La Guerra d'Egitto

di Filippo l'Italico, alias Filobeche

Proemio

Vi narrerò, come mi sono state raccontate e come ho potuto io stesso leggere, le vicende di Pericle condottiero che piegò al suo volere la terra d'Egitto e fece di Atene il centro del mondo.

Per queste informazioni mi sono avvalso ti tanti che scrissero prima di me, e dei racconti di coloro che c'erano, ma poiché non ci si deve fidare mai di quello che si legge e la memoria di taluni non era più quella che ebbero all'epoca della loro gioventù, molte cose potrebbero sembrarvi frutto di leggenda o di esagerazione, però, poiché io stesso vi ho invitato a cercare conferma delle cose che leggete, vi invito anche a visitare i luoghi di cui parlo e vedere con i vostri occhi i monumenti che vi furono eretti ed i trofei che furono dedicati.

Ora, affinché non mi si accusi di essere un ciarlone e non uno storico, inizierò a raccontavi come si svolsero i fatti.

 

I

Ora in quei tempi, correva una feroce guerra tra Corinto e Corcieria poiché questa aveva attaccato una colonia dei Corinti, e l'aveva ridotta in soggezione.

Quando però, Corinto, aveva fatto vela verso Corcira, quest'ultima aveva mandato messi ad Atene e più o meno con queste parole aveva chiesto aiuto "O Ateniesi, noi Corciriani, ben sappiamo come foste magnanimi e grandi sia nelle opere della pace che in quella della guerra.

Se siamo venuti da voi, infatti, lo abbiamo fatti attirati non da un oscuro vanto, ma ben consci della grandezza di questa città.

Veniamo a chiedervi aiuto sicuri che troveremo qua mano amica e sicura comprensione, inoltre, considerate, o ateniesi, che Corcira non è una piccola isola e non è un piccolo popolo, ma, eccetto voi, possiede tante navi e se voi, ora mostrandovi magnanimi, verrete a soccorrerci nell'ora del pericolo, anche noi a suo tempo faremo lo stesso, e le nostre flotte diverranno una, tanto vasta e potente che nessun'altra tra i greci e tra i barbari potrà sfidare" Cosi parlarono gli inviati di Corciria e gli Ateniesi si radunarono a consiglio, alcun dicevano "Non sia mai che si entri in guerra con Corinto, alleata dei forti Lacedemoni, onde non svegliare il can che dorme" ma altri, alcuni per malizia volendo una guerra con Sparta, alcuni ancora per troppa sicumera dicevano invece "Atena la grande ci guida ora, come ci guidò in passato, e sia guerra con Corinto, vorreste voi lasciare che una possibilità cosi buona ci sfugga?" ed il consiglio votò per la guerra.

 

II

Allora Atene inviò molte navi a guerreggiare contro Corinto, e quando  la flotta di Corcira fu messa a mal partito le navi Ateniesi  intervennero facendo scempio della flotta Corinzia.

Ora anche i corinzi dicevano che avevano vinto ma si tratta di una  bugia, fu Atene che vinse tanto che Corinto infatti inviò delegati a  Sparta, di fronte al consiglio della Lega, e quando giunsero in città  parlarono cosi: "Spartani, tra tutti gli uomini di Grecia, ed anche  fra i barbari, avete fama di essere grandi conquistatori e feroci  guerrieri, eppure ora che Corinto, vostra alleata ha bisogno d'aiuto  state immobili a guardare mentre un nemico ci assale e viola cosi i  patti" essi infatti si riferivano al fatto che Atene combattesse per  Corcira quando contro Corinto, e questo violava i patti perché le due  leghe, con sacri giuramenti, avevano stabilito che non si potesse  entrare in guerra a fianco di terzi contro membri di una delle due  alleanze.

Ma per un caso fortuito colà a Sparta vi erano anche delegati di  Atene che ascoltata la richiesta dei Corinzi dissero all'assemblea:  "Invero noi non abbiamo autorità per trattare, ma vogliamo anche che  non si perda sangue ellenico, quando i Barbari ancora montano alle  frontiere e fresco è il ricordo dell'invasione e del sacco della  nostra bella città, cosi vi offriamo la pace con Corinto e l'aiuto a  dirimere pacificamente la questione affinché tra Corcira e Corinto vi  sia pace e cosi essendo, anche tra noi ci sia pace" Molti a sparta non credevano alle parole degli ateniesi ma re Archidamo presa la parola nel consiglio cosi disse: "Credo che sia  meglio accettare questa proposta da parte di Atene, infatti quando  mai un debole assale un forte? O un piccolo attacca un grande? Se questo è accaduto, quando è mai successo che il debole vinca la  pugna? O spartani, ecco il mio consiglio, Atene offre la pace, e noi  cogliamo questa opportunità.

Atene, infatti è già grande potenza e per terra e per mare, se noi  non attendiamo il momento giusto e non armiamo anche noi navi da  guerra, anche noi potremmo fare la fine del gatto con il topo" Ciò detto tutti, benché spaventati dall'espansionismo crescente di  Atene, si sentirono d'accordo nel rifiutare la proposta di Corinto se  davvero gli ateniesi avessero proposto la pace.

Allora i messi d'Atene a Sparta tornarono ad Atene è colà espressero  i dubbi sulla guerra e dissero all'Areopago ed agli strateghi: "Che per noi più glorioso sarebbe assumere il ruolo di guida tra i Greci,  sconfiggendo i barbari, piuttosto che lavarsi nel sangue di Sparta" ed anche il giovane Pericle, egli era però uomo già onorato, fece  sentire la sua voce "Mi sembra cosa ottima, o Ateniesi, porre fine  alla guerra con Corinto e convincere Corcira ad abbandonare le  ostilità, non solo per evitare di spargere sangue tra i Greci, ma  anche perché cosi si vedrà che a noi ateniesi preme la pace e la  concordia e tutto sarà a nostro maggior guadagno" e fu cosi che  l'assemblea cittadina votò per la pace e furono convocati ad Atene Corciresi e Corinzi ed una delegazione di Spartani affinché testimoniassero della buona volontà d'Atene.

 

III

Fatta la pace, alcuni anni dopo, giunse ad Atene un libico, re e figlio di re che si chiamava Inarco.

Inarco giunse con grandi doni per Atene e portò anche un grande bacile di bronzo da donare al tempio di Apollo delico, nell'isola di Delo.

