Il Secondo Dopoguerra, 1950 -2000

di Demofilo

Mondine in Lomellina, anno 1950 (foto fornita da Liutprand)

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Proemio: La fine della Guerra Fredda

Nell’anno del Signore 1950 il mondo festeggiava il Giubileo indetto da Papa Pio XII; tanto era cambiato rispetto all’immediato dopoguerra.

Innanzi tutto era terminata la dittatura comunista in Russia: Stalin e la sua cricca erano stati deposti da una congiura organizzata da Bucharin, leader storico della Rivoluzione d’Ottobre che Stalin aveva cercato di eliminare durante l’esilio in Cina, e da un gruppo di esponenti democratico liberali e monarchici che riuscirono a rimettere sul trono lo zar Nicola II e i Romanov, che erano riusciti a salvarsi alla sicura morte per mano sovietica. Il presidente Truman incontrò ufficialmente Bucharin e lo zar a Yalta il 5 febbraio 1950, insieme al neopresidente dell’Europa Unita e primo ministro italiano De Gasperi. Al termine dell’incontro fu stilato una trattato che confermava la fine dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e del blocco orientale, l’annullamento del precedente “Patto di Yalta” che prevedeva la spartizione dell’Europa e la fine del cosiddetto “bipolarismo mondiale”.

“La stabilità e la pace del mondo” recitava il documento “saranno garantite dall’Organizzazione Internazionale delle Nazioni Unite e da una forza militare multinazionale che aveva appunto l’obbligo di intervenire in caso di crisi e di pericolo per regimi democratici nel mondo”.

La Guerra Fredda era finita.

 

Gli Stati Uniti d’America: dalla Guerra Fredda alla lotta contro il terrorismo internazionale

 

La nuova Dottrina Truman

Con la fine dell’Urss finiva anche il cosiddetto “pericolo rosso” e lo “scontro freddo” tra Est ed Ovest. Il presidente degli Stati Uniti Harry Truman decise quindi di correggere la propria linea politica, secondo la quale gli Usa avevano il diritto-dovere di intervenire dove la democrazia era in pericolo: era necessario un disgelo e il rafforzamento dell’Onu, strumento che doveva svolgere il lavoro che la vecchia Società delle Nazioni aveva fallito. Parallelamente ad una politica estera dove gli Stati Uniti aveva creato con l’Europa Unita e con la Russia neozarista un’alleanza che puntava a difendere le prerogative delle Nazioni Unite, la politica interna fu caratterizzata dal cosiddetto “governo dello sviluppo” individualizzato nel mantenimento del libero mercato e la costruzione del primo Welfare State dialogando con i grandi industriali e le organizzazioni sindacali. Nel 1952 Truman riuscì a farsi rieleggere battendo il generale Dwight Eisenhower, candidato dai repubblicani, e il secondo mandato fu caratterizzato dalla lotta contro l’eversismo dei movimenti reazionari, conservatori e razzisti: da ricordare l’arresto, nel 1954, e la successiva condanna a morte del senatore repubblicano Joseph McCarthy, leader del Ku-klux-klan. Vanno ricordati poi i trattati contro il proliferarsi della produzione di bombe atomiche, formato da Truman, De Gasperi e Bucharin a durante la Conferenza di Roma nel 1955.

 

Kennedy e la nuova frontiera della democrazia americana

Nel 1955, la convention del partito democratico nel Vermont decise di candidare per le elezioni del 1956 il giovane John Fitzgerald Kennedy. Kennedy, cattolico economista di origini irlandesi, si presentò al paese come il rinnovamento che poteva continuare il processo di pacificazione intrapreso da Truman; e infatti riuscì a battere il repubblicano Richard Nixon e divenne presidente. Le opere più importanti fatte da Kennedy furono: la risoluzione delle tensioni in Vietnam dopo il ritiro del contingente francese, la firma del trattato di amicizia e di reciproca intesa con Cuba, la lotta contro le dittature autoritarie in Sud America e l’approvazione della legislazione civile e sociale in difesa degli statunitensi di colore. A Cuba infatti nel 1958 una rivolta capeggiata dal giovane avvocato cubano Fidel Castro aveva fatto cadere la dittatura del generale Battista ed era stata proclamata la repubblica. Ma la rivoluzione era stata “esportata” da Ernesto Che Guevera, medico argentino e amico di Castro, nell’America centrale e meridionale con la conseguente caduta di regimi e dittatori e la nascita di regimi democratici. Kennedy aveva deciso di incontrare subito Castro e, la firma del trattato sopraccitato rappresentò una nuova linea che Washington imponeva al continente americano: la lotta cioè contro i regimi autoritari e antidemocratici, per la libertà e la democrazia e la lotta alla povertà e allo sfruttamento. Per quanto riguarda invece la questione razziale, Kennedy decise di istituire una commissione federale, presieduta da Martin Luther King Jr con Malcom X segretario amministrativo che stilò il “Manifesto dell’Uguaglianza e della Libertà”. Nel 1960 Kennedy sarebbe stato riconfermato alla guida della Casa Bianca: il partito dei democratici a stelle e strisce governava gli Stati Uniti d’America da più di vent’anni.

 

Gli anni Sessanta e la contestazione giovanile

Nel 1964 i repubblicani riuscirono a riprendersi la Casa Bianca con Nixon e in parte continuarono l’opera di Kennedy, in parte cercarono una riedizione della “prima dottrina Truman”. In Africa infatti erano diffuse le repubbliche, nate dalla decolonizzazione, che si erano orientate verso l’Europa e Nixon, con il pretesto della salvaguardia della democrazia, decise di invadere la repubblica di Liberia, storicamente sempre vicina a Washington, che però aveva eletto presidente Wolge Tolbert, filoeuropeista. Fortunatamente però il conflitto, scoppiato con il bombardamento di Monrovia la sera del 7 ottobre 1966, durò una settimana: il segretario di Stato Henry Kissinger e il presidente Tolbert firmarono la fine dei combattimenti durante la conferenza di pace di San Pietroburgo, alla presenza dello zar Alessio II, del primo ministro russo Jurij Andropov e del presidente dell’Europa Unita Valery Giscard d’Estaing. Il mandato di Nixon si concluse purtroppo con due scandali: la scoperta di una rete di spie che controllavano i cittadini statunitensi violando la privacy e lo scandalo Watergate ai danni del partito democratico. La contestazione, soprattutto giovanile nata anche dal nuovo piano di riarmo annunciato da Nixon, durarono fino al 1968.

