La storia di Jalil

di Falecius e Roberta Amato

Galileo alla corte dello Shah di Persia

Galileo alla corte dello Shah di Persia

Galileo, perseguitato dall'Inquisizione, decide di trasferirsi in un paese più tollerante come le Province Unite o la Repubblica Polacca. In questo caso non sarà costretto ad abiurare, ma lo sviluppo della scienza moderna non cambierà poi molto. E se invece sceglie l'Impero Ottomano? Difficile dire quale risonanza avranno le sue idee nell'Impero turco, ma di sicuro non troveranno un'opposizione religiosa basata sul Testo Sacro, dato che il Corano non parla di fissità della terra e l'aristotelismo non è culturalmente dominante. Tuttavia lo sviluppo delle scienze naturali nel complesso della Turchia di allora è già minore di quanto avviene nell'Europa coeva, e solo pochi intellettuali sono preparati a recepire le innovazioni galileane. Probabilmente la Porta lo incoraggerà, mentre gruppi tradizionalisti legati agli ordini sufi (in particolare la potente bektashiyya, di cui fanno parte i giannizzeri) potrebbe opporsi alla diffusione del copernicanesimo. È possibile che un'accoglienza relativamente più ampia delle sue idee si abbia in altri paesi musulmani come la Persia o l'Impero Moghul (il persiano ed in misura minore il turco sono lingue di cultura comuni ai tre imperi musulmani ovest-asiatici del Seicento). In India c'è da aspettersi una reazione anti-galileiana sotto Aurangzib; al contrario le sue idee potrebbero essere sponsorizzate dai Koprulu in Turchia. Nel complesso sarà una perdita per lo sviluppo scientifico occidentale e un guadagno per quello dei paesi musulmani, ma un avanzamento totale più lento...

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Dall'enciclpedia online Tuttopedia.info:

Gailei, Galileo [...] Nel 1619 Galilei ha appena pubblicato, senza firmarlo, un Discorso delle Comete, dove combatte l'adesione al sistema tychonico (1). Negli anni 1617-1619, Galilei è coinvolto in una polemica col padre gesuita Orazio Grassi, professore di matematica del Collegio Romano e protégé di Bellarmino. Galilei capisce che, vivi ancora Bellarmino e papa Borghese, e coi Gesuiti, protetti dal papa, contro, avrà a Roma una vita molto difficile.

Seguendo il consiglio dell' amico Giovan Francesco Sagredo, che già dai tempi della solenne ammonizione del 1616 lo consigliava di raggiungerlo a Venezia, Galilei nel luglio del 1619, il giorno 15, parte alla volta della Serenissima. Vi arriva 6 giorni dopo, il 21 luglio, con l'aiuto del cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte, suo antico estimatore dai tempi di Padova e rivale dei Gesuiti in concistoro. Si ferma a casa del Sagredo; ad agosto, visita le fortificazioni della città di Palmanova, città di cui Sagredo è governatore. Studia un po' di ingegneria militare. Stende i primi appunti di quello che diverrà Il Saggiatore. Il 18 settembre parte per Istanbul in nave. Vi giunge il 2 ottobre. Ha una lettera con sé del Sagredo, già legato in Siria, destinata al Sultano Osman II, che lo accoglie benevolmente. Non ha nemmeno particolari difficoltà linguistiche: gli viene affiancato un dragomanno, e col Sultano comunica in italiano. Il Sidereus Nuncius è tradotto in turco entro il novembre del 1621. Dal 1621 al 1624, G. compie anche studi di ottica e balistica, e fornirà cannocchiali e appoggio di tecnica militare al Sultano. Osman è deposto nel 1622 dalla rivolta dei giannizzeri (marzo). Galilei accetta l'invito di Abbas I, Shah Safavide di Persia, col quale non avrebbe nemmeno la preoccupazione di dover servire un esercito in lotta contro la Cristianità.

Galilei ha due possibilità: o va via mare da Istanbul a Poti, poi via terra da Poti a Tiflis e da Tiflis a Tabriz, o prende la corriera dell' epoca: raggiunta via mare Trebisonda, si aggrega ad una carovana di armeni e raggiunge Jolfa. In entrambi i casi non arriverebbe prima della tarda primavera del 1622. A Jolfa viene preso in consegna da Imam-Quli Khan, figlio di Allahverdi Khan, ghulam (servo) di Abbas I.

Galilei non parla persiano: viene inizialmente affiancato dal medico militare Hakim Mohammad che parla latino, poi da Pietro Della Valle, il padre dell'orientalismo, che si trova a Esfahan proprio in quegli anni. Addirittura, Abbas intima al della Valle di rinviare la sua partenza per l'India,  in modo da tradurre in persiano Il Saggiatore, che circolerà in persiano dalla fine del 1624. In Persia, G. prosegue i suoi studi di ottica e balistica, impara il farsi, ha modo di studiare l'ingegneria idraulica locale, collabora alla costruzione di Bandar-e Abbas. Fa conoscenza col più importante filosofo sciita dell'epoca, Molla Sadra Shirazi, e ne fa un discepolo. Galileo si trattiene in Persia oltre la partenza per l' Italia di Della Valle (1626) e oltre la morte di Abbas (1629) . In questi tre anni, scrive gli appunti per il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

Nel 1632 ha sistemato in italiano la stesura del Dialogo. Nel 1633 G., trattato con crescente insofferenza dal clero sciita e ormai inutile al successore di Abbas, Shah Safi, accetta la chiamata di un principe indiano, Dara Shikoh, figlio primogenito dell'imperatore Mughal Shah Jahan. Dara si è appena sposato con Nadira Begam e, sebbene giovanissimo, è stato appena nominato ad una carica importante della città di Lahore. Il 13 febbraio del 1633, Galilei parte per l' India. Arriva a Lahore il 27 aprile del 1633. In India G. trova un ambiente particolarmente congeniale: il giovane principe è appassionato di misticismo, filosofia, arti grafiche, musica....avere a corte uno che ha insegnato ad Esfahan è prestigiosissimo. Inoltre, il fisico italiano conosce la filosofia franca, gli può risolvere i problemi idrici a Lahore e fornirgli un nuovo sistema astronomico.

Galilei, padrone ormai del persiano, insegna a Lahore e traduce il suo dialogo in farsi. La scienza musulmana è corpuscolarista, opera una sintesi tra aristotelismo e platonismo, e si ispira a Democrito e ad Epicuro.

Galilei si trova bene, e si può dedicare ad esperimenti sull'atomismo. Poi, oltre a far scavare canali e a occuparsi di filosofia, non abbandona i consueti studi sull'ingegneria militare ispirandosi alle fortificazioni di Palmanova per fornire suggerimenti sul Forte Rosso di Delhi, ora costruzione, e di balistica. Addestra un piccolo corpo di genieri. Cose che giungono all'orecchio del Sultano Alessandro di Aceh e ad Agung di Mataram, tramite “studenti fuorisede” malesi, in realtà pii pellegrini.

I vari sultani d'Indonesia sono in lotta tra loro ma entrambi si trovano a fronteggiare la VOC olandese. Pensano di trarre vantaggio dalle tecniche balistiche perfezionate da Galilei. Alessandro invia Fansuri come messo in India. Non invia una legazione, perché sarebbe troppo costoso. Vorrebbe utilizzare i cannoni contro Bantam o forse Mataram (meno probabilmente, contro gli olandesi). Non ci riesce perché muore prima di Galilei, il 27 dicembre del 1636.

L'influenza di Galilei ha lambito solo l' Indonesia, ma cambiato la storia dell' India. Infatti, grazie alla tecnica militare di Galilei, Dara Shikoh NON verrà sconfitto a Samugarh e sbaraglierà l'esercito di Aurangzeb. NON sarà assassinato nel 1659, anzi: regnerà fino alla fine del secolo, riuscendo ad unificare l'India, mettendo pace tra Sikh, Hindu, Cristiani, Musulmani. La matematica indiana, ironicamente, verrà aggiornata tramite i libri del gesuita padre Mersenne, che Dara Shikoh si farà fornire dai Gesuiti di Goa.

Galileo/Jalil morirà nel 1642, onorato e venerato maestro della dinastia Moghul, e sepolto in un mausoleo a Shahdara, il villaggio presso Lahore dove ha sede la sua scuola, chiamata, dal nome come cui è conosciuto in lingua persiana, Jaliliyya.

Il primogenito di Dara nasce nel 1632 (Umar?). Nel 1651 c’è una guerra tra Persiani e dinastia Mughal, in cui Dara ha il comando delle truppe Mughal, e con l'artiglieria più forte, vince e conserva il possesso di Qandahar. Le conseguenze sarebbero non solo un impero Mughal più forte, ma un Afghanistan pacificato: niente razzie afghane, niente Nadir Shah, niente dinastia Durrani a Kabul. In sostanza, l’Afghanistan resta una periferia dell’India, e la Persia ne risulta indebolita.

1658, 30 maggio: Aurangzeb viene sconfitto a Samugarh. E’ messo a morte da Dara, assieme al fratello ribelle Murad.

1659-89: Epoca di trattativa con Shivaji , maharaja dei Maratha. Dara ne fa uno dei suoi più fidi militari. Vi è, di fatto, uno stato autonomo al sud-ovest dell’ India. Pacificazione del Deccan. Comunque Dara, usando un misto di forza, abilità, e diplomazia e soprattutto, una tassazione inferiore ad un terzo del raccolto, riesce in 40 anni a conquistare l'intero Deccan e la regione peninsulare cioè tutte le attuali India e Pakistan. Non esiste un esercito superiore al suo in tutta l'India specialmente grazie alla capacità del suo genio militare e della sua artiglieria; probabilmente conquista anche il Nepal e riesce a mantenere senza problemi il controllo di tutto l'Afghanistan fino allo Hindukush.

A livello religioso la sua politica è tollerante: favorisce la diffusione dell' Islam ma soprattutto attraverso confraternite sufi, di una delle quali fa parte. Shivaji , che non è stupido - anzi , è il suo miglio generale- fa creare un altro collegio jalili a Poona, e altrettanto fa suo ( di Dara) fratello Shuja governatore del Bengala; questi si espande verso est conquista Koch, Tripura e, nel 1666, Arakan. Grazie alle artiglierie, Shuja è in grado di distruggere le poderose fortificazioni di Mrohaung, capitale fortificata dello Arakan mentre nella nostra linea, Aurangzeb ha dovuto accontentarsi del nord del paese, a maggioranza musulmana. Dara è incuriosito dai bonzi buddhisti arakanesi e ne fa chiamare a corte; però è probabile che l'Arakan stesso si islamizzi in fretta, anche più di quanto sia accaduto nella nostra linea.

Quando sale al trono Dara il suo problema è che Shuja si è già proclamato imperatore, ma i due sono alleati contro Aurangzeb; Shuja rinuncia alla sua rivendicazione al trono del pavone (altra voce di spesa pazzesca del loro padre) in cambio però ottiene la semi-autonomia del bengala e la garanzia del suo governo su quella regione oltre ad alcuni degli studenti di Shahdara per creare un istituto analogo a Murshidabad: quindi, in realtà, Dara unifica l' India ma deve riconoscere delle autonomie semi-feudali al fratello, ai maratha, e naturalmente ai rajput che le avevano già. Ora è da vedere se Shuja si ribelli - ma non gli conviene: rischia di perdere tutto e sa che Dara starà ai patti, o se invece provi a conquistare la Birmania. all'epoca la Birmania aveva problemi a impedire le scorrerie del Manipur. Il Manipur è uno staterello di colline al confine tra Birmania ed India - oggi fa parte dell'india, naturalmente- piccolo e poco importante, ed i suoi successi davano la misura di quanto lo stato birmano era in difficoltà: governato da re incapaci, debole e travagliato da un conflitto latente tra birmani e mon.

Inoltre Shuja ha artiglierie, moschetti e genieri, i birmani al massimo hanno qualche arma da fuoco vecchia comprata dai portoghesi e fortificazioni di legno, però giocano in casa e potrebbero avere l'appoggio di qualche paese europeo. Insomma sulla carta dovrebbe essere per Shuja una passeggiata militare dal Bengala alla capitale birmana Ava; però più che altro la strada è molta e tutta in territorio nemico e poi oltre la Birmania c'è la Cina che considera Ava un proprio vassallo, anche se con argomenti quantomeno bizzarri.

[Nella realtà, i bengalesi conquistano il nord di Arakan nel 1666, ma la guerra tra Arakan ed i Mughal fu una diretta conseguenza della sconfitta di Shuja e della sua fuga proprio in Arakan. N.d.A.]

Lo Arakan al tempo era dedito ad attività piratesche contro l'India, appaltate in parte a pirati di origine franca (specialmente portoghesi) in modo non dissimile da Algeri nel Mediterraneo. Il re Sandathudamma era corrotto, avido, venale e crudele: insomma, Shuja ci avrebbe litigato comunque; solo che con le artiglierie Jalili si prende tutto il regno ponendo fine ad un problema per tutta la navigazione locale. Dato che gli olandesi commerciano con Arakan questa mossa ha conseguenze a Batavia , ma probabilmente la VOC capisce da che parte tira il vento e fa come nella nostra linea aiutando i Mughal; ne in cambio ottiene la conferma dei suoi diritti commerciali e la sopravvivenza dello stabilimento olandese di Mrohaung.

Le opere di Galilei sono, in Italia, date alle fiamme, tranne a Venezia, dove continua fino al 1626 ad essere stampato il Sidereus. Sagredo muore nel 1620. F.M. Bourbon del Monte è processato dall' Inquisizione, ma non esistono prove concrete a suo carico: il processo è sospeso nel 1623 con la salita al trono pontificio del Barberini, filo francese come lui. Pietro della Valle ne ha ben due di opere di Galilei: il Saggiatore e il Sidereus, ma si guarda bene dal farle circolare. Quando torna in Italia nel 1627 il clima è pesante. Mentre in India fiorisce il jalilismo dopo il 1633 in Europa l'Inquisizione blocca tutto. Qualche iniziativa individuale rimane limitata:in Francia il clima è più aperto. I monaci caldei traducono l’ edizione turca del Sidereus, e quella persiana del Dialogo e del Sidereus, ma difficilemente questi testi circolerebbero in Europa prima del 1670. E dal 1638, sulla sede patriarcale di Baghdad, valgono diritti di giuspatronato francesi.

La traduzione delle opere di Galilei dal persiano inizia davvero nel 1670, ad opera dei Gesuiti di Goa e dell’Abbé Carré, in viaggio per l’India fino al 1674, dei mercanti inglesi della John Company. Il governatore di Fort William, William Hedges, le diffonde in Inghilterra. Dal malese, tradurranno gli olandesi della VOC.

Leibniz inventa il calcolo infinitesimale; Newton lo perfeziona in seguito ma elabora i Principia più tardi, verso il 1700. Bacone colloca la Nuova Atlantide in India e non in America.

Visto l'atomismo di Galileo, la teoria corpuscolare di Huygens è eretica per i cattolici. Tra gli scienziati che hanno accesso alle opere di Galileo tramite i Gesuiti, Mersenne pubblica qualche elemento della meccanica galileiana, però lo fa a suo nome, senza nominarlo per evitare complicazioni. Torricelli non combina molto, e anche il lavoro di Pascal sulla pressione non è compiuto seguendo criteri sperimentali.

