Macabra missione

di Generalissimus

Gustatevi, se così si può dire, la mia ultima follia. So che non c'è nulla che stia in piedi, ma non va presa troppo sul serio. Infatti doveva anche avere un tono molto più leggero, ma scrivendo non sono riuscito a mantenerlo ed è venuta fuori questa cosa contorta...

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La corvetta Ondga della Flotta Imperiale Sibissiriana fermò i suoi motori e si mise ad orbitare intorno al pianeta scelto dall’Alto Consiglio dei Grandi Polemarchi perché compisse la sua missione, ovvero quella di trovare una nuova fonte di sostentamento per il pianeta natale dei Sibissiriani, una razza di esseri simili a rettili dal muso leggermente allungato e irto di denti aguzzi che seguiva una dieta esclusivamente carnivora.
“Attivare scudi e sistemi d’occultamento”, ordinò il comandante del vascello, il Capitano Waresso, esperto veterano temprato da diverse battaglie contro i nemici dell’Impero al quale, nonostante la sua crescente disillusione, non era mai passato neanche per l’anticamera del cervello di mettere in discussione un ordine dei suoi superiori, per quanto assurdo gli potesse sembrare.
Dopo essersi assicurato che l’equipaggio avesse eseguito l’ordine del Capitano, gli si avvicinò il primo ufficiale, il Comandante Sklys, vecchia conoscenza di Waresso.
Quasi ammaliato dallo spettacolo di cui si poteva godere dalla plancia, osservò: “A giudicare dal numero di sonde e satelliti in orbita intorno a questo pianeta, la sua superficie deve essere sicuramente abitata da una specie senziente”.
Per tutta risposta il Capitano Waresso gli chiese “Questo ha forse mai fermato l’Impero?” “No, signore, l’Impero fa quello che è determinato a fare”.
“E questo ha deciso la sua rovina”.
L’ultima frase, però, non uscì dalla mente dell’ufficiale, che dovette comunque fare molti sforzi per non esternare il suo pensiero.
Non che di Sklys non si fidasse, ma molti a bordo di quella corvetta erano al loro primo incarico o non avevano mai servito sotto di lui, se ciò che pensava fosse arrivato alle orecchie sbagliate non sarebbe stato pellegrino vedersi appioppate alla fine della missione delle accuse di disfattismo e tradimento che avrebbero potuto costare molto care.
Il Comandante Sklys riprese il discorso interrotto: “Abbiamo fatto bene ad attivare i sistemi d’occultamento, dai primi rilevamenti sembra che questo pianeta sia densamente popolato”.
“Già, ma a quanto pare i suoi abitanti hanno una tecnologia di molto inferiore alla nostra, gli sarebbe stato impossibile rilevarci anche con l’occultamento disattivato.
Il traffico interplanetario tra l’altro è praticamente assente, se anche le cose per noi si mettessero male e riuscissero a scoprirci non avranno mezzi per intercettarci e/o contrastarci in qualche modo”.
“L’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è la Coalizione…” “Non si preoccupi Comandante, ho controllato e ricontrollato personalmente, sembra proprio che la nostra azione di violazione del blocco sia stata un successo totale.
Nessuna nave della Coalizione ci ha seguito, e in questa porzione del cosmo non sembrano esserci tracce di attività nemica”.
Waresso si interruppe, si appoggiò con le mani al pannello dei comandi della nave, rivolse un ultimo rapace sguardo al pianeta che stava per cadere vittima delle losche trame del Grande e Divino Imperatore di Tutti i Sibissiriani e infine si girò e si rivolse a tutti gli occupanti della plancia: “Va bene, basta cincischiare, abbiamo una missione da compiere.
Se tutto si risolverà per il meglio, i problemi per la nostra patria saranno finiti.
Mettiamoci al lavoro!” Premette il pulsante dell’interfono e ordinò: “Locago Nelu a rapporto in plancia!” Waresso non dovette attendere molto per l’arrivo del comandante delle forze da sbarco presenti a bordo del vascello, complice anche il fatto che l’Ondga apparteneva ad una delle classi di navi più piccole in servizio nella Flotta Imperiale, sebbene fosse dotata di un armamento di tutto rispetto che le aveva permesso di sopravvivere già a due battaglie contro le ben più avanzate navi della Coalizione.
“Comandi, Capitano”, disse Nelu mettendosi sull’attenti ed esibendo un perfetto saluto imperiale.
“Locago, prepari una navetta e una squadra da sbarco, la faccia scendere sul pianeta e prelevi dei… Campioni”.
Waresso pronunciò con riluttanza quella parola, perché sapeva che in fondo stava parlando di esseri capaci di provare emozioni, che avevano delle famiglie, dei legami… Un pensiero che non sfiorava neanche lontanamente la maggior parte dei normali Sibissiriani, che consideravano tutto ciò che non appartenesse alla loro razza meno che niente, una mentalità sempre più diffusa mano a mano che si risalivano le gerarchie imperiali.
Le parole di Nelu riportarono Waresso alla realtà: “Una sola, signore? Ne è sicuro?” “Se vuole, Locago, può chiamare a rapporto una seconda squadra che sia di supporto alla prima, ma non si preoccupi particolarmente.
Sembra che nostre armi e corazze tattiche possano far fronte a qualsiasi cosa della quale siano dotati gli abitanti di questo pianeta, e per di più ci sono stati messi a disposizione degli strumenti che faciliteranno di molto la vostra incursione sulla superficie”.
Il Capitano si avvicinò di nuovo all’interfono e disse: “Ufficiale Tecnico a rapporto in plancia… E per favore, porti un paio degli esemplari, il Locago Nelu è ansioso di vederli”.
Dopo un po’ arrivò l’ufficiale tecnico dell’Ondga, con gli avambracci protesi in avanti e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, come se stesse trasportando qualcosa.
Nelu, che per tutto il tempo si era chiesto incuriosito di che cosa si stesse parlando, vedendo l’ufficiale tecnico entrare in plancia in qual modo chiese sbigottito: “Cos’è, uno scherzo? Dove sono questi fantomatici esemplari? Non vedo niente!” “Beh, allora vuol dire che funzionano”, disse l’Ufficiale Tecnico.
“Se può aspettare un secondo…” L’ufficiale tecnico si mise ad armeggiare con la mano sinistra e immediatamente apparvero come per qualche strano incanto, una dopo l’altra, appese al suo avambraccio destro, due tute monopezzo grigio-blu, tra lo stupore generale degli astanti in plancia.
“Che l’Immensa e Munifica Dea Madre mi rapisca in questo istante!”, disse a bocca aperta Nelu, “Che cosa sono?” “Queste, signor Locago”, gli rispose l’Ufficiale Tecnico, “sono l’ultimo ritrovato dei nostri gloriosi progressi scientifici.
I nostri scienziati sono finalmente riusciti a miniaturizzare la tecnologia d’occultamento delle nostre astronavi e ad applicarla a questo pratico capo d’abbigliamento.
Uniformi come queste stanno iniziando ad essere distribuite a tutti i membri delle nostre forze speciali, ma noi saremo i primi ad avere l’onore di provarle sul campo! Ovviamente sono corredate da un pratico casco dotato della stessa tecnologia che può resistere anche a esplosioni di media intensità.” Nelu ridacchiò sotto dei metaforici baffi, visto che i Sibissiriani avevano una pelle squamosa priva di qualsiasi peluria: “Se le cose stanno così allora le do ragione Capitano, una squadra sarà più che sufficiente per il prelevamento dei campioni.
Quei primitivi pezzenti non avranno neanche il tempo di capire che cosa gli è arrivato addosso! Ah, se solo avessimo avuto questi gingilli otto anni fa, quando abbiamo preso d’assalto quel pianeta, forse non ci troveremmo nella situazione nella quale siamo ora…” “Suvvia, Locago”, intervenne il Capitano, “rivangare il passato è inutile, è al futuro che dobbiamo pensare, e se questa missione si dimostrerà fruttuosa il futuro sarà sicuramente meno tetro per l’Impero e soprattutto per le nostre famiglie a casa.
Forza adesso, il tempo stringe, so che è euforico riguardo a questa nuova invenzione ma abbiamo una tabella di marcia da rispettare.
Si faccia dare dall’ufficiale tecnico tutte le tute occultanti di cui ha bisogno e invii i suoi uomini migliori sulla superficie.
Si ricordi, voglio un lavoro pulito, massima segretezza e furtività e nessuno spargimento di sangue, a meno che non sia strettamente necessario”.
“L’Immensa e Munifica Dea Madre ce ne scampi e liberi, Capitano, se le cose andassero storte non so proprio chi possa darci una mano in questo angolo sperduto della galassia.
Sa, in tutta confidenza, non mi fido di quel ciarlatano che si fa chiamare medico di bordo”.
“Andiamo Locago, sa benissimo che tutti i migliori ufficiali medici sono impegnati sul fronte principale e che abbiamo dovuto fare dei compromessi”.
“Sì, lo so, ma da qui ad accettare a bordo dei raccomandati… Bah, meglio non pensarci.
La saluto, Capitano, vado a preparare i miei uomini allo sbarco.
Venga con me, signor Ufficiale Tecnico, voglio sapere per filo e per segno come funzionano queste diavolerie”.
I due ufficiali si avviarono verso l’armeria della nave, e appena la porta della plancia si chiuse dietro di loro, il Capitano Waresso cacciò un lungo sospiro.
Si mise le mani dietro la schiena e chiese al secondo in comando: “Cosa ne pensa, Comandante Sklys?” “Penso che la missione sarà un enorme successo, Capitano”.
“No, non mi riferivo a quello, io… No, niente, lasciamo perdere”.
Waresso si lasciò sprofondare nella poltrona di comando al centro della plancia, e lì rimase immerso nei suoi pensieri.