 

Dall’era di Carter alla rivoluzione di Reagan

Nel 1968 il democratico Jimmy Carter sconfisse Gerald Ford, candidato repubblicano, e divenne presidente. Carter per prima cosa dovette risistemare la politica estera statunitense: durante i quattro anni della presidenza Nixon infatti erano sorti forti attriti con l’Europa e la Russia, preludio forse di una possibile guerra fredda che fortunatamente non ci fu. Ad ogni modo Carter, con la Conferenza Atlantica di Lisbona del 1969 riedificò l’intesa a tre e ribadì l’importanza per una politica della stabilità e della pace. Parole queste che furono accolte bene da Giscard d’Estaing e da Andropov. Importante passo avanti fu l’opera di assistenza alle popolazioni dell’Africa: la famosa “campagna Carter” garantì al continente nero la costruzione di un’assistenza medica e sanitaria per combattere soprattutto l’HIV. Nel paese intanto si manifestarono alcuni malumori riguardanti lo sviluppo economico; il sistema infatti rischiava la saturazione completa. La manovra della “parità strategica” e il nuovo impegno statuale superò la saturazione nell’autunno del 1971 e l’opera di Carter gli garantì la rielezione nel 1972. Alle successive consultazioni vinsero però i repubblicani e Ronald Reagan divenne presidente. La sua presidenza passò alla storia come la “rivoluzione a stelle strisce”: nel giro infatti di otto anni gli Stati Uniti fecero un’autentica inversione di tendenza dal punto di vista politico, economico e sociale. In primo luogo nella politica estera Reagan decise di smarcarsi dagli accordi precedentemente presi e famoso su lo “scambio di vedute” che l’inquilino della Casa Bianca ebbe con il presidente dell’Europa Unita, il tedesco Willy Brandt sulla possibilità di un riarmo nucleare in funzione antiraniana. Durante infatti la sua presidenza abbiamo la “crisi di Teheran” e la completa nazionalizzazione delle agenzie petrolifere iraniane, tale decisione fece venire i capelli bianchi a Reagan. L’Imperatrice Soraya infatti aveva stretto un patto con Enrico Mattei, neodirettore generale dell’Ente Europeo Idrocarburi, che assicurava solo al governo europeo prezzi speciali per l’acquisto dell’oro nero. Ad ogni modo furono lo stesso Brandt e il primo ministro russo Michail Gorbacev a risolvere la diatriba. Dal punto di vista della politica interna Reagan decise di avviare una nuova politica economica basata sull’assenza dello stato nell’economia, una riduzione dei servizi del Welfare State e una dottrina liberista pura. Questa scelta inizialmente fu estremamente popolare e confermò a Reagan la rielezione nel 1980 ma successivamente si manifestarono attristi e contestazioni da parte dei sindacati, degli studenti e del ceto medio. Il cosiddetto neoliberismo conservatrice di Reagan sarebbe però stato esportato anche nel vecchio continente con parecchie sorprese e numerose conseguenze.

 

La staffetta democratica Clinton-Gore-Kerry

Nel 1984, dopo dieci anni di amministrazione Reagan, le elezioni presidenziali furono vinte dal giovane democratico Bill Clinton che agli statunitensi aveva ribadito il valore del pensiero keynesiano esposto da Roosevelt, da Truman, da Kennedy e da Carter. La sua azione politica era rivolta soprattutto all’economia poiché la ricetta reganiana aveva cominciato a evidenziare gli errori madornali del neoliberismo sfrenato mentre la diplomazia puntava ad una ricucitura delle alleanze con Europa e Russia. La strategia dell’”amministrazione comune e solidale” inaugurata da Clinton durante l’incontro con il presidente dell’Europa Unita Felipe Gonzales e il primo ministro russo Boris Eltsin a Boston nella restaurata Conferenza Atlantica fu subito adottata nel conflitto in Medio Oriente scatenato dal dittatore iracheno Saddam Hussein contro l’Iran. In quella sede infatti, dopo una settimana di bombardamenti su Bagdad, un commandos multinazionale dell’Onu riuscì ad arrestare il dittatore, il quale sarebbe stato giudicato dal Tribunale Internazionale per crimini contro l’umanità. Nel 1988 Clinton annunciò alla convention democratica di Altlanta la sua impossibilità per un secondo mandato e fu allora scelto il suo fido secondo, Al Gore che riuscì a superare il governatore del Texas George Busch, capitato dei repubblicani. Gore governò per ben dieci anni gli Stati Uniti continuando l’opera del predecessore e riprendendo le iniziative umanitarie di Carter, tra cui la famosa “People for Africa” che sarebbe stato il suo cavallo di battaglia delle presidenziali del 1992, vinte con una largo margine sul repubblicano Colin Pauel. Ma nel 1996 Gore fu nominato segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il partito democratico candidò il governatore del Vermont John Kerry che riuscì a spuntarla sul magnate del petrolio, il repubblicano George W. Busch. Durante il suo mandato sono da ricordare la politica estera basata su operazioni antiterroristiche, come ad esempio l’arresto del terrorista islamico Osama Bin Laden e lo smantellamento della rete terroristica da lui costruita in Afganistan.   

 

 

La Comunità dell’Europa Unita: dall’Europa dei Sette all’Euro

 

De Gasperi e la sfida europea

Con la nascita nel 1949 dell’organizzazione dell’Europa Unita, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la Repubblica Francese, il Regno d’Italia, la Repubblica Federale Unita Tedesca, il Regno del Belgio, il Regno dei Paesi Bassi e il Granducato del Lussemburgo avevano deciso di avviare i propri destini verso una federale Europa dei Popoli e della Nazioni, “Una grande patria di pace e di armonia” come aveva detto De Gasperi durante il terzo anniversario della nascita della Comunità. Durante la prima legislatura europea il primo ministro italiano completò l’abbattimento delle dogane tra i paesi europei, varò la costruzione simmetrica del nuovo Stato Sociale Europeo, attuò la prima riforma scolastica ed universitaria comune, lanciò il piano per la costruzione di un tunnel sotto la Manica e di una serie di infrastrutture che dovevano unire il continente, inaugurò la stagione del nuovo eurocentrismo dove l’Europa ritornava ad essere protagonista delle scelte del mondo insieme agli Usa e dalla Russia. Nel 1954 il Consiglio di Presidenza della Comunità dell’Europa Unita chiese all’unanimità la rielezione di De Gasperi alla presidenza ma quest’ultimo rifiutò per motivi di salute. Al suo posto andò il tedesco Konrad Adenauer che continuò l’opera di De Gasperi.

