Un dopoguerra senza Mussolini

di William Riker

Un politico guarda alla prossima elezione.
Uno statista guarda alla prossima generazione.
(Alcide de Gasperi)

Dedicata a de Gasperi nel 60° anniversario della sua scomparsa

Benito Mussolini muore durante la Grande Guerra, mentre cercava di coprirsi di gloria sull'altopiano della Basovizza. Alla fine della Guerra l'Italia ottiene il Camerun tedesco, l'Istria, parte della Dalmazia, Valona in Albania, conserva il Dodecaneso, occupa una parte della penisola anatolica e diventa membro della Società delle Nazioni. Il mito della "vittoria mutilata" così non ha luogo a procedere, anche perché non c'è nessun "Natale di Sangue", essendo Fiume passata direttamente all'Italia in seguito al trattato di Saint-Germain del 1919. È vero che Gabriele d'Annunzio ha fondato al posto di Mussolini i Fasci di Combattimento, insieme ad Italo Balbo e ad altri ex amici del "non Duce", ma essi restano un partito piccolo e senza alcuna importanza politica, perché le masse dei lavoratori si dividono piuttosto tra chi segue il messaggio socialista e chi invece crede alla dottrina sociale della Chiesa, inaugurata da Leone XIII e proseguita dall'attuale Papa, Benedetto XV. I capitalisti ed i nobili continuano a sostenere i Liberali, non essendo credibile l'alternativa offerta dai Fasci, anche perché le prime violenze squadriste sono state schiacciate nel sangue dalla veemente reazione degli stessi socialisti. La fine delle violenze è segnata dall'assassinio di Farinacci (1919) e dalla messa fuori legge dei Fasci.

Infatti i Liberali sono ormai divenuti un partito minoritario, dopo l'introduzione (1918) del Suffragio Universale Maschile e Femminile, e la scena politica italiana del Primo Dopoguerra è occupata piuttosto da due grandi partiti, il Partito Popolare Italiano con Alcide de Gasperi segretario e don Luigi Sturzo presidente, ed il Partito Socialista Italiano con Filippo Turati segretario e Giacomo Matteotti presidente; nel 1921 Antonio Gramsci fonda invece il PCI, mentre Romolo Murri fonda il Partito Cristiano Sociale. Fino alle elezioni del 1919 il potere è ancora in mano al vecchio Giolitti, che capeggia un governo di unità nazionale con Giacomo Matteotti agli Interni, Vittorio Emanuele Orlando agli esteri e don Luigi Sturzo agli affari sociali; è proprio Matteotti a firmare la messa fuori legge dei Fasci di Combattimento, e qualcuno dice che l'assassinio di Starace sia stato segretamente ordinato da lui; ma forse si tratta solo di una calunnia antisocialista.

Il PPI di de Gasperi vince le elezioni del 1919 e del 1924, e lo statista tridentino governa dal 1919 al 1929 formando una coalizione con i Liberali (l'inossidabile Giolitti passa agli Esteri) e con il piccolo partito di Murri; di fronte all'ascesa dell'URSS, egli stringe una stretta alleanza con Francia, Inghilterra ed USA (la Quadruplice), sgombera le truppe italiane dall'Anatolia restituendola ai Turchi, dei quali riesce così a cattivarsi le simpatie, restituisce Valona all'Albania ed il Dodecaneso alla Grecia, firma i Patti Lateranensi con il Vaticano di Pio XI ed incoraggia la spedizione polare di Umberto Nobile, coronata da un grande successo. Però la crisi dell'economia dovuta al crollo di Wall Street genera un diffuso malcontento, l'alleanza con gli USA è piuttosto impopolare così come la politica di ritiro delle truppe italiane dai paesi occupati alla fine del Primo Conflitto Mondiale; e così il PSI riesce a vincere le elezioni del 1929. Filippo Turati forma un governo di coalizione con i Comunisti, i Repubblicani e con il Partito Cristiano Sociale che ha cambiato bandiera, si avvicina all'URSS di Stalin e tenta di "esportare" la sua "rivoluzione" in Jugoslavia e in Albania, ma le sue riforme economiche in senso statalista falliscono anche in Italia ed il suo governo è messo in crisi dalle rivalità a sinistra tra massimalisti e riformatori. De Gasperi torna al governo nel 1933 insieme ai soli Liberali e rinnova la Quadruplice. Ma si profila all'orizzonte un nuovo nemico: Adolf Hitler.

È netta l'avversione di de Gasperi all'ascesa del nazismo, da lui combattuto con una politica di alleanze. Dopo la Quadruplice egli fonda l'Iniziativa Centroeuropea con Austria, Ungheria, Jugoslavia, Albania, Cecoslovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia, in chiara funzione antirussa ed antitedesca (1935). Ovviamente non scatena nessuna guerra d'Etiopia, anzi concede al Negus il porto franco di Assab. Dopo l'assassinio del cancelliere austriaco Dolfuss, de Gasperi minaccia la guerra alla Germania e la costringe a rinunciare all'Anschluss. Resta invece neutrale durante la guerra civile spagnola. Dal canto suo la Germania risponde stringendo alleanza con Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia ed Iran, e firmando un patto di non aggressione con la Francia. Mancandogli l'appoggio di Mussolini, negli anni 1938-39 Hitler non può conquistare Austria e Boemia, e la tensione con l'Italia sale. L'Italia è l'unica potenza europea chiaramente ostile a Hitler, essendo Chamberlain e Daladier accomodanti nei suoi confronti, in funzione antisovietica. Quando l'inglese e il francese propongono il Congresso di Monaco per risolvere pacificamente le controversie relative alle rivendicazioni tedesche, de Gasperi si rifiuta di parteciparvi, forte anche dell'appoggio dei suoi avversari politici. Nell'estate 1938 egli arriva infatti a formare una larga coalizione con Socialisti e Liberali, Comunisti esclusi: Matteotti va agli Esteri e Nenni al Lavoro. Il congresso di Monaco sancisce che i Sudeti devono passare sotto sovranità tedesca, ma gli italiani rifiutano di cedere alla pretesa di Hitler e forniscono appoggio militare ai Cechi. Di più: nonostante il nunzio in Germania, monsignor Pacelli, consigliasse un concordato con il governo tedesco analogo a quello con il governo italiano, su pressione di de Gasperi il Santo Padre Pio XI scomunica il nazismo con la terribile enciclica "Mit Brennender Sorge" (= con ardente preoccupazione). Hitler risponde perseguitando la Chiesa Cattolica e dichiarando quella riformata confessione di stato. Quando Pacelli subentra a Pio XI, comunque, non ritira la scomunica pur attenuando i toni apocalittici usati dal suo predecessore.

La temperatura della tensione sale e raggiunge il culmine allorché, dopo aver stretto un patto di non aggressione con l'URSS, il 1 settembre 1939 il dittatore nazista invade contemporaneamente l'Austria e la Polonia, quest'ultima con l'aiuto dei russi. Subito de Gasperi dichiara guerra, finalmente insieme a Francia e Inghilterra che hanno capito che, se non fosse stato fermato, le pretese di Hitler non avrebbero mai avuto fine. Ma l'esercito italiano è impreparato, nonostante si trovi in condizioni migliori di quello del "nostro" Mussolini, di fronte allo schiacciasassi tedesco: nel giro di tre mesi, la Francia e l'Italia vengono invase ed annesse dalle truppe tedesche, che sbarcano anche in Sicilia, Sardegna e Corsica. De Gasperi fugge in Libia sotto la protezione inglese, e a Tripoli egli forma un nuovo governo di unità nazionale esteso anche ai comunisti di Togliatti. La monarchia Savoia invece, per non perdere il trono, viene a patti con Hitler e forma un governo fantoccio collaborazionista presieduto da Italo Balbo con Pavolini al ministero della Guerra, Grandi agli Interni e Ciano agli Esteri. Il governo legittimo in esilio risponde durissimamente, dichiarando decaduta la monarchia sabauda e proclamando la Repubblica Italiana. Giacomo Matteotti è il primo presidente provvisorio. È il 2 giugno 1940.