* * *

A quanto pare la missione di prelevamento dei campioni aveva avuto successo.
Mentre faceva il suo solito giro d’ispezione, si parò davanti al Capitano Waresso l’ufficiale medico dell’Ondga, il Dottor Oodumi.
“Oooh, Capitano! Stavo cercando proprio lei! Non è che per caso vuole dare un’occhiata agli esemplari catturati dagli uomini di Nelu?” Waresso ci pensò un po’ su e poi disse: “Certo, se non è pericoloso perché no?” Il dottore lo tranquillizzò: “Ma no, signor Capitano, nessun pericolo! In attesa del da farsi sto mantenendo artificialmente i soggetti in uno stato di incoscienza dopo che sono cadute sotto i colpi degli storditori dei soldati di Nelu, ma penso che se anche fossero sveglie sarebbero completamente innocue”.
“CadutE? SvegliE? InnocuE? Perché usa il femminile, dottore?” “Ah, ecco, vede… La squadra da sbarco stava sorvolando una grande città del pianeta quando è stata attirata da una specie di grande raduno degli abitanti locali.
Per farla breve, ha cercato di infiltrarsi nell’edificio dove si stava svolgendo questo evento, pensando che avrebbe potuto prelevare la maggior varietà possibile di esemplari.
Sfortunatamente le tute occultanti hanno avuto un improvviso e inspiegabile guasto…” Il Capitano interruppe il medico prima che potesse continuare: “Un guasto alle tute? Questo è quello che succede quando si fa troppo affidamento su tecnologie sperimentali, per quanto straordinarie possano sembrare.
E non voglio nemmeno parlare della scelta altamente illogica fatta dal Locago Nelu.
Sì, è vero, avere la capacità di non essere visti neanche se ci si trova ad un palmo di naso dal proprio nemico è senza dubbio affascinante, ma farsi trascinare a tal punto dalla cosa da tentare un assalto diretto invece di tendere imboscate ad individui isolati come si fa di solito… Vada avanti, Dottor Oodumi”.
“Ehm, sì, certo… Comunque le tute hanno smesso di funzionare e la squadra da sbarco, a causa di questo inconveniente imprevisto ha dovuto accontentarsi di ciò che era disponibile nell’immediatezza e tornare il più velocemente possibile alla navetta prima che gli indigeni scoprissero cosa stesse accadendo, in questo caso dieci esemplari di genere femminile.
Prego, mi segua, sono in infermeria”.
Waresso seguì il medico di bordo fin quando questi non lo lasciò entrare in infermeria per primo.
Il Capitano si guardò intorno e vide, allineati su altrettanti tavoli operatori, cinque per parete, dieci esseri pallidi, emaciati, smunti e magri al punto da avere in alcuni casi il volto scavato, in apparente stato catatonico, di altezza variabile tra il metro e 60 e il metro e 85 centimetri.
L’aspetto quasi dimesso di quelle sventurate non convinse del tutto Waresso, che si rivolse leggermente irritato ad Oodumi: “Dottore, le ricordo che lo scopo della nostra missione è trovare un modo per nutrire il nostro popolo! Che razza di nutrimento dovremmo ricavare da queste… Non so neanche come definirle! Solo la Dea Madre sa come facessero a stare in piedi! Guardi, di questa riesco perfino a contarne le costole!”, disse indicando uno degli esemplari più minuti, “E le ricordo anche che il primo… Assaggio… Se così vogliamo chiamarlo… Spetta a noi.
Sono mesi che l’equipaggio va avanti a insipidi liofilizzati, rivoltante cibo sintetico e integratori quasi inutili a causa dell’esaurimento delle scorte fresche, se anche per miracolo il nostro cuoco di bordo riuscisse a ricavare un brodino da questi mucchietti d’ossa scheletrici rischieremmo un ammutinamento una volta che i nostri uomini se lo ritroveranno davanti!” “Stia calmo, Capitano, la prego!”, disse il Dottor Oodumi, messo in evidente difficoltà dallo sfogo del suo superiore, “Credo di avere la soluzione per questa spiacevole situazione”.
Il dottore si avviò verso un armadietto di sicurezza, digitò un codice su un tastierino, lo aprì e ne estrasse una sacca di materiale plastico contenente un liquido di un colore giallo scurissimo, quasi marrone.
“Che cos’è?”, chiese l’ufficiale incuriosito.
“Vede, è un composto ad altissimo contenuto calorico di nuova creazione, ideato proprio per situazioni particolari come queste”.
“Non credo di avere bisogno di altre spiegazioni, dottore”, intervenne Waresso, “in pratica le metteremo all’ingrasso come si fa con certi… “Animali” da allevamento”.
Il Capitano mise volutamente la parola animali tra metaforiche virgolette, perché per i Sibissiriani quel termine indicava una grande varietà di specie, alcune non propriamente definibili animali da osservatori non appartenenti a quella razza.
Una visione dalla quale, col passare del tempo, Waresso si stava ormai sempre più distaccando, pur tenendosi per sé le sue opinioni.
Egli continuò dicendo: “Mi chiedo solo perché questo composto, con le dovute modifiche, non venga distribuito al nostro popolo che muore di fame, così da almeno alleviare gli effetti nefasti del blocco planetario della Coalizione”.
“In effetti Capitano ho provato anche io a fare qualche indagine in più, ma ho solo ottenuto commenti irritati e inviti a stare zitto, smetterla di fare domande stupide e di avere più fiducia nella scienza dell’Impero”.
Sul volto di Waresso comparve un ghigno beffardo: “Questo sta a dimostrare la stima che i suoi colleghi hanno di lei… Oppure la loro incapacità”.
Il Dottor Oodumi chinò la testa e si guardò i piedi in silenzio, come se le risposte che cercava si trovassero sulla punta dei suoi alluci.
“Comunque sia, Dottore, torniamo a noi.
Somministri pure il composto ai soggetti e vediamo se riusciamo ad ottenere risultati positivi”.
“Oh, non si preoccupi Capitano, glieli garantisco personalmente.
In base ai test eseguiti su alcune cavie sul nostro pianeta natale, basta un bicchiere di questo composto perché chi lo assuma incrementi la sua massa di diverse unità di peso entro poche ore.
Direi che la sua efficacia è assicurata.
Ora mi scusi Capitano, ma devo andare a far visita all’Ingegnere Capo, dice che la sua vecchia ferita al braccio lo sta facendo di nuovo impazzire.
Non si preoccupi, non ci vorrà molto”.
“E sia, Dottore.
Appena finisce con l’Ingegnere Capo svegli queste donne, le interni in una cella della cambusa e somministri loro il composto”.
“Sarà fatto, Capitano, se saremo fortunati saranno pronte per essere servite per il prossimo pasto serale”.
“Sempre ammesso che il composto non ci tiri qualche scherzetto come hanno fatto le tute occultanti”.
“Oh, io ho dei buoni presentimenti, Capitano, non stia tanto a preoccuparsi.
Beh, io vado, signore, ma lei si senta pure libero di rimanere quanto vuole”.
Il medico si avviò e la porta si richiuse dietro di lui.
Prima di andarsene anche lui, Waresso si soffermò ad osservare i soggetti, e si concentrò in particolare sui vestiti.
Il Sibissiriano aveva trovato il modo di ritagliarsi un po’ di spazio per osservare, grazie ai sofisticatissimi sistemi della nave che comandava, gli abitanti della superficie, e in generale trovava già strani di loro i vestiti indossati dai nativi del pianeta caduto vittima del suo equipaggio, ma per qualche motivo trovava ancora più strano l’abbigliamento delle malcapitate ignare del loro macabro destino.
Era molto più sfarzoso e vistoso dei normali abiti femminili utilizzati su quel pianeta, non era certo pratico, sembrava qualcosa di impossibile da indossare nella vita quotidiana.
Waresso scrollò il capo, come colto da un cattivo presentimento, uscì dall’infermeria, completò il suo giro d’ispezione e si ritirò nel suo studio.
Passò parecchio tempo prima a leggere diversi rapporti, poi le lettere inviategli dalla sua famiglia e infine attivò un proiettore di ologrammi collegato al sistema di sicurezza per controllare i soggetti recuperati dal pianeta.
Le trovò dove aveva ordinato che fossero inviate, nella cambusa dell’Ondga, mentre sotto la minaccia delle armi venivano costrette una ad una ad ingerire una grande quantità del composto che gli aveva mostrato il medico di bordo, prima di essere sbattute in un’angusta cella.
Waresso spense lo schermo quasi colto dal disgusto, una sensazione che provava sempre più di frequente, e per sopprimere i cattivi pensieri cercò di dedicarsi alla lettura dell’ultimo numero della rivista dedicata agli ufficiali della Flotta Imperiale.