 

Il decennio Adenauer

Konrad Adenauer, cancelliere tedesco e leader dell’Unione Democratica Cristiana Tedesca, sostuitì De Gasperi e nei dieci anni di presidenza dell’Europa Unita. Durante i due mandati, dal 1954 al 1964 continuò il processo interno di integrazione e iniziò un allargamento che avrebbe coinvolto altre realtà. Nel 1958 in seguito alla “rivoluzione delle croci” era caduto il regime di Franco e il governo di unità nazionale di Madrid, composto da cattolici e socialisti, presieduto dal vecchio Manuel Azana aveva avuto un colloquio con Adenauer dopo il quale si aprì l’iter per l’adesione della Spagna alla Comunità dell’Europa Unita, ufficializzata nel 1960. Lo stesso percorso avvenne in Portogallo dove una rivolta di ambienti progressisti dell’esercito diedero fine alla dittatura di Salazar, nell’estate del 1962. Ma nello stesso autunno una rivolta popolare, coordinata dal socialista Mario Soares, fece cadere la “giovane” giunta militare di Lisbona e proclamò la repubblica. Nel 1964, dopo un lungo procedimento e numerose obbiezioni, il Portogallo aderì all’Europa Unita. Discorso diverso invece per la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia e l’Islanda le quali già nel 1952 avevano stretto un accordo interno denominato Consiglio del Nord e successivamente tale organo aderì alla Comunità nel 1957. Và poi ricordata l’istituzione dell’Ufficio Europeo per il Coordinamento delle Politiche Economiche, detto anche Ufficio Adenauer, e il piano per la ricostruzione avallato dall’Europa verso il Vietnam e Cuba.

 

Da Giscard d’Estaing a Gonzales

Nel 1964 il Consiglio di Presidenza della Comunità dell’Europa Unita scelse il francese Valery Giscard d’Estaing, ex-partigiano e fondatore del Movimento Popolare Repubblicano Francese. Giscard d’Estaing dovette affrontare la cosiddetta “crisi africana” del 1966 e riuscì a mediare una situazione che stava per scoppiare da un momento dall’altro. Durante il suo primo mandato la Repubblica Cecoslovacca e l’Austria decisero di aderire all’Europa Unita e fu istituito il Consiglio Europeo per la Ricerca Scientifica la cui sede fu individuata nel palazzo di via Panisperti, a Roma, dove negli anni Trenta Enrico Fermi aveva studiato la fissione atomica. Nel 1969 Giscard d’Estaing fu riconfermato, ma nel 1970 dovette dare le dimissioni per ragioni famigliari. Durante l’ultimo anno di presidenza aveva ricostruito l’intesa con gli Stati Uniti e con l’amministrazione Carter. Successe il tedesco Willy Brandt, il sindaco socialdemocratico di Berlino che aveva riunificato la capitale tedesca nel 1949. Brandt era stato poi eletto cancelliere della Germania Unita e nel 1970 fu scelto alla presidenza della Comunità; i suoi cinque anni da presidente sono importanti poiché egli riuscì a fermare la politica statunitense che con Reagan aveva avviato la produzione di nuove bombe atomiche in funzione antiraniana. Nel 1975 alla presidenza era stato scelto il primo ministro cecoslovacco Alexander Dubcek, leader del Partito dei Contadini Cecoslovacchi e la sua politica garantì una maggiore integrazione tra i paesi europei: nacque ufficialmente nel 1979 un Parlamento Europeo eletto a suffragio universale dai sedici paesi membri. Lo stesso anno chiesero di entrare la Polonia, l’Irlanda e la Bulgaria. Nel 1980 a sostituire Dubcek ci fu la britannica Margaret Thatcher, esponete del Partito Conservatore Inglese, la quale durante la sua presidenza non accettò la richiesta di adesione dei nuovi paesi. Nel 1983, durante una dura discussione al Parlamento Europeo, la Thatcher rassegnò le dimissioni e dopo un anno fu scelto lo spagnolo Felipe Gonzales, uno dei fautori della “rivoluzione delle croci” e fondatore del Partito Socialista Spagnolo. Gonzales coordinò l’operazione militare contro l’Iraq nel 1986 e la successiva ricostruzione del paese grazie ad una cooperazione tra l’Onu e organizzazioni non governative battenti bandiera europea. Nel 1988 fu riconfermato; va ricordata l’adesione della Polonia, della Bulgaria, della Federazione Jugoslava, della Grecia e dell’Irlanda. Era l’Europa dei ventuno.

 

Il Sistema Monetario Europeo e l’Euro

Nel 1993 alla presidenza dell’Europa Unita fu scelto l’italiano Mario Segni, esponente del Partito Popolare e fervente europeista. Egli presiedette la Conferenza Europea di Bruxelles che determinò la nascita del Sistema Monetario Europeo e l’adozione di una moneta unica europea, l’Euro. Fu fondato poi il Consiglio di Giustizia Europa, con sede a Lussemburgo, e la Commissione Permanente sull’Immigrazione. Nel 1998 Segni annunciò la nascita ufficiale dello Sme e lo stesso anno diede le dimissioni per la fine del mandato e la nomina a Governatore della nuova Banca Centrale Europa, con sede a Francoforte. Nuovo premier europeo divenne Tony Blair, primo ministro inglese e leader del Partito Laburista Britannico. Durante la sua presidenza avviò le trattative per l’adesione dell’Ucraina e della Repubblica Baltiche. Nel 2000 entrò in vigore l’Euro, e per questo Blair fu soprannominato “Mister Euro”.

