L'impero romano... d'America!

di Daniele Fabbro


Secondo la “storia”, l’istituto romano d’America (Orbis Atlanticvs) è sorto nel momento della partenza dei coloni romani dal porto ispanico di Olisippo, nel periodo di calma seguito alla Seconda Guerra Punica. La spedizione che in origine sarebbe dovuta salpare alla volta dell’Africa centro-occidentale, all’altezza delle Isole Fortunate, viene travolta da una violenta tempesta che porta fuori rotta un gran numero di navigli romani: delle nove trireme della flottiglia, solo tre vengono risparmiate e adagiate in un mare del tutto estraneo a quello Mediterraneo. Sempre secondo la “storia” di questa nazione, la “colonia” di Vrbe Nova fu fondata sulle coste interne di una piccola baia naturale situata a sua volta lungo la costa occidentale di una penisola che, per conformazione geografica, ricordava vagamente l’Italia. Essa verrà chiamata Latia.

L’anno di fondazione della città romana pare essere il 133 a.C.; tuttavia le fonti non confermano né smentiscono tale data, che in sostanza rimane un mistero.

Fin dall’inizio Vrbe Nova dà l’idea di essere “un’isola di civiltà in un nuovo mondo di barbarie”, eppure è proprio da essa che si diramano tutte le vie di comunicazione che arriveranno a cingere l’intera penisola in poco meno di un decennio. Il segreto? La vasta popolazione barbarica, probabilmente gli antenati delle popolazioni native, i Seminole, la quale, dopo inconcludenti tentativi di difesa, vengono schiavizzate in massa e finiscono a lavorare e a servire i romani della città per moltissimo tempo.

Da notare è anche la composizione di un corpo di fanteria ausiliaria formato da soli Seminole, dotati di alcune tecniche di guerra più evolute di quelle dei romani. Questi nativi diventano i primi “arcieri ausiliari” delle nuove legioni. Altro vantaggio tattico ad appannaggio dei soli romani fu l’uso della cavalleria, completamente sconosciuta nel nuovo mondo, a causa dell’estinzione del cavallo avvenuta milioni di anni addietro.

Negli anni immediatamente successivi alla fondazione di Vrbe Nova e alla schiavizzazione delle popolazioni native, i romani, sebbene con difficoltà dovute alla loro scarsa popolazione, riescono a fondare altre tre città nella penisola: a sud sulla stessa linea interna, in prossimità di una baia naturale, viene eretta Novaneapolis; sull’altra costa sud-orientale viene fondata Capo Capuense; direttamente a settentrione, alle porte della penisola viene fondato il Castrum Claudiano (anche se con altro nome), per commemorare l’omonimo leader cui si attribuiranno le vittorie nella penisola.

 

La Città Romana

È giusto spendere un po’ di tempo per descrivere la situazione della città romana durante la prima fase della colonizzazione e delle conquiste del nuovo mondo, l’Orbis Atlanticvs, durante il primo secolo di vita del mondo romano d'oltre oceano. Vrbe Nova, adagiata su di una penisola naturale ricinta dall’acqua, durante tutto il suo primo secolo di vita fu una città spaccata a metà: porto naturale ricco e pescoso, e città dominatrice di un vasto territorio quale la penisola e provincia di Latia, Vrbe Nova divenne ben presto un florido e grande centro urbano protetto da piccole ma solide mura. Le popolazioni romane che vivevano all’interno e avevano i loro orti e campi direttamente all’esterno della città, coltivati da schiavi nativi, videro l’economia crescere in maniera esponenziale quando si trovarono a disposizione tanta manodopera; a loro volta anche i nativi presero a considerare, per via dell’ingente quantità di benessere e ricchezza che circolava nella città, la vita nella città romana come uno status addirittura privilegiato in alcuni particolari casi.

Seppure costruita in prevalenza da strutture in legno e pietra, la città crebbe fino ad espandersi su tutta la costa interna, inglobando numerosissimi centri abitativi dei nativi situati vicino; ben presto sorsero perfino ponti che collegavano la città alle terre di fronte alla grande baia naturale, ancora in gran parte selvagge.