Egli, sia per i grandi tesori di cui aveva fatto dono, sia per la personalità che era venne ammesso a parlare all'assemblea della città di Atene e si rivolse al governo con queste parole: "Inarco mi chiamo e la mia stirpe e libica, ma anche nelle selvagge e barbare terre di Libia il nome di Atene risuona grande e potente e non v'è orecchio, Barbaro o ellenico, che quando lo ode non si senta rallegrato o tema per il suo distino, a secondo che sia amico e nemico di questa città.

Come tutti voi, o nobili eparchi e coraggiosi strateghi, sapete i padri dei mie padri, furono re d'Egitto prima che Cambise, entrasse in Menfi e, vinte molte battaglie, s'impossessasse del regno.

Se sono qua ad Atene a perorare la mia causa è perché so che Atene sicuramente ascolterà la richiesta di aiuto di un popolo soggetto al gran re, non fosse perché anche i greci, guidati da Atene, vennero alla lotta con il Gran re desideroso di estendere il suo regno fino alla bella Attica dai molti frutti" L'Areopago si divise e molti dicevano che era meglio rimanere nei lidi greci ed occuparsi di Sparta piuttosto che salpare per mare ed andare in Egitto, ma altri, tra cui Pericle, argomentavano cosi l'opzione di andare a fianco di Inarco alla guerra contro il gran re: "Non s'è ne mai visto ne mai sentito, di una terra che sia ricca come l'Egitto, se è vero che essa stessa fornisce tutto il grano ai barbari e che ne mangiano fin dove finisce il mondo.

Ora, cittadini, da quando i Barbari vennero in Grecia e misero a sacco Atene, noi Ateniesi stiamo difendendo e vendicando l'onore dei greci, quale migliore occasione di questa e per mostrare la nostra forza e per incutere timore e riverenza in nemici ed alleati? Timore perché porteremo la guerra fino alla più ricca e vasta provincia del gran re e tutti diranno, che Atene ha certo una grande forza, riverenza perché non ci saremo dimenticati di chi chiede il nostro aiuto e tutti ci loderanno per quello che abbiamo fatto.

Infine, considerate chi possiede ora le ricchezze dell'Egitto e chi, se cacciato il persiano, potrà goderne" Con questi Argomenti Pericle convinse l'assemblea che votato per alzata di mano, decise per la guerra.

 

IV

Fu dunque designata una flotta di 90 vascelli e 3000 opliti pesanti, la prima affidata al comando di Pericle ed il secondo a Tucidide, che tra tutti gli ateniesi erano parsi i più meritevoli.

La flotta salpò alla fine dell'inverno ma non prima che Pericle stesso si fosse recato a Delo a chiedere consiglio ad Apollo.

Ora a Delo esiste un oracolo che è il secondo per precisione e autorità di tutta la Grecia e primo tra tutte le città della lega amica di Atene.

Cosi salpata la flotta essa fece scalo a Delo, dove Pericle sacrificò al Dio una vacca bianca senza difetti e chiese se la spedizione avrebbe avuto successo.

Pare che il Dio Apollo attraverso i suoi sacerdoti abbia risposto: "Quando il muro bianco cadrà allora cadrà anche l'Egitto, ma i muri si possono anche scavalcare."

Sacrificato al Dio anche un caprone la flotta riprese il viaggio e sbarcò a Cirene per fare rifornimento.

Colà venne raggiunta da 50 navigli di Corcira e altri 1500 opliti pesanti al comando del generale Santippe.

Quando tutte le navi vennero radunate e si fu caricato cibo a sufficienza per quello che si pensava essere la durata della campagna e poi le navi fecero vela verso il delta del Nilo.

Colà ebbero la prima vittoria contro le navi del re comandate dal fenicio Ardebale che venne spazzato via dal mare, e si rifugio a Tanis, come un cane bastonato; per celebrare la vittoria ancora oggi sulla sponda del mare è visibile il grande trofeo fatto con i legni nemici che furono trascinati a riva.

Invece di stendersi sugli allori, Pericle inviò subito Cadmo con 1000 opliti ad incontrare Inarco, che mentre Pericle era fermo a Delo, era tornato in Egitto ed aveva dato il via alla ribellione e, grazie alla perizia dei suoi aveva preso il possesso del delta.

Inarco ricevette Cadmo a Avaris.

Inarco fece grande festa ai greci e celebrò un grande sacrificio di ringraziamento a Zeus Ammone nella città, offendo al Dio 20 vacche e 20 tori, poi prese le armi scese con Tucidide verso Memphis, il primo vero ostacolo alla campagna di Pericle.

 

V

Allora Pericle si mosse verso Tebe d'Egitto che tra tutte le città di quella terra era la più grande e la più ricca, ed era sede del governatore del grande re.

Costui, un uomo oscuro chiamato Arbaziano, era dedito solo al piacere personale ed era infido e traditore e solo la vastità dell'impero aveva impedito al grande re di farsi recapitare la sua testa su un piatto d'argento, infatti tutti i messaggeri che arrivavano in Egitto o morivano prima uccisi dai briganti oppure, corrotti dal tesoro di Arbaziano non tornavano più a Susa.

Ora quando Arbaziano seppe che la flotta Fenicia era stata distrutta e che un esercito greco marciava alla volta di Tebe, dove risiedeva, mandò Pelope figlio di Cleofa che comandava i mercenari greci che venivano dall'Argolide a parlamentare con Pericle.

Ma Arbaziano non aveva dimenticato di preparare l'esercito, formato da Nubici, Libici, mercenari greci e persiani e da Egiziani che non volevano la libertà; questi ultimi erano tutti molto ricchi e scendevano in guerra con carri pesanti ornati d'oro e trainati da cavalli.

 

VI

Pelope giunse al campo di Pericle con una proposta di pace da parte di Arbaziano, il satrapo infatti aveva pensato di comprare gli Ateniesi ed i Corciresi con l'oro che aveva nelle casse e difatti questo fu il tenore delle parole di Pelope "O fratelli di Geecia, che mai siete venuti a cercare in Egitto?

Non vi bastavano le ricchezze che avete accumulato navigando sul mare?

Se volete oro, ecco Arbaziono, che è ricco e potente ed è come il gran re nelle provincia d'Egitto, vi offre tanto oro quanto le vostre navi potrebbero portare e vi offre la sua amicizia e tutte le schiave Etiopi che potrete portare via e molto altro se accetterete la pace."