In definitiva, le conoscenze europee procedono a traino del lavoro che fanno in India, anziché il contrario: nel senso che in Europa si resta al metodo baconiano - più rozzo, più pragmatico -, mentre in India si sviluppa un metodo sperimentale compiuto.

La corte Mughal, però, è avida di novità, e quindi chiede ai Gesuiti a Goa di fornire testi europei. Diciamo che se i Principia escono nel 1700 in Europa, potrebbero arrivare in India verso il 1715.

Falecius e Roberta Amato

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(1) Mi è venuto in mente dando un' occhiata alla mia tesi: sono del 1619 le "Tabulae Novae iuxta Tychonis rationes elaboratae", di cui Francesco Valesio ha inciso il frontespizio [Nota di Roberta].

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Diamo ora la parola a Lord Wilmore:

Il dente di drago

Londra, addì sabato 14 agosto dell'Anno del Signore 1529

Vostra Maestà Illustrissima, io, Girolamo Fracastoro, archiatra reale e docente di fisiologia e patologia all'Università degli Studi di Padova, uno dei più rinomati epicentri culturali del Vostro Regno, finalmente Vi posso scrivere la presente dal Regno d'Inghilterra, dove Voi stesso mi avete inviato per cercare di scoprire una cura alla misteriosa epidemia di Malattia del Sudore che l'anno scorso ha duramente colpito l'isola protetta da San Giorgio. Raggiunte le città più flagellate dal misterioso morbo con un salvacondotto fornitomi dal Vostro fedele alleato, Re Riccardo IV di York, ho potuto constatare, dall'alto della mia esperienza nel campo delle malattie infettive, che questa sindrome non assomiglia a nessuna di quelle conosciute: nè la peste bubbonica, nè il tifo petecchiale, nè il colera, nè il Mal Francese provocano infatti un'improvvisa e innaturale sudorazione dopo una fase di brividi e freddo intenso, per di più con un decorso fatale così rapido ed in assenza di qualsiasi eruzione cutanea. Ho raccomandato al figlio di Riccardo III il Vittorioso e di Anna Neville di isolare le città colpite dalla pandemia, nella speranza che sia il contatto con persone già infette, e non il vento o le esalazioni del suolo, a causarne la diffusione, e soprattutto di chiudere i porti del suo regno fino a che la fase più virulenta del contagio non si sarà esaurita. Fino ad ora infatti la Malattia del Sudore non si è mai diffusa nel Bel Paese là dove il Sì suona, e questo è un motivo in più per fare in modo che non lo raggiunga mai. Grazie a Dio, Re Riccardo IV ha seguito le mie istruzioni alla lettera, affermando che sarebbe stolto ignorare le prescrizioni di un medico preceduto da una fama con la mia, e messogli a disposizione da un sovrano con una fama come la Vostra. Egli sa bene che proprio all'enigmatico Morbo del Sudore egli deve il suo trono, dato che suo padre trionfò contro ogni pronostico sul suo rivale Enrico Tudor nella Battaglia di Bosworth Field proprio grazie a quella malattia contagiosa che si diffuse rapidamente tra le file delle truppe della fazione Lancaster-Tudor, decimandole e segnando il trionfo del sovrano dalla colonna vertebrale fortemente incurvata; e la medesima sindrome aveva già provocato la morte di Edoardo e Riccardo, i due giovanissimi figli di Re Edoardo IV, mentre essi alloggiavano nella Torre di Londra. spianando così la strada all'ascesa al trono dell'allora Duca di Gloucester; posso garantire che le voci messe in giro dai Lancaster, secondo cui entrambi furono assassinati dallo zio per evitare che la casa rivale li usasse contro di lui, sono destituite di qualsivoglia fondamento, avendo io stesso parlato con l'anziano archiatra che tentò invano di salvarli. Tuttavia, nonostante il debito di riconoscenza di Re Riccardo IV nei confronti della Malattia del Sudore, che pose fine di fatto alla sanguinosa Guerra delle Due Rose, certo egli non può permettere che essa stermini anche la casata della Rosa Bianca, dopo aver inferto tanti danni alla casata della Rosa Rossa, e dunque credo che avrebbe dato ascolto persino ad uno sciamano di qualche tribù dei Tartari, se il suo Khan lo avesse inviato a lui per dargli consigli su come salvare il proprio popolo, senza bisogno di scomodare il medico di corte del grande Cesare Borgia, Re d'Italia e fratello di Sua Santità il Papa Callisto IV, nè tutta la sua pretesa autorità scientifica. Autorità peraltro messa in dubbio dal fatto che non sono riuscito a venire a capo dell'eziologia e delle possibili cure del Morbo del Sudore, anche se ho il forte sospetto che, come il tifo e la peste nera, sia causato da organismi così piccoli che nè il nostro occhio né le migliori lenti di ingrandimento sono in grado di scorgere. Forse, negli anni a venire, i migliori ottici fiamminghi saranno in grado di risolvere il problema inventando strumenti di osservazione più potenti, e potremo finalmente avere una risposta circa i misteriosi agenti patogeni che tante vittime mietono in ogni parte del mondo fin dai tempi di Noè.

Ma Vostra Maestà sa bene che non sono stato inviato in Inghilterra solo per scoprire la natura e l'eventuale cura di un morbo sconosciuto, altrimenti non sarei stato certo costretto a cifrare questa lettera con il codice Atbash, ben noto agli antichi Giudei, che il mio amico e vostro Segretario personale Giovanni Pico della Mirandola, la cui proverbiale memoria è ancora oggi prodigiosa a dispetto della sua età, è certamente in grado di decifrare per voi. Posso infatti confermare i sospetti di Vostra Maestà circa il fatto che Re Riccardo IV d'Inghilterra e d'Irlanda tradisse ripetutamente la propria sposa e madre dei suoi tre figli, vostra sorella Lucrezia, che a detta unanime a quasi cinquant'anni è ancora la donna più affascinante del mondo, oltre che grande protettrice di artisti, poeti e scienziati. Tuttavia che un Re abbia delle amanti, è comprensibile, visto che il potere e le ricchezze sono senz'altro tra le più potenti armi di seduzione. Il problema è che, come altre spie Vi avevano riferito prima di me, la favorita del Re era proprio la giovane, bellissima e scaltra Anna Bolena, dama di compagnia della Regina Lucrezia Borgia. Io stesso, quando sono stato ospite alla corte del Re d'Inghilterra prima di recarmi a visitare le città colpite dal Mal del Sudore, ho potuto verificare quale familiarità ci fosse tra l'ambiziosa nobildonna britannica e il figlio di colui che popolarmente era chiamato Riccardo il Gobbo; e un'altra giovane damigella di corte, Jane Seymour, delle cui grazie io ho avuto la fortuna di poter godere, mi ha confermato quanto Voi temevate. Anna non si limitava a voler essere una qualunque delle tante amanti di Riccardo IV, sorte già toccata ad Elizabeth Blount e a sua sorella Maria: voleva spingere il Re a divorziare da vostra sorella, così da poter diventare ella stessa regina. Inoltre, pur continuando a professarsi esteriormente cattolica, la Bolena ha aderito in segreto alla Riforma Protestante che ormai da un decennio sta mettendo in subbuglio il Sacro Romano Impero, vista con crescente favoe dall'attuale Imperatore di Germania e Re di Francia Francesco I di Valois-Angoulême. Quell'ex monaco agostiniano, Martin Lutero, che protestando contro la vendita delle indulgenze ha provocato un Secondo Scisma d'Occidente, va predicando che il divorzio è lecito, almeno in alcuni casi specifici, dal momento che per lui esso non rappresenta un Sacramento, e dunque non ha senso considerarlo indissolubile. Jane Seymour, che era mossa dalla gelosia in quanto nemica giurata della Bolena, forse perchè sperava di prenderne il posto, ma che è anche informatissima su tutti i fatti di corte, con tutto l'amore per il pettegolezzo dei suoi vent''anni, era sicura che, nelle notti d'amore, Anna stesse cercando di convincere Riccardo IV ad aderire alla Riforma, così come ha già fatto il Re di Polonia e Granduca di Lituania Sigismondo I il Vecchio. A dispetto del fatto che Papa Callisto IV gli ha concesso il titolo di Difensore della Fede, in tal modo Riccardo potrebbe arricchirsi incamerando tutti i beni della Chiesa, e magari finanziare imprese di conquista nel Nuovo Mondo, ma anche divorziare da Lucrezia senza bisogno dell'assenso del Papa, che non otterrebbe mai essendo Lucrezia anche sorella sua, e impalmare proprio la Bolena.

Bisogna riconoscere che si tratta di un piano davvero astuto, degno di Semiramide e di Messalina: una modesta dama di compagnia, priva di scrupoli e di timor di Dio, con scaltrezza e abbondante cinismo, riuscirebbe a farsi incoronare regina! Sarebbe, che so, come se un qualunque ufficiale nato in Corsica, la provincia più povera del Vostro Regno. riuscisse a farsi eleggere Imperatore! Non c'è bisogno di aggiungere che, se questo piano diabolico avesse avuto successo, a soffrirne non sarebbe stata solo Vostra sorella Lucrezia, ma la Santa Chiesa di Dio, e l'intero equilibrio europeo. Infatti mi è felicemente giunta notizia che lo scorso 5 agosto, con la Vostra mediazione, il Re di Francia e Imperatore del Sacro Romano Impero Francesco I e il Re di Castiglia, Aragona, Portogallo, Fiandre e Arciduca d'Austria Carlo I d'Asburgo hanno firmato finalmente la Pace di Cambrai, con cui il secondo riconosce al primo il titolo imperiale e si dichiara - almeno formalmente - suo vassallo quanto ai possedimenti germanici e fiamminghi di Casa d'Asburgo, mentre il primo riconosce la spartizione del Nuovo Mondo tra Francia e Iberia, visto che la legittimità del titolo imperiale del Re di Francia e l'accettazione del Trattato di Tordesillas proposto da Vostro padre, Papa Alessandro VI, erano stati i casus belli della Guerra della Lega di Cognac che per tanti anni ha insanguinato l'Europa e le Colonie al di là dell'Oceano. Una guerra che probabilmente ci saremmo risparmiati, se Re Giovanni del Portogallo avesse dato retta a sua moglie Isabella di Castiglia e avesse accettato di finanziare la spedizione di Cristoforo Colombo, che invece si è rivolto a Carlo VIII di Valois; con grande lungimiranza, quel sovrano giovane e un po' visionario, da Voi sconfitto a Fornovo quando calò in forze in Italia per rivendicare i troni di Milano e di Napoli, accettò di finanziare la spedizione dell'altrettanto visionario navigatore genovese, con tutte le conseguenze che ben conosciamo. Ad ogni modo, la Pace di Cambrai potrebbe assicurare decenni di pace al continente europeo, se venisse rispettata da tutti, e di questo le generazioni successive non potrebbero che rendervene merito, Vostra Maestà, se già riunificare l'Italia dopo secoli di divisioni e di lotte fratricide non fosse già una motivazione sufficiente per assicurarVi una fama imperitura. Purtroppo so bene che il nuovo, precario equilibrio europeo si fonda sull'alleanza tra la Corona d'Italia, quella di Iberia e quella di Inghilterra, tre nazioni cattoliche che accerchiano e tengono d'occhio il dominio continentale della Casa di Valois, in cui la Riforma di Lutero si va rapidamente diffondendo come una macchia d'inchiostro caduta per errore su una pergamena. Se Riccardo IV di York aderisse alla Riforma, senz'altro abbandonerebbe l'alleanza con i Borgia e con gli Asburgo, per avvicinarsi ai Principi Tedeschi e ai nobili francesi già passati al luteranesimo, e dii conseguenza troverebbe un'intesa con Francesco I per rovesciare definitivamente Papa Callisto IV e sostituirlo con lo stesso Lutero: tutti sappiamo quale formidabile macchina da guerra rappresentano i luterani Lanzichenecchi al servizio del Valois-Angoulême, i quali hanno già promesso di mettere a ferro e fuoco la stessa Roma. Fino a che l'Inghilterra minaccia la Francia di passare la Manica e prenderla alle spalle per vendicare la sconfitta nella Guerra dei Cent'Anni, possiamo stare certi che quei molossi zannuti resteranno ad abbaiare furiosamente nel loro canile. Ma se l'ambiziosa Bolena fosse riuscita nel suo intento (dopotutto ha studiato in Francia, dove è stata damigella d'onore di Margherita, sorella di Francesco I, e probabilmente ha simpatie per quel paese), nulla più potrebbe impedire agli eretici di attaccare il Vostro regno. Non metto in dubbio che Vostro figlio ed erede Girolamo, con i suoi grandi condottieri Francesco Ferrucci e Ludovico di Giovanni de Medici, detto Giovanni delle Bande Nere, riescano a fermare quei cani rognosi ben prima che possano davvero deporre vostro fratello Goffredo dal Soglio di Pietro, ma le sofferenze per l'Italia e per l'intera Europa sarebbero inenarrabili: sicuramente divamperebbe di nuovo la guerra tra Francia e Iberia, trasformandosi ben presto in una stupida guerra di religione tra cattolici e luterani, considerato il fatto che di solito Dio si serve dei buoni, mentre i malvagi si servono di Dio. E tutto questo, per colpa di una donna sola, venticinque secoli dopo che per lo stesso motivo era infuriata la Guerra di Troia!

