Sicania Terra


Nel discorso della riscossa dei popoli pressoché scomparsi iniziato da dDuck in questa pagina si inserisce a questo punto il nostro Webmaster Wiliam Riker, il quale viene fuori con questa idea:

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Un momento! Tra gli antichi popoli italici che non sopravvissero all'avanzata delle legioni romane non ci sono solo gli Etruschi! Così su due piedi, a me vengono in mente ad esempio i Sicani, i primi abitatori della patria di Montalbano!

Lo storico greco Tucidide sostiene che i Sicani erano originari della Spagna, da dove sarebbero stati scacciati dai Liguri: il loro nome infatti deriverebbe da quello dell'antico fiume iberico Sikanos. Gli storici moderni, come il siciliano Vincenzo La Rosa, tendono invece a pensare che questo popolo si sia formato direttamente in Sicilia, molto prima che i Minoici e i Greci la ribattezzassero Trinacria ("Tre promontori"), dalla fusione tra i primi indigeni dell'isola e popolazioni italiche provenienti dalla Calabria. In ogni caso, pur abitando un'isola, questi popoli avevano un pessimo rapporto con il mare.

Ma che accade se entrano prepotentemente nella storia, decidono di diventare una talassocrazia che conquista Cartagine e realizzano un impero marittimo esteso dalle Isole Cassiteridi (le Scilly, al largo della Cornovaglia, ricche di stagno) fino alla Cirenaica? Quali rapporti avranno con i Greci? E con i Romani?

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Tosto Falecius risponde:

Assolutamente pessimi, con entrambi. Avrebbero il ruolo geopolitico della nostra Cartagine.

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Ed Enrico Pellerito:

E come Cartagine finirebbero per venire spazzati via da Roma.

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MAS dal canto suo aggiunge:

Se non ricordo male, i Sicani erano un popolo della Sicilia occidentale, probabilmente di origine non indoeuropea, che, secondo la tradizione, in origine occupava gran parte dell'isola. In seguito, l'area ad ovest del fiume Salso, fu occupata dai Siculi, che soppiantarono i Sicani. Le poche e frammentarie notizie storiche sui Sicani giunte fino a noi provengono dai Greci che, quando iniziarono ad insidiarsi in Sicilia (VIII secolo a.C.), trovarono tre diversi popoli: i Sicani a occidente, i Siculi nella parte orientale e gli Elimi nella regione nord-occidentale.

Lo storico greco Tucidide, vissuto verso la fine del V secolo a.C., riporta quanto scritto da Antioco di Siracusa, autore di una storia della Sicilia dalle origini fino al 424 a.C.: « Si dice che i più antichi ad abitare una parte del paese fossero i Lestrigoni e i Ciclopi, dei quali io non saprei dire né la stirpe né donde vennero né dove si ritirarono... I primi abitatori dopo di loro sembra che siano stati i Sicani, a loro dire anteriormente ai Lestrigoni e ai Ciclopi per il fatto che erano autoctoni, mentre secondo verità erano Iberi scacciati dai Liguri dal fiume Sicano nell'Iberia. E quindi da loro l'isola fu chiamata Sicania, mentre prima era chiamata Trinacria: anche ora abitano la Sicilia, nelle parti occidentali... Giunti in Sicilia (i Siculi), grosso popolo com'erano, vinsero in battaglia i Sicani li scacciarono verso le parti meridionali e occidentali del paese e fecero sì che la terra si chiamasse Sicilia invece di Sicania. »

Io ricordo una teoria in cui si sosteneva che i Sicani (certamente non indoeuropei), avessero una forte parentela con Berberi e Sardi e con popolazioni iberiche pre-celtiche.

È strano pensare che la Sicilia, la regione con minori differenze dialettali (esclusi i greco-albanesi e le minoranze gallo-lombarde) in Italia (io, che parlo catanese, capisco benissimo la parlata di Marsala o di Agrigento, mentre, se parlo bergamasco, non vengo praticamente capito da un comasco o varesotto), abbia una popolazione tanto eterogenea da un punto di vista genetico; siciliani occidentali certamente non indoeuropei (con forte presenza semitico fenicia) e gli orientali, indoeuropei (con forte presenza greca).

Che i Sicani, da pastori diventino marinai, lo vedo assai difficile, a meno che, pressati dai Siculi ad oriente e dagli Elimi a Nord-Ovest, non decidano di emigrare in massa (anticipano i Fenici nella colonizzazione del Mediterraneo occidentale) ma, paradossalmente, spariscono dalla Sicilia, che riconquisteranno nei secoli seguenti, partendo dai loro nuovi stanziamenti nel Nord Africa.

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Ed ecco l'articolata risposta interlineare del nostro mentore *Bhrg'howidhHô(n-):

MAS:

(...) Se non ricordo male i Sicani erano un popolo della Sicilia occidentale, probabilmente di origine non indoeuropea, che, secondo la tradizione, in origine occupava gran parte dell'isola. In seguito, l'area ad ovest del fiume Salso, fu occupata dai Siculi, che soppiantarono i Sicani.

*Bhrg'howidhHô(n-):

Tutta CoDesta è la versione vulgata, anche a me è stata insegnata così. Tuttavia oggi è chiaro che non è sostenibile, perché si fonda su un'incoerenza di metodo: dato che la parentela genealogica è solo dimostrabile in positivo, ma non in negativo (ossia: al di sopra di una determinata percentuale di corrispondenze fonetiche regolari tra lingue prive di contatti reciproci storici si può affermare che, statisticamente, le probabilità di coincidenza casuale sono al di sotto della soglia della verosimiglianza e quindi la loro discendenza da una fase perlomeno comune è dimostrata; invece, quando tra due lingue - di cui almeno una non abbia parentele dimostrate - non ci sono abbastanza corrispondenze fonetiche regolari, non è affatto detto che non siano apparentate: semplicemente non si può dire che lo sono, ma non si può dire neanche che non lo sono), quando si qualifica una lingua - priva di altre parentele dimostrate - come "non indoeuropea" si intende semplicemente "non dimostrabilmente apparentata con alcuna famiglia, quindi neanche con quella indoeuropea (il che non esclude che col progresso degli studî si possa arrivare a una dimostrazione positiva di parentela, magari con una famiglia non indoeuropea, ma - per quanto ne sappiamo adesso - magari invece con la famiglia indoeuropea).

Ora, tale affermazione sarebbe a rigore doverosa per ogni lingua di cui conosciamo solo pochissimi nomi: di ciascuna bisognerebbe predicare che non ha parentele dimostrate. A questo punto, d'altra parte, sorge la curiosità di sapere almeno quali famiglie sono candidabili per una possibile parentela. Ebbene, se confrontiamo le varie candidature nel caso del sicano, quella indoeuropea è sinora messa meglio di tutte: lo stesso nome Sîkanoí (N.B. con /i/ di quantità lunga e /a/ di quantità breve, come negli Autori Greci e come nell'aggettivo virgiliano Sîcanius, mentre Sikeloi = Siculî e l'altro aggettivo virgiliano, Sicânus, hanno la /i/ breve e la /a/ lunga), formato con lo stesso comglolmerato suffissale *-nHo- che ritroviamo, per esempio, in Brittanî (la forma più genuina dell'etnonimo Britannî, anch'esso comunque corretto), può derivare da una base di collettivo *sH1í-kaH2/4 "(insieme di terreni) seminati" (i significati tra parentesi si ricavano dai monemi derivazionali), forma derivazionale *sH1í-ko- (tema del singolare), quindi *SH1í-k-n-Ho-H1es "relativi (*-Ho- + plur. *-H1es) per antonomasia (*-n-) a(ll'insieme di terreni) seminati", cioè "Agricoltori" (naturale, no?).

Anche Segesta, in quanto fornito di evidente etimo indoeuropeo (confermato dalla ricorrenza in Liguria e Pannonia), conferma, se nome sicano, l'indoeuropeistà di questa lingua: *Seg'h-es-taH2/4 "(la) Vittoriosa".