In Italia l'unica autorità che contrasti l'egemonia nazista resta il Papa, praticamente prigioniero in Vaticano, che Hitler non ha occupato solo perché ha avuto buone relazioni con Pio XII allorché era nunzio a Berlino. Il Papa fa di tutto per salvare ebrei ed antinazisti, e tratta addirittura sottobanco con gli Alleati occidentali (nel 1941 a Francia, Inghilterra ed Italia si aggiungono gli USA e poi l'URSS) per rovesciare il folle dittatore tedesco. Nell'estate 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia e la riconquistano, ma la risalita lungo la penisola è difficile e causa gravissime sofferenze al Bel Paese. De Gasperi riesce a salvare l'abbazia di Montecassino. Il 6 giugno 1944 gli italoangloamericani ce la fanno finalmente a riconquistare Roma: re Vittorio Emanuele III abdica e va in esilio in Svizzera per sfuggire all'arresto; da lì passerà in Argentina dove morirà nel 1948. Il governo collaborazionista si trasferisce allora a Salò, ma è dilaniato dalle divisioni interne e dall'abbraccio soffocante dei nazisti. Galeazzo Ciano è fucilato perchè tratta sottobanco la resa con gli Alleati, Grandi si autoconsegna alle truppe lealiste, Balbo muore in battaglia colpito da fuoco amico, Pavolini resta unico padrone della Repubblica Sociale Italiana, ma è solo il conestabile di Hitler e, per conto suo, si macchia di orribili efferatezze. Come risposta nel Nord scoppia la guerra partigiana.

Il 25 aprile 1945 avviene l'insurrezione generale del Nord e le truppe italoangloamericane riconquistano Milano; mentre tentava di fuggire in Svizzera, Pavolini è catturato dalle milizie comuniste, fucilato ed esposto al pubblico ludibrio in Piazzale Loreto a Milano. La Germania viene divisa in cinque zone di occupazione: russa (nell'est), americana, inglese, francese ed italiana (nel Wurttenberg), giacché un contingente italiano è sbarcato in Normandia assieme agli americani ed ha partecipato alla battaglia sulle Ardenne. In seguito de Gasperi ritira le truppe dalla Germania ed assieme agli alleati occidentali permette la fondazione della Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest), mentre i sovietici costituiscono uno stato satellite (Repubblica Democratica Tedesca) nella loro zona d'occupazione. Austria, Jugoslavia ed Albania passano nella zona d'influenza italiana, dopo la sconfitta del fanatico Enver Hoxha che ha tentato di instaurare un suo regime personale nel Paese delle Aquile.

Il 1 gennaio 1948 entra in vigore la nuova costituzione repubblicana, e Luigi Einaudi è eletto presidente della Repubblica. Il 18 aprile 1948 de Gasperi rivince le elezioni battendo il Fronte delle Sinistre di Nenni, Pertini e Togliatti, che volevano l'alleanza con l'URSS. De Gasperi resta invece fedele agli USA e nel 1949 aderisce alla NATO. L'Italia diventa membro permanente dell'ONU e nel 1952 è tra i paesi fondatori della CEE. De Gasperi resta al potere fino al 1953, quando lascia per motivi di salute. Muore l'anno successivo. Nello stesso anno muore anche Matteotti.

Il successore di de Gasperi, Dossetti, avvia la decolonizzazione: nel 1955 la Libia è il primo paese africano a diventare indipendente nel Secondo Dopoguerra, nel 1956 tocca ad Eritrea, Somalia e Camerun (nello stesso anno anche l'Inghilterra è costretta a sgomberare dal Sudan, inizia la valanga della decolonizzazione). Re Idris di Libia resta però strettamente alleato dell'Italia e le assicura forniture di petrolio.

Inizia così il cosiddetto « Boom economico »: l'Italia diventa la quinta potenza mondiale dopo USA, URSS, Inghilterra e Francia, la sua crescita è assai superiore a quella di Germania, Cina e Giappone. Fermi e Segré rientrano dagli USA, dove erano fuggiti durante l'occupazione nazista della penisola, e a Frascati, presso Roma, fondano un centro di ricerche all'avanguardia nel mondo. Dal 1958 al 1963 governa la sinistra di Togliatti che allenta la collaborazione con la NATO, poi tornano al potere i popolari con Aldo Moro. Negli anni '70 si susseguono governi di unità nazionale (Popolari, Liberali, Socialisti, Comunisti) che devono affrontare la minaccia delle Brigate Rosse e dell'eversione di destra. Aldo Moro sfugge ad un attentato  organizzato dalle BR e nel 1978 diventa Presidente della Repubblica, il vecchio Pertini guida un governo biancorosso con Lama al Lavoro e Andreotti agli Esteri. Nello stesso anno Giovanni Paolo II è eletto al Soglio  di Pietro. Non vi è ombra di Craxi o Martelli in questa linea temporale. Grazie allo sfruttamento intensivo dell'energia nucleare voluta da Fermi durante la crisi petrolifera, l'Italia diventa la terza potenza industriale del mondo dopo USA ed URSS, scavalcando anche Inghilterra e Francia: l'80 % della sua energia proviene dall'atomo. Nel 1989 cade il muro di Berlino ed anche Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca e Slovacchia passano nella sfera d'influenza di Roma. Dopo gli scandali di Tangentopoli (1992) ai monocolori popolari subentra tutta una serie di governi di Centrosinistra capeggiati da Romano Prodi e Walter Veltroni. Nel 2002 entra in vigore l'Euro. E nel 2003 l'Italia e Giovanni Paolo II (il quale riceve il Premio Nobel per la Pace) dissuadono gli Stati Uniti di Al Gore dall'attaccare l'Iraq...

William Riker

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A questo proposito Andrea Mascitti propone:

Mi è venuta in mente una domanda: per arrivare alla soluzione sopra descritta da Riker, sarebbe bastato che nella Conferenza di Pace di Parigi del 1919, nonostante il parere contrario del presidente americano Wilson, l'Italia rappresentata da Sonnino e Orlando riuscisse a fare rispettare tutte le clausole del patto di Londra e a ottenere subito Fiume, in modo che in questa Timeline non possa essere usato il pretesto della "vittoria mutilata"?

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Immediatamente Bhrghowidhon gli risponde:

Sarebbe stata considerata abbastanza mutilata lo stesso, perché la strage di vite umane durante la Guerra era messa in conto per obiettivi molto più ambiziosi che il Patto di Londra (praticamente tendevano a coincidere con i progetti mussoliniani per la Seconda Guerra Mondiale: oltre al già posseduto [Libia], l'Albania, gran parte dell'Anatolia, una porzione maggioritaria del Levante, l'egemonia su tutti gli Slavi Meridionali, gli Ungheresi e l'Egitto, un legame particolare con la Romania e la Grecia, una delle due Isole tra Creta e Cipro).

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E Massimiliano Paleari aggiunge:

Non bisogna dimenticare l'alto valore simbolico della questione fiumana con l'epilogo del "Natale di Sangue", strumentalizzato dalle correnti nazionaliste e dal nascente fascismo. Mussolini, che vedeva in D'Annunzio un pericoloso concorrente, seppe abilmente sfruttare il senso di frustrazione e l'ira per il "codardo" stato liberale dei Dannunziani. Difficile dire come sarebbe cambiata la storia se Fiume fosse stato annesso dall'Italia al termine della Prima Guerra mondiale. Certo, si può anche supporre che, al posto di Fiume, si sarebbe "costruita" un'altra "questione fiumana", magari prendendo a pretesto l'incorporazione nel Regno di Jugoslavia di Sibenico, all'interno delle cui mura vi era all'epoca una importante comunità italofona. E' anche vero che una spedizione a Sibenico avrebbe scatenato sic et simpliciter la guerra con Belgrado. Direi che in un ipotetico computer psicostorico (chi non ha letto il Ciclo della Fondazione di Asimov?) senza la questione fiumana le probabilità di presa del potere da parte di Mussolini scendono del 35 %, mentre in uno scenario che veda l'Italia raggiungere a fine Prima Guerra Mondiale le aspirazioni massime o quasi, tale probabilità crolla addirittura del 70 %.

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Paolo Maltagliati continua il dibattito:

Innanzitutto, penso che per ottenere aspirazioni maggiori si dovesse ottenere con la guerra quello che si chiedeva. Se non proprio tutto, almeno una buona parte. Invece, visto lo sviluppo degli eventi bellici sul fronte italiano era abbastanza scontato che gli italiani sarebbero stati visti come un socio minoritario da parte degli altri. E forse avrebbero dovuto immaginarselo anche Orlando e Sonnino. E penso che non sia oggetto di critiche il fatto che senza dubbio fu un errore quello di andarsene, da parte della delegazione italiana.

Cosa avrebbe ottenuto l'Italia se i nostri delegati avessero mostrato più buon senso ed intelligenza?