 

 

L’Italia: dallo sviluppo economico all’adesione alla moneta unica europea

 

Il Boom Italiano e il governo Dossetti

Il secondo governo De Gasperi terminò con la fine della prima legislatura del nuovo corso monarchico. L’esecutivo del centro-sinistra “moderato e riformista” aveva completato la ricostruzione materiale del paese, aveva governato uno sviluppo sostenibile che potesse essere parallelo ad una forte legislazione sociale ed aveva puntato ad una nuova politica energetica con l’accordo Roma-Teheran siglato da Enrico Mattei con l’agenzia petrolifera iraniana. Nel 1953 De Gasperi decise di non ripresentarsi per problemi di salute e mantenne la carica di presidente della Comunità dell’Europa Unita, poi lasciata l’anno successivo a mandato terminato. Il Partito Popolare, il Partito Socialdemocratico e l’Unione Democratica Nazionale decisero di ritrovarsi nel monastero di Camaldoli, dove i leader dei rispettivi partiti optarono per la nascita di una vera e propria coalizione di centro-sinistra, salda e unita, con Giuseppe Dossetti candidato alla carica di primo ministro. La destra si presentava in un liste: il Fronte per l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e il Partito della Libertà, formazione che univa neofascisti e liberisti di varia estrazione, di Giorgio Almirante e Vincenzo Selvaggi. Le elezioni politiche del 20 marzo 1953 diedero la maggioranza al centro-sinistra ma confermavano il trend che vedeva ormai la destra come unico contrappeso alla maggioranza; la sinistra radicale infatti era praticamente scomparsa visto il poco consenso elettorale e la fine dell’Urss. Dossetti fu quindi incarica da Umberto II di formare il nuovo governo: agli esteri andò Giorgio La Pira, alla difesa fu riconfermato Pertini, all’economia fu scelto Saragat con la delega alla vicepresidenza mentre il ministero della cultura fu assegnato a Giuseppe Ungaretti.

 

La “crisi liberale” e il governo delle destre

Nel 1958 le votazioni riconfermarono l’alleanza di centro-sinistra guidata da Dossetti, ma dopo tre mesi la maggioranza andò in crisi. La componente conservatrice del Partito Liberale decise di abbandonare il centro-sinistra per confluire a destra seguiti da Luigi Gedda, Mario Scelba e Giuseppe Tambroni, leader cattoltrazisti del Partito Popolare. Gedda, ex-presidente dell’Azione Cattolica era stato allontanato da papa Pio XII allorché aveva politicizzato l’associazione, Scelba, aveva avuto per circa tre mesi il ministero dell’interno (quando Bonomi ebbe problemi di salute) durante il secondo governo De Gasperi ma per la sua politica autoritaria fu destituito dallo stesso De Gasperi e Sturzo, di cui era stato segretario, lo rinnegò pubblicamente, Tambroni invece aveva cercato in modo diretto l’alleanza con la destra ma era stato espulso dal Partito Popolare.

Umberto II fu costretto a scogliere le camere e le votazioni avvennero il 25 maggio 1958 e risultarono un sostanziale pareggio, ma per un pugno di seggi, la maggioranza andò alla variegata coalizione di destra. Gedda fu nominato primo ministro e il suo governo durerà fino al 1960, quando una crisi di maggioranza farà saltare la coalizione conservatrice e le urne riportarono al governo il centro-sinistra guidato stavolta dal socialdemocratico Giuseppe Romita. Le ragione della fine dell’esperienza governativa delle destre italiane fu caratterizzata dalla contestazione sindacale che rivendicava attenzione alle conquista sociali che erano state raggiunte precedentemente. Ad ogni modo Gedda e Scelba, dopo aver cercato di rientrare nei ranghi del Partito Popolare e del centro-sinistra, lasciarono la politica mentre Tambroni diventava il leader indiscusso della destra italiana.

 

Dallo sviluppo agli anni di piombo

Romita governerà il paese fino al 1965 e le successive elezioni politiche riconfermarono tale tendenza politica; il paese intanto continuava il suo sviluppo economico grazie soprattutto alle risorse energetiche che arrivavano grazie ai buoni rapporti con la Libia, l’Egitto e l’Arabia Saudita. La politica estera della “Mezza Luna”, coordinata dal responsabile della Farnesina Giorgio La Pira, aveva garantito ottime relazioni con i paesi arabi e questo aveva rafforzato il ruolo internazionale del nostro paese. A Romita, eletto alla segreteria generale dell’Internazionale Socialdemocratica, succedette il popolare Amintore Fanfani che governerà per ben 7 anni, fino al 1972 quando una crisi ministeriale avrebbe portato ad un voto di sfiducia al governo Fanfani e le elezioni anticipate: la vittoria andò alle destre, riunite nel cartello elettorale del Fronte Nazionale che univa l’Uomo Qualunque, il Partito della Libertà e i Radicali Italiani di Marco Pannella. Primo ministro divenne Giorgio Almirante, ex-combattente negli “squadroni della morte” e fondatore dell’Msi, che riuscì a mantenere la destra al governo per l’intera legislatura, fino al 1977. Durante questo periodo Almirante aveva continuato l’opera di sviluppo del paese attuando però la fine della concertazione con le parti sociali, aumentando le spese militari e dichiarando pubblicamente che il fascismo è il male assoluto. Si svilupparono però in questo periodo movimenti paramilitari di estrema destra e di estrema sinistra che furono combattuti con forza. Le elezioni politiche ridiedero il governo al centro-sinistra guidato dal popolare, ex- presidente dell’Assemblea Costituente, Aldo Moro il quale scampò per miracolo ad un attentato delle Brigate Rosse nel 1978. Lo stesso anno il papa Paolo VI, successore di Giovanni XXIII che aveva aperto il Concilio Vaticano II dopo la morte di Pio XII, scompariva e sul soglio di Pietro veniva scelto papa Giovanni Paolo II, che scelse come segretario di Stato il patriarca di Venezia Albino Luciani.