In verità, io avrei voluto avvisarVi assai prima delle sinistre manovre di Anna Bolena, facendovi recapitare questa missiva cifrata da uno dei miei allievi che porto sempre con me; e probabilmente essa Vi sarebbe giunta prima ancora della firma della Pace di Cambrai, se non fossi stato ostacolato in ciò da Giorgio, fratello maggiore della suddetta Anna, e suo degno compare nelle losche trame per scacciare Lucrezia Borgia dal trono d'Inghilterra. Infatti, essendo sua sorella la favorita del Re, quel bellimbusto aveva molti agganci a corte, e dalle sue spie deve aver saputo che io e Jane Seymour abbiamo avuto abboccamenti riservati, e non può non averne concluso che in realtà io ho agito come spia a favore del Re d'Italia, e quindi in opposizione a tutti gli intrighi dei filofrancesi. Per questo a Londra ho subito un attentato, e c'è mancato poco che non raggiungessi la spiaggia della Montagna del Purgatorio immaginata da Dante Alighieri. Accadde una sera del mese scorso, poco dopo il tramonto del sole: aveva appena smesso di piovere, ed anzi qualche goccia colava ancora giù dalle nubi, ma d'altro canto dicono che chi non ha visto piovere a Londra, non ha visto Londra. Io stavo passeggiando lungo la riva del Tamigi in compagnia di Ser Tommaso Moro, il grande umanista amico di Erasmo da Rotterdam e di Pietro Bembo che da un anno è Lord Cancelliere di Riccardo IV, e di un tipo avvolto in un lungo mantello, con il cappuccio calcato in testa, che il Moro presentò come un proprio fedele collaboratore, anche se rispose al mio saluto solo con un cenno del capo, e non proferì neppure una parola. Io e Tommaso discutevamo proprio dell'opera di mediazione di Vostra Maestà che era in procinto di porre fine alle guerre tra Francia e Iberia. Ho potuto verificare di persona l'assoluta fedeltà del Lord Cancelliere al suo sovrano, del quale ha detto: "Lo considererei pur sempre il mio Re e gli sarei fedele fino alla morte persino se si facesse luterano, anche se non abiurerei mai la mia fede per abbracciare la sua." Naturalmente egli appoggiava incondizionatamente la Vostra politica, o Re Cesare, anche se affermava di non essere del tutto d'accordo con le idee del Vostro Arcicancelliere Niccolò Machiavelli, da lui espresse nel suo famoso trattato « Il Sovrano », ormai letto e tradotto in tutta Europa. Eravamo giunti all'altezza della Chiesa del Tempio, il cui nome ricorda a tutti il fatto che è stata costruita dai Cavalieri Templari all'epoca delle Crociate, quando da dietro una siepe dell'Inner Temple Garden sono sbucati fuori tre loschi figuri che, urlando a squarciagola improperi e bestemmie in qualche dialetto londinese che grazie a Dio non capisco, si sono avventati contro di noi brandendo affilati pugnali. Io mi sono raccomandato l'anima a Dio, pensando che il mio pellegrinaggio su questa Terra finisse lì, ma all'improvviso accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettato, ed accadde così rapidamente che non sarei mai in grado di descriverVi esattamente i fatti come si sono svolti. In poche parole, alla vista dei tre assalitori, quello che sembrava un monaco gettò a terra il mantello, rivelando un'elaborata acconciatura in cima alla testa e due braccia muscolosissime segnate da innumerevoli cicatrici; senza dire una parola sguainò quello che in seguito si rivelò un coltello lungo una spanna e mezza, e senza proferire verbo si gettò contro i tre sicari giunti lì per farci a pezzi. Il suo corpo in uniforme da guardia personale del sovrano sembrò librarsi in aria e roteare su se stesso, sfidando la forza di gravità, e pochi istanti dopo i tre assassini giacevano tutti e tre al suolo davanti a noi, due con la gola squarciata, ed il terzo con le budella fuori dal corpo.

Mentre osservavo il nostro silenzioso salvatore che puliva il proprio coltello con la tranquillità di un beccaio che aveva appena finito di macellare un maiale, e mi rendevo conto dei suoi lineamenti tutt'altro che anglosassoni, Ser Tommaso Moro, che aveva mantenuto una calma invidiabile durante l'intera durata dell'agguato, mi spiegò con il candore con cui avrebbe confutato le 95 tesi di Lutero in un'aula universitaria: "Permettetemi, Dottor Girolamo Fracastoro, di presentarvi Donnacona, uno dei più fieri guerrieri della Confederazione delle Cinque Nazioni Irochesi. Il vostro compatriota Sebastiano Caboto, navigatore al servizio di Riccardo IV di York, dopo che suo padre Giovanni Caboto era stato al servizio di Riccardo III, ha esplorato un'ampia regione del Nuovo Mondo che ha battezzato Nuova Inghilterra, rivendicandola a nome della Corona Inglese nonostante il Trattato di Tordesillas assegnasse quelle terre alla Francia. Giunto alla penisola di Gaspè, vicino all'estuario del fiume chiamato San Lorenzo, Sebastiano ha stretto alleanza con gli Irochesi, che si sono detti disponibili a ricevere missionari cristiani in cambio di armi da fuoco e dell'addestramento per usarle. Alcuni intrepidi guerrieri Irochesi, tra cui Donnacona per l'appunto, hanno accettato di venire in Inghilterra per conoscere meglio usi e costumi dei loro nuovi alleati, propensi ad aiutarli nelle perpetue guerre contro i loro eterni nemici, gli Algonchini. Siccome molti luterani e filofrancesi mi hanno minacciato ripetutamente di morte, Re Riccardo mi ha assegnato Donnacona come mia guardia del corpo personale, ovviamente opportunamente camuffato per non dare nell'occhio. Ha imparato la nostra lingua, anche se come vedete è un tipo di poche parole, ma in compenso il pugnale sa farlo parlare con straordinaria eloquenza quando è necessario, come avete avuto modo di costatare voi stesso, e di questo dobbiamo ringraziare San Giorgio e San Michele."

Ovviamente non parlo la lingua Irochese, ma ho cercato di far capire al valoroso guerriero delle Indie Occidentali che lo ringraziavo molto per avermi salvato la vita, tuttavia lui si è limitato a battersi un pugno sul petto muscoloso, come se volesse assicurarmi che era suo dovere difendere i suoi amici e gli amici dei suoi amici, quindi si è nascosto nuovamente all'interno del suo anonimo mantello senza aggiungere una parola. In quel momento sopraggiungevano delle guardie del re di ronda lungo le sponde del Tamigi, naturalmente in ritardo per salvarci la vita se non ci fosse stato il prode pellerossa ad interporsi tra noi e i pugnali dei nostri assassini; comunque Tommaso Moro spiegò al loro capitano che cosa era accaduto, e questi ci diede due uomini di scorta per accompagnarci al Palazzo di Hampton Court, situato a Richmond sul Tamigi, residenza di Re Riccardo IV. Probabilmente sarebbe bastata la nostra guardia del corpo nata di là dall'oceano per difenderci da chi volesse ritentare di farci la festa, ma accettammo ben volentieri, poiché era evidente che i nostri nemici non si limitavano più a tramare nell'ombra delle alcove, ed erano invece passati alle vie di fatto: di sicuro la morte di Ser Tommaso Moro sarebbe stato un duro colpo, in quel momento, per quanti cercavano di trovare un nuovo equilibrio in Europa e porre fine ad inutili stragi fratricide. Mentre rientravamo al Palazzo Reale, l'autore dell'"Utopia", un'opera che ho deciso di tradurre personalmente nella lingua di Dante appena ne avrò il tempo, mi disse: "Dottor Fracastoro, è pericoloso per Voi restare qui a Londra: chi ha cercato di spacciarvi questa sera ci può riprovare da un momento all'altro, e non sempre ci sarà il fortissimo Donnacona a salvarvi la pelle, come dite voi di Verona. Mentre io sguinzaglio i migliori investigatori del Regno per incastrare i mandanti di questa aggressione, sarà meglio che voi lasciate la capitale e vi nascondiate in un luogo più sicuro, in attesa di poter rientrare in Italia ed informare Re Cesare I Borgia degli intrighi che si stanno tramando alla corte degli York. Conosco il luogo più adatto: una tenuta agricola di mia proprietà a Cuckfield, un piccolo villaggio tra Crawley e Brighton, in mezzo alla ridente campagna del West Sussex. Lì nessuno vi cercherà, amico mio, fino a che non sarò riuscito a rendere questa città più sicura per Voi. Vi farò preparare una carrozza affinchè partiate immediatamente, nel più assoluto segreto, e provvederò io ad informare il Vostro Re del Vostro ritardo."

Che potevo fare? Solo accettare, perchè io ho una testa sola, e per giunta le sono affezionato. E così, il giorno dopo mi sono ritrovato in un angolo di campagna inglese, per fortuna meno cupa di Londra, perchè lì, nonostante la vicinanza del Canale della Manica, la nebbia ricopriva e rendeva mogia ogni cosa in media solo quattro giorni la settimana, anche se gli altri tre giorni in media pioveva a dirotto. Non è certo un caso se l'illustre Poggio Bracciolini, che ha vissuto in quest'isola per quattro anni oltre un secolo fa, ha affermato di non aver mai conosciuto un inverno così freddo, come l'estate della Britannia! Non è propriamente il posto ideale in cui comprerei una tenuta se volessi ritirarmi definitivamente dall'insegnamento universitario, ma dopotutto quando sono giunto là ho pensato che, se io non vedevo alcunchè a causa della nebbia, dopotutto nessun sicario poteva neppure scorgere me. Mi sono presentato come Ser Goffredo Chaucer, certo che nessuno di quei villici aveva mai sentito parlare dell'illustre iniziatore della letteratura inglese, e risiedevo in una casa di mattoni rossi che, a sentire la gente del posto, era stata costruita sopra un antico cimitero celtico, ai tempi della Battaglia di Hastings era stata un'aula di tribunale, con tanto di prigioni e di stanza delle torture al pianoterra, e nei giorni di Re Edoardo III era diventato un lazzaretto per i malati di peste nera. Nulla di strano che, secondo gli abitanti del villaggio di Cuckfield, la magione in cui Ser Tommaso Moro mi aveva fatto prendere alloggio sarebbe stata maledetta, e per questo egli non vi aveva mai passato la notte. A sentir loro, i fantasmi inferociti di almeno quattro uomini e tre donne avrebbero infestato quell'allegra dimora, ed io avrei fatto bene ad alzare i tacchi e tornare in fretta di là da dove ero venuto. Io però non potevo certo spiegare loro che non potevo rimettermi in viaggio per Londra, dove è possibile che mi attendesse un altro pugnale ansioso di verificare la struttura interna del mio muscolo cardiaco, e stavolta senza alcun aborigeno delle Americhe a salvarmi la vita. Dopotutto, ho pensato che uno spettro arrabbiato che si aggira attorno al mio letto sarà anche inquietante, non dico di no, ma è pur sempre meno pericoloso di un assassino in carne ed ossa, e così ho deciso di rimanere, senza neppure bisogno di riempire la mia camera da letto di collane d'aglio, ferri di cavallo arrugginiti, crocifissi decorati con ramoscelli di salvia ed altri ingenui mezzi apotropaici per scacciare le ombre dei morti. In effetti, più che delle anime in pena, durante le notti trascorse in quel sinistro casolare, ho dovuto guardarmi da pulci, zecche, scarafaggi e soprattutto topi, che nulla avevano da invidiare ai roditori guerrieri che, a dar retta ad Omero, nei giorni antichi mossero guerra alle rane. Di spettri ululanti e trascinatori di catene, neanche l'ombra; ogni tanto gli scricchiolii delle consunte travi di legno del soffitto potevano dare l'impressione che qualche ospite non invitato passeggiasse avanti e indietro nel sottotetto, ma in quei momenti Vi confesso, o Re d'Italia, che il mio timore peggiore non era che si trattasse di una vittima della peste bubbonica venuta a vendicarsi della propria morte prematura terrorizzando i viventi, bensì di qualche altro sicario pagato da Giorgio Bolena. Nessun morto infatti sarà mai pericoloso quanto può esserlo un vivo!

Girolamo Fracastoro creato Cavaliere da Riccardo IV di York e Lucrezia Borgia

Girolamo Fracastoro creato Cavaliere da Riccardo IV di York e Lucrezia Borgia

Nei giorni di forzata inattività, mentre il tempo era inclemente, mi misi a trascrivere in buon latino le mie osservazioni e le mie considerazioni riguardo il Morbo del Sudore, che provvederò a pubblicare una volta ritornato all'Università di Padova. Non potevo infatti arrischiarmi a scrivere una lettera come questa a Voi indirizzata da quel villaggio del Sussex: il rischio che qualcuno tra i filoimperiali lo intercettasse e scoprisse l'ubicazione del mio rifugio era troppo alto. Un giorno però Giove Pluvio si dimostrò particolarmente clemente, e il sole splendeva in cielo come a ricordarmi che il clima sul nostro mondo poteva anche essere migliore di quello inglese. Decisi allora di compiere un'escursione nei dintorni, con la guida di un mezzadro di Ser Tommaso Moro, il quale ovviamente non parlava né italiano né latino, ma ormai avevo imparato abbastanza la lingua di Ruggero Bacone e di Roberto Grossatesta per comunicare agevolmente con lui, spacciandomi per un suddito di Sua Maestà Britannica. Quel campagnolo era un tipo bizzarro, che amava raccontare storie altrettanto bizzarre riguardanti la storia antica della Britannia, ad esempio intorno a un certo Re Lear che avrebbe ordinato di uccidere sua figlia, se ne sarebbe pentito e poi sarebbe morto il dolore perché il contrordine non era arrivato in tempo per salvarla. Il mezzadro mi ha confessato di sperare che un giorno qualche poeta famosissimo nei ricavi un poema, o una tragedia da rappresentare in teatro, e io glielo auguro di tutto cuore. Ad ogni modo, dopo aver passeggiato per campi e collinette non troppo dissimili da quelli della verde Tuscia, giungemmo infine ad una cava a Whitemans Green, da cui si estraevano pietre da costruzione. Parlai con il custode della cava, un certo Leney, un uomo molto più istruito dei contadini della zona, ed egli mi assicurò che il grande filosofo e scienziato francescano Guglielmo di Occam era stato lì, e vi aveva compiuto una serie di studi, anche se poi non li aveva mai pubblicati. Incuriosito, gli domandai che razza di studi scientifici potesse aver condotto il famoso filosofo naturale in quella che sembrava solo una serie di cumuli di pietre levigate. Allora Leney mi condusse a casa sua, dove aprì un vecchio baule che aveva tutta l'aria di aver fatto il giro di parecchi campi di battaglia della Guerra dei Trent'Anni, e ne tirò fuori un rotolo di fogli di pergamena legati con uno spago molto consunto e... un dente.

Non sto parlando di un dente umano, Vostra Maestà, bensì di un dente enorme, dall'aspetto terribile. Un dente di drago, oserebbe definirlo Vostra Maestà, se lo vedesse con i propri occhi, Secondo la mia esperienza, neppure i coccodrilli del Nilo o le tigri dell'India ne hanno mai avuti di simili: a stento potevo tenerlo nel palmo della mia mano. Per un momento ho cercato di immaginarmi quale formidabile predatore potesse essere armato di denti come quello, e il solo pensiero che un simile mostro si aggirasse per quella tranquilla campagna inglese, come il drago Tarantasio che secondo la leggenda infestava il Lago Gerundo e fu ucciso dall'eroe Uberto Visconti, mi fece rizzare ogni pelo sul corpo. Come mi confermò il custode della cava, il dente era stato raccolto in essa, insieme a molti altri fossili che erano stati portati altrove per studiarli, da un giovane Guglielmo di Occam, che veniva lì in campagna a trascorrere il periodo estivo, essendo nato nel Surrey, non troppo lontano da quelle terre, e ne approfittava per studiare la flora, la fauna e la geologia del Sussex. Proprio lui aveva vergato i fogli di pergamena rimasti in quel baule, che due secoli addietro era appartenuto a lui, ed era stato gelosamente custodito da tutti gli inquilini di quell'edificio, generazione dopo generazione. Io gli chiesi se avrebbe potuto prestarmeli, ed egli accondiscese volentieri, ben lieto di aver trovato qualcuno che finalmente potesse apprezzarli. Prima che me ne andassi, perchè il pomeriggio era già avanzato, Leney mi portò in un angolo della cava e mi mostrò strane impronte tridattili ritrovate nella roccia viva, che tutti ritenevano le impronte del corvo liberato da Noè alla fine del diluvio universale, come narra il libro della Genesi, impronte lasciate nel limo ancora impregnato delle acque vendicatrici e poi induritosi. In effetti io feci notare che ciascuna di esse era più grande dell'impronta di un piede umano, e non si conoscono corvi di quelle dimensioni; il custode della cava mi replicò che lo stesso aveva concluso Fratel Guglielmo, come avrei scoperto leggendo i suoi manoscritti. Allora, ansioso com'ero di consultarli, mi congedai da lui, feci ritorno a Cuckfield e trascorsi l'intera notte a studiare quelle pergamene al lume di candela: confesso che, se veramente quella tetra dimora avesse ospitato sette fantasmi, ed essi proprio quella notte si fossero abbandonati al peggior sabba che si fosse mai visto, facendo emergere tutti i diavoli dell'inferno, e mettendosi a ballare attorno a me sui carboni ardenti, io non mi sarei accorto di nulla, tanto ero rapito dagli studi di Fra Guglielmo!