* * *

Giunse finalmente l’ora del brutale pasto e tra l’equipaggio dell’Ondga la fibrillazione era palese.
Il Capitano Waresso decise, prima di entrare in sala mensa, di fare il giro delle cucine, dove cuochi e inservienti erano indaffarati come non mai, e chiese al capocuoco come stessero andando le cose: “Benissimo, direi, Capitano.
Ho appena finito di macellare una di quelle cose, non so ancora nemmeno come la cucinerò.
Ah, capitano, ne ho ricavato dei tagli di carne belli come non ne vedevo da anni, ridurla in pezzi è stato davvero un piacere per me”.
Diceva la verità.
Negli occhi del capocuoco brillava una strana luce che avrebbe messo paura al più efferato dei serial killer.
Il Capitano colse quella scintilla e sentì un brivido percorrergli la spina dorsale per tutta la sua lunghezza, ma perché il suo interlocutore non si accorgesse di ciò che stava provando in quel momento, continuò il discorso: “Una sola? Non ne servirà altre?” “Eh no, Capitano, sa com’è, bisogna andarci piano con queste faccende.
E se avessero un saporaccio? E se fossero velenose e noi non lo sapessimo? Sarebbe il disastro! Per questo ne ho scannata solo una e la servirò solo ad una parte dell’equipaggio.
Se le cose andranno per il meglio, avremmo altri nove esemplari pronti da essere consumati durante il viaggio di ritorno, in caso contrario non ci penserò due volte a sopprimerle e divertirmi a sparare le loro carcasse contro la stella più vicina per smaltirle”.
“NO!!” Il Capitano non riuscì più a trattenersi, scatenando con quella sua esclamazione lo stupore del capocuoco, che chiese: “Prego? Ho detto qualcosa di sbagliato, Capitano?” Waresso cercò di porre rimedio al suo atto inconsulto: “No, scusi, volevo semplicemente dire che anche se la faccenda prenderà, diciamo così, una brutta piega, lei non ha alcuna autorizzazione a prendere iniziative personali.
Chi ha e avrà sempre l’ultima parola sul destino dei soggetti prelevati sono io”.
A queste parole del suo capitano, però, il capocuoco si dimostrò leggermente contrariato “Beh, certo, il capitano è lei, signore, ma con tutto il rispetto… Sono poco più che bestie, non vedo alcuna utilità nel tenerle a bordo nel caso si rivelassero indigeste.
E che razza di bestie! Non mi sembrano adatte a fare da animali da compagnia, da quando le hanno portate qui sotto non hanno smesso un secondo di sbraitare con quella loro fastidiosissima e stridula vocina in quel loro stranissimo idioma, hanno un caratteraccio tremendo e hanno cercato di aggredire uno dei mozzi, ho dovuto sedarle tutte prima di procedere alla mattazione dell’esemplare destinato ad essere servito.
Al momento, vista la loro mole e il loro peso direi che la loro unica utilità è quella di zavorra”.
Il Capitano stava facendo molti sforzi per trattenersi e non sferrare un poderoso pugno contro la mascella del capocuoco, ma alla fine l’unica cosa che disse fu: “Noto per caso una punta di insubordinazione nelle sue parole?” Il capocuoco impallidì (se si può utilizzare questo termine, visto il tipo e il colore di pelle dei Sibissiriani), si mise sull’attenti e, con tono di profondo imbarazzo rispose: “No, signore, mi scusi, non volevo essere impertinente”.
“Bene, allora si taccia e faccia come le ho detto.
Io vado nel mio alloggio”.
“Ma come, Capitano? Tra poco il pranzo sarà pronto e le ho riservato il taglio migliore”.
“No, grazie, lo ceda pure al Comandante Sklys o al Locago Nelu se vuole.
Io non credo di sentirmi tanto bene, mi accontenterò di una razione preconfezionata”.
Il Capitano voltò le spalle al capocuoco e lo lasciò alle sue elucubrazioni ad alta voce: “E va bene, allora vediamo, questi qui li metto nel forno, queste altre le macino e le friggo… E questi qui? Mah, penso proprio che li bollirò”.