Cosi parlò Pelope e queste parole suscitarono negli animi degli Ateniesi moti contrastanti.

Ipparco figlio di Leucippo disse "A me pare conveniente accettare l'offerta del satrapo ed andarcene con le navi cariche di ricchezze, chi poi mi dice di ricordarmi d'Inarco dirò che egli non ci offre di più e la sua amicizia è pericolosa perché se sconfitto il Gran re potrebbe optare per una nuova e maggiore guerra ed allora rimpiangeremo gli ori e le ricchezze che avremmo potuto avere."

Si alzò a parlare allora Pericle figlio di Santippe che con queste parole apostrofò l'assemblea "In vero, io credo, sarà meglio guadagnare le ricchezze con la propria gloria piuttosto che con la viltà del nemico.

Ora Ateniesi, pensate a questo, se accettiamo l'oro di Arbaziono certo saremo tutti ricchi e la città potrà essere ornata di tante nuove opere, ma resteremo, se saremo fedeli agli alleati che son venuti a cercarci fin dalla Libia, certo trarremo grande vantaggio dall'oro di Arbaziono, ma anche di più dalle immense ricchezze dell'Egitto, qualora si riuscisse ad impossessarsi di queste terre saremo onorati come amici fedeli, già che soccorremmo chi era nel bisogno, grandi guerrieri, perchè sconfiggemmo che era più forte, e saremo ricchi; e non solo la città e la patria adorata ma ogni isola della lega ed ogni soldato dell'esercito.

Infatti quali ricchezze devono nascondere Tebe e Menfi se il vile satrapo vi offre tanto per andarvene?
Avesse egli pochi spiccioli combatterebbe per tenergli, eppure per aver salva la vita vi offre un mare d'oro, io dico pensate."

E gli Ateniesi ed i membri della lega ed i corciresi pensarono a quanto, e come, Pericle aveva detto loro ed alla fine di una lunga notte si decise che il figlio di Santippe aveva certo ragione e che un tesoro conquistato con le proprie armi vale assai di più di quelle strappate ad un codardo.

All'alba dunque il consiglio riferì per bocca di Tucidide queste parole all'ambasciatore del satrapo: "Dunque questo è quello che abbiamo deciso, noi valorosi ateniesi, che ci sia la guerra tra il tuo signore e noi, coraggiosi guerrieri di Grecia, non sarà l'oro del tuo padrone a decidere la guerra, ma la guerra ad assegnare l'oro del tuo padrone a chi vincerà le verdi vallate del Nilo e le antiche città di questa terra."

Pelope, rattristato perché avrebbe dovuto combattere con dei fratelli greci, se ne tornò a Menfi dove comunicò al satrapo la notizia; il quale una volta appresa la notizia non rimase immoto ma ordinò a Pelope di preparare la difesa dell'Egitto.

 

VII

Non appena fu mattina Pericle inviò Filippo figlio di Zeusippo, che veniva da occidente, a prendere la città di Pelusio con 1500 armati.

Invece egli e Tucidide si sarebbero scontrati con l'esercito persiano presso la piana di Menfi che sorgeva a sbarrare il fiume Nilo.

Pare, ma secondo me sono fonti inventate, che i persiani avessero 10.000 uomini e trecento carri; io credo che andrebbero divisi per la metà e sarebbero comunque molti uomini.

Fatto sta che Pericle venne a battaglia nella prima mattinata cinque giorni dopo che Pelope era venuto nel campo dei Greci.

L'esercito Persiano venne sconfitto e con le armi dei vinti i greci tirarono su un trofeo che è ammirabile anche oggi.

Si dice che tanta fu la strage dei Persiani che Arbaziano che guardava dalle mura di Menfi fuggì terrorizzato nella fortezza della città che veniva chiamata dai locali "Le mura bianche" Pericle vista l'insperata fortuna invade la città ed entra per la porta principale dopo poche scaramucce con trecento Egiziani fedeli alla Persia ed inizia l'assedio alla fortezza.

Intanto Filippo figlio di Zeusippo si preparò ad attaccare le mura di Pelusio, sennonché il generale di laggiù, tale Serse non si fece prendere dal panico e, benché vincitore, le mura resistettero e la città non cadde nelle mani dei greci.

Allora Pericle, passati alcuni mesi, inviò Tucidide alla città di Heliopolis, ove sorgeva un tempio dedicato al Dio Apollo che in Egitto è chiamato Oro dalla testa di Falco.

A difenderlo c'erano pochi soldati libici e diversi mercenari Fenici, prendere questo tempio era, diceva Pericle, importante perché avrebbe messo nelle mani di Atene un luogo sacro importante e privato i persiani della protezione del Dio.

Tucidide si accampò a circa 9 stadi dalla città e fece erigere un muro di terra e di legno; egli, e son parole sue, lo fece per precauzione perché temeva che Arbazione, o meglio uno dei suoi generali, potesse uscire da Menfi e minacciare il suo fianco.

Perse però, ma questo non va a suo discapito, quanto ad un colpo della malasorte, la possibilità di prendere la città con un unico attacco e dovette anch'egli sostenere un assedio.

VIII

Però Pericle non era rimasto inattivo e con una lettera alla lega di Delo aveva scritto quanto segue "Vi chiedo soldati e navi, infatti se è vero che le guerre le vincono i forti, e noi Ateniesi in molte occasioni ne demmo prova sconfiggendo i più numerosi persiani, senza soldati non si può combattere e qua non si tratta di scoraggiare un nemico che invade la bella Ellade, ma uno che si ritira come un topo e nelle sue città e nelle sue rocche perciò inviate soldati e navi affinché possa venir stanato e sconfitto come si merita" E quando il messaggio arrivò ad Atene, subito si deliberò di usare maggior premura che mai e furono inviati, tra fanti leggeri, opliti ed arcieri quasi 10.000 guerrieri, che è un numero tanto elevato che pare impossibile, ma se non fidandovi leggerete, nell'Acropoli i ruolini delle tribù non noterete discrepanza tra ciò che sta scritto sulle pergamene e su ciò che ho scritto io.

Furono armate anche altre 100 navi ed inviate a Pericle ma questo occupò ancora diversi mesi e quando esse raggiunsero Sais la guerra già durava da sette mesi.