 

Anni Ottanta e anni Novanta

Siamo nel 1982. L’Italia è ormai da trentasei anni una monarchia democratica parlamentare: sul trono regna da trentanove anni il vecchio re Umberto II e primo ministro è Aldo Moro, leader del centro-sinistra, all’opposizione abbiamo la destra capeggiata da Mirko Tremaglia e da Pino Rauti. In estate l’Italia vince la Coppa del Mondo in Spagna battendo la Germania: famoso il grido di Tardelli e il salto di Umberto II sul palco delle autorità. Nel marzo dell’anno successivo Umberto morì e a succedergli fu il cugino, Amedeo d’Aosta. Intanto la crisi petrolifera aveva frenato lo sviluppo economico ed erano iniziati gli scioperi generali. Al governo avevamo ora una maggioranza conservatrice, alleata con il movimento separatista della cosiddetta Lega Nord, guidata da Antonio Martino, liberista e grande stimatore di Reagan e della politica economica a stelle e strisce mentre leader dell’opposizione era il popolare Giulio Andreotti. Il governo di Martino fu riconfermato nel 1987 ma nel 1990 una crisi ministeriale costrinse il governo alle dimissioni e fu assegnato al presidente della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi che creò un governo tecnico fino al 1992: durante questo periodo il petrolio era stato ridotto come fonte energetica e le nuove fonti alternative garantivano sviluppo ed efficienza all’economia italiana ormai integrata nel mercato unico europeo. Lo stato sociale funzionava a meraviglia ed era stato avviata una privatizzazione di alcune aziende statali. Nel 1992 il centro-sinistra ritornò al governo con il popolare Romano Prodi che dopo aver ricevuto l’incarico da Amedeo I varò un governo moderno ed innovativo: ministro degli esteri Lamberto Dini, ministro dell’economia Ciampi, ministro dell’interno Amato, ministro della difesa Massimo D’Alema e ministro del lavoro Pierferdinando Casini. Nel 1997 Prodi fu riconfermato primo ministro battendo la destra dell’imprenditore televisivo ed arrampicatore sociale Silvio Belrusconi che aveva fondato il partito Viva l’Italia ma non aveva avuto successo. Nel 1998 l’Italia entrò nel Sistema Monetario Unico Europeo e nel 2000 entrò in vigore l’Euro.

 

 

La Gran Bretagna: dall’adesione silenziosa alla politica europeista

 

Attlee e l’adesione “silenziosa”

Le elezioni politiche del 1945 diedero al Partito Laburista la maggioranza della Camera dei Comuni e re Giorgio VI diede l’incarico al leader laburista  Clement Attlee che formò un governo di coalizione con i liberaldemocratici inglesi. Programma fondatemele di Attlee fu la conversione dal Warfare State al Welfare State. Tale trasformazione doveva però entrare nei canoni dello stile anglosassone: la Gran Bretagna infatti era la patria del liberismo e la teorizzazione dello Stato Sociale in “stile British” fu fatta dall’economista lord William Beveridge nel 1942, in piena guerra. Il piano Beveridge prese forma nell’estate del 1947 con l’apertura delle prime cliniche specializzate pubbliche a Londra e la nascita del sistema sanitario nazionale che puntava a curare ogni individuo “dalla culla alla bara”. Ma l’avvenimento più importante fu l’adesione, nel 1949, alla Comunità dell’Europa Unita: era un cambiamento nella linea della politica estera britannica. Dopo anni di isolazionismo e di “missione civilizzatrice” in giro per il mondo con l’occupazione di terre ed avamposti, la Gran Bretagna si legava finalmente all’Europa. Nel 1951 Attlee avallò la costruzione di un tunnel sotterraneo sotto la Manica, dopo un incontro con De Gasperi e con De Gaulle.

 

Il ritorno di Churchill e il dramma della decolonizzazione

Attlee restò al governo con la coazione lab-lib fino al 1955, superando quindi le elezioni politiche del 1950. Nel 1955 la maggioranza dei voti andò al Partito Conservatore che riproponeva Wiston Churchill come candidato alla poltrona di primo ministro. Churchill guidò il paese in una fase molto difficile: dovette infatti governare la decolonizzazione e lo sfaldamento dell’immenso impero coloniale che Londra si era costruita in mezzo secolo. La prima reazione fu di forza: in India, in Egitto e in Sudafrica furono mandati interi reparti d’armata per sedare le rivolte contro le autorità inglesi e in regioni apparentemente meno turbolente, come il Canada e l’Australia, erano nate formazioni politiche locali separatiste. Era il preludio del “Natale di Sangue” del 1958: il 25 dicembre di quel’anno infatti le truppe inglesi massacrarono 3200 indiani che manifestavano contro l’aumento della tassa sul sale. Il leader della manifestazione, Mohandas Karamchad Gandhi, riuscì a scampare all’attentato e il 1 gennaio 1959 scrisse le famose “12 Asserzione per l’Indipendenza” che furono sottoscritte dal Pandit Nehru, leader del Partito del Congresso, che riuscì a portare le ragioni di Gandhi al leader dei laburisti, Harold Wilson. L’opinione pubblica inglese intanto era contraria al mantenimento delle colonie e la popolarità di Churchill cominciò a crollare. Alle elezioni del 1960 la maggioranza andò nuovamente ai laburisti che avviarono la “decolonizzazione solidale”: il primo ministro Wilson fondò il Commonwealth, un’associazione che legava la Gran Bretagna alle sue colonie, che potevano avere maggiori autonomie ma rientravano nell’orbita dell’influenza britannica. Il Commonwealth era stato formulato dal James Rmsay MacDonald, primo ministro laburista tra la prima e la seconda guerra mondiale, ma il progetto non era partito. Nel 1962 l’India decise di uscire dal Commonwealth e l’anno successivo l’Irlanda chiese la stessa cosa. Wilson allora, dopo aver concesso ad indiani ed irlandesi l’indipendenza da Londra, riformò la costituzione inglese con l’introduzione del federalismo.

