Istria, 1946

Tutto parte da un'idea di Lord Wilmore:

Il 5 settembre 1946 a Parigi non viene firmato L'Accordo De Gasperi-Gruber. Di conseguenza gli alleati impongono un referendum popolare in Alto Adige il cui esito provvede a riassegnare la provincia a Vienna.

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Così gli risponde Never75:

A quanto pare fu lo stesso De Gasperi a voler siglare l'accordo (senza passare per via referendaria) in quanto, da buon trentino, temeva la secessione dell'Alto Adige. Però, se si fosse tenuto un referendum in Alto Adige, lo stesso De Gasperi avrebbe insistito per farlo anche in Istria. Allora che succede? Probabilmente tutta Trieste (zona A e B) e tutta Gorizia rimangono italiane. De Gasperi potrebbe ritrovarsi come Garibaldi, uno straniero in patria.

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Ed ecco l'intervento di Enrico Pellerito:

La proposta è veramente interessante.

De Gasperi però resta italiano, il problema riguarda la provincia di Bolzano, non quella di Trento, e Pieve Tesino, dove è nato il Nostro, era già in provincia di Trento; correggetemi se sbaglio, ma credo che la presenza in questa provincia di abitanti di madre lingua tedesca non doveva essere, già all'epoca, apprezzabile, né probabilmente mai lo è stata.

Non credo che gli "austriaci" siano proprio degli scrocconi; i benefici economici sotto forma di trasferimenti di fondi, riduzioni fiscali, et similia, li hanno fatti fruttare lavorando sodo. E fra i possibili cambiamenti negativi per l'Italia vedo una minore ritorno in termini economici (territorio non più soggetto alla nostra tassazione).

Se poi De Gasperi fosse riuscito ad ottenere un referendum in Istria, attuandolo prima che la politica terroristica delle foibe producesse i tragici risultati che sappiamo, avremmo avuto un confine militarmente più sicuro (aree d'accesso alla pianura veneto-friulana in nostre mani) e tanta gente che sarebbe rimasta a casa sua (ad esempio, la famiglia di mia madre che andò profuga in Toscana). Egoisticamente, lo scambio Alto Adige all'Austria e Istria e Venezia Giulia (non so, francamente se il retroterra fiumano optasse per l'Italia o per la Jugoslavia) a noi, mi starebbe bene.

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Anche William Riker vuole dire la sua:

Anche a me. Ma l'entroterra fiumano aveva sì o no il 5 % di italiani. Gli italiani erano concentrati tutti sulle coste. Dunque costa dell'Istria fino ad Abbazia (Fiume esclusa) italiana, l'interno (Pazin/Pisino/Mitterburg capoluogo) alla Jugoslavia. Ci sto.

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Enrico Pellerito si mostra in disaccordo:

In effetti, l'entroterra era abitato da parecchie comunità di ceppo, lingua e tradizioni slave, ma non mancavano gli elementi che si sentivano italiani e amavano parlare l'italiano.

Proprio per questa ragione, un pezzetto dell'entroterra mi piacerebbe che restasse in Italia.

Mi spiego meglio e chiedo scusa se torno con il mio esempio familiare: mio nonno materno era istriano di Montona (oggi Motovun in Croazia), paese dell'interno, e lui era un istriano di origine dalmata, con cognome rigorosamente slavo, a sua volta rigorosamente italianizzato durante il ventennio, e aveva sposato una sua compaesana, il cui cognome però è di origini veneziane.

Nonostante la provenienza indubbiamente slava, mio nonno si sentiva italiano, tanto che nel 1915 non volle andare a combattere contro gli Italiani, dopo che lo aveva fatto contro i Russi in Galizia, e in qualche modo riuscì a riparare in a Torino.

Quando la "politica infoibistica" mostrò il suo scopo, la mia famiglia materna preferì andar via piuttosto che restare sotto il dominio di Tito, e va detto che mio nonno non era affatto un estimatore di Mussolini.

Un pezzo d'entroterra all'interno della nostra repubblica me lo concedete?

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William Riker allora corregge il tiro:

Oh, scusa, non conoscevo il tuo retroterra famigliare. Per me va bene anche tutta l'Istria all'Italia, però bisogna evitare la disastrosa politica di Gentile che proibì l'insegnamento di sloveno e croato nelle scuole, provocando il "doppio analfabetismo": costoro parlavano sloveno o croato in casa ma non imparavano a scriverlo, e si rifiutavano di imparare a scrivere l'italiano. La regione Friuli Venezia Giulia e Istria deve avere l'autonomia dell'Alto Adige e il bilinguismo. Sei d'accordo?

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Never75 invece sposta momentaneamente il discorso sull'Alto Adige:

Ci sarebbe un altro aspetto da prendere in considerazione, riguardo ad un Sud-Tirol austriaco.

L'Austria nel dopoguerra era anch'essa una nazione a pezzi (in proporzione forse conciata anche peggio dell'Italia) con una disoccupazione ed inflazione alle stelle e con la stessa capitale occupata e divisa in quattro: non tutti sanno che anche Vienna come Berlino era divisa in Est ed Ovest, e solo nel 1955 fu "liberata" dai Sovietici.

Credo che una volta ricongiunto l'Alto Adige all'Austria, non mancherebbero i "nostalgici" che vorrebbero tornare indietro proclamando la riunificazione all'Italia, e magari gli attentati li farebbero contro il governo di Vienna.

C'è anche da dire un'altra cosa: come vengono decisi i confini dell'Alto Adige austriaco? Ad esempio Bolzano (seppur di poco a maggioranza italiana) a chi va? Se va all'Austria (nonostante tutto) si potrebbe assistere ad un esodo di massa di italiani vagamente paragonabile a quello istriano-dalmato. Oppure attentati compiuti da italiani contro i "tedeschi".

Probabilmente fu per questo che De Gasperi (che non voleva rischiare) fece di tutto per tenersi stretto l'Alto Adige... se anziché trentino fosse stato triestino, si sarebbe comportato in maniera completamente diversa (avrebbe sacrificato volentieri l'Alto Adige salvando la "sua" Istria), ma la storia a volte è fatta anche di scelte personali.

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Enrico Pellerito risponde a tutti e due in modo conciliante:

Nessuno deve scusarsi, non preoccupatevi. Volevo solo dire che anche nell'interno c'erano gruppi, non egemoni, di lingua italiana.

Certo, se facciamo l'ipotesi che questo referendum avvenga nel 1946, l'azione per indurre gli Italiani ad andare via era già iniziata; non credo di offendere nessuno dicendo che quella fu un'operazione di pulizia etnica, così come quelle perpetrate 45 anni dopo qualche km più a sud-est.

Stiamo parlando di fatti, sia negli anni quaranta che in quelli novanta, e non intendo strumentalizzarli politicamente. D'altra parte, mi metto anche nei panni di coloro che sentendosi slavi non potevano esternare la loro cultura, e dovettero subire le angherie del Governo italiano. Si sono rifatti, e con gli interessi.

Stante così le cose, con l'esodo degli "Italiani" già iniziato, è probabile che l'hinterland istriano avrebbe optato, a maggioranza, per diventare jugoslavo.

Sono dunque d'accordo con te sul fatto dell'autonomia e del bilinguismo, ma nessun privilegio per il semplice fatto che si è Italiani o Sloveni o Croati. Ai concorsi si parte tutti uguali, e
solo chi merita si piazza (tanto per fare un esempio).

Ma veniamo alla proposta di Never75. Ha detto una grande verità riguardo al fatto che la storia dipende anche da scelte "personalistiche" se mi si può passare il termine. Comunque, la quantità di "Italiani" da reinserire dopo un esodo dall'Alto Adige, e, in particolare, proprio da Bolzano, non sarebbe poi molto grande in termini numerici. Molte delle famiglie autoctone con cognomi italiani, già nell'ottocento preferirono germanizzarsi per non essere considerate subalterne rispetto ai Tirolesi. L'errore fu quello di inglobare il Sud Tirolo (Alto Adige lo battezzarono i Francesi al tempo di Napoleone) dopo il primo conflitto mondiale, e di volerlo italianizzare forzatamente.

Consideriamo che Bolzano era, come credo sia ancora, un'isola con una leggera preponderanza italofona circondata da un mare sudtirolese, e questo solo grazie alla politica del regime di farvi emigrare molti Italiani dal sud, così come si fece con Trieste. Io, quindi, credo poco ad un possibile "Hofer" italiano.

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Questo è il parere di Falecius:

Secondo me l'entroterra giuliano avrebbe sicuramente votato Jugoslavia, le aree costiere Italia (l'entroterra di Fiume era già jugoslavo, invece). Grosso modo, metà della penisola istriana sarebbe rimasta a noi. personalmente avrei preferito così, e credo che anche gli alto-atesini.

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Nuovo intervento di Enrico Pellerito:

In ogni caso, anche se la percentuale italofona, in tutta la Provincia, fosse stata globalmente del 15, del 25, o addirittura del 49,99 %, si sarebbe rischiato lo stesso un esodo da parte di queste persone verso l'Italia.

A meno che, successivamente al referendum che avesse visto vittoriosi i "tedeschi", il Governo italiano, richiedesse un minimo di rispetto per la popolazione di lingua italiana, proponendo sempre un accordo con Vienna, e questa, ancora sotto ferreo controllo degli alleati, abbozzasse favorevolmente a questa richiesta. Considerando il capitale di manodopera specializzata nell'area industriale, all'Austria sarebbe convenuto rispettare il gruppo italiano e tenerselo stretto, garantendo il mantenimento delle strutture industriali, e non solo di "masi", bovini e agricoltori.

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Non può mancare il punto di vista di MAS:

Dato che mi sento tirato in ballo, voglio dire la mia. A me l'idea di dare ai Titini Fiume, il più grande centro italiano dell'Istria, proprio non va giù.

La cosa buffa è questa: Fiume e Zara avevano oltre l'80% di popolazione italiana; Abbazia, Pisino e altri centri dell'interno non arrivavano al 10%. Da un punto di vista linguistico, sarebbe giusto dare a Tito Postumia e Idria, città slovene dove gli italiani, compresi carabinieri ed altri dipendenti pubblici, non raggiungevano il 3% e che storicamente non avevano mai fatto parte dell'Italia né di alcuno stato italiano, piuttosto che aree magari slave ma croate, più assimilate al dominio veneto. Ancora oggi 100.000 istro-croati, quelli che sono li da 5-6 secoli per intenderci, si sono dichiarati istriani e non croati, che aggiunti ai 70.000 italiani, 30.000 veneti, 1.000 rumeni, 5-6.000 istro-ladini, formano lo zoccolo duro dell'irredentismo istiano.

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Falecius, punto sul vivo, ritorna in campo:

Io ritengo che l'Istria abbia la sua storia particolare, la grande ricchezza che viene proprio dall'essere storicamente un punto di incontro e rimescolamento. Purtroppo Mussolini prima e Tito poi, per non parlare di Tudjman, hanno combattuto questa ricchezza per normalizzare la zona ai loro criteri nazionali, e l'hanno quasi distrutta, creando per di più un clima di odio e diffidenza tra i diversi popoli dell'area.