Quando spuntò l'alba, sapevo tutto su quel problematico dente: era stato ritrovato per caso da un cavapietre dentro un blocco di arenaria, e dunque doveva essere antichissimo, dato che esso si trovava sotto spessi strati di rocce sedimentarie. Com'è noto, la versione dei fatti accettata dalla maggioranza degli scienziati dell'Occidente, perchè in accordo con le Sacre Scritture, afferma che quel tipo di rocce deriva dai sedimenti depositati dalle acque del Diluvio Universale mentre infuriavano sulla Terra, e consolidatisi dopo che le acque erano rifluite dalle caverne del sottosuolo, da dove Nostro Signore le aveva fatte emergere per punire la tracotanza dei Giganti antichi. Ora, secondo Paolo Orosio, Sant'Agostino di Ippona ed altri importanti Padri della Chiesa, il terribile diluvio avrebbe avuto luogo nell'anno 3.543 avanti la nascita di Gesù Cristo, settimana più, settimana meno; e Vi confesso, Maestà, che io ritengo che i 5.072 anni trascorsi da quella data mi sono sempre sembrati troppo pochi - per quanto lunghissimi, se paragonati con la vita media dell'uomo - per permettere la formazione di strutture geologiche imponenti come le vette scoscese delle Alpi o le bianche scogliere di Dover. Leggendo le pergamene di Guglielmo di Occam, mi sono reso conto che egli la pensava come me: a suo avviso occorrono decine di migliaia, se non addirittura centinaia di migliaia di anni, per depositare e consolidare le rocce sedimentarie da cui oggi si estrae materiale di costruzione a Whitemans Green. Inoltre, come voi certamente saprete, sui contrafforti delle più alte montagne delle Alpi o dei Pirenei si trovano fossili di conchiglie e di altri animali marini, e la Vulgata corrente afferma che essi sono la prova tangibile che in effetti le acque del diluvio ricoprirono i più alti monti, come attesta il Profeta Mosè nel primo dei suoi cinque libri. Guglielmo di Occam invece riteneva che quei fossili, al contrario, sono la prova che un tempo le rocce che oggi svettano tra le nubi si trovavano in realtà sotto il fondo del mare, e furono spinte fino a quelle quote straordinarie da tremende forze tettoniche, le stesse che provocano i terremoti e le eruzioni delle montagne di fuoco come il Vesuvio. Lo dimostra il ritrovamento a Whitemans Green di fossili molto simili agli odierni pesci d'acqua dolce, che certo non possono essere stati trasportati lì dalle acque salse del diluvio. Ma, se ha ragione facendo onore al suo nome il Doctor Invincibilis, come era chiamato Guglielmo all'Università di Oxford, sono occorsi addirittura milioni di anni per sollevare le maestose Alpi dalle profondità del mare fino alle imperiture altezze dove le vediamo ora! A chi dar retta, al principio d'autorità dell'autore del libro della Genesi, o alle osservazioni che si fanno con i propri occhi? Per Fra Guglielmo da Occam, come lessi nei suoi appunti, la risposta possibile era una sola. Tra tante spiegazioni possibili di un certo evento, quella più semplice è quella che ha la maggior probabilità di essere vera. Cosa è più semplice, supporre che le onde colossali del diluvio hanno trasportato i poveri pesci d'acqua dolce del Tamigi fino a quella sassosa cava, oppure ipotizzare che, nella notte dei tempi, assai prima della creazione dell'uomo, quella cava fosse il delta di un grande fiume i cui sedimenti si sono depositati a poco a poco nel suo letto, man mano che si inseguivano i millenni, fino a formare le arenarie che oggi ne estraiamo? La risposta è ovvia, e lo era per Fra Guglielmo due secoli or sono come lo è oggi per me dopo lo studio dei suoi scritti inediti.

E il "dente di drago"? Basandosi sulla propria esperienza, dopo che gli era stato consegnato dal suo allibito scopritore, Guglielmo di Occam notò che si trattava di un dente da erbivoro, non da carnivoro, fatto per masticare la vegetazione più coriacea; ed io, per quanto ne so di odontoiatria, non posso che essere d'accordo con lui. Ma, se davvero le arenarie di Whitemans Green si sono formate centomila e più anni fa, è troppo antico perchè possa appartenere ad un mammifero. E così, basandosi sull'osservazione di altri fossili trovati in loco ma che non sono giunti fino a noi, il Doctor Invincibilis arditamente suppose che appartenesse a un rettile, una specie di immenso coccodrillo vegetariano, lungo dalle venti alle trenta braccia! Si tratta di un''ipotesi ardita, poichè a tutt'oggi non si conoscono al mondo rettili erbivori, ma d'altra parte non possiamo certo escludere che ne siano esistiti, in un passato lontano. Meditando sugli appunti di Fra Guglielmo, mi sono immaginato un mondo popolato non da uomini, buoi, pecore, cani, gatti, elefanti, leoni ed uccelli, ma da immense lucertole dall'aspetto terrificante, alcune delle quali si sarebbero nutrite di vegetali, come i placidi bovini, ed altre avrebbero invece predato quelle erbivore, come fanno i lupi o le tigri. Un mondo in cui forse i mammiferi non esistevano ancora, oppure, se esistevano, erano costretti ad una vita notturna o nascosta nel più fitto fogliame delle foreste, per sfuggire alle fauci di quei rettili che allora erano i padroni del pianeta. In tal caso, l'essere che aveva lasciato le impronte tridattili nelle rocce della cava, non era certo il leggendario corvo esploratore che Noè fece uscire dall'Arca, bensì proprio un rettile bipede vagamente simile agli odierni uccelli, vissuto proprio in quell'era remotissima! Io mi sono spinto più in là di Guglielmo di Occam, coniando persino un nome per gli animali che avevo immaginato: dinosauri, dal greco "lucertole terribili", perchè tali sarebbero apparse agli occhi di eventuali abitatori di quelle ere antidiluviane!

Probabilmente Vostra Maestà penserà che io sia un folle o un visionario che corre dietro ai voli pindarici della sua fantasia; tuttavia, pensateci bene per un momento. L'imperatore Tiberio si vantava di avere, nella sua villa di Capri, una straordinaria collezione di "ossa di giganti", che mostrava con orgoglio a tutti i propri ospiti. Davvero quelle ossa smisurate appartenevano ad esseri umani alti come cipressi, oppure più semplicemente erano resti fossili dei dinosauri da me immaginati? Una gran quantità di antiche mitologie favoleggia dei draghi, rettili di stazza immane talora in grado di volare, dal drago Fáfnir che contese l'Oro del Reno all'eroe Sigfrido al già citato Tarantasio che oggi si trova sullo stemma dei nobili Visconti, e dal serpente di Babilonia ucciso senza usare arma alcuna dal profeta Daniele fino all'Idra di Lerna, spacciata da Ercole in una delle sue proverbiali Fatiche. E se queste leggende derivassero dall'osservazione di grandi ossa fossili di rettili preistorici, come la "costola di drago" da me medesimo ammirata nella chiesa di San Candido in Val Pusteria? Non ci sono prove per dimostrarlo, almeno per il momento, ma neppure per negarlo. Tuttavia, prevengo la Vostra domanda, o nobile Cesare: se questa scoperta è così eccezionale da far intravedere addirittura un mondo interamente popolato da rettili ciclopici in epoche ancestrali, perchè Guglielmo da Occam non ha reso pubbliche queste sue rivoluzionarie scoperte? Per l'appunto, perchè esse erano TROPPO rivoluzionarie. Già egli passò l'anima dei guai con la Chiesa, al tempo della permanenza del Papato ad Avignone, tanto che la maggioranza delle sue tesi teologiche furono duramente censurate da una commissione d'inchiesta nominata dall'allora Papa Giovanni XXII, perchè egli si era schierato con l'imperatore Ludovico IV di Baviera nella sua contesa con il Papato. Figuriamoci se avesse pubblicato tesi di filosofia naturale in così aperto contrasto con la Scrittura! Infatti, la conclusione a cui il grande filosofo pervenne è la stessa a cui sono pervenuto io, la notte insonne in cui studiai i suoi appunti, confrontandoli con i risultati di alcuni miei studi: dal momento che oggi sulla Terra non vi è più traccia di dinosauri - o di draghi, se preferite - se si fa la tara ai fantasiosi bestiari che circolavano nei secoli passati, è evidente che essi devono essersi estinti tutti fino all'ultimo, per motivi che noi oggi ignoriamo. Ma allora non è vero che Dio nel Suo immenso amore non può permettere che alcuna delle specie da Lui create nel quinto e nel sesto giorno dell'Eptamerone si estingua completamente, come sostengono tutti i naturalisti della nostra era! È già successo, è può succedere ancora. Può succedere persino alla razza umana, se andremo avanti ad ammazzarci a vicenda con tanto ardore! Inoltre, nel caso in cui le congetture di Fra Guglielmo (e le mie) si rivelino esatte, bisogna prendere in considerazione un'ipotesi ancora più radicale: che le specie oggi presenti sulla Terra non sono state tutte create dall'Onnipossente nel giro di un solo giorno, poco più di sessantasette secoli fa, ma che alcune di esse si siano originate da altre già esistenti per successive trasformazioni della loro morfologia. Insomma, che si siano evolute in specie affatto nuove. Già secondo Aristotele, nel suo trattato « De generatione animalium », la generazione sessuata e il successivo sviluppo embriologico dell'individuo dalla materia primordiale sono un processo sequenziale che si verifica nel tempo sotto l'azione teleologica della psiche, cioè dell'anima, che deriva tipicamente dal genitore maschile, ma potrebbe anche derivare da quello femminile. E anche il grande Sant'Agostino d'Ippona, pur attribuendo l'origine delle specie animali e vegetali a una diretta azione divina, come afferma la Scrittura, avanzò l'ipotesi che l'emersione temporale di queste specie non deve necessariamente essere avvenuta tutta nello stesso istante di tempo. Agostino infatti, nel suo trattato « De Genesi ad litteram », propose una teoria che prevedeva la creazione originaria di non meglio specificati "semi primordiali" di ciascuna specie in un momento originario nel tempo, ma che ammetteva la possibilità dell'emersione sequenziale di nuove specie nei tempi storici successivi, piuttosto che tutte in una volta. E perfino San Tommaso d'Aquino, nella sua monumentale « Summa Theologiae », fu costretto ad ammettere che "le nuove specie, se appaiono, preesistono in certe potenze attive", dando sostanzialmente ragione a Sant'Agostino.

Non voglio dilungarmi in una trattazione filosofica che a Voi, aituato più al clangore delle armi e alle astuzie diplomatiche che alle discussioni intellettuali dei dotti, potrebbe risultare altamente tediosa; certo è però che nulla, neppure una lettura letterale della Scrittura, può opporsi all'idea che le specie si evolvano l'una nell'altra, spinte da "potenze attive" tuttora all'opera nei loro organismi, cosicchè i mammiferi e gli uccelli attuali si sarebbero evoluti a partire da alcuni dinosauri che hanno perso le squame ed hanno compreso i vantaggi di avere un sangue caldo, oppure rettili attuali, dinosauri, mammiferi ed uccelli si sarebbero evoluti a partire da un antenato comune, i cui resti fossili potremo forse un giorno ritrovare in qualche blocco di arenaria così come è accaduto con il dente della cava a Whitemans Green. Lo stesso uomo potrebbe non essere stato creato direttamente dalla polvere del suolo, ma essersi evoluto a partire da un essere preesistente, forse una scimmia vista la somiglianza morfologica dei primati con noi, cui Nostro Signore infuse l'anima immortale per farne il vertice della Sua Creazione, le cui bellezze per un naturalista come Guglielmo di Occam - e come me - sono motivo di tanto entusiastica ammirazione. Non dobbiamo dimenticare infatti che il Profeta Mosè, nei racconti dell'origine del mondo e dell'umanità, usa parecchi antropomorfismi oggi non più compatibili con l'idea di un Dio trascendente e completamente Altro dalla Sua creazione, come il fatto di togliere una costola ad Adamo per creare Eva, quando è manifestamente impossibile che un essere umano intero si riproduca da un suo singolo osso isolato, o addirittura il mettersi a passeggiare nel Giardino dell'Eden al fresco della sera, come fanno i castellani nei loro possedimenti! Si tratta senz'altro, e questo persino Vostro fratello Callisto IV sarebbe propenso ad ammetterlo, di racconti edificanti raccolti da Mosè per spiegare l'origine di tutte le cose, in assenza di cognizioni scientifiche che spieghino l'eziologia del cosmo e della vita, piuttosto che un resoconto fedele di eventi che ebbero luogo in un'epoca in cui non vi era di certo alcun cronista a fungere da testimone oculare e a mettere per iscritto ciò che era avvenuto ancor prima della nascita del primo uomo. In qualità di medico e di uomo di scienza, sia ben chiaro, io non nego certo le principali Verità di Fede come ci sono trasmesse dalla Santa Chiesa di Dio, nata dal sangue di Gesù Cristo effuso sul Calvario: tuttavia, è nelle verità scientifiche dimostrate dall'esperienza e nella meravigliosa sinfonia delle leggi di natura che io vedo la rivelazione delle verità divine; e tutti i misteri rivelatici dalla religione debbono essere necessariamente collegati alla descrizione coerente dell'universo che ci circonda, altrimenti non sarebbero che oziose speculazioni accademiche, come quelle da me udite all'Università di Padova, dove fior di intellettuali disputavano con foga chiedendosi da quale dei tre figli di Noè discendano i nativi del Nuovo Mondo, oppure quanti angeli possano stare sulla capocchia di uno spillo!

