Nessuna disfatta di Caporetto!


L'amico Camillo Cantarano ha voluto proporre una Timeline riguardante l'(evitata) disfatta di Caporetto. L'esercito austriaco è così logorato che il suo collasso diventa inevitabile. Ovviamente Carlo I ne approfitta per uscire dal conflitto, e così la Germania giunge ad una pace di compromesso. Come cambia la storia?

24/10/1917: Gli italiani guidati da Luigi Cadorna vincono a Caporetto, ottenendo con pochi sacrifici una vittoria schiacciante.

28/10: Approfittando del caos e del fatto che gli austriaci non si sono ancora ripresi dalla battaglia dei giorni precedenti, gli italiani entrano in Slovenia, che oppone poca resistenza.

31/10: Gli italiani arrivano a Zagabria e cominciano un assedio che si trasforma in guerra di posizione. Ci saranno tre mesi di guerra con l'esercito italiano alle porte della città croata.

25/12: L' Italia decide di lasciare l'assedio di Zagabria alle forze serbe, che in poco tempo prendono la città. Nel frattempo l'esercito italiano sverna in Slovenia, dove vuole mantenere una posizione forte ed evitare ribellioni.

4/04: Malgrado Cadorna abbia dato all' Italia i più grandi successi della guerra, si decide di sollevarlo dal comando della guerra per aver lasciato Zagabria ai serbi. Il suo posto viene preso dal maresciallo Diaz.

6/04: Ultimo successo italiano della guerra: presa dell' Ungheria occidentale.

7/04: Appena saputo del successo dell' Italia, l'imperatore d'Austria decide di firmare una tregua per potersi occupare degli altri fronti. Questo trattato segna la fine della guerra per l' Italia, che però continua a mandare piccoli contingenti in appoggio alle forze dell' Intesa.

12/09/1919: Un giovane nazionalista jugoslavo di destra, il maresciallo Tito, occupa Zagabria, da cui vengono espulsi gli italiani. In Jugoslavia era infatti nato il mito della vittoria mutilata per la mancata cessione di Zagabria.

21/11/1919: Si apre la conferenza di pace: all' Italia vengono cedute l'Istria, la Slovenia e Zagabria, ma non l'Ungheria occidentale. I territori di Bosnia, Serbia e Montenegro vanno a fondare il regno di Jugoslavia.

1919-1920: Biennio Rosso in Jugoslavia. Il re Alessandro I, dopo alcuni momenti di incertezza, riesce a mantenere un ferreo controllo sulla sua nazione. Nel frattempo le camicie nere, che acclamano Tito come nuovo capo di stato, compiono le loro prime violenze.

1921: Tito con il suo partito dei Giovani Serbi ottiene dei successi elettorali enormi, che attirano l'attenzione di un giovane imbianchino tedesco, Adolf Hitler.

28/10/1922: Marcia su Belgrado. I Giovani Serbi costringono il re Alessandro a conferire l'incarico di formare il nuovo governo a Tito, che appare come uomo forte e che nei primi anni di governo sembra essere inarrestabile.

30/05/1924: Giacomo Matteotti, un italiano emigrato in Jugoslavia per fondare un suo partito di centro-sinistra, viene assassinato per aver contestato pubblicamente Tito. Secessione di Sarajevo.

3/01/1925: Tito, ormai inarrestabile, si autoproclama dittatore. Viene sospesa qualsiasi libertà personale. Tito cerca subito un accordo con la Bulgaria, che guardava con diffidenza alla nascita di una dittatura nei balcani che prima o poi avrebbe destabilizzato gli stati minori. La Bulgaria per ora decide di non scendere a patti, e quindi Tito si concentra sulla lotta alla svalutazione.

13/02/1929: Firma dei patti di Nis: La Bulgaria riconoscerà il regime presente in Jugoslavia in cambio della cessione di piccoli territori nell' ovest del paese.

1930: La Jugoslavia si concentra sul potenziamento delle forze navali e aeree, che sono imponenti, seconde solo a quelle inglesi.

1933: L'imbianchino Adolf Hitler instaura in Germania una dittatura sul modello di quella di Tito in Jugoslavia. Tito in quel periodo cerca di consolidare la sua posizione, che è ormai alla sua massima potenza.

1935: L' esercito jugoslavo combatte per la conquista dell' Etiopia.

1936: Il nuovo re Pietro II viene nominato imperatore di serbi, bosniaci ed etiopi. Cresce il consenso per il re, ma questa è una vittoria soprattutto di Tito.

1938: Annessione dell' Austria da parte di Hitler.

1939: Franco vince la guerra civile in Spagna. Annessione dell' Albania da parte di Tito, firma del patto d'acciaio. Hitler conquista gran parte dell' Europa, ma Tito preferisce non scendere in guerra per ora.

10/06/1940: La Jugoslavia entra in Guerra, dichiarando guerra all' Italia. Annessione di Serbia e Croazia.

20/09: Le forze Jugoslave entrano a Venezia. Il re Vittorio Emanuele III decide di firmare un armistizio, e in Italia viene formato un governo collaborazionista che ha per capo Benito Mussolini. Hitler rimprovera Tito per aver scelto come guida dell' Italia un personaggio che lui non ama particolarmente. Così nasce l' Italia di Roma, che ha un territorio che comprende sud Italia e Lazio.

1941: Inizia la campagna di Grecia, presa con entusiasmo dal popolo jugoslavo. I greci resistono con un vigore che ha del miracoloso. Quando sembra che tutto sia perduto, Hitler invia due divisioni corazzate in Grecia, che pongono fine alla resistenza greca. Sul fronte africano invece sembra che la guerra abbia poco successo: viene persa l'Etiopia.

7/12/1941: Parte una doppia offensiva, che colpisce obiettivi strategici per gli USA. Prima viene attaccato Pearl Harbour, alle 8:30 ora locale, poi la Liberia, fondata da ex cittadini americani.

1942: C'è una situazione di sostanziale stallo in Europa. Invece nel Pacifico gli Usa combattono contro il Giappone, e nell'Atlantico i britannici riescono a distruggere le forze di occupazione in Liberia.

1943: L'armata russa comincia la controffensiva, espandendosi verso i territori che la Germania le aveva sottratto. Il Nordafrica cade.

1944: Liberazione di Italia, Francia ed Europa orientale. Tito viene arrestato, ma Hitler riesce a farlo evadere e a creare uno stato nell'attuale Bosnia, la repubblica di Sarajevo.

1945: Ultimi assalti alla Jugoslavia. E' ormai una gara a chi arriva prima a Belgrado. I primi sono i greci, che liberano la città il 25 aprile. Due giorni dopo cade anche la Germania.

1946: La Germania subisce la divisione che noi tutti conosciamo. La Jugoslavia viene dissolta ed abolita come realtà geografica, e al suo posto vengono create le 4 repubbliche di Montenegro, Macedonia, Serbia e Kosovo. La Bosnia è annessa all' Italia, che decide di espellere tutti gli slavi dalle zone di sua competenza.

1949: In Italia (che nel frattempo è diventata una repubblica) nasce la FIAS (Fabbrica Italiana Automobili Sarajevo), diretta concorrente della compagna piemontese.

Camillo Cantarano

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Ed ecco, a questo proposito, una cronologia del romanzo ucronico "L'Italia di Carzano", di Fabio Mentasti, che può essere acquistato in print on demand a questo indirizzo.

Fino al 4 settembre 1917, non ci si discosta dalla cronologia storica.

7 settembre 1917: Nomina del Generale Antonino di Giorgio a capo dell’operazione Carzano.

Di Giorgio conosce alla perfezione il terreno, avendo combattuto la maggior parte della guerra nel settore Valsugana, al comando della 51a divisione italiana (confinante con la 15a coinvolta nelle operazioni) e possiede l’energia, l’intraprendenza e la prontezza di decisione necessaria, come aveva ampiamente dimostrato in colonia nel 1908 e sull’Ortigara nel 1916. Intratteneva rapporti epistolari con Cadorna sin dal 1906, che lo stimava e lo aveva lasciato a malincuore andare a comandare truppe al fronte. “Vada, anche se Lei mi serve qui, allo Stato Maggiore”, fu il commento di Cadorna.

Di Giorgio si sceglie, come secondo in comando, Ten. Col. Mario Cerruti, esperto del terreno e della situazione: era stato il Cerruti a ricevere dalle manone di Mleinek il plico di “Paolino”, poi fatto avere a Pettorelli Lalatta.

Le truppe scelte per la prima fase dell’offensiva dai due ufficiali sono le migliori possibili: la Brigata Venezia (83° e 84° Rgt. Fanteria), relativamente fresca poiché tenuta in riserva durante l’offensiva della Bainsizza, e che a parte questa battaglia aveva sempre combattuto in Valsugana; L’irruenza della IV brigata Bersaglieri (14° e 20° Rgt Bersaglieri), il cui 20° reggimento era costituito da poco e desideroso di farsi valere. Di Giorgio aveva avuto sotto il suo comando la III Brg. Bersaglieri (17° e 18° Rgt. Bers.), e quindi conosceva bene il modo di comportarsi, l’audacia e la “pazzìa” dei reparti Bersaglieri. Il comando della 51ma divisione, lasciato da Di Giorgio, viene affidato al Gen. Andrea Graziani, il ‘Padrone della Valsugana’.