Detto questo, Fiume è un caso a parte, anzitutto  perchè non si trova esattamente in Istria, né geograficamente, né storicamente (apparteneva al regno d'Ungheria come Città Libera), ma anche perché la sua italianità è indotta e recente: nel 1850, quasi nessuno dei circa 12.000 abitanti si dichiarò italiano, e in città non esistevano né scuole italiane, né scuole croate. La politica dei governi magiari dei Tisza dopo il 1867 favorì le scuole italiane (Fiume non ebbe scuole in croato per tutto il periodo ungherese), per cui i Fiumani furono in buono misura dei "convertiti" all'italianità perchè i loro genitori o nonni erano scolarizzati in italiano. Ciò non toglie che verso il 1920 la maggior parte dei Fiumani si considerasse italiana, e parlasse perlopiù italiano.

Questo è un caso quasi unico nell'Adriatico orientale; di norma, le città si slavizzarono nel corso dell'Ottocento a causa dell'emigrazione dalle campagne.

Sottolineo che, a parte la fascia istriana costiera (Pola, Rovigno, Capodistria), la presenza italiana in Dalmazia e Venezia Giulia è essenzialmente urbana, mentre le campagne sono largamente slave (anche nella provincia di Trieste, dove attualmente la città capoluogo mi risulta essere l'unica con una maggioranza italiana). Il conflitto tra slavi ed italiani, come quello tra slavi e tedeschi nella Slovenia interna e tra slavi e magiari nel Banato e in Slovacchia, è anche un conflitto tra città e campagna, tra operai ( contadini inurbati) e borghesi, tra aristocratici e contadini. La disgrazia dell'Europa centrale e balcanica, ed oggi anche in parte del Medio Oriente, è stata di fondere la presa di coscienza nazionale con quelle sociale, del dare colore nazionalistico alla rivendicazione dell'emancipazione o del privilegio socio-economico, di fare della lotta di classe una lotta nazionale. Questo è tragico. In passato l'appartenenza italiana della popolazione urbana giulio-dalmata era un dato culturale (un croato che entrava nella borghesia cittadina, poniamo, di Spalato, diventava italiano); ma questo fu possibile solo finché sloveni e croati non svilupparono una nuova cultura urbana scritta di prestigio. Da quel momento (come data potremmo prendere il 1848), il contrasto di appartenenze e la loro etnicizzazione diventarono difficili da evitare.

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Ed ecco l'articolato intervento di MAS:

Concordo che gli ultimi tre governi (quattro con l'Austria) che hanno amministrato l'Istria (e la Dalmazia) hanno fatto esattamente il contrario di quanto andava fatto.

L'Austria ha favorito in modo plateale l'elemento slavo (che fino al 1880 non aveva un irredentismo vero e proprio, mancando uno stato di riferimento) rispetto a quello italiano che era assai più turbolento e infiammato dall'idea nazionale.

Prova ne sia che i sindaci sino al 1880 di tutti i centri costieri (istriani e dalmati) erano italiani (Ragusa, che italiana o veneta non lo era mai stata, ebbe un sindaco italiano sino al 1890), mentre nel 1910, ci erano rimasti alcuni centri istriani e Zara.

Verissimo che gli italiani erano presenti sopratutto sulla costa dove, escluso il Quarnaro, erano in assoluta maggioranza (almeno in Istria), ma erano maggioranza anche in molti centri dell'interno; l'asserzione degli italiani cittadini e degli slavi contadini è verissima. È altrettanto vero che gli slavi inurbandosi si erano in gran parte italianizzati (vedasi Fiume o la stessa Gorizia, abitata da sloveni ... di lingua italiana); molti slavi della campagna e delle isole erano nella realtà dei ladini che sino al 1800 parlavano vari dialetti romanzi (vegliota, dalmata, tergestino, bisiacco antico, istro-ladino) e che furono rapidamente slavizzati sotto il dominio austriaco.

Tra gli infoibati del 43-46, ci furono molti croati (o istro-croati, come sarebbe più corretto dire di quegli slavi che da secoli abitavano l'Istria e il Quarnaro e che utilizzavano da secoli l'italiano e il veneto come lingua dotta e interlingua); ancora oggi, nell'ultimo censimento, 100.000 croati si sono dichiarati istro-croati per distinguersi da quella miscellanea di slavi dell'interno inviati da Tito (in minoranza croati, in maggioranza serbi, macedoni, bosniaci, slovacchi della Backa e chi più ne ha più ne metta).

A Pasqua 2006 ho avuto il piacere a Cittanova di sentire l'allenatore della squadra giovanile di calcio, intento a istruire i ragazzi in veneto. Ed ecco i risultati del censimento del 1921 che non sono mai stati contestati da parte slava:

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Città

Italiani

Sloveni

Croati

Tedeschi

Gorizia (GO)

75%

22%

-

-

Gradisca (GO)

87%

11%

-

-

Monfalcone (TS)

96%

2,6%

-

-

Sesana (TS)

3%

92%

-

-

Tolmino (GO)

3,3%

96%

-

-

Idria (GO)

2,8%

97%

-

-

Postumia (TS)

2,6%

97%

-

-

Tarvisio (UD)

14%

17%

-

64%

Trieste (TS)

84%

11%

-

-

Capodistria (PO)

51%

33%

15%

-

Lussino (PO)

68%

-

15%

-

Parenzo (PO)

75%

5%

20%

-

Pisino (PO)

39%

2,5%

57%

-

Pola (PO)

71%

-

20%

-

Abbazia (FM)

19%

34%

43%

-

Fiume (FM)

79%

3,4%

10%

-

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Ma torniamo al nocciolo del nostro discorso. Un doppio referendum, a cui avrebbero diritto di voto solo i residenti maggiorenni che abitavano le due zone prima della guerra, facendo testo l'ultimo censimento italiano del 1941, avrebbe visto una vittoria filo-austriaca di misura in Alto Adige e una altrettanto di stretta misura italiana in Istria.

Conseguenze:

1) Alto Adige:

La città di Bolzano, Laives e tutti i comuni di lingua Ladina sarebbero rimasti all'Italia, il resto (Val Venosta, Val Pusteria e Valle dell'Isarco/Adige) all'Austria; per i Sudtirolesi di Egna, Caldaro ecc. sarebbe stato quasi impossibile raggiungere il Nord della provincia (con Bolzano italiana) mentre i Bolzanini per andare in Italia avrebbero dovuto raggiungere il Trentino o il Bellunese attraverso le vallate Ladino-dolomitiche.

Alla fine si sarebbe giunti ad un accordo di libero transito come esisteva sin dagli anni '20 per i treni austriaci che, a porte chiuse, congiungevano il Tirolo orientale con quello settentrionale passando dalla Val Pusteria.

2) Istria:

Tutta la costa da Monfalcone ad Albona sarebbe rimasta italiana (l'unico comune costiero a stretta maggioranza slava in tutta la zona è rimasto paradossalmente all'Italia: Duino), il confine friulano sarebbe rimasto pressoché quello della nostra Timeline, forse con un paio di comuni sul lato destro dell'Isonzo che ci sarebbero rimasti.

Alcuni centri dell'entroterra istriano (Buie, Montona ecc.) avrebbero optato per l'Italia, compresi i due comuni a maggioranza istro-rumena in Valdarsa: si rammenti che ancor oggi Buie è il comune con la più grande minoranza percentuale italiana, superiore al 35%.

A Zara, Lagosta e a Fiume la vittoria sarebbe stata nettamente italiana, ma le due città sarebbero state assegnate per un discorso di continuità territoriale alla Jugoslavia in cambio di alcuni comuni mistilingue dell'entroterra istriano e dietro garanzie internazionali sulla protezione della maggioranza italiana di questi centri.

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Anche William Riker dice la sua:

Ed ecco la cartina che ho voluto realizzare seguendo i consigli di voi tutti, in base all'idea che un Referendum avesse restituito parte dell'Istria all'Italia. Fiume è rimasta italiana, mentre Cherso, Lussino e Zara sono andati alla Jugoslavia; come contropartita, Caporetto, parte dell'entroterra goriziano e alcuni comuni mistilingui dell'interno dell'Istria tornano all'Italia.:

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L'Istria dopo il referendum del 1946

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Anche l'amico Michael Oberseider, che ci scrive dalla Germania, ha voluto dire la sua in proposito:

Cari amici, ispirandomi a questo libro ho scritto la mia versione della presente ucronia. Anche se questo libro descrive solo le relazioni dell’Austria con la Jugoslavia e l’Italia del dopoguerra, e non le relazioni dell’Italia con la Jugoslavia, io penso che ci sarebbe stata una possibilità salvare l’Istria, a patto di sacrificare altri parti del paese. Come? Forse in questo modo:

POD: Nei primi mesi del 1945, l’Italia decide di salvare l’Istria e non l’Alto Adige come nella nostra linea temporale. Nel Marzo del 1945, il governo Italiano scrive una lettera a Roosevelt, in cui afferma l’importanza dell’Istria per l’Italia e lo prega che gli Italiani non vivano fuori d’Italia. (Nella nostra inea temporale, il governo Italiano scrisse una lettera a Roosevelt per salvare l’Alto Adige). Fra le altre cose, in questa lettera c’è scritto che i Croati hanno sostenuto gli Ustascia e che l’Aeronautica Cobelligerante Italiana ha aiuto i partigiani di Tito.

Gli Stati Uniti rispondono e promettono che l’Italia non dovrà cedere i territori della madrepatria senza un referendum. Tito e i pratigiani non hanno occupato Istria e Venezia Giulia, ma la Carinzia in Austria, e l’amministrazione di tutte le zone A e B del plebiscito del 1920 è affidata immediatamente alla Jugoslavia (vedi qui una cartina delle aree di quel plebiscito): 40.000 persone lasciano la Carinzia. Venezia Giulia e Istria, l’Alto Adige, la Valle d’Aosta, Briga e Tenda, Pelagosa, Lagosta e Zara sono occupati delle truppe americane, inglesi, australiane e neozelandesi. Nel Giugno del 1945 è convenuto di effettuare un referendum sotto osservazione internazionale in questi territori alla fine del 1946.

Il referendum è effettato il 6 ottobre 1946. Le aree sono suddivise nelle seguenti zone: Briga e Tenda (con Briga Alta), le Valli occitane (con i communi di Triora, Olivetta San Michele), la Valle d’Aosta, la Val Venosta (con il comune di Lagundo), il Burgraviato, Bolzano e la Val Sarentino, Oltraadige-Bassa Atesina, Alto Adige Ladino con i comuni di Velturno, Funes, Chiusa, Villandro, Rebona e Barbiano), Valle Isarco e Val Pusteria, Istria veneta (dopo il confine del 1797, ma senza la ferrovia a Pisano), Istria asburgica, Venezia Giulia nord (la parte, che nella HL è la Slovenia senza le parti dell’Istria veneta), Trieste (i comuni che oggi sono in Provincia di Trieste), Gorizia (i comuni che oggi sono in Provincia di Gorizia), Slavia Friulana, Fiume (Stato libero di Fiume), Cherso, Lussino, Zara, Lagosta, Pelagosa. Tutti coloro che abitavano in queste zone il 1 Gennaio 1938 e hanno più 21 anni, sono autorizzati a votare. Durante i preparativi, Francia e Jugoslavia chiedono una data di scadenza anteriore, ma per motivi organizzativi, si accordano sul 1 gennaio 1938. Solo a Val Canale gli Americani impediscono il referendum, affinché l’Italia abbia un valico con l’Austria. La giustificazione ufficiale era l’esodo dei tedescofoni d’anteguerra. A causa dell’occupazione jugoslava della Carinzia meridionale, tutti i tedescofoni sono ritornati a Val Canale.