 

Dalla Thatcher a Major, vent’anni di strapotere conservatore

Siamo nel 1965: sul trono regna ormai da tre anni la giovane Elisabetta II e al governo è stato riconfermato Harold Wilson. Nel 1968 le miniere di carbone della Scozia e del Galles vengono chiuse poiché il governo vara la legge sull’”energia pulita”: milioni di minatori disoccupati manifestano contro il governo ma le organizzazioni sindacali, legate da un sodalizio ormai secolare con i laburisti, non condannano direttamente la decisione. Nel 1970 le elezioni danno quindi una maggioranza enorme al Partito Conservatore guidato da Margaret Thatcher, la prima donna a diventare primo ministro: rilevante fu il consenso della piccola borghesia, dei ceti urbani e degli stessi operai che abbandonarono i laburisti in favore di un programma politico che prometteva ordine sociale e stabilità. La Thatcher adottò un programma neoliberista basato sulla riduzione della spesa sociale (soprattutto nella sanità e nella scuola), privatizzazione delle aziende di stato, intransigenza nei confronti delle organizzazioni sindacale e fine della concertazione. I risultati si videro subito: riduzione dell’inflazione sotto quota 3%, ripresa della produzione e riduzione della pressione fiscale. Nel 1975 i conservatori fu riconfermati ma cominciarono a vedersi le prime crepe del liberismo thatcheriano, come ad esempio gli squilibri tra il nord ed il sud del paese, forti lacerazioni del tessuto sociale e numerosi scioperi. Il Partito Conservatore, per non rischiare la possibile sconfitta elettorale, decise di non candidare la Thatcher ma il giovane rampante John Major che dopo le elezioni del 1980 divenne primo ministro. Il suo primo mandato fu caratterizzato inizialmente da una moderata ripresa aiutata da aiuti comunitari che la Thatcher aveva assegnato alla Gran Bretagna poiché era stata eletta alla presidenza dell’Europa Unita. Ma la situazione peggiorò dopo la rielezioni di Major nel 1985: un forte disagio sociale, aggravato da una recessione economica che aveva colpito il paese anche in relazione alla politica isolazionista che il paese aveva cominciato ad adottare dal 1986. Per la prima volta due regioni della Gran Bretagna, la Scozia settentrionale e il distretto industriale Manchester-Liverpool vennero dichiarate dall’Ufficio Europeo per il Coordinamento delle Politiche Economiche “le più povere dell’Europa Unita” e in quanto tali, il presidente della Comunità dell’Europa Unita Felipe Gonzales avviò un piano per la ripresa coordinato dal governo europeo. Nel 1988 Major cercò di impedire l’entrata della repubblica irlandese nella Comunità, ma non ci riuscì. Questo fu il preludio della sconfitta del 1990.

 

Tony “Mister Euro” Blair e la politica europeista

Dopo vent’anni di strapotere conservatore le elezioni politiche del 1990 danno la maggioranza al Partito Laburista, il quale aveva avviato da un decennio un’intesa opera di ristrutturazione interna con l’entrata di giovani e l’allontanamento dal movimento sindacale britannico. Il giovane Tony Blair divenne primo ministro e avviò la politica del “bridge for Europe”: ricostruzione del Welfare State, ripresa della concertazione con le organizzazioni di categoria senza però essere influenzati dal sindacato di stampo laburista, opere pubbliche per lo sviluppo dell’economia e finanziamento degli enti di ricerca europei in Gran Bretagna. Parallelamente alla politica di risanamento e lotta allo spreco, iniziato con i conservatori, Blair avviò una politica europeista attiva. Dopo la rielezione, nel 1998 il Consiglio della presidenza della Comunità dell’Europa Unita lo elesse presidente visti i risultati da lui ottenuti nel convincere gli inglesi della grande opportunità europea.

 

 

La Francia: dalla “concentrazione democratica nazionale” al consolidamento del bipolarismo

 

De Gaulle e la “concentrazione democratica nazionale”

Finita la Seconda Guerra Mondiale, il governo repubblicano fu retto fino al maggio del 1947 dal maresciallo Charles De Gaulle, coordinatore della resistenza antinazista. Era il cosiddetto governo della “concentrazione democratica nazionale” che univa la destra liberale francese, legata alla figura di De Gaulle, il Movimento Popolare Repubblicano Francese di Robert Schuman e Valery Giscard d’Estaing e il Partito Socialista. Tale esecutivo realizzò importanti nazionalizzazioni in campo finanziario ed industriale e assicurò la ricostruzione. Tuttavia le divergenze al suo interno erano forti e sfociarono nella famosa “crisi di Natale” del 1946. De Gaulle volò a Washington da Truman nel gennaio del 1947 presentandogli il problema della possibile stagnazione nella politica governativa francese. Truman, che conosce al piano Bucharin per far cadere Stalin, espose al presidente francese la sua prima dottrina e consigliò la nascita di una governo tra la destra liberale e i cattolico popolari di Schuman e di Giscard d’Estaing. Nel maggio dello stesso anno si esauriva l’esperienza della “concentrazione democratica nazionale” e nasceva una governo moderato e conservatore con De Gaulle presidente e Giscard d’Estaing vice e ministro degli esteri.

 

La ricostruzione e l’adesione all’Europa Unita

Il governo francese iniziò la ricostruzione del paese grazie soprattutto alle risorse che venivano dalle colonie francesi in Africa ed Asia. Con il decreto “salva patria” De Gaulle punto a far affluire in Italia numerosi immigrati, soprattutto tunisini ed algerini, che con la loro manodopera a basso prezzo garantirono poche spese e una veloce ricostruzione degli impianti industriali che i bombardamenti avevano gravemente danneggiato. De Gaulle cominciò a finanziare un gruppo di scienziati con l’obbiettivo di utilizzare l’energia nucleare come fonte di energia anche se il petrolio era ancora e rimarrà ancora una fonte inesauribile di ricchezza per la Francia. La ricostruzione materiale però non determinò il possibile aumento dei salari e la realizzazioni di richieste delle masse lavorati operaie e contadine. Nel marzo del 1948 infatti grandi erano state le contestazioni che avevano sconvolto la Francia ed acceso era stato lo scontro all’interno dell’esecutivo con Giscard d’Estaing favorevole ad una politica sociale, seguendo la stessa strada intrapresa in Italia da De Gasperi e in Gran Bretagna da Attlee, ma De Gaulle era scettico. Nel giugno del 1948 si tennero le prime elezioni legislative dopo la guerra: primo partito risultò l’Unione per la Repubblica di De Gaulle ed immediatamente dopo il Movimento Popolare Repubblicano Francese di Giscard d’Estaing. La sinistra socialista non contava praticamente niente. Nel 1949 la Francia fondò, con altri paesi europei, la Comunità dell’Europa Unita grazie soprattutto all’insistenza del neoministro degli esteri Schuman, fervido europeista.