Logisticamente, la strada statale della Valsugana si presenta ideale, coperta com’è da fitti alberi che nascondono i movimenti all’osservazione austriaca. Qui truppe ingombrate leggermente e calzanti silenziose scarpe di gomma al posto degli scarponi chiodati d’ordinanza possono marciare spediti per quattro, ed essere a Borgo e attorno ai forti di sbarramento di San Biagio (colle delle Benne) e Tenna in pochissimo tempo.

Sfondato il fronte grazie alla collaborazione di Pivko, si possono lanciare i reparti Arditi del Capitano Caretto a catturare il trenino viveri che arriva a Marter, e con quello risalire la valle celermente, assaltando i campi di prigionieri di guerra russi e italiani tenuti dagli austriaci a ridosso delle linee; i camion possono portare la 62a divisione del generale Viora, che comprende i Bersaglieri della III brigata e la brigata “Salerno” del poi generale degli arditi Ottavio Zoppi verso il campo fortificato di Trento, guardato da sette battaglioni raccogliticci di territoriali e senza cannoni, in poche ore. Intanto i battaglioni ciclisti punteranno sulla Sella di San Lugano, per aggirare Trento e tagliare la Val D’Adige a nord della città. Le truppe nemiche e i pochi cannoni ancora non trasferiti dal Trentino all’Isonzo verranno impegnati e tenuti bloccati dalla IV e I armata italiana, fino ad accerchiamento completato.

Insaccate e neutralizzate le truppe sugli altipiani e i forti relativi, le truppe della 65a divisione e tutte le truppe che verranno in seguito concesse punteranno verso Merano e Bolzano. La fine dello sfruttamento massimo dell’offensiva è previsto al Brennero, nel caso migliore; l’offensiva potrà dirsi brillantemente riuscita anche solo con la presa di Trento e la caduta delle truppe nemiche sugli altipiani.

17/20 settembre 1917: L’operazione Carzano si sviluppa come previsto e sostanzialmente raggiunge tutti gli obbiettivi prefissati.

24/30 ottobre 1917: L’offensiva austro-tedesca verso Plezzo e Caporetto viene sventata dopo feroci scontri, grazie anche alle informazioni dei disertori slavi e romeni dell’esercito imperial-regio e ad un intenso fuoco di contropreparazione.

I 48 battaglioni costituenti la riserva della II armata italiana si coprono di gloria, respingendo i reparti avanzati nemici che erano riusciti a sfondare in più punti le linee italiane.

Le perdite sono ingenti, da ambo le parti: italiani 50.000, di cui 13.000 morti e 8.000 dispersi; austro-tedeschi 85.000, di cui 24.000 morti e 18.000 dispersi.

2/6 novembre 1917: Tredicesima battaglia dell’Isonzo. Presa di Trieste.

8 novembre 1917: Sbarco di truppe italiane in Istria, non contrastato dalla marina austriaca sempre rintanata nei propri porti fortificati. Rivolte sulle navi austriache alla fonda.

11 novembre 1917: Richiesta di armistizio da parte dell’Austria-Ungheria.

18 novembre 1917: Resa di Germania e Bulgaria. Fine della Grande Guerra.

Giugno – luglio 1918: Firma dei trattati di pace.

24/25 maggio 1921: Congresso del Partito Nazionale Fascista.

28 Maggio 1921: Fallimento della Marcia su Roma dei Fascisti. L’esercito controlla e neutralizza i più facinorosi. Dieci feriti tra le truppe regolari, tre morti e otto feriti tra i fascisti.

29 maggio 1921: Arresto di Mussolini.

2 giugno 1921: tentativo di colpo di stato comunista. L’esercito, memore del trattamento subito dai soldati al fronte nella Grande Guerra ad opera dei socialisti, non limita l’uso della forza. 90 morti e 130 feriti tra le truppe regolari, 2.500 morti e 50 feriti tra gli insorti.

28 ottobre 1921: Assassinio del Generale Tellini in Albania.

4 dicembre 1921: Su ordine del ministro della guerra, Generale Di Giorgio, le truppe dell’ammiraglio Antonio Foschini e la brigata Bologna del generale Pirzio Biroli cannoneggiano ed occupano Corfù, in seguito alla mancata ottemperanza delle richieste di risarcimento italiane, riguardo all’assassinio del generale Tellini.

22 Gennaio 1922: Le truppe italiane riconsegnano Corfù all’esercito regolare greco, dopo aver neutralizzato reparti di facinorosi legionari dannunziani.

3 giugno 1938: L’Italia trasforma il proprio protettorato sull’Albania, risalente al 1914 (Valona e isolotto di Saseno) e 1920 (il resto dell’Albania) in una occupazione militare pacifica.

1 settembre 1939: La Germania aggredisce la Polonia. Scoppia la Seconda guerra Mondiale. L’Italia si allea con Francia (a malincuore) ed Inghilterra. Iugoslavia, Ungheria, Romania e Grecia si alleano con il Reich.

La Spagna di Franco, aiutato a salire al potere dalla sola Germania, è costretta ad entrare in guerra all’inizio del 1941.

Gli Stati Uniti da una parte ed il Giappone dall’altra entrano in guerra a metà del 1942.

La Russia rimane neutrale, approfittando solo della situazione per occupare nel 1941 anche la parte di Polonia conquistata dai tedeschi nel 1939. Non c’è formale dichiarazione di guerra, così come era successo con il Giappone in Manciuria, l’anno prima, e alla Germania non conviene inimicarsi Stalin. Per ora, pensa Hitler in uno dei sempre più rari momenti di lucidità.

La Finlandia resiste ai russi. Viene sconfitta, ma resta pressoché integra.

Germania e Giappone vengono piegati solo dalle atomiche su Hiroshima, Nagasaki, Francoforte (fortissime proteste svizzere) e Norimberga, nell’aprile del 1946. L’ultima, su Norimberga, è stata sganciata il giorno del compleanno del Fuhrer, il 20 aprile, sulla città culla del Nazismo.

Di lì a poco si aprirà, a Dresda, un processo per giudicare i crimini del nazismo. Hitler era già sfuggito al boia, essendosi suicidato. Poco dopo la firma della resa, aveva cercato di riparare in Sudamerica partendo da un aeroporto secondario alla periferia di Berlino. Riconosciuto e braccato, si era rinchiuso in una toilette e aveva ingoiato una capsula di cianuro.

Che ne dite?

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C'è però anche la proposta contraria di dDuck:

Ho pensato ad una Timeline che prevede il collasso del fronte di Caporetto e l'eventuale caduta della monarchia sabauda, con la continuazione della guerra da parte di forze socialiste e democratiche. A mio giudizio una caduta della monarchia sabauda e una presa del potere da parte dei socialisti non avrebbe consentito la continuazione della guerra.

Avrebbero potuto gli imperi centrali vincere la guerra con il ritiro dell'Italia nel 1917? Gli anglo-francesi avrebbero occupato il territorio nazionale italiano? Come sarebbe finita?

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A cui replica Lord Wilmore:

Credo che sarebbe finita come in Russia. Crolla il fronte, l'Austria-Ungheria occupa Venezia, Milano e Torino. Scoppia la "Rivoluzione di Ottobre" con Filippo Turati che prende il potere a Roma, caccia la monarchia, proclama la Repubblica Socialista (i Savoia fuggono in Portogallo) e chiama alla mobilitazione contro gli austriaci, continuando la guerra a fianco della Terza Repubblica Francese; a questo punto il popolo italiano si ribella e chiede la pace. Nel febbraio 1918 scoppia la "Rivoluzione di Febbraio" (il contrario di quanto accaduto a Pietrogrado!), con Gramsci e Bordiga che prendono il potere e proclamano la Repubblica Sovietica d'Italia; Papa Benedetto XV fugge in Spagna sotto la protezione di re Alfonso, la nuova Repubblica Italiana firma una pace umiliante con gli ex alleati della Triplice, cedendo il Veneto e Mantova all'Austria e le colonie alla Germania. Si aprono ora vari scenari:

a) La sconfitta degli Imperi Centrali secondo molti è stata accelerata dal dilagare dell'epidemia di spagnola, per cui, anche senza Italia e Russia, Berlino e Vienna crollano comunque. Gramsci spera di recuperare i territori perduti, invece Parigi, Londra e Washington invadono l'Italia per abbattere quella che chiamano "la buffonata bolscevica". L'Italia non è la Russia e il regime comunista crolla subito, essendo a sua volta l'URSS tenuta impegnata dalle forze Bianche e non potendo mandare aiuti. I Savoia sono riportati sul trono, Benedetto XV torna in Vaticano e l'Italia riottiene Veneto e colonie più Trento, ma non tutto il resto; ancora più rapida la svolta autoritaria di Mussolini.

b) Francia, Inghilterra, USA, Germania, Austria-Ungheria e Turchia giungono a una pace di compromesso per sfinimento. Alsazia-Lorena alla Francia, però la Germania si vede restituite le colonie (tranne quelle occupate dai giapponesi); l'Austria-Ungheria resta a Carlo I ma diventa una "Federazione Danubiana" di stati sovrani; nascono gli stati di Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia; fallisce il sogno panjugoslavo della Serbia; l'URSS ha già eliminato i Bianchi e si erge a paladina dell'Italia che resta sovietica, riottiene il Veneto ma non le colonie (Libia alla Francia, Corno d'Africa all'Inghilterra). Di qui in poi, volendo, c'è da scrivere un romanzo sull'Italia dominata dal "ventennio comunista" anziché dal ventennio fascista...