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MAS:

(...) E' strano pensare che la Sicilia, la regione con minori differenze dialettali (esclusi i greco-albanesi e le minoranze gallo-lombarde) in Italia (io, che parlo catanese, capisco benissimo la parlata di Marsala o di Agrigento, mentre, se parlo bergamasco, non vengo praticamente capito da un comasco o varesotto),

*Bhrg'howidhHô(n-):

In parte si tratta del portato di differenti vicende storico-linguistiche nella formazione delle tradizioni romanze locali, in parte di una deformazione percettiva da parte dei parlanti. Per quanto riguarda quest'ultima, in primo luogo la presunta incomprensibilità tra bergamasco e varesotto o comasco è spesso dichiarata unilateralmente da parte dei parlanti di queste ultime varietà (ossia: il comasco asserisce di non capire il bergamasco più spesso di quanto un bergamasco asserisca di non capire un comasco) ed è semplicemente una conseguenza di una rappresentazione risalente all'epoca (non troppo antica: più o meno il XIV. sec.) in cui le antiche caratteristiche del lombardo-piemontese-emiliano occidentale (il padano occidentale) sono state espunte dal lombardo occidentale in fase di toscanizzazione (con centro propulsore a Milano), per cui le parlate rimaste ai margini (non solo il bergamasco, ma anche la grande maggioranza dei dialetti lombardo-alpini) sono state qualificate come "corrotte" e non comprensibili (mentre erano semplicemente arcaiche, che, nel contesto cisalpino, significa paradossalmente "più sviluppate rispetto al latino di quanto fosse l'iperconservativo toscano": "più sviluppate" comporta maggior erosione fonetica, quindi alterazione dell'equilibrio sillabico, cancellazione di confini di morfema e alla fine minore comprensibilità da parte di chi è più conservativo). Da notare che, invece, per chi parla varietà "rustiche" con maggiore erosione fonetica le parlate "urbane", conservative perché toscaneggianti, sono ben comprensibili, perché di fatto esplicitano la struttura fonologica soggiacente alle stesse parlate rustiche. (Per questo stesso motivo ci si attenderebbe che i francofoni capiscano meglio gli italofoni che viceversa; se invece avviene il contrario, è per ragioni del tutto non linguistiche e solo politiche legate da un lato - per quanto riguarda la volontà di non capire - allo sforzo millenario, dalla Gallia romana al Re Sole, fatto dalle comunità transalpine per differenziarsi rispetto all'egemonia cisalpina, dall'altro - per quanto riguarda la volontà di capire - alla percezione da parte degli italofoni che il baricentro politico-culturale della 'Nazione' Romanza era diventato ormai la Francia.)

Per quanto riguarda la diversità di vicende storico-linguistiche tra Lombardia Occidentale e Sicilia, il nucleo si riduce a una differenza cronologica:

- il latino reto-cisalpino, praticamente indifferenziato (a parte singole isoglosse lessicali) sino al VI. sec. d.C., si è diviso dapprima in due aree (cisalpino bizantino e cisalpino longobardo) nei secoli VI.-VIII., poi ha subtìto le conseguenze della politica territoriale ed ecclesiastica carolingia (padano vs. romancio) e ottoniana (ladino-friulano vs. veneziano), poi ancora l'ipercaratterizzazione padana occidentale rispetto alla Liguria (X.-XI. secc.), infine la toscanizzazione (d'importazione) a macchia d'olio da parte di Venezia e Milano;

- in Sicilia si può considerare assodata la continuità della tradizione latina accanto a quella greca (prevalente nella parte orientale), tuttavia è altrettanto innegabile che le caratteristiche attuali si sono formate a partire dall'epoca normanna in modo parallelo a quanto avvenuto nella Penisola Iberica, con la sostituzione delle varietà d'importazione al mozarabico, se non che in Sicilia la diffusione non è stata secondo linee parallele, bensì convergenti: due correnti galloromanze (una genericamente transalpina, una cisalpina specificabile come padana occidentale) e una italoromanza meridionale estrema (in pratica, calabrese centro-meridionale, a sua volta formatasi in epoca abbastanza tarda su un fondo prevalentemente greco). Da notare che la ri-neolatinizzazione è stata molto più forte in Sicilia orientale che in quella occidentale (per cui le uniche aree in cui sono sopravvissute comunità "galloitaliche" si trovano - naturalmente ai margini - nell'area di colonizzazione più intensa, la metà orientale, appunto poi nell'interno. Di conseguenza, ciò che differenza il bergamasco dal comasco è il fatto che il bergamasco conserva e canonizza fenomeni sorti nei secoli VI.-X. (rifiutati dopo il XIV. sec. dal milanese e dalle sue emanazioni prealpine), mentre l'equivalente cronologico e sociolinguistico del bergamasco per quanto riguarda la Sicilia è scomparso (era il "mozarabico di Sicilia", di cui si possono cercare tracce negli strati più antichi della componente romanza del lessico maltese). Inversamente, per avere in Lombardia la situazione di ampia comprensibilità reciproca interna al siciliano bisognerebbe - ucronicamente - che il milanese del XIV. secolo si fosse espanso non solo il Lombardia occidentale, ma in tutto il Bacino Padano (teniamo infatti sempre presente che, in epoca moderna, il lombardo orientale e il lombardo occidentale costituiscono due regioni linguistiche differenti, tanto quanto il piemontese differisce dal lombardo occidentale - il quale include, per la cronaca, anche le province di Verbania-Cusio-Ossola, Novara e Alessandria, con la provincia di Vercelli come area intermedia di transizione al piemontese): un'ucronia del genere è realmente accaduta, in piccolo, in Valtellina, dove alcuni centri - anche non contigui tra loro (Morbegno, Sondrio, Tirano) - si sono ampiamente 'milanesizzati' (attraverso la mediazione di Como, quasi completamente milanesizzata), mentre il versante retico (cioè quello settentrionale: N.B. quello più lontano da Bergamo!) presenta una serie di sorprendenti caratteristiche apparentemente bergamasche (non spiegabili con i fenomeni di transumanza, che riguardavano anche e soprattutto il versante Sud, orobico) e addirittura "liguri" (altri, diversi trattiapparentemente "liguri" caratterizzano il medio Ticino poco a Sud della Sede di Riker), che in realtà sono conservazioni di lombardo arcaico (come a Bergamo) o di cisalpino longobardo (come in Liguria).

Ad ogni modo, i ricordi della mia infanzia sono pieni di conversazioni esclusivamente "dialettofone" (al confine tra Canton Ticino e Varesotto) tra Milanesi, Tortonesi e Bergamaschi (alta Val Seriana) - ognuno parlante nella propria lingua - che si comprendevano alla perfezione... (unica eccezione il lessema tortonese bugioeu - scrivo in grafia milanese - rispetto a sidèll "secchio")

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MAS:

(...) abbia una popolazione tanto eterogenea da un punto di vista genetico; siciliani occidentali certamente non indoeuropei (con forte presenza semitico fenicia) e gli orientali, indoeuropei (con forte presenza greca).

*Bhrg'howidhHô(n-):

Sulla base della coincidenza emersa in questi ultimi sette anni tra i risultati - clamorosamente innovativi - della Genetica delle Popolazioni e quelli che procedono dalla convergenza di indagini sistematiche sulla toponomastica antica, il quadro più aggiornato del popolamento del Mediterraneo centro-occidentale si configura nei termini di:

- una continuità di popolamento dal Paleolitico, con persistenza della macrotoponomastica delle zone di massima rilevanza antropica (coste, laghi, guadi, fiumi, punti centrali delle pianure, primi rilievi, valli);

- nella fase pleniglaciale si è verificato un apporto di popolazione omoglotta dalle regioni a Nord della linea atlanto-alpino-pontica (a questo fase hanno la massima probabilità di risalire le coincidenze di pigmentazione con le popolazioni oggi linguisticamente berbere dell'Africa Settentrionale; nelle Canarie, tali caratteristiche erano proprie dei Guanchos, l'unica delle comunità locali a presentare significativi - benché residuali - elementi lessicali indoeuropei all'interno della propria varietà camitica);

- l'onda demica di espansione dell'agricoltura ha comunque coinvolto, in tutto il Mediterraneo Occidentale, le preesistenti comunità di Cacciatori-Raccoglitori e in ogni caso rappresentava l'espansione di popolazioni (micrasiatiche ed egee) anch'esse di lingue indoeuropea preistorica;

- da allora la continuità genetica è totale e a maggior ragione l'asse genetico linguistico, che quindi può raggruppare al proprio interno tre componenti pervenute sul luogo in tempi diversi (primo popolamento; pleniglaciale; Neolitico), ma sempre indoeuropee preistoriche.;

- nelle tarde Età dei Metalli si è verificata una ricaratterizzazione soprattutto fonologica, risultante dalla ricezione molto indiretta di fenomeni di contatto interlinguistico originatisi in ultima analisi nel Vicino Oriente (tra sumerico, semitico e indoeuropeo), ma mediati da una serie ben precisa di tradizioni indoeuropee (Anatolici, Greci, Italici, per non citare che gli anelli indispensabili).