* * *

Il Capitano Waresso rimase a lungo assorto nei suoi pensieri dopo aver consumato in fretta il suo frugale pasto surrogato.
Attivò gli ologrammi della videosorveglianza per vedere come stava procedendo il pranzo del suo equipaggio.
A quanto pare c’era euforia tra i fortunati ai quali era toccata in sorte la nuova pietanza, che stavano suscitando la fortissima invidia di coloro che anche oggi dovevano sorbirsi la solita sbobba.
Waresso attivò l’audio come per sentirsi parte di quello che stava accadendo in mensa.
Le parole di un centinaio di uomini invasero la stanza del capitano: “Mmmm, che buono!” “Che sfortuna, anche oggi dovrò ricorrere agli integratori se voglio arrivare in piedi alla fine del mio turno!” “Ma è fantastico!” “Iella nera, mi è toccata la solita robaccia!” “Un sapore eccezionale!” “Meglio turarsi il naso e mandare giù!” “Ehi, cuoco della malora! Finalmente ce l’hai fatta a cucinare qualcosa di decente!” “Il rancio di oggi sembra avere un sapore anche peggiore!” “Prenda pure un po’ del mio se vuole, signor Locago!” “No, grazie, Decano, ho già fatto il bis e sono pieno!” “Se gli abitanti di questo postaccio sono tutti così deliziosi i problemi delle nostre famiglie a casa sono finiti!” “Una delizia!” “Questa parte con l’osso è fenomenale!” Waresso spense tutto dopo poco più di un minuto passato ad ascoltare e osservare, si alzò dalla sua scrivania e si avviò verso la sua branda, dove si sdraiò e rimase immerso nei suoi pensieri osservando il grigio e piatto soffitto.
“Come siamo arrivati a tutto questo?”, si chiese.
Ma ogni volta che si faceva questa domanda, una domanda che si faceva sempre più spesso, la risposta gli balenava subitanea in mente.
“Eh, certo, quello che è successo otto anni fa.
Ma no, che dico, il motivo andrebbe fatto risalire a molto più in là nel tempo, ma che dico, alla nostra stessa natura”.
A Waresso venne in mente tutta la storia dei Sibissiriani, a cominciare da eoni addietro, quando l’Impero non esisteva e i Sibissiriani non erano l’unica razza ad abitare il loro pianeta.
Spinti dalla loro insaziabile fame di carne, i Sibissiriani assoggettarono una dopo l’altra le altre razze che popolavano il pianeta, riducendole in schiavitù e utilizzandole senza farsi troppi scrupoli per scopi alimentari.
I Sibissiriani già all’epoca consideravano inferiore tutto ciò che non apparteneva alla loro razza, e la sequela di vittorie militari ottenuta contro le altre razze non fece che avvalorare questa loro credenza.
Poi, dopo un periodo di difficoltà e lotte intestine, arrivò l’Inviato dell’Immensa e Munifica Dea Madre, il primo Imperatore, Vuq l’Indistruttibile, che dopo aver annientato tuti i dissensi diede il via all’Eterna Crociata, che si concluse secoli dopo con l’assoggettamento di tutto il pianeta da parte dei Sibissiriani.
Poi arrivarono la pace e il progresso scientifico… E le prime carestie.
Dopo millenni di sfruttamento indiscriminato delle proprie risorse alimentari (di qualunque tipo fossero), e la graduale estinzione di tutte le razze assoggettate, i Sibissiriani stavano seriamente rischiando di esaurirle e di estinguersi lentamente per fame.
Se volevano continuare a prosperare, i Sibissiriani, dovevano continuare a espandersi o perire.
Ovviamente scelsero la prima strada.
Ce ne era un’altra? Forse sì, ma a quanto pare nessuno si impegnò più di tanto a cercarla.
L’espansione era la via più facile, c’erano i mezzi e le possibilità, perché non intraprenderla? Pianeta dopo pianeta, sistema dopo sistema, la brutalità dell’Impero iniziò a diffondersi nella galassia come un morbo inarrestabile.
Sembrava che nulla potesse fermare i feroci guerrieri sibissiriani, fino a quando, otto anni prima dell’inizio della missione dell’Ongda, non accadde l’impensabile.
Una flotta sibissiriana prese d’assalto un pianeta i cui abitanti praticavano la non violenza e non erano dotati di alcuna forza armata, e, attirata dal succulento boccone indifeso, rapì un grandissimo numero dei suoi abitanti.
Qualche tempo dopo iniziarono ad arrivare all’Imperatore in persona ultimatum da parte di una fantomatica Coalizione dei Sistemi Associati.
In essi era riportato che il rapimento degli abitanti di quel pianeta era da considerarsi a tutti gli effetti un atto di guerra, e che se gli sfortunati non fossero tornati immediatamente dalle loro famiglie, la Coalizione dei Sistemi Associati avrebbe provveduto a muovere immediatamente guerra all’Impero Sibissiriano.
Tutti gli ultimatum vennero miopemente cestinati senza pensarci due volte.
Tanto, fino a quel momento nessuno si era rivelato un avversario degno per l’Impero, se questa cosiddetta Coalizione avesse voluto la guerra, la guerra avrebbe ottenuto, e poi, anche volendo sistemare le cose in modo pacifico era impossibile, perché ormai i pacifici abitanti di quel pianeta erano già da tempo finiti sulle tavole dei Sibissiriani.
Fu così che iniziò la Grande Guerra.
La Coalizione però si dimostrò fin dal primo momento un avversario fuori portata: essa raccoglieva un numero sproporzionato di sistemi stellari e innumerevoli razze, cosa che le permetteva di schierare il decuplo delle forze a disposizione dell’Impero, le sue navi erano più veloci, più corazzate e dotate di armi più potenti rispetto alle navi sibissiriane, le armi delle sue sconfinate fanterie erano più avanzate di qualche decennio rispetto alle loro controparti imperiali.
Tutte le colonie dell’Impero caddero una dopo l’altra, sommerse dalla marea d’acciaio della Coalizione, ma nonostante questo l’Imperatore rifiutò sdegnosamente tutte le offerte di pace, facendo capire alla Coalizione che l’unico modo possibile per finire quella guerra era ottenere la resa totale e incondizionata dell’Impero.
La morsa della Coalizione si strinse sempre di più, fino a quando le sterminate flotte della coalizione non si palesarono intorno al pianeta natale dei Sibissiriani, sottoponendolo immediatamente ad un serratissimo blocco navale.
Nulla riusciva ad entrare e nulla riusciva ad uscire, e diversi contingenti di truppe della Coalizione erano già sbarcati sul pianeta.
Le risorse si stavano esaurendo rapidamente, la gente era al collasso e moriva di fame per le strade.
L’Impero era ormai l’ombra di sé stesso e le voci di una guerra civile tra una fazione favorevole alla pace e una a favore della guerra a oltranza si facevano sempre più insistenti col passare dei giorni.
L’ultima speranza dell’Impero era perciò posta sull’Ondga e su altre cinque navi inviate ad esplorare porzioni di cosmo sconosciute, così da poter cercare nuove fonti di sostentamento per l’Impero e rendere possibile il continuamento della difesa della madrepatria.
Waresso aveva perso da tempo il contatto con le altre navi, principalmente a causa della distanza siderale che separava un vascello dall’altro.
“La mia unica soddisfazione è che a quanto pare almeno la mia missione è riuscita”, pensò, “torneremo a casa, ci accoglieranno come eroi, organizzeremo una flotta di violatori di blocco che faccia la spola tra qui e il nostro pianeta, la nostra gente a casa smetterà di soffrire… Ma io non farò parte di tutto questo.
Basta, non ce la faccio più, sono arrivato praticamente al limite.
Se è vero quello che ho sentito dire, l’anno prossimo, dopo 37 anni di onorato servizio in prima linea, verrò finalmente promosso ammiraglio, e allora mi tirerò fuori da tutto questo.
Chiederò un incarico a terra, magari una cattedra in una scuola ufficiali.
Sono stanco della guerra, sono stanco dell’Impero, sono stanco di tutto.
Se anche per puro miracolo riuscissimo a vincere contro la Coalizione, fino a quando potremo andare avanti per la solita vecchia strada che stiamo percorrendo dagli albori della nostra specie? Oggi è la Coalizione, ma domani chissà? Un giorno o l’altro pesteremo di nuovo un piede più grosso del nostro, e allora decreteremo la nostra fine e ci andremo incontro ridendo ed esultando. Forse ci meritiamo davvero questa sconfitta, magari ci darà la possibilità di un nuovo inizio.
Non voglio rivoltarmi contro il mio stesso Imperatore, anche perché non so quanti alleati potrei avere in questa mia follia, ma più vado avanti e più mi sembra che non ci siano altre vie d’uscita.
Ah, questa guerra… Questa maledetta guerra… La guerra… La guerra… La guerra… La guerra…” La guerra fu l’ultimo dei pensieri del Capitano Waresso, prima che lo cogliesse il sonno.
E col sonno, come avveniva ormai da qualche anno, arrivarono gli incubi.
Waresso vide sé stesso che subiva una punizione corporale all’accademia ufficiali e la morte di un suo compagno di corso durante un’esercitazione con munizioni vere.
Poi si rivide durante la sua prima missione con un incarico di comando, alla testa di una squadriglia di caccia durante l’assalto ad un pianeta che sarebbe diventato una colonia dell’Impero, tanti anni prima dell’inizio della guerra contro la Coalizione.
Ma quella missione si rivelò un disastro, il pianeta era coperto da una fitta rete di sistemi contraerei sfuggita all’intelligence, che falcidiò uno dopo l’altro i commilitoni di Waresso, che, sempre da una prospettiva esterna, assistette di nuovo al momento in cui faceva rapporto, scosso e sconsolato, assieme all’unico sopravvissuto della squadriglia, ai suoi superiori, che cercavano di spiegargli che aveva dato il massimo e fatto tutto il possibile, e che quindi non aveva nulla di cui rimproverarsi.