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Enrico Pellerito dal canto suo aggiunge:

Se fossimo usciti dal conflitto a causa di Caporetto, erano già stati preparate adeguate contro-misure da parte dei Britannici e dei Francesi, compreso la distruzione o la cattura della nostra flotta, tanto per fare un esempio.
Non eravamo considerati, in effetti, alleati sicuri e abbastanza forti da proseguire a combattere oltre un certo livello di offesa che avessimo dovuto subire dai nostri nemici...

Il monumento all'alpino e al suo mulo, sul lungolago di Stresa (foto dell'autore di questo sito)

Il monumento all'alpino e al suo mulo, sul lungolago di Stresa (foto dell'autore di questo sito)

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Anche il grande Sandro Degiani dice la sua in proposito:

Lo sfondamento di Caporetto sarebbe stato un duro colpo per I'Italia e per la monarchia Sabauda, ma non avrebbe cambiato il corso degli eventi.

Troppo focalizzati da italiani sulla "Grande Guerra" e sul nostro fronte alpino, sugli eroismi e sui massacri delle trincee dove per la prima volta si "fece l'italia e gli italiani", dimentichiamo che la sconfitta degli Austroungarici avvenne in seguito all'offensiva di fine Settembre 1918 degli Alleati Inglesi, Francesi ed Americani sul fronte della Mosa-Argone.

Grazie all'impiego di oltre 700 carri armati U (e ai freschi rinforzi arrivati da oltremare) vennero travolte le esauste linee di difesa tedesche ed annientati i nidi di mitragliatrici che un anno prima, nella battaglia della Somme, avevano fermato ed ucciso centinaia di migliaia di fanti all'assalto.

La spallata finale fu decisiva.. La Bulgaria  fu il primo tra gli Imperi Centrali a firmare l'armistizio  (29 settembre 1918), seguito dalla Turchia (30 ottobre).

Solo il 24 Ottobre gli italiani scatenarono a loro volta l'offensiva sul fronte del Piave, ma la macchina militare austroungarica era oramai al collasso... e la resa avvenne solo dopo pochi giorni, il 4 Novembre.

La Germania richiese un cessate il fuoco il 3 novembre 1918, seguita dall'Austria-Ungheria. I combattimenti terminarono con l'armistizio concordato l'11 novembre a Compiègne.

Se avessero sfondato a Caporetto gli Austroungarici avrebbero potuto occupare parte del Veneto e della Lombardia, ma non avevano risorse per tenerli.

I Savoia sarebbero usciti rafforzati da una situazione di emergenza simile, che avrebbe compattato gli italiani mettendo a tacere le voci di dissenso (e gli scioperi e le manifestazioni al limite della rivolta) che si erano levate all'atto dello sfondamento.

E il peso del fronte italiano, pur mettendo in difficoltà gli Alleati, non era tale da spostare l'esito del conflitto, segnato dal 6 Aprile 1917, giorno in cui Wilson dichiarò guerra alla Germania.

Anche nel primo, come nel secondo conflitto mondiale, il peso industriale ed economico americano (e demografico, non dimentichiamo che gli USA avevano una popolazione pari a quella dell'intera Europa)  fece pendere la bilancia dalla parte in cui si schierava.

Per cui vi saluto con una provocazione... ucronica! E se Hitler, nominato uomo dell'anno da TIME nel 1939, come si vede nell'immagine soprastante, avesse curato di più le relazioni diplomatiche con gli USA e attaccato la Russia fin dal 1939, in  modo da avere la macchina bellica a regime, invece di giocare di anticipo e prendersela con la Francia e Inghilterra, magari portandosi dietro gli USA?

Peccato che il caporale boemo, buon tattico, difettasse di visione strategica e politica e fosse abbagliato e travolto dai miti e dai ruoli da lui stesso creati e diffusi... O dobbiamo dire per fortuna?

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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:

Parto da questa idea: l'Italia era (ed è tuttora) una cenerentola rispetto alle altre principali patrie europee. Caporetto o non Caporetto, Gran Bretagna e Francia, che erano potenze da secoli, non avrebbero mai concesso all'Italia tutto ciò che chiedeva, per il semplice fatto che consideravano le loro esigenze strategiche come prioritarie. L'Italia poteva contare soltanto su una potenza europea che scompaginasse le carte in modo fortunatamente opportuno. Il problema con Wilson non è che penalizzò l'Italia, ma semplicemente che non scompaginò le carte, si limitò a qualche ipocrita correzione qua e là, ma lasciando intatto "il grosso" delle previsioni anglo-francesi. Basta pensare al Vicino Oriente...

Una cosa che mi sono domandato spesso è come si sarebbe regolato un presidente repubblicano al posto di Wilson. Una cosa che ho pensato, ma che non ho mai avuto occasione di inserire in una ucronia, è che la guerra sarebbe potuta scoppiare prima, per esempio nel 1911: in questo caso, Roosevelt si sarebbe immediatamente pronunciato per la guerra e Taft, che era presidente in carica, che avrebbe fatto? Avrebbe potuto giocare la carta del "comandante in capo" per convincere Roosevelt a non insidiare la sua rielezione? In uno scenario del genere, gli Stati Uniti sarebbero entrati nel conflitto fin dall'inizio (rendendolo più breve?) Taft sarebbe rimasto presidente e poi sarebbe tutto da capire che linea avrebbero tenuto gli Stati Uniti nella conferenza di pace...

Per ottenere un risultato più favorevole all'Italia ci sarebbe voluto, secondo me, uno scoppio anticipato della guerra, che avrebbe evidentemente modificato il dibattito politico americano (In HL, invece, la campagna presidenziale del 1912 fu incentrata su industrie, antitrust, lavoro...). I repubblicani erano neutralisti? Roosevelt no di sicuro (chiederei conferma a chi più di tutti noi conosce la storia americana, ossia Federico) ma credo di ricordare che Roosevelt sia stato bellicista fin dall'inizio. Poi se Taft gli sarebbe andato dietro oppure no, non saprei. Il 1912 è anche l'anno dell'affondamento del Titanic. Siamo sicuri che, in caso di guerra già in corso, parleremmo del Titanic affondato da un iceberg? Che effetto avrebbe fatto all'opinione pubblica americana, associare quella tragedia navale a un sommergibile tedesco? (E' vero ci fu anche il caso del Lusitania... ma il Titanic forse avrebbe avuto un impatto maggiore).

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Gli ribatte Tommaso Mazzoni:

Ma perchè dai per scontato che, in assenza di scuse wilsoniane, Londra e Parigi non mantengano la parola data? Ovviamente, io ritengo indispensabile anche una prestazione incontestabile nella guerra da parte dell'Italia.

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A questo punto Federico Sangalli fa sentire la sua voce:

Cercherò di darvi una risposta complessiva. I punti sollevati sono:

- 1) Applicazione del Patto di Londra.
- 2) Posizione dei Repubblicani sulla Grande Guerra.
- 3) Posizione USA (Repubblicana) in caso di uno scoppio anticipato del conflitto nel 1911.
- 4) Posizione negoziale anglo-francese.
- 5) Limite dei due mandati negli USA in caso di vittoria di Teddy Roosevelt nel 1912.

