanza tra i rivoluzionari (che correttamente ritenevano quelle riforme in grado di stemperare lo spirito ribelle del popolo, in virtù dei graduali e nel tempo crescenti miglioramenti economici che ne avrebbero attenuato il malessere) e gli ambienti della grande finanza internazionale, anche massonica, che si vedevano privati della possibilità di fare grandi affari nella "costruzione" di una Russia moderna e industrializzata, armò la mano dell'assassino di Stolypin.

Il comune scopo tendeva, dunque, ad eliminare l'uomo senza altre opzioni, e se anche Bogrov/Gerškovic; avesse fallito, altri tentativi sarebbero stati fatti. Ammettiamo, però, che Stolypin, grazie a particolari misure di protezione e ad una buona dose di fortuna, sia ancora vivo e alla guida del governo nell'estate del 1914: basterebbe questo ad impedire la discesa in guerra della Russia zarista?

Non dimentichiamoci che anche Nicola II era contrario a farsi coinvolgere in un conflitto contro la Germania; egli stesso fece ritardare la mobilitazione e propose che Guglielmo II facesse da mediatore tra Vienna e Belgrado, ma alla fine la dichiarazione di guerra gli giunse proprio dal cugino tedesco.

Ce l'avrebbe fatta Stolypin, sopravvivendo all'attentato del 1911 e restando al governo altri tre anni, ad ottenere quanto sopra esposto, in termini di miglioramenti nell'impero?

Io credo proprio di no; avrebbe proseguito la sua opera ma in soli altri tre anni non avrebbe poi così potuto modificare le cose, tanto da evitare la disastrosa conduzione del conflitto, le offensive degli Imperi Centrali, il disagio dei militari e del popolo, stretti i primi tra il gelo, la fame e il nemico; il secondo con gli stessi problemi, tranne quello di opporsi alle baionette tedesche o austro-ungheresi (ma non certo a quelle delle stesse truppe russe inviate per sedare tumulti e rivolte che sarebbero, immancabilmente scoppiati).

Per concludere, il mio pensiero è che solo un ulteriore e prolungato periodo di pace, o meglio, di mancanza di conflitti verso l'esterno, avrebbe potuto realmente produrre ciò che Stolypin aveva progettato.

A partire dalla seconda metà degli anni Venti, ritengo si sarebbe potuto vedere un impero zarista solido e proiettato verso un futuro senza più paventare sommovimenti rivoluzionari di ampia portata. Ma fu proprio la guerra, oltre e ancor più dell'assassinio di Stolypin, che impedì tutto ciò.

.

Vi è poi l'ucronia immaginata da MorteBianca:

Propongo una vittoria conservatrice su tutti i fronti, anche se premetto che io non sono affatto fascista. E’ un’ucronia anche letteraria, se vogliamo.

Crispi mantiene il governo, non invade l’Etiopia e prosegue nella repressione delle rivolte socialiste, la destra nazionale torna in auge sotto il suo controllo.

Con Pelloux (che questa volta non sarà ultracentenario, purtroppo) si ha il famoso “ritorno allo statuto”, in questa timeline la sinistra, divisa nelle sue correnti interne fra rivoluzionari e moderati, non riesce a costituire un fronte unito, anche per via della neutralità dei repubblicani.

Mentre il governo è in mano alla sua parte più reazionaria, e il Re inizia ad accentrare nuovamente potere attorno alla sua figura, si ha l’invasione, voluta da Crispi, della Libia ottomana, a seguito della vittoria italiana si crea un grande fervore nazionalistico, ancora non “accentrato” in nessuna corrente politica.

Enrico Corradini fonda il giornale “Il Regno d’Italia”, e successivamente crea l’Associazione Nazionalista Italiana, di idee conservatrici e patriottiche, molto vicina al governo di destra filo borghese-militare di Crispi-Pelloux, ed inizia a raccogliere i primi consensi.

Giovanni Verga, un nobile catanese, prosegue la sua raccolta di novelle, ma è con il Ciclo dei Vinti che si ha l’exlpoit di natura sociale, il primo romanzo infatti, I Malavoglia, tratta di una famiglia molto povera di pescatori (anche se, all’inizio del romanzo, stavano per ottenere un matrimonio con un ricco possidente terriero e stavano abbastanza bene), sostanzialmente proletariato rurale, che attraverso le sue sventure dilapida un patrimonio e l’unità della famiglia viene disintegrata dal mondo moderno portato dall’Unità (guerre, dazi doganali, ma semplicemente la visione di un mondo oltre il regno). Verga, di idee conservatrici, sosterrà Enrico Corradini e si iscriverà all’Associazione Nazionale Italiana.

