Ridotto Alpino Repubblicano  

Aprile 1945: Mussolini riesce a raggiungere il ridotto della Valtellina 

di Massimiliano Paleari


Riassunto: In questo racconto ucronico si immagina che Mussolini, al termine del conflitto mondiale, riesca a raggiungere la Valtellina dove nei mesi precedenti erano state approntate efficienti opere difensive. Mussolini quindi non finisce fucilato a Dongo. Niente Piazzale Loreto. Il Duce, dopo una resistenza protratta per alcuni mesi e tra alterne vicende, finisce i suoi giorni in tranquillo esilio in Spagna, mentre Re Umberto II, il cui prestigio viene accresciuto dal ruolo diretto da lui svolto nella liberazione della Valtellina, vince il referendum istituzionale. L'Italia resta quindi una Monarchia.

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Nel giugno del 1944 gli Alleati entrano in Roma e avanzano risolutamente verso il nord della penisola. Per Mussolini e per le massime autorità della Repubblica Sociale Italiana si prospetta l'incubo di un rapido crollo dell'intero fronte italiano, con i Tedeschi in ritirata verso le Alpi.

La prospettiva di seguirli in Germania in un incerto e penoso esilio, scavalcato magari dagli oltranzisti filonazisti alla Farinacci (come accadde in effetti al Maresciallo Pétain a Siegmaringen) non entusiasma Mussolini, che sa di perdere in queste modo i pur esigui spazi di manovra politica e personale di cui può disporre ancora a Salò.

In realtà l'avanzata alleata verrà prima rallentata e poi fermata dai Tedeschi sulla Linea Gotica o poco più a nord. La guerra in Italia doveva prolungarsi per un altro inverno e la liberazione del nord si ebbe solo alla fine di aprile del 1945.

Lo stesso movimento partigiano, molto attivo nell'estate e all'inizio dell'autunno del 1944 anche nella prospettiva di una rapida avanzata alleata (famosi gli episodi delle zone libere: tra tutte la Repubblica di Montefiorino, la Repubblica dell'Ossola, la città di Alba e le Langhe), subisce duri colpi e passa sostanzialmente sulla difensiva durante l'inverno 1944-1945.

La fine politica e militare della Repubblica sociale Italiana e quella fisica dello stesso Duce vennero quindi rinviati di alcuni mesi.

Ma torniamo all'estate del 1944. Pavolini, segretario del PFR (Partito Fascista Repubblicano) e strenuo assertore della lotta antipartigiana ad oltranza (sua l'idea di militarizzare gli iscritti al Partito nelle Brigate Nere) fa propria un'idea già circolata in ambienti della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) e propugnata anche dal Federale di Milano Costa: propone di realizzare in Valtellina un estremo ridotto difensivo della RSI dove trasferire il Governo e almeno 50.000 uomini pronti a fare quadrato intorno al Duce qualora gli Alleati riescano a dilagare nella Pianura Padana.

Per quanto riguarda l'ubicazione del ridotto, vengono scartate alcune proposte alternative: la Valle d'Aosta (confinante con la Francia, ci si sarebbe trovati tra due fuochi con gli Angloamericani in arrivo dal Piemonte e le truppe golliste prementi da est, senza contare la presenza partigiana in valle rafforzata da componenti autonomiste e filofrancesi); la città di Milano (presa in considerazione dallo stesso Mussolini per il suo significato politico in quanto culla del fascismo, ma considerata dai militari una trappola indifendibile e scartata anche per le pressioni in tal senso del Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, venuto a conoscenza dei propositi di fare di Milano la "Stalingrado" del fascismo repubblicano); la zona attorno a Savona (soluzione caldeggiata dal Generale Farina, comandante della Monterosa, una delle 4 divisioni della RSI addestrate in Germania, che aveva intenzione di proteggere il Duce fino all'arrivo degli Alleati, sottraendolo così alla prevedibile e temuta giustizia sommaria dei partigiani).

La Valtellina d'altro canto presentava innegabili vantaggi: si trovava in posizione baricentrica rispetto ai residui centri nevralgici politici e militari della RSI, per cui l'afflusso verso essa di forze fasciste in ritirata era in qualche modo facilitato dalla non eccessiva distanza; aveva (ed ha) alle spalle la neutrale Svizzera, da cui non si palesavano pericoli, almeno pericoli immediati, ma al contrario la possibilità di ottenere pur limitate forniture di generi di prima necessità; per la sua conformazione, gli accessi alla Valle si prestano bene alla difesa; in caso di sfondamento, sarebbe stato possibile approntare linee di difesa più arretrate, anche in alta Valle dopo la caduta di Sondrio; le stesse aree adiacenti a sud della Valtellina (alto lago di Como, valli bergamasche, alto bresciano) si prestavano bene ad una prima azione ritardatrice dell'avanzata alleata, dal momento che gli Angloamericani non avrebbero potuto dispiegare pienamente in aree montane e lungo il lago la loro preponderante superiorità in uomini e soprattutto in mezzi; la Valtellina comunica inoltre attraverso il Passo dello Stelvio con il Sud Tirolo (o Alto Adige), che sarebbe presumibilmente diventato il bastione sud del ridotto alpino vagheggiato dai Tedeschi, consentendo così fino all'ultimo un collegamento con l'alleato germanico; in Valtellina si trovavano anche centrali idroelettriche in grado di fornire energia necessaria al funzionamento di alcuni opifici industriali; infine, in caso estremo il Duce e gli altri gerarchi avrebbero potuto sempre tenersi aperta la carta della fuga in Svizzera attraverso la lunga frontiera che corre parallelamente al fondo valle.

Questi favorevoli presupposti non bastano però da soli a trasformare la Valtellina in un bastione difendibile a lungo. Sarebbe stato necessario intervenire con una serie di provvedimenti concreti: prima di tutto immagazzinarvi per tempo viveri e munizioni (viste le scarse risorse reperibili in loco); poi approntare dispositivi difensivi, come ad esempio postazioni di artiglieria scavate nella roccia, in modo da evitare gli attacchi dal cielo ormai completamente controllato dalle aviazioni inglese ed americana; poi ancora farvi affluire ben prima del crollo finale del fronte della Linea gotica forze consistenti, in modo da "ripulire" l'area dalla presenza partigiana, da presidiare gli accessi alla valle e i punti nevralgici e da approntare la logistica necessaria ad accogliere il successivo afflusso di uomini e mezzi (magazzini, accampamenti, comandi, officine di riparazione etc..); infine, dare ordini precisi per una ritirata il più possibile ordinata verso la Valtellina in caso di crollo del fronte e di ripiegamento tedesco verso i contrafforti alpini.

Si decide così di dare il via al progetto del Ridotto Alpino Repubblicano (questa la denominazione ufficiale data al ridotto della Valtellina). Vengono nominati commissioni di studio e gruppi di lavoro, ma, nel caos politico, amministrativo e militare della RSI, i progetti rimangono in gran parte sulla carta e ben poco viene concretamente fatto: lo stesso Pavolini, incaricato dal Duce di occuparsi della questione, si limita a far trasferire in Valtellina alcune centinaia di brigatisti neri ripiegati dalla Toscana; si iniziano stentatamente alcuni lavori di fortificazione; si pensa di riattare parte degli apprestamenti difensivi della Linea Cadorna (realizzata durante la Prima Guerra Mondiale quando si temeva una invasione tedesca e austro ungarica attraverso la Svizzera); infine a metà aprile del 1945 viene fatta trasferire in Valtellina la Milice di Darnard, già acquartierata a Milano (una formazione di collaborazionisti oltranzisti francesi, ormai sfiduciati e stanchi, che erano fuggiti in Italia settentrionale in seguito alla liberazione del loro Paese).

Il 3 Aprile del 1945 viene convocato da Mussolini un ultimo vertice in cui si parla dell'opzione Valtellina, presenti Pavolini e il Maresciallo Graziani (comandante delle forze armate della RSI). Il 5 aprile lo stesso Pavolini si reca personalmente in valle per una ispezione. Il 14 aprile, nel corso di un incontro con le autorità tedesche, ad offensiva alleata sul fronte italiano già in corso, il Duce accenna alla possibilità di rifugiarsi in Valtellina con le massime autorità governative per mantenere un lembo di territorio italiano sotto il controllo della RSI. La reazione tedesca è però molto fredda. I Germanici propongono in alternativa ai fascisti la possibilità di rifugiarsi a Merano in Sud Tirolo, territorio che era di fatto stato sottratto al controllo della RSI fin dal settembre 1943 e in cui i Fascisti sarebbero stati con ogni probabilità ospiti mal tollerati dal Gaulaiter di Bolzano Hofer. In realtà per le autorità tedesche in Italia il Duce e il suo entourage di fascisti irriducibili erano diventati ormai solo un imbarazzante problema.