1) il Togo. poi al limite si faceva scambio con il Somaliland con gli inglesi.
2) il mandato sul Libano.
3) Una città sulla costa occidentale di Cipro, tipo Pafo. E magari anche Samo.
4) Si tratta sulla Dalmazia: qualche isola in più e, a parte Zara, almeno un paio tra Spalato, Cattaro, Sebenico, Traù, Macarsca, Castelnuovo, Ragusa le portavamo a casa, ne sono convinto. Oppure si giocava la carta di rinunciare a tali pretese in cambio di compensazioni coloniali maggiori, scambiabili con quelle inglesi e francesi (l'obiettivo primario sarebbe stato Gibuti, ma non credo che i francesi se ne sarebbero liberati a poco prezzo)
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Detto questo, come è già stato detto è pur vero che sarebbe rimasta comunque e in ogni caso una vittoria mutilata, ma quantomeno non avrebbe dato l'impressione di una "resa totale" dello stato liberale. Una minore perdita di credibilità di quest'ultimo quanto avrebbe pesato sulla sua capacità di reazione nel biennio rosso?

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Massimiliano annuisce:

Assolutamente vero. Chi non c'è ha sempre torto. Tanto per rimanere più o meno in quegli anni, basta ricordare anche la fallimentare strategia dell'Aventino da parte degli esponenti politici che intendevano opporsi al fascismo...

Io comunque tendo a pensare che la debolezza italiana fosse più politica che militare. Tutto sommato dal conflitto eravamo usciti vincitori. Si, c'era stata Caporetto, ma poi bene o male eravamo riusciti a reggere l'urto del nemico senza rilevantissimi aiuti da parte degli Alleati. Nella Prima Guerra Mondiale, a differenza che nella Seconda, eravamo insomma riusciti a condurre la nostra "guerra parallela", seppur a costo di immani sacrifici. Anche il fronte interno aveva tenuto. A differenza della Russia da noi niente rivoluzione. La stessa Francia aveva visto nel 1917 l'ammutinamento di interi reparti delle truppe al fronte, in una situazione che era ormai preinsurrezionale. Furono migliaia a essere fucilati prima di riportare l'ordine. Anche noi non eravamo stati immuni da questo fenomeno, ma in dimensioni minori. Inoltre avevamo dato il nostro contributo anche in teatri di guerra minori o per noi "esotici": la nostra flotta aveva contribuito a mettere in salvo l'armata serba e quella montenegrina, soldati che poi furono impiegati sul fronte di Salonicco; reparti italiani erano presenti in Albania, sullo stesso fronte di Salonicco a fronteggiare i Bulgari; persino in Siberia a supporto degli incerti eserciti bianchi verso la fine del conflitto, etc.

È invece sul piano politico che si registrarono le maggiori debolezze. La nostra diplomazia oscillò senza trovare un punto di equilibrio tra richieste esagerate, rodomontate prive di costrutto e a volte un'eccessiva arrendevolezza nei confronti delle altre forze dell'Intesa. Tale mancanza di equilibrio, figlia sicuramente dell'incertezza politica interna del nostro primo dopoguerra, finì per alienarci le simpatie dei più, isolandoci sul piano internazionale.

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Paolo si dimostra in disaccordo:

No dài, non colpevolizziamo troppo l'Italia. Negli anni trenta la politica internazionale era un hobbesiano casino per tutti. Credo che l'isolamento dell'italia sia una conseguenza anche di un calcolo sbagliato del foreign office inglese su tante cose, non ultima la pericolosità nazista. La pessima gestione dell'incidente di Ual-Ual lo dimostra. l'accordo Laval poteva diventare la base per una futura triplice Anglo-franco-italica in funzione anti-tedesca e, in prospettiva, antibolscevica (ehi, un'ucronia su questo?). Il nodo rimaneva il sostegno francese "eccessivo" al regno jugoslavo, ma era risolvibile.

Quando uno sbaglia i conti, poi tutti gli altri agiscono di conseguenza, magari facendone di più grosse. Non scuso l'incompetenza mussoliniana che comunque c'è stata, ma certo la politica incerta degli inglesi per me rimane un fattore determinante per far degenerare le cose al punto in cui sono arrivate.

Una nota sulla debolezza militare: il nostro gap è aumentato molto rispetto agli altri solo (si fa per dire) a partire dal '36. Nel '40 poi eravamo entrati in una vera e propria crisi finanziaria, di mezzi, di organico e di comando da ristrutturare. Proprio nel momento sbagliato...

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E Massimiliano replica:

Giuste le tue considerazioni. Comunque io non mi riferivo tanto agli anni '30, quanto al periodo dell'immediato primo dopoguerra (1918-1922), prima della presa del potere da parte di Mussolini. E' anche vero che quest'ultimo esordisce un politica estera con la grottesca occupazione (temporanea) di Corfù, non un bel biglietto da visita...

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Ed ora, questa proposta alternativa di Mattiopolis, che alla Democrazia Cristiana sostituisce il Partito Socialista:

Come nell'ucronia del Comandante Riker, Mussolini non riesce a prendere il potere. Di lì a poco i reduci del Biennio Rosso provano a fare un loro tentativo di golpe appoggiati dall'ala più radicale della sinistra italiana, ma falliscono dato che i vertici del Regno erano preparati, dopo l'esperienza della Marcia su Roma.

La sinistra meno oltranzista riesce comunque a prendere il potere, e quando Hitler invade la Polonia l'Italia è governata dai socialisti del PSI, che dopo la divisione dai comunisti hanno col tempo mitigato le loro istanze più rivoluzionarie. Proprio su pressione del PSI, l'anno dopo lo scoppio della guerra l'Italia dichiara guerra alla Germania nazista.

Hitler si trova così a fare quasi tutto da solo, dato che anche Franco, dopo che gli italiani sono scesi in campo dalla parte dei repubblicani, ha visto fallire il suo progetto, e per effetto domino anche gli altri aspiranti dittatori di destra europei vedono sfumare i loro sogni egemonici.

Il Führer si trova così in difficoltà, ed è costretto più che mai a chiedere una mano ad Hirohito, che spedisce truppe in Europa, ed a finanziare gruppi nazionalisti terroristici e di guerriglia in vari paesi per cercare di facilitarsi le cose: il Partito Nazionale Fascista sarà colpevole tra l'altro della distruzione di varie sinagoghe e di vari tentati assassini, mentre Francisco Franco si divertirà ad usare il territorio basco come poligono da tiro.

Gli ebrei uccisi saranno all' incirca la metà, e la guerra potrebbe terminare anche due anni prima, risparmiando la vita agli abitanti di Hiroshima e Nagasaki, che comunque si vedranno invasi via mare da inglesi, americani, francesi e russi nel 1944-1945, dato che Hirohito, da buon guerriero nipponico, rifiuta di arrendersi (ma alla fine sarà comunque costretto a farlo).

Hokkaido viene occupata dai sovietici che ne fanno una Repubblica Popolare alleata dell' URSS, mentre il resto del Sol Levante, dopo una fase di occupazione da parte degli Alleati, ritorna sotto il governo del Tenno.

Per la Germania le cose si mettono male: giudicata come l'unica colpevole della guerra ancor più che nel 1919, si decide di cancellarla dalla faccia della terra, ovviamente su proposta di un convincente Stalin. I vari stati confinanti si prendono ognuno un pezzetto di Germania ed Austria (la cui sorte seguirà quella tedesca, dato che Vienna si è spontaneamente consegnata al Reich),: per esempio all'Italia tocca il resto del Tirolo ed alla Danimarca lo Schleswig-Holstein, e si decide di dividere la Germania in tre stati: una Repubblica Federale di Baviera neutrale, comprendente il Sud cattolico della Germania e l'Austria, con capitale Monaco; una Repubblica della Ruhr ad ovest, sotto tutela occidentale e comprendente Westfalia, Palatinato e Saar con capitale Dusseldorf; ed una Repubblica Democratica di Prussia fantoccio dell' URSS, con capitale Berlino.

Senza muro di Berlino, il collasso dell' URSS precederà quello dei regimi comunisti, e non il contrario. Dusseldorf e Berlino potrebbero riunificarsi, ma dato che Prussia e Ruhr hanno quasi la stessa popolazione ed estensione territoriale, potendo provocare problemi di unificazione, non se ne fa nulla. Resta la strada dell' unificazione con Monaco, ma il 60% dei bavaresi vota contro, preferendo il loro stato cattolico.

Hokkaido invece torna senza problemi entro i confini giapponesi. E l'Italia? Durante la guerra, il terrorista PNF Alessandro Pavolini si rende colpevole di un attentato a Fiume, che uccide 20 persone. Gli jugoslavi non fanno quasi in tempo a protestare che il guerrigliero fascista viene beccato dalle autorità italiane, processato come terrorista membro di un'organizzazione vicina al Partito Nazista e condannato a morte.