Pericle quando vide i guerrieri che erano arrivati subito gli inviò a Filippo, che aveva ormai affamato Tanis e che era pronto ad un assalto, rafforzato da 7.000 libici Filippo si comportò cosi: prima fece marciare i libici affinché indebolissero le posizioni dei Tanaiti e poi fece arrivare gli arcieri che lanciarono frecce di fuoco che fecero bruciare molta della città, infine assaltò la città con gli opliti la quale cadde in pochi giorni e fece immenso bottino .

Rincuorato dalla prima vittoria anche Tucidide fece, una volta ricongiunto con gli Opliti inviati di recente da Atene, un tentativo di prendere Heliopolis.

Prima però che potesse muovere i Persiano lo attaccarono ed egli poté rifugiarsi dietro il terrapieno, tanto che poi si rallegrò di averlo costruito.

Sconfitti i Persiani, che persero 2000 uomini su 8000 contro i poco meno di 400 di Tucidide anch'egli assaltò la città santa e la prese in una notte.

Tuttavia, benché avesse ordinato di non fare scempio della città vinta e di rispettarla come luogo sacro di Apollo, per ignoti motivi la città fu incendiata e molti Egiziani fuggirono nelle campagne.

Dopo questo fatto, allora, Tucidide raccolse un enorme bottino tra le case degli Egiziani che non si erano sottomessi tra cui la statua del Dio Oro che venne portata a Sais, dove i greci ed Inarco avevano accampamento e fu consegnata a Pericle che la inviò, dopo che Inarco l'ebbe donata, a Delo.

 

IX

Passato un anno d'inutile assedio Pericle convocò i generali a Sais per decidere in che maniera prendere la città di Menfi, egli ricordò loro le parole dell'Oracolo e chiese consiglio a Filippo e Tucidide ma nessuno dei due sapeva cosa rispondere.

Intanto però, Arbaziano, aveva incominciato a tremare di paura, perché la caduta di Eliopoli e Tanais davano ai greci il controllo del delta del fiume Nilo e solo le bianche mura della cittadella impedivano ai fieri greci di marciare sulla città; cosi scrisse una lettera al re dei re Artaserse con queste parole "O grande re signore della terra, io, tuo infedele servitore, sono accerchiato dai nemici che mi premono da ogni direzione; ora se non vuoi aiutare me io ti capisco ma ti prego o grande re di pensare alla tua terra d'Egitto, che tanta ricchezza ti porta e mandami abili generali e navi da guerra affinché io, nella gloria del tuo nome cacci i nemici" Si dice che Artaserse abbia stracciato la lettera dopo averla letta perché riteneva, e non faceva fallo, Arbaziano un traditore, e dunque invece d'inviare soldati inviò alcuni messi che andarono a spiare la situazione per il Gran Re.

Ma quando venne l'autunno ed il sole picchiava meno sulla testa dei greci, Pericle ordinò che si costruissero grandi scale, alte quanto le mura e si cercasse di scavalcarle.

Per primi si lanciarono all'attacco i Meteci coperti di cuoio che vennero respinti con ingenti perdite, poi Pericle chiamò Cimone a cui affidò duemila Opliti e lo lanciò all'attacco sulle mura, ci fu grande battaglia per tutto il giorno e per alcune ore il vessillo di Atene brillò sotto i raggi della luna ecate, ma a sera Pericle richiamò Cimone incapace di avanzare nella fortezza e si limitò ad acquartierare le truppe presso il muro che fece incominciare a scavare nella speranza di vederlo crollare.

Cimone ebbe molto da vedersi rimproverare e perché egli aveva sostenuto Pericle nell'impresa, anche se prima erano nemici, e perchè molti lo consideravano un inetto dopo l'insuccesso, cosi Pericle richiamò Tucidide che era tornato a Eliopoli e gli offrì il comando dell'esercito.

Cimone, però, non venne tenuto inattivo ma fu mandato ad Atene affinché perorasse la causa della guerra ai Persiani e preparasse una grande flotta da usare come diversivo.

X

Filippo, allora, avvertì Pericle che guerrieri Persiani si stavano addensando sull'istmo ed inviò 700 opliti ed un numero imprecisato di fanti leggieri a controllare le mosse di Artaserse che guidava il suo esercito.

Poiché il Gran re non si muoveva Pericle, preavvertito da Filippo, continuò ad assediare Menfi, salvo distaccare 200 cavalieri Tessali a controllare le vicine Piramidi dove, pareva, un gruppo di Persiani si era rifugiato dopo uno scontro con le truppe di Inarco.

Ora, in realtà questo era un trucco di Arbaziano che vistosi perso, aveva pensato di distogliere la cavalleria da un gruppo di fedeli e fuggire notte tempo.

Cosi accade che mentre i Tessali, guidati da Ippolito, raggiungevano i Persiani, e con facile scontro ne avevano ragione, Arbaziano, scavalcate le mura con una scala, si diede alla fuga lungo il Nilo.

Pericle, avvertito da una nave della di Nasso che un piccolo naviglio aveva lasciato un imbarco incustodito, fece immediatamente raccogliere alcune navi e si diede all'inseguimento, ma vuoi per la confusione generata dall'avvistamento, infatti vi era chi diceva fosse una spia chi invece che fosse l'avanguardia di una grande flotta; vuoi perché le grandi navi da guerra greche manovravano male nel corso del Nilo, il vile Satrapo riuscì a fuggire e raggiungere il resto delle sue truppe, Numidi e Libici a Tebe d'Egitto.

Passarono allora due mesi e già due anni se ne erano andati da quando i Geci avevano messo piede nelle assolta terre d'Egitto, già qualcuno, infatti, mormorava Menfi fosse una nuova Troia, quando Pericle ebbe una geniale intuizione, che poi disse gli etra venuta pensando alla fuga di Arbazione.

Radunati i comandanti parlò cosi "Comandanti degli Ateniesi e della lega tutta, voi sapete che da due anni siamo qui ad assediare la cittadella di questa città, ed ho già sentito alcuni lamentarsi della lunghezza della guerra, come se le guerre si vincessero in attimi e gli assedi durassero poche ore.

No, vi dico, non è cosi e la guerra che stiamo affrontando, nessuno prima di noi l'aveva mai affrontata, le sabbie dell'Egitto, chi tra la nostra gente le aveva mai calcate? Chi aveva portato le flotte splendide a vedersi e temibili ad affrontarsi nel Nilo azzurro? Nessuno prima di noi, dunque tocca a noi anche l'impresa ardua di combattere e vincere affinché la nostra fama sia estesa a tutta la terra.