Il Ridotto Alpino Repubblicano comunque come è noto rimarrà solo sulla carta e il fascismo di Salò non ebbe le sue Termopili. Perché non fu possibile realizzarlo? Certo, l'insuccesso fu dovuto anche a ragioni concrete: la latente ostilità o comunque l'indifferenza tedesca per il R.A.R., progetto da loro considerato velleitario ed inutile (e probabilmente un peso in questo atteggiamento lo ebbero anche le trattative di resa iniziate dai vertici tedeschi in Italia settentrionale all'insaputa del teoricamente alleato fascista); le difficoltà oggettive a trasferire materiali ed uomini, data la povertà di mezzi di trasporto e i continui bombardamenti; negli ultimi giorni del conflitto, il rapido crollo del fronte e l'insurrezione partigiana. Pesarono anche componenti psicologiche e caratteriali, nonché rivalità personali e differenze di vedute tra i massimi esponenti del fascismo repubblicano. Lo stesso Mussolini probabilmente, stanco e a tratti sofferente, non credeva fino in fondo nella validità del progetto, alternando rari momenti di ottimismo (come nel Dicembre del 1944 in occasione del discorso del Teatro Lirico a Milano e in concomitanza con la controffensiva tedesca delle Ardenne) in cui pensava che forse la guerra avrebbe potuto ancora avere un esito favorevole o perlomeno negoziato, a momenti di sconforto in cui non credeva nemmeno nella capacità dei suoi di fare un ultimo "quadrato" in un ridotto difensivo precedentemente organizzato. Il Maresciallo Graziani poi non nascondeva la sua ostilità al progetto, da lui ritenuto una follia sul piano militare.

Comunque, malgrado la mancanza di apprestamenti difensivi efficienti, forse se Mussolini fosse riuscito a raggiungere la Valtellina e avesse avuto modo di comunicare con i reparti ancora in armi della RSI (il 27 e 28 Aprile 1945 vi erano ancora consistenti colonne fasciste in movimento nell'area prealpina) la guerra si sarebbe prolungata in Italia di qualche giorno e non sarebbe stato fucilato poco dopo la sua cattura ma avrebbe potuto affrontare un regolare processo. Del resto i partigiani e il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) prendevano molto sul serio la minaccia costituita dal Ridotto della Valtellina.

Particolare interessante: il Duce, mai immemore del suo essere anche giornalista e dell'importanza della propaganda, aveva raccomandato nel corso delle riunioni in cui si era discusso del R.A.R. di trasferirvi una potente radio e adeguate scorte di carta per stamparvi un giornale, in modo da poter trasmettere e pubblicare fino alla fine notizie anche nell'Italia "invasa" e di lanciare magari con un ultimo aereo notizie di parte fascista. Anche questo proposito comunque non fu messo in pratica.

Ma immaginiamo per un momento un diverso svolgimento dei fatti. Tutto sommato, malgrado le difficoltà prima elencate, una maggiore forza di volontà e concretezza da parte dei vertici politici e militari della RSI, a partire dallo stesso Mussolini, avrebbero potuto permettere nel corso del 1944 e nei primi mesi del 1945 di realizzare concretamente, almeno in parte, quanto studiato a tavolino per il Ridotto Alpino Repubblicano.

Da questo punto inizia lo svolgimento ucronico dei fatti.

Al posto degli innumerevoli (causa tra l'altro di sovrapposizione di competenze) tavoli di studio e di lavoro, Mussolini affida senza tentennamenti ad una sola persona, il Generale Farina, già comandante della Divisione Monterosa, uomo risoluto, tecnicamente preparato e dotato di carisma, vincendone le iniziali perplessità sulla fattibilità del progetto, il compito di organizzare dal punto di vista militare e logistico il Ridotto Alpino. A questo scopo il consiglio dei Ministri della RSI emana un decreto nell'Agosto del 1944, in cui a Farina vengono conferiti pieni poteri, dovendone rispondere unicamente a Mussolini. A Pavolini, in qualità di segretario del PFR, resta il compito di occuparsi del trasferimento in Valtellina dei fascisti e delle loro famiglie. Vengono realizzati bunker scavati nella roccia dotati di pezzi di artiglieria e vengono minate vaste zone del fondovalle. In Valtellina vengono concentrati fin dall'ottobre del 1944 circa 25.000,00 uomini: reparti della X MAS, della stessa Monterosa, la GNR confinaria, Brigate Nere, carri armati del Raggruppamento Leonessa. Tra Ottobre e Novembre le forze partigiane presenti in Valle e nell'Alto Comasco vengono spazzate via. Una volta libero dal rischio di attacchi alle spalle, Farina utilizza l'inverno 1944/45 per rinforzare ulteriormente le difese della Valle e delle zone adiacenti: vengono minate anche alcune gallerie della Stada Regina e della Statale dello Spluga che costeggiano il lago proveniendo da Como e da Lecco, in modo da impedire una facile avanzata su Colico e sul Pian di Spagna. Vengono realizzati anche apprestamenti difensivi nell'Alto bergamasca e nell'Alto Bresciano. Nella Valtellina vera e propria i reparti del genio della RSI approntano magazzini e piccole officine per la riparazione e la manutenzione di armi e mezzi utilizzando anche le gallerie di miniere abbandonate. Si realizza persino in Alta Valle un aereoporto parzialmente protetto dalla roccia da cui possono decollare caccia e aerei da trasporto All'inizio di Aprile del 1945 Mussolini viene a conoscenza in maniera inequivocabile delle avanzate trattative di resa portate avanti dagli emissari tedeschi responsabili per il fronte italiano con gli Alleati.

(nel corso reale degli eventi il Duce, pur probabilmente avendo avuto sentore degli abboccamenti tedeschi con gli Alleati, non immagina il "tradimento" che si consumerà con la c.d. Operazione Sunrise, la resa di tutte le forze tedesche in Italia il 29 Aprile 1945).

Il Duce si rende conto quindi ancora di più di dover contare sulle sole proprie forze quando si arriverà all'epilogo finale. Decide quindi di dare un'ulteriore accelerata al dispiegamento del RAR: altri 5000 uomini vengono trasferiti così in Valtellina prima del crollo finale del fronte, oltre ai miliziani di Darnand (che raggiungono la Valtellina verso la metà del mese anche nel reale svolgimento dei fatti). Ora il Ridotto Alpino può contare su circa 30000 uomini ben equipaggiati e ben motivati, che trovano nella Valle una realtà ben diversa dal resto della RSI. Non vi sono partigiani e quindi paradossalmente anche il clima plumbeo della guerra civile si fa meno sentire. I soldati hanno l'impressione di trovare una realtà organizzata e non improvvisata (ed in realtà è proprio così, grazie alle cure di "papà" Farina), e questo ha benefiche ricadute sul morale e sulla volontà di resistere dei reparti.

Intanto attorno alle metà di Aprile si scatena l'offensiva finale alleata sul fronte italiano. L'offensiva inizia sullo scacchiere tirrenico, poi l'attacco principale viene portato sul fronte adriatico. Dopo violenti combattimenti il 21 Aprile gli Alleati entrano in Bologna. Il 23 Aprile gli Angloamericani sono già riusciti a costituire teste di ponte a nord del Po. I Tedeschi questa volta, sfiduciati anche per le notizie provenienti dalla Germania, ormai tagliata in due e con i Russi alle porte di Berlino, non sembrano poter opporre una valida resistenza sulla linea del Po/Ticino, come precedentemente programmato in caso di ritirata dall'Emilia. Infine, passano all'attacco sul fronte alpino occidentale i Francesi di De Gaulle, per il momento contenuti, oltre che da sparute forze tedesche, anche dai reparti alpini italiani della RSI.

Mussolini e il suo entourage, nel frattempo trasferitisi a Milano anche per sfuggire al soffocante controllo tedesco, comprendono rapidamente che l'ultima carta politico/militare da spendere è il Ridotto alpino Repubblicano. Il pomeriggio del 25 Aprile 1945, ad insurrezione partigiana già proclamata nell'Italia settentrionale, Mussolini, Pavolini e Graziani si recano a colloquio dal Cardinale Schuster. Quest'ultimo propone a Mussolini la prospettiva di una resa al fine di risparmiare ulteriori lutti e sofferenze alla popolazione. Mussolini al contrario, che ha già deciso di trasferirsi in Valtellina, propone di consegnare Milano al Cardinale Schuster entro le ore 12 del 27 aprile se nel frattempo sarà data garanzia ai Fascisti che lo desiderano di abbandonare la città senza essere molestati. Il colloquio si chiude e Mussolini e i suoi ritornano in Prefettura.A questo punto il Cardinale Schuster incontra gli esponenti del CLNAI, ai quali comunica la proposta del Duce.

Ora, dobbiamo tenere conto che nel tardo pomeriggio del 25 aprile a Milano erano ancora concentrate ingenti forze fasciste e altre stavano convergendo sulla città. Il rapido squagliamento del dispositivo militare della RSI a Milano nei due giorni successivi, privo di ordini e di direttive certe, come infatti avvenne nel coso reale degli eventi, era ancora di là da venire. I capi del CLNAI avevano messo in conto quindi una dura battaglia insurrezionale per la liberazione di Milano, che poi di fatto non ci fu, se non qualche scaramuccia.

Ma torniamo allo svolgimento ucronico dei fatti. Di fronte alla prospettiva di avere Milano senza combattimenti, il CLNAI discute al proprio interno la proposta di Mussolini. Malgrado l'opposizione di Pertini, oppositore di qualunque formula di compromesso, alla fine il CLNAI rilancia con una controproposta: i Fascisti dovranno lasciare Milano entro le ore 12 del 26 aprile. Fino a quell'ora tregua in città tra Fascisti e Partigiani fermi sulle posizioni occupate.