Il Regno suggerisce comunque alla Jugoslavia di fare qualcosa per Fiume, per evitare altri episodi simili e dopo la guerra, quando sia Italia che Jugoslavia diventano paesi non allineati, viene indetto un referendum nel territorio fiumano sull'ingresso o no in Italia, che va con maggioranza bulgara a favore del Regno (gli abitanti, anche i non italiani, preferiscono un regno governato dai socialisti ma democratico ad una dittatura rossa).

Tito accetta di cedere l'area a patto che Fiume conservi una qualche autonomia, che presto anche i tirolesi, gli sloveni, i siciliani ed i sardi iniziano a volere. Quindi nel 1948 lo Statuto Albertino viene sostituito da una nuova Costituzione del Regno d'Italia a base federale, e lo stivale viene organizzato in Territori autonomi, dei quali Fiume è il più piccolo, praticamente una città stato (anche Roma segue la stessa sorte).

La mafia fa fatica a proliferare nel Regno, dato che non vi sono stati inciuci con gli Alleati in Sicilia, e sotto il governo del PSI (ininterrottamente al potere come nella nostra timeline i democristiani) l'Italia fa passi da gigante: l'industria e il commercio crescono esponenzialmente, facendo dell'Italia una potenza economica come il Giappone.

La mancata chiusura delle case chiuse e la parziale liberalizzazione delle droghe leggere danneggia il giro d'affari della malavita. Nei primi anni '90 scoppia l'inchiesta Mani Pulite, che porta alla dissoluzione dei vecchi partiti ed all' incarcerazione di diverse personalità colluse con il potere. L'unico partito indenne dallo scandalo è il PDS, ex PCI, che va al potere senza scissioni avendo superato lo shock del crollo dell'URSS, osteggiato a destra dalla Lega Nord, il più grande partito d'opposizione. Il PNF continua a colpire sino agli anni '70, per poi dissolversi in un pulviscolo di organizzazioni inoffensive dopo la morte di Mussolini...

E poi?

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Adesso la palla passa a Findarato:

Malta, provincia d'Italia

Tempo fa mi recai a Malta in visita da amici, e molti miei conterranei mi chiedevano sempre Malta in quale provincia italiana si trovasse. (Seguono due aneddoti legati al mio ritorno da Malta, nel caso vi annoiassero, saltate pure a piè pari i due paragrafi seguenti).

Al mio spiegare che Malta non “faceva” nessuna provincia, dato che non è Italia, gli stessi pretendevano di farmi un mansplaining ante litteram, pretendendo che io (che ero stai nell’Arcipelago) mi sbagliavo perché Pantelleria è più a sud di Malta, eppure è italiana!

Come pure un altro che pretendeva di convincermi, forte del racconto di un suo Professore del Corso di Inglese I (che a quanto pare neanche lui ha mai camminato le Malta Roads) che la lingua Maltese fosse nient’altro che… un inglese con un accento diverso da quello british, ma io avevo sentito con le mie orecchie qualcosa di simile all’arabo e mi sono anche sentito rispondere “il mio Professore sa tutto e quindi tu stai sbagliando”.

La domanda ucronica è la seguente: come sarebbe dovuta cambiare la Storia per far sì che Malta fosse a tutt’oggi una Provincia siciliana?

La prima idea che mi viene in mente è il Regno Unito che, dopo il congresso di Vienna, non solo si tiene l’arcipelago maltese, ma estende la sua influenza a tutta la Sicilia di là del Faro. Questo però vorrebbe dire compensazioni da subito almeno per Francia (Nizza e Savoia già nel 1815?), Austria (Modena e Reggio nel Lombardo-Veneto?), Prussia (lo Schleswig-Holstein?) e immagino anche alla Russia, ma non saprei cosa. Resterebbe il problema dell’Unità d’Italia, che a questo punto, però, potrebbe partire da sud e coinvolgere solo i due Regni di Sicilia, lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana: l’Austria e la Francia potrebbero acconsentire a patto che il neonato Stato (che potrebbe tranquillamente chiamarsi Italia) sia indipendente anche da Londra (e in cambio dell’esclusiva sullo zolfo siciliano?)

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Il primo a replicare è Andrea Mascitti:

L'unico POD valido che mi viene in mente è che durante il Congresso di Vienna l'isola invece di essere assegnata agli inglesi, (ipotizziamo le altre grandi potenze si mettano di mezzo preoccupate dal vantaggio che gli inglesi potrebbero ottenere da suo possesso), ed invece viene assegnata ai Borboni.
L'isola poi seguirà il destino del regno delle Due Sicilie, passando ai Savoia e al Regno d'Italia dopo lo sbarco dei mille e la caduta dei Borboni.

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Lord Wilmore però scuote la testa:

Trovo difficile che il Regno Unito rinunci a Malta dopo il congresso di Vienna, visto che oggi sarebbe disposto a dichiarare guerra alla Spagna pur di tenere Gibilterra (che al 90% ha votato contro la Brexit, per ovvi e lungimiranti motivi).

Propongo un PoD più realistico. Nel 1530 Carlo V se ne sbatte dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni e non concede loro Malta. I Cavalieri vengono ospitati su un'isoletta della laguna veneta, magari Sant'Erasmo, dove fondano il loro microstato che sopravvive ancor oggi: avremo così il Sovrano Militare Ordine di San Marco (SMOSM), membro a tutti gli effetti dell'ONU. Senza di loro, nel 1565 Malta cade in mani ottomane ma nel 1572 torna spagnola dopo una ribellione della popolazione in seguito al disastro militare di Lepanto. Passa quindi al Regno di Sicilia, al Regno delle Due Sicilie, al Regno d'Italia e alla Repubblica Italiana. Il maltese sopravvive come dialetto tutelato dalle leggi, come l'Arbëreshë, ma tutta la popolazione parla normalmente l'italiano. La targa automobilistica è ML, la capitale è Medina detta "La Notabile", è Malta e non Agrigento ad amministrare Pantelleria e Lampedusa, la squadra di calcio di Floriana gioca in Serie B italiana e la squadra di Medina nel girone C della Serie C italiana.

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A sua volta Never75 obietta:

Comunque nel 1530 c'erano altre isole che potevano attirare i cavalieri, come l'Elba.
In quel caso la vedo difficile per gli inglesi impadronirsene, per cui Malta rimane legata ai destini della Sicilia.
L'Elba può o restare un principato monastico anche dopo il 1859, oppure fagocitato come lo Stato Pontificio al più tardi 11 anni dopo.
Oppure, cosa ancora più semplice, o i turchi non riescono nell'assedio di Rodi e rinunciano a impadronirsene (in effetti a Malta falliranno 43 anni dopo) oppure la guerra va ancora più per le lunghe e alla fine decidano di spartirsi l'Isola, lasciandone metà ai Cavalieri che, messi alle strette, devono accettare. Alla fin fine anche metà di Rodi è pur sempre più del doppio di Malta.
Addirittura gli Ottomani potrebbero desistere dall'impadronirsi di Rodi purché i Cavalieri cedano loro solo alcune piazzeforti dell'Isola e riconoscano almeno formalmente il vassallaggio alla Porta.
In questo caso Rodi resterebbe una sorta di Monte Athos anche dopo l'indipendenza greca.

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Anche Generalissimus dice la sua in merito:

Però se i Turchi non prendono Rodi si ritrovano la strada per Creta sbarrata (a meno che non ci riprovino andando per qualche altra strada). Potrebbero rivolgersi prima contro Cipro, che è anche più grossa di Rodi. Cipro non era ancora formalmente veneziana, peraltro. Quindi avrebbero anche la scusa pronta per intervenire dopo la morte di Giacomo III.
E comunque c'erano an
che Ischia, Capri e Ponza.
Se Malta fosse stata "soltanto" un'isoletta della Sicilia, senza una storia così peculiare da distinguerla dalle altre, per me la sua popolazione sarebbe stata simile a Lipari, Pantelleria e Lampedusa. Certamente un po' di più di loro perché è più grande, ma non credo proprio arriverebbe a oltre mezzo milione di abitanti (considerando tutto l'arcipelago, quasi 400.000 solo l'isola principale)
Io provo a dare la mia soluzione.
So che nei weekend e ogni volta che c'è la possibilità di un ponte, ai Maltesi piace andare a nord, in Sicilia, prendendo i traghetti che collegano La Valletta a Pozzallo in meno di due ore.
E se Malta finisse proprio in provincia di Ragusa?