E come direte voi, o Pericle figlio di Santippe, vuoi farci ottenere questa gloria? Quando partimmo ormai due estati fa, l'oracolo mi disse che la guerra poteva essere vinta solo se le bianche mura fossero cadute, e voi, sapete che l'arce di Menfi porta questo nome perché fatta di bianco marmo, ma mi disse anche che le mura possono essere scavalcate e cosi più volte ho tentato ma senza successo, ora mi avvedo che l'Oracolo mi aveva invece suggerito un'altra strada.

Infatti per noi l'importante è avere l'intero Egitto alla nostra mercede e non consumare uomini per espugnare una città.

Cosi questo è quello che ho pensato, invieremo la flotta verso Tebe d'Egitto e la prenderemo e ad un tempo difenderemo l'Istmo dai persiani se vorranno passare e quando tutto l'Egitto sarà nostro allora anche le bianche mura cadranno" Tutti i comandanti si dissero d'accordo ma decisero di fare le cose con segretezza e chiamare ancora nuovi rinforzi dalla lega e dalla città, specie veloci cavalieri tessali e bravi fanti di Attica e marinai dalle isole.

 

XI

Fu dunque organizzato un piano nella maniera seguente, per tre giorni si lanciarono mercenari Libici e soldati di Inarco ad attaccare le mura, sotto il comando di Tucidide e dello stesso re libico, e mentre questo accadeva, con il favore della notte, Pericle si mise alla testa di 5000 opliti ed incominciò a marciare verso sud.

L'azione fu tanto rapida e ben riuscita che per celebrare il ben avvenuto disimpegno Pericle fece erigere un altare ad Atena del buon consiglio, che ancora si può ammirare 20 stadi da Menfi.

Quando Arbaziano ebbe la notizia che Pericle, lasciato l'assedio muoveva verso Tebe si fece prendere dal panico, come era suo uso, ed inviò ancora una lettera al Gran re chiedendo soccorso, ma poiché questa lettera venne catturata dai tessali che la portarono a Pericle, Arbaziano decise di combattere con i greci poiché Tebe non aveva mura e non c'era un arce nella quale rifugiarsi.

Tuttavia, poiché Arbaziano era un codardo, egli non guidò direttamente l'esercito, ma rimase a Tebe a dirigere le operazioni.

Intanto Perle, assistito dalla flotta di Cimone che era ritornata dall'Attica con altri 3000 opliti della lega di Delo, si parò davanti all'esercito Persiano in un luogo detto Dendera a pochi stadi dalla capitale.

Qua i Persiani assaltarono le prime linee dei Greci con i giavellotti e le frecce e fecero ondeggiare la prima linea, ma gli Opliti Ateniesi, e per il desiderio di bottino, e per non sfigurare di fronte agli antenati che avevano già più volte sconfitti i Persiani resistettero all'assalto ed anzi contro caricarono con ferocia e mentre caricavano gridavano "Per Atene" Alcuni, per sminuire le gesta degli Ateniesi, dicono che Arbaziano preso dal panico si dimenticò di inviare gli ordini e si rifugiò nel tempio di Apollo-Oro, ma questa è una palese bugia, infatti egli si rifugiò nel tempio del Dio solo dopo che le prime cavallerie arrivarono alla periferia della città come attesta la famosa orazione di Pericle scritta sul marmo nella piazza della città.

Comunque siano andati i fatti dopo una giornata di Sangue l'esercito Persiano, che qualcuno vuole forte di 15.000 soldati scappò in fuga verso la città permettendo a Cimone di raggiungerla con le biremi mentre Pericle fermava i suoi a riposare.

 

XII

Quanto grande fosse la preda in Egitto, e quanto grande la disfatta dei Persiani è dato da quello che i Greci presero in città.

Ma prima di elencare i favolosi tesori della città Egiziana bisogna dire che cosa accadde a Arbaziano.

Questi, in un primo tempo, come i Tessali arrivarono in città lasciò il palazzo e si rifugiò nel tempio di Apollo-Oro, circondato da 500 delle sue guardie scelte, che provenivano dalla Nubia, ed abbracciato ai corni dell'altare.

Poi come vide che la situazione era perduta chiamò Pelope e gli disse "Va da Pericle figlio di Santippe e chiedi per me la salvezza o Pelope figlio d'Antenore e quando l'avrai ottenuta torna da me e scegli 50 talenti d'oro e d'argento per te ed altri 50 per le tue truppe e considera sciolto il nostro accordo".

Pelope fece come gli era stato detto e si recò dai Geci che però non vollero sentire nessuna ragione, prima di concedere la salvezza ad Arbaziano egli avrebbe dovuto consegnare formalmente la città e venire prigioniero a Menfi affinché chiedesse la resa della bianche mura.

Il satrapo, confidando nella notte, dopo alcune settimane di prigionia nel tempio, infatti i greci si erano disposti attorno alle sue truppe e lo avevano isolato, decise di tentare la fortuna e fuggire.

Quando cadde la 23° notte Arbaziano esce dal sacro recinto e, accompagnato da cinquanta dei suoi, cercò di raggiungere una nave che alcuni uomini che aveva corrotto gli avevano preparato, ma fu individuato da un reggimento di 100 soldati di Bisanzio che si diederò all'inseguimento, visto fallire il suo piano Arbaziano si uccise sulla sua spada ed il corpo venne seppellito in quella pianura insieme ad i suoi guerrieri e solo una piccola stele ricorda quest'uomo.

Ma intanto i greci procedevano a liberare la città, gli Egizi da prima rimasero titubanti di fronte allo straniero ma quando Pericle mostrò rispetto sacrificando 20 delle 150 vacche di Arbaziano sull'altare di Zeus-Ammone i notabili della città gli inviarono una delegazione a chiedere che rispettasse le vite e le abitazioni private del popolo e dei notabili.