Mussolini, che contrariamente allo svolgimento reale degli eventi non lascia precipitosamente la Prefettura diretto a Como nella serata del 25 Aprile ma al contrario continua a concentrare con calma i reparti della RSI nel centro della città (che così resta saldamente sotto controllo fascista), prosegue la trattativa nella notte attraverso la mediazione del Cardinale Schuster con gli esponenti del CLNAI. Si giunge infine ad un accordo all'alba: i fascisti potranno abbandonare la città senza essere attaccati fino alle ore 19 del 26 aprile. Può sembrare poca cosa aver guadagnato qualche ora, ma, come vedremo, questo avrà importanti conseguenze. Intanto le trattative in corso e la presenza fisica di Mussolini a Milano impediscono il rapido sfaldamento dell'apparato della RSI presente in città. La X MAS del Principe Borghese ad esempio non depone le armi nel corso del 26 Aprile, ma contribuisce a fare quadrato attorno alla Prefettura occupata da Mussolini, rintuzzando facilmente anche il tentativo degli elementi della Guardia di Finanza passati al servizio del CLNAI di occuparla nella notte a trattative in corso. Inoltre, la Radio Repubblicana continua per tutta la giornata del 26 aprile a trasmettere (nella realtà fu occupata dai partigiani la mattina del 26 aprile), così da rincuorare i Fascisti in ascolto e soprattutto da comunicare, attraverso messaggi in codice, l'ordine di concentramento in Valtellina ai reparti attraverso i piani minuziosamente preparati per tempo dal Generale Farina. Anzi, Mussolini, che abbandona con ordine Milano nel pomeriggio del 26 aprile con una delle ultime colonne che lasciano la città, diretto a Lecco e non a Como e scortato da centinaia di fascisti e militari agguerriti, dà ordine ad un manipolo di fedelissimi di sacrificarsi e di resistere ad ogni costo all'interno dei locali della Radio, che quindi, malgrado i tentativi partigiani di farvi irruzione, continua a trasmettere i messaggi fascisti fino all'alba del 27 aprile, quando infine i difensori vengono sopprafatti. La Radio, ribattezzata Radio Milano Libera, inizia immediatamente a trasmettere i messaggi del CLNAI sull'insurrezione in atto, ma intanto i reparti fascisti in armi hanno potuto ricevere direttive precise durante 24 ore cruciali e si stanno dirigendo risolutamente verso la Valtellina.

Mussolini arriva a Lecco verso le 19.30 del 26 Aprile. In città la situazione è abbastanza tranquilla.

Reparti della GNR confluiti in città da Erba e dalla Brianza secondo i piani prestabiliti tengono sotto controllo la situazione. In periferia vi sono alcuni scontri con le formazioni partigiane, che però non riescono ad avanzare.

La "colonna Mussolini" riposa nella notte accampata nella Prefettura della città. Il mattino del giorno successivo il Duce riparte verso la Valtellina, scortato anche da un carro armato M40 e da due autoblindo del Gruppo Corazzato Leonessa. Poco a nord di Mandello sul Lario alcuni partigiani discesi poco prima dalle Grigne hanno allestito un posto di blocco e tentano di boloccare la colonna, mentre danno via libera a forze tedesche in ritirata verso il Passo dello Stelvio. Mussolini rifiuta di mettersi sotto la protezione del comandante tedesco della colonna, che gli propone di fuggire con loro travestito da milite della Lutwaffe e preferisce ripiegare su Mandello con i suoi che apprestano uno sbarramento difensivo rinforzato da elementi nel frattempo sopraggiunti da Lecco.

Il Duce riesce intanto a mettersi in contatto via radio con il Generale Farina, già da tempo in Valtellina, a cui spiega di trovarsi bloccato a Mandello. Da Colico 3 motoscafi della X MAS (previdentemente lì trasferiti nel corso del mese di marzo dopo aver evacuato le basi liguri) raggiungono velocemente la zona e, dopo aver sbarcato fanti di marina a ridosso dello sbarramento, prendono i partigiani tra due fuochi. La via per la Valtellina è libera. Mussolini riparte seguito da molti ministri e alti papaveri della RSI. La sera del 27 Aprile il Duce è già a Sondrio, negli alloggi precedentemente predisposti per ospitarlo. I ministeri si installano in parte nel capoluogo valtellinese ed in parte a Tirano.

Il maresciallo Graziani invece, che aveva preferito dirigersi verso Como, viene catturato dai partigiani nei pressi di Dongo e fucilato il 28 Aprile 1945. Pesava su di lui soprattutto il ricordo degli odiosi "Bandi Graziani" che comminavano la pena di morte per i renitenti alla chiamata nell'esercito della RSI. Avuto notizia della morte di Graziani, Mussolini nomina il 29 Aprile comandante delle forze armate della Repubblica e Ministro della Difesa il Generale Farina, sancendo formalmente così una situazione già nei fatti.

Intanto il piano di operazioni predisposto per la messa in funzione del Ridotto Alpino Repubblicano è in pieno svolgimento. Certo, non tutte le forze fasciste riescono a raggiungere la Valtellina: i blocchi partigiani e i continui mitragliamenti aerei rallentano o bloccano la ritirata di molte colonne della RSI dirette verso il Ridotto. In alcuni casi tra l'altro i fascisti sono rallentati dalla presenza di civili e familiari al seguito.

Ma con Como e Lecco saldamente in mano ancora ai fascisti e soprattutto con la voce del Duce che dalla radio repubblicana istallata a Sondrio incita a continuare la resistenza e ad aprirsi un varco verso l'ultimo lembo di territorio repubblicano libero, ancora durante tutta la giornata del 28 e nella notte tra il 28 e il 29 aprile affluiscono in Valtellina altri 15000 combattenti. La forza totale a disposizione del Duce per l'ultima resistenza sale quindi a circa 45000 uomini. Epica la vicenda della colonna torinese, che riesce a raggiungere (seppur dimezzata negli effettivi) per ultima la Valtellina guidata dal Federale della città Solari, dopo estenuanti combattimenti con le forze partigiane a Vercelli, a Novara e a Sesto San Giovanni alla periferia nord di Milano.

(nel corso reale degli eventi invece la colonna dei fascisti torinesi non riuscirà a spingersi molto lontano, mentre il Federale Solari, che aveva deciso di resistere fino all'ultimo in città, verrà fucilato dai partigiani)

La fulminea ritirata delle forze della RSI dai passi alpini del Piemonte e dalla Liguria provoca anche, rispetto al reale svolgimento degli eventi, una più rapida e profonda penetrazione francese in Valle d'Aosta, Piemonte e Liguria. Le truppe francesi si attestano già il 29 Aprile 1945 sulla linea del Ticino e giungono in Liguria fino a Varazze. Questo fatto, come vedremo poi, avrà conseguenze politiche non indifferenti. Fin da subito si registrano in Piemonte e in Liguria tensioni e frizioni tra le truppe degolliste e i partigiani locali. Nei pressi di Cuneo si arriva addirittura ad uno scontro a fuoco in cui i partigiani hanno la peggio. A Savona, a seguito di un episodio di stupro ai danni di una donna da parte di goumiers marocchini, Francesi e partigiani giungono sull'orlo del confronto aperto. In Valle d'Aosta gli emissari di De Gaulle iniziano una martellante propaganda a favore dell'annessione della regione alla Francia, contando sul fatto che la popolazione locale parla il Patois, una lingua più simile al Francese che all'Italiano.

Intanto il Generale Farina con parte delle forze presenti in Valtellina e con le truppe già concentrate a Como, Erba e Lecco e ripiegate nel corso della giornata del 28 aprile, dispiega la prima linea avanzata di difesa del Ridotto Alpino Repubblicano.

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La situazione militare il 29/30 Aprile 1945

Il 29 Aprile, dopo aver disperso le poche formazioni partigiane presenti in zona, già fortemente indebolite dai poderosi rastrellamenti dei mesi precedenti, il fronte fascista da ovest ad est passa: sulla sponda comasca a nord di Menaggio; su quella lecchese a sud di Varenna; in Valsassina (per impedire l'aggiramento delle truppe concentrate sul lago) nei pressi di Pasturo; a sud di Scalvino, in Val Brembana, a protezione degli accessi verso il Passo di San Marco; a Breno e Borno in Valcamonica, a copertura del Passo dell'Aprica. Farina decide inoltre di costituire un mini ridotto nel triangolo lariano; circa 500 uomini e alcuni Mas attestati a sud di Bellagio in posizione strategica, con il compito di prevenire eventuali sbarchi anfibi nella zona del centro lago alle spalle delle linee repubblicane.
Laddove presenti vengono fatte saltare le gallerie delle comunicazioni stradali. In Val Brembana si allagano anche vasti tratti del fondovalle aprendo le dighe delle centrali idroelettriche presenti in zona.
Le forze angloamericane, reduci da due settimane di rapida avanzata attraverso la Pianura Padana, entrano in contatto nel corso del 29 e del 30 aprile con il dispositivo difensivo di Farina, ma, verificata la relativa solidità del nemico, decidono di riprendere fiato e di riorganizzare la logistica prima di procedere all'assalto del RAR, considerato tutto sommato un obiettivo secondario rispetto a Trieste e al Passo del Brennero. Intanto i Tedeschi si ritirano in Trentino Alto Adige, ma la rapida avanzata alleata su Monaco e la decisione di Hitler di morire a Berlino impediscono di fatto la costituzione di un ridotto tedesco sulle Alpi.