Risposte:

1 e 4) senza dubbio evitare i 14 Punti sarebbe un passo avanti, perché in HL fu il grimaldello legale dietro cui si nascosero tutti gli interessi diretti e indiretti che spingevano per mettere da parte i patti di spartizione pre-bellici. Tra questi c'erano la volontà americana di sostenere la promessa di una "guerra per la libertà" e non per delle conquiste territoriali, il desiderio inglese di avallare questa idea per evitare che alla Germania fossero imposte condizioni troppo pesanti e poterla così recuperare in funzione anti-russa, l'assunto generale che stracciare gli accordi pre-bellici (quello di Londra è il più famoso ma faceva parte di un "pacchetto" con suo fratello, il Patto di Costantinopoli, per spartirsi Balcani, Anatolia ed Europa Orientale e l'Accordo Sykes-Picot sui territori ottomani), almeno per quanto riguardava l'Europa, fosse necessario per evitare così di dover coinvolgere la Russia (ora comunista) nei negoziati. La Francia poi era paradossalmente più ostile agli anglo-americani, che dietro le quinte accusava di usare i debiti contratti da Parigi durante il conflitto per imporre il loro lassismo cripto-tedesco scippando alla Francia la sua a lungo meditata e meritata (come nazione che aveva pagato più perdite e distruzioni sul proprio territorio nazionale) contro Berlino, ma Parigi non vedeva l'Italia come una possibile alleata in questo scenario: ai suoi occhi infatti essa era inaffidabile (aveva cambiato alleanza prima della guerra e l'elite italiana restava filo-britannica) e debole ( i francesi erano convinti di averci salvati loro dopo Caporetto). Al contrario i paesi dell'Est (la futura "Piccola Intesa"), freschi di nazionalismo, erano considerati piccoli ma che non avrebbero certo rinnegato la loro alleanza per unirsi agli odiati germanofoni. Comunque sia fu la posizione italiana a far crollare il Patto di Londra: l'accordo infatti prometteva all'Italia il Trentino-Alto Adige, Trieste e la Venezia-Giulia, l'Istria e un buon pezzo di Dalmazia (queste due con incluse aree dell'entroterra abitate a maggioranza slava) ma lasciava fuori Fiume, che era abitata da italofoni. Questo perché nel 1915 non si immaginava il crollo dell'Austria-Ungheria e Londra e Parigi non intendevano indebolire troppo Vienna privandola del suo sbocco al mare, con l'idea che avrebbe comunque potuto essere utile per tenere d'occhio le vere minacce in Europa Centrale, cioè Germania e Russia. Al tavolo dei negoziati l'Italia sostenne entrambe le posizioni: da un lato infatti si appellò al Patto per chiedere quanto promesso senza tenere conto del principio di nazionalità, dall'altro chiese il rispetto dei 14 punti pretendendo l'inclusione di Fiume (il che però, secondo quindi il citato principio, avrebbe significato la perdita di parte dell'Istria e della Dalmazia). Questione simile emerse sulle colonie: il Patto riconosceva compensi coloniali all'Italia in "Libia, Eritrea e Somalia", evidentemente nell'ambito di una scambio di territori e con la cessione di qualche provincia anglo-francese limitrofa. Roma invece si appellò sì al patto chiedendo compensi coloniali ma puntando alle ex colonie tedesche (in particolare sembra il Togo). Non possiamo dare del tutto la colpa ai nostri negoziatori: l'opinione pubblica italiana, infiammata da D'Annunzio e Mussolini, era già sul piede di guerra nel chiedere che Fiume fosse inclusa ma naturalmente ottenere questa abbandonando le pretese già concordate e pubblicizzate su Istria e Dalmazia sarebbe stato dipinto come un compromesso al ribasso. Risultato: i diplomatici alleati rifiutarono le nostre ambivalenti richieste, la delegazione italiana abbandonò il tavolo piangendo e venendo accolta in trionfo in patria per aver "rifiutato il disonore", salvo poi essere esclusa dalla mangiatoia e diventare il capro espiatorio perfetto per la "vittoria mutilata" che, nonostante il passare dei secoli, viene ancora oggi insegnata a scuola come un meschino tiro mancino dei nostri infidi ex alleati.

Più che Wilson bisogna levare Sonnino e dare una linea univoca alla posizione italiana: o Patto di Londra o Principio di Nazionalità. Dopodichè si tenga sempre ben a mente che il Patto non includeva Fiume (il che avrebbe quindi in ogni caso causato l'attacco dei legionari dannunziani) e che anche quando tutti i territori non ottenuti a Versailles (Fiume compresa) furono ottenuti a Rapallo per via diplomatica da quel gran volpone di Giolitti (ah, ci fosse stato lui a Versailles!), questo non impedì la svolta nazionalista e l'ascesa del Fascismo, che aveva ragioni più sociali e interne che non diplomatiche ed esterne.

2 e 3) Allora, in HL i repubblicani erano "preparazionisti" cioè rinfacciavano a Wilson di cullarsi troppo nei suoi sogni di pace e neutralità mentre altrove infuriava la guerra e quindi di trascurare la preparazione bellica dell'America che avrebbe potuto essere trascinata in guerra da un momento all'altro. Questa posizione (che era sostenuta da un vero e proprio "Preparedness Movement") era la linea ufficiale del GOP durante le elezioni del 1916. Va comunque notato come i repubblicani, da tipico partito figlio di un sistema bipartitico e contemporaneamente a scarso indirizzo ideologico, reagivano di pari passo alle azioni dei democratici: finché Wilson fu pacifista e neutralista (1913-1917) i repubblicani lo incalzavano come interventisti (il candidato del 1916, Hughes, chiedeva già la guerra mesi prima di Wilson) ma non appena questi dichiarò guerra agli Imperi Centrali il GOP passò con rapidità sorprendente all'isolazionismo più becero, tant'è che già l'anno dopo (1918) fecero le barricate contro la Società delle Nazioni di cui pure molti di loro (Taft, Roosevelt, Hughes) era stati ideologi in tempi non sospetti.

Se la guerra fosse scoppiata nel 1911 (immagino su una delle crisi marocchine) lo scenario vedrebbe al comando Taft: questi non era un guerrafondaio ma diede il via alla cosiddetta "diplomazia del dollaro", dove gli interessi economici privati americani sono gli interessi della politica estera americana, il che vorrebbe dire avere molto a cuore la sicurezza delle rotte commerciali marittime. Infatti Taft fu un sostenitore di Wilson e della sua leadership durante la guerra. Fu anche il presidente della Lega per il Mantenimento della Pace, un'associazione che si prefiggeva di creare un'organizzazione internazionale per derimere le controversie tra stati e che fece un po' da laboratorio per la futura Società delle Nazioni: al momento della ratifica del Trattato di Versailles Taft appoggiò la posizione di Wilson e venne persino accusato di essere un traditore dai certi suoi colleghi di partito. Se la guerra fosse scoppiata sotto di lui gli USA sarebbero stati più propensi a entrare in guerra prima e se la Germania avesse lanciato una guerra sottomarina indiscriminata avrebbero potuto davvero farlo. Quanto a Roosevelt egli era davvero più bellicista e è generalmente assunto come semi-certezza che se Teddy avesse vinto nel 1912 gli USA sarebbero entrati in guerra con l'affondamento del Lusitania. Se la guerra fosse scoppiata prima però è possibile che TR si sarebbe rimesso al "comandante in capo" Taft, a patto che questi si dimostrasse degno di tale incarico e (soprattutto) realizasse un suo grande desiderio e cioè essere nominato comandante di un'armata di Rough Riders da inviare in Europa assieme alle truppe regolari. Roosevelt, e bisogna dargliene atto, era uno dei pochi bellicisti della Grande Guerra che pretendevano di combattere personalmente la guerra. Forse sognava i tempi giovanili di quando combatteva a San Juan Hill, forse sperava di usare le sue gesta eroiche per tornare presidente, sta di fatto che in HL egli pregò più volte Wilson di concedergli questo favore ma Woodrow rifiutò sempre. Taft probabilmente accetterebbe, anche solo per evitare una rottura del GOP alle successive elezioni. Cosa che però potrebbe rivelarsi inutile: gli americani erano anti-guerra più di quanto non fossero altri paesi. Lo stesso Wilson vinse di misura la rielezione nel 1916 con la promessa di "tenere l'America fuori dalla guerra" e, dopo esserci entrati, al primo voto utile (1918 e 1920) gli americani votarono in massa degli isolazionisti che li tirassero fuori da lì. Se gli USA fossero entrati prima nel 1912, sarebbero stati i democratici ad abbracciare questo sentimento: capeggiati da un candidato con una piattaforma isolazionista (Thomas R. Marshall oppure il patrono del Nebraska in persona, William Jennings Bryan) avrebbero vinto e ora che fossero entrati in carica avrebbero approfittato di essere ormai nella fase conclusiva del conflitto per provare a sfilarsi elegantemente. Guerra che potrebbe anche non essere vinta dall'Intesa, attenzione: allora l'Italia era guidata dal neutralista Giolitti e tutta concentrata sulla Libia e con un triplicista come Alberto Pollio come capo di stato maggiore, probabilmente sarebbe rimasta neutrale; la Royal Navy era paralizzata da uno sciopero dei minatori del carbone e dei lavoratori portuali, la Russia ancora indietro nella costruzione di ferrovie adatte a mobilitarsi. Insomma non diamo per scontato che Berlino non riesca a sfangarla.