Anche i Siculi (< indoeuropeo *Sik-elo-H1es "pertinenti a(i territori) raggiunti"), quindi, rappresentano una tradizione linguistica locale, solamente più esposta dei Sicani alla ricezione di innovazioni linguistiche italiche, mentre i Sicani presentano alcuni fenomeni in comune col celtico, verosimilmente nell'àmbito di una convergenza linguistica squisitamente mediterranea occidentale (Iberia - Baleari - Gallia - Liguria - Corsica - Sardegna).

In tal modo si giustificano:

- la testimonianza, presumibilmente informata (almeno a livello di tradizioni locali), di Timeo;
- i dati fisico-antropologici;
- le isoglosse con la Penisola Iberica;
- le ragioni della differenziazione tra Sicani e Siculi.

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Ma Camillo Cantarano ha voluto avanzare un'altra proposta per immaginare un mondo senza Roma:

Sembra incredibile ma, prima dell' arrivo dei latini, il Lazio era occupato dai Siculi.

Secondo gli storici antichi i primi abitanti del Latius Vetus furono i cosiddetti Aborigeni, probabilmente da identificare con le popolazioni neolitiche. Questi furono soppiantati dai Liguri,stando a Dionigi di Alicarnasso, i quali ad esempio diedero l'antico nome di Albula al Tevere. Dovrebbero essere le popolazioni calcolitiche che fondarono il primo insediamento sul Palatino, quello che gli annalisti latini hanno chiamato Saturnia.

L'influenza del commercio, l'introduzione del bronzo e fattori non noti hanno diviso la cultura ligure in due tronconi: quello che si evolverà nei "liguri storici" ed il cosiddetto ramo sud, i siculi. Pare che la loro organizzazione fosse tribale, e l'economia prevalentemente agricola. Praticavano la sepoltura dei morti in tombe di tipo "a forno" riunite in grandi necropoli ed usavano navigare con zattere.

La pressione indoeuropea ha causato la loro lunga marcia verso sud che secondo Tucidide terminò tre secoli prima della colonizzazione greca. Senza l'arrivo degli indoeuropei, le popolazioni sarebbero rimaste a livello di sussistenza o si sarebbero evolute ad uno stato protourbano, radicando una cultura sicula nella zona dei sette colli? Ci sarà un espansionismo siculo di proporzioni simili a quello romano?

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Subito nella discussione si inserisce Edoardo Secco:

Uh, il tema del "Cosa sarebbe accaduto senza gli Indoeuropei?" è tra le ucronie che mi affascinano di più!!

Una soluzione possibile è quella del Secondo Mediterraneo di Lord Wilmore, in cui gli Indoeuropei esistono, ma non possono migrare in Europa, perchè è un'isola; ciò che in HL è Greco-Latino-Celtico, lì è Pelasgo-Etrusco-Basco.

*Bhrg'howidhHô(n-) tuttavia sostiene che l'Europa preistorica avesse una sua omogeneità Indoeuropea già da molto tempo (dall'epoca glaciale, quindi prima che si creasse l'ostacolo marino del Bosforo) invece che basca e simili come normalmente acquisito. Vedere anche le sue considerazioni in coda all'ucronia intitolata "Platone aveva ragione". Certo, il suo punto di vista è quello linguistico, ma sarebbe affascinante ipotizzare le ricadute storiche evolutive di questa ipotesi etnica!

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Camillo propone:

Se arrivano gli Indoeuropei tre secoli dopo, ed i Siculi fermano la colonizzazione greca oppure la rendono possibile solo in alcune zone, i Cartaginesi avranno mano libera nella conquista della Sicilia e le colonie in Magna Grecia saranno strette tra l'incudine punica ed il martello dei popoli di stirpe sannita, anche loro in marcia verso sud.

Se ha ragione *Bhrg'howidhHô(n-), l'unica ucronia possibile è che le antiche tribù dell'Europa paleolitica non parlassero indoeuropeo. Però, tranne il linguaggio, poco sarebbe cambiato rispetto alla nostra storia.

Se invece era parlato da invasori esterni, chiunque questi siano, o vanno da un'altra parte, verso la Cina o magari verso l'Egitto, passando per la Mezzaluna fertile, oppure come ipotizzava Wilmore in qualche modo l'Europa è isolata.

Nel primo caso, cambiano le civiltà mesopotamiche, quella egiziana e magari gli Indoeuropei, risalendo il Nilo giungono sino a contatto con i Bantù. Oppure invadono la Cina. E, contemporaneamente, in Europa potranno giungere le popolazioni mongoliche, cambiando il loro stile di vita.

Nel secondo, l'ipotesi del Secondo Mediterraneo, cambia totalmente il clima dell'Europa e dei continenti vicini con impatti globali sulla storia umana.

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L'invocato intervento di *Bhrg'howidhHô(n-) non può certo mancare:

Perbacco, sono quattro filoni ucronici intrecciati!

1) Siculi nel Lazio senza Latini;
2) Europa senza Indoeuropei;
3) Mondo senza Indoeuropei;
4) Secondo Mediterraneo.

Ognuno dei quattro, poi, si divide sùbito in scenarî alternativi:

1) Siculi non indoeuropei o indoeuropei?
2) Europa senza Indoeuropei ‘universalmente riconosciuti’ o senza neanche quelli (= Pelasgi, Baschi, Etruschi) già creduti Anarî, ma che oggi risultano - almeno secondo alcune teorie - Indoeuropei?
3) senza la lingua indoeuropea preistorica o senza neanche le popolazioni che la hanno parlata?
4) esattamente con l’andamento delle coste segnato in questa cartina o con altra morfologia, purché analogamente interposto tra Russia ed Europa centro-orientale?

In realtà la distinzione in (1) tra ipotesi non indoeuropea e ipotesi indoeuropea a riguardo della lingua dei Siculi prelatini potrebbe essere irrilevante ai fini dell’interrogativo geopolitico iniziale (ci sarebbe stata ugualmente un’espansione imperiale romana o simile?), ma è resa pertinente dal prosieguo della discussione. Roma comunque non ha costruito l’Impero grazie alla propria latinità né tanto meno per essere di lingua indoeuropea, ma perché le condizioni geopolitiche generali spingevano ogni attore a tentare l’impresa imperialistica o soccombere e perché tra i tanti esiti statisticamente possibili di tale ‘gioco’ geopolitico c’è anche l’eventualità di un successo continuativo. Se Roma non fosse esistita (ma anche se, pur esistendo Roma, alcune condizioni marginali fossero cambiate), un Impero mediterraneo sarebbe potuto sorgere ugualmente: ogni Città-Stato (meno verosimilmente, ma in teoria anche, ogni comunità politica) del Mediterraneo e/o dell’Europa / Anatolia / Vicino Oriente / Africa Settentrionale antichi avrebbero potuto raggiungere l’egemonia prima sulla propria regione ristretta (come il Lazio), poi in àmbito sovraregionale (come la Penisola Italica), infine nella competizione tra Imperi; ovviamente, ancora più possibilità sarebbero state nel senso di un fallimento di tali progetti (così come era più probabile che Roma fallisse anziché continuasse così a lungo ad aver successo; ma evidentemente la somma della cause nel sistema e fuori ha giocato decisivamente a favore di Roma - e non di altri). Perciò, anche i Siculi del Lazio avrebbero potuto avere tutti i titoli per creare un Impero Siculo persino più esteso (non per merito proprio, ma per un’eventuale benché poco probabile serie di circostanze fortunate) di quello romano.