 

Dalla caduta di De Gaulle ai governi Giscard d’Estaing

Nel 1952 le divergenze però sfociarono in una durissima crisi ministeriale. Giscard d’Estaing e Schuman decisero di uscire dall’esecutivo di De Gaulle poiché erano contrari alla proposta governativa che si era espressa in modo contrario ad una organizzazione dell’assistenza sociale a livello europeo. Il Movimento Popolare Repubblicano Francese decise quindi di presentarsi da solo alle elezioni legislative che furono indette per il settembre del 1953 e crearono un’alleanza un gruppo di intellettuali liberali ed europeisti e delle liste socialdemocratiche e laburiste. L’Unione per la Repubblica confermò il pieno appoggio a De Gaulle, che commise un madornale errore politico: decise cioè allearsi con delle formazioni nazionaliste delle destra estrema. Le elezioni diedero la maggioranza ai moderati che presentavano Schuman come candidato all’Eliseo, il quale varò un governo che comprendeva anche alcuni esponenti tecnici che andavano a ricoprire incarichi ministeriali economici ed industriali. Schuman avviò un piano per la ristrutturazione dei diversi distretti industriali francesi e investì denaro nelle nuove tecniche della coltivazione agricola, ma non possiamo dimenticare la decisione di avviare una veloce decolonizzazione. I reparti francesi lasciarono nel giro di tre anni, tra il 1954 e il 1957, tutte le colonie francesi ma sul posto erano rimaste delle squadre di civili con l’obbiettivo di risolvere problematiche nate con l’autonomia. La bandiera però dell’esecutivo francese fu l’europeismo, valore che Schuman aveva messo al sopra degli stessi interessi della Francia. Và in questo senso ricordato l’accordo tra il ministro degli esteri francese Giscard d’Estaing e il presidente dell’Europa Unita Adenauer sulla cessione di alcuni poteri agli organi decisionali europei. Tale scelta fece infuriare la destra di De Gaulle e alcuni ambienti dell’alta finanza e della grande borghesia ma fu approvata dall’elettorato che confermò l’esecutivo Schuman per un secondo mandato, fino al 1962. In tale data le elezioni legislative ridiedero la maggioranza alla destra che si erano riorganizzata nell’Unione per la Nuova Repubblica in quanto proponeva una riforma della costituzione repubblicana e la nascita di una repubblica da parlamentare a presidenziale. Il nuovo presidente, Georges Pompidou decise infatti di avviare subito l’iter legislativo e nel 1964 fu approvata da un referendum popolare la nuova costituzione. Nello stesso anno il Consiglio di presidenza della Comunità dell’Europa Unita scelse Valery Giscard d’Estaing ma le cose non cambiarono in Francia. Nel 1967 Pompidou infatti  riuscì per un pugno di voti a restare in sella all’Eliseo, come presidente della Repubblica, ma nel parlamento la maggioranza pendeva verso i moderati di Giscard d’Estaing. Pompidou decise quindi di affidare il governo al maresciallo De Gaulle che però aveva in programma un possibile distacco dalla Comunità dell’Europa Unita. Famoso fu lo scontro tra De Gaulle e Giscard d’Estaing dopo la riunione del Consiglio di presidenza della Comunità e questo fece cambiare la situazione di stagnazione francese: il paese infatti stava attraversando un periodo di recessione e di conflitti sociali dopo le misure adottate dall’esecutivo De Gaulle. Nel 1972 però la maggioranza andò al cartello dei moderati denominato i Democratici per l’Europa, che univa il Movimento Popolare Repubblicano Francese, il Partito Socialdemocratico Francese Francois-Marie Mitterrand e alcune liste laico-liberali e Pompidou affidò il governo a Giscard d’Estaing che restò in sella fino al 1982 continuando l’opera di Schuman. Alle elezioni presidenziali del 1974 fu eletto Jacques Delors, cattolico ed europeista, che firmò ufficialmente la nascita della Quinta Repubblica Francese poiché parallelamente agli interventi costituzionali erano stati cambiati gli assetti regionali dando più autonomia agli enti locali.

 

Il governo Mitterand e l’ascesa di Chirac

Nel 1982 le elezioni legislative confermarono la maggioranza al cartello centrista che proponeva questa volta il socialdemocratico Francois-Marie Mitterrand. L’esecutivo aprì alle parti sociali e alle richieste dei movimenti studenteschi sulla possibile riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto “libro bianco”. L’anno precedente intanto Delors era stato riconfermato alla presidenza ma dopo due anni dovette dare le dimissioni per problemi famigliari e le elezioni presidenziali del 1984 diedero l’Eliseo allo stacanovista Giscard d’Estaing. L’esecutivo di Mitterand fu riconfermato nel 1987 ma nel 1992 la maggioranza andò alla destra liberale e liberista che si era riorganizzata nell’Alleanza per la Democrazia Francese e primo ministro divenne Jacques Chirac, riconfermato nel 1997. Giscard d’Estaing invece fu trionfalmente riconfermato sia nel 1991, sia nel 1998 diventando quindi il presidente per eccellenza dei francesi.

 

 

La Germania: dalla “riunificazione veloce” alla società multietnica

 

Le due Germanie durano quattro anni

La sconfitta nella guerra aveva portato alla divisione della Germania in un due paesi, ma tale situazione geopolitica cambiò dopo la caduta di Stalin e la fine dell’Unione Sovietica e del blocco orientale. Il 21 settembre 1949 a Berlino il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, sotto la porta di Brandeburgo, dichiarò ufficialmente nata la nuova Repubblica Federale Unita Tedesca e il 18 ottobre dello stesso anno ci furono le prime elezioni politiche del nuovo stato, finalmente riunificato. Fino a quel momento la parte Est, sotto l’occupazione militare sovietica era stata governata da una giunta militare che eseguiva gli ordini del Cremlino mentre nella parte Ovest le cose erano più complicate. Prima di tutto la commissione alleata aveva organizzato le prime elezioni nel gennaio del 1946 e l’esito aveva premiato l’Unione Democratica Cristiana (la Cdu) di Adenauer e il Partito Socialdemocratico Tedesco (la Spd). Fu varato quindi un governo “bianco-rosso” che vedeva Adenauer cancelliere e il socialdemocratico Willy Brand ministro degli esteri. Il governo però durò un solo anno poiché i grandi industriali e gli ambienti conservatori erano contrari a intese con i socialdemocratici tedeschi. Durante il primo congresso dell’Unione Democratica Cristiana, tenuto a Colonia nel marzo del 1947 la componente conservatrice e liberista, guidata dall’economista Ludwig Erhard, chiese ufficialmente la nascita di un polo conservatore da contrapporre al socialdemocratici, che avevano intanto stretto un’intesa programmatica con i liberaldemocatici. La posizione di Erhard prevalse e nel giugno dello stesso anno, dopo una crisi ministeriale, nacque il secondo governo Adenauer, composto interamente da esponenti del partito di centro. Tale esecutivo cominciò la ricostruzione utilizzando i canoni del classico liberismo ma i sindacati tedeschi proclamarono ben tre scioperi generali, in sei mesi, contro il mancato aumento dei salari e la mancanza di una politica sociale.  