I risultati sono i seguenti:

Briga e Tenda: 73,4 % per la Francia
Valli occitane: 78,4 % per l’Italia (tutti i comuni sopra il 50 %)
Val d’Aosta. 51,8 % per l’Italia
Val Venosta: 84,9 % per l’Austria
Valle Isarco e Pusteria: 82,7 % per l’Austria
Alto Adige Ladino: 53,6 % per l’Italia (i comuni Ladini sopra l’80 % per l’Italia, gli altri comuni sopra il 70 % per l’Austria)
Bolzano: 67,8 % per l’Italia
Burgraviato: 58,3 % per l’Austria (la città di Merano sopra il 70 % per l’Italia)
Oltradige-Bassa Atesina: 55,4 % per l’Italia
Slavia Friulana 72,3 % per l’Italia (tutti i comuni sopra il 50 %)
Venezia Giulia Nord 94,7 % per la Jugoslavia (tutti i comuni oltre il 90 %)
Gorizia: 74,0 % per l’Italia (i comuni di San Floriano, Doberdo, Savogna di Isonzo e le frazioni di Sant’Andrea e Piedimonte sopra il 95 % per la Jugoslavia)
Trieste: 73,9 % l’Italia, comuni rurali e Altopiano sopra il 90 % per la Jugoslavia, la frazione di Duino 74,1 % per Jugoslavia, frazione di Barcola 77,8 % per la Jugoslavia, Suburbio (frazioni di Chiadino, Chiarbola superiore, Cologna, Gretta, Guardiella, Longera, Roiano, Rozzol, Santa Maria Maddalena Inf., Santa Maria Maddalena Sup., Scorcola, Servola) 53,5 % per l’Italia
Istria veneta: 70,8 % per Italia (alcuni comuni rurali più 60% per Jugoslavia)
Istria asburgica: 50,9% per l’Italia (nessun comune oltre il 70 % per uno stato, Abbazia 59,9 % per l’Italia, Mattuglie 89,3 % per la Jugoslavia)
Fiume: 74,2 % per l’Italia
Cherso: 61,4 % per l’Italia
Lussino: 69,7 % per l’Italia
Zara: 71,9 % per l’Italia
Lagosta: 53,1 % per l’Italia
Pelagosa: 100,0 % per l’Italia

I motivi:

Briga e Tenda erano una parte della Contea di Nizza ed erano sempre orientati verso Nizza, ma le valli occitane erano sempre parte del Piemonte (Olivetta della Liguria).

Val d’Aosta: I fascisti lì erano un ricordo sgradevole e prima della guerra molti valdostani emigravano in Francia e Svizzera francese. Per questo una maggioranza (quasi due terzi) di popolazione locale ha votato per la Francia, ma con i voti degli immigrati si è giunti ad una risicata maggioranza per l’Italia.
Alto Adige: Quasi tutti hanno votato per la loro origine etnica, i Ladini hanno paura di vivere come l'unica minoranza in Austria. Nella propaganda per l’Italia il destino degli sloveni della Carinzia era un punto importante.

Il Carso era sempre stato sotto il dominio asburgico, la cultura italiana era straniera in questi territori. Dopo il censimento del 1921 abitava in questi territori meno del 5 % di italiani. Non c’era qui alcuna possibilità per Italia di vincere il plebiscito.

Trieste e Gorizia: Quasi tutti hanno votato per la loro origine etnica, come nel Carso il territorio era sempre stato sotto il dominio asburgico (eccetto Monfalcone). Savogna d’Isonzo è ancora oggi orgogliosa che Primoz Trubar, il fondatore della lingua slovena, ha visitato il paese.

Istria e isole del Quarnaro: Dopo il censimento del 1921 in questi territori abitavano molti italiani, anche molti Croati sapevano parlare italiano. Anche la fedeltà storica per la Repubblica di Venezia è stata una motivazione valida. Nell’Istria asburgica la maggioranza per l’Italia è stata raggiunta solo attraverso le voci degli immigrati dopo la prima guerra mondiale, anche gli Istrorumeni hanno votato prevalentemente per l’Italia. Zara, Lagosta e Pelagosa avevano una maggioranza italiana al 1 Gennaio 1938.

Le conseguenze:

Briga, Tenda e tutta la vecchia Contea di Nizza passa sotto sovranità francese, le valli occitane e la Val d’Aosta ritornano sotto sovranità italiana. Il risultato del referendum è accettato da Francia e Italia. L’Italia si impegna a rispettare i diritti delle minoranze in Val d'Aosta. Tutti i toponimi del fascismo vengono cancellati, l'italianizzazione dei cognomi è annullata su richiesta personale e le scuole bilingui sono obbligatorie per tutti i bambini.

L’Alto Adige è rimasto sotto amministrazione militare americana, inglese, australiana e neozelandese. Italia e Austria accettano il risultato, ma non si raggiunge un accordo sulla spartizione del territorio. Nella Val Venosta e nella Valle Isarco e Pusteria è reintrodotto il diritto austriaco, nella restante parte si applicano provvisoriamente le leggi italiane.

Anche Tito accetta i risultati, ma reclama i comuni nelle zone di Gorizia e Trieste, che hanno votato oltre il 70 % per la Jugoslavia. È stato previsto nei termini del referendum che i comuni di confine, che hanno votato contro la tendenza della zona, possano essere collegati all'altro paese. Vuole anche l'integrazione di Trieste e Fiume nell’area economica della Jugoslavia. Per questo egli accetterà che Istria, Zara e le Isole rimangano in Italia. Gli Americani rifiutano di lasciare l’accesso del porto di Trieste alla Jugoslavia e propongono di internazionalizzare Trieste, Gorizia e Fiume.

Siccome lo status dell'Austria non è ancora chiaro, il 10 febbraio 1947 viene firmato a Parigi solo un trattato di pace preliminare:

- Italia e Francia riconoscono la nuova frontiera dopo il referendum.
- L’Italia rispetta i diritti delle minoranze in Val d'Aosta.
- L’Italia è d’accordo a cedere parti dell'Alto Adige all’Austria.
- L’Italia cede il Carso alla Jugoslavia.
- L’Italia riceve la sovranità di tutta l’Istria, Cherso, Lussino, Zara, Lagosta e Pelagosa.
- L’Italia rispetta i diritti delle minoranze in questi territori come in Val d’Aosta. Tutti i toponimi del fascismo vengono cancellati, l'italianizzazione dei cognomi è annullata su richiesta personale. In Istria è introdotta la segnaletica bilingue, se più dell’8 % dei croati vive in un comune. Se era consueto prima del 1910 solo un toponimo, vige la segnaletica monolingue. 
- Le zone di Alto Adige, Gorizia, Trieste e Fiume con Mattuglie sotto amministrazione militare americana, inglese, australiana e neozelandese sono rimandate all’accordo finale sui confini.
- L’Italia riconosce l'indipendenza dell'Albania e cede l'isola di Saseno alla stessa.
- Le colonie e il Dodecaneso sono posti sotto l'amministrazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in previsione del trattato di pace finale. Si prevede una cessione completa dopo il trattato di pace finale.
- Metà della flotta italiana militare è requisita e posta sotto il controllo dell’ONU fino al trattato di pace finale.
- L’Italia accetta la limitazione degli armamenti e misure di disarmo nel trattato di pace finale.
- L’Italia può aderire ad alleanze militari con i principali alleati della seconda guerra mondiale.

Duino diventa il problema maggiore. Italia e Stati Uniti vogliono mantenere i corridoio terrestre verso Trieste e Istria, ma è molto difficile ignorare il risultato del referendum. Il risultato dell’area di Duino è l'asso nella manica di Tito. Un altro punto in questione è la città di Merano e i comuni tedescofoni dell’Alto Adige Ladino. Fino al 1953, non sarà trovata alcuna soluzione.

Come nella HL, nel 1948 avviene la rottura Tito-Stalin e nel 1949 l’Italia è tra i paesi fondatori della NATO. Ciò è stabilito nel trattato per l'adesione alla NATO. Le fortificazioni al confine francese sono distrutte; come nella HL l’accordo Bevin-Sforza è fallito a causa del popolo libico. La Libia diventa indipendente nel 1951, ma Somalia e Eritrea ritornano sotto l’amministrazione italiana. Come nella HL la Grecia riceverà parte della flotta italiana requisita dopo la sua adesione.

Come nella HL, nel 1953 i negoziati sullo status dell’Austria iniziano a fare progressi. L’Austria è disposto a rinunciare ai comuni tedescofoni nella zona dell’Alto Adige ladino e l’Italia a Merano. Quando è chiaro che l'Austria sarà neutrale, la questione di Duino diventa centrale: Trieste ha perso la sua importanza strategica per la NATO a causa della neutralità dell’Austria.

Il 15 maggio 1955 è firmato il Trattato di Pace fra l’Italia e le potenze alleate:

- L’Austria cede la Carinzia Slava alla Jugoslavia.
- L’Italia cede la Val Venosta, il Burgraviato, Valle Isarco e Valle Pusteria all’Austria.
- L’Austria rispetta i diritti delle minoranze Italiane rimaste.
- Bolzano e Val Sarentino, Oltraadige-Bassa Atesina e Alto Adige Ladino con I comuni di Velturno, Funes, Chiusa, Villandro, Rebona e Barbiano ritornano sotto sovranità italiana.
- L’Italia rispetta i diritti delle minoranze tedescofone.
- L’Italia cede i comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Floriano, Doberdo, Savogna di Isonzo, San Dorligo della Valle (un piccola parte del comune è aggiunta alla città di Trieste per creare un corridoio) e la frazione di Sant’Andrea del comune di Gorizia alla Jugoslavia.
- Tutti gli accordi con la Francia restano in vigore.
- Tutti gli accordi riguardanti Istria, Zara, Lagosta e Pelagosa restano in vigore.
- L’Italia non deve pagare riparazioni.
- L’Italia non ha alcuna limitazione degli armamenti né misure di disarmo nel trattato di pace finale.
- L’Italia rispetta la indipendenza della Libia.
- I trattati commerciali favorevoli all'Italia stipulati con la Cina sono cancellati.
- L’Italia cede il Dodecaneso alla Grecia.
- La sovranità di Somalia ed Eritrea ritorna all’Italia.
- L’Austria ha il diritto di treni-corridoio per Merano, l’Italia per l’Istria.
- Entrano in vigore esenzioni dal visto per il transito Italia – Istria.
- Trieste (con la frazione di Lipizza) e Fiume (con il comune di Mattuglie) ricevono uno statuto speciale.