Verga scrive Mastro Don Gesualdo, dove questa volta abbiamo un borghese che, dopo aver accumulato un enorme patrimonio, in maniera simile a Mazzarò, riesce ad ottenere un matrimonio con una duchessa, saltando allo status sociale più elevato, ma attirandosi in questo modo l’odio dei parenti, dei nobili, dei borghesi, del popolo e alla fine della sua stessa moglie e della figlia, e vedrà, ancora una volta, il patrimonio dilapidato e morirà solo e dimenticato, Verga dimostra il suo “attaccamento” alla Borghesia, ma mostra anche come anche questa non sia sfuggevole al fato materialistico e alla sfortuna.

Verga questa volta non ha la crisi creativa e prosegue con il suo Ciclo dei Vinti, il nuovo romanzo, la Duchessa di Leyra, tratta della figlia di Mastro-Don Gesualdo, che è nobile ma che attira su di se i pettegolezzi e gli odi della nobiltà per le origini di suo padre, inoltre viene mostrata la decadenza della classe nobiliare, la loro inutilità parassitaria (in maniera che ricorda molto le commedie di Goldoni e Parini) ed anche la Duchessa di Leyra, per il proprio sfarzo, per l’etichetta richiesta alla nobiltà e il resto, finisce per dilapidare il proprio patrimonio e concludere un matrimonio infelice.

Quarto romanzo del Ciclo dei Vinti, l’Onorevole Scipioni, il quale, figlio della Duchessa di Leyra, è preso questa volta dall’ambizione e intraprende la carriera politica, ma negli intrighi della politica, nella salita verso il potere, nelle riforme controverse, nello scontro con il socialismo (qui per la prima volta apertamente menzionato) finisce anch’egli per perdere di vista la propria famiglia e se stesso e divenire schiavo dell’ambizione, fino a rovinarsi, cadere in disgrazia e morire, dimenticato da tutti. Il romanzo pare fosse dedicato a Enrico Corradini nella sua figura di politico in ascesa.

Ultimo romanzo del ciclo dei vinti, l’Uomo di Lusso, figlio dell’Onorevole Scipioni, che riunisce tutti i desideri descritti nei precedenti romanzi, egli è infatti figlio di una persona potente (ma controversa) e ricerca il guadagno, il potere, l’elevazione sociale nella classe aristocratica ed il piacere stesso, si circonda di belle donne, persone dell’alta nobiltà, intraprende la carriera politica come il padre divenendo una figura molto importante nella scacchiera politica, è un amante della letteratura e dell’arte, ma il suo castello di cristallo finisce per crollare, e di nuovo nello stile del Ciclo dei Vinti, quando la sfortuna lo colpisce, e ciò, unito al fatto che non ha consolidato mai un’amicizia che non fosse d’interesse, un amore che non fosse di natura sessuale e che per lui i suoi figli altro non erano che mezzi di potere egli finisce infine per cadere in disgrazia, per poi morire. Pare che l’Uomo di Lusso fosse dedicato ad una nascente figura letteraria italiana, anch’egli conservatore, nobile e scrittore, ovvero il fino ad allora sconosciuto Gabriele d’Annunzio.

D’Annunzio, un nobile scapestrato, amante delle donne e dell’arte, inizia a scrivere poco prima della pubblicazione della Duchessa di Leyra con “Il Piacere”, i suoi romanzi sono fortemente influenzati dal superomismo di Nietzsche, dal decadentismo di Baudelaire, dall’estetismo di Oscar Wilde e in generale è abbastanza vicino al filone epico-classicistico tradizionale della cultura greco-romana, d’Annunzio è sostanzialmente il divo di se stesso, i suoi eroi sono ricalcati su di lui, e lui vive come ama descriverli, i suoi eroi sono presi dalla malattia decadente, ma vengono poi “scossi” e presi dal superomismo, dalla volontà di potenza e di accentramento, ricorrente è il desiderio della riconquista dell’Impero.