Con la fondazione di Novaneapolis la città si dotò di un ponte molto ampio e ricco d’ornamenti posto sulla cuspide meridionale della penisola interna, che permetteva si il transito delle navi (sempre di piccole dimensioni), ma permetteva alla città di evitare un lungo aggiramento della baia e di mantenere una rotta commerciale attiva e ben progettata che collegava direttamente le due città romane.

Verso il 97 a.C. ad Vrbe Nova i commercianti e i mercanti in genere erano diventati la classe dominante della città, per via dell’intenso traffico che riuscivano a mantenere tra la città e le comunità interne soggiogate, oppure verso le tribù barbariche esterne ancora libere.

Ben presto successe che i senatori romani di status sociale più elevato interno coincidessero con le figure di importanti commercianti o comunque disponessero di grandi clientele, anche se a questa casta si aggiunse ben presto quella degli aristocratici, spesso figure autoritarie provenienti dall’esercito: coloro che in combattimento e in guerra generalmente, avevano fatto più prigionieri, oppure cui erano stati concessi maggiori territori come premio al proprio coraggio in azione o alla propria capacità strategica.

Le due classi sociali vennero ben presto in contrasto tra loro, e questo contrasto portò alla nascita di un fenomeno piuttosto interessante che promosse innumerevoli matrimoni misti tra alcuni eredi marginali delle maggiori famiglie di mercanti romani e i leader più “compiacenti” tra i barbari delle terre a settentrione della Latia, la futura provincia di Gallia Clavdia. Inutile dire che la provincia venne chiamata a quel modo per le imprese belliche dell’allora Tribuno e futuro comandante delle (due) legioni romane, Marcello Clavdio Prisco, il quale in più di un’occasione riuscì a sconfiggere i foederati barbari del nord e a far romana la regione che da allora, che fosse o meno legittimata dalle armi e dai matrimoni, divenne la prima delle “Province Militari” romane.

 

La Prima Repubblica e le conquiste del Condottiero Claudio

Con la vittoria sulla Porta Clavdia nel 4 a.C., Marcello Clavdio Prisco concretizza e afferma il potere romano in Gallia Clavdia e, per conto del senato di Vrbe Nova, fa fondare colonie romane in vari punti. Oltre alla precedente colonia della stessa familia Clavida, Marcello fa erigere diverse città soprattutto lungo il fiume e limes occidentale (odierno Mississippi), tra cui Claudiobona e Claudiomagna, sempre ad appannaggio della sua familia.

Grandi centri urbani di quel periodo, le tre città citate diventano, oltre a nuovi centri militari romani, anche imponenti punti d’accesso ai traffici commerciali che vengono spinti un po’ in tutte le direzioni, stimolando a loro volta le popolazioni limitrofe ad evolversi, seppur lentamente, verso forme di civiltà più evolute.

Tra quelle a nord, lungo la costa orientale, contiamo le popolazioni antenate degli Irochesi, a ovest (probabilmente tra i fiumi Mississippi e Rio Grande) le primitive popolazioni azteche; esse diventano i principali partner commerciali della neonata repubblica romana.

Imponenti sono, tuttavia, gli scontri contro barbari “non romanizzati” da parte delle fazioni commerciali di Vrbe Nova, ovvero da quelle tribù che sdegnano i matrimoni con i romani e vi si oppongono duramente. A placare tale “diffidenza” e a ridurla al silenzio sono al solito gli aristocratici, con guerre oltre confine che non procurano conquiste di valore oltre che ad eventuali “bottini”, spesso piuttosto scarsi.

Fu proprio a causa di questa “inconcludenza” delle campagne delle due maggiori “fazioni” politiche di Vrbe Nova a far sorgere la terza causa, il ceto religioso. Esso era al tempo relegato al solo ruolo commemorativo delle maggiori festività romane, e non aveva apportato alcun cambiamento alla antica religione e al culto degli antenati, così come la lingua non fu mai direttamente mutata dagli idiomi locali, finché le vittorie erano assicurate. Ora che queste vennero a mancare, la religione che apportò numerose modifiche nel senato e nella struttura sociale della città.

Innanzitutto va detto che si instaurarono altre fazioni interne a Vrbe Nova e che queste si risolvevano per lo più nell’unione di una coppia di fazioni già esistenti: l’esempio più eclatante fu l’aristocrazia che appoggiò con le sue forze militari la classe religiosa romana e, con appropriati matrimoni di convenienza, si legava ad essa erigendo così le basi per la futura arma difensiva della repubblica, la Guardia Dominens.