Pericle cosi rispose "Chi è stato con un nostro nemico è nostro nemico, ma chi gli si è opposto sarà considerato amico di Atene e Atene non dimentica gli amici; ma poiché non si dica che Pericle figlio di Santippe è crudele con i nemici vinti, io perdonerò tutti coloro che cederanno un decimo dei loro possessi ad Atene ed ad Inarco" I notabili del popolo ed i ricchi della città si misero dunque d'accordo per fare quanto il nobile stratego chiedeva e consegnarono nelle mani dell'esercito Ateniese 600 talenti d'oro e 50 stadi di terra da coltivare, 20 navi da guerra e 20 talenti d'armi, di queste 200 talenti andarono ad Inarco mentre il resto pagate le truppe, fu portato ad Atene che diede le armi come offerta ad Apollo Delfico con un iscrizione tutt'ora leggibile che dice "Si sappia che queste armi sono trionfo di Atene e di tutti i suoi cittadini che armi alle mani e coraggio nel cuore mossero fin all'Egitto per vincere nel nome di Apollo ed Atena" Infine le più belle statue che ornavano i templi degli Egiziani furono prese, dopo che l'oracolo di Zeus si era detto favorevole, e trasportate nell'Acropoli di Atene dove ancora fanno bella mostra di sé in un apposito tempio.

 

XIII

 Intanto però, poiché l'esercito del Gran re si era mosso oltre L'istmo e puntava verso Tanais Filippo mandò a chiamare Tucidide da Helipoli e lo fece ingiungere alle sue forze presso Giza dove sorgono maestose le immense piramidi degli antichi re d'Egitto.

Benché numericamente superiore il grande Re aveva bisogno di una flotta grande e potente affinché il grano, già che ora l'Egitto era in mani nemiche, potesse sfamare il suo esercito e poiché la flotta greca controllava il Delta, invece di attaccare Tanais come Filippo e Tucidide si aspettavano si acquartierò a 30 stadi dalla città e inviò un messo ai greci perché parlasse cosi: "Ritiratevi ora che avete fatto bottino e le vostre borse sono piene d'oro, andatevene prima che io sorga feroce e schianti le vostre navi e distrugga i vostri eserciti, se cosi farete, poiché sono potente vi risparmierò e lascerò che ve ne andiate in pace", cosi disse ma Pericle tornato da poco Sais rifiutò di patteggiare ed inviò Cimone con la flotta a contrastare quella del Fenico Ardebale che comandava quella del gran re.

Furono 120 vascelli Ateniesi ad attaccare battaglia all'inizio dell'inverno del terzo anno di guerra e poiché le navi fenicie erano per lo più da trasporto i marinai fecero attici e gli alleati, fecero scempio della flotta del Gran re.

Artaserse sin trovò privato del foraggio per i cavalli e, privo di rifornimenti, si limitò a riconquistare alcune fortezze facendo scempio dei greci che catturava.

Pericle ingiunse allora a Cimone di prendere la flotta ed attaccare la città di Salamina sulla costa di Cipro, che era greca e chiedeva la libertà e poi era un punto d'appoggio per la flotta del Gran re, intanto lui, con il grosso dell'esercito avrebbe marciato fino all'Istmo ed avrebbe allora piantato le tende a 50 stadi dall'esercito nemico e lo avrebbe intimorito con il suo numero.

Cimone dunque partì poche settimane dopo e raggiunse l'Isola di Cipro con 200 vascelli, era questa una mossa azzardata, e tanti in Atene, subito si lanciarono nel biasimare Cimone, egli cosi, infatti, lasciava scoperta la costa dell'Egitto e le sessanta navi che tenevano l'Assedio a Menfi; però fu difeso da Pericle ed anche in città ebbe chi lo sostenne e comunque tutti i lamenti ed i compianti si dissolsero quando riportò una schiacciante vittoria annientando 150 vascelli del Gran re perdendone nemmeno 50.

Egli, però, fu chiamato dalle moire in quell'occasione e mori mentre le sue navi entravano a Salamina vittoriose.

I suoi per rendergli onore fecero erigere un tempio a Afrodite Ciprigna con il bottino della giornata affianco del quale eressero un trofeo con le armi de vinti e vi posero quests iscrizione "A Cimone, che fu grande politico, grande generale ma soprattutto fu un grande uomo", l'iscrizione è ancora visibile nel tempio ma non è più nella sua posizione originaria, adesso, infatti, si trova murata nel lato destro mentre quando ivi fu posta si trovava sutto il simulacro della Dea.

 

XIV

 Mentre accadevano queste cose, Pelope si era ritirato presso le coste del mare e la aveva atteso che Artaserse, re dei re lo chiamasse con dei messi affinché servisse le sue armate.

Quando però ricevette la missiva del gran re ne inviò una a Pericle dicendo "Salute a te o Pericle figlio di Santippe, possano gli dei immortali concederti salute ed onore come meriti, il Gran re vuole che io lo affianchi nella guerra contro di voi, ma poiché io non sono contento di versare sangue ellenico che devo fare?" Egli diceva cosi perché durante la battaglia per Tebe d'Egitto invece di combattere per Arbaziano si era ritirato ed aveva atteso che i greci prendessero la città per ritirarsi sul mare.

Pericle letta la lettera, gli rispose che sarebbe stato più d'aiuto al fianco del re piuttosto che con gli Ateniesi, infatti cosi gli scrisse Pericle "L'onore è certo una delle cose più importanti che un uomo possieda, ma guai a quegli che credono che le battaglie possono essere vinte solo con l'onore.

Ecco cosa ti propongo, o Pelope, che tu sia sul fianco dell'armata del gran re e che poi ad un segnale convenuto, mentre combattiamo tu l'attacchi insieme a noi e si sbaragli cosi l'esercito dei barbari per la maggior gloria dell'Ellade" Il piano piacque a Pelope che però temette di essere considerato un traditore ed un bugiardo e scrisse queste cose in un libro perchè tra i greci si sapesse che non lo faceva per avidità di denaro ma per amor di patria.

Dunque Pelope giunse all'accampamento del re e colà, con grandi orazioni ottenne la fiducia del re ed schierò, per la battaglia, la sua truppa sul fianco dell'armata persiana come suggerito da Pericle.

 

XV

 Dopo molti, e molto lunghi preparativi, ilGran re alla fine si sentì di marciare verso Tanais, allora Inarco, che già si comportava come un re, lasciò la città per rifugiarsi a Sais,lasciando Filippo e Tucidide a fronteggiare la situazione.