5) il limite dei due mandati è sacro negli USA. Roosevelt vendeva la sua candidatura nel 1912 dicendo che A) era una terza candidatura ma non consecutiva e Washington non aveva potuto dire niente in proposito essendo morto prima dell'elezione successiva alla fine della sua presidenza (affermazione forzata) e B) il suo primo mandato era frutto di un assassinio, quindi di fatto lui era stato eletto solo per un mandato (anche questa forzata, se si pensa che l'origine del limite è la frase di Washington "Troppo potere a un uomo solo per troppo tempo non è bene"). In ogni caso tutti parlavano di un suo "terzo mandato", quindi è così che sarebbe stato letto. In tal senso è quindi probabile che successivamente venga introdotta una modifica costituzionale che impedisca più di due mandati. Cosa faccia FDR è una domanda inutile perché cambiando la storia americana si potrebbe del tutto evitare la sua ascesa alla Casa Bianca. Menziono comunque come ultima curiosità il fatto che entrambi i partiti nel 1912 promisero di sostenere una modifica costituzionale già in discussione al Congresso per modificare i mandati presidenziali e passare a un singolo mandato di sei anni senza possibilità di rielezione: Wilson promise ma poi fece silurare il progetto perché ambiva anche lui a governare a lungo, persino a un terzo mandato che non poté tentare unicamente per ragioni di salute. Ma chissà che un altro presidente non lasci al Congresso libertà di discutere (la modifica comunque escludeva dal divieto tutti gli ex presidenti, quindi Roosevelt avrebbe comunque potuto candidarsi).

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feder però non è d'accordo:

La prospettiva di un governo PPI-PSI è da escludere categoricamente, il Paese era più spaccato che mai e la solita magia giolittiana di cercare supporto a destra come a sinistra non poteva funzionare. Avanzo una proposta molto più banale: il PSI si spacca come nela HL (nascita del PCI), le liti fra le diverse anime della sinistra portano al governo Giolitti alla testa di una larga coalizione che comprende liberali, dannunziani (rientrati dopo Fiume), cattolici e fascisti, la cui spinta eversiva rientra a seguito della normalizzazione democratica portata avanti da Giolitti. Questo comunque prima o poi si dimette, i contrasti fra Mussolini (o d'Annunzio?) e Don Sturzo portano l'alleanza conservatrice alla tomba, e per far fronte alla crisi del '29 il popolo terrorizzato assegna la palma al nuovo Fronte Popolare, alleanza di sinistra benedetta anche da Mosca. Quanto bene possa governare in un paese monarchico e tendenzialmente nemico del progresso come il nostro, comunque, non saprei dire.

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Il Monitore Faà di Bruno (1917), dipinto di Sandro Degiani (cliccare per ingrandire)

E ora, vi racconto una storia, quella del Monitore Faà di Bruno, illustrato qui sopra.

Come tutti i paesi poveri abbiamo fatto di necessità virtù, e quando demolivamo vecchie corazzate recuperavamo le artiglierie e le torrette realizzando questi pontoni e monitori armati.

Il "Faà di Bruno"aveva due cannoni da 381 destinati alle Corazzate classe Caracciolo mai realizzate...Buoni per difendere un porto o scendere un fiume a martellare le difese del nemico...non certo assimilabile ad una nave!

Questo curioso "mezzo navigante" (duro equipararlo ad una nave) è stato protagonista di un evento bellico curioso ed insolito...

Il 18 Novembre 1918 il "Faà di Bruno" con il Pontone (orgogliosamente chiamato Monitore) armato "Cappellini" partono da Venezia, ognuno al traino di un rimorchiatore, con una scorta di torpediniere, per sottrarsi alla cattura degli Austriaci che puntavano a Venezia dopo la rotta di Caporetto, e raggiungere il sicuro porto di Ancona... un bel coraggio tentare l'impresa con quella chiatta che la prima onda un po'grossa può capovolgere visto il peso dell'artiglieria!

Infatti, con il culo che ha sempre caratterizzato noi italiani in guerra, scoppia nell'Adriatico una tempesta!Il Cappellini si inabissa a Marzocca (presso Falconara) portando con se il Com.te Pesce (decorato di Medaglia di Argento al Valor Militare alla Memoria) e 68 uomini di equipaggio lasciando solo 4 superstiti.Il comandante del Faà di Bruno, Ildebrando Goiran, per evitare la stessa sorte fa incagliare il monitore nelle secche di Marotta.

Sembra comunque perduto per sempre, lui e il suo equipaggio, ma undici ragazze marottesi con una piccola imbarcazione tentano l’impossibile e riescono a raggiungere il "Faa’ di Bruno" rifornendo di viveri e medicinali l’equipaggio ormai esausto.

Non solo, riescono perfino ad ancorare a terra il relitto e quindi a salvare la vita dei marinai. L’eroismo delle 11 ragazze fu pubblicamente riconosciuto il 24 Agosto del 1919 nella piazza di Porto Marotta (così veniva chiamata Marotta nelle cronache del tempo) con la consegna della Medaglia di Bronzo al Valore Militare della Marina.

...a dimostrazione che le fanciulle servono e non sono solo decorative...!!!

...e così adesso siete promossi esperti di pontoni e monitori! Ciao!

Sandro Degiani

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C'è poi la proposta di Enrico Pizzo:

"Battaglia del Solstizio" è il nome dato daa Gabriele d'Annunzio all'ultima grande offensiva in Italia della Duplice Monarchia, combattuta tra il 16 e il 22 giugno 1918.
L'offensiva, praticamente imposta agli austro-ungheresi dall'alleato tedesco, fallì essenzialmente per l'ostilità tra i due vertici dell'esercito della Duplice Monarchia, i feldmarescialli Franz Conrad von Hötzendorf e Svetozar Borojević von Bojna.
Conrad voleva una riedizione della sua, fallimentare, Frühjahrsoffensive sugli altipiani di 2 anni prima, mentre Borojević riteneva il fronte montano invalicabile e sosteneva la necessità di agire in pianura nella zona di Ponte di Piave, unico posto in cui approntare le passerelle.
Alla fine l'Imperatore Carlo decise di accontentare entrambi, l'offensiva si sarebbe articolata in un attacco montano ed uno nella pianura.
Gli eventi diedero ragione a Borojević, l'offensiva montana di Conrad si risolse in un fallimento, mentre nella zona del Basso Piave l'esercito della Duplice Monarchia riuscì a passare il fiume ed a spingersi fino a Meolo, arrivando a minacciare da vicino Treviso e Mestre. 
Borojević, però, non disponeva di forze sufficienti per consolidare la sua presenza a Dx del Piave e poi proseguire, mentre Diaz aveva riserve sufficienti a bloccarlo.
Ipotizziamo però che Carlo decida di defenestrare Conrad, in modo tale che l'offensiva avvenga come progettato da Borojević. 
Il colpo per l'Italia non sarebbe stato mortale, Diaz era comunque pronto a ritirarsi oltre l'Adige ed a tagliare gli argini di questo, l'allagamento delle province di Verona e Rovigo sarebbe stato un'ostacolo insuperabile per gli austro-ungheresi, certo è che l'Italia sarebbe arrivata alla fine della guerra in posizione decisamente critica.
Non credo che Vienna avrebbe imposto un passaggio del Veneto all'Austria ma non credo neppure che si sarebbe accontentata del ripristino dello Status quo ante.
Cosa ne pensate?

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Gli replica il solito Bhrihskwobhloukstroy:

Da ogni ucronia cerchiamo di ricavare il massimo di divergenza compatibile con i requisiti basilari di realismo storico. La Seconda Battaglia del Piave è stata combattuta dagli Imperi Centrali per vincere la Guerra sul Fronte Sud, dal Regno d'Italia per la propria sopravvivenza; la posta in gioco era molto alta e ricordo che fra le annessioni sicuramente programmate non c'era solo il Veneto all'Austria-Ungheria, ma anche la Lombardia direttamente alla Germania e che comunque i due Imperi erano già impegnati a fondersi in un solo Reich Mitteleuropeo. Nel 1918 bastava poco per ribaltare un intero Impero, era appena successo in Russia e stava per accadere in Germania, in Ungheria e probabilmente anche in Italia; con von Hindenburg e Ludendorff la pianificazione dell'economia dello Stato era ormai identica a quella di Lenin in Russia e la Guerra Civile si stava sostituendo gradualmente a quella di Trincea, il peggior nemico dell'Austria non era più la Russia ma l'Ungheria (!) o, più precisamente, il Governo Tisza, mentre il peggior nemico della Russia stava per diventare la Polonia, nata sotto tutela austrotedesca ma 'adottata' dall'Intesa...

Se la Romania ha beneficiato così abbondantemente (oltre le più rosee previsioni, annettendo territorî sia dei proprî Alleati sia dei proprî ex-Alleati) è perché il Parlamento non ha mai ratificato la Pace Separata; sarebbe però stata questione di tempo e, con almeno il Veneto a disposizione degli Imperi Centrali, il Regno d'Italia in caso di sconfitta sul Piave si sarebbe potuto trovare in una situazione simile a quella romena. Uno degli elementi decisivi è stata anche la Propaganda del Crewe House di Steed e Seton-Watson nei confronti delle Nazionalità dell'Impero Asburgico e, in parte notevole come conseguenza di questa, la fuga di notizie dal lato austroungarico del(la) Fronte a quello italiano. Aggiungerei quindi, se possibile e unicamente al fine di rafforzare l'ucronia, un'attività di controinformazione a livello etnico-politico da parte degli Imperi Centrali nei confronti dei Sudditi dell'Italia (almeno come avvenuto in Russia); mai come allora (o nel 1943-1945) i risultati sarebbero stati altrettanto sconvolgenti.