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Il Duce a Sondrio

Mussolini, dopo un colloquio con Farina, si convince della possibilità di resistere in Valtellina per almeno due settimane contando sulle sole forze italiane. E' paradossalmente per il Duce del Fascismo il momento di massima libertà politica dopo il 25 luglio 1943. Non più succube dei Tedeschi e di Hitler, ormai suicida nel bunker di Berlino con i Russi a poche centinaia di metri di distanza, Mussolini decide di "agire politicamente". Dalla Radio Repubblicana di Sondrio, captata in tutta la Lombardia ed in parte del Piemonte, del Veneto e dell'Emilia, Mussolini, rispolverando i trascorsi socialisti e rivoluzionari, rilancia ed enfatizza i contenuti del Decreto sulla Socializzazione dell'economia già promulgato, in questo incoraggiato anche da alcuni quadri della c.d. "sinistra" del Partito, come l'ex Federale di Torino Solari. Giunge perfino a proporre pubblicamente un patto alle formazioni partigiane, soprattutto alle Brigate Matteotti di ispirazione socialista e agli Azionisti, sottolineando come il vero nemico comune siano il capitalismo anglossassone e i reazionari raccolti attorno a Casa Savoia. Per il momento comunque questi appelli non sortiscono alcun risultato pratico.

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La situazione militare dal 1 al 5 maggio 1945

Gli Alleati, supportati da formazioni partigiane, sferrano l'attacco contro la prima linea di difesa del RAR. I mezzi corazzati però non possono sviluppare a pieno la propria potenza di fuoco e di manovra a causa degli spazi ristretti di manovra. Si tratta di avanzare quindi con la fanteria cercando di snidare una per una, galleria dopo galleria, tentando anche faticosi aggiramenti attraverso le montagne, le postazioni repubblicane. Gli Alleati comunque riescono ad avanzare, seppur lentamente e dopo 5 giorni di combattimenti il fronte corre immediatamente a sud di Dongo e di Colico, dove i Repubblicani si sono ritirati in buon ordine. Per il momento le porte della Valtellina sono ancora sbarrate. La sacca di Bellagio intanto era stata sommersa fin dal 3 maggio, ma alcuni militari della X Mas e della GNR sono riusciti ancora a ripiegare di notte a bordo dei Mas e di altre imbarcazioni su Colico. Nelle Province di Bergamo e di Brescia Farina fa arretrare le proprie truppe soltanto di pochissimi chilometri. Invece il repentino crollo tedesco in alto Adige lascia scoperto il fianco orientale del RAR. La cosa però non muta sostanzialmente la situazione militare, dal momento che bastano poche truppe a guarnire il ripido e a tornanti accesso al Passo dello Stelvio, unica via di entrata in Valtellina da quella parte.

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La battaglia per Colico e il Pian di Spagna 6-12 Maggio 1945

Mentre la guerra in tutti gli altri scacchieri europei volge rapidamente alla conclusione, la battaglia per il Ridotto Alpino Repubblicano è solo nella fase iniziale, con gli alleati ancora impegnati a conquistare la porta di accesso alla Valtellina. Tale porta è costituita dalla Piana tra Colico e Delebio e il Pian di Spagna, una zona quest'ultima in parte paludosa all'estrema punta settentrionale del Lago di Como. La conquista di questa area permette inoltre di tagliare fuori la Valchiavenna dal resto della provincia di Sondrio. A costo di perdite considerevoli gli alleati avanzano metodicamente ma lentamente verso e dentro Colico, dove si combatte una cruenta battaglia casa per casa.

L'avanzata riprende anche sulla sponda comasca del lago, con gli alleati che si infiltrano a tergo delle linee fasciste passando per i monti che corrono parallelamente alla Statale Regina.

L'8 Maggio viene presa dal corpo di spedizione brasiliano la collina di Montecchio inferiore, posizione strategica nei pressi di Colico, difesa strenuamente dai ragazzi della Bir el Gobi che si sacrificano nel tentativo di arrestare l'avanzata alleata. Intervengono nella battaglia anche i pochissimi caccia superstiti del Gruppo Asso di Bastoni, decollati dalle piste approntate in Alta Valle. Verrano quasi tutti abbattuti in duelli aerei dall'esito scontato vista la sproporzione delle forze in campo. Preso l'abitato di Colico, gli Alleati si trovano di fronte un altro ostacolo formidabile, il Forte di Fuentes, dotato di cannoni controcarro da 88 mm (ceduti qualche giorno prima da una colonna di Tedeschi in ritirata) e difeso da elementi della GNR. I cannoni del forte e i campi minati fermano per il momento l'avanzata degli Alleati. Solo dopo incessanti bombardamenti aerei e di artiglieria e un lancio di paracadusti inglesi in Valchiavenna è possibile il 12 Maggio avere ragione della resistenza del forte di Fuentes, preso alle spalle. Gli Alleati prendono possesso così della porta di accesso della Valtellina, oltre ad occupare la Valchiavenna, dove vengono intrappolati circa 4000 uomini del RAR. I soldati di Farina, pur alla fine sconfitti, galvanizzati dal fatto di poter finalmente combattere sotto comando interamente italaino e senza la soffoconte tutela tedesca, dimostrano di essere un osso duro da sconfiggere. La strenua resistenza apposta a Colico permette intanto di rinforzare la terza principale linea di difesa approntata: la strozzatura di Ardenno. Sono comunque pesanti le perdite fasciste tra feriti, morti e prigionieri fino a questo momento: 8000 uomini. Ne restano circa 35000 per la difesa della Valtellina vera e propria. Ma anche gli Alleati hanno avuto perdite pesanti: quasi 3000 uomini.

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Problemi e tensioni nell'Italia liberata. Mussolini intravede altri spazi di manovra politica.

Mussolini intanto, galvanizzato per la resistenza apposta dai suoi e come liberato dal peso della "brutale amicizia" tedesca, continua le proprie manovre politiche. Promette nuovamente attraverso la radio e la Voce della Patria Libera (è il nome della nuova testata stampata a Sondrio) spazi di libertà di espressione per tutti gli Italiani che accettano il binomio "Repubblica e Socializzazione".

In Piemonte e nella Liguria occupata dalle truppe francesi nel frattempo la situazione continua ad essere molto tesa. De Gaulle rifiuta di ritirarsi, come richiesto dagli Americani su pressione del Governo di Roma, adducendo il fatto che in Italia la guerra non è finita e sostenendo che gruppi di fascisti si sarebbero dati alla macchia armi in pugno qua e là, tentando di ntraprendere una sorta di guerra partigiana a parti invertite. In realtà tali episodi sono molto sporadici e riguardano spesso singoli fascisti sbandati che, temendo per la propria vita, si sono rifugiati in montagna in attesa di tempi migliori. Vicino a Cuneo però avviene in effetti un episodio che sarebbe apparso improponibile soltanto qualche giorno prima: il 13 maggio un gruppo di ex appartenenti alla X Mas e una brigata partigiana di GL decidono di unire le proprie forze intorno alle parole d'ordine "Italia, Repubblica, Socializzazione e Libertà". Non si sa esattamente da chi provenga la prima proposta.

Sta di fatto che il gruppo sale in montagna per contrastare la presenza francese, considerata ormai forza di occupazione sia dai Fascisti che dai Partigiani. Nell'Imperiese si costituisce un'altra banda "mista" e così anche in Valle d'Aosta. Tali episodi vengono condannati dal CLNAI, che però nello stesso tempo non riesce a nascondere completamente tensioni interne ed imbarazzi a causa dell'arrogante atteggiamento francese. Tito ha nel frattempo occupato Trieste ed è avanzato fino all'Isonzo, lasciando chiaramente intendere che intende annettere queste zone alla Jugoslavia. Gli Angloamericani cercano di convincerlo ad arretrare, ma anche lui ha buon gioco nel rifiutare adducendo a pretesto, come De Gaulle, la continuazione della guerra in Italia. Anzi, chiede ed ottiene di poter partecipare in qualità di nazione alleata alle operazioni in Valtellina. Un piccolo reparto jugoslavo, poco più che simbolico, viene così inviato sul fronte del RAR.

In questo marasma nel CLNAI, indebolito dal fatto di non essere riuscito ad eliminare definitivamente il Fascismo e il suo capo, riaffiorano forti tensioni tre le varie componenti politiche.

I Comunisti, che avevano fornito il principale contributo militare alla Resistenza, vengono accusati apertamente di essere la quinta colonna di Tito. A loro volta questi ultimi rinfacciano alle componenti moderate del CLNAI le manovre francesi nell'Italia Nord occidentale e l'atteggiamento ambiguo di Americani ed Inglesi. Azionisti e Socialisti sono completamente disorientati e in alcuni casi addirittura, come abbiamo già visto, a livello locale incredibilmente non sembrano insensibili del tutto alle parole d'ordine di un Mussolini che tenta di riaccreditarsi come vero rivoluzionario, anticapitalista e anticomunista allo stesso tempo.