Quando fu a soli 10 stadi dalla città Artaserse mandò dei messi alla città a chiedere che i greci si arrendessero "In cambio" egli disse "Concederò ad ognuno quello che ha catturato e altri trenta talenti d'oro puro da dividere fra le truppe" Ma Tucidide rispose "Come puoi, o grande re, coprire d'oro chi già è coperto? L'Egitto è ormai fuori dal tuo controllo, e invece ti dico vattene e avrai salvato ed un esercito e la faccia" Il Gran re si adiro molto per le parole di Tucidide e la mattina dopo mosse con tutti i suoi guerrieri verso il campo di Tucidide.

Marciavano sotto gli stendardi del Gran Re: 5000 soldati Medi armati di asta, 200 Fenici con l'ascia, altri 700 Lidi con arco e spada, 1000 Cari con la lancia e scudo, 2500 Schiti su cavallo e arco corto, 1000 siri con ascia, 600 Indiani con giavellotti e lance, e poi 2000 immortali sui cocchi guidati da Artaserse, sull'ala destra c'erano ancora 3000 Egizi e 500 Libici armati con lance e scudo quadrato, e sull'ala sinistra 1500 greci e 200 Nubiani coperti di pelli.

Tucidide comandava invece 3000 Ateniesi con corazza completa e lunga asta che formavano una falange, 1500 Opliti corciresi che indossavano la stessa armatura e 500 Opliti di Eleusi e poi molti altri contingenti da tutta la lega attica che servivano sotto Atene.

 

XVI

La battaglia si ebbe a consumare nei due giorni che seguirono e tremenda fu lo scontro tra le armate Persiane ed i valorosi greci.

Per primi vennero avanti i Persiani lanciando giavellotti e frecce, ma la falange Ateniese resse il peso dell'urto delle fanterie libiche e mede facendo brillare di rosso sangue il lucido metallo delle aste.

Poiché dagli assalti frontali il re non otteneva nulla, fece allora ritirare le truppe, era verso mezzogiorno e si preparava ad assaltare ancora quando Tucidide, su consiglio di Filippo, lanciò alla carica la falange degli Ateniesi, ordinando loro di gridare a più non posso e percuotere con le aste lo scudo di bronzo.

Dice che fecero cosi tanto rumore che gli Ibis, volarono via in stormi spaventati dal rombo delle lance che cozzavano.

I persiani, quando videro il muro di ferro greco, che si muoveva verso di loro a passo di carica, poiché vestivano di cuoio e di leggera tela, fecero per fuggire, specie i Fenici e gli Indiani che erano i meno armati di tutti.

Allora mentre la linea del fronte si apriva per far passare i carri, che Artaserse pensava avrebbe dato loro la vittoria, Pelope fece muovere i suoi contro l'ala destra del re.

Per tre o quattro ore regnò la confusione e l'armata persiana cominciò a sbandare incalzata da Tucidide essa iniziò a ritirasi.

Grande fu lo scempio fatto sui persiani ed anche Artaserse fuggì di gran corsa sul suo carro per evitare di essere catturato.

Benché la vittoria fosse stata enorme, dicono che di 10000 persiani ne siano sopravvissuti la metà; anche tra i greci ci fu gran strage e degli Ateniesi più di 2000 avevano incontrato l'ultimo fato.

XVII

Artaserse rimase molto colpito dalla sconfitta ed inviò alcuni greci catturati a parlamentare con Pericle.

Essi erano Filottete di Mileto e Anassagora figlio di Melarco che veniva da Samo.

Quando furono arrivati davanti a Pericle, Tucidide e Filippo dissero queste parole:

"Il Gran re vi saluta nel nome del Grande Dio, egli vi dice vincitori e si riconosce sconfitto, ma poiché egli è il signore di tutta l'Asia egli vi ricorda che se ora è sconfitto potrà sempre organizzare un armata in futuro e schiacciarvi senza complimenti."

Essi dicevano quello che gli era stato messo in bocca dal grande re che gli aveva detto che se fossero tornati senza un accordo con i greci sarebbero morti dopo atroci sofferenze e con loro, e se non fossero tornati avrebbero accecato e poi ucciso i soldati dei reggimenti da loro comandati, ma Anassagora preso in disparte Pericle disse cosi:

"O Pericle, non credere alle parole del Grande re, noi sappiamo che egli è terrorizzato ed è fuggito fino a Gaza in Palestina con le sue truppe prima di tornare in Egitto, se vi farete vedere accomodanti egli penserà che avete paura e vi attaccherà se invece sarete risoluti la paura lo assalirà e vi offrirà questa terra."

Pericle ammirato dal coraggio di Anassagora gli rispose:

"Farò come dici, o prode, ma ti chiedo: non temi di tornare dal Gran re senza la tregua che il re ti ha ordinato, egli certamente ti ucciderà!"

Rispose Anassagora:

"Senza dubbio la mia vita è persa ma se non torno egli ucciderà chi io comandavo e non sarei degno di essere ateniese se salvassi la mia vita a scapito di chi era al mio comando."

Gli ateniesi ammirati dal gesto di Anassagora gli dedicarono poi una statua e la posero nell'agorà con le sue parole incise su una lastra di bronzo.

Pericle, con le lacrime agli occhi, fece poi tornare i due all'accampamento del re, dove, si dice fossero bruciati vivi, poi prese la decisione di attaccare con quante truppe aveva la città di Menfi e porre fine alla guerra.

 

XVIII

Cosi quando fu mattina presto radunò i generali e disse loro cosa aveva nel cuore e cioè di lanciare un offensiva definitiva e di far crollare le mura bianche della cittadella e prenderla a costo della vita, diceva infatti che se quella fortezza non cadeva non importava quante volte il gran re sarebbe stato sconfitto.

Dunque di buon mattino i soldati ateniesi iniziarono a scavare fosse sotto le mura per mettervi delle mine mentre si cercava di lanciare con catapulte ed archi quante più frecce infuocate si poteva senza riguardo ai templi ed alle case, ed anzi cercando di colpire la dove sembrava più facile che la cittadella bruciasse. 

Dopo una settimana che si andava avanti cosi, e che già tre volte la galleria sotterranea era crollata ed aveva sepolto nobili guerrieri Ateniesi.

Quando però, i persiani videro che la potente flotta di Atene, si metteva di mezzo sul grande fiume Nilo ed impediva alle granaglie di arrivare e le gallerie greche sembravano funzionare, si decisero per una sortita.