A differenza della nostra timeline, qui egli completa le sue tre trilogie (e il famoso sequel alle Vergini delle Rocce viene scritto, il discendente dell’unione fra il protagonista e la nobildonna “decadente” borbonica invece della donna pura (D’Annunzio si mantiene decadentista fino all’ultimo con una relazione extraconiugale) che sarà il futuro “Figlio di Roma”, nasce quindi un ciclo familiare con una trama abbastanza monotona: Origini nobiliari del protagonista, discendente del protagonista del romanzo precedente e una delle sue amanti, vita decadente ed estetica, risveglio supero mistico, trionfo o morte a seconda dei casi. Nel suo ultimo romanzo egli descrive il figlio di niente poco di meno che il figlio del Re d’Italia, che sfugge al clima di corte e si arruola nell’esercito (incontrando i personaggi dei romanzi futuristici di Marinetti) e compie grandi imprese nei vai fronti, fino all’instaurazione dell’Impero e la sua espansione.

Gentile forma il “Partito degli Intellettuali” di ispirazione Hegeliana.

Il Futurismo a seguito del trionfo del conservatorismo, ha ottenuto un grande successo e la pubblicazione di molte opere, Marinetti in particolare scriverà molte più opere, fra cui il famoso “manifesto futurista” a cui segue la nascita di un vero e proprio partito politico, anch’esso reazionario. Nei romanzi del ciclo futurista, tutti di ispirazione più o meno d’Annunziana (anche se quasi contemporanei ai suoi ultimi lavori) ci si libera delle ultime escrescenze decadenti e si passa alla pura azione militare.

Il Partito Futurista, il Partito degli Intellettuali, l’Associazione Nazionalista Italiana con l’appoggio di d’Annunzio, Corradini, Verga e Pirandello, si uniscono in un unico partito: il Partito Nazionalista Italiano, che ha un grande successo alle elezioni e si coalizza con la destra nazionale (ex Crispi/Pelloux) e con i cattolici di destra di Gentiloni.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’Italia entra in guerra con l’Alleanza sotto pressione del governo di destra, questo contribuirà ad impegnare i Francesi sul fronte alpino e condurrà alla loro più celere capitolazione, aiutata dalla capitolazione anche dell’Impero Russo per la rivoluzione bolscevica.

Alle trattative di pace l’Italia ottiene di nuovo Nizza e Savoia, ma nei trattati era stata richiesta anche la Corsica (a maggioranza italofona) anche se non per iscritto e, per l’entrata in guerra causata dall’ingerenza austriaca in Serbia (e quindi l’Italia non era tenuta ad intervenire) si era chiesto, anche se non per iscritto, la Venezia-Giulia e il Trentino (concesso), ma Wilson, con i suoi 14 punti che valono comunque in questa timeline in quanto egli fa da mediatore, esclude ambo le richieste: quella Corsa perché non è stata messa per iscritto, e quella della Venezia-Giulia perché vi è una forte presenza tedesca, nasce il mito della vittoria mutilata e delle terre irredente.

D’Annunzio procede all’arruolamento di una legione di volontari da tutta Italia ed occupa, per vendetta, la Venezia Giulia fino a Fiume, questa volta il governo italiano lo appoggia, ma alla voce grossa di Germania, Inghilterra e Austria si giunge alle trattative: la Venezia-Giulia viene ceduta, Fiume diventa città libera.
Benito Mussolini fonda i Fasci di Combattimento.

I Fasci di combattimento, contrastando le Leghe Rosse (comuniste-socialiste) e quelle Bianche (Cattoliche) si affermano e hanno un’enorme successo.

Alle elezioni i Fasci di Combattimento si presentano insieme al Blocco nazionale (Destra Nazionale-Partito Nazionalista-Fasci di Combattimento) appoggiato dal Re, e vincono le elezioni.

Con la fusione dei tre partiti nasce il Partito Nazionale Fascista, che inizia ad accentrare il potere nelle proprie mani. Fondata l’Internazionale Fascista, da qui a Hitler il passo è breve.

.

Tommaso Mazzoni tuttavia gli fa notare:

Secondo me in questo scenario non ci sono i presupposti per la nascita del Nazismo, perchè il Kaiser Wilhem rimane saldamente al potere, e la Germania è vincitrice; Al massimo, è la Francia a cadere vittima di un totalitarismo.

.

MorteBianca prova a correggere il tiro:

Adolf Hitler, proprio come Mussolini (che era anti-monarchico e anticlericale) scende a compromessi, il Nazionalsocialismo è un movimento monarchico e nobiliare (molti suoi fondatori lo erano del resto) oppure dopo la presa di potere il kaiser fugge. Ci vedo benissimo Italia, Germania, Austria-Ungheria e Giappone alleate nella Seconda Guerra Mondiale perchè accomunate dal fascismo.