Mussolini infatti non se ne sta con le spalle in mano. Perfettamente informato della situazione, sia attraverso i giornali delle Nazioni neutrali in arrivo dalla Svizzera, sia attraverso la rete di informatori disseminata in Italia settentrionale che trasmettono dispacci via radio o a mezzo di piccioni viaggiatori, capisce di poter sfruttare gli elementi di tensione e le contraddizioni interne al CLNAI, negli ambienti monarchici e in generale nell'Italia liberata. Sa però di essere odiato da una fetta consistente della popolazione, soprattutto a causa della recente alleanza subalterna ad Hitler. Il Duce trasmette così dalla radio di Sondrio una serie di discorsi con i quali, operando una decisiva rettifica rispetto alle posizioni precedentemente assunte, cerca di giustificare e di inquadrare in un'altra prospettiva gli ultimi 18 mesi. Esordisce intanto sostenendo di aver accettato di guidare la RSI al solo fine di risparmiare alla popolazione la terribile punizione minacciata da Hitler per il tradimento dell'8 Settembre 1943. Sostiene inoltre di non aver mai saputo nulla intorno alla terribile sorte riservata agli Ebrei da Hitler. Mussolini prosegue accusando indirettamente il defunto dittatore tedesco di aver confuso il problema del capitalismo giudaico internazionale con quello del popolo ebreo nel suo insieme. Certo, si tratta di argomentazioni facilmente smentibili (basterebbe ricordare il feroce antisemitismo espresso da molti componenti dell'entourage di Mussolini a Salò e le stesse responsabilità dirette di Mussolini nel concentramento e nella deportazione degli Ebrei italiani verso i campi di sterminio nazisti) ma intanto il Duce inizia una operazione di distacco politico e morale dall'ex alleato/padrone. Mussolini ripete inoltre di non aver mai voluto la guerra civile infuriata in Italia, ma soprattutto invoca le ragioni dell'unità di tutti gli Italiani attorno ai concetti di patria, repubblica e socializzazione, per una nazione libera dal capitalismo internazionale anglossassone e nello stesso tempo estranea al brutale comunismo moscovita. Invoca insomma una terza via socialisteggiante. Non che fosse una novità. Questi concetti erano stati già enunciati a Salò, ma la disapprovazione tedesca e di alcuni elementi "moderati" dello stesso entourage mussoliniano, insieme alla feroce guerra civile in corso, avevano di fatto sterilizzato la spinta socialista proposta dal Duce. Ora paradossalmente le parole di Mussolini, udite alla radio dalla popolazione di parte del Nord Italia, scossa per la presenza dei Francesi sulle rive del Ticino e degli Jugoslavi su quelle dell'Isonzo, vengono ascoltate con maggiore attenzione anche da una parte di coloro che non avevano aderito al fascismo repubblicano.
Le operazioni militari del 13/14 Maggio 1945 Dopo la conquista del Forte di Fuentes gli Alleati iniziano l'avanzata nella Valtellina propriamente detta. Si muovono velocemente in direzione di Morbegno, che viene conquistata e superata dopo una battaglia ritardatrice di retroguardia in cui si sacrificano i pochi mezzi corazzati ancora utilizzabili del Raggruppamento Leonessa. Ma non riescono a raggiungere Sondrio, "capitale" del RAR. Alla stretta di Ardenno, dove le montagne da entrambi i lati incombono sul fondovalle, sono costretti a fermarsi di fronte ad una ulteriore linea difensiva predisposta dal generale Farina. Il comandante militare del RAR ha munito la zona di postazioni di artiglieria, di mortai e di mitragliatrici scavate su entrambi i fianchi delle montagne (il massiccio orobico a sud e le colline a nord) e ben protette anche dalle offese aeree. Sono state utilizzate allo scopo anche gallerie abbondanate, mentre altre ne sono state ricavate nei mesi precedenti. Le truppe alleate avanzanti dal fondovalle sono prese tra due fuochi, mentre ai passaggi sul fiume Adda si trovano di fronte campi minati e poderose linee trincerate. I soldati di Farina sono dotati anche di panzerfaust (sorta di efficaci bazooka anticarro di fabbricazione tedesca), in parte acquistati nei mesi precedenti, in parte sottratti alle truppe germaniche in ritirata. Il fronte si stablizza quindi immediatamente a sud di Ardenno.

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Segni di stanchezza tra gli Alleati
Le forze cobelligeranti del Regno d'Italia sostituiscono in Valtellina gran parte delle truppe Angloamericane
I Francesi si ritirano da parte del Piemonte e dalla Liguria

Americani ed Inglesi cominciano a dare segni di stanchezza per quella che ormai considerano solo una faccenda interna italiana. In Europa la guerra è terminata. Il principale nemico, la Germania nazista, è definitivamente sconfitto. Molti, e non solo a livello di opinione pubblica, ma anche tra i vertici politici e militari, cominciano a chiedersi perché continuare a sacrificare vite e mezzi per un fazzoletto di terra incassato tra le Alpi. Il corpo di spedizione polacco e quello brasiliano hanno già abbandonato l'Italia. Gli Americani inoltre pensano a concentrare tutti gli sforzi per la sconfitta del Giappone in Asia, che ancora resiste ostinatamente e che anzi ha ancora l'energia sufficiente per puntate offensive nel teatro di operazioni cinese.
Attorno alla metà di maggio si assiste così ad un progressivo disimpegno operativo di Americani ed Inglesi. Al fronte arrivano a sostituirli in gran parte gli uomini del neoricostituito Regio Esercito, guidati direttamente dal Luogotenente del Regno, il Principe Umberto. Reparti del Regio Esercito affiancavano fin da prima gli Alleati, ma ora il peso maggiore dello sforzo offensivo è a carico degli Italiani. Anche se gli Americani continuano comunque a garantire copertura aerea e appoggio logistico, la guerra in Valtellina diventa una guerra tra Italiani: da una parte i soldati e le milizie superstiti della RSI inquadrati da Farina nel RAR, dall'altra i soldati del Regio Esercito guidati dal Principe di Casa Savoia.

De Gaulle intanto accetta finalmente di ripiegare, seppur parzialmente, dai territori italiani occupati.
I Francesi sgomberano le province di Novara, Vercelli, Alessandria e Savona. Non abbandonano invece le Province di Torino, Cuneo ed Imperia, per non parlare della Valle d'Aosta, dove continua la propaganda d'Oltralpe a favore dell'annessione alla Francia. Il parziale sgombero, effettuato soprattutto a seguito delle aumentate pressioni americane su De Gaulle, costituisce il "prezzo politico" richiesto da Roma agli Alleati per l'accresciuto ruolo da svolgere nella campagna di Valtellina. I territori evacuati dai Francesi sono presi in consegna dai reparti regolari del Regio Esercito e dai carabinieri
(non sono quindi liberati dai partigiani come nel succedersi reale degli eventi). Questo episodio, sfruttato abilmente sul piano propagandistico da Casa Savoia, contribuisce a rialzarne l'incerto prestigio.

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Giugno/Luglio 1945: La liberazione di Sondrio e di Tirano
Il Principe Umberto diventa Re d'Italia

Ai primi di Giugno i reparti del Regio Esercito, dopo un'intensissima preparazione di artiglierie, passano all'attacco della stretta di Ardenno, già soprannominata la "Cassino della Valtellina".
Vengono inizialmente respinti dai difensori del RAR subendo forti perdite. A metà Giugno però reparti alpini e della Folgore riescono finalmente ad aggirare le posizioni difensive fasciste passando per la Val Masino. La stretta di Ardenno è finalmente presa. Vengono fatti prigionieri circa 5000 uomini. Il Principe Umberto è alla testa delle truppe e non esita ad esporsi personalmente al fuoco nemico, riscattando così la pavidità dimostrata o imposta in altre occasioni (tra tutte la mancata difesa di Roma nel Settembre del 1943 e la vergognosa fuga a Brindisi).

Mussolini, consultato il Generale Farina, si trova costretto a sgomberare Sondrio e ripiega a Bormio in Alta Valle, per il momento al sicuro, dove trasferisce la sede di governo del RAR.

Il 25 Giugno il Principe Umberto entra in Sondrio senza incontrare resistenza. Reparti della GNR e della Milice di Darnard combattono valorosamente per alcuni giorni alla strozzatura di Ponte di Valtellina, immediatamente a est di Sondrio, ma il 28 sono travolti. Il giorno successivo le truppe del Regio Esercito, che sono riuscite a superare di slancio le opere difensive allestite qualche mese prima dai Tedeschi a San Giacomo e a Tresenda, sono a Tirano, completando così la liberazione del Centro Valle. A Tirano viene catturato anche il Generale Onori, comandante della GNR della Provincia di Sondrio.