Fu per opera di una nota figura romana che sorse questa fazione: il Generale Marcello Claudio Prisco, a cui si deve concedere grande acume politico per portare a questi risultati... Fu infatti una delle prime preoccupazioni della suddetta fazione o partito (oramai la fazione era ampiamente riconosciuta e supportata da innumerevoli familie romane) attribuire al generale la gloria che si meritava concedendogli, tramite senatoconsulto nella primavera del 1 d.C., l’autorizzazione a colpire, saccheggiare ove opportuno, e naturalmente conquistare i territori che si estendevano a nord-est della Gallia Clavdia.

L'Orbis Atlanticvs (grazie a Daniele Fabbro!)

(L'Orbis Atlanticvs)

In poco meno di cinque anni, solamente con una legione e le relative auxilie sotto il suo comando, benché anziano, il generale riuscì a sottomettere i territori del nord e ad estendere la Gallia Clavdia fino alla città (fondata in seguito) di Porta Aemilia.

Con queste enormi conquiste, Marcello si assicurava territori a sufficienza da rifornire il suo partito e il demanio repubblicano per molto tempo; inoltre l’afflusso di così tanti schiavi permise l’allargamento delle forze ausiliari, permettendo per la prima volta di organizzare milizie difensive stanziate su di fortificazioni lungo i confini più lontani, tra i quali il confine settentrionale pattugliato dalle auxilie Seminole, mentre le popolazioni Cherokee e Powhatan furono destinate al limes opposto.

 

I Luogotenenti di Marcello Claudio Prisco

Divenuto vecchio, stanco ed estraneo a qualunque affare delle armi, Marcello si pose come ultimo obbiettivo quello di sostenere i suoi successori dello stesso partito. Facile immaginare che oramai (correva l’anno 5 d.C.) i partiti antagonisti ad Vrbe Nova stessero rinforzando la loro condotta e la loro linea politica in attesa che “il Vecchio Lupo” morisse e cedesse l’autorità del comando sulle legioni a qualche inetto irresponsabile “per far loro la gloria e le urla di Vrbe Nova”; tuttavia la scelta del venerando Marcello ricadde su di un Centurione ormai già trentenne, di nome Tito Emilio, che da tempo lo aiutava e lo supportava nelle azioni sul campo e che fu una valida spalla durante la campagna a settentrione.

Nello stesso anno il “Vecchio Lupo” morì lasciando a Tito l’occasione che aspettava di far propria la gloria e le gesta e di diventare il prossimo leader. Sempre nello stesso anno una legge emanata dal senato con u atto di forza introduceva la carica di Dux Militae come la più alta carica militare della repubblica, anche se non conferiva ulteriori poteri in campi quali la politica o diritti in campi commerciali (come era ovvio presupporre); tuttavia il successo ottenuto da Tito Emilio nelle future campagne che condusse dal 7 d.C. al 12 d.C., gli conferirono, oltre ad un modesto surplus di beni e territori avanzati sia al suo partito che al demanio repubblicano, anche la qualifica di Dux Militae.

Al suo fianco in questi cinque anni di campagna militare al nord, campagna vittoriosa che portò all’annessione della provincia di Gallia Aemilia e alla fondazione di importanti città come Porta Aemilia e Nova Eburacum, vi era un giovane decurione anch’esso veterano delle campagne con Marcello, di nome Fvlvio Stilio. Di lui si diceva che fosse un grande comandante di cavalleria, e che i suoi equites erano in assoluto il miglior reparto di cavalleria della repubblica... queste “dicerie” se le conquistò proprio durante la campagna nordica condotta contro barbari quali i sempre indomabili Irochesi e contro tribù Huroni, che però furono ricacciate più grazie alla fanteria di Tito che non alla cavalleria di Fvlvio.