Poi Waresso rivisse la battaglia contro la Coalizione sull’ultima colonia rimasta all’Impero, per quanto la parola più adatta a descrivere quel tremendo fatto d’arme in realtà era massacro.
Il Capitano rivide le supercorazzate della Coalizione comparire a sorpresa una dopo l’altra nel cielo della colonia e iniziare un bombardamento planetario a tappeto.
Una di esse prese di mira lo spazioporto dove si trovava Waresso, gremito di uomini e navi di ogni tipo assembrate lì in vista di un’altra inutile battaglia volta ad evitare l’inevitabile, cioè che le navi della Coalizione arrivassero in vista del pianeta natale dei Sibissiriani.
I cannoni della supercorazzata aprirono il fuoco contro le navi a terra, che, con gli scudi abbassati e con gli equipaggi non al completo, non poterono difendersi in modo adeguato ed iniziarono a saltare in aria una dopo l’altra sotto i potentissimi colpi delle artiglierie della Coalizione.
“Fate alzare quelle navi! Fate alzare quelle navi!! Per la Dea, fate alzare quelle navi e ritiriamoci, o la Flotta Imperiale non esisterà più e la guerra sarà perduta!!!” L’ammiraglio al comando della flotta ospitata dallo spazioporto urlava in preda ad una furia inusitata, e Waresso si precipitò verso la fregata di cui aveva il comando, ma quando arrivò non trovò altro che un rottame in fiamme attorno al quale giacevano i resti senza vita di quello che fino a qualche momento prima era il suo equipaggio.
Il Capitano, sconvolto e atterrito, rivolse lo sguardo al cielo, e l’ultima cosa che vide prima che un esplosione gli facesse perdere i sensi fu un incrociatore imperiale che speronava con i motori a tutta forza la supercorazzata della Coalizione, nella speranza che questa sua mossa suicida ponesse un freno al bombardamento.
Per un po’ Waresso non vide altro che buio nel suo sogno, ma poi, uno dopo l’altro, iniziarono a comparirgli davanti tutti coloro che aveva visto morire da quando aveva iniziato il suo servizio militare.
Amici, nemici, persone conosciute e sconosciute, gli comparvero davanti perfino i profughi che si trovavano a bordo di una nave da carico che non aveva fatto in tempo a salvare dalla furia della Coalizione.
Così come comparivano, questi fantasmi scomparivano dopo aver rivolto a Waresso le accuse più disparate: “Tu mi hai ucciso!” “Perché non mi hai salvato?” “Guarda cosa mi hanno fatto a causa tua!” “Perché non hai detto ai tuoi uomini di non sparare? Ormai mi ero arreso!” “Potevi aiutarmi e non l’hai fatto!” “Assassino!” “Ti scongiuro, fa qualcosa!” “Animale!” “La tua incapacità mi è costata la vita!” “Saresti dovuto morire al posto mio!” “Criminale!” “Aiutami, ti prego!” “Ero solo un ragazzino, mi hai visto che tremavo, perché hai premuto lo stesso il grilletto?” “Ti credi un eroe, ma sei soltanto un mostro!” “La colpa è tua e solo tua!” “Salvami!” “Non meriti di essere ancora qui!” “Perché sei rimasto a guardare senza fare niente?” “Se mi avessi guardato meglio le spalle sarei ancora qui!” “Non hai fatto il tuo dovere come dovevi!” “I tuoi figli saranno certamente orgogliosi di quello che hai fatto!” “Sei una bestia!” “Ti ricordi quando ti ho detto che non avevi nessuna colpa? Ho mentito!”, e così via.
Waresso ormai era prostrato in ginocchio, con le braccia intorno al capo, quasi schiacciato dalle parole che venivano scagliate contro di lui.
Rialzò la testa per un secondo e rivide tutta la sua famiglia riunita: sua madre, suo padre, sua moglie, i suoi quattro figli, i suoi fratelli e sorelle… Ma tutti gli voltavano le spalle e non gli rivolgevano neanche una parola.
Solo il suo anziano padre ad un certo punto si girò verso di lui e gli disse: “Figliolo, sono molto deluso da te.
Ti volevo vedere realizzato, è vero, ma a che prezzo? Non mi piace affatto quello che sei diventato”.
“No, padre, aspetta, lasciami spiegare! Vi prego, cercate tutti di capirmi!” Il Capitano si lanciò verso la sua famiglia, ma la trapassò come se fosse fatta di vapore acqueo.
Si girò per cercare di capire cosa fosse successo, ma gli si parò davanti un altro spettacolo: la cella della cambusa dove erano stati messi gli esemplari catturati sul pianeta attorno al quale orbitava l’Ondga.
A fianco alla porta c’era il capocuoco, che con un sorriso beffardo si rivolse a Waresso dicendogli: “Ehi, tu, illuso! Che ti passa per la testa?” Poi si girò verso un pannello di comando, premette un pulsante e il Capitano vedette grazie all’ampia vetrata della cella un gas soporifero inondare il luogo di prigionia di quelle creature, che prima lanciarono urla spaventate, poi iniziarono a tossire e infine si addormentarono una ad una.
Una volta diradatosi il gas, il capocuoco aprì la porta della cella, chiamò a sé uno dei suoi aiutanti, e insieme portarono fuori da essa, con evidenti difficoltà visti gli effetti del composto ipercalorico loro somministrato, una delle sue occupanti.
Trascinarono il suo corpo privo di sensi per qualche metro, poi dal nulla apparve un terzo inserviente armato con una vibroberdica da macellaio, che si avvicinò con fare minaccioso alla creatura svenuta.
Waresso capì cosa stava per succedere, tentò di fare qualcosa, ma una forza misteriosa sembrava impedirgli qualsiasi movimento.
L’inserviente sollevò il suo letale arnese e con un potente e preciso fendente decapitò la poveretta.
Waresso si mise le mani in faccia, ormai travolto dall’orrore e gridò con quanto fiato aveva in corpo: “Nooo! Basta!! Basta!!! Io… Io non voglio più assistere a questo! Ho visto troppi morti per una vita sola! Tutto ciò non ha niente di giusto! Che colpa hanno questi esseri?! Che colpa avevano tutti quelli contro i quali ho usato violenza?! Non sono e non erano affatto animali come vanno cianciando tutti quelli che mi circondano! Dov’è la gloria in tutto questo per l’Impero? Non siamo dei prescelti, siamo dei mostri! Per tutto questo tempo abbiamo creduto che tutto ciò ci avrebbe portato in seno alla Dea Madre quando invece ci stiamo costruendo da soli una strada che porta direttamente al Regno degli Spiriti Oscuri! E io non intendo più prendere parte a tutto ciò!” Durante il suo sfogo il capocuoco e i due inservienti erano rimasti ad osservarlo con un’espressione prima assente e poi rabbiosa, e appena ebbe finito di parlare l’inserviente armato di vibroberdica si avventò contro di lui per farlo a pezzi.
Il Capitano si protesse istintivamente con le braccia, ma il colpo fatale non arrivò.
Quando le abbassò, si ritrovò nella Sala del Trono del Palazzo Imperiale.
Non c’era mai stato di persona, ma sapeva perfettamente come era fatta.
Alzò lo sguardo e vide, assiso su un imponente trono che sembrava brillare di luce propria, dietro al quale si estendeva un enorme mosaico raffigurante l’Immensa e Munifica Dea Madre, e situato in cima ad una scalinata altrettanto imponente che sembrava ascendere al cielo, l’attuale Grande e Divino Imperatore, Leotis XXIV, discendente in linea diretta di Vuq l’Indistruttibile.
Ad affiancarlo c’era la famiglia imperiale al completo, e il Principe Imperiale lo teneva per il braccio destro.
Schierati sui due lati della scalinata c’erano volti che Waresso conosceva bene: i dodici alti ufficiali che componevano l’Alto Consiglio dei Grandi Polemarchi, sei Grandi Stratarchi in rappresentanza dell’esercito e sei Grandi Ammiragli in rappresentanza della flotta, tutti in uniforme di gala; l’Eccelso Decemvirato, il massimo corpo civile dell’Impero; l’Illuminato Araldo Sacro, la massima carica religiosa del Culto dell’Immensa e Munifica Dea Madre; il temutissimo capo della polizia segreta Imperiale, l’Onniveggente-Onnisciente-Onnipresente; alte cariche civili e militari dello stato, dignitari di ogni genere e rango, servitori, dame di compagnia, perfino qualche concubina dell’Imperatore e così via.
All’improvviso, come coordinate da un qualche meccanismo invisibile, tutte queste personalità sembrarono accorgersi della presenza del Capitano Waresso, una nullità in confronto a loro, e voltarono all’unisono il loro sguardo verso di lui, rimanendo a fissarlo in un silenzio innaturale.
Dopo un lasso di tempo che al Capitano parve interminabile, il non plus ultra della società sibissiriana iniziò a sorridere… Ma era un sorriso maligno, che piano piano si trasformò in sghignazzi, che man mano aumentarono di intensità fino a diventare delle risate sempre più fragorose.
Waresso si portò le mani alle orecchie per non sentirle, ma quelle risate gli erano ormai penetrate nel cervello.
La sua sopportazione raggiunse il limite e sbottò contro di loro: “Voi… Voi vi state prendendo gioco di me? Ma come? Dopo tutto quello che ho fatto per voi? Sì, perché tutto quello che ho fatto l’ho fatto per voi! Mi sono macchiato le mani di sangue per voi! Mi sono trasformato in qualcosa che odio per voi! Perfino lei, Grande Ammiraglio Ktaros? Lei mi conosce, ho servito sotto di lei quando era ancora capitano e il suo posto nell’Alto Consiglio era solo un sogno! Basta! Smettetela!! Perché mi state facendo questo?! Io fatto quello che mi avete ordinato di fare! Io ho fatto quello che voi vi aspettavate che facessi!! E l’ho sempre fatto fino in fondo!!! Sì, è vero, ho fatto del male e ho commesso delle ingiustizie, ma io… Io posso cambiare! Sì, posso cambiare e lo farò!! Voi vi credete tutti migliori di me, ma non lo siete affatto…” Il suo monologo però non continuò, perché i suoi incubi si interruppero bruscamente quando si svegliò di soprassalto e col fiato corto.