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Non può mancare il contributo di Bhrghowidhon:

La discussione è molto interessante, spero di non abbassarne troppo la qualità se a mia volta rispondo riprendendo la domanda. Neppure vorrei risultare noioso se giro intorno alla definizione di «Provincia siciliana» o «Provincia italiana»: mi sento autorizzato a farlo dal momento che la soluzione windoratica implica uno scenario analogo a quello che ho in mente...

Anzitutto, Provincia: con questo nome venivano già chiamate, prima del Regno d’Italia Sabaudo, le suddivisioni amministrative del Regno delle Due Sicilie (in Sicilia dette anche “Valli” [maschile] e in generale a loro volta articolate in Distretti, Circondarî e Comuni) e, se prendiamo in considerazione altri Stati della stessa “Espressione Geografica” nell’epoca della Restaurazione, sia del Regno Lombardo-Veneto (come pure dei Ducati di Parma e Modena, pur di estensione leggermente minore) sia del Regno di Sardegna (anche dopo la Fusione Perfetta) – benché in tal caso fino al Decreto Rattazzi del 1859 fossero a un livello inferiore alle Divisioni, l’omologo dei Dipartimenti francesi (per cui la ripartizione del Regno era in Divisioni, Provinc[i]e, Intendenze [poi Mandamenti] e Comuni; dal 1859 e quindi nel Regno d’Italia Sabaudo rispettivamente Provinc[i]e, Circondarî, Mandamenti e Comuni) – nonché, fino al 1848, del Granducato di Toscana (dopodiché sono state ridenominate Prefetture, a seconda del caso Compartimenti o Governi), mentre nello Stato Pontificio il termine Provincia era stato sostituito dai peraltro già esistenti Delegazione e Legazione (con molte riforme).

In secondo luogo, Malta nel Regno di Sicilia e/o delle Due Sicilie sarebbe stata Provincia a sé o no? In questo caso la risposta è affermativa (come giustamente ribadito da Enrico Pizzo e Dario Carcano e preferito da Andrea Mascitti), perché le Provinc(i)e e i Valli dei due Regni di Sicilia sono la continuazione diretta dei Giustizierati medioevali e Malta era Giustizierato a sé (ma solo l’Arcipelago, non le altre isole).

In terzo luogo, gran parte della discussione finora si è svolta (a partire dal decisivo intervento di Milord) intorno al rapporto di Malta con l’Ordine dei Cavalieri (donde il filone dell’ucronia in cui questi non ricevono il Feudo da Carlo V.), ma se i Gioanniti non fossero stati espulsi dall’Arcipelago da Napoleone o comunque vi fossero stati reinsediati e in ogni caso – sempre per le argomentazioni del Comandante – Malta non fosse diventata Colonia Britannica (si può confrontare la vicenda di Gozo, che ha riconosciuto fino al 1801 Ferdinando III. come proprio Re; il Titolo di Conte di Malta era rimasto prerogativa del Viceré di Sicilia fino alla soppressione di questa Carica) la Feudalità nel Regno di Sicilia sarebbe stata abolita (anche se storicamente ciò è avvenuto su pressione britannica nel 1812 con la Costituzione dei Baroni, che ha trasformato i Feudi in Allodî) e quindi l’Ordine sarebbe diventato Proprietario diretto dell’Arcipelago anziché Vassallo, per cui la materia della discussione sarebbe propriamente se l’Ordine potesse diventare uno Stato a tutti gli effetti anziché essere reincorporato – quale sarebbe stato il suo destino – nel Regno. In altre parole: l’ucronia nell’ucronia è che i Cavalieri diventino uno Stato, altrimenti di per sé l’ucronia porta direttamente alla Provincia di Malta entro la Sicilia.

A questo punto, la questione finale è il rapporto fra Sicilia e Italia. A parte l’Ucroniarca, nelle altre ucronie non riservate al solo Stato dei Cavalieri i passaggi obbligati sono la (ri)assegnazione alla Sicilia o comunque al Regno delle Due Sicilie (borbonico), donde ai Savoia e all’Italia (anche repubblicana). Ovviamente entrambe le ucronie sono possibilissime – nonostante che l’una sia stata chiamata “arzigogolo” dal Suo propositore – e quella di tutti gli altri è indubbiamente «molto più semplice» (come Egli stesso ha scritto) e ha un Punto di Divergenza «più realistico» (come definito dal Comandante), però oserei osservare che questo non è «l’unico»: in tutte le ucronie con cui ho ammorbato la Lista che contemplassero almeno la permanenza di ambedue i Regni di Sicilia (oltre che dei Feudi Imperiali) agli Asburgo è infatti pressoché garantita la successione di eventi illustrata al capoverso precedente (senza l’ucronia nell’ucronia dei Cavalieri di Malta come Stato del tutto indipendente), per cui il passaggio di Malta da «Provincia siciliana» a «Provincia italiana» dipenderebbe soltanto dal particolare che i due Regni di Sicilia (a prescindere perfino dall’eventualità che fossero previamente fusi in uno di entrambe) venissero uniti all’Italia Imperiale o se non altro all’Austriaca Lombardia (compresi i Suffeudi Sabaudi) ed eventualmente prima o poi alle Secondo-/Terzogeniture Asburgiche in un Regno come il Lombardo-Veneto, ma con la denominazione coincidente con quella del Teilreich dell’Impero (anzi, Regno d’Italia come somma di Lombardo-Veneto e Due Sicilie sarebbe così anche meglio distinto dal nome ufficiale di Regno Longobardo della Nazione Gallesca per l’Italia Imperiale o Reichsitalien).

Quindi la risposta che propongo è che la Storia sarebbe dovuta cambiare soprattutto negli esiti della Guerra di Successione Polacca (qualunque fosse la condizione necessaria per questo: mi pare inevitabile una vittoria imperiale nella Guerra di Successione Spagnola e, per arrivarci, al meglio e come minimo una asburgica nella Prima Guerra dei Trent’Anni) – senza che poi quella di Successione Austriaca li ribaltasse di nuovo – dopodiché, sul piano formale, sarebbe bastato che il nome di Regno d’Italia non venisse ‘compromesso’ dall’esperienza napoleonica (in questo scenario sarebbe verosimile, più che mai nel caso di una Corsica definitivamente imperiale dopo il 1731 se il primo Punto di Divergenza è all’altezza della Guerra di Successione Spagnola o prima).

Avvertenza: so fin troppo bene che sulla Guerra di Successione Spagnola esiste un contrasto insanabile, ma qui stiamo considerando tutti i Punti di Divergenza e quindi se ne invoco relativo alla Guerra dei Trent’Anni ritengo che il contrasto sia evitabile, a meno che anche su questo siamo in disaccordo (nel qual caso non ha forse senso che continuiamo a discutere).

Appendice sul maltese (che studio da ventinove anni e in cui mi diletto di leggere il Vangelo a Messa). È appunto una lingua araba (tutti i dialetti sono lingue, anche se non tutte le lingue sono dialetti; i “dialetti arabi” differiscono reciprocamente quanto le lingue neolatine fra loro), a differenza delle altre scritta in alfabeto latino (ovviamente, come sempre, con qualche peculiarità ortografica) e soprattutto ricchissima di mutuazioni dal siciliano (non da particolari “dialetti” o basiletti siciliani, ma dal siciliano “illustre” come lingua alta) per il fatto che fin dall’origine e fino agli Anni Cinquanta tutta la popolazione è stata bilingue: il maltese come basiletto (il cosiddetto “dialetto” in senso sociolinguistico) e il siciliano come acroletto (la cosiddetta “lingua” nel senso di ‘lingua alta’, anche della Chiesa), per cui i sicilianismi in maltese (e pure gli italianismi distinti dai sicilianismi) stanno alla componente araba così come gli italianismi in napoletano o in milanese (ossia: non sono “dialettalismi”, ma anzi mutuazioni di prestigio da lingue alte). Dagli Anni Novanta invece il bilinguismo (che si chiama tale anche quando le lingue nel repertorio sono più di due; propriamente sarebbe un “plurilinguismo”) comprende l’inglese come lingua alta (quale era già dagli Anni Venti/Trenta), il maltese come lingua ufficiale ma un po’ più bassa (e soprattutto non indispensabile) e l’italiano (televisivo) come prima lingua straniera (l’arabo standard è solo seconda lingua straniera e residuale, limitato alla sfera scolastica).