Circa i punti (2) e (3) sugli Indoeuropei, è stato acutamente già rilevato che, di fatto, l’alternanza di teorie ricostruttive circa la preistoria linguistica eurasiatica si configura come uno scontro di modelli in lotta per la qualifica di ‘(prei)storia reale’ e di conseguenza per relegare i modelli rivali al rango di ucronie. Per le epoche mal conosciute, infatti, non esiste una storia unanimemente riconosciuta e quindi tutte le teorie sono in sospeso tra l’aspirazione a essere veridiche e la potenziale condizione (alternativa) di ucronie; è una zona grigia intermedia tra storia accertata e storia esplicitamente controfattuale. È quindi quanto mai giusto sottolineare che (forse non proprio tutte, ma) molte ucronie possibili sono già state enunciate... in forma di teorie! Per esempio, l’impostazione cui aderisco sarebbe considerata fantastoria dagli Adepti delle opinioni tradizionali (per esempio, quelle vulgate nei manuali) e, viceversa, molte idee comuni diventerebbero automaticamente ucronie se le tesi in cui credo fossero giuste. Le teorie/ucronie senza Indoeuropei (prescindendo al problema dell’inquadramento genealogico dell’etrusco, che potrebbe essere indoeuropeo o no, ma non è influenzato dalle ipotesi sulle sedi originarie degli Indoeuropei) sono quindi:

a) se si identificano gli Indoeuropei solo col complesso delle Culture dei Kurgán (allevatori calcolitici dall’area ponto-caspica, 4200-2100 a.C.), allora l’Europa senza Indoeuropei sarebbe la continuazione dell’Europa neolitica e, poiché la più credibile identificazione linguistica dei primi agricoltori europei (7000-3500 a.C.) alternativa a quella indoeuropea (Colin Renfrew) è quella khattica (Peter Schrijver), quindi con un lingua dell’Anatolia nordorientale priva di connessioni evidenti (quelli proposte col caucasico nordoccidentale sono state recentemente revocate in dubbio) dovremmo pensare a un’Europa antica prevalentemente appunto khattica, quindi con un continuum dall’Anatolia nordorientale alle Isole Britanniche. Sull’identificazione del minoico di Creta (oltre alle ipotesi indoeuropee) si contendono il campo la tesi khattica (dello stesso Schrijver) e quella semitica (Kjell Aartun), ma apparentemente Creta non ha avuto dirette espansioni linguistiche verso il Continente (a meno di non sviluppare qualche cenno di Giulio Mauro Facchetti circa una parentela minoico-etrusca). Da tener presente in ogni caso (perché vale anche per i punti seguenti) lo scenario massimamente ‘catastrofistico’ di Marco Moretti: Indoeuropei recentissimi, Pelasgi-Etruschi-Baschi &c. non indoeuropei (bensì macrocaucasici), anzi preindoeuropei (nel senso di venuti prima, non di antenati, degli Indoeuropei), ma nemmeno originarî, perché a loro volta avrebbero sommerso famiglie linguistiche precedenti interamente perdute.

b) Se invece estendiamo l’indoeuropeità anche agli agricoltori neolitici (7000-3500 a.C.; Colin Renfrew), dobbiamo o ‘impedire’ agli agricoltori di raggiungere l’Europa o deviare sui Camito-Semiti la diffussione dell’agricoltura o limitarci alle lingue delle popolazioni paleolitiche e mesolitiche dell’Europa: di queste ultime, l’unica non controversa è l’uralico, in particolare la classe ugrofinnica (Lapponi e Baltofinni - Finlandesi, Estoni &c. - ed esclusi i Magiari, che in tutti i casi sarebbero giunti più tardi); quasi universalmente si pensa anche al basco, il che è giustissimo dal punto di vista della presenza degli Aquitani nelle proprie sedi storiche fin dal Paleolitico (per i Baschi veri e proprî c’è qualche difficoltà in più, ma è solo questione di territorio - solo a Nord o anche a Sud dei Pirenei - e di una probabile immigrazione di agricoltori dalla Ciscaucasia nel V. millennio a.C.), ma si scontra con la clamorosa novità di quest’anno, cioè che il basco è, con grandissima verosimiglianza, una lingua indoeuropea (l’alternativa sarebbe che avesse mutuato dall’indoeuropeo - e non da una classe indoeuropea storica, a meno di ipotizzarne una scomparsa dopo aver influenzato radicalmente il basco, il che equivale a postulare nell’indoeuropeo una classe basca, accanto a un basco non indoeuropeo da lei praticamente sommerso): bisognerebbe quindi aggiungere una clausola in più all’ucronia, cioè che il basco non sia indoeuropeo o come minimo che non abbia le componenti indoeuropee recentemente rintracciate, cioè praticamente tutto il proprio lessico di base (dunque sarebbe basco di nome, ma diversissimo dal basco che conosciamo). L’iberico è di attribuzione genealogica ignota (potrebbe essere indoeuropeo o non esserlo) e anche la sua cronologia è incerta (non si sa se sia indigeno o portato da una migrazione); se indigeno e non indoeuropeo, potrebbe avere un notevole ruolo - maggiore di quello, pur riguardevole, che ha avuto storicamente - nelle nostre ucronie.

c) Se infine ammettiamo che siano indoeuropei anche i Paleo-Mesolitici, l’ucronia (2) confluisce nell’ucronia (3): non solo l’Europa, ma tutto il Mondo senza Indoeuropei. In versione debole, si tratterebbe di impedire che l’indoeuropeo si sviluppi come lingua, mentre per il resto gli attori dei varî popolamenti rimarrebbero gli stessi: cacciatori-raccoglitori paleolitici (Uralici, “Baschi” senza le componenti indoeuropee del basco, Iberici se non indoeuropei e indigeni, “Pelasgi” come Caucasici meridionali ossia K’art’velici &c.), agricoltori neolitici (Khattici, forse Semiti), allevatori calcolitici (in questo caso l’unica identificazione linguistica non indoeuropea proposta finora viene proprio da un sostenitore dell’indoeuropeità dei cacciatori-raccoglitori paleolitici, Mario Alinei, che ritiene Semiti gli agricoltori neolitici e Altaici, in particolare Turco-Tatari, i cavalieri delle Culture dei Kurgán); certo, dato che per ipotesi bisogna eliminare l’indoeuropeo dovunque, l’unica teoria che nega qualsiasi realtà all’indoeuropeo è quella semitica di Giovanni Semerano, per cui dovunque troviamo lingue indoeuropee avremmo a che fare in realtà con sviluppi dell’eblaitico o comunque di un semitico molto arcaico (si noti che in questa teoria cambia di fatto solo l’etichetta nominalistica, ma le lingue concrete rimangono le stesse: greco, latino, sanscrito &c.; nell’ucronia invece dovremmo prendere alla lettera l’impostazione genealogica e trasformarla da ‘semeraniana’ ad autenticamente semitistica, cioè sostituire del tutto una lingua semitica al sanscrito, un’altra al greco, un’altra al latino e così via). In teoria, una variante meno estrema (se si può dir così) si potrebbe ottenere intervenendo nel più remoto momento di elaborazione specifica dell’indoeuropeo - le popolazioni tra Mediterraneo orientale e India nordoccidentale di 36000 anni fa, caratterizzate dagli aplogruppi E, F, K, P e successivamente R, I, L del cromosoma Y, e far ‘abortire’ la nascita dell’indoeuropeo dal suo immediato antecedente, l’eurasiatico: poiché in Asia centrale l’eurasiatico si è sviluppato - oltre che nell’indoeuropeo - anche nell’altaico e poi nell’uralico (e, più a Nord-Est, nelle principali famiglie paleosiberiane), otterremmo che il popolamento europeo dalla Siberia sarebbe principalmente uralico (l’altaico potrebbe essere rimasto, come effettivamente nella nostra linea temporale, troppo a Est), mentre quello dall’Anatolia sarebbe caucasico meridionale (k’art’velico) e khattico, forse anche semitico e khurro-urarteo (con l’agricoltura ed eventualmente anche prima); dall’Africa nordoccidentale, se fosse avvenuta qualche immigrazione consistente ed escludiamo le possibili (probabili) presenze indoeuropee preistoriche indiziate nella nostra linea temporale, dovremmo pensare al camitico; come la solito, restano anche l’iberico (se non indoeuropeo) e l’ipotetico (predecessore del) basco (in quanto per ipotesi non indoeuropeo).