Queste città sono integrate nell’area economica della Jugoslavia, ma non sono parte di tale paese. Non ci deve essere nessun militare né poliziotto nelle città, ma solo le Polizie locali. L'ONU monitora lo status speciale delle città e possono risiedervi cittadini di entrambi gli Stati. L'ONU monitora che non vi sia alcuna manomissione etnica. Se la Jugoslavia trasgredirà gli accordi, entrambe le città torneranno di nuovo all’Italia.

Le conseguenze:

Oltre 30.000 persone lasciano la Carinzia. Non vi è alcuna espulsione perché Tito crede che tutti gli sloveni della Carinzia siano germanizzati. Ma vi sono molti che non vogliono vivere in Jugoslavia.

Tutti gli italiani hanno lasciato Merano, anche se l'Austria ha garantito i diritti degli Italiani che non saranno espropriato. Merano è quasi spopolato, nel 1960 la Provincia di Bolzano è incorporata alla Provincia di Trento. La regione autonoma è chiamata Trentino e consiste di una sola provincia.

Non vi è un esodo neanche a Trieste né a Fiume, ma nel corso del tempo la situazione etnica si sposta a favore degli slavi, perché il tenore di vita in Italia è superiore e molti italiani emigrano in essa. Nonostante la difficile situazione economica nel regime socialista, Trieste e Fiume sono i porti più importanti dell'Adriatico. Poiché il contratto non consente l'uso militare dei due porti, a Segna sarà costruito un importante porto militare con collegamento ferroviario.

Non c’è una regione Friuli-Venezia Giulia, ma solo la regione autonoma del Friuli con le province di Pordenone e Udine e la molto piccola Provincia di Gorizia. Nel 1960 la Provincia di Gorizia è incorporata nella Provincia di Udine. C’è un'altra regione autonoma: l'Istria con le province di Pola e Zara. Con la Val d’Aosta ci sono dunque cinque regioni autonomie. Gli Istriani preferiscono andare in traghetto da Monfalcone a Capodistria che attraversare la Jugoslavia.

A Zara vi è una presenza massiccia delle truppe NATO per controllare la neutralità della Jugoslavia. Gli alleati occidentali hanno deliberatamente fatto sì che la clausola di demilitarizzazione di Zara venga dimenticata. Piuttosto, la città costituisce una zona economica speciale, che beneficia dei bassi salari in Jugoslavia e dell'accesso al mercato occidentale. Nel 1967 la ferrovia di Zara viene aperta come nella HL.
Nel 1960 Eritrea e Somalia diventano indipendenti, ma nel 1961 l'Etiopia annette l'Eritrea attraverso un colpo di stato.

Le minoranze del sud Italia chiedono più autonomia e la ottengono.

E infine, il referendum ha cambiato il carattere della nazione italiana. L'Italia non è più solo la terra degli italiani, ma è un paese con molte minoranze che hanno aderito alla nazione (Val d'Aosta, Valli Occitane, Ladini, Istria, più quelle in Italia Meridionale). Questa storia si conclude nel 1970, ma ho intenzione di scrivere un seguito.

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Ed ora, l'analoga proposta di Dario Carcano:

Il 6 aprile 1945 nel porto di Ancona una divisione dell’esercito cobelligerante italiano – di nascosto agli anglo-americani - si imbarcava su una flottiglia della Marina Cobelligerante formata da:

due incrociatori leggeri (Scipione Africano e Pompeo Magno)
tre cacciatorpediniere (Legionario, Velite e Artigliere)
una torpediniera (Animoso)

Agli alleati era stato riferito che lo scopo della missione era compiere una ricognizione delle difese costiere italo-tedesche in Istria allo scopo di raccogliere informazioni da trasmettere ai partigiani titini e che tale missione sarebbe stata accompagnata da alcuni genieri e tecnici dell’Esercito Cobelligerante.

Nel tardo pomeriggio del 7 aprile le operazioni di carco furono ultimate e le navi partirono al tramonto dello stesso giorno; All’altezza delle Isole Quarnerine la piccola flotta si divise: il Pompeo Magno con l’Artigliere si diresse verso Fiume, la Legionario e il Velite puntarono verso Pola e lo Scipione Africano con l’Animoso andarono verso Trieste.

Nelle prime ore del mattino dell’8 aprile le unità della divisione furono sbarcate dalle navi e andarono verso i punti di incontro con i repubblichini dove, come era stato concordato, le truppe della RSI si arresero senza opporre resistenza; anche la maggior parte dei tedeschi si consegnò agli italiani, evitando di doversi arrendere ai titini rischiando la deportazione in URSS. Alcuni reparti tedeschi, soprattutto a Fiume, rifiutarono di arrendersi e opposero resistenza agli italiani; tuttavia, finite le munizioni, anche loro si arresero. In un solo giorno l’Istria era tornata sotto la sovranità del Regno d’Italia.

Il 10 aprile, quando gli anglo-americani erano stati messi di fronte al fatto compiuto, un’altra divisione dell’Esercito Cobelligerante giunse in Istria a rinforzare le posizioni dei loro commilitoni.

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Questo invece è il contributo dato alla discussione da Fede:

Marzo 1945: sta per iniziare la corsa per  Trieste tra gli jugoslavi e i neozelandesi: Tito punta ad arrivare primo per occupare vaste zone di territorio italiano.
Il comando dell’esercito cobelligerante italiano venuto a conoscenza dei piani del maresciallo pensa da tempo di anticipare con uno sbarco a Trieste e in Istria sia Tito sia gli alleati per poter riprendere sia Trieste sia l’Istria. Nonostante  il parere contrario degli angloamericani  da tempo ci sono contatti segreti tra italiani del sud e quelli della RSI e l’esercito cobelligerante italiano ha iniziato a radunare uomini e mezzi in concordia con il CNL e peraltro gli italiani hanno l’appoggio segreto di Churchill che consente il raduno di mezzi e uomini da parte degli italiani mentre gli americani sono tenuti all’oscuro, la data prevista per lo sbarco italiano è il 1 aprile 1945 e il piano è il seguente:
nella notte precedente lo sbarco vi sarà nella zona di Trieste un lancio di paracadutisti  del reggimento Nembo unitamente a uno sbarco di uomini di Mariassialto che dovranno prendere contatto con la X MAS della RSI che appoggia lo sbarco, poi i reparti insieme occuperanno punti strategici e compiranno azioni di sabotaggio contro i tedeschi. Alle prime luci dell’alba sbarcheranno il San Marco e la brigata partigiana Maiella(piccolo omaggio ai patrioti della mia Regione) insieme a numerosi reparti dell’esercito cobelligerante. L’obbiettivo primario  è Trieste a seguire dovrà essere occupata con rapidità anche la penisola istriana. Il piano si fonda sull’effetto sorpresa: i tedeschi infatti non si aspettano un attacco  dal mare. Gli italiani vengono in gran segreto riforniti e appoggiati dagli inglesi che offriranno copertura aerea.

00:00 1 Aprile: sulla costa sbarca Mariassalto e dal cielo arrivano i parà del Nembo mentre  la  X MAS si sta già dando da fare sabotando colonne tedesche assieme ad altri reparti della RSI precedentemente informati. Vengono distrutte linee telefoniche e stazioni radio,postazioni tedesche e i partigiani informati dal CLN attaccano i tedeschi: per tutta la notte i tedeschi subiscono assalti e bombardamenti degli inglesi alle azioni degli aerei partecipano anche aerei italiani.

Alle 5 del mattino: avviene lo sbarco  e i tedeschi colti alla sprovvista e senza comunicazioni dopo una notte di guerriglia furibonda e bombardamenti dei britannici oppongono scarsa resistenza: alle 10:00 gli italiani stanno entrando  a Trieste  e inizia lo scontro in città che durerà fino al 2.  Frattanto americani,tedeschi e jugoslavi sono colti completamente alla sprovvista: Tito furibondo ordina ai suoi di avanzare a tutta velocità verso l’Istria e l’Italia.          Il generale Clark informato telefona a italiani e inglesi per chiedere spiegazioni e alla fine informa Eisenhower che non sa che fare. Anche il re d’Italia non era informato poiché erano  a conoscenza dell’operazione solo il generale Umberto Utili comandante del CIL e i vari comandanti di unità militari, gli uomini della X MAS  e altri reparti minori della RSI e infine Alcide de Gasperi comandante del CNL che in gran segreto ha ideato l’operazione, invece i tedeschi ordinano di spostare alcune unità e i militari della RSI in gran parte passano armi e bagagli con gli italiani.

2 Aprile: IL CIL (corpo italiano di liberazione o esercito cobelligerante occupata Trieste si spinge nell’entroterra mentre da Ovest avanzano i neozelandesi: i tedeschi  risultano chiusi in una morsa letale che porterà nei giorni seguenti all’annientamento  dei suddetti o alla loro resa. A Est nei giorni seguenti i titini appoggiati anche da alcune formazioni di partigiani italiani avanzano per occupare l’Istria  e ora la resistenza tedesca si è fatta piu’ dura anche se sia gli italiani sia gli Jugoslavi proseguono.

15 Aprile: contemporaneamente italiani e neozelandesi chiudono la morsa sui tedeschi  e si incontrano a Udine che viene congiuntamente presa d’assalto e capitola agli alleati il 18 e dall’altra parte si giunge a una divisione a metà della penisola d’Istria, anche se inizia una serie di scaramucce senza fine tra italiani e  jugoslavi lungo la linea di demarcazione. Lo stesso giorno il CNL ordina l’insurrezione generale e gli scontri si protraggono contro i tedeschi  e i fascisti fino al 25 Aprile giorno della liberazione. Le conseguenze dell’attacco italiano a Trieste sono molte: la popolazione è orgogliosa dell’azione e sente che i suoi soldati hanno davvero partecipato autonomamente alla liberazione,l’Italia ha poi potuto occupare senza problemi da parte degli alleati anche una metà dell’Istria e gli stessi americani hanno riconosciuto l’importanza dell’operazione. Ma altri problemi  stanno per sorgere…

25 Aprile, Istria : Una pattuglia di soldati italiani  avvista l’ennesimo gruppo di civili in fuga dall’infoibamento ad opera degli jugoslavi in Istria e Dalmazia, i profughi vengono tratti in salvo e gli inseguitori rimandati indietro a fucilate per l’ennesima volta. La situazione si sta facendo insostenibile: da giorni infatti i soldati del CIL traggono in salvo civili in fuga e sono a conoscenza dei massacri perpetrati dagli jugoslavi senza poter intervenire.

30 Aprile: In Istria nella zona controllata dal CIL arrivano profughi  centinaia se non migliaia. De Gasperi decide di agire e si consulta con gli alleati che alla fine appoggiano l’operazione che dovrà avere come soli obbiettivi Fiume e la Dalamzia e la fine dei massacri. L’inizio è previsto per il 5 Maggio: Mariassalto e il San Marco dal mare e  il Nembo dal cielo occuperanno Fiume mentre il grosso delle forze italiane avanzeranno oltre la linea di demarcazione sopportate da pesanti bombardamenti  italo-inglesi.