Intanto a Roma politici e personalità filomonarchiche, come Benedetto Croce, accrescono le pressioni sul vecchio e screditato Re Vittorio Emanuele III affinché abdichi definitivamente in favore del figlio Umberto. E' stata ormai fissata la data per il referendum istituzionale che dovrà sancire le sorti della monarchia in Italia: Giugno 1946. I fautori più intelligenti della monarchia capiscono che le possibilità di salvare l'istituto monarchico sarebbero di gran lunga accresciute se sul trono sedesse il figlio Umberto, il cui prestigio personale si è di molto accresciuto nelle ultime settimane. Il vecchio e testardo Re alla fine cede e acconsente ad abdicare, partendo immediatamente con l'ex Regina per l'esilio volontario in Egitto. Umberto, ormai Re Umberto II, con un'abile regia propagandistica suggerita dal Conte Acquarone, Ministro della Real Casa, si fa incoronare il 15 Luglio a Milano, città fino a quel momento dai sentimenti prevalentemente repubblicani, e non a Roma, adducendo come motivazione "di voler stare vicino alle truppe combattenti in Valtellina". Subito dopo la sobria cerimonia ufficiale di incoronazione, nel Duomo di Milano, il nuovo Re torna immediatamente a Sondrio a ridosso del fronte. Inutile dire che tutto questo contribuisce ulteriormente ad accrescerne il prestigio e la stima da parte della popolazione.

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Luglio/Agosto 1945: Aumentano le difficoltà per gli ultimi difensori del RAR

Come abbiamo già visto Mussolini si rifugia a Bormio, dove nei pochi alberghi si trasferiscono anche i resti delle strutture politico amministrative del RAR. Il 2 agosto 1945 addirittura l'ambasciatore nipponico presso la RSI, già riparato fortunosamente in Svizzera, raggiunge il Duce passando da Livigno e ripresenta le credenziali a quello che per l'Impero Giapponese è ancora ufficialmente il Capo di Governo di uno Stato alleato.

Ma il Duce non ha più tempo per trastulli diplomatici fini a se stessi. Certo, il Generale Farina è riuscito nuovamente a fermare il nemico poco a nord di Grosio, dove la valle fa un improvviso salto di 300 metri. Certo, il Duce ha ancora ai suoi ordini 25000 uomini. Ma la perdita di Sondrio e Tirano, dove erano concentrati la maggior parte dei magazzini di viveri e di pezzi di ricambio, si fa sentire pesantemente. Anche le munizioni iniziano a scarseggiare. Lo stesso numero relativamente alto di militi ancora in armi concentrati in Alta Valle, insieme al personale civile e alle loro famiglie lì riparati, costituiscono ormai un problema, anche per la scarsità di alloggi adeguati disponibili.

Mussolini inoltre non dispone più di un giornale, mentre l'ultimo impianto radio trasmittente utilizzabile ha un modesto raggio di diffusione, non andando oltre Sondrio. Tra le fila fasciste aumentano le diserzioni. Alcuni tentano la fuga verso la Svizzera, compresi alcuni gerarchi ed ex gerarchi che ormai non hanno più nulla da comandare. Tra questi Farinacci, ex Ras di Cremona, che era già fuggito per un pelo alla cattura da parte dei partigiani in Aprile. Il suo essere stato in maniera oltranzista filotedesco del resto non lo rende popolare nemmeno tra la maggioranza dei fascisti di Bormio. Catturato dalla guardia di frontiera elvetica, viene estradato a Chiasso e preso in consegna dai carabinieri. Finirà fucilato dopo un regolare processo per crimini di guerra nel Gennaio 1946.

Restano fedeli a Mussolini il Generale Farina, promosso Maresciallo, il Segretario del Partito Pavolini, l'ex Federale di Milano Costa, l'ex Federale di Torino Solari e (per il momento) il Comandante della X MAS Principe Junio Valerio Borghese.

Intanto anche il Giappone, dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, si arrende.

Paradossalmente all'inizio di settembre 1945 è proprio l'Alleato più debole dell'Asse, Mussolini, a continuare a combattere pur controllando solo un lembo microscopico di territorio.

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8 settembre 1945: Il "tradimento" di Borghese e lo sfondamento di Grosio

All'inizio di Settembre i reparti del Regio Esercito, dopo aver ripulito nelle settimane precedenti le valli laterali dalle ultime sacche di resistenza fascista, ripartono all'attacco del "salto di Grosio". Il fronte è tenuto da reparti di Brigate Nere toscane, da ex SS italiane (inglobate nella GNR) e da due battaglioni della X MAS. La battaglia è aspra. I difensori possono contare ancora una volta su posizioni favorevoli. I soldati regi non riescono ad avanzare.

L'8 Settembre si consuma però il "tradimento" del Principe Borghese. Improvvisamente il settore di fronte tenuto dalla X MAS cede. Cosa è accaduto? Il Comandante Borghese ha dato ordine ai suoi uomini di deporre le armi. Lo stesso Principe, presente in prima linea, si consegna ad un reparto della Folgore Regia. Non eviterà il processo, ma avrà salva la vita, e dopo pochi mesi sarà di nuovo libero, grazie all'amnistia promulgata dal governo presieduto dal Democristiano De Gasperi. Ancora oggi gli storici dibattono sul perché del "tradimento Borghese". Casa Savoia ovviamente, ancora regnante in Italia, non ha alcun interesse a far luce sui retroscena di quello che è considerato il primo dei misteri italiani del dopoguerra. Pare comunque ragionevole pensare che, almeno dopo la caduta di Sondrio, il comandante della X sia riuscito a prendere contatto con emissari monarchici in Svizzera, forse con la mediazione americana. Borghese, che tra l'altro non condivideva le accentuazioni socialisteggianti dell'ultimo Mussolini, riteneva ormai concluso l'impegno di tenere fede alla parola data agli alleati tedeschi e giapponesi, dal momento che entrambi erano usciti dal conflitto. Inoltre pensava che il vero pericolo ora fosse il Comunismo (Tito, che non aveva ancora rotto con Stalin, occupava in quel momento ancora Trieste e Gorizia ). Per cui è possibile che tra Borghese e gli ambienti monarchici, con gli americani nel ruolo di mediatori e garanti, si sia anche ventilata l'ipotesi di una collaborazione degli appartenenti alla X MAS sul confine orientale in funzione di contenimento anti sovietico e anti jugoslavo. Le recenti rivelazioni negli anni '90 dell'ex Primo Ministro del Re Giulio Andreotti sull'esistenza di una struttura segreta (Gladio) da attivare in caso di invasione sovietica, sembrano confermare questi sospetti. Alcuni storici, tra cui De Felice, il più grande studioso di Mussolini, recentemente scomparso, hanno ventilato un'ipotesi ancora più ardita: lo stesso Duce, resosi ormai conto di non avere più alcun spazio di manovra, sarebbe stato in qualche modo a conoscenza delle manovre di Borghese e le avrebbe tollerate in cambio di un salvacondotto per un Paese neutrale disposto ad accoglierlo. Si tratta comnuque solo di ipotesi, non suffragate da documenti.

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La caduta di Bormio: Mussolini fugge a Livigno

Ma torniamo alla narrazione degli eventi. A seguito dello sfondamento di Grosio i soldati repubblicani sono in rotta e si ritirano velocemente verso Bormio. L'aviazione alleata e quella regia battono incesantemente il fondovalle frantumando e disperdendo gli ultimi soldati di Mussolini. Il Duce il 9 si rifugia preciposamente a Livigno. A Bormio intanto è il caos. Farina, vista la situazione ormai disperata, decide di attendere il nemico e, dopo una breve resistenza, ordina alle truppe ai suoi ordini di deporre le armi e si consegna esso stesso. Il 10 Bormio è presa.

A Livigno si ammassano attorno a Mussolini poche migliaia di irriducibili, soprattutto appartenenti alle Brigate Nere e soldati sbandati che non hanno ubbidito all'ordine di Farina di deporre le armi. Il Passo del Foscagno, che separa Livigno da Bormio) è difeso per il momento da elementi della GNR Confinaria. Il Duce può ancora dichiarare dal balcone del Municipo di Livigno ai suoi fedelissimi, che lo attorniano smarriti in cerca di indicazioni e di una via d'uscita, che la bandiera della Repubblica Sociale Italiana sventola ancora su un lembo di territorio della patria. In realtà Mussolini sa ormai di avere le ore contate.

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Epilogo: Mussolini ripara in Svizzera e finisce esiliato in Spagna

L'11 Settembre iniziano febbrili trattative tra Mussolini e le autorità elvetiche. Mussolini giunge a minacciare gli emissari svizzeri presenti in incognito a Livigno: se non gli sarà permesso di riparare in territorio elvetico con tutti coloro che lo desiderano, è pronto ad aprirsi la strada con la forza. La minaccia non è del tutto campata in aria. In effetti alcune centinaia di fascisti sarebbero pronti a seguire Mussolini in questo ultimo colpo di mano, se non altro nel tentativo disperato di fuggire alla prigionia, e, in alcuni casi, ad un processo per i crimini perpetrati durante la guerra civile.

Il 12 si delinea una via d'uscita. La Svizzera consentirà a Mussolini e ad una cinquantina di persone del suo seguito di riparare in territorio elvetico. Il gruppo sarà scortato a Lugano da dove due aerei messi a disposizione dal Dittatore Francisco Franco, resosi disponibile ad accogliere il Duce, decolleranno alla volta della Spagna. Nel frattempo da Bormio si fa sapere che tutti i fascisti in armi saranno considerati prigionieri di guerra, senza distinzioni tra militi delle Brigate Nere e militari "regolari", fatto salvo l'accertamento di eventuali crimini commessi dai singoli.