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Cinque lire d'argento del 1927, trovate nelle brughiere di Lonate Pozzolo (VA) dal signor Giovanni Crespi

Cinque lire d'argento del 1927, trovate nelle brughiere
di Lonate Pozzolo (VA) dal signor Giovanni Crespi

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Diamo ora la parola a Tommaso Mazzoni:

La Firma

Il Re si svegliò di soprassalto; aveva avuto ancora una volta un sogno orribile ma molto nitido e dettagliato. In una sola notte aveva visto ben 25 anni di eventi; aveva visto le sue azioni e se ne vergognava profondamente. Sarebbe stato debole, accondiscendente e codardo, e avrebbe condannato il Regno, la sua dinastia e la propria famiglia. Ormai da una settimana faceva sempre lo stesso sogno e ogni giorno accadevano cose che aveva gia visto; ieri aveva udito i suoi consiglieri, i generali e molti altri; tutti lo invitano ad agire proprio come aveva agito nel suo sogno, per non fare la fine dello Zar Russo. Ma nel suo sogno il risultato era molto peggiore: meglio il martirio per mano dei bolscevichi, che comunque non era detto prendessero il potere, che il disonore e il ludibrio. Con questi pensieri nel cuore, quell'uomo di bassa statura attese l'arrivo del Primo Ministro.

"Allora vostra Maestà, qual è la vostra decisione?" chiese il Primo Ministro in maniera retorica certo della risposta.

"Si!", rispose il monarca, intingendo la penna nel calamaio e firmando il documento nello stupore del ministro. "Chiamate la procura di Milano, voglio l'arresto del capo di questa associazione a delinquere."

Rialzando gli occhi, aggiunse poi: "Purtroppo temo che qualcuno fra noi due debba sacrificarsi."

Il ministro annuì: "Vostra Maestà non ha bisogno di dire a chi tocca la pena."

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C'è anche questa grande idea di Rubrus:

POD: Roma, 7 aprile 1926, Violet Gibson esplode un colpo di pistola contro Mussolini. Il dittatore non riesce a scansarsi in tempo e la pallottola, penetrata nel cranio attraverso il naso, lo uccide.

I disordini seguiti alla morte del capo fascista inducono Vittorio Emanuele III ad introdurre delle misure – mai più abrogate – che limitano e riducono il potere del Parlamento nello stato liberale, tuttavia non si arriva mai alla dittatura vera e propria.

Assunto il controllo dell’esercito, il Re reprime i moti insurrezionali ed instaura un regime autoritario. Lo Statuto Albertino, tuttavia, rimane sostanzialmente in vigore.

Francia e Gran Bretagna avallano l’operato del Re; il pericolo rivoluzionario, in Italia, sembra ancora concreto e non è il caso di trovarsi uno stato socialista nel bel mezzo del Mediterraneo.

La politica sabauda, tuttavia, è meno aggressiva ed imperialista di quella mussoliniana: i Savoia non inviano truppe in Spagna e non conquistano l’Etiopia.

La politica dello Stato Italiano, meno espansionista di quanto accade nella nostra Timeline, impedisce l’isolamento del paese e non ci sarà bisogno né di introdurre le leggi razziali, né di allearsi con la Germania.

Quando Hitler annette l’Austria, tuttavia, i Savoia cercano di stipulare con lo stato nazista un trattato di non belligeranza sulla falsariga del patto Molotov Ribbentropp.

Nel 1938 si profila la concreta minaccia di un conflitto mondiale. L’Italia tiene una posizione molto conciliante con la Germania, rilasciando ampie concessioni alla popolazione germanofona del Sud Tirolo. Le democrazie occidentali cedono invece sui Sudeti – come accade nella nostra linea temporale. La guerra, tuttavia, è rimandata.

Nel 1939 Hitler invade la Polonia ed inizia la Seconda Guerra Mondiale. L’Italia è neutrale.

Quando i nazisti sbaragliano la Francia, Vittorio Emanuele III cerca ancora una volta un accordo con Hitler che, per tutta risposta, invia i suoi eserciti oltre il Brennero.

I nazisti occupano il Nord Italia senza sforzo (gli Alleati non possono intervenire) assicurandosi il controllo del porto di Genova, che diventa una testa di ponte per la conquista del Nord Africa. Da Trieste le loro armate sciamano facilmente verso i Balcani.

Inizio 1941: una debole resistenza italiana lungo l’Appennino tosco-emiliano viene infranta e i tedeschi occupano Firenze. Il Re fugge a Palermo.

Fine 1941: senza incontrare ostacoli – con l’eccezione della Resistenza che, sull’esempio di quella francese, si va organizzando – i nazisti occupano anche Roma. La famiglia reale fugge rocambolescamente in Gran Bretagna.

Hitler e i suoi scienziati si impadroniscono dei lavori di Segre e Fermi, che non ha avuto bisogno di fuggire in America.

Negli anni successivi la Guerra Mondiale si svolge più o meno come nella nostra Timeline: espansione nazista, attacco all’URSS, contrattacco sovietico ed alleato.

Quando, nel 1945, la sconfitta hitleriana appare prossima, la prima bomba atomica tedesca sperimentale scoppia a Peenemunde.

E poi? Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.

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dDuck ha voluto dire la sua in proposito:

Bella idea, ma non credo che Hitler attacchi l'Italia, è fuori dei suoi obbiettivi geopolitici. Anzi, senza Italia la Germania si risparmierà uno o più fronti: rimanendo neutrale e commerciando con il Reich, l'Italia consente agli altoatesini di arruolarsi nella Wehrmacht. 

Alla bomba non ci arriverà nessuno, se Fermi e compagni rimangono in Italia, noi malgrado la neutralità non abbiamo i mezzi di arrivare alla bomba, servono quantità di uranio enormi, neppure i tedeschi ce le hanno. A dire la verità nella HL non serviva neppure agli americani che avevano gia vinto la guerra. Bisogna vedere Hitler cosa farà, se continuerà la guerra con i britannici o invaderà l'URSS...

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Questo invece è il parere del mitico Sandro Degiani.

Il "Piccolo Re" mi pare un po' troppo deciso e brusco nell'intervento di soppressione dei moti. Non dimentichiamo che Mussolini, pur essendo un leader carismatico, aveva alle spalle un triumvirato, e c'erano molti personaggi in grado di prenderne il posto e le redini del partito.

Ma ammettiamo la prima parte della Ucronia, anche a me pare poco plausibile l'invasione dell'Italia... Meglio un paese neutrale alle spalle che un paese occupato da gestire. Hitler con il fronte Russo aperto aveva le sue belle gatte da pelare, l'Inghiterra non mollava, l'America stava per intervenire.

Invadere l'Italia dal Brennero è una bella impresa ma sopratutto mantenerne il controllo è terribile per l'estensione e la dispersione della popolazione, e poi per cosa? L'Italia non ha materie prime, non aveva una industria bellica degna di tale nome, non aveva ricchezze, a cosa serviva invaderla se non a disperdere le forze?

Giusto il controllo del Mediterraneo, ma c'era già la Francia con i suoi porti di Marsiglia e Nizza, ben più attrezzati e non soffocati dai monti di Genova a disposizione di Hitler. Per giunta facilmente raggiungibili dalla Rhur attraverso l'Alsazia, mentre per arrivare a Genova, non potendo transitare per la Svizzera e Chiasso, avrebbe dovuto andare fino in Austria e passare dal Brennero e poi farsi tutta la Pianura Padana, 1600 Km di strada a occhio! Idem per i porti del Sud, l'Italia non è famosa per le autostrade e le ferrovie che la attraversano da Nord a Sud. La logistica dichiara la cosa non proponibile.

E poi che succede in l'Africa senza gli italiani (come se la cavava Rommel da solo con la sua Afrika Korps senza i porti, la Via Balbia da percorrere e i convogli italiani a rifornirlo?) Senza la Libia Italiana che avrebbe fatto Hitler in Africa e Medio Oriente? Senza l'Italia avrebbe invaso i Balcani e la Grecia?

Resta la bomba atomica tedesca. Fermi e Segre da soli non potevano farla, loro lavoravano sulla fissione civile dell'atomo e poi la pila di Fermi è un lavoro di squadra di decine di scienziati e non un lavoro solitario, il risultato di laboratori attrezzati, risorse enormi, un ambiente di lavoro stimolante.

Per giunta la ricerca tedesca era gestita in modo autoritario da Werner Karl Heisenberg e andava in una direzione (volutamente o casualmente) errata, le idee di Fermi non avrebbero trovato molto ascolto.

Le ricerche sulla bomba atomica tedesca cessarono già nel 1941 perchè proprio Heisemberg ne dichiarò al Fuhrer la non fattibilità e da allora si dedicò allo studio di reattori civili.

Segrè era ebreo e lo era anche la moglie di Fermi, quindi sarebbero stati difficilmente coinvolgibili e poco graditi in un programma militare così segreto e delicato. Nel 1945 la Germania non aveva nemmeno più il carburante per far volare gli aerei che restavano ammassati nelle fabbriche inutilizzati, gli Alleati erano sulle sponde del Reno, i russi alle porte della Germania, una bomba atomica sarebbe stato un gesto disperato, un Götterdammerung, e nulla di più.