Propongo perciò di prendere in considerazione l'eventualità ucronica che l'Offensiva Militare fosse accompagnata da tutti i possibili mezzi di diffusione sociale degli argomenti storici e geopolitici a favore del Progetto Mitteleuropeo allora a disposizione e che del resto erano già circolati nell'Italia Triplicista (e significativamente sarebbe stati l'idolo polemico della Scuola Mediterraneistica di Firenze, fondata proprio da un eminente Glottologo fuoriuscito dall'Austria, Carlo Battisti): il Nazionalismo Indoeuropeo (in contrapposizione al Semitismo dell'Erudizione Cattolica Italica), il Panillirismo Sostratistico (quello che è poi diventato la Teoria Paleoeuropea, in contrapposizione al Mediterraneismo), la valorizzazione della Celticità Centroeuropea (più 'germanizzante' rispetto ai Galli e ai Britanni), la rivendicazione del ruolo storico dei Goti e dei Longobardi, il recupero della Tradizione Ghibellina del Sacro Romano Impero, le nostalgie asburgiche del Cattolicesimo Legittimista, l'Antioccidentalismo ottomaneggiante dei Teorici della Mediterraneità e perfino una strizzatina d'occhio a un Socialismo Imperiale già realizzato a livelli quasi sovietici con l'Economia di Guerra di Ludendorff...

Riguardo al destino della Duplice Monarchia, il PoD proposto potrebbe estrapolare la Questione Austro-Ungarica da Versailles per quanto riguarda l'Italia e, col tempo che la Monarchia ne avrebbe guadagnato, anche per quanto riguarda la Romania, talché rimarrebbero solo la Questione Jugoslava e la Mitteleuropa. La Crociata Antibolscevica di Churchill potrebbe comportare una rinuncia ai piani di Seton-Watson e un mantenimento dell'architettura di Brest-Litovsk (/ Brest-Litowsk / Brześć nad Bugiem / Brest / Beras'ce / Brestas /Lietuvos Brasta) in concomitanza con la famosa riforma federale dell'Impero Asburgico. Servirebbe però appunto anche una 'controffensiva' propagandistica (non basterebbe una vittoria militare - sia pure decisiva - in Pianura Padana).

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Diamo ora la parola a Dario Carcano:

« Se volessi esprimermi paradossalmente, direi che Caporetto è stata una vittoria, e Vittorio Veneto una sconfitta per l’Italia. Senza paradossi si può dire che Caporetto ci ha fatto bene e Vittorio Veneto del male; che Caporetto ci ha innalzati e Vittorio Veneto ci ha abbassati, perché ci si fa grandi resistendo ad una sventura ed espiando le proprie colpe, e si diventa invece piccoli gonfiandosi con le menzogne e facendo risorgere i cattivi istinti per il fatto di vincere. »

Giuseppe Prezzolini, Dopo Caporetto

Il 3 giugno 1917 la brigata Caltanissetta, inquadrata nel 4° Corpo della II Armata del generale Capello, riuscì a prendere il monte Mrzli. Non era stato facile, la resistenza austriaca era stata accanita, e la brigata era stata quasi distrutta dalla violenza dei combattimenti: quasi due terzi del reparto erano morti o feriti. Un giovane ufficiale che aveva partecipato ai violenti scontri sul Mrzli, scrisse “in questi giorni le dimensioni del cimitero della brigata sono state raddoppiate, ma presto sarà di nuovo troppo piccolo”. Ma c’era un motivo per cui la presa del Mrzli rappresentava un grande successo strategico: la testa di ponte di Tolmino, ultimo baluardo austriaco a Ovest dell’Isonzo, era ora indifendibile; il 6 giugno la testa di ponte fu abbandonata. Ovunque gli italiani avevano passato l’Isonzo.

Dopo l’undicesima battaglia dell’Isonzo ad agosto di quello stesso anno, la situazione per gli austriaci si fece critica. Se Cadorna avesse scatenato una nuova offensiva, stavolta gli italiani avrebbero sfondato, e ovunque sarebbero passati come burro. Avrebbero preso Trieste, e per il plurisecolare impero Austro-Ungarico sarebbe stata la fine. Bisognava impedirlo a tutti i costi, ma questo imponeva un sacrificio enorme: bisognava andare dai tedeschi a chiedere (o meglio, a implorare) il loro aiuto per ributtare indietro gli italiani. Ai tedeschi gli austriaci non stavano simpatici, li apostrofavano come “balcanici, fatalisti e pasticcioni” (dal canto loro, gli austriaci ritenevano i tedeschi “arroganti, saccenti e presuntuosi”). Inizialmente, i tedeschi, in particolare Ludendorff, non volevano distogliere divisioni dai fronti occidentale e orientale per aiutare gli austriaci su un fronte secondario come quello italiano; e per cosa poi, per raccogliere “allori facili” contro gli italiani?

Però, Hindenburg era abbastanza vecchio da ricordarsi che la guerra di Crimea (pure quella una guerra di trincea) era terminata con la capitolazione della Russia quando i franco-inglesi erano riusciti a prendere il porto di Sebastopoli. Ora aveva paura che con Trieste stesse per ripetersi la stessa cosa.

Gli austriaci un piano lo avevano: prevedeva di attaccare sull’alto Isonzo, dove gli italiani avevano meno divisioni, puntare verso il monte Matajur – e un paesino che in sloveno si chiama Kobarid, dove c’è un ponte sull’Isonzo – e poi da lì ridiscendere verso Cividale attraverso le valli Judrio e Natisone.

I tedeschi decisero quindi di mandare un generale esperto in guerra di montagna a valutare la fattibilità della cosa, il generale Konrad Krafft von Dellmensingen, che in divisa austriaca ispezionò la zona e valutò la forza delle posizioni italiane. Il suo parere fu negativo: se gli austriaci fossero riusciti a mantenere la testa di ponte di Tolmino, ci sarebbe stata una solida base aldilà dell’Isonzo da cui far partire l’offensiva, e la cosa sarebbe stata fattibile nonostante la forza delle posizioni italiane; ma senza quella base, era impossibile che lo sfondamento potesse avere successo, in quanto l’Isonzo, profondo e scosceso, poteva essere attraversato solo in presenza di un ponte. I tedeschi quindi dovettero rifiutare il loro aiuto agli austriaci; a Ludendorff la cosa non dispiaceva: aveva più risorse da impiegare sul fronte orientale, in particolare per invadere la Moldavia e buttare fuori definitivamente i rumeni dalla guerra.

Neanche all’imperatore Carlo I la cosa dispiaceva particolarmente: era un sant’uomo, ma politicamente era un debole, fortemente influenzato dalla moglie, l’imperatrice Zita, a causa della quale aveva poca simpatia per il Reich tedesco e sarebbe stato pronto a tradire l’alleanza quando lo avrebbe giudicato conveniente.

Ma bisognava attaccare, almeno provarci. Se gli italiani non fossero stati ributtati indietro, Trieste sarebbe stata persa. Così Carlo impose ad Arz von Straussenburg di attuare ugualmente il piano di offensiva sull’alto Isonzo anche senza i tedeschi. Così iniziò a settembre la preparazione dell’offensiva, originariamente prevista per metà ottobre, ma che a causa delle inefficienze della burocrazia austriaca iniziò concretamente solo ai primi di novembre.

Il 3 novembre gli austriaci attaccarono. I reparti italiani erano deboli, per le enormi perdite subite nell’undicesima battaglia dell’Isonzo che ancora non erano state colmate con un numero sufficiente di complementi, per la poca flessibilità dei reparti, basati sul plotone anziché sulla squadra, per le tattiche antiquate adottate dai comandi, per la scarsa qualità degli ufficiali e dei sottoufficiali, e per molte altre ragioni. Ma gli austriaci sono sempre stati un degno avversario, perché molti dei problemi che affliggevano l’esercito italiano affliggevano anche quello austriaco. I tedeschi invece, se avessero attaccato loro, avrebbero fatto a pezzi le postazioni italiane.

Gli austriaci uscirono dalle trincee per lanciarsi all’attacco dieci minuti dopo la fine del bombardamento, come se si fosse ancora nel 1914; se fossero stati i tedeschi ad attaccare, sarebbero usciti cinque minuti prima che il bombardamento finisse, arrivando nelle trincee italiane quando gli italiani ancora erano nelle caverne e nei rifugi a chiedersi se il bombardamento fosse finito davvero o fosse una finta; questo avrebbe permesso di catturare interi battaglioni o reggimenti.

Se l’attacco fosse stato condotto dai tedeschi, per minimizzare le perdite avrebbe accuratamente evitato i caposaldi meglio difesi, ben sapendo che si sarebbero arresi non appena avessero sentito alle loro spalle rumori di mitragliatrici nemiche; invece, gli austriaci concentrarono il grosso della loro offensiva proprio contro quelle posizioni, perdendo molti soldati e minimizzando i guadagni territoriali dell’offensiva.