Il 13 mattina parte da Livigno un primo gruppo diretto a S. Moritz in Engadina. La moglie del Duce Rachele è tra questi. Nel primo pomeriggio è lo stesso Mussolini a mettersi in viaggio. Con lui, oltre a Pavolini e a Costa, anche l'amante Claretta Petacci, che non aveva voluto abbandonare "l'amato Ben". Dopo una notte trascorsa a S. Moritz, il 14 Mussolini e il suo piccolo seguito sono a Lugano, da dove in aereo raggiungono la Spagna.

Contemporaneamente al Passo del Foscagno nella mattinata del 14 la GNR confinaria oppone ancora una breve resistenza prima di arrendersi agli Alpini del Regio Esercito. Nel pomeriggio dello stesso giorno alcuni militi torinesi della Brigata Nera guidati da Solari (che aveva deciso di non seguire Mussolini in esilio per non abbandonare i suoi), si asserragliano nel Municipio di Livigno per l'ultima battaglia. Alla sera è tutto finito. I Brigatisti hanno cercato e trovato "la bella morte". Tra loro anche Solari, che pare abbia curiosamente gridato prima dell'ultima raffica "W il fascismo socialista!".

Re Umberto II, di ritorno dalla campagna della Valtellina, è accolto trionfalmente prima a Milano e poi a Roma da folle oceaniche. Molti Italiani dimenticano presto: in Umberto II non vedono più l'ultimo rappresentante della dinastia che ha consegnato l'Italia per più di 20 anni a Mussolini e che ha condiviso con Mussolini la decisione di trascinare il Paese in una guerra rovinosa, ma l'artefice e il simbolo del riscatto nazionale.

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Cosa accadde dopo

Il 1 Gennaio 1946, in seguito ad accordi internazionali, i Francesi sgomberano le province di Torino, Cuneo ed Imperia. Le formazioni partigiane miste (non molto numerose per la verità) operanti in queste zone e formate da ex soldati della X MAS e da elementi di Giustizia e Libertà smobilitano all'arrivo delle truppe regolari italiane.

In Valle d'Aosta invece si giunge ad un compromesso: si instaura una sorta di condominio provvisorio italo/francese in attesa di un referendum che dovrà decidere le sorti della piccola valle alpina. Il referendum si tiene il 1 Marzo. La popolazione della Valle si pronuncia per la formazione di uno Stato autonomo sotto l'alta sovranità congiunta della Francia e del Re d'Italia. Una curiosa soluzione, simile all'assetto del Principato di Andorra sui Pirenei.

Sempre il 1 Gennaio 1946 Tito si ritira da Gorizia e da Trieste. In questa ultima città si insedia un governo provvisorio sotto tutela internazionale, in attesa di una soluzione definitiva. Gli Italiani dovranno attendere fino al 1954 per poter rientrare nella città giuliana e fino al 1975 per mettere la parola fine al contenzioso diplomatico con gli Accordi di Osimo.

Il 2 Giugno 1946 si tiene il referendum istituzionale. Prevalgono i sostenitori della Monarchia con 12 milioni di voti contro i 10 milioni raccolti dai sostenitori della Repubblica. Come abbiamo già visto, il prestigio personale conquistato dal giovane Sovrano ha un peso non indifferente sull'esito del referendum. Inoltre i Partiti di Sinistra fautori della repubblica, che avevano costituito il nerbo delle formazioni partigiane, erano piuttosto indeboliti in seguito al fallimento strategico dell'insurrezione generale del 25 aprile 1945: Mussolini e la RSI, seppure in miniatura, erano politicamente e militarmente sopravissuti fino al settembre successivo; l'Italia Nord occidentale con Torino erano stati occupati dai Francesi per molti mesi; Trieste, Gorizia e il Friuli fino all'Isonzo dagli Jugoslavi di Tito. Infine, pesarono alcune "confusioni ideologiche" tra componenti della sinistra stessa, soprattutto socialista, non totalmente immuni alle sirene propagandistiche dell'ultimo Mussolini "socialisteggiante".

Concludendo, possiamo dire che paradossalmente la sopravvivenza della "repubblica di Mussolini" per alcuni mesi dopo la fine ufficiale della Seconda guerra mondiale in Europa impedì la nascita di una repubblica democratica in Italia l'anno successivo. Alcuni studiosi sostengono infatti che un diverso epilogo della guerra in Italia, ad esenpio un Mussolini catturato e magari ucciso già nell'Aprile del 1945 con il contemporaneo totale collasso della RSI, avrebbe avuto tra l'altro come conseguenza la vittoria dei fautori della repubblica: Umberto II non avrebbe avuto alcun modo di risollevare il prestigio e la popolarità della monarchia tra la popolazione.

E l'ex Duce? Visse tranquillamente in esilio in Spagna fino al 1968, anno in cui si spense nel suo letto. Tra le sue ultime dichiarazioni ne ricordiamo una curiosa relativa alla contestazione giovanile e studentesca allora in atto: "finalmente le giovani generazioni iniziano a ribellarsi al modello consumistico e privo di valori a loro propinato dalle potenze demoplutocratiche..." In Italia si costituì fin dal 1946 un Partito di diretta ispirazione mussoliniana e repubblicano: il PSIUN (Partito Socialista Italiano di Unità Nazionale). Vi aderirono fautori del c.d. "fascismo di sinistra", ma ebbe vita stentata non superando mai il 3%. La maggior parte degli ex fascisti non eccessivamente compromessi con l'ultima avventura mussoliniana confluì nel PLM/DN (Partito Liberale Monarchico/Destra Nazionale), la formazione politica più vicina a Casa Savoia.

Il PSIUN si sciolse nel 1964, e molti dei suoi aderenti finirono per aderire al Partito Socialista Italiano.

Massimiliano Paleari

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Ed ecco ora le osservazioni in proposito di Basileus TFT:

Un racconto veramente interessante, svincolato dal paraocchi postbellico che affligge tutti noi. Le uniche cose di cui non discuto ma cui semplicemente pongo alcune variabili sono:

1) Difendere la zona del leccese e simile era fin troppo ardua, sarebbe stato meglio imbottigliarsi direttamente in bassa valle, cioè poco sotto Morbegno.

2) Conoscendo la politica tipica degli Americani è improbabile che si stanchino di guerreggiare per la Valtellina. Magari ci sparano giù tonnellate e tonnellate di bombe senza più mandare soldati. Questo crea un bel genocidio italiano che negheranno tutti e verrà scoperto all'incirca nel 2005, un po' come le Foibe.

3) Mussolini non aveva bisogno di passare in Svizzera. Il 24 Aprile le basi militari della RSI contavano ancora diversi intercettori, qualche caccia e alcuni aerei da trasporto. Un voletto notturno lo avrebbe portato in Spagna senza troppi problemi.

4) Non c'era bisogno di attuare un'operazione antipartigiana in Valtellina. Si sa che i partigiani saltavano fuori quando c'era la possibilità di fare razzie rapide. 30mila repubblicani contro 200 partigiani valtellinesi è un dato abbastanza rilevante per ipotizzare che non uscissero nemmeno di casa. A parte che poi i partigiani in Valtellina (come dappertutto immagino) erano osteggiati dalla popolazione, che non avrebbe certo aspettato molto a consegnarli alle forze di polizie. Per chi è Valtellinese è celebre la leggenda de "Il partigiano" e del suo nipote che infesta le montagne della Valmadre ancora oggi...

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Cui Massimiliano puntualmente risponde:

Prima di tutto mi fa piacere che qualcuno abbia letto il mio racconto ucronico e lo abbia trovato plausibile e con poche inesattezze. Quindi grazie a Basileus. Per quanto riguarda le variabili da lui proposte commento nel seguente modo:

Sarebbe stato meglio per Mussolini imbottigliarsi subito in Valtellina e non tentare una resistenza ritardatrice nel Lecchese...
A questo proposito ho letto qualche tempo fa in un volume (di cui purtroppo al momento non ricordo il titolo e l'autore esatto, sic) dedicato alla storia del ridotto Alpino Repubblicano, dell'esistenza di documenti ufficiali conservati nei National Archives di Washington. Questi documenti sono i verbali delle riunioni che nel corso del 1944 i vertici politici e militari della RSI tennero per discutere proprio del RAR. I verbali contengono anche i piani abbozzati per la difesa del RAR. I piani di difesa prevedevano esplicitamente di inglobare nel c.d. Ridotto della Valtellina anche l'alto comasco e le vallate bergamasche. Personalmente devo dire che questa scelta mi sembra piuttosto sensata: la linea del fronte non si sarebbe allungata sensibilmente; si sarebbe guadagnato del tempo e si sarebbe favorito il deflusso verso il Ridotto delle forse della RSI in ritirata.

Gli Americani si sarebbero intestarditi e avrebbero continuato ad impegnarsi militarmente fino alla definitiva caduta del Ridotto...
Devo ammettere che questa osservazione è piuttosto pertinente. Del resto anche nel mio racconto non immagino un disimpegno totale degli Alleati, ma la sostituzione con reparti del Regio Esercito cobelligerante della maggioranza delle forze di prima linea (fanteria, alpini etc..), mentre l'aviazione e l'artiglieria americana continuano ad essere ben presenti nel teatro valtellinese. Le perdite civili in seguito ai bombardamenti sarebbero sicuramente alte (visti anche gli spazi ristretti), ma non arriverei a parlare di un "genocidio scoperto solo nel 2005". Del resto la vicinanza della neutrale Svizzera, dove inevitabilmente molti civili avrebbero cercato scampo durante i combattimenti, avrebbe reso difficile stendere una cortina di silenzio su eventuali massacri di civili.