La figura di Tito Emilio in particolare dà l’idea del classico condottiero romano repubblicano, muscoloso ma dall’ingegno e dall’astuzia innata, anziano in viso e con la barba folta e bianca. Tito Emilio ridusse in schiavitù decine e decine di villaggi barbari che occupavano quei territori, ricacciandoli oltre il San Lorenzo, assicurando i nuovi territori ai romani e posizionando la Legione Aemilia a guardia dell’omonima “Porta” (Porta Legionis Aemilii). Tito Emilio morì solo dopo essersi ritirato sia dagli affari politici che da quelli militari dopo una carriera che sembrava non dissimile da quella del noto eroe di Roma Furio Camillo.

 

La Nuova Repubblica di Fulvio Stilio

Alla morte di Tito Emilio, nel 15 d.C., il mondo romano d’oltreoceano fu scosso in maniera ancora più grave che alla morte del suo predecessore Marcello. La città romana era invero in crisi, perché non esistevano adeguati sostenitori della politica precedentemente portata avanti dai due valorosi condottieri, e il Senato era restio a condurre assalti o politiche aggressive contro le popolazioni limitrofe, forse per la mancanza di iniziativa o forse per la mancanza della semplice volontà. La struttura repubblicana che si basava per l’appunto sul senato come punto di accordo tra le varie fazioni e partiti romani si stava sfaldando, per l’incapacità di quest’ultimo di prevenire le dispute; ed infatti fu la disputa per l’elezione del prossimo Dux Militae e causare la crisi.

Fu in questo preciso istante che entrò in scena il valente Decurione dell’ex-esercito di Marcello e successivamente dell’esercito di Tito Emilio, Fvlvio Stilio: nella sua modesta carica di Decurione fu accorto a prestare aiuto e talvolta servizio per i più potenti partiti della città, bilanciando i poteri in campo ma favorendo sempre il partito che più lo sosteneva.

Classico e capace politico, Fvlvio Stilio riuscì in breve tempo a portare questi potenti partiti in condizioni di debitori nei suoi confronti e a farsi “regalare” la qualifica di Dux Militae con la sola minaccia dello “spirito dei grandi condottieri passati che torneranno a tormentare Vrbe Nova...”.

Nessuno capì in realtà se quella minaccia si riferiva più o meno a una qualche azione militare precisa, però tutti presero a temere Fvlvio Stilio per quel suo potere e lo accontentarono di buon grado.

Nello stesso anno della morte del valoroso condottiero romano Tito Emilio, 15 d.C., Fvlvio Stilio fu rivestito con tutti gli onori della qualifica di Dux Militae e, secondo precisi piani per disfarsi di lui, fu immediatamente incaricato di pianificare azioni militari nei territori occidentali ove varie tribù divenute si erano federate per contrastare i romani. Tra di esse vi erano Aztechi e Comanche, i quali minacciavano di oltrepassare il limes fluviale occidentale (Mississippi) e di razziare i territori della Gallia Clavdia.

Fu ovviamente con riluttanza che Fvlvio si allontanò in un momento tanto delicato della storia della città romana, ma non si può dire neppure che la sua sia stata una campagna “lampo”. Infatti, dopo aver raccolto le due legioni e le relative truppe ausiliarie, il Dux diresse immediatamente ad ovest oltrepassando il limes e introducendosi negli inesplorati territori barbari. La campagna occidentale di Fvlvio Stilio durò ben undici anni, nei quali il Dux impiegò la cavalleria e la fanteria romana all’unisono in scontri che videro i barbari letteralmente decimati. Le sue forze raggiunsero infatti in breve tempo il fiume Brazos, e di lì si diede un gran daffare per organizzare le proprie linee difensive e logistiche per attuare un’invasione ben più estesa, che come obbiettivo vedeva il superamento del fiume Rio Grande.

A quel tempo, il primo impero Maya si stava formando prematuramente a causa di notevoli interferenze navali di natura commerciale, dovute ai romani; essi arrivarono allo scontro in pochissime occasioni, e si contano scontri soprattutto sulle isole che si stendono tra la penisola dello Yucatan e la provincia della Latia.

Le fiorenti città stato Maya furono invero l’obbiettivo che Fvlvio si prefiggeva di raggiungere, o quantomeno sperava di poter “avvicinare” le due nazioni abbastanza per permettere traffici più “tranquilli” e regolari.