Chiarito questo, una volta tornato in Italia, visto che i tempi sono mutati da quelli della Cattività della Chiesa ad Avignone e della pretesa papale di trattare tutti i sovrani temporali del mondo come propri vassalli, ho intenzione di completare l'opera lasciata incompiuta da Guglielmo di Occam, pubblicando i suoi appunti opportunamente aggiornati, e separando le sue fondamentali intuizioni dai miei contributi odierni, così da rendergli merito per le sue geniali intuizioni. Credo che farà parecchio scalpore l'idea di un'evoluzione delle specie viventi posteriore alla primigenia creazione divina, ma forse a suo tempo non faceva scalpore l'idea di Pitagora che la Terra fosse sferica e non piatta, o quella di Cristoforo Colombo di poter raggiungere l'Oriente navigando verso Occidente, o quella di Niccolò Cusano che l'universo sia infinito, e non limitato dalla frontiera delle stelle fisse? Eppure tutte e tre si sono rivelate esatte, a dispetto dei pregiudizi del loro tempo: come scriveva Tucidide, i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia lo affrontano lo stesso! Nella stesura di quest'opera intendo farmi aiutare da uno dei più promettenti tra i miei allievi, Bernardino Telesio di Cosenza, appena ventenne, ma che ha già dimostrato uno straordinario interesse per la nuova filosofia della natura. Ho già pensato anche ad un possibile titolo per la mia nuova opera: « De rerum natura iuxta propria principia », così da riecheggiare il celeberrimo « De rerum natura » di Tito Lucrezio Caro, ma epurandolo da qualsiasi considerazione filosofica, per basarmi unicamente sui fatti di ordine scientifico e sulle verità sperimentalmente verificabili. Infatti, come scriveva la buon'anima del mio amico Pietro Pomponazzi di Mantova, "noi dobbiamo spiegare tutti i fenomeni con cause naturali, senza ricorrere ad angeli e demoni, giacchè è ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile"!

Per concludere, Vostra Maestà, posso assicurarvi che sono sicuro di poter tornare ad insegnare a Padova e di scrivere il suddetto trattato, che potrebbe rivoluzionare e addirittura sconvolgere la filosofia naturale, perchè proprio mentre meditavo su alcuni fossili di conchiglie ritrovati nella cava di Whitemans Green, e da me acquistati per pochi spiccioli da alcuni pastorelli di Cuckfield che avevo mandato là alla loro ricerca, la porta del casolare di Cuckfield dove alloggiavo si è spalancata e ha fatto il suo ingresso un giovane dalla folta barba castana, inscatolato dentro un'armatura lucente e con una preoccupante spada appesa alla cintola, sul pomolo della cui elsa teneva poggiata la mano guantata. Istintivamente la mia mano corse al pugnale che, per ogni precauzione, tenevo infilato nella cintura, ma non sono mai stato bravo a maneggiare armi, preferendo di gran lunga maneggiare le penne d'oca, e sapevo che non avrei avuto speranze, in un confronto corpo a corpo con quel muscoloso armigero. Anche quella volta però San Zeno, il venerato patrono della mia città natale, dovette vegliare su di me, giacchè il nuovo venuto alzò la mano che teneva poggiata sull'elsa dalla spada, in un gesto inteso a rassicurarmi, e mi spiegò: "Niente paura, Dottor Fracastoro: non sono un sicario dei Bolena. Il mio nome è Henry Percy, sesto Conte di Northumberland, e mi manda il Cancelliere Ser Tommaso Moro per riaccompagnarvi a Londra, giacchè coloro che attentavano alla vostra vita sono ormai fuori gioco."

Come prova, mi esibì una lettera con il sigillo dello stesso Tommaso Moro, in cui l'astuto umanista mi spiegava di essere riuscito a neutralizzare le mene di Anna e Giogio Bolena battendoli con le loro stesse armi. Infatti Anna aveva già cominciato a perdere il favore di Re Riccardo IV di York, per via del suo carattere indisponente che le aveva alienato le simpatie persino dei cortigiani a lei più vicini e più favorevoli a un'alleanza con la Francia. Lo stesso latore della missiva, Henry Percy, anni addietro era stato amante della Bolena e aveva desiderato sposarla, fino a quando era stato piantato in asso da questa, convintasi di poter circuire il sovrano e di diventare così non contessa, ma addirittura regina. Dopo aver contattato segretamente il Conte di Northumberland, a Tommaso Moro era stato facile ottenere da questi che testimoniasse peste e corna contro Anna Bolena, avendo egli il dente avvelenato per il fatto di essere stato scaricato come un qualunque valletto. Abbandonata dai suoi sostenitori, in particolare Tommaso Cromwell e Tommaso Cranmer, l'aspirante regina fu incriminata ed arrestata per alto tradimento e stregoneria: in particolare, Tommaso Moro la accusò di aver usato filtri magici per sedurre Riccardo e spingerlo a sposarla, di aver commesso incesto con il proprio fratello, Giorgio Bolena, di essere al soldo di una potenza straniera e, soprattutto, di aver cospirato per uccidere Riccardo IV insieme alla sua sposa Lucrezia, e per sostituirlo con il proprio stesso fratello Giorgio. Chiaramente tutte le suddette accuse sono ridicole, tranne quellla di essere in probabile combutta con i francesi, ma evidentemente Tommaso Moro non ha gradito il tentativo di assassinarlo lungo le rive del Tamigi, e ha calcato parecchio la mano. Anna è stata subito rinchiusa nella Torre di Londra, seguita poco dopo da suo fratello Giorgio, catturato mentre cercava di fuggire travestito e di riparare in Francia. Con loro è finito in catene anche un certo Mark Smeaton, musicista di corte di origini fiamminghe, che avrebbe a sua volta goduto delle grazie della bella Bolena, e che è stato sospettato di fare tra tramite tra lei e i franco-imperiali, considerate le sue origini: probabilmente non c'entra nulla, ma purtroppo condividerà la sorte dei due intriganti fratelli. Re Riccardo IV, messo al corrente della cosa, si è reso conto che la sua favorita ha cercato di bidonarlo, e ha ordinato di istruire un processo il cui esito è scontato, visto che della corte farà parte anche Henry Percy, l'ex pretendente di Anna che mi ha riaccompagnato a Londra. Una volta giunto qui, sono subito stato ricevuto dal Re e da Vostra sorella, che si sono scusati con me per non aver vigilato abbastanza prima dell'attentato di cui ho rischiato di rimanere vittima. Io li ho ringraziati a mia volta per essersi dati tanta pena per me, ho promesso che dedicherò ai due Regnanti d'Inghilterra il trattato che intendo scrivere sul Male del Sudore, e quindi ho chiesto il permesso di poter ripartire per tornare alla Vostra corte. Il figlio di Riccardo III il Vittorioso mi ha tuttavia chiesto di fermarmi ancora qualche giorno, perché intende crearmi Cavaliere per i servigi scientifici che ho reso alla Corona d’Inghilterra, e perché desidera che io tenga una conferenza alla prestigiosa Università di Cambridge, onde aggiornare i migliori medici di Inghilterra e Galles sulle mie osservazioni circa l'enigmatica epidemia che si sono ritrovati a combattere. Io avrei voluto rispondergli che avevo già versato abbastanza sudore, e freddo per giunta, da quando ero ospite nel suo regno, trovandomi alla mercé di malati di malattie incurabili, giovani nobildonne intriganti, sicari intenzionati a togliermi di torno una volta per sempre e casolari infestati da presunti spettri, ma si sa che è meglio non contraddire un potente, e così ho accettato, anche se in verità non ho molto di nuovo da dire sul Morbo del Sudore. Avrei molto più da dire sull'origine delle specie viventi e sul dente di dinosauro ritrovato a Whitemans Green, ma queste scoperte per ora le tengo gelosamente per me, attendendo il momento propizio per divulgarle al mondo. Già mi immagino la reazione di quella bacchettona di Luisa di Savoia, la madre del Re di Francia e Imperatore del Sacro Romano Impero Francesco I di Valois-Angoulême: "L'uomo evolutosi da una scimmia? Misericordia, speriamo che non sia vero! O, se è vero, perlomeno, che non si sappia in giro!"

E così, ritiratomi finalmente nel mio alloggio al riparo da occhi e orecchie indiscrete, mi sono messo a vergare questa lunga lettera cifrandola con il Codice Atbash, perchè essa contiene confidenze di natura politica, e soprattutto congetture di natura scientifica, che solleverebbero un grandissimo polverone, se venissero rese pubbliche ora. Sono però impaziente di comunicarVele, Vostra Maestà, e così ve la farò consegnare nascosta nella copertina di un trattato di medicina del mio affezionato maestro, il medico veronese Girolamo della Torre. Lo porterà con sé fino alla Vostra corte il mio discepolo Filippo Bombastus von Hohenheim, che è così modesto da firmarsi Paracelso, e che ha promesso di diventare un giorno più bravo e più famoso di me, cosa che gli auguro di tutto cuore, visto che l'umanità ha bisogno di bravi medici, piuttosto che di cortigiani o di guerrieri. Dal canto mio, o nobile Cesare di nome e di fatto, non vedo l'ora di rientrare in quella mia amata patria che il Vostro genio ha finalmente unificato partendo dal Regno di Napoli, dopo tanti secoli di soggezione alle potenze straniere, mettendo in pratica il vostro motto: « Aut Caesar, aut nihil! » Sono ansioso di sapere a che punto è il maestoso monumento funebre ornato da ben quaranta statue che Michelagnolo Buonarroti sta realizzando per voi e per la vostra illustre famiglia nella Basilica di San Giovanni in Laterano: avrà anche un carattere rissoso e intrattabile, ma quel fiorentino è senz'altro il massimo intelletto vivente che onora con le sue opere il Regno d'Italia: artefice insuperabile, capace di raggiungere i massimi vertici creativi in qualunque campo artistico e, più ogni altro artista, capace di emulare l'atto della creazione divina. Portate i miei rispettosi omaggi alla Vostra augusta consorte Eleonora d'Asburgo, sorella del Re d'Iberia, e al Vostro quintogenito Francesco, mio amato discepolo, appassionato di filosofia naturale e di ingegneria, che a ventidue anni è già Cardinale di Santa Romana Chiesa, ed è così ferrato in ogni ramo della filosofia, della scienza e della teologia, che già molti vedono in lui un futuro Sommo Pontefice, il quarto dell'illustre Casato dei Borgia. Un affettuoso saluto anche ai miei grandi amici Ludovico Ariosto di Ferrara, che sta lavorando a una terza edizione riveduta e corretta del suo « Orlando Furioso », la quale promette di essere ancora più spettacolare delle prime due; e Messer Pietro Bembo di Venezia, che con le sue « Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua » ha codificato una lingua scritta comune per l'intero Vostro regno. Grazie al Vostro generoso mecenatismo, o mio Re, i loro talentuosi ingegni hanno dato inizio a quest'era presente di rinascenza artistica, scientifica e culturale, dopo i lunghi secoli seguiti alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente in mano ai barbari, era che perciò meriterebbe di ricevere il nome di Rinascimento. Con ammirazione e devozione, il Vostro fedele suddito

Girolamo Fracastoro di Verona.

William Riker

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Così commenta Annalisa:

Fantastico!!! Originale, ricchissimo di erudizione, appassionante per argomentazioni. Chapeau!!

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E Luigi Righi aggiunge:

Come sempre, mi sorprende la tua capacità di scrivere con uno stile che ricrea, fino a sembrare l'originale, quello dell'epoca in cui si svolgono i fatti narrati. Fatti che, anch'essi, sono presentati in modo così documentato e convincente da sembrare Storia reale, mentre sono abili ucronie ed estrapolazioni. Stupefacente la tua conoscenza di personaggi ed eventi storici, che vengono integrati e modificati fino ad ottenere quello che sembra un resoconto storico reale. Un lavoro di reperimento, modifica, cesello ed incastri complesso come un mosaico, con riferimenti sia veri che ucronici, così interconnessi che non è facile distinguerli. Anche la Malattia del Sudore, che neanche sapevo fosse esistita davvero.
Forse un po' troppo geniale il genio universale Fracastoro, con la sua estrapolazione intuitiva sui dinosauri, ma, d'altra parte, fece una cosa analoga verso i microrganismi e le malattie.
Un gran lavoro il suo, ed anche il tuo.

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Questa invece è l'osservazione in merito di Paolo Maltagliati:

Ci sarebbero un milione di cose da commentare dal punto di vista storico: Enrico VII che perde contro Riccardo III, Cesare Borgia re d'Italia - più o meno - Francesco I che con le badilate di oro americano si è comprato il titolo imperiale, che è la più incredibile, Lucrezia Borgia regina d'Inghilterra...
Ma tutto impallidisce di fronte a Fra Girolamo che si improvvisa novello Darwin e al cazzutissimo irochese che gli salva le natiche. Stupendo.
Solo una cosa, però: come caspita ha fatto a capire che i fossili di pesce sono d'acqua dolce invece che salata (è complicato anche per i paleontologi di oggi!)?

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Così gli risponde l'autore:

Ma è semplice, Paolo: lo ha imparato leggendo un 38° libro della "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio, che nella nostra Timeline è andato perduto  ;-)
Se c'è una cosa bella dell'ucronia, è che c'è sempre un modo ucronico per dare risposta ad ogni domanda (ti ringrazio: questo particolare mi era sfuggito)
Ben lieto che il racconto ti sia piaciuto. Fin da ragazzo mi sono chiesto: ma come caspita hanno fatto a credere per così tanto tempo che bastassero 6000 anni per sollevare le Alpi fino all'altezza del Monte Bianco? Possibile che neppure nel Rinascimento nessuno ci sia arrivato? Ecco, ora almeno in un universo parallelo è accaduto  :)

Qui sotto vedete, realizzati grazie all'Intelligenza Artificiale, nell'ordine:

> dinosauri disegnati (con molta fantasia, per i canoni moderni) da Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico;
> dinosauri riprodotti (con altrettanta fantasia) su un trattato seicentesco di Francesco Redi;
> dinosauri riprodotti (in maniera un po' più realistica) nell'"Encyclopédie" di D'Alembert e Diderot.

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E ora, la domanda postaci da Andrea Mascitti:

Vi volevo chiedere, se con la tecnologia dell'epoca (anche dal punto di vista dei costi), sarebbe stato possibile far sorgere il canale di Suez nel Rinascimento (per esempio ad opera dei Veneziani o degli ottomani), o anche in epoca romana. Se si come sarebbe potuta cambiare la storia in entrambi i casi?

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Gli replica Basileus TFT:

Tecnicamente era possibile, ma si sarebbe insabbiato in relativamente poco tempo, rendendo il tutto inutile. Magari se Leonardo riesce ad applicare una pompa meccanica o qualcosa di simile si può fare in epoca ottomana o di fatto è inutile.

La sua apertura sotto dominio ottomano comunque sarebbe poco utile, gli europei dovrebbero comunque trovare una via alternativa per le Indie similmente a quanto accadeva nei Dardanelli, agli Ottomani non penso sarebbe cambiato molto visto che la loro politica era rivolta principalmente al Mediterraneo.

L'unica sarebbe agevolare il passaggio di navi europee guadagnandoci sopra coi dazi, in questo modo le nazioni tagliate fuori dalla corsa all'Atlantico sarebbero notevolmente avvantaggiate nel commercio ad est, Venezia e Genova in primis. Andando un po' a larghe braccia si potrebbero evitare le guerre turco-veneziane per Cipro e Creta, colonie venete in India e sud est asiatico, Ottomani con più finanziamenti a causa dei dazi che potrebbero sfruttare nell'invasione dell'Austria, magari con Venezia che prende una fettina. Improbabile ma possibile.