Bene... ho fatto le mie analisi e messo qualche punto di domanda... a voi!

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A questo punto, Rubrus riprende la parola:

Innanzi tutto, permettetemi di dirVi che mi sento onorato per l'attenzione riservata a questa mia prima pubblicazione. In secondo luogo, ecco alcune mie osservazioni.

a) Più che ad una "dittatura sabauda" pensavo ad una restrizione delle libertà personali (es. libertà di associazione) politiche (Es. soppressione di alcuni partiti) ed ad alcune modifiche istituzionali (es. aumento dei poteri del Senato, di nomina regia). Non ad una vera e propria dittatura.

b) mi pare verosimile ritenere che, in caso di improvvisa morte di Mussolini, l'esercito sarebbe rimasto fedele al Re (fattore da non trascurare) e gli altri capi fascisti si sarebbero schierati chi con la casa reale chi contro, portando all'estremo le istanze rivoluzionarie del fascismo. Probabilmente avrebbe prevalso la prima fazione, appunto grazie al sostegno dei militari.

c) la posizione del Re. Nella mia Timeline Vittorio Emanuele III sceglie la neutralità e vorrebbe continuare a rimanere neutrale. Proprio per questo non interviene a fianco della Francia. Quando ormai crede che Hitler sia prossimo alla vittoria finale è costretto, per ragioni di realpolitik, a cercare un accordo con lui, ma il Furher non si fida. Di qui l'invasione dell'Italia.

d) una invasione tedesca mi pare plausibile, in quest'ucronia (anche se ovviamente criticabile) Hitler sa della posizione ambigua dei Savoia e non vuole avere un potenziale nemico a sud prima di attaccare la Russia. In secondo luogo le ragioni che lo spingono ad invadere la penisola sono le stesse che l'avevano spinto ad invadere la Norvegia: creare una testa di ponte, stavolta non nel Mare del Nord, ma nel Mediterraneo. Scopo: impedire il traffico di navi da Suez verso Londra. Nella mia ucronia i nazisti hanno un controllo diretto sul Nord ed hanno un governo fantoccio a sud. Un obbiettivo strategico, questo, che potrebbe spiegare l'attacco.

e) l'atomica nazista. Sono partito, come idea, dai fantomatici o famosi esperimenti tedeschi a Peenemunde. Sono d'accordo, per il resto, anche se avevo lasciato irrisolto il quesito, che i nazisti, visto lo stato della loro industria bellica e la carenza di uomini e mezzi, anche se avessero scoperto l'atomica, probabilmente non sarebbero riusciti a sfruttarla.

Avevo scelto il ‘41 come inizio dell’attacco all’Italia per due ragioni:

1. l’attacco avviene prima dell’Operazione Barbarossa proprio per evitare di avere un fronte in più

2. nella mia ucronia il controllo della penisola, diretto o indiretto, è completo prima della fine dello stesso anno, ma è verosimile ritenere che l’esercito italiano sarebbe stato sbaragliato anche prima – consentendo appunto l’invasione nazista dell’URSS

Inoltre:

Nei Balcani Hitler aveva altri alleati. Penso che si sarebbe appoggiato a loro. L’apporto bellico Italiano, in quella regione, non fu determinante.

Nordafrica. Hitler aveva bisogno di controllare il canale di Sicilia. Nella mia ucronia ciò avviene tramite lo stato fantoccio insediato a Roma. Lo stesso stato fantoccio gli avrebbe consentito il controllo della Libia, con tutte le conseguenze che conosciamo.

Fermi. Non pensavo ad una collaborazione di Fermi con Hitler, ma, più semplicemente, al fatto che i nazisti avrebbero potuto impadronirsi, già nel 41, degli studi di Fermi. Questo forse avrebbe potuto indurre Heisenberg a proseguire, magari in diversa direzione, le proprie ricerche. Però non credo che sarebbe cambiato molto, ai fini dell’esito del conflitto. A mio parere la guerra sarebbe finita come nella nostra timeline, magari un po' più tardi perché, anziché dirigersi verso Berlino, i sovietici avrebbero cercato di avere un più penetrante controllo delle zone dove si trovavano i fantomatici laboratori nazisti.

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Spero di avere esposto tesi non del tutto insostenibili e, a questo punto, proseguirei con la mia ucronia. 

1945. L’Italia è devastata, ma non può essere fatta rientrare tra le potenze sconfitte. Essendo però rimasta neutrale nemmeno la si può far rientrare tra quelle vincitrici. Ergo, riesce a mantenere le colonie e la propria integrità territoriale. Ovviamente, beneficia del piano Marshall.

Si pone a questo punto il problema dei Savoia, che, nella mia ucronia, sono fuggiti dal paese durante l’invasione tedesca.

Questa la mia ipotesi.

Molti italiani sono rimasti delusi della monarchia e, dopo la resistenza, la vorrebbero abbattere. I Savoia hanno fornito, dall’estero, il proprio appoggio morale, Umberto, molto discretamente, fa capire che sarebbe rimasto a guidare la Resistenza, ma che ha dovuto obbedire al padre. Tutto ciò, però, non basta ed il malcontento dilaga.

I Savoia sono costretti ad indire un referendum.

Vuoi per ingerenze americane (gli USA temono una Repubblica socialista nello stivale) e della Chiesa, vuoi perché Vittorio Emanuele III ha abdicato in favore del figlio, vuoi perché i Savoia hanno in ogni caso subito la guerra, ma non ne sono ritenuti responsabili, la monarchia, seppur di stretta misura, grazie anche ad alcune iniziative progressiste quali la concessione del suffragio universale, vince.

Il Regno d’Italia continua ad esistere.

Il quadro politico vede un partito comunista repubblicano (i socialisti li seguono a ruota) ed una DC divisa in due grandi correnti: una monarchica, maggioritaria, ed una repubblicana, minoritaria.

I partiti del vecchio stato liberale, invece, sono ridotti al lumicino.

Alle elezioni politiche è la DC a vincere. Negli anni successivi, come nella nostra Timeline, vedono l’Italia rinascere economicamente e, poi, svilupparsi. Re Umberto è molto popolare e riesce a far perdonare gli errori paterni.

Contemporaneamente, però, comincia a porsi il problema delle colonie: in Libia e Somalia (l’Etiopia non è stata mai conquistata ed ora ha mire espansionistiche verso il Corno d’Africa, candidandosi anzi a campione, in quella regione, dell’indipendentismo africano) nascono movimenti indipendentisti ed insurrezionali.

Si scontrano due tesi: l’una vorrebbe il pugno di ferro, l’altra la creazione di un minicommonwealth italiano, simile a quello britannico.

Mentre iniziano le prime rivolte, il potere della DC s’incrina e, a poco a poco, entrano nel governo altri piccoli partiti (liberali e neofascisti di stampo monarchico).

La scoperta del petrolio in Libia fa pendere la bilancia verso la linea rigida. Nelle colonie interviene, sempre più massicciamente, l’esercito. Il papa Giovanni XXIII manifesta il proprio appoggio alle popolazioni, ma la linea del governo non cambia.

L’Eni sembra avviarsi a diventare una multinazionale ma la morte di Mattei impone una battuta d’arresto al processo che, però, non si arresta.

Siamo ormai nel pieno degli anni ’60, e mentre l’economia continua a crescere, le istanze di rinnovamento si fanno sempre più pressanti.

A metà del decennio, fra proteste che si fanno sempre più forti, l’esercito interviene pesantemente nelle colonie ed inizia la “sporca guerra italiana” in Libia.

Il biennio 1968/69 è il biennio delle rivolte. Moti di piazza, nel Paese e nelle colonie, invocano la fine della guerra, della monarchia e l’adozione di un nuovo modello statale e sociale.

La repressione è dura e il nuovo decennio che sta per iniziare sembra portare con sé i germi di una vera e propria guerra civile.

E poi?

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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:

La principessa triste (italiana)

Secondo quanto riporta lo storico Renato Barneschi, la regina Margherita avrebbe voluto che la sua nipote primogenita, Iolanda Margherita, sposasse Edoardo, Principe del Galles, il più prestigioso tra i giovani eredi al trono d'Europa in quegli anni. Vittorio Emanuele III lasciò tuttavia la figlia libera di scegliere uno sposo di suo gradimento, e lei, senza preoccuparsi del rango, scelse Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, un ufficiale di cavalleria appartenente alla piccola nobiltà. E se invece Iolanda Margherita avesse deciso di esaudire il sogno di sua nonna?