* * *

La causa del brusco risveglio di Waresso fu l’insistente bussare del Comandante Sklys alla porta della sua cabina: “Capitano! Capitano, mi sente?” “Sì, Comandante, mi scusi, mi ero addormentato senza volerlo.
Cosa sta succedendo?” “Capitano, non so come spiegarmi… Abbiamo un problema”.
“Che genere di problema? Non sarà per caso la Coalizione?” “No, Capitano, ma forse la situazione rischia di diventare altrettanto grave di un incontro inaspettato con le forze della Coalizione.
Appena può mi raggiunga in infermeria”.
“D’accordo, Comandante, ci vediamo lì”.
Il Capitano sentì i passi del Comandante allontanarsi lungo il corridoio.
Si alzò dal letto, si diede una sistemata e, con ancora in mente le immagini dei suoi ultimi incubi, si avviò verso l’infermeria, fuori dalla cui porta ritrovò Sklys.
“Guardi cosa sta succedendo, Capitano”.
Waresso entrò e lo spettacolo che vide non poté non farli esclamare: “Per tutti gli Spiriti Oscuri!” L’infermeria era piena da scoppiare, era come se tutto l’equipaggio si fosse riversato al suo interno.
Tutti sembravano preda di forti dolori, si contorcevano per via di spasmi lancinanti e qualcuno stava anche vomitando.
Il Dottor Oodumi correva da un lato all’altro della stanza, ma sembrava in preda al panico e che non avesse idea di che cosa fare per risolvere quella crisi.
Appena vide Waresso, si fiondò verso di lui: “Capitano! Finalmente è qui! Guardi che cosa sta succedendo!” “Si calmi, dottore, e cerchi di spiegarsi”.
“Il punto è proprio questo, non ho una spiegazione! Ad un certo punto sono arrivati qui mano a mano fino a quando non si è riempita l’infermeria! Più di metà dell’equipaggio mostra gli stessi sintomi, non ho nemmeno lo spazio per ricoverare tutti! Io…” La conversazione venne interrotta dal Locago Nelu, che si palesò da un angolo della stanza facendosi spazio tra i malati e rivolgendo termini poco lusinghieri al medico di bordo: “Imbecille! Idiota! Dottore da strapazzo! Ciarlatano! L’ho capito perfino io cosa sta succedendo, e sì che a scuola non riuscivo mai a raggiungere la sufficienza in scienze! Riconosco i malati uno ad uno! Sono quelli che hanno mangiato la carne di quelle creature catturate dai miei uomini! Sono velenose o qualcosa del genere! Moriremo tutti! Capitano, faccia qualcosa!” Ma fu il Dottor Oodumi a rispondere al Locago: “Non si rivolga a me in questo modo! Avevo già capito che potesse trattarsi di un qualche genere di intossicazione alimentate! Infatti ho già provveduto a recuperare gli avanzi del pranzo per analizzarle, è solo che sono stato colto impreparato dalla quantità di persone che ho dovuto ricoverare! E per l’ultima volta, le avevo detto di rimanere sdraiato! Torni al suo posto e la smetta di urlare! So che state tutti male, ma non dovete preoccuparvi! Non morirà nessuno!” “Cercate tutti di calmarvi!”, intervenne il Capitano, “Dottore, voglio i risultati delle analisi il prima possibile.
Le assegnerò tutto il personale non necessario così da affrontare meglio questa emergenza.
Vado in plancia, questa confusione non mi aiuta affatto a pensare”.
Detto questo, Waresso si allontanò a passo svelto dall’infermeria.