 

La riunificazione e il ventennio Adenauer

Nel 1949 il mondo cambia e cambia quindi anche la Germania. La riunificazione infatti cambiò radicalmente la situazione politica nel governo: in primis il cancelliere tedesco decise di aprire l’esecutivo ai socialdemocratici e ai liberaldemocratici convinto che i problemi della riunificazione della ricostruzione dovevano essere affrontanti con maggioranze solide e compatte. Ma Erhard, contrario a tale scelta, prima tentò di licenziare Adenauer durante il consiglio nazionale del partito ma era in minoranza. Decise quindi di fondare un nuovo partito, il Partito dei Conservatori Tedeschi (il Cpd) che si schierò subito all’opposizione e si presentò a capo di un polo conservatore per le prime elezioni politiche della nuova Germania riunificata. Alle politiche del 1950 si confrontarono quindi due ex-colleghi: da una parte Adenauer, a capo dell’Intesa tra la Cdu e la Spd; dall’altra Erhard e l’alleanza tra il Cpd e numerose liste liberiste e reazionarie. La vittoria andò ad Adeanuer che continuò il programma che aveva impostato in precedenza, integrato dopo il seminario di Bad Godesberg del marzo 1950: continuazione del processo federativo europeo, costruzione del Welfare State in linea con le direttive europee, sviluppo economico sostenibile con le richieste delle parti sociali, la cosiddetta “concertazione renana” che avrebbe garantito l’aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Tale ricetta, definita dagli economisti del tempo la “la via europea” poiché era stata adottata dai paesi che nel 1949 avevano fondato la Comunità dell’Europa Unita, fece della Germania la locomotiva del continente e la portò ad alti livelli a livello internazionale. L’esecutivo Adenauer fu riconfermato nel 1955, ma il cancelliere dal 1954 aveva anche la carica di presidente dell’Europa Unita e fece combaciare gli interessi europei con quelli tedeschi. Ad ogni modo và ricordato il gravoso compito di risanare i bilancio dello stato che erano il tallone d’achille della repubblica tedesca; Adenauer e l’intesa “bianco-rossa” furono riconfermati sia nel 1960, sia nel 1965. Nel 1967 Adenauer, durante il congresso della Cdu a Monaco diede le dimissioni dalla carica di leader dell’Intesa tra democratici cristiani e socialdemocratici tedeschi. Lo stesso anno sarà scelto il segretario della Spd, Willy Brandt, ministro degli esteri durante i ventenni di governo Adenauer.

 

Brandt e l’influenza tedesca sull’est europeo 

Divenuto cancelliere tedesco nel 1970, il consiglio di presidenza dell’Europa Unita lo elesse premier del vecchio continente lo stesso anno. Dal punto di vista della politica interna, Brand completò il risanamento delle case dello stato in relazione anche ai versamenti finanzieri dopo la sconfitta militare e, per quanto riguarda la diplomazia, fu attuata la cosiddetta Ostpolitik, la “politica verso l’est” avviando rapporti di amicizia con la Polonia, la Cecoslovacchia, le repubbliche baltiche e l’Ungheria. Brand firmò con il primo ministro austriaco nel 1974 l’Intesa Tedesca che univa i due paesi verso una comune difesa della cultura tedesca; tutto questo non aveva nessun tipo di collegamento con un nuovo tipo di nazionalismo pangermanico. Nel 1975 Brand deciderà di non continuare l’esperienza europea e si ricandiderà alle politiche dello stesso anno sconfiggendo per l’ennesima il conservatore Erhard. Ma i successivi cinque anni saranno purtroppo molto difficili per la locomotiva tedesca che avrà delle ricadute caratterizzate da disoccupazione e crisi ciclica dell’economia.

 

Il decennio conservatore

Alle elezioni politiche del 1980 vinse l’alleanza “giallo-blu” che univa i conservatori del Cpd e una serie di liste liberiste e reazionarie capeggiata da Karl Kiesinger. Per prima cosa Kiesinger volò negli Stati Uniti da Reagan, incontrò la Thatcher, Major, Pompidou e il leader della destra italiana Martino e successivamente varò il cosiddetto “programma del caminetto” poiché esso nacque da una chiacchierata che egli fece con le sopra citate personalità, sostenitori del neoliberismo che andava di monda in questo periodo: riduzione dell’intervento statale in campo economico e fine della “concertazione renana”. La sterzata fu vista bene dalla grande borghesia e dall’alta finanza ma anche dal ceto medio e Kiesinger sembrava l’astro nascente della nuova destra tedesca. Per quasi trent’anni il governo era rimasto in mano ad Adenauer e a Brand e ora era venuto il momento di cambiare la cose. I tedeschi nel 1985 premiarono l’opera di Kiesinger ma nel 1986 scoppiò lo scandalo uno scandalo basato sulla corruzione fatta dal Cpd. Tale obbrobrio coinvolse lo stesso cancelliere tedesco che tentò di difendersi, ma nel 1988 dovette dare le dimissioni e si andò alle urne. Ritornò in sella un esponente della Cdu, Helmut Kohl, che guiderà la cancelleria tedesca fino al 1998. Nello stesso anno, sempre a capo di un esecutivo “bianco-rosso” sarebbe diventato cancellerie Gerhard Schroeder, leader della Spd.

Demofilo


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