In versione forte, l’ucronia (3) elimina persino le popolazioni che (prei)storicamente hanno o avrebbero (secondo le diverse teorie) parlato l’indoeuropeo, quindi in ogni caso i pastori kurganici, verosimilmente anche gli agricoltori neolitici, forse persino i primi antropizzatori dell’Europa (da cui però discenderebbe ben il 68% dell’attuale popolazione europea!), il che equivale a cambiare completamente l’Europa (anzi, una notevole parte dell’Eurasia) a livello antropico: dovremmo eliminare tutti gli aplogruppi genetici R e I (oltre a L in India), gran parte di P (escluso ciò che sarebbe poi diventato Q, l’aplogruppo caratteristico degli Jenisejani e degli Amerindi), buona parte di F e K e anche un po’ di E. Il quadro linguistico finirebbe però ugualmente per coincidere con quello tracciato alla fine del paragrafo precedente, perché le lingue ivi nominate (tranne il basco, che è interamente R e quindi scomparirebbe anch’esso insieme agli Indoeuropei) sono nate tra popolazioni caratterizzate dai filoni superstiti di F (e discendenti), K e soprattutto E.

Sul punto (4), la distinzione riguarda la natura dell’ucronia. È notissimo che si possono sviluppare ucronie storiche e/o ‘geologiche’; inoltre l’impostazione può partire da un “punto di divergenza” oppure fissare un risultato e cercarne i possibili antefatti da uno o più punti di divergenza; ancora, si può aggiungere la restrizione di volere l’ucronia più probabile oppure la più simmetrica o la più complicata o la più lineare (che è diverso da “probabile”) o la più spettacolare o altro. L’impostazione di Tony, quella di Lord Wilmore & C. sono evidentemente del tipo a risultato fisso e di carattere sia geologico sia storico-politico, ma con ciò escludono implicitamente il criterio di massima probabilità, perché intervenire ucronicamente sulla tettonica a zolle per creare un mare tra il Baltico e il Mar Nero con l’andamento delle coste corrispondente a confini fissati da Stalin nel 1945 d.C. della nostra linea temporale (o, nel caso di Tony, con la Penisola Iberica ridotta alla forma territoriale del solo Portogallo alla fine della Reconquista), tutto ciò per impedire agli Indoeuropei di arrivare nel periodo ipotizzato dall’opinione comune di trent’anni fa dalle sedi ritenute loro originarie sempre dalla medesima opinione comune - con l’aggiunta di implicare un secondo processo ucronico geologico di origine altrettante remota per evitare che il Bosforo sia asciutto durante la Glaciazione Würmiana e resti invece sempre collegato al Mar Nero e al Mediterraneo come dal VI. millennio a.C. della nostra linea temporale - è certo perfettamente lecito dal punto di vista ucronico, ma innegabilmente rappresenta un’eventualità remotissima tra innumerevoli altre; sarebbe come, per assurdo, ipotizzare un’ucronia in cui Hitler muore nel 1932 non per cause più o meno normali, ma perché miliardi di anni prima qualche causa cosmica ha messo in moto una catena di movimenti che poi, tra i proprî remoti effetti indiretti, ha fatto precipitare sulla Terra una pallina di materia che uccidesse il Nostro. L’impressione che ne ricavo è che, in questi casi, il tipo di ucronia non sia veramente l’ucronia cui ricorrono quasi costantemente storici e geologi per inquadrare le proprie ricostruzioni, bensì piuttosto la comunque altrettanto lecita e interessante ucronia che rientra nel genere del saggio letterario surreale di provocazione intellettuale. A questo punto, trattare la provocazione come se fosse un’ucronia storica o geologica ‘convenzionale’ diventa a sua volta un’ulteriore atto artistico, di carattere stavolta abbastanza nichilistico (termine che uso sempre con connotazione pienamente positiva!) ed è chiaro che un’opera d’arte è aperta a illimitate interpretazioni, quindi - in conclusione - non potrei aggiungervi niente che non si ponesse a sua volta come espressione a finalità artistica, ma allora scatta il diritto di ciascuno di scegliersi l’impostazione artistica preferita (in questo caso l’ucronia surreale preferita) senza essere vincolato dai termini specifici della provocazione iniziale e in pratica ogni momento è lecito per imboccare un percorso indipendente da un filo conversazionale razionale (in altri termini: una ‘provocazione’ ucronica come quella che manipola la tettonica a zolle per ottenere coste di andamento ‘staliniano’ a fini di ucronia glottologica è da attendersi che susciti risposte altrettanto provocatorie, ma che lasciano cadere il discorso specifico sulle coste di quel preciso andamento).

Se si astrae dalle coste o ancor più se si ipotizzano coste plausibili senza o col minimo di cambiamenti rispetto alla storia geologica reale, acquista più senso un’ucronia che focalizzi le conseguenze di tale divergenza sulla storia umana. In ogni caso, per avere una variazione significativa bisognerebbe assicurarsi che l’Europa sia veramente isolata (quindi ricordarsi di provvedere a non lasciare lo storicamente esistito collegamento di terra tra Anatolia ed Europa prima dell’apertura - saggiamente ricordata in altri punti del sito e, con le opportune riserve prudenziali, in questo sito - del passaggio marittimo tra Mar Nero e Mediterraneo nel V. millennio a.C.) e se possibile più isolata non solo di quanto lo Stretto di Gibilterra e il retroproiettato Bosforo facciano, ma persino di quanto erano separate l’Australia e la Nuova Guinea dal Continente Asiatico durante l’ultima Glaciazione, dal momento che tale separazione (ben maggiore dello stretto di Gibilterra) non ha impedito la colonizzazione umana 60000 anni fa: con ciò tuttavia si ritorna a una modifica radicale della storia geologica e quindi l’intera ucronia del Secondo Mediterraneo si polarizza intorno a due alternative, da un lato un radicale isolamento dell’Europa (ma dopo la formazione del Neanderthal) che a sua volta implica cause geologiche profondissime, tali da revocare in dubbio persino la nascita dell’Umanità, dall’altro una semplice variazione ‘locale’ dell’Istmo Ponto-Baltico, senza conseguenze per la storia umana. In pratica: col Secondo Mediterraneo, o mettiamo in forse l’Uomo stesso (“forse”, quindi “forse no” ma anche “forse sì”) oppure manteniamo tutto, Indoeuropei inclusi; se vogliamo togliere questi ultimi, torniamo semplicemente al punto precedente (3).

A proposito di Neanderthal, possiamo lasciare aperta anche una ricostruzione più prosaica: mentre i Crô-Magnon sono stati sia cacciatori-raccoglitori sia agricoltori (e poi allevatori), i Neanderthaliani sono stati comunità individuate in quanto cacciatori-raccoglitori, ma qualora abbiano accolto l’agricoltura sarebbero stati (e forse sono stati effettivamente) inglobati e ‘neutralizzati‘ nelle comunità agricole dei Crô-Magnon (avrebbero avuto figli ibridi, ma questi sarebbero stati sterili, quindi l’intero patrimonio genetico neanderthaliano si sarebbe perso), perché l’inizio e la prima crescita dell’agricoltura è stata solo (per ragioni puramente geografiche) dei Crô-Magnon; accanto all’estinzione impercettibile ma totale degli eventuali Neanderthaliani assorbiti dagli agricoltori, sarebbero rimasti tutti i Neanderthaliani cacciatori-raccoglitori, i quali, come tutti i cacciatori-raccoglitori (Crô-Magnon inclusi) non passati all’agricoltura, si sarebbero ridotti progressivamente a una minoranza sempre più percentualmente esigua (1/400), anche nel caso che non diminuissero come numero assoluto. In questa prospettiva si salverebbero le tante ipotesi di sopravvivenza dei Neanderthaliani fino a oggi o a pochi decenni fa nel Caucaso, Tibet e persino in Nordamerica (cioè avrebbero preso parte alla stesa antropizzazione delle Americhe da parte di cacciatori-raccoglitori eurasiatici nordorientali) nonché nei miti dei Fauni e di altri Uomini Selvatici. In altri termini, l’estinzione dei Neanderthaliani non solo non è del tutto sicura, ma soprattutto non ha necessità inderogabile di una spiegazione drammatica (climatica o cruenta o intellettiva o altro). Menziono, da ultimo, l’ipotesi che l’indoeuropeo *bárbaros “uomo selvatico” rappresenti in origine un’imitazione, fonologicamente indoeuropeizzata, dell’unico tipo di fonazione possibile ai Neanderthaliani, successione di sillabe di struttura consonante-vocale nasalizzate (/bam-bam-/).