Nella notte tra il 4 e il 5 maggio scatta l’assalto a Fiume: I titini sono impreparati e capitolano dopo il 7.Le truppe del CIL hanno travolto le linee difensive jugoslave che colti alla sprovvista si ritirano giusto per finire il 12 nelle mani del San Marco  e di Nembo. Ma Tito non sta a guardare e persa l’Istria ordina di fortificare la Dalmazia e preparare il contrattaco, ma gli italiani sono lanciati e occupano al Dalmazia fino a Zara compresa(25maggio). Proprio il 30 maggio mentre sta per partire la controffensiva di Tito gli USA sbarcano  in Istria e Dalmazia per rafforzare gli italiani:Tito rinuncia all’offensiva e l’Italia festeggia una vittoria.

Alla fine alla conferenza di pace un rassegnato Tito firma il trattato con cui l’Italia torna in possesso dei territori di Istria e Dalmazia e sul piano dei rapporti internazionali l’Italia ne esce rafforzata e le rimane la colonia di Libia (fino al 1963 poi diverrà indipendente), paradossalmente la fine del contenzioso sui territori di Istria e Dalmazia porta a un avvicinamento di Tito all’Italia e all’Europa e nel 1970 le due nazioni riconoscono di aver commesso crimini una nel periodo fascista l’altra negli ultimi giorni di guerra.

Fede

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A questo punto a William Riker è venuta in mente un'altra ucronia:

Dopo il colpo di stato filonazista del re Pietro II, il 24 marzo 1941, e dopo l'invasione del Regno di Jugoslavia da parte delle divisioni tedesche, che mettono in ginocchio il paese in soli undici giorni, il croato Josip Broz detto Tito (perchè usava spesso la locuzione "ti to", in croato "tu questo", per impartire ordini ai suoi uomini) si pone alla testa della "Jugoslovenska Narodna Armija", l'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia, di impronta comunista. I vertici militari nazisti, d'intesa con i famigerati Ustascia croati, progettano allora di liquidare il leader indiscusso e carismatico della Resistenza Jugoslava, la cosiddetta Operazione Rösselsprung, fissata per il 25 maggio 1944. Questa operazione però fallisce. Ma se riesce?

Certamente la cattura e la morte di Tito infliggono un durissimo colpo ai partigiani, ritardando in modo decisivo la liberazione dei Balcani Occidentali; ma soprattutto nel dopoguerra, anziché entrare nell'orbita sovietica prima e tra i paesi non allineati poi, la Jugoslavia finirà nell'orbita americana: Pietro II torna in sella con l'appoggio di Churchill, la Jugoslavia aderisce alla NATO ed è anche tra i membri fondatori delle Comunità Europee. La tragedia delle foibe non si verifica e gli italiani non vengono cacciati in massa da Istria e Dalmazia, restando come consistente minoranza. Abdon Pamich non emigrerà in Italia e vincerà l'oro nei 50 Km di marcia alle Olimpiadi di Tokyo 1964 per conto del Regno di Jugoslavia.

Però, non essendovi una forte personalità come Tito a tenerli sopiti, i nazionalismi jugoslavi emergeranno anche prima, e la dissoluzione della Jugoslavia potrebbe avvenire più presto, forse in coincidenza con il Sessantotto...

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Non si fa attendere la risposta di Enrico Pellerito:

In parte mi trovo in sintonia con la tua analisi, ma lo sviluppo della cosa lo vedo in maniera diversa.

Se lo svolgimento delle campagne belliche in Europa rimane lo stesso, avremmo, comunque, l'arrivo dell'Armata Rossa ai confini jugoslavi sempre prima degli alleati occidentali (il 3° Fronte ucraino del maresciallo Tolbuchin raggiunse i confini bulgaro-serbi il 6 settembre 1944).

Ciò significa che i Tedeschi, anche se i partigiani titini sono meno deleteri, dovranno, prima o poi, affrontare i Sovietici; questi iniziarono l'attacco il 28 settembre, e, grazie anche all'aiuto dei titini, conquistarono Belgrado il 20 ottobre.

Da quel momento preferirono dedicarsi principalmente all'Ungheria, lasciando che i partigiani locali completassero la riconquista dei territori che venivano abbandonati a sudovest dai Tedeschi, e impegnando questi lungo la linea Mostar-Visegrad-fiume Drina.

Hitler aveva deciso di non restare più invischiato nella penisola balcanica, e temendo che le truppe in loco potessero restare isolate dall'avanzata sovietica in Ungheria, preferì iniziare un ripiegamento ma senza per questo fuggire: ogni metro quadrato veniva costantemente e caparbiamente difeso, fino a quando non perveniva la direttiva di arretrare in ordine.

Questo consentì di riprendere con maggiore tenacia la resistenza in Ungheria, dove l'avanzata sovietica venne rallentata.

Vediamo cosa può succedere: i Tedeschi abbandonano la Grecia, ma tengono duro in Jugoslavia, e quindi l'avanzata alleata si potrebbe concretizzare solo in Macedonia, dove a fianco dei Sovietici combattono i Bulgari che hanno cambiato lato della scacchiera; in Serbia Tolbuchin non riesce a spingersi oltre con gli stessi tempi (manca l'aiuto prezioso dei partigiani perchè con la morte di Tito non sono più così dinamici) e allora la campagna diventa più lunga e dispendiosa ed il maresciallo sovietico si può scordare di piegare a nord ovest verso Budapest.

Non voglio annoiarvi con altre paturnie strategico-militari, ma una volta completata l'evacuazione della Grecia, della Macedonia, dell'Albania, del Montenegro, al limite della Serbia, e siamo ormai a fine novembre-inizi dicembre del 1944, le truppe di Hitler manterrebbero il fronte in Bosnia-Erzegovina, e solo un massiccio aumento delle forze sovietiche potrebbe ribaltare la temporanea situazione di stallo che si avrebbe, invece che a gennaio, già un mese prima.

Nel frattempo, proseguirebbe una violenta campagna nelle retrovie serbe, dove Sovietici e partigiani comunisti jugoslavi sarebbero impegnati dai cetnici e dai restanti volontari del movimento paramilitare Ljotic, simpatizzanti questi di Nedic, il "Quisling" locale.

La Bosnia-Erzegovina e la Croazia verrebbero raggiunte dai Sovietici solo a febbraio, e a marzo ci sarebbe sempre la controffensiva tedesca, non a Sarajevo, ma già più ad est. Per non portarla a lungo, è realistica l'ipotesi ucronica che un meno efficiente appoggio dei titini ritardi i tempi in tutta l'area di almeno un mese, forse anche di più (l'esperto MAS potrebbe dire la sua in proposito).

Quando il conflitto termina, il Gruppo di armate E (Heeresgruppe E) si trova, grosso modo, perlomeno ancora in Croazia, e tutte le aree della Dalmazia che nella realtà erano già in possesso di Tito (come Ragusa/ Dubrovnik), sono rimaste in mano ai Tedeschi. A questo punto vedo un'avanzata celere dei Neozelandesi verso Trieste, l'Istria, la Slovenia e la costa dalmata, mentre i Sovietici arriverebbero ad occupare la maggior parte della Croazia e della Bosnia-Erzegovina.

Una Jugoslavia divisa? Certamente non come la Germania occupata, ma altrettanto certamente una Jugoslavia post bellica piuttosto turbolenta, con Serbia e Macedonia massicciamente "sanitizzate" dai comunisti, mentre fascisti e monarchici conterebbero ancora parecchio nelle regioni occidentali e centrali.

Churchill premerebbe per il ripristino della monarchia, ma così come accaduto in Grecia, avremmo presto una guerra civile "omnium contra omnes", dove accanto alle ideologie ci sarebbero nazionalismi e religioni ad alimentare l'antagonismo (sperando che la cosa non degeneri, scatenando la terza guerra mondiale).

In una situazione che mantenga le ostilità solo a livello locale, una divisione molto simile all'attuale sarebbe grandemente probabile, e ovviamente le potenze mondiali non farebbero venir meno la propria influenza: all'ovest andrebbero Slovenia, Croazia, Montenegro e, probabilmente una parte della Bosnia-Erzegovina; il resto di questa, insieme a Serbia e Macedonia all'est, mentre solo per la comune dottrina politica non ci sarebbe, al momento, un problema kossovaro con l'Albania di Hoxha.

Il cemento ideologico della Jugoslavia socialista/democratica/popolare durerebbe, ovviamente, fino alla caduta del muro di Berlino; dopodichè ognun per sé. La monarchia filo-occidentale potrebbe più facilmente restare unita, evolvendosi in un federalismo molto maggiormente liberale ed egualitario grazie alle dirette pressioni occidentali.

Riguardo ai massacri e alle foibe in Istria e Dalmazia, alla fine del conflitto saremmo in zona formalmente italiana ma sostanzialmente occupata dai contingenti alleati degli USA e del Commonwealth, allora le cose avrebbero un'altra piega; viceversa, gli odi etnici, a prescindere dall'ideologia, scatenerebbero, forse in misura minore, quanto purtroppo verificatosi, e la responsabilità dei massacri sarebbero da attribuire agli ustascia, riciclatisi filo-occidentali nel nome dell'anticomunismo.

Volendo essere ottimisti, le nostre riparazioni di guerra verso la monarchia jugoslava, potrebbero anche essere costituite da maggiori compensazioni economiche e militari (cessioni di navi ad esempio) e limitare quelle territoriali.

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Pure Falecius interviene:

Sono nel complesso d'accordo, tranne che per qualche perplessità sul Montenegro, che potrebbe rimanere alla Serbia essendo liberato dai russi e dai partigiani. La Bosnia verrebbe divisa in due; la monarchia filo-occidentale sarà divisa in Slovenia (se non diventa indipendente), Croazia-Slavonia, Krajina (l'area a maggioranza serba, col nord della Bosnia) Erzegovina e forse Dalmazia-Istria (altrimenti integrata nella Croazia, che comunque sarà il nome più probabile per l'intero stato); la Bosnia orientale con Sarajevo forma un repubblica a maggioranza musulmana in una jugoslavia comunista i cui ulteriori costituenti sono Serbia, Kosovo, Vojvodina e Macedonia, forse Montenegro. I musulmani di Bihac probabilmente abbandonano la zona per trasferirsi ad est.

Inoltre il ritardo sovietico nei Balcani potrebbe influire sullo status dell'Austria, che aderisce allo schieramento occidentale e alla NATO, e si integra alla CEE forse già negli anni '70.

Probabilmente la Croazia avrà un regime Ustascia riciclato che cadrà a metà anni Settanta come quelli iberici, immagino un ingresso nella CEE assieme alla Grecia, che agevola l'allargamento dopo il crollo del muro. Una Jugoslavia a maggioranza serba rimane probabilmente nel Patto di Varsavia, non si ha lo strappo con Mosca né di Belgrado né di Tirana; dopo il crollo del comunismo, mancando la rivalità serbo-croata, immagino una secessione pacifica della Macedonia, sul modello cecoslovacco, mentre la mancanza di interesse occidentale a favorire l'implosione e la relativa debolezza dei musulmani potrebbe impedire la deflagrazione: il paese entra nella UE nel 2004 o nel 2007, a meno che un nazionalismo serbo aggressivo non provochi reazioni bosniache e kosovare; i questo caso è possibile che il conflitto assuma connotazioni jihadiste e si saldi a quello ceceno.