* * *

Passò del tempo, tempo che Waresso impiegò osservando il pianeta attorno al quale orbitava l’Ondga.
La plancia era particolarmente vuota, oltre al Capitano gli unici ad occuparla erano il Comandante Sklys, scampato all’epidemia perché aveva saltato il pranzo, impegnato com’era a sedare una rissa nell’hangar navette, un sottufficiale addetto alle comunicazioni e un marinaio scelto che aveva il compito di controllare tutti i sensori per evitare spiacevoli incontri.
I pensieri del Capitano vennero interrotti dall’arrivo del Dottor Oodumi.
“Salve, Dottore, allora, ci sono novità? Ha scoperto qualcosa?” “Sì, Capitano, allora… A quanto pare ci troviamo di fronte a qualcosa che non si era mai visto.
Che dire, una sfortuna incredibile, in migliaia di anni non era mai successo a nessuno.
I nostri scienziati avevano teorizzato che prima o poi si sarebbe verificata una situazione simile, ma che accadesse a noi…” “Può tagliare corto, Dottore, grazie?” “Ehm, sì, certo, allora, per farla breve, le creature di questo pianeta… Non sono commestibili, nonostante l’ottimo sapore.
Gli amminoacidi, le proteine, i sali minerali, gli zuccheri, i lipidi contenuti all’interno dei loro corpi… Sono di un tipo impossibile da processare e assimilare per un organismo sibissiriano.
Anzi, dirò di più, ci sono elementi che potrebbero addirittura essere nocivi, per non dire letali, per noi.
Mi duole dirlo, ma a quanto pare venendo qui abbiamo solo perso tempo”.
Oodumi non lo sapeva, ma dentro di sé Waresso stava tirando un sospiro di sollievo.
A questo pianeta non sarebbe toccata la triste sorte di diventare una fonte alimentare dell’Impero.
Il dottore continuò il discorso: “Capitano, c’è la possibilità che questa situazione si ripeta con le altre creature di questo pianeta, ma forse non tutto è perduto, magari potremmo organizzare una nuova missione per cercare altri campioni di tipo diverso”.
“Diamo tempo al tempo, Dottore, per adesso pensiamo alla cosa più importante: come stanno gli uomini?” “Oh, non c’è da preoccuparsi, Capitano, fortunatamente siamo riusciti ad intervenire in tempo, si rimetteranno presto”.
“Grazie, Dottore, può tornare in infermeria, se vuole”.
“Grazie a lei, Capitano, ci torno immediatamente, ho parecchio lavoro da fare”.
Il Comandane Sklys aspettò che il medico di bordo uscisse prima di esternare il suo pensiero: “Ma queste analisi non potevano essere fatte prima di far finire fuori combattimento più di metà dell’equipaggio? Abbiamo a malapena gli uomini disponibili per manovrare la nave, in caso d’emergenza ci troveremo nei guai!” Waresso scosse le spalle: “Sto iniziando a pensare che il Locago Nelu non abbia tutti i torti riguardo alle reali capacità del Dottor Oodumi.
Addetto ai sensori, qualche novità?” “No, signore”, disse il marinaio scelto, “questa porzione di spazio è completamente vuota, non ci sono navi di alcun tipo, né amiche né nemi… Aspetti… Rilevo qualcosa, lo stanno lanciando dalla superficie… Ah, ma è solo un altro di quei dannati e primitivi razzi! Come accidenti faceva il tizio che sto sostituendo a fare questo lavoro?” “Suvvia, rimanga concentrato, se la sta cavando egregiamente.
Trasmissioni, qualche contatto?” “Niente, signore, nessun segnale in arrivo, c’è solo questo picco di comunicazioni sul pianeta”.
“Un picco di comunicazioni? Di che si tratta?” “Provo ad intercettare una parte di esse e a visualizzarle sullo schermo della plancia, se vuole”.
“Lo faccia, grazie”.
Sullo schermo comparve una trasmissione video che mostrava dieci immagini del volto di altrettante creature che ormai avevano solo una vaga somiglianza con quelle tenute prigioniere nella cambusa dell’Ondga.
Waresso capì subito cosa stesse succedendo, anche se non comprendeva neanche una parola di quello che stava venendo detto: “Le stanno cercando in tutto il pianeta, ma perché? Accidenti, cosa hanno combinato gli uomini di Nelu?” “Probabilmente erano personaggi in vista”, disse Sklys, “abbiamo avuto sfortuna anche in questo, e dire che non dovevamo lasciare tracce”.
Il sottufficiale addetto alle comunicazioni intervenne: “Signore, posso suggerire di accompagnarle all’hangar navette, depressurizzarlo e spedirle nello spazio? Giusto per risparmiarci la fatica di ridurle in pezzi abbastanza piccoli da non intasare i condotti dei rifiuti.
Ci pensi, Capitano, risolveremo la questione in quattro e quattr’otto: potremo finalmente andarcene da questo maledetto pianeta a tutta velocità e placare la rabbia dell’equipaggio dandogli le teste di quelle cose.
L’unica cosa di cui mi dispiace è dover tornare a casa carico di brutte notizie”.
Waresso ascoltò quasi allibito quel discorso, ma il sottufficiale andò avanti: “Non vedo modo migliore per risolvere la questione, tanto che ci importa delle questioni di quei primitivi laggiù? E poi ormai di quelle ne abbiamo già ammazzata una”.
“Già”, pensò il Capitano, “un altro danno al quale non potrò porre rimedio”.
Avrebbe voluto scatenare la sua rabbia contro quel sottufficiale, ma preferì rimanere in silenzio e sedersi a pensare sulla poltrona di comando.
Dopo qualche attimo di silenzio collegò lo schermo della plancia al sistema di sicurezza e si sintonizzò sulla cella della cambusa dove venivano tenuti gli esemplari.
Sebbene fossero rimaste soltanto in nove, gli effetti del composto che avevano dovuto ingurgitare a forza le creature rapite avevano fatto sì che queste occupassero quasi tutta la cella con la loro stazza, e siccome la mancanza di spazio impediva loro di girare liberamente per essa, non potevano fare altro che rimanere sedute sulle panche della cella con addosso quello che rimaneva dei loro vestiti, ridotti in stracci dal repentino e massiccio aumento di peso subìto, alzandosi in piedi di tanto in tanto.
“Capitano, volendo può anche attivare l’audio se lo ritiene di qualche utilità, il traduttore è riuscito finalmente a decifrare quella specie di lingua franca che utilizzano per parlare tra di loro”.
Così fece, e nella plancia risuonarono le voci di quelle sventurate.
Pianti, strepiti, urla, singhiozzi, suppliche, preghiere, invocazioni e frequenti lamenti sulla loro nuova condizione di forte obesità: “La mia carriera è finita!” “Ma chi se ne frega della carriera, la nostra vita è finita! Non potremo più farci vedere in giro, i nostri fidanzati ci lasceranno e sarà un miracolo se riuscirò a entrare nel mio monolocale senza rimanere incastrata nella porta!” “Se mai ne uscirò viva tornerò dalla mia famiglia e cercherò di fare la pace con loro!” “Non torneremo mai più a casa!” “Oddio Stefania, guardati, sei enorme!” “Pensa a te, piuttosto, Josie! Sei indistinguibile da un lardoso ippopotamo!” “Piantatela voi due, siete capaci di litigare anche in questa situazione!” “Non ne posso più, devo uscire di qui!” “Voglio tornare a casa!” “Non sfilerò mai più!” “Mamma mia, sono un mostro, un dirigibile!” “E io che dovrei dire? Sembro un pachiderma! Non riesco più a vedermi i piedi!” “Sono morta e sono all’inferno, deve essere per forza così!” “Ma perché siamo qui?” “Cosa vogliono da noi questi mostri?” “Perché ci hanno fatto diventare delle ributtanti ciccione?” “Sei sempre stata un’insopportabile oca svampita, Darija! Ancora non l’hai capito che vogliono mangiarci? Ci hanno messe all’ingrasso! Nessuna si è ancora chiesta che fine abbia fatto Sophie?” “Giusto, dove è finita?” “Ho paura!” “Cosa le avranno fatto?” “Non è vero, non è morta, magari l’avranno solo spostata, vedete che qui dentro ci entriamo a malapena?” “No, ci ammazzeranno una ad una!” “Faremo una fine orribile!” “Toccherà a tutte noi!” “Io non la volevo neanche fare la modella, è stata mia mamma a spingermi!” “Ehi Josie, a giudicare da come ha fatto bene effetto su di te quella robaccia che ci ha trasformato in pachidermi direi che sarai la prossima a finire sul menù!” “Stefania, sei sempre e solo stata una…” Il Capitano Waresso spense improvvisamente lo schermo.
Quei lamenti stavano iniziando a ricordargli terribilmente quelli che sentiva nei suoi incubi.
Osservò di nuovo quel pianeta azzurro che si stagliava davanti a lui oltre la vetrata della plancia, poi si rivolse al Comandante Sklys e gli chiese: “Come si chiama questo pianeta?” “Prego, signore?” “Qualcuno sa come si chiama questo pianeta?” “Non vedo che importanza abbia, Capitano, comunque sia non le saprei dare una risposta univoca.
A quanto pare gli abitanti di questo pianeta non hanno ancora sviluppato un linguaggio comune a tutti.
Per esempio, nell’area dove gli uomini del Locago Nelu hanno prelevato quelle donne, questa grossa città chiamata… Mi-la-no? Credo di averlo pronunciato bene… Questo pianeta viene chiamato Terra”.
“Terra…” Waresso rimase per un po’ di tempo con quel nome impresso nella mente, poi si alzò dalla poltrona e disse: “Ho deciso.
Riporteremo quelle donne sulla… Terra”.
Mentre gli altri due presenti nella plancia scuotevano il capo mormorando, Sklys provò ad obiettare: “Capitano, ne è sicuro? Non credo che abbiamo abbastanza uomini per organizzare uno sbarco sulla superficie”.
“Non si preoccupi, Comandante, ho intenzione di scendere anche io, e poi cercheremo di rimanere su quel pianeta il meno possibile.
Devo solo sistemare alcune cose prima di partire…” Si avvicinò all’interfono e chiese: “Ufficiale Tecnico?” Qualche secondo dopo si sentì la risposta: “Sì, Capitano?” “Per caso ha scoperto che cosa ha causato il guasto delle tute occultanti?” “Certo, Capitano, nulla di più semplice, a quanto pare le tute non riescono a mantenere attiva la funzione occultante per più di un determinato lasso di tempo, dopodiché vanno in sovraccarico e si disattivano”.
“E se ne volessi avere qualcuna per una squadra da sbarco?” “Beh, non c’è problema, le preparerò quelle rimaste ancora inutilizzate, cercherò di prolungare la durata dell’occultamento, ma il problema rimarrà, perciò se ne ricordi”.
“Grazie, Ufficiale Tecnico”.
Waresso chiuse la comunicazione e ne iniziò un’altra: “Dottore, mi riceve?” “Sì, Capitano”.
“Ho deciso per il rilascio dei soggetti prelevati, vorrei sapere se c’è un modo per riportarle allo stato in cui le abbiamo trovate”.
“Rilascio? Davvero? Beh, comunque temo di non poter soddisfare la sua richiesta, Capitano, se davvero le libereremo dovranno abituarsi alle condizioni in cui si trovano ora.
Ma non si preoccupi, l’effetto del composto è terminato, non aumenteranno ulteriormente di peso (a meno che non ci mettano del loro, ovviamente, ma questo non ci riguarda).
Piuttosto, visto che abbiamo deciso di liberarci di quelle donne, posso suggerire di modificare i loro ricordi così che non parlino di noi con nessuno? Ho qui in infermeria un macchinario sperimentale che…” Ma Oodumi non poté completare il discorso, perché venne bruscamente interrotto dal Capitano: “Lasci stare, Dottore, non credo che ne avremo bisogno, grazie comunque”.
Waresso chiuse la comunicazione e iniziò a lamentarsi ad alta voce: “Ne ho abbastanza di apparecchiature sperimentali, non solo abbiamo fatto fare una fine orribile a una di loro inutilmente e le abbiamo rovinate nel fisico, adesso dovrei pure rovinare la loro mente nel caso qualcosa non funzioni”.
“Signore, ma perché si da tanta pena per queste sottospecie di sgualdrine intergalattiche?”, chiese il marinaio scelto.
La domanda lasciò quasi impietrito Waresso, in soccorso del quale intervenne il suo primo ufficiale: “Moderi il linguaggio, lei! Capitano, capisco che è amareggiato, lo siamo tutti, ma forse usare quel macchinario di cui parlava il dottore non sarebbe una cattiva idea.
E se si ripetesse ciò che è accaduto otto anni fa?” “Comandante, la mia decisione l’ho già presa.
E poi ci pensi bene: al punto in cui ci troviamo ora sarebbe del tutto ininfluente rendere nota la nostra presenza in questa parte dell’universo alla Coalizione… O a chiunque altro.
Tra l’altro abbiamo ampiamente appurato tramite le nostre osservazioni che la… Terra (mi fa ancora strano pronunciare questo nome) non sia assolutamente a conoscenza del fatto che esistono civiltà spaziali molto più avanzate di quelle che ospita sulla sua superficie.
Quelle donne racconteranno una storia stranissima su di noi, forse verranno prese per pazze, forse verranno credute (cosa plausibilissima viste le condizioni in cui torneranno a casa) e nella peggiore delle ipotesi i loro simili ci cercheranno per ottenere vendetta per la morte della donna di cui siamo nutriti, ma in quel caso non arriveranno a nulla, primo perché non hanno i mezzi per farci nulla e secondo perché saremo già partiti per non tornare mai più”.
Waresso poi sospirò e disse: “Credo che abbiamo perso già abbastanza tempo in chiacchiere, lascio a lei il comando, Sklys, dia l’ordine di sedare quelle donne e di metterle su una navetta”, uscì dalla plancia e si mise a setacciare l’Ondga alla ricerca di uomini che potessero accompagnarlo sulla Terra.