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Anche MAS dice la sua in proposito:

Non sarebbe cambiata, perchè il canale fu realizzato (con andamento diverso da quello attuale, dai faraoni e fu usato, con alterne vicende, sino al 700 d.C. Secondo le Storie del greco Erodoto, intorno al 600 a.C. il faraone Nekao II intraprese lavori di scavo, senza però terminarli. Il canale fu terminato dal re Dario I, il conquistatore persiano dell'antico Egitto. Dario commemorò la sua opera su diverse steli di granito disposte sulle rive del Nilo, fra cui quella di Kabret, a 200 km da Pie. L'iscrizione di Dario dice:

« Il re Dario ha detto: io sono persiano. Oltre alla Persia, ho conquistato l'Egitto. Ordinai di scavare questo canale dal fiume chiamato Nilo che scorre in Egitto al mare che inizia in Persia. Quando questo canale fu scavato come io avevo ordinato, navi sono andate dall'Egitto fino alla Persia, come io avevo voluto. »

Il canale fu restaurato dal faraone ellenistico Tolomeo II nel 250 a.C. Nel 30 a.C., come ci racconta Plutarco nella Vita di Marco Antonio, la regina Cleopatra d'Egitto aveva tentato di far passare quello che restava della sua imponente flotta, dopo la battaglia di Azio, attraverso il canale di Suez, per avere accesso al Mar Rosso: tuttavia non vi riuscì; il canale era ormai insabbiato. La regina tentò allora di far trasportare le sue navi, cariche del tesoro d'Egitto, su dei tronchi, ma a causa delle ostilità incontrate da parte di alcune tribù, che diedero fuoco alle prime navi, dovette desistere anche da questo ambizioso progetto. Il canale divenne completamente inutilizzabile in epoca imperiale (Plinio il Vecchio ne descrive i tentativi di costruzione, ma pare non essere a conoscenza del fatto che fosse stato in funzione). Nel corso dei successivi 1000 anni fu più volte modificato, distrutto e ricostruito, fino al definitivo abbandono del progetto di costruzione nell'VIII secolo sotto il califfo abbaside al-Mansur.

Già nel 1504 alcuni mercanti veneziani proposero ai sultani mamelucchi regnanti in Egitto di collegare il Mar Rosso con il Mediterraneo tagliando l'istmo di Suez. E di questa possibilità si parlò, in ambiente ottomano, per tutto il corso del Cinquecento, in particolar modo nel 1568 con il gran visir Mehmed Pascià.

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Alessio Mammarella ha avuto un'altra bellissima idea:

Questo è il mio modesto contributo per la Festa di Utopiaucronia 2025. Un testo molto breve, ma che contiene vari indizi ucronici. Una ucronia completa compatibile con quegli spunti sarebbe molto ampia... ci vorrà tanto lavoro ma ci proverò!

Lettera di Leonardo da Vinci a Leonardo Loredan

Illustrissimo Signore Leonardo, Doge e Mecenate,

Con reverente umiltà e fervente spirito di scienza, vengo a render conto d’una mia ultima invenzione, la quale reputo degna d’ogni attenzione di Vostra Eccellenza.

Si tratta di una macchina che fino dall'infanzia avea in sogno di costruire: un arteficio meccanico che genera moto continuo, senz’ausilio di bestie né del vento. Possibile mai? Ebbene sì. Il principio è che l’acqua, quando scaldata in vaso chiuso, si trasmuta in soffio potente, il quale spinge un pistone in su e in giù, generando alternanza di moto che può tradursi in rotazione per ruote e ingranaggi.

Cotanta ispirazione non nasce solo dall’ingegno mio, ma da antichi trattati di sapienza venuta da Oriente, che giunsero a me per via delle narrazioni dell'illustre vostro concittadino messer Marco Polo. Questa cultura, che i nostri mercanti e filosofi han recato fin qui sulle rotte del mare, mi ha aperto l’intelletto come mai prima. Essi, già secoli or sono, trattarono delle forze celate nel calore, dei numeri infiniti, e del modo in cui la Natura perpetua il moto. Onde riconosco il debito della mia scienza verso quella gente antica e sapiente.

Tra le molte meraviglie, l'illustre veneziano riferì dei templi indiani e delle statue che si muovevano da sole. I sapienti dell'India avevano scoperto in qual modo si può trarre forza da fuoco e trasformarla in lavoro utile, per sollevare pesi o per far girare ruote di mulini!.

Ho chiamato tal congegno vapore motore. Mi persuade ora l’idea che tal macchina, se grande a sufficienza, possa spingere le navi. I legni da carico che solcano il Canale di Suez debbono attendere i venti del Levante, ma con un vapore motore sarebbero più spediti i viaggi verso l’India e le isole delle spezie. Ciò che domando a Vostra Eccellenza è di avere una nave, quando verrò presso di voi a Venezia, nella quale mettere un vapore motore onde giungere alle rive del Malabar in giorni assai minori delle altre navi.

Eccellentissimo Signore, vi rammento un altro ardito navigatore: messer Cristoforo Colombo. Pur con l'inimicizia tra genovesi e veneziani, si deve riconoscere che il genovese, quando partì dalle Molucche e prese a navigare verso sud, fece cosa che non appariva necessaria eppure fu premiato dalla scoperta di una nuova grande terra. Quand'egli toccò le coste mai vedute d’uomini d’Europa — l’America, come sì chiamata oggi in onore d’un altro toscano, poté ben dimostrare al mondo che non era un folle. Ed è a tali uomini, e a tal visione, che dobbiamo il progresso. Sia dunque la nostra epoca quella dei sogni resi opera, e dei pensieri trasfigurati in macchina.

Con devozione e rispetto,

Leonardo da Vinci
Firenze, nel mese di settembre, anno Domini 1508

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Così commenta William Riker:

Complimenti per l'idea! Ecco il progetto originale di Leonardo da Vinci, tratto dalla sua "Enciclopedia", da lui scritta a sei mani insieme a Giovanni Pico della Mirandola e a Marsilio Ficino:

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Sempre a proposito di Leonardo, lasciamo spazio al contributo di aNoNimo:

Sono Leonardo, chi mi assume?

Una lettera che assomiglia a un moderno curriculum, con tanto di presentazione scandita in punti: Leonardo da Vinci la indirizzò nel 1482, quando aveva trent'anni, a Ludovico il Moro. Colui che nei suoi scritti definì anni dopo la guerra "pazzia bestialissima" si propone al duca come ingegnere militare, e solo a margine si dichiara anche artista. Il testo, contenuto nel Codice Atlantico, ci rammenta come un po' in tutti i tempi la ricerca di un lavoro degno sia stata tutt'altro che semplice, perfino per un genio universale come Leonardo!

« Avendo, Signor mio Illustrissimo, constatato a sufficienza che quanti affermano di essere inventori di strumenti bellici in realtà non hanno creato niente di nuovo, vi rivelerò i miei segreti, pronto a mettere in pratica con efficacia tutto ciò che elencherò qui in breve (e anche molto di più, a seconda delle esigenze).

1) So creare ponti, robusti ma leggerissimi, adatti sia all'attacco che alla fuga, e altri resistenti al fuoco e ai colpi. E so come bruciare e distruggere i ponti nemici.

2) Posso realizzare infinite macchine e scale da assedio, e drenare l'acqua dai fossati.

3) Sempre in caso di assedio, conosco il modo di mandare in rovina qualsiasi rocca o fortezza, anche quelle inespugnabili con comuni bombarde.

4) Posso realizzare bombarde di facile uso e trasporto, capaci di lanciare proiettili che simulino tempesta e fumo, provocando grande confusione, spavento e danno tra i nemici.

5) So progettare navi capaci di resistere a qualsiasi attacco.

6) So come scavare silenziosamente percorsi sotterranei, anche in presenza di fossati o fiumi.

7) Sono in grado di realizzare carri coperti, sicuri e inattaccabili, che potranno sfondare le linee nemiche aprendo vie sicure alle fanterie.

8) Posso costruire bombarde, mortai e catapulte di nuova concezione e bellissima fattura.

9) Dove le bombarde non bastino, saprò ideare briccole, mangani, trabucchi e altre macchine belliche di mirabile efficacia, più evolute di quelle d'uso comune. A seconda delle circostanze, insomma, posso realizzare infiniti nuovi dispositivi di offesa e difesa.

10) In tempo di pace, credo di poter competere con chiunque altro nell'architettura, nella costruzione di edifici pubblici e privati, nella canalizzazione delle acque. Allo stesso modo, sono in grado di soddisfare qualsiasi richiesta nella scultura in marmo, terracotta o bronzo, e nella pittura. Potrei realizzare un monumento equestre in bronzo che sia gloria immortale ed eterno onore del Signor vostro padre e dell'inclita casata Sforza. E se a qualcuno sembrasse che fra le citate opere ve ne siano di irrealizzabili, sono prontissimo a farne esperimento nel luogo che piacerà a Vostra Eccellenza, cui umilmente e quanto più posso mi raccomando. »

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Perchè No? aggiunge:

C'è un romanzo ucronico di genere steampunk, "Pasquale's Angel" di Paul McAuley, in cui Leonardo diventa il padre di una rivoluzione industriale fiorentina. Il protagonista è un pittore chiamato Pasquale che indaga sulla morte di Raffaele con l'aiuto di Machiavelli ("giornalista politico" nel romanzo)...

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Massimo Berto propone:

Bella idea: il principe governa e il Genio inventa con le finanze di Firenze! Ci sarà una rivoluzione industriale anticipata. Mi immagino che Firenze difenda il Moro rifilando una sconfitta notevole ai franco-veneziani. Milano sarà sotto la protezione di Firenze. Stesso discorso si dica per Napoli. Avremo un matrimonio tra gli Sforza e gli Aragona che riunirà in unione personale il Ducato e il Regno di Napoli. In questa Timeline avremo anche un Valentino che riuscirà a restare Duca di Romagna. Avremo anche un'alleanza franco-ispano-imperiale-pontificia detta la lega di Cambrai, che cercherà di portare ordine in Italia. L'obiettivo non sarà Venezia ma sarà Firenze, una Firenze che diventerà anche alleata di Venezia. Anche qui grande vittoria militare di Firenze con il suo glorioso esercito guidato dal Valentino. Alla fine il Machiavelli si inventa la confederazione Italiana con sede nel capoluogo toscano...

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Ma Franz Joseph von Habsburg-Lothringen gli fa notare:

La Geopolitica di Milano punta anzitutto al recupero della Lombardia Veneziana; Venezia è contro Firenze nella questione di Pisa e contro il Valentino in Romagna, il quale a propria volta mira alla conquista della Toscana (non certo in forme repubblicane); se poi lo stesso Valentino si schiera con Firenze contro lo Stato Pontificio (nella Lega di Cambrai), si ritrova ad aver contro sia Venezia sia, soprattutto, il Papato...

Vediamo la situazione. Siamo fra il 6. ottobre 1499 e il 10. aprile 1500; da un lato abbiamo Luigi XII. in (fragile) alleanza con Venezia (sostenitrice di Pisa) e Alessandro VI. col Duca Valentino (dall’11. novembre 1500 anche con Aragona e Castiglia per la spartizione del Regno di Napoli), dall’altro Ludovico il Moro appoggiato dall’Impero, da Firenze e Napoli. Il 24. febbraio 1500 è nato l’Erede di Filippo (figlio dell’Imperatore) e Giovanna (figlia di Ferdinando e Isabella), quindi è iniziato l’inesorabile meccanismo che porterà all’Ūnĭō Rēgnī ĕt Ĭmpĕrĭī; fino alla morte di Alessandro VI. (18. agosto 1503), il Valentino rimarrà legato allo Stato Pontificio, quindi in questa ucronia avremo quasi quattro anni di guerre fra lui da un lato e Leonardo e Machiavelli dall’altro. Ammesso che ciò permetta comunque a Napoli di resistere a Francia e Spagna prima che queste arrivino a scontrarsi nella Terza Guerra d’Italia (conclusa dalla Battaglia del Garigliano il 29. dicembre 1503 e dal Trattato di Blois del 22. settembre 1504, senza che né Firenze né Venezia potessero intervenire), l’altra principale divergenza è che Ludovico Sforza rimanga Duca di Milano (fino alla morte, 27. maggio 1508) e che il Valentino, accordatosi con Giulio II. sopravviva – non andando in Navarra – oltre l’11. marzo 1507 (va tutto discusso e precisato).

Dal 28. marzo 1507 Genova è in guerra contro la Francia, dal 27. aprile lo è anche l’Impero; in questo caso Firenze è alleata con Milano contro Luigi XII.

Al posto della Lega di Cambrai (10. dicembre 1508), che con gli Sforza Duchi di Milano non è possibile, il massimo cui si può pensare è una guerra congiunta del Papato (col Valentino), dell’Impero e della Spagna (o di Napoli) contro Venezia, che verrebbe sconfitta. La dedizione di Venezia a Massimiliano provocherebbe il cambio di schieramento da parte di Giulio II. (sempre col Valentino) e di Napoli, ma non della Spagna (che mira a Napoli), il che porterebbe la Francia nello schieramento di Giulio II. e quindi manterrebbe Milano (ambìto da Luigi XII.; il 31. dicembre 1510 muore l’Imperatrice Bianca Maria Sforza) e di conseguenza Firenze con l’Impero (dunque contro il Valentino, che continuerebbe a mirare alla Toscana).

Questa è la fase decisiva, in cui si avrebbero l’Impero (con Venezia, Milano e Firenze) e la Spagna contro la Francia, il Papato (col Valentino) e probabilmente Napoli; dal 9. marzo 1513, Leone X. punterebbe alla Restaurazione Medicea a Firenze (in questa ucronia non [ancora] avvenuta). Dal 1. gennaio 1515 il Re di Francia è Francesco I., dal 14. marzo 1516 Carlo I. è Re d’Aragona e in pratica di tutta la Spagna (dal 28. giugno 1519 Re dei Romani). Mi pare dunque che gli ultimi anni di Leonardo (morto il 2. maggio 1519, meno di quattro mesi dopo Massimiliano, † 12. gennaio 1519) vedano Firenze stabilmente accanto all’Impero (con Venezia Allodio Imperiale, verosimilmente ancora estesa alla Romagna e in Puglia) e alla Spagna contro anzitutto il Papato (Leone X. vive fino al 1. dicembre 1521), Ferrara e la Francia, inoltre contro Napoli. Per almeno un decennio, l’eventualmente sopravvissuto Cesare Borgia (quarantenne) sarebbe il principale avversario di Firenze, ma, non potendosi costruire un Regno in Italia (col Papato intoccabile, Firenze destinata ai Medici e Ferrara alleata), tornerebbe spesso a operare al servizio del Re di Francia. È da vedere la posizione di Siena nel frattempo.