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Gli risponde MAS:

Accettando la premessa che la morte di Tito avrebbe avuto come conseguenza una forte diminuzione dell'azione partigiana filo-comunista, dopo il cessate il fuoco (che in Jugoslavia ebbe luogo verso il 12-14/05/45) gli anglo-americani e i sovietici si sarebbero assestati su una linea che indicativamente avrebbe potuto essere la seguente:

- Slovenia tutta anglo-americana;
- Croazia, demarcazione lungo la Sava;
- Bosnia-Erzegovina tutta anglo-americana;
- Serbia, Macedonia e Montenegro tutte sotto occupazione sovietica.

In attesa del trattato di pace il confine italo-jugoslavo sarebbe stato quello ante-guerra con l'amministrazione anglo-americana dei territori annessi nel 1919-24 (e non del Friuli, la cui popolazione avrebbe partecipato al referendum istituzionale).

La Federazione Jugoslava, dopo un referendum istituzionale che avrebbe visto la vittoria repubblicana, sarebbe stata sgombrata dagli occupanti e riconosciuta neutrale (come dopo il 1955 sarebbe toccato all'Austria) e sarebbe stata governata da varie coalizioni, divenendo estremamente instabile (revanscismo serbo, indipendentismo croato e, in misura minore sloveno, ecc.).

In questo caso l'Italia cede Zara, Fiume gran parte del Carso e parte dell'interno dell'Istria e il confine resta fissato secondo la proposta americana.

Altra possibile soluzione per la Jugoslavia sarebbe stata la seguente:

- Confederazione Croato-sloveno-bosniaca, sotto l'influenza occidentale, nel 1949 aderisce alla Nato ed entra, come stato fondatore, nella Comunità Europea;
- Federazione Jugoslava, filo-sovietica, avrebbe aderito al Patto di Varsavia e al Comecon.

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Aggiungiamo il parere del dotto Bhrghowidhon:

L'irredentismo nazionalsitico italiano si è basato, come molti dei suoi omologhi, su criterî varî e talvolta incoerenti, che comunque si possono formalizzare nello schema seguente:

1) territorî dove si parla o si è parlato il fiorentino (o un suo derivato) come basiletto (= 'dialetto') o acroletto (= lingua 'alta'), per esempio Piemonte e Nizza (non Savoia), Lombardia, Venezia, per qualche tempo Genova e la Sardegna, ovviamente la Toscana e la Corsica, anche le Due Sicilie (in molte di queste zone vi è stato anche un acroletto castigliano o catalano o francese);

2) territorî dove si parla o si è parlato come basiletto o acroletto almeno uno dei basiletti parlati (anche) in territorî ad acroletto (derivato dal) fiorentino, per esempio Malta, lo Stato Pontificio, Trieste, i Territorî d'Oltremare di Venezia;

3) altri territorî, idrograficamente inclusi nello stesso bacino in cui si trovano territorî della categoria 1 o 2 (Val d'Aosta, Tirolo Centrale e Meridionale);

4) zone aperte alla colonizzazione europea, nelle quali la presenza di Immigrati da territorî delle precedenti categorie sia (stata) relativamente maggioritaria rispetto agli altri Immigrati, per esempio la Tunisia.

Come si vede, ogni successiva categoria aggiunge territorî che, se si stesse alle categorie precedenti, apparterrebbero ad altri Irredentismi.

Quanto alla definizione linguistica di "italiano", le possibilità sono due:

1) definizione in opposizione ad altre varietà neolatine;

2) definizione che ottenga come risultato l'accorpamento di tutte le varietà neolatine (maggioritarie) parlate nel territorio dello Stato Italiano.

Nella prima prospettiva, la nozione più grande che si può ottenere è quella di "italoromanzo" (= siciliano + tutte le varietà peninsulari + corso e sardocorso; confine Nord = Linea Massa-Senigallia), in opposizione a "balcanoromanzo" (o romeno: dacoromeno, macedoromeno, meglenoromeno, istroromeno), "sardo" (campidanese, nuorese, arborense, logudorese) e "romanzo occidentale" (iberoromanzo, galloromanzo, reto-cisalpino fino all'istroromanzo).

Nella seconda prospettiva, il minimo comune multiplo di tutti i basiletti parlati nello Stato Italiano (escluse le minoranze alloglotte tedesche, slovene, croate, albanesi, greche, zingare e anche senza considerare quelle francoprovenzali, provenzali e catalane e perfino sarde e ladino-friulane) è comunque l'intera Romània (= insieme delle varietà neolatine), eventualmente solo quella "italo-occidentale" (che non vuole dire "dell'Italia Occidentale", ma "Italoromània + Romània Occidentale") a esclusione del romeno e del sardo (non del sardocorso).

Nella prima prospettiva l'«Italia» è 'ridotta' (Penisola + Corsica + Sardegna Settentrionale + Sicilia), nella seconda è enorme (include Francia, Spagna, Portogallo, mezzo Belgio e un terzo di Svizzera) e perciò risulta fuorviante chiamarla "Italia" (meglio "Romània Italo-Occidentale").

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Per ora chiude la discussione il signor Michael Oberseider:

Cari amici, ho trovato questa pagina interessante. Penso che quest'ipotesi di referendum sia più ottimistica per l'Italia. Secondo me l‘area costiera occidentale avrebbe sicuramente votato Italia, ma l‘entroterra e l’area costiera occidentale invece avrebbero optato per la Jugoslavia. Dopo il censimento del 1921, ad Abbazia viveva meno del 20 % di italiani. Anche se forse una parte degli slavi avrebbe votato per l'Italia per avversione al comunismo, secondo me non più del 40 % sarebbe andato all'Italia.

Ma cosa succede se nelle zone di Trieste e Gorizia una grande maggioranza vota per la Jugoslavia? Penso che nei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, San Dorligo della Valle Sgonico, Savogna d'Isonzo e Doberdò del Lago e nelle Circoscrizioni I e II di Trieste la Jugoslavia avrebbe ricevuto oltre l‘80 % dei voti. A quel tempo c'era in questi comuni una maggioranza di oltre il 90 % di sloveni. Gli abitanti di questa zona sono vissuti 510 anni sotto il dominio asburgico e avevano poca dimestichezza con l'Italia. Secondo me è possibile che l'opzione jugoslava avrebbe vinto anche nei comuni di San Floriano del Collio, Dolegna del Collio, Tarvisio, Malborghetto-Valbruna e n altri centri della provincia di Udine, dove ancor oggi abita un maggioranza slovena.

Si deve ricordare che un referendum avrebbe certamente tracciato una frontiera migliore per l'Italia in Istria, ma in Friuli avrebbe potuto restituire un confine meno favorevole, e sarebbe stato probabilmente perso il corridoio verso Trieste e l'Istria. Come potrebbe essere ignorata una schiacciante maggioranza a favore della Jugoslavia in questa zona? L'attuale area di insediamento della popolazione slovena in Italia è visibile a questo link.

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Invece Ainelif sposta l'attenzione su un'altra perdita territoriale subita dall'Italia:

Nella primavera 1943 Charles De Gaulle lasciò Londra, dove si era rifugiato dall'occupazione tedesca della Francia, dato che i rapporti franco-britannici erano diventati difficili, e andò ad Algeri, appena ribellatasi al governo fantoccio di Vichy. È qui che maturò il “progetto italiano”: se e quando le sorti della guerra l'avessero consentito, sarebbe stato imperativo occupare militarmente la Valle d'Aosta, altri punti delle Alpi occidentali, possibilmente una parte della Liguria (da Ventimiglia ad Imperia) e alcune valli piemontesi (Torino, Ivrea e Cuneo comprese), per poi annettere tutti questi territori come rivalsa per la "pugnalata alla schiena" inferta nel 1940 da Mussolini a una Francia vinta e agonizzante.

Il tentativo del Général è ben ricostruito nel libro di Gino Nebiolo "Soldati e spie", avvalsosi dei documenti degli archivi parigini e militari francesi. Il progetto d'ingrandimento "gollista" proseguì dopo l'armistizio italiano. In una conferenza stampa dell'aprile 1944 De Gaulle dichiarò senza mezzi termini: "Noi porteremo la nostra offensiva nel territorio italiano" anche perché "lassù, nelle Alpi, io tengo molto che le ostilità non finiscano su un confine mal tagliato. Prima che cessi il fuoco dobbiamo lavare su quel terreno gli oltraggi subiti". Pur di realizzare questo disegno, il Général ostacolò in ogni modo la cobelligeranza dell'Italia contro la Germania nazista, così come la collaborazione tra i maquis e partigiani italiani.

Finalmente il progetto di annessione divenne più concreto negli ultimi mesi di guerra: il 23 marzo 1945 le truppe francesi, guidate dal generale Paul-André Doyen, su esplicito ordine di De Gaulle, avanzarono ben oltre il confine italiano, provocando una crisi diplomatica con Churchill e Roosevelt, che erano contrarissimi alle pretese di Parigi.

Nelle zone occupate i Francesi inviarono loro spie con un compito politico preciso: preparare quelle regioni all'annessione, influenzando le popolazioni locali con comizi, riunioni segrete, volantini e manifesti col tricolore francese. Diffusero perfino schede di voto con scritto: "Io sottoscritto dichiaro di optare per la Francia mia patria di origine e di accettare le sue leggi. Viva la Francia!". Ma la reazione dei Piemontesi, Liguri e Valdostani fu piuttosto negativa ovunque, ad eccezione di Tenda, dove il sentimento francofilo era prevalente. L'ultimatum del nuovo presidente USA Truman pose fine ai piani francesi e alla loro effimera occupazione militare.

L'ultimo atto di questa vicenda fu la Conferenza di Pace di Parigi del 29 luglio 1946. Il presidente del Consiglio De Gasperi venne accolto da un silenzio di ghiaccio, ma con un discorso di quasi un'ora di grande dignità, spiegò di sentire "le responsabilità e il diritto di parlare come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica", illustrando l'apporto dato dalla Resistenza italiana e dal Corpo di Liberazione alla guerra contro la Germania. Il trattato di pace venne firmato il 10 febbraio 1947 e sancì la cessione italiana di Briga e Tenda, due comuni alpini con poco meno di 4.500 abitanti. Il piano del Général era quasi completamente fallito.

Ma se invece, in qualche modo, la propaganda e le offensive francesi sono più massicce e di successo? Riuscite ad immaginare di cedere praticamente tutta l'Italia occidentale alpina con Torino, Valle d'Aosta fino ad Imperia alla Francia? Inoltre questa cessione avviene prima del referendum istituzionale avrebbe potuto cambiare i risultati (con somma gioia di Tommaso). Come sarebbe cambiata la storia di Torino francese?

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A replicargli è Pavel Tonkov:

Torino francese secondo me è difficile, più facile che il confine si attesti tra le aree dai toponimi italiani e quelle dai toponimi francesi: tra Chiomonte ed Exilles in Val di Susa, (col confine sul ponte sulla Dora Riparia al km 65 della SS 24, magari), tra Perosa Argentina e Roure in Val Chisone.