Più in generale, se nella dodicesima battaglia dell’Isonzo ci fossero stati i tedeschi, molto probabilmente le linee italiane non avrebbero retto, gli austro-tedeschi avrebbero sfondato, arrivando a Cividale, a Udine, al Tagliamento, e forse addirittura al Piave, prima che gli italiani riuscissero a fermarli; Cadorna sarebbe stato silurato e additato a capro espiatorio della disfatta, e al suo posto avrebbero messo qualcun altro (certamente non il duca d’Aosta, perché il re mai avrebbe voluto che il cugino potesse rischiare di essere coinvolto in un nuovo disastro militare; probabilmente avrebbero scelto un nome poco noto a cui scaricare la patata bollente). Ma qui stiamo giocando a fare la Storia coi se, perché come tutti sanno, nella dodicesima battaglia dell’Isonzo le linee italiane arretrano ma gli austriaci non sfondano, e, come l’anno prima nella Strafexpedition, il contrattacco condotto dalle riserve fatte affluire da Cadorna permise agli italiani di riconquistare le posizioni perse. Come sempre nella prima guerra mondiale, le perdite subite dagli attaccanti furono spaventose: gli austriaci persero 150.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri; gli italiani 110.000.

Forte di questo successo, Cadorna iniziò a pianificare la tredicesima battaglia dell’Isonzo, con cui in primavera avrebbe tentato di prendere Trieste.

E poi?

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Diamo la parola a Dario Carcano:

Sapete, una delle cose che non sopporto sono quegli appassionati di Storia che durante una conversazione sulla seconda guerra mondiale tirano fuori dati tecnici dei carri armati tedeschi e li comparano con quelli russi o americani, come se fosse l’unica cosa importante. I carri armati sono stati solo uno degli aspetti della seconda guerra mondiale, eppure sono quello a cui si dedica la maggiore attenzione: World of Tanks, Panzer Leader, Achtung Panzer, Girls und Panzer…

Eppure i carri armati sono un idea così stupida!

Come i carri armati sono stupidi? Sono uno degli strumenti di guerra più usati al mondo e più pesanti sui bilanci dei Ministeri della Difesa, come è possibile che siano stupidi?

Partiamo da un presupposto. Cos’è un carro armato?

Un carro armato è una scatola di metallo provvista di cingoli, da cui si ha una visione solo parziale dell’esterno, dotato di un armamento che – nella maggior parte dei casi – gli consente di affrontare solo altri carri armati e che viene caricato di materiale esplosivo (le munizioni per il pezzo e il carburante).

Per mettere fuori combattimento un carro armato non serve un altro carro armato.

Basta una bottiglia piena di benzina da buttare contro le prese d’aria del motore, oppure una pala con cui scavare un fosso anticarro.

Infatti un carro armato da solo non vale nulla; la grande lezione della Seconda Guerra Mondiale, che nell’immaginario collettivo è la guerra corazzata per eccellenza con grandi scontri tra carri armati, è che i usare i carri armati da soli è utile se vuoi distruggere le tue truppe corazzate. I carri armati per essere efficaci hanno bisogno del supporto di fanteria, artiglieria e aviazione; senza sono destinati a essere annientati.

Ma allora perché spendere risorse in qualcosa che di inutile che da solo non è decisivo? Mi si obietterà che se dalla combo carri armati-fanteria-artiglieria-aviazione tolgo i carri armati viene a mancare l’elemento di manovra con cui penetrare in profondità una volta sfondate le linee nemiche; ma non siamo più al tempo della Grande guerra in cui la fanteria era appiedata, pertanto la fanteria – motorizzata o meccanizzata se non addirittura aviotrasportata – ha i mezzi per svolgere il ruolo di forza di manovra.

Questo ci riporta alla domanda sul perché dei carri armati. E per rispondere bisogna tornare alla Grande guerra, in cui furono inventati i carri armati.

Non vi dirò nulla di nuovo se vi dico che la Prima Guerra mondiale è stata una guerra di trincea. La guerra di trincea nasceva dal fallimento dei due schieramenti di aggirarsi a vicenda (la cosiddetta “corsa al mare”), e da allora sul fronte occidentale la guerra è diventata un tentativo di rompere quello stallo. I tedeschi ci provarono coi gas tossici – che poi sarebbero stati usati anche dagli anglo-francesi – invece gli inglesi iniziarono a sperimentare un mezzo per sfondare le linee nemiche, che si facesse strada nella terra di nessuno incurante di filo spinato e fuoco delle mitragliatrici. Il carro armato, appunto.

In apparenza una buona idea. Ma se guardiamo al battesimo del fuoco di questi nuovi mezzi, i dati sono meno incoraggianti. Su 49 carri armati disponibili per la battaglia della Somme del 1916, solo 35 furono schierati, e a causa dei guasti meccanici ne entrarono in azione solo 21, e di questi molti si incastrarono nelle trincee o nelle buche delle granate.

Non esattamente un successo, e infatti non furono i carri armati a rompere lo stallo della guerra di trincea.

A rompere lo stallo fu la creazione di nuclei di fanteria d’assalto, specializzata nell’attacco alle trincee, contrapposti alla fanteria ordinaria non specializzata, unitamente a nuove tattiche sulla conduzione degli assalti alle trincee. I primi ad andare in questa direzione furono i tedeschi, e l’efficacia di questi nuovi metodi si vide soprattutto a Caporetto, contro gli italiani; i tedeschi sfondarono e gli italiani riuscirono a fermarli solo sul Piave.

I tedeschi avrebbero usato le stesse tattiche l’anno dopo durante le offensive di primavera contro gli anglo-franco-americani sul fronte occidentale, ma una combinazione di errori strategici dei comandi tedeschi e maggiore disponibilità di risorse umane e materiali da parte dell’Intesa ne limitò l’efficacia. I tedeschi avanzarono ma contrariamente a Caporetto non riuscirono a sfondare.

In tutto questo i carri armati hanno un ruolo marginale; fu la fanteria a creare la guerra di trincea e fu la fanteria a rompere lo stallo.

E allora perché si investe nei carri armati se sono inutili? Beh, molto semplicemente: il fatto che un idea abbia successo non significa che sia giusta.

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Gli risponde Alessio Mammarella:

Questo, Dario, è un argomento molto interessante. Penso che sia prima di tutto una questione psicologica. Il carro armato si caratterizza infatti per una corazzatura che lo fa apparire invulnerabile (ma come hai ben detto, non lo è del tutto) con una trazione cingolata che lo fa apparire inesorabile (lento, ma capace di arrivare ovunque) e poi un grosso cannone che rappresenta certamente un'arma potente e temibile. I nazisti, che avevano un innamoramento per il concetto di potenza, avevano realizzato il pesantissimo carro armato "Maus" (i prototipi, lentissimi e incapaci di difendersi, furono facilmente catturati dai sovietici negli ultimi giorni di guerra) e gli ancora più mostruosi "incrociatori terrestri". Il web in proposito ironizza:

Al di là dei deliri dell'ingegneria militare nazista, i carri armati sono visti come la "cavalleria pesante" degli eserciti moderni, quindi come una forza decisiva da schierare nelle grandi battaglie campali. In effetti due battaglie significative della II Guerra Mondiale furono decise dai carri armati (El Alamein e Kursk) e anche nelle guerre successive (penso ai combattimenti tra israeliani ed egiziani nella penisola del Sinai o alla Guerre del Golfo) i carri armati hanno avuto un ruolo significativo, ci sta quindi che se ne parli un po' in toni "epici". In ogni caso, proprio perché i carri armati sono "cavalleria pesante" la storia ci insegna che quella componente degli eserciti non è presente in tutte le epoche storiche: ci sono state fasi storiche in cui la cavalleria pesante è scomparsa, non è quindi da escludere che accada anche ai carri armati. Per quanto riguarda il presente ed il futuro, due sono le incognite sul futuro del carro armato.

La prima è legata all'utilità del carro armato sul campo di battaglia in relazione ad altri mezzi.

Attualmente la fanteria degli eserciti utilizza dei mezzi corazzati chiamati IFV (Infantry Fighting Vehicles) che sono di base dei mezzi di trasporto blindati, ma sono anche dotati di armi proprie: di solito un cannoncino a tiro rapido e una o più mitragliatrici, ma anche missili. Le armi di bordo fanno si che il mezzo, dopo aver rilasciato la squadra di soldati che trasporta, possa continuare a combattere per conto suo. Certo, un cannoncino da 40mm o 50mm non ha la potenza di un cannone da carro armato (120mm per i carri occidentali, 125mm per quelli russi), ma i missili che equipaggiano gli IFV di ultima generazione, come lo Spike del VBM Freccia adottato dall'Esercito Italiano, sono paragonabili, per raggio d'azione e potenziale distruttivo, alle cannonate di un carro armato.