.

Tommaso però è irremovibile:

Ricordati che gli Hoenzollern non sono i Savoia-Carignano; è improbabile che il vecchio Guglielmo II ceda troppo potere ad Hitler. Come è improbabile che il grosso dell'esercito tedesco sposti la sua fedeltà dal Kaiser al Führer: la Wermacht era composta, anche nella nostra Timeline, da molti ufficiali ostili a Hitler, nondimeno obbedienti al Führer in quanto capo dello Stato. Ma in uno scenario di coabitazione, la loro fedeltà è al Kaiser; non permetterebbero mai un colpo di stato contro Guglielmo II, e, quando nel 1940 Guglielmo II muore, salirebbe al trono Wilhelm, Guglielmo III, nella nostra timeline convinto anti-nazista. Insomma, secondo me la vittoria della Germania rende impossibile l'ascesa di Hitler; gli manca il terreno su cui attecchire.

.

Passiamo ora alla proposta di Lord Wilmore:

Di solito la scoperta degli antibiotici è attribuita ad Alexander Fleming. Pochi sanno che già nel 1895 il medico napoletano Vincenzo Tiberio, che proprio in quell'anno è stato nominato assistente ordinario dell'Istituto di Igiene dell'Università di Napoli, aveva intuito l'esistenza della penicillina. Per di più, Fleming fu aiutato dalla fortuna (tornato dalle vacanze, il 3 settembre 1928 scoprì che una coltura di stafilococchi era stata casualmente infestata e distrutta da una muffa del genere Penicillium); quella di Tiberio fu invece un'intelligente deduzione.

Quando infatti si era iscritto alla facoltà di Medicina a Napoli, egli era andato a vivere in casa degli zii Guarnieri ad Arzano, dove l'acqua era fornita da un pozzo, ed aveva osservato che quando il pozzo veniva ripulito si verificavano in famiglia casi di dissenteria, mentre tutti restavano in buona salute se le pareti del pozzo erano ricoperte di muffa. Avendo intuito che le muffe contrastavano i batteri i quali infestavano l'acqua, Vincenzo Tiberio iniziò i primi esperimenti, utilizzando anche il Penicillium glaucum, ma purtroppo in seguito abbandonò la ricerca per dedicarsi alla carriera militare. E se invece prosegue gli studi in quel senso e scopre la penicillina con 34 anni di anticipo su Fleming? Come cambia ad esempio la Prima Guerra Mondiale, avendo a disposizione grandi quantità di penicillina?

.

Gli risponde MattoMatteo:

Oltre all'onore per il genio napoletano ed italiano (che non fa mai male), direi che le conseguenze principali sono due (tre, in realtà):

1a) molti soldati feriti non muoiono, aumentando il numero di soldati che possono tornare a combattere, e quindi allungando la durata della guerra.

1b) molti soldati feriti non muoiono, aumentando il numero di invalidi alla fine della guerra, il cui numero sarà già maggiore che nella nostra TL proprio per la maggiore durata della guerra.

2) la popolazione europea aumenterà molto, col conseguente aumento del colonialismo per soddisfare le maggiori richieste di cibo e denaro.

.

Chiudiamo per il momento con quest'idea di Fabio Roman:

Stavo ascoltando la replica notturna di 105&Friends su Radio 105 e dentro la rubrica CSI Milano hanno parlato del processo di Sacco e Vanzetti con relativa condanna. Gli speaker hanno però detto una castroneria quando, citando Gaetano Bresci come anarchico italiano che pochi anni prima aveva commesso un fatto molto grave, hanno detto che questo fosse l'omicidio del principe ereditario d'Austria, piuttosto che quello del nostro Re, confondendolo con Gavrilo Princip (oltretutto sono passati 14 anni tra il secondo e il primo evento).