L’effetto più dirompente per Firenze potrebbe essere l’annessione di Modena, Reggio e Ferrara (mentre Parma e Piacenza resterebbero a Milano), di conseguenza con la creazione di un collegamento territoriale dal Tirreno all’Adriatico (da Pisa e poi Livorno a Comacchio); in compenso, la mancata Restaurazione dei Medici renderebbe più difficile l’annessione di Siena, che in tal caso molto verosimilmente rimarrebbe a Filippo II. Venezia all’Austria dal 1509 renderebbe pressoché obbligatoria la realizzazione della dedizione di Genova (insieme alla strategicissima Corsica) alla Spagna nel gennaio del 1549 da parte di Andrea Doria (fra l’altro con opportuno disinnesco della Questione del Finale).

Il conflitto più grande si avrà per Napoli; segnerà tutto il XVI. secolo e coinvolgerà anche l’Impero Ottomano; le Macchine Leonardesche potrebbero capovolgere l’esito dell’Assedio di Tunisi nel 1574 e allora il Regno Ḥafṣide di ’Ifrīqiyā’/h potrebbe diventare Colonia Fiorentina, innescando una dinamica geopolitica espansiva soprattutto contro la Reggenza di Algeri.

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E ora, la nuova ucronia romantica di Tommaso Mazzoni:

Il Cavaliere e la Regina

1575, Amsterdam, Paesi Bassi

Don Juan lesse e rilesse la lettera del fratellastro; "Riportare in seno alla chiesa di Roma gli eretici olandesi. Il mio regale fratello mi vuol far versare altro sangue cristiano, mentre in Terrasanta il Santo Sepolcro geme sotto l'oppressione del Turco." ridusse la lettera in mille pezzi e la bruciò, poi usci dal palazzo in cui risiedeva e si diresse al mercato generale, con una nutrita scorta; passeggiando fra le bancarelle, il governatore Spagnolo dei Paesi Bassi cercava di schiarirsi le idee, e, ad un certo punto, si imbatté nella bottega di un pittore inglese; fra i quadri esposti ne vide uno, raffigurante la donna piu bella che Juan avesse mai visto. "Chi è costei?" L'inglese sospirò; "tanto bella quanto sfortunata ella è, il suo nome è Maria, di Scozia Regina, che ora langue prigionera in Inghilterra, fra le mure di Fotheringay!"
"Saresti tu capace di recapitare a lei una mia lettera, ed un mio ritratto? Ti ricompenserei lautamente!"

Il pittore annuì e dando prova di maestria, rapidamente preparò gli schizzi per un ritratto di Don Juan "sarà pronto in poche settimane, mio signore!" Gli disse. "va bene, appena finito partirai per l'Inghilterra."

Nel giro di undici anni e mezzo, il nostro pittore consegnò quarantotto lettere alla regina, e quarantotto a Don Juan; Ma sul finire del 1586, l'ultima lettera consegnata fu:

"Mio amore, è molto probabile che questa sarà l'ultima lettera che ti spedirò; mia cugina Elisabetta, malconsigliata, crede che io voglia insidiarle il trono; sono sicuro che presto, decreterà la mia morte! Addio, mio amato; sei stata la mia grande consolazione su questa terra; mi auguro di rivederti, un giorno, in cielo; Eternamente tua, Maria R.!"
non aveva ancora finito di leggere la lettera, che gia don Juan ordinava al suo attendente di spedire lettere a varie compagnie mercenarie e all'Imperatore in persona; poi, si imbarcò sulla nave piu veloce, e, arrivato in Spagna, lasciò morti tre cavalli per arrivare in poco tempo a Madrid, dove interruppe una sessione del consiglio della Corona, con grande cruccio del Re prudente. Rimasti soli, Juan mostrò a Filippo la lettera. "Ho bisogno di uomini e fondi!" Gli disse senza giri di parole. "Concedetemeli, ed io riuscirò dove Farnese ha fallito!" Filippo lo guardò "Forse ma non lo faresti certo per noi, né per la Spagna!" Juan annuì " Ma la Spagna e l'Inghilterra sarebbero amiche per sempre, se Maria sedesse sul trono di Sant'Edoardo, con me al suo fianco!"
Filippo squadrò il fratellastro e per una volta, in vita sua, ignorò prudenza e ragion di stato "E sia! Vada, prepari un'armata, e salvi la sua amata!" Con l'assenso di Filippo, convincere l'Imperatore non fu difficile, e all'inizio del 1587 poteva salpare con una massiccia flotta e un grande esercito; sperando di arrivare in tempo.

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8 Febbraio 1587

"...Per questo, Mary Stuart è condannata a Morte per Decapitazione!"

La sentenza, inaudita nella storia, sembrò non turbarla; ella la conosceva, ormai, a memoria; si diresse verso il patibolo, dove le sue dame di compagnia, Elisabeth e Jane, la aiutarono a spogliarsi; indossava un sottabito rosso; voleva morire con il colore dei martiri addosso.
Il Boia la guardò, e disse, costernato "perdonatemi, Maestà, per quello che sto per fare!"
Mary gli sorrise, e disse "vi perdono di cuore, perché presto mi libererete dalle mie angustie!"
Ella si distese sul ceppo, e disse "In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum" ovvero, "nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito."
Ma quando l'ascia del boia si alzò, un rombo di tuono scosse le fondamenta del castello; Un colpo di cannone aveva sfondato il portone, e uomini in armi stavano entrando , portavano con se l'insegna di un'Aquila a due teste; Amyas Paulet, il carceriere di Mary, prese le armi, e contro di lui si stagliò un uomo alto, e bello, con un armatura ornata con un'aquila bicefala d'Oro; Paulet e il misterioso straniero incrociarono le lame, una, dieci, cento volte, alla fine, l'ardore e la giovinezza ebbero la meglio sull'esperienza. Un colpo netto, e la testa di Paulet fu separata dal busto.
L'uomo si avvicinò, e si tolse l'elmo; aiutò la Regina a rialzarsi e disse "Sono 12 anni che aspetto questo momento, amore mio!"
E la baciò sulle labbra. "Oh, mio Juan!" Ella rispose, prima di baciarlo a sua volta.
"Andiamo, mia adorata! Celebreremo le nostre nozze nella capitale del tuo Regno!" le disse, prendendola in braccio, e conducendola fuori, dove un vasto esercito li attendeva.
Un mese esatto dopo, il nuovo Arcivescovo di Canterbury, un cattolico, celebrava il matrimonio della Regina Maria II d'Inghilterra con il Re-Consorte Giovanni II d'Asburgo.

Passarono due anni, e Re Giovanni e la Regina Maria erano molto felicI; solo una cosa angustiava Maria, che era ancora giovane, non aver dato un erede a suo marito; ma ecco, un giorno, Maria trovò il marito svenuto nalla cappella privata; qui, Giovanni le rivelò d'aver avuto un'apparizione della Madonna che gli diceva che avrebbe avuto discendenza, e, in cambio, avrebbe dovuto innalzare la Croce di san Giorgio sulle mura di Gerusalemme; Nonostante le proteste di Maria, Giovanni organizzò la Decima Crociata; una nuova invincibile armada riconquistò Cipro, e di li attaccò la Terra Santa, e la Grecia; La promessa della Madonna fu mantenuta, giacché, nove mesi dopo la partenza di Giovanni, nacque Mary, Principessa di Galles.
Per tre anni, Don Giovanni combattè contro i Turchi, e anche presso di loro si fece la fama di soldato valoroso e di sovrano tollerante; Come Goffredo di Buglione non si fece incoronare Re, ma Difensore del Santo Sepolcro. L'Intervento anglo-Spagnolo, che agli Spagnoli permise la riconquista di Algeri e la presa di Tunisi si concluse con la liberazione dell'Attica, condominio Anglo-Spagnolo; intanto, l'Impero liberava dai Turchi l'Ungheria.
Ma il trionfo, sancito dal trattato di Atene, nel 1594, si tinse del nero del lutto, perché Re Giovanni fece appena in tempo ad abbarcciare per la prima volta la figlia Maria, prima di morire, fra le braccia della moglie "voglio morire, amor mio, perso nell'infinito dei tuoi occhi; di li certo, il signore m'aprirà la porta del cielo!"

Con il cuore spezzato, ma con un'amata figlia da crescere Maria regnò con saggezza; Filippo II, intanto, seppur rispettando il lutto della cognata, proponeva, velatamente e discretamente, alleanze matrimoniali sempre respinte con ferma cortesia dalla vedova.

Il tempo passò, Filippo II mori, e gli successe Filippo III; costui era cresciuto nel mito del leggendario Zio Juan, vincitore dei Turchi e riscattatore dell'Ingilterra alla vera fede: un giorno, si recò in visita dalla zia; una visita dai risvolti inaspettati.

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Palazzo di Whitehall, Londra, 12 Maggio 1604

Il ballo in onore di Sua Maestà Re Filippo III di Spagna, in visita da sua zia, la Regina Maria II, per quanto sfarzoso, era stato piuttosto noioso, fino a quel momento; il giovane monarca aveva ancora il pensiero della cugina di quarto grado la cui mano aveva rifiutato, con sommo fastidio dell'Imperatore Rodolfo II. Lui rimaneva testardamente celibe. Poi, la musica si arrestò, e un vallettò annunciò: "Sua Altezza Serenissima, la Principessa di Galles, Mary d'Asburgo-Stuart."
Era la visione più bella che Fillippo avesse mai avuto; identica alla madre, da giovane, con lunghi capelli biondi; Filippo pensava fosse malata, invece, eccola qui, in piena salute, di fronte a lui.
Filippo si alzò e si diresse verso la cugina; Filippo era un bell'uomo, e la ragazza non fu insensibile al suo fascino. I due danzarono tutta la notte, sotto gli occhi attenti della Regina.
Il giorno dopo, in udienza privata con sua maestà, Filippo si fece coraggio: "Vostra maestà, sono innamorato!" Confessò candidamente il giovane monarca.
La Regina sorrise "lo avevamo compreso. Siete fortunato, vostra grazia, nostra figlia sembra ricambiare!"
Il giovane sentì una grande gioia salirgli nel cuore "ci vorrà un po' di tempo per ottenere la dispensa papale, ma penso che non ci saranno ostacoli!"
L'anno dopo, l'8 Agosto del 1605, nel giorno del suo 16 compleanno, la Principessa di Galles Maria convolava a nozze con il Re di Spagna Filippo III, nell'Abbazia di Westminster.

Ma la felicità della figlia non poté sanare del tutto il cuore della regina, che sempre si struggeva per l'amato Giovanni. Cosi, con grande dolore tutti i suoi sudditi il 18 di Marzo del 1607, esattamente tredici anni dopo Giovanni II Cuor di Leone, moriva Maria II la Buona; la figlia Maria III, le successe sul trono d'Inghilterra; Filippo III era Re Regnante nella Corona di Spagna e Re Consorte in Inghilterra e Irlanda; viceversa, Maria III era Regina Regnante in Inghilterra e Irlanda, Regina Consorte nella corona di Spagna; la coppia regale viaggiava spesso fra Londra e Madrid; da Maria e Filippo, nel 1608 nacque Giovanni, Principe delle Asturie e di Galles.

Tuttavia, i più astiosi esponenti della nobiltà protestante tramarono contro Maria III, allo scopo di mettere Giacomo VI di Scozia sul trono.

Dopo aver stretto alleanza con il Re di Francia e il Sultano Ottomano, Giacomo VI invase l'Inghilterra, approfittando dell'assenza della sorella, nel 1610; ma qui dovette fare i conti con un popolo inglese che amava Maria, e che, sotto la guida del capitano Guy Fawkes diede vita ad una feroce resistenza all'occupazione; Nel 1611, Guy Fawkes riusci a far saltare in aria Westminster, uccidendo i cospiratori protestanti e togliendo a Giacomo ogni appoggio; Giacomo VI dovette tornarsene in Scozia e Maria tornò in Inghilterra, dove giunse appena in tempo per vedere spegnersi il suo valoroso campione, rimasto ferito nell'attentato. "Mia regina, in questo momento, in cui mi appresto a rendere l'anima a Dio, posso confessare che della colpa di avervi amato, io non mi pentirò mai!" Queste furono le ultime parole del Robin Hood del XVII secolo.

Tornata saldamente sul trono Maria si diede da fare per sanare le ferite dell'odio; generò a Filippo III un gran numero di figli e figlie, tutti sani e forti, fra cui Anna e Maria Anna (più giovani che in HL ma con eguali matrimoni).

Nel 1621, ahimé, la coppia fu divisa dalla morte di Filippo; Giovanni, III per la linea di successione castigliana, divenne Re, sotto la reggenza della Madre, che nominò un gruppo di fidati nobili spagnoli per assisterla; Maria III era una donna sensibile ed intelligente; seppe conquistare i cuori si della nobiltà che della gente comune spagnola, ed ebbe fama di una donna avveduta, equilibrata, pia e generosa; per sua volontà, suo figlio il Re fu educato sul campo, e imparò a conoscere sia il mondo della nobiltà sia quello della strada; dai suoi precettori Giovanni apprese molte cose e, con il permesso della madre, si recò in Francia a 14 anni, nel 1622, dove divenne amico del cognato Luigi XIII, piu vecchio di lui di soli otto anni, e similmente orfano di padre in tenera età; qui sviluppò un rapporto di rivalità ed amicizia con il Cardinale Richelieu, che, come Luigi, vedeva come un maestro; diversamente daLuigi, tuttavia, come capo di un paese su cui la francia aveva mire espansionistiche, Giovanni III si sentiva anche in competizione con il cardinale;
In Francia, Giovanni si fece conoscere per l'abilità con la spada, e per il profondo senso dell giustizia; piu volte, infatti, afftontò in duello Guillaime de Rocheford, il Capitano delle Guardie personali del cardinale Richelieu; in uno di questi duelli, Re Giovanni cavò perfino un occhio all'arrogante Rocheford. Fu durante questa visita, che si innamorò perdutamente di Elisabetta, sorella di Luigi XIII.

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Palazzo del Louvre, 1623

"Insisto nel dire che è troppo pericoloso, vostra maestà!" Disse il Conte di Olivares, suo onnipresente angelo custode "Ne prendo atto, Gaspar!" rispose il giovane re di Spagna; "ma la mia visita in Francia finirà presto, e questa sarà l'unica ocasione che avrò per ballare con Elisabetta." Il conte sospirò "In un ballo che si terrà nella villa privata del Cardinale Richelieu, al quale, lo sapete, farebbe alquanto comodo che vostra sorella Anna restasse figlia unica, visto e considerato che vostra sorella non ha mai rinunciato ai suoi diritti sul trono di Spagna, per volontà dei vostri genitori" Olivares parlava di genitori, in realtà intendeva "per volontà di vostra madre" . Re Giovanni III sospirò "si, ne sono consapevole; ma non temo affatto per la mia vita; mio fratello Hermann sta benissimo. E Richelieu sa che dalla mia morte non avrebbe che da rimetterci; e il Cardinale non è certo un pazzo." Olivares sospirò e tacque.

Richelieu non era pazzo, in effetti, ma nel suo gruppo dicollaboratori c'era una donna inglese, che all'insaputa del Cardinale, era sul libro paga di qualcuna altro; il suo nome era Milady de Winters.