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C'è spazio anche per il contributo di Federico Pozzi:

Gelone era il tiranno di Siracusa che aveva sconfitto l'esercito cartaginese ad Imera, ma dopo questa vittoria che aveva completamente spazzato via il tentativo cartaginese di sottomettere le città siciliane, il tiranno di Siracusa non sfruttò appieno il suo successo, non sappiamo per quale motivo: forse temeva una possibile rivolta dell'oligarchia siracusana contro di lui, forse il suo esercito era stanco, forse (l'ipotesi più probabile) a Gelone non interessava scacciare completamente i cartaginesi dalla Sicilia con cui si potevano fare ottimi affari e che si potevano usare contro le altre città greche, insofferenti del primato sempre più pesante di Siracusa.

Eppure, se Gelone avesse sfruttato il successo militare di Imera, avrebbe potuto trasformarsi nel più potente sovrano del Mediterraneo! Cartagine infatti aveva congedato il suo esercito mercenario e, non disponendo di un esercito di leva, occorreva tempo per radunarne un altro, posto che il tesoro della città fosse tutto disponibile. Più ancora, Cartagine era rimasta praticamente senza flotta, che era la punta di diamante di tutto il suo meccanismo militare. Gelone avrebbe facilmente scacciato i cartaginesi dalla parte occidentale dell'Isola diventando di fatto il sovrano del più grande territorio greco, nonché uno dei più ricchi. A quel punto sottomettere le ancora piccole città della Magna Grecia sarebbe stato uno scherzo, e si aprivano anche possibilità di un'invasione della stessa Africa cartaginese. Probabilmente però, una volta ottenuto il controllo della Sicilia, Gelone sarebbe incappato nelle ostilità di un nemico ben più pericoloso di Cartagine.

La nascente potenza Ateniese probabilmente non avrebbe visto di buon occhio l'affermarsi di un così potente regno nel Mediterraneo centrale, oltretutto guidato da un tiranno (e sappiamo quanto gli ateniesi tenessero alla loro democrazia). Benché i cartaginesi fossero considerati alla stregua dei persiani dei "barbari", Atene probabilmente avrebbe finito con l'allearsi con Cartagine pur di limitare il potere di Gelone, che peraltro con il suo dominio avrebbe messo sicuramente in pericolo il quasi monopolio commerciale dei mercanti ateniesi sull'Italia e avrebbe frenato le volontà espansionistiche di Atene. Il problema è se Atene e Cartagine insieme sarebbero state in grado di averla vinta su Gelone, che sarebbe stato un cliente difficile da trattare, specialmente se avesse chiesto aiuto a qualche nemico di Atene (Sparta per esempio), anticipando le guerre del Peloponneso. Inoltre a quanto pare i Sicani, gli autoctoni sicilioti, erano completamente "vinti" dalla personalità di Gelone, che non a caso spesso viene descritto come un demagogo.

Espugnare la Sicilia sarebbe stato un lavoro lungo e faticoso, anche contando sull'appoggio di Cartagine: probabilmente dopo lunghi anni di guerra si finirebbe per trovare un accordo, e in Sicilia si sarebbe istaurato un potente regno greco. Un coltello sempre puntato alla gola di Cartagine, un pericolo per tutte le piccole città della magna Grecia che si sarebbero unite in Lega e probabilmente poste sotto la protezione di Atene. Forse, morto Gelone, tale regno si sarebbe sgretolato, ma non è detto: un tale potente regno nel Mediterraneo avrebbe potuto concepire volontà di dominio verso la madrepatria, oppure fungere da "scudo" contro le pretese dei barbari Macedoni, e magari la Sicilia sarebbe finita "stato cliente" sotto il dominio del grande Macedone. Naturalmente sarebbe stata un feroce avversario dei Romani, ma non avrebbe nemmeno gradito gli interventi di Pirro in Italia; anzi è probabile che li avrebbe ostacolati con tutte le sue forze. Credo che alla fine l'assorbimento del Regno siciliano sotto le aquile di Roma sarebbe stato inevitabile ma la sua conquista sarebbe costata sangue e fatica: i siciliani avrebbero potuto sempre cambiare idea sui cartaginesi e allearsi con loro...

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Cui risponde il solito, geniale *Bhrg'howidhHô(n-):

Cominciamo a precisare quali territorî africani avrebbe potuto conquistare (oltre ad aver annesso direttamente a Siracusa tutta la parte già punica di Sicilia e le isole di Cossura, Melita e Gaulos); senza prendere e mantenere la stessa Cartagine, qualsiasi vittoria sarebbe stata senza conseguenze durature, quindi proporrei tutta la costa da Hippo Diarrhytos a Thapsos (per intenderci, i due punti estremi da cui si può scorgere la Sicilia nelle giornate più terse).

Pressoché di sicuro, la Resistenza cartaginese si sarebbe trasferita in una subcolonia sufficientemente sicura e lontana ma in grado di conservare il controllo della costa africana a Ovest di Hippo Diarrhytos, per esempio Mastia presso la successiva Noua Carthago.

Evidentemente si apre la questione se il dominio siracusano in Africa potesse durare più di qualche decennio; nell’incertezza, per amor di ucronia proviamo a vedere cosa sarebbe successo se sì.

Per il Principio dell’Ucronia ‘quasi-reale’, preferirei conservare il più possibile le personalità storiche succedutesi in Sicilia, compreso Agatocle, il quale, se storicamente nel 317 ha vinto la Guerra Civile con l’aiuto cartaginese, ha poi dovuto lottare contro gli stessi Cartaginesi passati in aiuto dei suoi nemici oligarchi (311-305). Nella convinzione che ciò che trasforma la Storia in Ucronia sono alternativi rapporti di forza geopolitici, soprattutto lungo reazioni a catena in accelerazione secondo l’asse del tempo, direi che i Dominî di Gelone si trasmettono a Gerone e Trasibulo e rimangono a Siracusa anche durante la Guerra Generale del 427-424; nel 453, quindi, Segesta ed Erice non possono chiamare gli Ateniesi, bensì vengono difese da Siracusa contro Selinunte, mentre nel 445 Siracusa annette Agrigento anziché limitarsi a sconfiggerla.

Dopo la vittoria sugli Ateniesi e tutto il resto che si svolge come nella Storia reale, nel 409 Segesta di nuovo non può chiamare i Cartaginesi e quindi il conflitto con Selinunte viene risolto da un arbitrato siracusano. Dionisio I non deve affrontare i Punici in Sicilia (casomai piuttosto in Africa) e quindi, oltre a sconfiggere la Lega Italiota, ne annette tutte le Città; il suo Impero si conserva fino a Dionisio II, che quindi non viene deposto da Iceta di Leontini, ma solo da Timoleonte di Corinto (344), il quale a sua volta recupera i territorî africani e fissa il confine punico-siracusano al Promontorio Candido (e a Sud estende il Dominio di Siracusa fino al Promontorio Caputuada).

Come anticipato, Agatocle vince la Guerra Civile del 323-317, ma senza sostegno cartaginese non può cacciare gli Oligarchi, che in compenso non possono chiamare in aiuto gli stessi Cartaginesi. La Guerra con i Punici si svolge anche stavolta in Africa e segna un arretramento di Siracusa, dopodichè Agatocle patteggia la Pace e ottiene il riconoscimento del titolo di Basileús di Sicilia.