La Val d'Aosta invece andrebbe interamente alla Francia per via della sua totale francofonia, mentre in Liguria di certo finirebbero in mani francesi Ventimiglia e la bassa valle Roia, molto probabilmente la parte di provincia di Imperia ad ovest di Sanremo, mentre già la città dei fiori potrebbe essere troppo.

Sulle Alpi cuneesi e nelle valli del torinese escluse quelle che ho già citato (Pellice a sud di Chisone, Lanzo e Orco a nord di Susa) ci può stare una rettifica di qualche decina di chilometri ad est per garantirsi tutti i punti strategici migliori, ma da un punto di vista civile non si tratterebbe di una popolazione enorme (sicuramente più popolosa nel 1945 che oggi, vista l'emigrazione dalle zone di montagna).

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Chiudiamo per ora con il contributo di Paolo Maltagliati:

Storia del Primorje

Scritta per la festa di Utopiaucronia 2020

Faccio una doverosa premessa: So perfettamente che si tratta di un’ucronia con premesse assolutamente forzate e poco realistiche… Pur tuttavia essa vuole trasmettere un messaggio preciso in relazione alle ucronie su un diverso trattamento dell’Italia al termine del secondo conflitto mondiale. Faccio un po’ il misterioso e non ve lo esplicito direttamente, nella speranza che lo cogliate.

Le condizioni di pace per l'Italia furono piuttosto dure.
Nonostante gli Americani si opponessero, i francesi appoggiarono fortemente la proposta sovietico-jugoslava della correzione del confine italo-jugoslavo, con in più una correzione verso ovest lungo il corso del fiume Ausa, seguendo il vecchio confine italo-asburgico del 1866-1918.
In cambio gli jugoslavi e i sovietici appoggiarono l'annessione di Ventimiglia e Imperia da parte della Francia (i Tirailleurs di De Gaulle ancora la occupavano), che aggiunse al carnet di annessioni anche la Valle d'Aosta e le isole Pelagie (Come 'compenso' per la mancata annessione - impedita dagli americani - alla Francia del Canavese, della val di Susa e di Cuneo. Formalmente le isole si considerarono come dipendenze del protettorato di Tunisia. Nonostante le accese proteste di Habib Bourguiba, il governo francese le restituì all'Italia nel 1956, a seguito dell'indipendenza di Tunisi), oltre ad aree di confine nel Piemonte sud-occidentale (in particolare Briga, Tenda e la cima dello Chaberton).
Infine, sempre nonostante le resistenze americane, i sovietici approvarono, nell'ottica del 'ricollocamento' dei tedeschi di Prussia, Slesia e Pomerania a ovest, la cessione del Tirolo Meridionale e del Trentino all'Austria, riconosciuta parte lesa da parte delle potenze nazi-fasciste. De Gasperi firmerà, il 5 settembre del 1946, un accordo con il presidente austriaco Gruber per il riconoscimento della lingua italiana in Trentino.
Il governo inglese, dopo aver inizialmente valutato il possesso di Pantelleria, vi rinuncerà.
Naturalmente, anche le colonie italiane tornarono indipendenti o annesse da potenze mandatarie. In particolare, Eritrea e Somalia vennero affidate al sovrano etiope Haile-Selassie.
Incorporare una così grande quantità di territori italofoni si rivelò tuttavia un'arma a doppio taglio per Tito. Inizialmente convinto nella semplice ripartizione della Venezia-Giulia tra le due repubbliche federate di Slovenia e Croazia, procedette troppo speditamente nel tentativo di sostituzione etnica e genocidio, tanto da favorire la creazione di gruppi italofoni di resistenza armata. Particolarmente note furono le rivolte a Čedad e Trzic (Cividale e Monfalcone), ma fu Oglej (Aquileia), a diventare 'famigerata'. Di tutti, i gruppi terroristici più noti furono due: il Brigata Julia e il Battaglione San Marco, il primo operante soprattutto nelle zone tra Natisone e Timavo, mentre il secondo sul litorale tra Gradez e Umag; un terzo gruppo, il Grion, si formò sulla costa istriana spinto dall'esempio della resistenza friulana e tergestina. Ironia della sorte, il 'restare e resistere' non sarebbe stata affatto una posizione in Istria se non fosse stato per l'alta percentuale di friulani e triestini che coordinarono la rete della resistenza, passiva e non, alla Kolonizacija Julijska Krajina voluta da Tito.
Nel marzo del 1948 accadde un evento fondamentale nella sua portata per gli italofoni di Jugoslavia: a Tablja (Pontebba) avvenne un massacro di italiani. Di per sé non si trattò di una novità, pur tuttavia l'evento avvenne, improvvidamente, praticamente sotto il naso delle guardie di confine austriache a Hermagor (che aiutarono alcuni italiani inseguiti a oltrepassare il confine, rischiando un incidente diplomatico con quel loro coraggioso gesto). Questo evento ebbe una enorme eco internazionale, proprio nel momento in cui Tito aveva compiuto il rischioso strappo da Mosca e iniziava a ricevere, sottobanco, aiuti dalla Gran Bretagna.
Fu in questo momento che Tito (alcuni sostengono dietro ricatto anglo-americano. Inglesi e statunitensi avevano infatti una sorta di 'senso di colpa' per aver trattato troppo duramente l'Italia nella pace di Parigi, assecondando su tutta la linea la posizione sovietica per timore) decise di creare la Socijalistička Republika Primorje/Socialistična Republika Primorje/Repubblica socialista del Litorale, che coincideva, come confini orientali, al Kustenland austriaco. La sua capitale era Trst/Trieste.
Secondo il primo censimento della repubblica, nonostante le uccisioni e le ondate migratorie verso l'Italia, la popolazione italofona (de facto parlante dialetti friulani e veneti) rappresentava comunque un ragguardevole 30% della popolazione, contro il 40% croato e il 30% sloveno.
Peraltro, la slavizzazione stessa ebbe un progressivo rallentamento, fino ad essere abbandonata. Restavano le brutali repressioni e gli internamenti nel campo di concentramento di Goli Otok, questo è certo, ma la repressione sistematica degli italiani venne meno. Anzi, paradossalmente alcuni borghi manifestarono un aumento della popolazione italofona anziché una diminuzione: questo perché gli abitanti di centri periferici dove erano già minoranza rispetto a croati e sloveni preferirono trasferirsi in abitati dove si sentivano maggiormente al sicuro. Questo fu il motivo per cui la presenza italiana nell'entroterra istriano scomparve quasi del tutto, a vantaggio dei paesi della costa occidentale come Pirano, Umago, Cittanova e soprattutto Rovigno, divenuta informalmente la 'capitale' degli italofoni d'Istria (non a Capodistria o Pola, città simboliche e di antica data, dove la colonizzazione di stato sloveno-croata fu invece portata avanti con maggiore convinzione da parte del governo)
Il Primorje si guadagnò presto la funzione (e l'appellativo) di Okno Na Svet. Una facciata pulita, sviluppata, multietnica, ordinata della Jugoslavia da mostrare all'occidente (e attrarre investitori). Naturalmente si trattava in buona parte di una apparenza illusoria, ma che senza dubbio svolse efficacemente il suo ruolo e garantì alla regione uno sviluppo economico e una tolleranza sociopolitica maggiore rispetto al resto del paese.
Il litorale seguì le sorti della Jugoslavia sino alla morte di Tito, che rimise in discussione gli equilibri del paese. Sia la Slovenia, sia la Croazia, miravano all'indipendenza, ma allo stesso tempo, miravano allo smembramento del Primorje tra le due repubbliche.
Per converso va detto che, specialmente a partire dagli anni settanta, parallelamente alla maggior decentralizzazione della Jugoslavia e agli accordi sul reciproco riconoscimento dei confini e delle minoranze di Osimo nel 1975 tra la repubblica jugoslava e la repubblica italiana, venne attuata dai presidenti del Primorje la politica del 'de-'.
Nel senso di de-italianizzazione, de-croatizzazione e de-slovenizzazione.
Oltre al trilinguismo ufficiale standard, venne infatti potenziato a livello accademico e di pubblicazioni letterarie e giornalistiche, il 'trilinguismo del litorale' ossia rispettivamente l'istroveneto (rispetto all'italiano), il dialetto ciacavo (rispetto al dominante dialetto stocavo, che di fatto è la base del croato standard) e il dialetto notranisco (rispetto allo sloveno standard di Lubiana) e perfino riscoperto e valorizzato l'istrioto e l'istrorumeno. Questo per creare una identità 'diversa' rispetto agli ingombranti vicini.
Tra il 1980 e il 1990, nonostante la crescita montante dei rispettivi nazionalismi, in seno alla Jugoslavia, la situazione rimase stabile. La ruota delle tensioni interetniche ricominciò a girare nel 1989, quando Slobodan Milosevic divenne presidente della Serbia. Tra la primavera e l'estate del 1990, con le prime elezioni libere, i nazionalisti vinsero in Slovenia e Croazia. Emersero partiti nazionalisti anche nel Primorje, che puntavano alla sua spartizione tra Slovenia e Croazia. Sorse anche un partito nazionalista filo-italiano, il Partito democratico di Venezia-Giulia (PDVG). La Comunità Economica Europea fece inizialmente cattiva accoglienza alla ormai più che concreta possibilità di smembramento della Jugoslavia, anche se rivelazioni più recenti hanno confermato il sussidio della Repubblica Federale Tedesca guidata da Helmut Kohl a sloveni e soprattutto a croati nel corso della guerra di dissoluzione della Jugoslavia. Il 12 gennaio 1991, a seguito del referendum sloveno sull'indipendenza, Il primo ministro del Primorje, Dusan Sinigoj indisse un referendum sul destino del paese con tre opzioni: indipendenza, mantenimento dello status quo (ovvero repubblica federata della Jugoslavia), spartizione tra Croazia, Slovenia, Austria e Italia.
In merito alla questione, l'allora presidente della repubblica italiana Francesco Cossiga rassicurò gli alleati della CEE e della NATO, in particolare i preoccupati francesi e i tedeschi, che 'L'Italia non ha alcun interesse ad annettere parti del territorio jugoslavo. Inoltre si prodiga, per sua natura costituzionale, per la risoluzione pacifica di qualsiasi rivendicazione di autodeterminazione." Ovviamente non tutti in Italia la pensavano così. L'MSI-DN, nonostante fosse spaccato al suo interno tra rautiani e finiani, in questo caso si dispose compatto a favore del 'ritorno a casa', come venne definita la prospettiva di riannessione di territori perduti al termine della seconda guerra mondiale (politica che venne definita 'annessionista e fascista', non solo dal PCI, ma anche da parte di altre forze politiche).
François Mitterrand si disse particolarmente soddisfatto per le parole 'di pace e concordia' del presidente italiano, aggiungendo che 'la revisione dei confini tra stati già esistenti stabiliti dal trattato di Parigi rappresenterebbe un pericoloso precedente per la pace e la sicurezza del nostro continente.'
Ad ogni buon conto, il risultato del referendum fu quantomai incerto:
il 9% della popolazione si disse favorevole al mantenimento dell'unione politica del Primorje a Belgrado, il 56% si espresse a favore del mantenimento dell'integrità territoriale del Primorje come stato indipendente e il 35% ad una redistribuzione dei territori del Primorje secondo il principio delle nazionalità.
Nei mesi seguenti, tuttavia, il governo del Primorje esitò a compiere passi ulteriori per l'affermazione ufficiale della propria indipendenza, temendo che, voltando le spalle al JNA (l'esercito popolare iugoslavo), croati e sloveni non avrebbero esitato a compiere azioni ostili.
L'unica direzione che il dimissionario Sinigoj e il suo successore Aurelio Juri poterono prendere, pur con il rischio di rotture interetniche all'interno del paese, fu quello di chiedere agli organismi internazionali occidentali (CEE e NATO) e in particolare allo stato italiano di porsi come garante dell'integrità del Primorje.
Di fronte alla possibilità (che comunque il governo italiano si affrettò a smentire categoricamente) di un ingresso delle forze armate italiane in Jugoslavia in effetti vi fu un'ondata di protesta dei gruppi della destra nazionalista filo-sloveni e filo-croati. Una grande marcia di protesta culminata in alcuni scontri di piazza tra le forze dell'ordine e la tifoseria politicizzata della Triestina (la principale squadra di calcio degli italiani del Primorje; avevano l'intenzione di forzare il blocco della polizia e piombare sul corteo) diede ragione ai timori del governo solo parzialmente. Almeno metà della popolazione, se non di più, sebbene non vedesse di buon occhio il 'ritorno dei fascisti', temeva maggiormente la possibilità di un'aggressione dei croati, che non considerava affatto dei liberatori, quando piuttosto una pregiudiziale allo sviluppo turistico e in generale economico.
Nonostante l'esito referendario, le forze della ZNG (Zbor Narodne Garde, Guardia Nazionale Croata) elaborarono un piano di invasione e annessione dell'Istria. Il 20 maggio del 1991, appena due giorni dopo il referendum sull'indipendenza croata, ebbe inizio l'operazione Jarac. Le truppe croate avanzarono in tre direttrici: la prima da Sisak verso ovest, in direzione di Buje; la seconda verso il centro della penisola, in direzione di Pazin; infine la terza lungo la costa orientale in direzione di Lubin.
Trudman, presidente della Croazia affermò all'indomani dell'attacco: 'il 75% della popolazione istriana è di lingua, cultura ed etnia croata. Le ragioni politiche e diplomatiche che portarono Tito alla creazione di questa regione autonoma sono venute a mancare da ormai molto tempo. Riteniamo dunque assurdo costringere i nostri fratelli di Istria a vivere separati dalla madrepatria solo per mantenere in vita un relitto della guerra fredda.'
Per tutta risposta, il ministro degli esteri Gianni de Michelis dichiarò: 'La nostra costituzione ripudia l'aggressione armata come mezzo per la risoluzione delle divergenze tra stati. Se la repubblica croata vuole essere riconosciuta come indipendente e sovrana, questo atto di aggressione premeditata non fa che allontanarla da questo obiettivo.'
Kohl non volle rilasciare dichiarazioni ufficiali, ma ambienti a lui vicini rivelarono una certa irritazione per le 'indebite ingerenze italiane in una questione interna alla Jugoslavia'.
Nonostante la posizione di protesta di Roma verso la situazione che si stava delineando non fosse avallata presso gli alleati europei, anzi, guardata con un certo sfavore, il governo Andreotti trovò un sostenitore di primo piano negli Stati Uniti d'America. Washington non vedeva di malocchio la possibilità che dalle ceneri della Jugoslavia sorgessero staterelli deboli e riconoscenti, ma, allo stesso tempo, non era disposta per questo fine a indebolire più del dovuto la posizione internazionale dell'Italia, che comunque era un alleato stretto e sostanzialmente stabile (nonché, per l'agenda USA, pur sempre utile come cavallo di troia nei confronti di qualsiasi nascente organismo di cooperazione europeo non dipendente dall'America).
Motivo per il quale, il congresso americano minacciò informalmente (anche se ovviamente la cosa fu risaputa soltanto in seguito) Trudman di limitare la vendita di materiale bellico alla Croazia.
La situazione rimase in stallo, con la JNA - sempre più 'serbizzata' - che si stava preparando a confrontarsi militarmente con la ZNG e con la MSNZ (Manevrska struktura narodne zaščite) slovena.
Il 25 maggio la Croazia e la Slovenia dichiararono ufficialmente la propria indipendenza. Fu a questo punto che la JNA si mosse per attaccare le forze slovene e le forze di occupazione croate nel Primorje.
Durante la cosiddetta 'guerra dei dieci giorni', tra il 25 giugno e il 6 luglio 1991, l'esercito regolare jugoslavo si confrontò in una serie di scontri armati tra Istria e Slovenia, prima della stipula di un cessate il fuoco e l'organizzazione di un incontro diplomatico per dirimere la questione.
Tale incontro fu organizzato sull'isola di Brioni il 7 luglio del 1991, alla presenza dei mediatori dell'Unione Europea Hans Van Den Broek (olandese), Joao de Deus Pinheiro (portoghese), Gianni de Michelis (italiano), Jacques Poos (lussemburghese).
L'accordo di Brioni, come in seguito venne chiamato, stabilì tra le altre cose il ritiro congiunto delle forze della JNA, MSNZ e ZNG dal Primorje, sotto sorveglianza della ECMM (European Community Monitor Mission), con una moratoria di tre mesi per stabilire pacificamente il destino di tale territorio attraverso un nuovo referendum, questa volta sotto l'egida delle Nazioni Unite.
Nel frattempo, tuttavia, il conflitto tra Serbi e Croati si era riacceso in Slavonia: la sera stessa del 10 luglio, giorno della firma degli accordi, la JNA bombardò la città di Osijek. Se la guerra si poteva definire conclusa nel Primorje, il vero conflitto tra serbi e croati, che presto avrebbe coinvolto la Bosnia Erzegovina, era appena iniziato.
Il 26 settembre 1991, venne indetta una nuova consultazione popolare, questa volta con due quesiti: ripartizione dei territori del Primorje tra Slovenia e Croazia (ma non con gli stati confinanti, ossia Italia e Austria) o indipendenza. Non venne precisato se, alla luce dei risultati, sarebbe stato possibile lo scorporo dei soli comuni a maggioranza secessionista oppure no.
Il referendum vide la vittoria degli indipendentisti con il 59% dei suffragi, anche se con discrepanze nel voto piuttosto rilevanti da cantone a cantone.