(tra l'altro guardando la torretta di questo mezzo, e non vedendo che sotto ci sono 8 ruote, si potrebbe scambiarlo proprio per un carro armato... dovete sapere che esistono anche degli IFV che che sono cingolati e quelli vengono quasi sempre scambiati per carri armati anche da politici e giornalisti... quello sotto è il VCC Dardo, anch'esso in dotazione all'Esercito Italiano e usato, come ben si vede dai pennacchi, dai bersaglieri)

Questi mezzi della fanteria sono in grado di supportare i soldati più o meno come i carri armati, e anche di difendersi da questi ultimi. La sostituibilità tra IFV e carro armato è stata sperimentata nel senso contrario, per esempio il carro armato israeliano Merkawa trasporta anche soldati. Esiste già, quindi una sorta di ibrido tra le due categorie di mezzi, anche se è impiegato in una particolare situazione (urban warfare).

La situazione per cui il carro armato sembra ancora insostituibile però, è appunto l'uso in massa su terreno aperto, come visto nelle Guerre del Golfo. Questa è la principale opposizione che mi è stata mostrata, su un forum specializzato in temi militari, quando ho posto la domanda se il carro armato, di fronte a IFV sempre più prestanti e dotati di missili in grado di abbattere un carro armato, possano mandare in pensione quest'ultimo.

La seconda incognita sull'uso del carro armato in futuro riguarda le modalità con cui si svolgeranno le guerre future. Ci saranno ancora guerre in cui si muoveranno grandi masse di soldati? Oppure saranno solo guerre aeronavali? Oppure saranno guerre di droni? Oppure saranno guerre "senza sangue" perché combattute con virus informatici, disinformazione, attacchi finanziari? Se le guerre dovessero cambiare faccia in modo così radicale, per i carri armati l'unico posto possibile sarebbero i musei...

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E Dario annuisce:

La tua esposizione di come gli IFV stiano diventando sempre più simili a dei veri e propri carri armati risponde in parte ad un dubbio che mi era venuto scrivendo la mia riflessione: ovvero se il fatto che io ritenga la fanteria meccanizzata equipaggiata con IFV una forza di manovra in grado di sostituire i carri armati in questo ruolo, non nullifichi il mio ragionamento in quanto un IFV sarebbe comunque molto simile ad un carro armato. La risposta è no, perché comunque un IFV è diverso da un carro armato in quanto equipaggiato principalmente per supportare la fanteria, mentre un MBT è equipaggiato per affrontare altri carri armati.

Comunque, ho forti dubbi sul fatto che le guerre del futuro saranno soprattutto economiche e/o finanziarie, anche perché non sarebbe nulla di nuovo: sarebbe grossomodo quello che hanno fatto gli Inglesi nella Cina dei Qing o i mercanti italiani nell'Impero Romeo.

Ci sarà sicuramente questa modalità di guerra ma non sarebbe nulla di nuovo.

Sul modo in cui si combatterà la guerra del futuro, ho una sola certezza: non potranno prescindere dal soldato di fanteria.

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Vorrei chiudere questa pagina con quanto ci ha scritto Enrico Pellerito il 17 maggio 2018:

L'altroieri sera ed ieri sera in prima serata su RaiUno hanno trasmesso una miniserie, come al solito in due puntate, intitolata "Il Confine" ed ambientata nella Trieste della Prima Guerra Mondiale. Protagonisti sono due giovani, l'italiano Bruno Furian e l'austriaco Franz Von Helfert, figlio di un colonnello austroungarico, interpretati rispettivamente da Filippo Scicchitano e Alan Cappelli Goetz. Entrambi sono innamorati della stessa donna, un'ebrea triestina (interpretata dalla bellissima Caterina Shulha). Alla fine entrambi i giovani moriranno nella ritirata di Caporetto, e vent'anni dopo l'anziana donna mostrerà a suo figlio (avuto dall'austriaco) il sacrario di Redipuglia con le sue decine di migliaia di tombe. Per chi vuole rivedere la fiction, ecco i link:

https://www.raiplay.it/video/2018/05/Il-confine-E1-c9357d0b-80f8-4059-a2cc-7e52b7a79148.html
https://www.raiplay.it/video/2018/05/Il-confine-E2-05c47fa3-8e8a-4bc2-b03a-87a55234c46b.html

Devo dire che, a parte l'accenno dell'applicazione delle infami leggi razziste fasciste, questa fiction mi è sembrata imbevuta della solita retorica nazionalista e irredentista che purtroppo scuote ancora oggi e sempre in modo brusco e poco ragionato, i sentimenti dei popoli che si considerano, a torto o a ragione, oppressi.
Gli Italiani morti per la libertà, ma quale?
Quella che impediva agli italofoni dell'Impero austro-ungarico di esprimere le loro rivendicazioni?
Si, ci sta, ma come hai detto tu, nell'interesse nazionale avremmo potuto aspettare, solo che a Londra, a Parigi e a Pietrogrado (cosiddetta in quel momento) pretendevano a tutti i costi la nostra entrata in guerra a loro fianco.
Ci costrinsero e se non l'avessimo fatto i nostri nonni e bisnonni avrebbero finito per soffrire la fame e il freddo, dato che Britannici e Francesi intendevano strangolare l'Italia bloccando e ritardando le importazioni di grano e di carbone.
Morire per difendere i nostri confini?
Ma se fummo noi a tradire e ad attaccare un ex-alleato, che qualcosa territorialmente ci offrì e per il momento avremmo potuto accontentarci, rinviando a tempi migliori ulteriori trattative.
Purtroppo è andata così e non come hai ricordato tu si sarebbe potuto fare.
Quando la maggioranza non vuole la guerra ma è divisa in varie fazioni, le minoranza guerrafondaie finiscono per prevalere.
Personalmente ho da ridire anche sulla più che romanzata dinamica degli eventi narrati nello sceneggiato, con la riuscita fuga di Emma e del bambino in territorio italiano, come se passare le linee sia qualcosa di semplice e niente affatto gravoso e l'aggiunta della praticamente improbabile possibilità che i due triestini si scontrino-incontrino sul fronte, cosa che fra l'altro si ripete poco tempo dopo grazie all'assurda combinazione che entrambi gli stessi reparti tornare a fronteggiarsi.
Poi il padre di Franz, il "cattivo" della storia, che incarna tutto il male dell'impero asburgico; si ritrova il figlio ai propri ordini (mentre invece Franz sarebbe stato subito trasferito come è d'uso in tutti gli eserciti) e addirittura ne capisce i motivi dell'allontanamento per nulla involontario.
E infine bisogna "punirlo" doppiamente, perché non solo assiste alla morte del figlio, ma questo compie un vero e proprio "suicidio" in ottica antimilitarista.
Ovviamente non mancava neppure la scena di nudo integrale di Caterina Shulha, che non può esserci risparmiata in nessuna fiction dei giorni nostri.
Riconosco che sono io ad essere troppo pignolo, ma un po' più di realismo senza tutte queste forzature non avrebbe nociuto alla storia.

E adesso, partiamo con l'ucronia.
Premesso che a Cadorna e a Badoglio avrei fatto fare una ancor più pessima figura (però è vero che al primo non gli dissero quasi nulla riguardo le scelte di politica estera), la ragazza poteva giungere in Italia attraverso la Svizzera, cosa difficoltosa ma ottenibile senza rischiare fucilate da ambedue le parti passando le linee; Emma entra volontaria nella sanità militare, dato che ha già un'esperienza in questo campo e le indagini hanno mostrato la sua assoluta affidabilità dal punto di vista della scelta fatta.
Bruno, dopo un periodo in prima linea, dove il regista ha la possibilità di evidenziare gli orrori della guerra, viene inviato nelle immediate retrovie a comandare un campo di transito per i prigionieri nemici; capisce il tedesco e ciò ritorna utile per interrogare i nemici, così Emma, per stargli vicino, dopo un po' di tempo riesce a farsi assegnare ad un ospedale da campo, in una località vicina al campo di transito, portando seco il figlio perché desidera che Bruno veda il piccolo.
Siamo ancora nelle eventualità possibili, vicino al limite, ma possibili.
Causalità fortuita (ma è una sola, una soltanto), Franz viene preso prigioniero e giunge a quello specifico campo di transito.
Bruno lo incontra e dopo un interrogatorio dove si parla della situazione che li vede coinvolti personalmente, basandosi sul fatto che è lui a dirigere la baracca, ritarda di un paio di giorni il trasferimento di Franz e fa venire Emma con il bambino permettendo l'incontro, che sarà breve ma sufficiente a che ci siano chiarimenti.
D'accordo, niente passeggiate insieme, niente altalena per il piccolo, ma cazzarola siamo in guerra!!!
Al momento del congedo Emma mostra il suo particolare affetto ad entrambi; la stessa notte avviene l'offensiva austro-tedesca e anche le immediate retrovie italiane vengono coinvolte.
Qui si può immaginare che Franz tenti di impedire, invano, l'uccisione di Bruno durante gli scontri, venendo per questo arrestato e deferito alla corte marziale.
Prima del processo incontra il padre e dimostra tutto il suo disprezzo per lui e per cosa egli rappresenta, compreso, ovviamente, il militarismo; atteggiamento ribadito durante il processo con la conseguenza della condanna per tradimento e la fucilazione.
Il finale è il medesimo e abbiamo lo stesso la denuncia dell'assurdità e della crudeltà che nascono dall'oppressione, dal militarismo e dalla guerra. Che ne dite?

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