E se invece fosse andata davvero così? Gaetano Bresci non uccide il re, che nel 1914 è ancora un settantenne Umberto I, mentre assassina Francesco Ferdinando, colpevole a sua detta di opprimere i popoli del suo impero impedendone l'autodeterminazione, e in particolare, in una personale quanto discutibile interpretazione della tematica irredentista, i trentini e i giuliani. L'Austria risponde nello stesso modo con cui ha risposto alla Serbia nella nostra timeline: a parole disposta a trovare una soluzione pacifica, ma presentando nei fatti richieste inesaudibili, e la richiesta imprescindibile di permettere alla polizia austriaca di svolgere indagini in territorio italiano non può venire accettata da Roma, portando inevitabilmente allo scontro. Il "re mitraglia" si trova una guerra tra le mani, che - considerata la sua posizione sempre accondiscendente nei confronti degli austriaci - non sa come affrontare, mentre gli austriaci si limitano ad occupare una zona di confine comprendente Udine, ma la linea sul Tagliamento regge, e gli austro-ungarici non sembrano nemmeno intenzionati ad investire troppo su di una guerra di posizione (in questa linea temporale le altre potenze perlomeno all'inizio ne stanno fuori, la guerra non diventa subito totale, e c'è il modo di rendersi conto che la guerra diventerebbe inevitabilmente di logoramento).

D'altro canto la Germania resta neutrale, essendo stata alleata con entrambe nella Triplice, mentre Francia, Gran Bretagna e Russia per ora stanno a vedere. Nell'estate 1915 la situazione non è cambiata: le altre potenze non vogliono logorarsi, al fronte italo-austriaco si continua a combattere ma senza risultati di rilievo, e negli ambienti di corte a Vienna prende sempre più piede l'ipotesi di accettare un consistente risarcimento come riparazione di guerra e di ritirarsi dalla provincia di Udine, ritornando senza troppo baccano alla situazione precedente l'omicidio.

Che succede? La Russia potrebbe interpretare questa mossa come un segno di debolezza e lanciarsi nel sogno panslavista attaccando la duplice monarchia da est, rivoluzione comunista o meno? E in caso di particolare successo russo, magari dopo un anno o due, l'Italia potrebbe rimangiarsi quanto accordato, per esempio con un pretesto, e buttarsi su Trento e Trieste? La Francia potrebbe approfittare del caos e della rottura della Triplice Alleanza per occupare Tenda come gli spetterebbe di diritto dal 1860 (e come nella nostra timeline hanno ottenuto soltanto nel 1947)? Cosa farà la Germania a questo punto, con i due alleati precedenti almeno per un po' di tempo impossibilitati a riconciliarsi in un patto di mutua difesa? E come prosegue la politica italiana?

Un solo anno di guerra non dovrebbe essere sufficiente a scombussolare la situazione portando al nostro dopoguerra, oltretutto non c'è nemmeno il discorso della vittoria mutilata, si è combattuta una guerra difensiva nemmeno troppo logorante e le cose ora riprendono il loro corso, prosegue il solco tracciato da Giolitti, magari con il voto alle donne già negli anni venti?

Discorso diverso naturalmente in caso di nuova guerra per le terre irredente: in tal caso oltretutto la Germania potrebbe prendere le parti di un'Austria pugnalata alle spalle e dichiarare guerra a sua volta all'Italia, portando magari anche Francia e Gran Bretagna in un conflitto da cui, pur sapendo ormai sarà molto duro, non potranno più tirarsi indietro. In questo caso, pur probabilmente con una Russia meglio piazzata e che evita la rivoluzione rossa, le cose non andranno troppo diversamente che nella nostra storia: magari pure in questo caso l'Italia e l'Intesa vincono al prezzo di milioni di morti, Roma ottiene Trento, Trieste, Pola e Zara, ma la parte di Dalmazia e Balcani sulla quale speravano di mettere le mani gli italiani finisce in mano russa o comunque filorussa, e la vittoria viene percepita come mutilata, portando alla nascita di un fascismo prettamente anti-slavo e anti-russo. Così venti anni dopo il Mussolini di turno dichiarerà subito guerra ad est invece di farlo ad ovest, nonostante un patto di non aggressione tra la Germania nazista (anche in questa timeline punita eccessivamente per le sue colpe di guerra) e la sfera d'influenza russa, che comprende gran parte di quello che noi conosciamo dal nostro secondo dopoguerra come blocco sovietico, senza una Cecoslovacchia ceduta ai tedeschi alla luce di una politica almeno per il momento fondata sull'appeasement, ma con buona parte della Jugoslavia compresa. Questa sfera d'influenza è molto grande e difficile da gestire, oltretutto non tutti i popoli slavi sono così soddisfatti della "protezione" di Mosca, senza dimenticare la componente italiana presente specialmente sulla costa, le prime azioni italiane riscuotono pertanto un discreto successo, riuscendo a conquistare una certa parte delle terre al di là dell'Adriatico, ma poi che accade?

.

Se volete partecipare al dibattito, scriveteci a questo indirizzo.


Torna indietro