Prefettura di Gorica:

Cantone di Trbiž:
Indipendentisti 57%

Cantone di Mesto Čenta:
Indipendentisti 72%

Cantone di Čedad:
Indipendentisti 77%

Cantone di Krmin-Gradišče:
Indipendentisti 66%

Cantone di Tržič:
Indipendentisti 79%

Cantone di Tolmin:
Secessionisti 61%

Cantone di Gorica:
Indipendentisti 56%
Prefettura di Trst:

Cantone di Sežana:
Secessionisti 57%

Cantone di Trst:
Indipendentisti 66%

Cantone di Podgrad:
Secessionisti 54%

Cantone di Koper:
Indipendentisti 52%
Prefettura di Pula:

Cantone di Umag:
Indipendentisti 56%

Cantone di Poreč:
Indipendentisti 52%

Cantone di Motovun:
Secessionisti 57%

Cantone di Rovinj:
Indipendentisti 60%

Cantone di Pula:
Secessionisti 58%
Prefettura di Pazin:

Cantone di Pazin:
Secessionisti 66%

Cantone di Labin-Rabac:
Secessionisti 64%

Cantone di Opatija:
Secessionisti 72%

Un peso rilevante ebbe il fatto che dei cinque centri più popolati del Primorje, tre (Trieste, Gorizia, Monfalcone) fossero a maggioranza italofona (gli italofoni votarono pressoché compattamente contro l'annessione a Croazia e Slovenia). In particolare Trieste città ebbe un effetto trainante sui numeri totali. A dire il vero, però, i risultati dei favorevoli alle annessioni furono grandemente sotto le aspettative in generale dappertutto, anche in centri in cui gli italofoni erano spariti (come Pisino) o addirittura erano sempre stati una presenza sporadica (come Tolmino), motivo per il quale la retorica dei 'italiani fascisti traditori degli slavi' non riuscì a trovare particolare eco.
Il 30 settembre, una nota congiunta dei governi provvisori sloveno e croato propose al governo del Primorje la cessione, sulla base dell'esito referendario, dei cantoni di Tolmino, Sesana e Castelnuovo d'Istria alla Slovenia e dei cantoni di Motovun, Pula e della prefettura di Pisino alla Croazia. A tale proposta venne ribadito recisamente da parte del ministro Juri che 'l'unità territoriale del Primorje non può essere oggetto di contrattazione'.
Finalmente, il 2 Ottobre 1991 il piccolo stato, con il nome di 'Confederazione del litorale' (Primorje Konfederacija), dichiarò la propria sovranità, esponendo in cima alla torre campanaria del palazzo del municipio di Trieste il tricolore orizzontale giallo, rosso e azzurro.
Il primo paese a dichiarare l'intenzione di riconoscere il nuovo paese fu il Vaticano, due giorni dopo. Il 15 gennaio del 1992, al pari della Croazia, il Primorje fu riconosciuto dai dodici stati allora membri della CEE/UE. Il 1° e 2 maggio del 1992 si ebbe la storica visita pastorale di Giovanni Paolo II a Trieste. Il 22 maggio del 1992, assieme a Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina, il Primorje fu riconosciuto come nuovo membro dell'ONU, con la bandiera sottostante. La sua Nazionale di Calcio partecipò per la prima volta alle qualificazioni per il Campionato Mondiale di USA 1994.

Un'aggiunta simpatica:

Campionato Nazionale del Primorje 2019/2020, Prima Divisione:

VINCITORE/Ai preliminari di Champions, secondo turno
Ai preliminari di Europa League, primo turno
Ai Playout retrocessione/Promozione con Cervignano e NK Umag
Retrocesse in seconda divisione

Triestina (Trieste)
NK Istra (Pola)
FC Koper (Capodistria)

ND Gorica (Gorizia)
Primorje Ajdovščina (Aidussina)
Edera Trieste (Trieste)
NK Opatija (Abbazia)
Pro Gorizia (Gorizia)
Rudar Labin (Albona)
NK Pazinka (Pisino)
Kras Repen (Monrupino-Trieste)
AS Ponziana (Trieste)
Jadran Porec (Parenzo)
AS Ruveigno (Rovigno)
NKPP (Pirano)
NKCC Buie (Buie)

Sesljan (Sistiana-Trieste)
San Marco Gradisca (Gradisca d'Isonzo)

Promosse direttamente in prima divisione: Tabor Sežana e Cordenons.

P.S. Se nel calcio domina Trieste (ricordiamo il suo storico allenatore Nereo Rocco), nel Basket domina il Primorska di Capodistria e nella Pallanuoto sempre Capodistria (nella pallavolo invece vince Gorizia). Le formazioni di tutti gli sport di squadra saranno toste, ma in particolare di Basket e Pallanuoto!

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Se volete contribuire alla discussione, scriveteci a questo indirizzo.


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