Fallimento, come nella Storia reale, dell’alleanza con i Tarentini in funzione antiromana, tuttavia dopo il ritiro di Pirro le Città Greche d’Italia rimangono sotto Siracusa e quindi vengono ereditate da Gerone II (269), sotto cui nel 264 scoppia la Guerra con Roma, che anziché terminare nel 263 prosegue fino al 241 in luogo della Prima Guerra Punica.

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Shark Peddis aggiunge:

Sull'inconsistenza del suffisso "pre-" [indoeuropeo], peraltro, mi è parso di leggere qualche volta di "NON indoeuropei" (che quindi eliminerebbe quella supposta patina di "autenticità" rispetto agli "invasori" indoeuropei). Per rimanere nello stesso contesto etnolinguistico e sullo stesso terreno di ipotesi, ci sono delle teorie su similarità tra basco e sardiano (= ipotetico antico sardo prelatino), sulla base di alcuni toponimi (che non raramente costituiscono dei "fossili" linguistici), ad esempio, vado a memoria, "ur" (= acqua, in basco) che si ritrova in toponimi quali Uras (il mio paesino, che però non ricordo se sia stato citato esplicitamente), e indicherebbe la presenza di sorgenti d'acqua.

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E *Bhrg'howidhHô(n-) torna alla carica:

In particolare, i Liguri erano celtici, più o meno arcaici a seconda delle zone; gli Etruschi dovrebbero essere appunto anatolici (forse proprio lidî, come da Tradizione), così probabilmente anche i Minoici e anche i Pelasgi, sotto il cui nome però possono essere stati inclusi anche altri popoli vicini dei Greci (in particolare Traci e Illirî, che sempre indoeuropei sono, ma assolutamente non anatolici). L’indoeuropeità dei Ḫatti sta emergendo da più di un decennio, anche se per onestà devo dire che la prova definitiva al momento è ancora incompleta; dimostrato è invece che il basco sia indoeuropeo, in questo caso (come verosimilmente sarebbe per i Ḫatti) quale classe a sé stante, non inclusa in altre: consiglio anzi il dizionario etimologico di Gianfranco Forni, A First Etymological Dictionary of Basque as an Indo-European Language – Basque Native, Basic Lexicon, Charleston (South Carolina), © Gianfranco Forni, 2015, ISBN 978-1499595468.

La Tesi della vasconicità del paleosardo è di Edoardo Blasco Ferrer, Paleosardo. – Le radici linguistiche della Sardegna neolitica (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, Band 361), Berlin/New York, Walter de Gruyter GmbH & Co KG, 2010, ISSN 0084-5396, ISBN 978-3-023559-3 (e-ISBN 978-3-023-560-9), che cita Uras alle pp. 81 e 114 riconducendolo appunto a ur ‘acqua’, che Forni (2015: 127) giustamente ricostruisce come indoeuropeo *uh₁r- ‘acqua’. La ricostruzione più consueta è *hₐŭhₐr-, ma si tratta in fondo di un dettaglio che interessa solo gli Indoeuropeisti; più rilevante è che Uras continua con ogni evidenza una formazione plurale *Hₐŭhₐr-ăhₐ-ăs, regolarmente trasformatasi in *Ūrās già in tardoindoeuropeo, che non è nello specifico solo basca, dato che ritorna in tutta l’Europa meridionale, anche dove di Protobaschi non esiste alcun altro indizio (mentre ci sono prove di tutt’altre presenze indoeuropee): non si tratta dunque di un’etimologia diagnostica e – aggiungo di mio – dal momento che le etimologie diagnostiche di toponimi paleosardi presentano trasformazioni fonologiche diverse dal basco e invece congruenti quasi dappertutto (anche intorno a Oristano) col celtico, in poche zone (per esempio la Barbagia di Ollolai) col latino/italico, mi risulta molto più credibile che la Sardegna postindoeuropea fosse semplicemente italoceltica e si sia poi differenziata, come il resto dell’Europa mediterranea occidentale, fra italico e celtoligure (Corsica e Sicilia erano interamente celtoliguri; poi però la Sicilia è stata italicizzata, forse proprio dai Siculi, ma in ogni caso dopo la fase – “sicana” – celtoligure, che è esclusiva nella toponimia).

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aNoNimo aggiunge:

E che dire della lingua osca? Ecco un interessante articolo al riguardo.

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*Bhrg'howidhHô(n-) non può esimersi dall'aggiungere:

L’argomento è troppo interessante perché si possa resistere alla tentazione di discorrerne ancora.

Un’ulteriore parola italiana corrente che con ogni verosimiglianza risale al sostrato osco-umbro può essere furfante, se attraverso un intermediario latino *fūrfāns (evidentemente non attestato nei documenti, ma sicuramente da ricostruire) riflette un antecedente osco-umbro *fūrfănt-s, a sua volta dall’indoeuropeo *bʱōr-dʱh₁-n̥t-s, di per sé nominativo maschile singolare del participio presente attivo di un verbo denominale (col significato ± di ‘fare il taglieggiatore’) dal composto *bʱōr-dʱh₁-ŏ-s ‘taglieggiatore’ (etimologicamente ‘che pone taglie’), indipendentemente riconoscibile nel latino *fūrbŭs che si può riconoscere all’origine dell’italiano furbo (dunque non tratto dal francese fourbe, come si legge nella dossografia, ma – al contrario – all’origine di quest‘ultimo); da notare che lo stesso composto indoeuropeo (ma nel significato passivo di ‘tagliato’, un po’ come quando si dice ‘tagliato giù con l’accetta’) sarebbe il regolare antecedente del celtico *bărdŏ-s (solo omofono del sostantivo che significa ‘poeta’ – donde bardo – e che in indoeuropeo aveva tutt’altro primo elemento di composizione e significava ‘facitore di lodi’) potenzialmente all’origine del latino volgare bărdŭs ‘stupido’.

Questo raro caso di una famiglia lessicale indoeuropea passibile di essere continuata in italiano da tre parole diverse passate per una trafila ciascuna volta differente (in un caso attraverso il sostrato osco-umbro, in un altro direttamente ereditate in latino dall’indoeuropeo, nel terzo caso per mediazione celtica preromana) si presta a ulteriori considerazioni e discussioni. La prima, inevitabile e un po’ pepata, è che, mentre furfante risulta conservare l’accezione negativa iniziale, legata al reato di rapina con violenza, furbo è molto più ambiguo, perché oltre alla connotazione negativa (rimasta soprattutto nel diminutivo furbetto, detto di un truffatore meschino se non addirittura di limitata capacità di previsione) e a quella ironica (per esempio in “che furbo!”, detto di uno che ha fallito qualcosa per colpa propria), ne esiste una innegabilmente positiva (frequente nel derivato furbata). È difficile fare a meno di immaginare che cosa si sarebbe (o si sarà realmente) detto in proposito nell’Antichità: Roma come rifugio di predoni e banditi riflette nel proprio linguaggio una gerarchia capovolta di valori morali...

La seconda osservazione riguarda invece il rapporto con bardus (nel senso di ‘stupido’, non il lessema bardo ‘poeta’). In questo caso, già il significato indoeuropeo è alternativo: non attivo e ‘criminale’, ma passivo anche se pur sempre derogatorio (‘stupido’; un po’ come in furbetto e nell’impiego ironico di che furbo!). Bisogna però tener conto anche del fatto che almeno alcuni dei luoghi che portano il nome di Bard(i) (o derivati o composti di questi, come forse anche Bardomagus* ‘campo / mercato dei bardi’ ricavabile da un’epigrafe nell’area di San Simpliciano a Milano, da cui per esempio si ricava che già quell’area – oggi pienamente parte del centro storico – non era più propriamente Milano, ma aveva un altro nome) non derivano da una variante dell’etnonimo Langobardi (che ovviamente al tempo di Bardomagus non erano ancora arrivati in Lombardia e a Bard in Valle d’Aosta non hanno pressoché mai dominato per più di qualche mese), bensì da una delle due parole omofone celtiche cui si è fatto cenno e verosimilmente più da quella che significa ‘taglieggiatori’ (considerata la posizione di Bard in Val d’Aosta) che da quella che significa ‘bardi’... Ciò suggerisce che, nel celtico antico (se non altro in quello cisalpino), la parola derivata dal composto indoeuropeo in esame avesse entrambi i significati, attivo (‘taglieggiatore’) e passivo (‘stupido’): il primo avrebbe designato i predoni e, per una fondamentale questione di sopravvivenza, i luoghi in cui si era pressoché certi di incontrarne, mentre il secondo sarebbe sopravvissuto come sostratema anche in epoca galloromana, quando i predoni erano scomparsi (o quasi) e invece gli stupidi o presunti tali erano ancora abbondanti (specialmente se così venivano definiti dai Galloromani i loro [ex-]connazionali rimasti a vivere nelle campagne e nelle montagne).