Mussolini avrebbe potuto lasciare la Valtellina a bordo di un aereo della RSI senza sconfinare in Svizzera...
In effetti nella nostra Timeline degli eventi uno o due aerei della RSI decollarono dall'aereoporto di Novegro (Linate) intorno al 20 aprile 1945 diretti in Spagna. Ma nel mio racconto ucronico, dopo più di quattro mesi di ulteriori combattimenti, è lecito supporre che i pochi aerei dell'Aereonautica Repubblicana siano stati abbattuti o siano comunque inutilizzabili per mancanza di pezzi di ricambio. E poi non so se a Livigno vi siano piste aeree...

Non c'era bisogno di azioni preventive antipartigiane in Valtellina data la loro debolezza nella zona...
Si, il movimento partigiano non era molto forte in Valtellina, è vero. Ma comunque occorreva rendere sicuri anche gli accessi alla Valtellina (Comasco, Lecchese, parte settentrionale della Provincia di Bergamo). Del resto la colonna Mussolini nella timeline reale degli eventi viene fermata tra Musso e Dongo da un blocco partigiano, o no? E in Valtellina i miliziani di DArnard furono realmente impegnati in combattimenti contro i partigiani negli ultimi giorni di aprile...

Ovviamente le mie risposte devono essere interpretate solo come un piccolo contributo personale al dibattito intorno alla verosimiglianza delle ucronie proposte, nulla di più... Per cui spero di ricevere altri commenti, al fine di alimentare la discussione. Se volete, potete scaricare da qui una versione .pdf della mia ucronia. Un caro saluto ucronico (e anche reale) a tutti.

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Sempre Massimiliano poi ha avuito un'altra geniale idea:

L'ultima spallata delle forze alleate in Italia non raggiunge i risultati sperati. I Tedeschi, pur costretti a sgomberare Bologna, riescono a ricostituire un fronte dietro il Po il 23 aprile 1945. Niente Operazione Sunrise. Entro il 2 maggio sgomberano completamente (ma ordinatamente) la Liguria e il Piemonte e si attestano dietro il Ticino dove precedentemente era stata allestita una linea difensiva. Intanto sugli altri fronti la guerra giunge alle battute finali come nella nostra Timeline. Il 1 maggio 1945 le forze di Tito hanno ormai occupato Trieste ma poi sono costrette ad arrestarsi a pochi chilometri dalla città, fermate dalla resistenza tedesca e da quella di molte unità della RSI (non più ostacolate dai Tedeschi) fatte affluire negli ultimi giorni del conflitto alla frontiera orientale. Il 3 maggio unità americane provenienti dalla Germania meridionale si avvicinano al Brennero ma vengono fermate da una tenace reazione del nemico che sfrutta la conformazione del terreno montuoso. In questo contesto di sostanziale tenuta del fronte nazifascista in Italia Settentrionale non si produce l'insurrezione generale del CLNAI, se non (e in misura minore) in Liguria e Piemonte. La Lombardia e il Veneto diventano al contrario l'ultimo rifugio per molte unità tedesche di irriducibili in ritirata dalla Germania meridionale. Si giunge così alla capitolazione finale della Germania l'8 maggio 1945 con i nazifascisti ancora schierati saldamente dietro la linea Po/Ticino. Quel giorno Mussolini si imbarca su un SM79 a Milano e riesce fortunosamente a raggiungere la Spagna. La resa in Italia avviene in maniera ordinata. Senza l'insurrezione partigiana, a Milano e nelle altre città del nordest i passaggi di potere avvengono direttamente tra le autorità nazifasciste e gli Alleati, con i FRancsi degollisti che occupano la Valle d'Aosta, buona parte del Piemonte e metà Liguria. Quali conseguenze politiche avrà nell'Italia dle dopoguerra questo scenario?

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Gli risponde il grande Bhrghowidhon:

In questo sito abbiamo discusso tante volte sulla tesi che a partire dall'Impero Romano e, a Sud delle Alpi, fino a oggi sia sussistita una continuità di contrapposizione (che non vuol dire per forza ereditarietà genealogica, ma tradizione di rivalità politica con ricadute geopolitiche) fra questi due schieramenti etno-ideologico-territoriali:

fino al 212 d.C. (Cōnstitūtiō Antonīniāna) Rōmānī ÷ Peregrīnī
212-391/2 (Decreti Teodosiani) Rōmānī ÷ Dēditiciī
391/2-476 Christiānī ÷ Pāgānī
476-612 Cattolici ÷ Ariani
612-774 Romani ÷ Longobardi
774-1059 Romani ÷ Franchi
1059-1268 Pontifici ÷ Imperiali
1268-1806 Francesi ÷ Imperiali
1806-1945 Francesi ÷ Tedeschi
1945- Euroamericani (Atlantisti) ÷ Eurasiatici (Neutralisti, Mitteleuropei).

Quello che mi interessa qui sono le precisazioni della penultima fase e il passaggio all'ultima (dato l'anno, 1945):
dal 1806 al 1815 e dal 1848 al 1866 il partito francese è stato bonapartista e quello tedesco asburgico; dal 1815 al 1848 lo schieramento antiaustriaco è stato sia massonico (un rovesciamento del Ghibellinismo dal 1717) sia neoguelfo;
fra il 1866 e il 1882 ha avuto luogo lo spostamento sabaudo da posizioni franco-britanniche a prevalentemente preussisch-deutsch, finché è iniziata la fase triplicista del partito 'tedesco', contrapposta all'occidentalismo degli avversarî;
dopo il Regicidio antitriplicista del 29.7.1900 e il ritorno scoperto alla Francia nel 1915 (a fini soprattutto antiottomani dal 1912) il Triplicismo è entrato in una fase di 'dissimulazione' fino alla creazione dell'Asse (su cui erano stati coniati gli aggettivi "assista" e "assofilo");
la contrapposizione fra Occidentalisti e Assisti si accentua nel 1940, con le due diverse interpretazioni (rispettivamente sabotativa e collaborativa) della cobelligeranza, fino alla Guerra Civile fra "Traditori" e "Collaborazionisti" dall'8.9.1943 al 25.4.1945.

Dopo quest'ultima data, la continuazione dell'antica Parte ghibellina è praticamente annientata e i suoi militanti si redistribuiscono fra gli avversarî, ma con prevalente coerenza ideologica nello schieramento ostile all'Impero occupante (gli Angloamericani), quindi nel partito "eurasista" (in Europa neutralista e mitteleuropeo). Dopo il1989-1991, col tracollo e le faide interne nell'Eurasismo 'ufficiale', comincia a rinascere una convergenza organica fra nostalgici dell'Impero mitteleuropeo (gli Europeisti più germanofili - secessionisti o no) e fedeli all'idea eurasiatica; dal 2014, anche col contributo di una rinnovata aggressività pratica (dietro alla diplomazia verbale) da parte dell'Occidentalismo duro e puro (anticattolico-antitedesco-antirusso-antimusulmano-antiindiano-anticinese e antigiapponese), la convergenza è diventata alleanza (Germania-Russia-Cina) ed è perciò stata sùbito messa in scacco da operazioni geopolitiche di una spregiudicatezza degna di tanta causa.

Se questa è (l'interpretazione del)la Storia effettiva, cosa sarebbe cambiato con lo scenario ucronico? Per definizione, il nemico totalmente annientato non sarebbe più stato tale; sarebbe quindi rimasto uno spazio residuo di sopravvivenza per gli ultimi epigoni ("collaborazionisti") della Parte Ghibellina, che di conseguenza avrebbero continuato a rappresentare il peggio del male *esistente* (senza essere invece annientati), per cui l'ala sovietica degli Avversarî dell'Asse si sarebbe trovata in un'imprevista collocazione intermedia fra i due Nemici tradizionali, gli Occidentalisti (ormai Euroamericani) da un lato e i Mitteleuropei dall'altro, contro i primi per ragioni geopolitiche (l'idea eurasista, ormai tendente a coincidere col Blocco Sovietico), contro i secondi per ragioni storiche (la Resistenza e, prima, l'Operazione Barbarossa).

In termini parlamentari, la Destra sarebbe risultata molto più profondamente divisa fra Conservatori atlantisti e Reazionarî neutralisti; fra le conseguenze operative, forse l'organizzazione di strutture come Gladio e simili sarebbe stata molto più complicata e soggetta a variabili e restrizioni che storicamente non si sono mai poste seriamente. Persisto nella convinzione che, a livello geopolitico, non sarebbe cambiato niente rispetto a quanto è realmente accaduto, ma se non altro a livello di intelligencija oserei pensare a una sorta di accerchiamento 'culturale' della Maggioranzademocristiano-pentapartitica da parte di una per noi incredibile tenaglia delle due Estreme, maoista o trockijista a sinistra ed 'evoliana' «a destra del Fascismo» (come si intitola un interessantissimo volume di Francesco Cassata). Credo che questo risvegli eccitanti incubi nel subconscio degli ammiratori rimasti fedeli al ricordo di B.C....

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