* * *

Finalmente Waresso poté tornare in plancia, dove trovò ad accoglierlo il suo primo ufficiale.
“Allora, Capitano? Tutto a posto?” “Direi di sì, Sklys, le abbiamo lasciate nei pressi di un piccolo centro abitato, si sveglieranno tra poco, a meno che qualcuno non le trovi prima”.
“Ottimo, signore”.
“Beh, credo proprio che qui abbiamo finito”.
“Già, e purtroppo dobbiamo registrare un fallimento su tutti i fronti”.
“Mi permetto di dissentire, Comandante, qualcosa che ha funzionato c’è: quello stramaledettissimo intruglio ipercalorico.
Ci siamo quasi spaccati la schiena a trasportare in giro quelle povere disgraziate”.
“Un risultato ben misero che non credo ci sarà di qualche utilità”.
“Se devo essere sincero, Sklys, il mio unico rimpianto è non aver potuto…” Il Capitano non poté terminare il suo pensiero, perché l’addetto ai sensori pro tempore attirò la sua attenzione: “Capitano! Una nave si sta avvicinando al nostro quadrante!” “Di chi si tratta?” “Ancora non lo so, signore, ma sta procedendo a velocità di crociera senza utilizzare l’occultamento, riuscirò ad identificarla… Adesso! Ma che… Per la Dea! Una corazzata della Coalizione!” “Per tutti gli Spiriti Oscuri!”, sbottò il Comandante Sklys, “Abbiamo commesso lo stesso errore di otto anni fa! Avevo ragione io! Gli abitanti di questo pianeta sono in contatto con la Coalizione e l’hanno avvertita di quello che è successo!” “La prego Comandante, si calmi”, intervenne l’addetto alle comunicazioni, “non c’è traccia di comunicazioni tra la nave nemica e il pianeta, anzi sembra che stia lanciando delle contromisure per nascondere la propria presenza agli abitanti della superficie”.
“Sanno della nostra presenza?”, chiese Waresso.
“No, signore, ma si sono messi a scandagliare tutta la zona, anche con l’occultamento attivo è solo questione di tempo prima che ci trovino… E ci annientino”.
“Allora andiamocene da qui, e anche in fretta.
Allarme giallo, tutti ai posti di combattimento, Comandante, prenda il timone e lasciamo questo maledetto posto per sempre”.
“Agli ordini , signore! Si torna a casa?” “Non abbiamo altra scelta”.
L’Ondga schizzò via lasciandosi alle spalle la minacciosa corazzata, che non si accorse minimamente della presenza del piccolo vascello sibissiriano.
Quando la corvetta fu a distanza di sicurezza dalla nave della Coalizione e ben al di fuori della portata dei suoi possenti cannoni, il Capitano Waresso, che fino a quel momento era rimasto in un teso silenzio, riprese a parlare: “Revocare l’allarme giallo.
Addetto alle comunicazioni, proviamo a metterci in contatto con le altre navi della missione e cerchiamo di capire se sono state più fortunate di noi, ormai dovremmo essere alla distanza giusta per poter ricevere i loro messaggi”.
“Quando vuole, Capitano, mi sono sintonizzato su una frequenza criptata”.
“Bene, grazie… Parla il Capitano Waresso della corvetta Ondga della Flotta Imperiale Sibissiriana.
C’è qualcuno in ascolto? La nostra missione si è rivelata un fallimento, abbiamo trovato delle forme di vita, ma si sono rivelate non commestibili e di conseguenza inutili allo sforzo bellico dell’Impero.
Stiamo tornando alla base dopo che più di metà dell’equipaggio è caduto vittima di un’intossicazione alimentare.
Desidererei conoscere l’andamento della missione e un rapporto sulla situazione”.
Nessuno rispose.
“Forse siamo ancora troppo lontani dalle altre navi, signore”, disse l’addetto alle comunicazioni, ma all’improvviso iniziarono ad arrivare i messaggi dei capitani che partecipavano alla missione: “Qui è il Capitano Sirak della corvetta Akai Jisum.
Anche la nostra missione è stata un fallimento, il sistema stellare a noi assegnato si è rivelato completamente privo di vita, se escludiamo qualche batterio estremofilo.
Stiamo ripiegando anche noi”.
“Qui è il capitano facente funzioni Tares della fregata leggera Tiexonem.
La missione si è conclusa in un disastro! Appena siamo arrivati nel sistema stellare assegnatoci sono comparse navi della Coalizione ovunque, era come se ci stessero aspettando! Ci siamo salvati quasi per miracolo, tutti gli ufficiali sono morti e la nave ha subito danni gravissimi.
Non possiamo fare altro che tornare a casa.
Inutile che cerchiate di contattare la Nefuf, è andata distrutta per non so quale motivo”.
“Qui è il Capitano Banedo dell’incrociatore protetto Mudi Nusmodi.
L’unico pianeta abitabile presente nel sistema stellare che dovevamo esplorare si è rivelato essere un pianeta oceano popolato solo da inutili alghe e organismi pluricellulari invisibili a occhio nudo.
Ci ritiriamo anche noi”.
“Qui è il Capitano Orlak della corazzata Teomu Deos.
Non si può dire che abbiamo avuto miglior fortuna: quando siamo arrivati nel sistema stellare di nostra competenza lo abbiamo trovato popolato da una civiltà con una tecnologia quasi pari alla nostra che si è immediatamente dimostrata ostile nei nostri confronti.
Siamo riusciti a tenerli a bada e ritirarci, ma nelle condizioni in cui si trovano la flotta e l’Impero sarà impossibile ricavare qualcosa da questo sistema.
Torniamo alla base”.
“Grazie a tutti, Waresso chiude”.
“Beh, che dire, Capitano, senza più cibo se la guerra non è finita poco ci manca”.
“Era un’impresa disperata fin dall’inizio, Comandante Sklys, avremmo dovuto aspettarcelo fin dall’inizio.
Comunque sia sa meglio di me che questa guerra non finirà fino a quando non lo deciderà l’Imperatore”.
“Già, ma che faremo adesso?” “Beh, prima di tutto dobbiamo trovare un modo per eludere di nuovo il blocco planetario”.
“Giusto, speriamo che l’equipaggio si rimetta in tempo per l’arrivo in patria”.
“E poi… Per quanto riguarda me… Diventerò Nonsenzientariano”.
“Prego, scusi? Questo è un termine che credo di non aver mai sentito prima”.
“Corretto, Comandante, magari più tardi le spiegherò tutto.
Adesso vado nel mio alloggio, se le serve qualsiasi cosa mi avverta”.
Uscì dalla plancia lasciando perplessi i suoi occupanti.
Ebbene sì, dopo tutto quello che aveva visto negli ultimi giorni, e in generale quello che aveva visto durante la sua vita, il Capitano Waresso decise che anche se la sua fisiologia lo condannava ad una dieta prettamente carnivora, perlomeno da quel momento in poi non si sarebbe più nutrito di esseri senzienti.
Con ancora nel cuore il dolore provocatogli dalla morte inutile di quella donna e con l’amara consapevolezza che non avrebbe potuto mai più porre rimedio a quella spiacevolissima situazione, Waresso rimase assorto nei suoi pensieri a guardare dall’oblò del suo alloggio, cercando inutilmente con lo sguardo la Terra, ormai troppo lontana dall’Ongda per poter essere individuata senza l’ausilio di qualche strumento tecnico.

Generalissimus

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