Al ballo, il giovane Re di Spagna, nonché Principe di Galles riusci a togliersi la soddisfazione di danzare tutta la notte con la sorella del re; tuttavia, ad un certo punto, successe qualcosa di strano; l'Olivares diede una spinta al suo re, facendogli cadere di mano i due bicchieri di vino che il sovrano voleva usare per brindare con la donna che amava; se gli sguardi avessero potuto uccidere il duca di Olivares sarebbe morto sul colpo; invece, visse abbastanza a lungo, perché, con un sussurro, potesse dire "Perdonatemi, sire, ma la cameriera ha messo qualcosa nei bicchieri."

Detto questo, l'Olivares raccolse i suddetti e annusò "Veleno!"

A quel punto, Giovanni vide la cameriera tentare di dileguarsi e urlò "Fermate quella donna!" le guardie del Cardinale e le guardie del corpo di Giovanni serrarono le porte e Richelieu allora riconobbe la donna "Milady, siete forse impazzita? Cercare di assassinare una principessa del sangue, e il Re di Spagna?"

Milady sogghignò " mi dispiace, vostra eminenza, ma c'é qualcuno che paga meglio di voi." La malefica assassina inglese gettò a terra una fialetta, e una nube di fumo avvolse la stanza.

Si sentirono due grida e un rumore di vetri infranti; quando il fumo si diradò i presenti videro giacere al suolo, con due piccoli dardi nei colli, il Duca di Olivares e la Principessa Elisabetta; nessuno dei due era morto, con sommo sollievo del giovane Re Giovanni e di Richelieu, ma come presto scoprirono, nessuno dei due era vivo; il veleno usato era un veleno molto particolare, era chiamata Misericordia dell' Imperatore, e faceva cadere la vittima in un sonno dal quale, senza l'antidoto, non si sarebbe più risvegliata.

La sostanza doveva il suo nome al fatto che era una delle molte scoperte fatta a suo tempo dall'Imperatore Rodolfo II, controverso imperatore morto undici anni prima, considerato uno dei più grandi alchimisti del suo tempo (NdA, licenza narrativa)

Purtroppo, pochi conoscevano il segreto di quel terribile veleno. Mentre la corte di Francia e Re Giovanni si struggevano d'angoscia, ecco che la provvidenza mandò loro in aiuto l'ambasciatore Austriaco in Francia, conte Karel Chotek von Chotkov und Vojnín, nobile Boemo; costui aveva conosciuto in gioventù l'Imperatore Rodolfo, e consigliò a Giovanni: "vostra maestà i segreti del vostro lontano cugino sono certamente conservati a Praga; è li che dovete andare a cercarli!"

Il Re Giovanni partì quel giorno stesso per la Boemia, determinato a salvare la vita della sua amata; intanto, ad Edimburgo un'affascinante donna brindava con il suo mandante "tutto come nei vostri piani, vostra maestà!"

"Siete stata all'altezza della vostra fama, Milady; qui c'é la seconda parte di quanto vi era stato promesso! Finite il lavoro, e sarete la donna piu ricca del regno!" Rispose Giacomo VI, brindando con lei.

"Sarà un piacere!"

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Palazzo Reale, Praga, 1623

Nel 1618 una violenta guerra di religione e di successione si era scatenata in Boemia, a causa della cosiddetta defenestrazione di Praga; in questa Timeline, la Spagna non poté esimersi da intervenire contro gli Ottomani, che minacciavano i territori conquistati a suo tempo da Giovanni II e da Filippo II, i nonni di Giovanni III. Proprio in questo conflitto si era ammalato ed era morto Filippo III. Come conseguenza dell'intervento dell'Unione Iberica, la Guerra Boema era finita molto prima, e quindi, da alleato, Giovanni III ebbe pochi problemi a raggiungere la città di Praga; qui, incontrò suo cugino l'Imperatore Ferdinando II.

"Cugino, per quanto la vostra visita ci onori riteniamo che quanto da voi fatto sia stato decisamente imprudente; comprendo il nobile sentimento che vi muove, ma voi siete un Re, non potete rischiare imprudentemente la vostra vita!" Lo rimproverò bonariamente il piu anziano Ferdinando, che Giovanni sovrastava di almeno venti centimetri.

"Vostra Maestà, amo il mio paese, ma rinuncerei a mille corone e a mille vite pur di salvare Elisabetta, e l'amico che si è sacrificato per me!" Rispose Giovanni.

'Imperatore scosse la testa ma sorrise "come decano degli Asburgo e come imperatore non posso approvare; come cugino e come essere umano, tuttavia, comprendo il vostro sentimento, e cercherò di aiutarvi; L'Imperatore Rodolfo II aveva il suo Laboratorio in questo castello; tuttavia, l'ingresso era noto a lui solo, e ad alcuni fidi collaboratori, che gelosamente ne serbano il segreto, un gruppo di monaci che serve in un piccolo convento in città; andate da loro, e chiedete aiuto; sono sicuro che l'Imperatore non ve l'avrebbe negato, e nemmeno loro lo faranno."

Giovanni III si congedò in fretta dall'imperatore, e raggiunse con una piccola scorta il monastero.

Qui, l'abate Karel accettò di incontrarlo, a condizione che fosse solo; l'anziano abate aveva una folta barba bianca, era un uomo rotondo, probabilmente sui settanta anni, ma sembrava in perfetta salute.

Si fece raccontare dal giovane re la storia. "Figliolo, io vi condurrò dove volete andare" gli disse, "ma voglio la vostra parola che dimenticherete tutto quello che vi dirò di dimenticare!"

Egli annui, e il vecchio, dopo cena, lo condusse nella cripta del convento, dove c'era la statua di San Venceslao; la statua aveva il classico scudo con l'aquila e le tre gocce di sangue; L'abate premette tre volte le tre gocce, prima quella centrale, poi, insieme le altre due. La statua girò su se stessa svelando una botola, che i due discesero.

Non notarono che, poco prima che la botola fosse automaticamente richiusa dalla statua, qualcosa, o qualcuno, li aveva seguiti.

Proseguirono il loro cammino sotto le strade di Praga, giungendo, infine, presso l'uscita. Tirando una leva, una botola si apri, e i due uscirono, dietro ad una tenda che occultava la nicchia dove risiedeva una seconda statua uguale a quella del convento.

"Siamo nella Cripta Reale!" spiegò l'anziano abate. Abbastanza rapidamente i due raggiunsero la tomba di Rodolfo II, dove l'abate inserì un medaglione, rappresentante un cerchio alchemico con l'Aquila Imperiale e un Leone, all'interno di una cavità del sarcofago di pietra; una porta segreta si apri, consentendo al Re dell'Unione Iberica, nonché Principe di Galles, di entrare, insieme all'Abate, e assieme a lui incamminarsdi per un lungo tunnel.

Ancora una volta, non si accorsero dell'ombra, o erano ombre, che li seguivano.

Finalmente, giunsero in un vasto laboratorio sotterranero, illuminato da un ingegnoso sistema ad accensione concatenata di bracieri.

"Ecco, vostra maestà, questo è il laboratorio segreto dell'Imperatore Rodolfo II, ove sono nascosti i suoi segreti." disse il vecchio.

Prima che il giovane Re potesse chiedere spiegazioni al riguardo, ci fu il rumore di una pistola che viene caricata. Con un sorriso beffardo Milady usci dalle ombre, una pistola puntata contro Giovanni III.

"Milady!" disse freddo Giovanni. "Esatto, vostra maestà" rispose gioviale l'assassina. "Vi ringrazio, non solo vi siete liberato da solo delle vostre guardie del corpo, ma mi avete anche portato in un luogo che da sempre sogno di visitare; e non solo" aggiunse "mi avete portato il padrone di casa in persona!" Milady fece un inchino beffardo al monaco e disse "non è forse vero, Imperatore Rodolfo?"

Giovanni fu stupito dalla notizia, ma poi, iniziò a notare i tratti degli Asburgo nascosti sotto la folta barba bianca.

"Peccato che non avrete il tempo per chiedergli nulla, Giovanni! Voi morirete qui, e il mondo cadrà, per questo, in preda al caos!"

Ciò detto, puntò la pistola al Re.

Milady sparò ma il colpo mancò Giovanni ferendo gravemente l'Abate, che aveva spinto via il giovane re.

"No, vecchio pazzo!" gridò Milady; estratto un pugnale cerco di colpire il re, ma un uomo fece irruzione nella stanza costringendo Milady alla fuga.

Era un giovane moschettiere di Francia di nome Olivier Athos de la Fére, che sembrava conoscere molto bene Milady. "Athos, sono felice di vedervi" disse il re, quando il moschettiere lo aiutò a cercare di tamponare la ferita dell'abate.

"Ringraziate il Cardinale Richelieu; è stato lui ad ordinarmi di seguirvi e di tenervi al sicuro; conosco bene quella vipera dal volto d'angelo!" disse lo stoico moschettiere.

"Giovanni!" Disse stancamente l'abate, morente "ascoltatemi bene!"

"In questo diario ci sono tutti i segreti dame scoperti, in questi undici - coff - anni."

"L'antidotto alla Misericordia dell'Imperatore, che Dio mi perdoni per averla mai scoperta, è in quell'ampolla verde,-coff- sullo scaffale di sinistra. Leggete -coff- il mio diario con attenzione e usate con prudenza i miei segreti-coff- per il mondo, io sono gia morto da undici anni; che continui ad essere così"
detto questo, Rodolfo II, undici anni dopo la sua morte ufficiale spirò davvero fra le braccia di Giovanni III.

Dal Diario di Rodolfo II, Praga, 07 Febbraio 1611

"Ormai la faccenda non può essere rimandata; Mattia e Massimilaino sono convinti che io sia un pazzo, e non si fermeranno fino alla nostra deposizione; non posso semplicemente dargliela vinta e ritirarmi per dedicarmi ai miei studi, però; qualche nobile zelante mi farebbe assassinare perché non minacci la posizione dei nostri fratelli. Quindi, non ho scelta; devo morire"

Dal Diario di Rodolfo II, Praga, 20 Marzo 1611

"Ci siamo, oggi abbiamo ufficialmente rinunciato ai nostri troni; Mattia è convinto che le sue cospirazioni ci abbiano colto di sorpresa, l'ingenuo; in realtà, tutto sta andando come volevamo.

Dal Diario di Rodolfo II, Praga, 10 Dicembre 1611

"Come immaginavo i medici non si sono accorti di nulla; le sostanze che abbiamo assunto ci hanno permesso di simulare perfettamente i sintomi della malattia; per tutto il mondo, la nostra salute si sta rapidamente deteriorando."

Dal Diario di Rodolfo II, Praga, 19 Gennaio 1612

"Stanotte berrò l'Elisir della Morte Vivente, ed inizierò la mia nuova vita, libero dalla schiavitù del rango e del mio nome; vedrò se è il caso di confidare il mio segreto a Ferdinando, il figlio di Massimiliano; il ragazzo sembra degno di fiducia."

"Evidentemente, lo aveva fatto" commentò Athos, "o non saremmo qui a leggere, altrimenti."

Giovanni annuì. "Rodolfo era davvero un genio; se quello che è elencato qui funziona, potrebbe cambiare il mondo." Poi aggiunse: "Athos, ho la vostra parola che questi segreti resteranno fra di noi?" "Ce l'avete, sire, a patto che essi non siano mai usati contro la Francia!" Rispose il moschettiere, e Giovanni acconsenti.

Giovanni ed Athos tornarono rapidamente in Francia, dove per prima cosa usarono l'antidoto sul Conte di Olivares; questo perché la regina madre Maria de'Medici insistette che l'antidoto fosse testato, prima di usarlo su sua figlia.

L'antidoto, sull'Olivares funzionò perfettamente e il conte si svegliò dal suo lungo sonno. Ma quando andarono a somministrarlo a Elisabetta, ahimé ebbero una sgradita sorpresa; la principessa era scomparsa, i suoi camerieri personali erano stati drogati, e sul suo cuscino stava un biglietto scritto in rosso "Se volete riavere la vostra amata, dovrete venire a riprendervela in Scozia! Venite da solo, o non si sveglierà mai piu!"

"Milady!!!" Fu l'urlo di Giovanni che esplose nella notte Parigina.

Ma, mentre si preparava ad andare a riprendere la propria amata, Giovanni ricevette una notizia assolutamente sconvolgente; l'Impero Ottomano, la Scozia e la Danimarca avevano invaso i domini della Corona Spagnola, di quella Inglese, della Polonia e dell'Impero.

Era la guerra.

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1623, Canale della Manica

Il Duca di Olivares sarebbe dovuto rimanere a letto a riprendersi, ma aveva insistito per seguire il suo Re.

"Se vostra maestà insiste in questa follia, allora è mio dovere venire con voi e fare del mio meglio perché sopravviviate. Ma confermo che si tratta di una follia. Dovreste essere a guidare i vostri eserciti."

"A guidare il mio esercito ci sono uomini capaci, duca. Sir Oliver Cromwell guida le truppe alla difesa di Londra e il Duca di Savoia comanda l'esercito unito Franco-Imperial-Spagnolo contro gli Ottomani in Italia. E mio fratello riporterà la pace in Portogallo, e se poi i portoghesi vorranno lui come Re, così sia." disse Giovanni sul cassero della nave che lo stava riportando in Inghilterra.

"Ricordate quanto dettovi dall'Imperatore, vostra maestà," gli disse il distinto uomo d'arme francese che aveva chiesto e ottenuto il permesso di seguirlo per poter salvare la sua principessa.

"Le secondogeniture si fanno per aumentare i territori, non per dividere quelli che si hanno!" gli fece eco un aitante giovane dal forte accento tedesco, Filippo di Lippe.

"Ma sentiteli, non fanno mezzo secolo in due e cercano di insegnare agli altri la saggezza", rise bonariamente il terzo uomo, di gran lunga il più vecchio della compagnia, un nobile lombardo dalla reputazione alquanto famigerata, che tuttavia era stato raccomandato dal Papa Leone XII in persona.

Si dice che un tempo fosse stato un vero demonio, soprannominato il Conte del Sagrato, per aver ucciso un uomo sul sagrato di una chiesa, ma che poi si fosse convertito, dopo un incontro con il pontefice stesso, allora arcivescovo di Milano.

Francesco Bernardo Visconti di Brignano sorrise, tracannando poi del vino da una borraccia, e aggiunse: "Credetemi, vostra maestà, nella vita contano solo tre cose: la grazia di Dio, l'amore e la famiglia".

"Aggiungerei il buon vino e il buon cibo.", interloquì un corpulento giovanotto italiano che sovrastava tutti per altezza e peso.

"Alessandro dal Borro, ma possibile che pensiate sempre a mangiare? Mi ricordate un cadetto dei moschettieri" disse Athos divertito.

"Non è corretto, messer Athos, io non penso solo a mangiare: penso anche al vino alle donne e alle armi!"

Giovanni sorrise e sospirò. Quella variegata compagnia era la sua sola speranza di salvare Elisabetta dalle grinfie di Milady e Giacomo VI. Loro e la giovane spia che li stava aspettando aulla costa scozzese. "Sto arrivando, Elisabetta, non temere", sussurrò come in una preghiera, mentre il vento gonfiava le vele verso nord-est.

[continua]

Tommaso Mazzoni

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