Certo, una principessa cattolica non sarebbe stata certo una scelta facile per un britannico. Probabilmente per rendere possibile il matrimonio Iolanda avrebbe dovuto prima convertirsi all'anglicanesimo. Tutto sommato, negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra i rapporti politici tra Italia e Gran Bretagna erano molto buoni e un matrimonio reale avrebbe potuto consolidare ulteriormente il legame tra i due paesi. Come sarebbe cambiata la storia in questo caso?

Intanto ho scelto il titolo "La principessa triste" perché probabilmente Iolanda non sarebbe stata felice accanto a un uomo avvezzo alle relazioni disinvolte. Questo però avrebbe determinato una certa solidarietà nei suoi confronti, migliorando il suo rapporto con il popolo britannico, sulle prime certamente diffidente per l'ex fede cattolica di Iolanda. Forse Edoardo non avrebbe però conosciuto Wallis Simpson e forse neppure avuto eccessive simpatie per la Germania (che dipendevano anche dal rapporto con l'americana). Se non ci fosse stata, in virtù del legame dinastico, diffidenza tra Italia e Gran Bretagna in ambito navale/coloniale i britannici avrebbero considerato l'Italia un alleato più stretto della Francia. Magari non ci sarebbe stata la guerra per la conquista dell'Etiopia, e in cambio della rinuncia di Mussolini a una impresa del genere la Gran Bretagna avrebbe potuto pensare di cedere Malta oppure Cipro (ricordiamoci che i Savoia, tra i vari titoli, portano quello di Re di Cipro). L'ascesa di Hitler avrebbe incontrato difficoltà, con l'Italia dalla parte della Gran Bretagna e la Germania non avrebbe avuto sponde in politica estera a meno di un qualche rovesciamento di fronte (es. i militari francesi, ostili alla sinistra e oltremisura arrendevoli nel 1940, avrebbero potuto attuare un colpo di stato spontaneo, come i falangisti spagnoli, e diventare l'alleato di Hitler?)

L'ipotesi principale penso che sarebbe comunque la mancanza di una II Guerra Mondiale, sostituita magari da una semplice guerra Germania-URSS (sul modello della guerra Iraq-Iran) oppure da una breve guerra europea in cui la Germania sarebbe stata sconfitta dalle tre potenze (UK, Francia, Italia) coalizzate. In ogni caso l'Italia non avrebbe probabilmente conosciuto il peso di una guerra dalla parte sbagliata e della caduta della monarchia.

Aspetti dinastici. In HL Edoardo VIII non ebbe figli (Wallis Simpson aveva già 38 anni quando si conobbero) ma non è detto che non avrebbe potuto averne sposandosi più giovane. Iolanda Margherita ebbe 4 figli: Maria Ludovica, Vittoria Francesca, Guja Anna, Pier Francesco. Immaginando che questi sarebbero stati i figli con Edoardo avrebbero potuto chiamarsi:

- Mary (in onore alla madre di Edoardo, Mary di Teck)
- Victoria (in onore della celebre regina)
- Anna (altro nome tipico per le principesse inglesi)
- George (come il padre e il fratello di Edoardo)

Edoardo VIII sarebbe stato Re dal 1936 al 1972, dopo di lui avrebbe regnato Giorgio VI (ma un Giorgio VI diverso, suo figlio invece di suo fratello) dal 1972 al 2012. Oggi regnerebbe evidentemente un figlio di Giorgio VI, nato da una principessa che avrebbe sposato, immagino, tra la seconda metà degli anni '50 e la prima metà dei '60. Bisognerebbe individuare chi avrebbe potuto sposare (per pura curiosità: Pier Francesco Calvi di Bergolo ha sposato una delle bellezze del cinema italiano anni '50, Marisa Allasio, che in seguito alle nozze ha smesso di far cinema - in questo scenario Marisa Allasio avrebbe continuato a fare l'attrice, diventando forse famosa al livello di Gina Lollobrigida o Sofia Loren). Guardando alle nazioni protestanti vicine alla Gran Bretagna ed alle varie famiglie reali imparentate con la discendenza di Vittoria, ho pensato a queste possibili spose:

- Sofia di Grecia: quasi coetanea di George, in questo caso non avrebbe sposato lo spagnolo Juan Carlos;
- una principessa svedese: una tra Margherita, Brigitta, Désirée, Cristina. Per una questione di primogenitura e di nome direi Margherita;
- una principessa danese: Benedetta oppure Anna Maria di Danimarca.

Altra curiosità intrigante: la principessa Margherita di Svezia in HL ha sposato un britannico, conosciuto proprio a una festa in Inghilterra, e il primo dei suoi figli maschi si chiama "Carlo Edoardo". Ipotizzando lei come sposa, potremmo magari pensare che oggi ci sarebbe già un "Carlo" regnante...

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Gli risponde Perchè No?:

É sempre bello scoprire come operare sui dettagli delle biografie di personaggi secondari della storia possa condurre a esiti completamente diversi dalla realtà, ma l'idea di un golpe militare in Francia negli anni '30 mi sembra veramente poco probabile. Per diverse ragioni, ma la prima sarebbe che il comando francese, benché fondamentalmente di destra, era anche repubblicano e fedele alle istituzioni (40 anni di controllo dopo la crisi del general,e Boulanger hanno permesso questo, la Repubblica non si è mai totalmente fidata dei suoi generali). La prova: durante il regime di Vichy non c'erano molti ufficiali importanti dalla parte dei collaborazionisti (non dico che non c'era nessuno, Pétain non conta essendo una vecchia gloria scappato dalla pensione) e al contrario degli ufficiali di destra, o anche di estrema destra, sono entrati nella Rsistenza nel 1940-41 (non tantissimi, ma ce ne furono). Senza dimenticare che dal 1938 il governo francese è di destra (il governo di sinistra detto del Front Populaire è stato in carica solo tra il 1936 e il 1938).

Per cambiare tutto questo ci vorrebbe che da parte dei nazisti ci sia un mutamento radicale di politica: riconoscere l'Alsazia-Lorena alla Francia, mettere davanti a tutto la lotta comune contro il comunismo, dimenticare l'idea di rivincita. Ci vorrebbe anche una volontà di prendere i movimenti di estrema destra sotto la loro protezione per armarli e addestrarli per molti anni. Il Golpe non sarebbe tanto un golpe militare ma un golpe di questi movimenti riuniti sotto il nome di "Cagoule" (il nome è più o meno mitico, non si è mai veramente capito se esistesse un movimento unito e pericoloso sotto questo nome) che avrebbero fedeli nell'esercito. Tutti ciò sembra poco probabile da parte di uno come Hitler.

L'idea di vedere Parigi e Roma migliorare le loro relazioni è più probabile, sopratutto se l'Italia non è cosi amichevole nei confronti della Germania.

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Chiudiamo per ora con l'idea di William Riker:

Com'è noto, il Duomo di Milano è privo di campanile. Pochi invece sanno che nel 1938 il Cavalier Benito Mussolini annunciò la prossima realizzazione del grandioso progetto dell’architetto Vico Viganò, nato a Cernusco sul Naviglio nel 1874, che la retorica del tempo denominò "Torre delle Memorie delle Vittorie e delle Glorie". Questo progetto, già pronto fin dal 1927, prevedeva una torre alta ben 164 metri con base di 20 metri per lato, che riprendeva gli stilemi decorativi del Duomo ed un concerto di 18 campane, oltre ad una cripta mausoleo, ad un Altare della Patria e al "Faro della Pace" a 160 metri d’altezza. Il "Corriere della Sera" titolò: « Il Duomo avrà il campanile più alto del mondo. L'ordine del Duce: le campane a posto nel 1942 ». L’idea fu fortemente criticata dalle figure culturali milanesi del tempo, che qualificarono l’opera come una gigantesca "matita in piedi"; alla Chiesa non piacque il fatto che la torre monumentale, con tutte le sue decorazioni nazionaliste, avrebbe superato in altezza la guglia della Madonnina, alta 108 metri; e di lì a breve l’Italia entrò in guerra, cosicché non se ne fece nulla. Al posto del campanile venne costruito l’Arengario, realizzato ove sorgeva la manica lunga del Palazzo Reale, abbattuta nel 1936. Vico Viganò morì dimenticato nel 1967. Ma come cambia il panorama meneghino se il suo incredibile progetto va in porto, magari nel dopoguerra, senza orpelli fascisti e ridimensionato in altezza?

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Per partecipare alle discussioni in corso, scriveteci a questo indirizzo.


 

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