Erano ormai sei anni che la città resisteva e sembrava il momento di giocarsi il tutto per tutto, tuttavia alcuni egizi, che temevano le rappresaglie di Inarco e dei Greci di notte aprirono la porta della cittadella e fecero entrare un reggimento di Ateniesi che con tutta calma si insediarono nella piazza d'arme come i Persiani si accorsero che la cittadella era invasa cercarono di reagire ma fu troppo tardi e Pericle, fatte crollare le mura che davano sul fiume, entrò nel porto della fortezza con venti trireme e prese il tempio di Zeus Ammone e catturò il comandante persiano Mitridate che fece poi uccidere.

Visto che la fortezza era persa e con essa tutto l'Egitto era in mani Greche, Artaserse inviò un messo e chiese in che condizioni i Greci avessero adesso accettata la pace.

 

XIX

Queste furono le richieste dei Greci al re: che i prigionieri Ateniesi e dei loro alleati fossero rilasciati con un darico a testa e due per i comandati e quattro per i generali catturati. Che Inarco fosse riconosciuto re e che Artaserse lasciasse l'Egitto per sempre. Che agli Ateniesi fossero pagati 60 talenti D'argento e 30 d'oro e che la metà fosse data agli alleati. Che Artaserse, in espiazione di quanti aveva ucciso, inviasse trenta tripodi d'oro da un talento al tempio di Apollo a Delfi e la metà a Delo.

Se il gran re avesse accettato queste richieste Atene avrebbe fatto la pace con il re e non si sarebbero più chiamati nemici. Intanto Pericle disponeva che 2000 soldati Ateniesi si portassero a Naucrate, che era un grosso emporio degli Ioni, e vi si stabilisse in permanenza, mentre altri due reggimenti di 1500 opliti si sarebbero posti presso Menfi e presso Tebe d'Egitto.

Fece poi dell'Egitto il primo protettorato di Atene, poiché Inarco giurò davanti agli Dei immortali che avrebbe sempre pagato i talenti necessari per mantenere l'esercito di Atene che lo proteggeva ed anche la flotta ed inoltre avrebbe inviato 30000 medimmi di grano ad Atene ogni anno e 20 talenti d'oro.

Fu cosi che Pericle ottenne imperitura fama di condottiero vittorioso e divenne un Eroe prima per gli Ateniesi e poi per tutti i greci, quando la guerra di cui narra Tucidide tra Sparta ed Atene ebbe fine ed Atene rimase l'unica potenza della Grecia e fece ancora splendide imprese per tutti i mari.

FINE

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L'intera ucronia può essere scaricata in versione .pdf zippata cliccando qui.

Quest'ucronia in versione storico-antica è basata sulla seguente idea di Filobeche:

Durante la Guerra del Peloponneso, l'Egitto si ribello all'impero persiano sotto la guida di una dinastia Libica che chiamò in soccorso Atene, la quale in poco tempo riuscì a sconfiggere le trupper del gran re ed a controllare praticamente tutto l'Egitto.

Poi i persiani lanciarono una controffensiva e ripresero l'Egitto.

Poiché Atene era impegnata in guerra contro Sparta non poté inviare nessun rinforzo alle sue truppe assediate, una flotta ateniese aveva circumnavigato il Peloponneso per imbottigliare gli Spartani in Focide.

Ma se Atene fosse stata più diplomatica? Se avesse ceduto alla pressione Spartana che considerava minacciata la sua sfera d'influenza avendo Atene combattuto contro Corinto? Avrebbe allora la città della Dea Atena potuto lanciare una conquista dell'Egitto? Avrebbe Atene potuto ridurre l'Egitto ad uno stato, o meglio ad una colonia nel senso moderno del termine, della lega di Delo?

E come sarebbe cambiata la storia con L'Egitto in mani greche praticamente un secolo prima di Alessandro?

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Adesso vi propongo un piano ideale  per procedere della narrazione, che forse seguirà il modello di Pausania, cioè descrivendo le nazioni e con esse un briciolo di storia. L'idea è questa:

Atene con il Grano, i mercenari e le navi dell'Egitto liberato  schiaccia gli Spartani presso il Monte Taigeto e distrugge Sparta  cedendo la Laconia agli Iloti e liberando la Messenia,poi integra  tutte le nazioni greche in una lega più o meno egemonizzata da Atene.

Ma... Atene, nella guerra civile tra i figli di Artaserse appoggia  Ciro e al comando dei 10.000 manda subito Senofonte che rimane a  proteggere Ciro e gli salva la vita (c'è motivo di credere che a  differenza di Clearco, Senofonte sia più prudente e perciò meno  incline ad inseguire il nemico dopo la vittoria lasciando isolato Ciro).

Ciro riorganizza l'impero e questo è un problema per Atene che vede la  sua espansione verso oriente bloccata da un(relativamente) potente  stato persiano.

Tuttavia gli spartiati sono fuggiti a Siracusa (come influisce questo  sulla Sicilia ellenica?) Poi arrivano i Celti ed immagino un grande futuro per loro con  regni (?) Celto-greci sul tutto l'oriente ellenico inclusa la  Palestina (infondo sarebbe solo un ritornare visto che pare che i  Filistei siano Indoeuropei)

Poi Alessandro o addirittura Filippo si schiantano sulla nuova persia  di Ciro e non riescono a conquistarla( o forse solo qualche pezzo).

Immagino che Ciro visto il successo dei 10.000 organizzi anche lui un  esercito di Opliti alla maniera dei Cartaginesi.

Poi... Roma ho bisogno di eliminarla dalla scena politica sennò non  c'è motivo perchè la sua espansione non accada come nella HL, al  limite ci sarebbe un oriente meno ellenizzato ma io invece devo  vedere sparire Roma e devo trovare una ragione plausibile con il Pod, non voglio dire perchè Annibale la conquista e punto.

Lo Zoroastrismo non vede distruggere gli Avesta e sopravvive anzi  verso l'era volgare si rafforza in maniera cospicua e quando nasce il  Cristo il cristianesimo potrebbe nascere dalla fede Mazdaica anzichè  da quella Ebraica a seconda di quello che deciderò per la Palestina. Infatti i Parti invadono comunque la metà orientale della Persia e questa  potrebbe essere costretta a scegliere la Siria o l'Assiria come  roccaforte per resistere all'invasione e Damasco come capitale.

 Filobeche


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