Nel complesso, insomma, possiamo notare che coloro i quali, nella schiettezza italica, venivano chiamati per quel che erano – furfanti – erano della stessa risma di quelli che a Roma (almeno in un certo periodo) sono stati considerati furbi mentre in Gallia erano qualificati come ‘stupidi’...

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Chiudiamo per ora con il contributo di Alessio Mammarella: La Mesotalassia!

Cari amici, scrivo in questo bel gruppo da diverso tempo, e anche grazie a quello che ho letto ed alle discussioni a cui ho partecipato, ho provato a sviluppare una mia idea personale sul ruolo dell'Italia nella storia e nella geopolitica. Come sappiamo, il termine ha avuto nella storia una diversa dimensione geografica e si potrebbe dire che se non esiste una sola Italia, allora non esiste neppure un "ruolo geopolitico" chiaramente individuabile. Su tutto, l'interrogativo se si debba considerare l'Italia come prevalentemente europea o al contrario prevalentemente mediterranea oppure ancora mezza europea e mezza mediterranea. Abbiamo esplorato, nelle nostre ucronie, tutti questi concetti: una Italia parte ad esempio di una Unione Mitteleuropea, oppure un'Italia divisa tra uno stato "mitteleuropeo" e uno "mediterraneo"... il bello del nostro paese è proprio la ricchezza della sua storia e della sua cultura, che ci consentono di formulare molti scenari diversi. La Repubblica Ceca, tanto per fare l'esempio di un altro stato europeo, non ci offre altrettante opportunità.

Un giorno pensavo a questo argomento mentre stavo leggendo notizie sull'Iraq e così mi venuto da pensare a quanto più chiaro fosse il concetto di Mesopotamia. Terra tra due fiumi, andando oltre la natura letterale del termine rende bene l'idea del ruolo geopolitico che quella terra ha sempre avuto: luogo di incontro e di confronto tra i popoli oltre l'Eufrate (semiti) ed oltre il Tigri (iranici). Migliaia di anni fa e ancora ai giorni nostri.

Ecco, la storia dell'Italia non sembra in realtà così diversa da quella della Mesopotamia. In tutti e due i casi, la prima scintilla di civiltà sono state delle città-stato riunite in una confederazione: lì i sumeri, qui gli etruschi. Popoli autoctoni, la cui lingua non somiglia a quella dei popoli vicini (né semitica né iranica la lingua sumera; né celtica né italica la lingua etrusca) e che anche per questa ragione sono ancora in parte enigmatici. Poi, senza andare a ripercorrere in modo analitico la storia della Mesopotamia e quella dell'Italia, possiamo vedere che tutte e due le terre sono state crocevia di commerci e di popolazioni, sono state al centro di civiltà imperiali (autoctone come babilonesi e romani; straniere come i vari imperi persiani, che ebbero sempre e comunque in Mesopotamia il loro centro di gravità, e come le entità che hanno ereditato i territori dell'Impero Romano ma che per molti secoli non avrebbero avuto alcun potere sui popoli senza la legittimazione concessagli dal clero di Roma).

Focalizziamoci allora su questo punto: se l'Italia sembra avere molto in comune con la Mesopotamia nella sua evoluzione storica è perché anche l'Italia è una "terra di mezzo". Possiamo trovare un nome che la definisca in quanto tale? Se la Mesopotamia è al centro tra Eufrate e Tigri, l'Italia è centro fra quali riferimenti geografici? Ecco perché nel titolo di questo mio intervento ho usato una parola del tutto inventata, Mesotalassia (da mesos, in mezzo, e thalassis, mari - forse mesothalassia sarebbe stato più corretto, ma una gentile amica, filosofa antichista, mi ha rassicurato sul fatto che semplificare il termine sopprimendo la "h" non sarebbe così grave). L'Italia la potremmo definire Mesotalassia perché posta in mezzo ai due bacini che formano il Mediterraneo (occidentale ed orientale) e, in senso più lato, posta tra popoli occidentali ed orientali. Esempi? Al tempo della Roma repubblicana i due bacini del Mediterraneo vedevano egemoni rispettivamente cartaginesi e greci. Dal punto di vista confessionale occidente ed oriente significano cattolicesimo e ortodossia, e l'Italia è l'unico dei paesi europei occidentali con una presenza ortodossa storicamente rilevante. La Guerra Fredda ha visto l'Italia nel ruolo di paese occidentale moderato e dialogante con il blocco socialista.

Gli abitanti della Mesotalassia devono ritenersi fortunati, privilegiati o svantaggiati rispetto agli abitanti di altri posti?

Un centro di intersezione tra mondi diversi vive momenti di particolare prosperità quando riesce a essere fucina di sintesi: la Roma antica operò proprio questo, una sintesi di tutto il meglio che le civiltà precedenti avevano prodotto sino a quel momento. Anche il Rinascimento, cosa magari meno nota, trasse origine dalla migrazione nelle città italiane dei colti di Costantinopoli dopo la caduta della città in mano ai turchi.

Se però i mondi diversi non si incontrano ma si scontrano, si chiudono in blocchi isolati uno contro l'altro, allora la Mesotalassia si trova paradossalmente a essere una periferia, non più prospera e non più vista come speciale, ma casomai come difforme ed imperfetta.

Tornando al termine di paragone della Mesopotamia/Iraq, che cosa è successo con la nascita dell'Impero Ottomano? L'Iraq, devastato dalle guerre contro i mongoli aveva solo un ruolo periferico. In quei secoli di massima decadenza, esso divenne solo una provincia di confine, una faglia tra sunniti e persiani sciiti. Ruolo che conserva ancora oggi, purtroppo.

Piccola parentesi sul nazionalismo. Il dittatore Saddam Hussein, usando gli introiti petroliferi tentò di richiamarsi all'antica Mesopotamia assiro-babilonese, ma in realtà solo in modo retorico se non grottesco. La politica di Saddam Hussein fu infatti influenzata da elementi di varia origine (l'idiosincrasia "tribale" contro gli sciiti, il panarabismo, il socialismo terzomondista...) ma di certo non dalla visione dell'Iraq come un possibile centro di incontro e di sintesi tra i popoli del Vicino Oriente. Non fece altro che impoverire e minare il paese nella sua coesione. Non molto diverso da quello che fece Mussolini (l'uomo "grazie" al quale oggi non si possono usare parole come patria senza essere immediatamente guardati con sospetto) che utilizzò una pessima retorica sull'antica Roma perché in realtà tra il passato ideologico socialista (il concetto di Italia "nazione proletaria") e l'hegelismo di destra di Gentile, di "romano" c'era veramente ben poco. L'autarchia poi, oltre che essere una mossa economicamente suicida, era tutto l'opposto rispetto al sistema economico dell'antica Roma o delle repubbliche marinare!

Pensando quindi al processo di integrazione europea, era inevitabile che ci approdassimo, ed è fuori discussione che l'Europa sia il futuro. Un punto cruciale, però, è si pone l'entità "Unione Europea" (e come si porrà un eventuale stato federale futuro) nel mondo. Perché se l'Unione Europea si pone nei confronti degli USA delle nazioni latinoamericane, di Russia e Cina... in modo aperto e collaborativo, allora l'Italia ne gode di certo (anche se il baricentro dell'unione si trova ormai nella Valle del Reno). Se però nell'Unione Europea prevalgono sentimenti di grandeur, di nostalgia per quando le piccole nazioni europee dominavano il mondo, il desiderio di costituire un "blocco" in competizione con altri... allora la vedo difficile perché da secoli i figli della Mesotalassia sono fatti per stringere mani, non per stare in riga contro qualcun altro...

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