Anche le varie città-stato del Messico centrale si andarono a formare più o meno in quel periodo, sempre a causa della notevole interferenza commerciale e culturale romana. Ad opera di Fvlvio Stilio, negli anni in cui stava “pacificando” a colpi di spada il basso corso del Rio Grande, innumerevoli popolazioni di cultura azteca e tolteca si spinsero così nelle regioni centrali del Messico e dello Yucatan, travolgendo il debole equilibrio instauratosi e costituendo una nuova nazione, ovvero la base di partenza dell’Impero Azteco. Fu l’avvento di questa nuova entità politica a permettere in seguito la nascita di vie di comunicazione stabili e rapide per la città più importante del continente d’america meridionale, Cuzco, e il suo relativo impero.

Tornando a Vrbe Nova e a Fvlvio Stilio, si sa per certo che nel 26 d.C. il Dux Militae rientrava ad Vrbe Nova forte delle sue conquiste, una intera nuova provincia (seppur limitata territorialmente rispetto alle successive “versioni”), chiamata Gallia Silvana. Il suo partito, il partito aristocratico/religioso/militare ne fece un eroe tramite propaganda martellante, tuttavia l’attenzione del generale fu spostata nuovamente sui campi di battaglia, questa volta settentrionali. Infatti nel 28 d.C. cheuna massa inconsueta di barbari, composta da Irochesi in larga parte, ma anche di notevoli Huroni e Montagnais (popolazione dell’Ontario), invase e devastò i territori più settentrionali della Gallia Aemilia.

L’invasione barbarica non fu certo vista di buon occhio dal Dux, che prese le legioni e si diresse deciso verso nord pacificando o sterminando ogni gruppo barbaro che incontrava. Fu una guerra lunga e poco combattuta poiché i barbari preferivano sfuggirgli che affrontarlo, ed impegnò Fvlvio per ben dieci anni di vita, dieci anni in cui riassicurò i territori settentrionali alla repubblica.

La città romana in quei dieci anni aveva invece cominciato un lento processo di degradamento in cui, anche a causa di singoli individui, la repubblica e il senato vennero meno ai loro impegni e doveri. Fu nocivo, per fare un esempio, il dazio imposto per il transito nella baia interna, transito necessario per le navi onerarie che rifornivano la città e i templi di vettovagliamento. Esso era stato proposto e accettato dal senato per compiacere le familie commercianti della città, frustrate dall’incapacità di rivalsa sul Dux anche se questo era lontano.

Tuttavia, quando il Dux Militae tornò ad essere onorato nuovamente per le strade di Vrbe Nova, la situazione cambiò: il potere conseguito dalle sue vittorie militari, come per esempio quella degli Agri Decurioni, fece di lui la figura più potente dell’intera repubblica. Sebbene la “seconda repubblica”, nata proprio quando Fvlvio attuò il suo colpo di stato, fosse ormai in decadenza, questo non lo turbò più di tanto.

La situazione di questo impero non varierà molto durante il secolo e mezzo che separano la seconda repubblica all’impero vero e proprio, l’evento che più influì su Vrbe Nova fu infatti un assalto condotto da truppe di Teotihuacàn, città del Messico centrale, contro le nuove linee romane sul Rio Grande, scontro in cui si vide per la prima volta spiccare la figura di un abile e capace generale romano che segnò il suo tempo: il generale Stilio Giulio Massimo, discendente di Fvlvio Stilio.

(grazie a Daniele Fabbro)

(L'Impero Azteco alla vigilia della guerra)

Il Primo Imperio nasce quando l'istituzione del Dux Militae appare troppo “limitata” per far fronte alle necessità del mondo romano d'oltreoceano. Primo Massimino, Dux Militae nel 179 d.C., dovette infatti affrontare una situazione pressoché disperata e non aveva neppure le carte giuste per uscirne dignitosamente. Fu in effetti un periodo profondamente negativo della storia di Vrbe Nova, in cui i barbari Aztechi e Apache scorrazzarono liberamente lungo la Gallia Silvana per devastarla, e arrivavano fino al baluardo occidentale dell’Imperio, Castra Spartana, costruita a suo tempo da Fulvio Stilio.

Fortunatamente Primo non fu l’unico eroe della situazione, ed anzi il grosso delle battaglie e delle guerre allora combattute furono affidate a tre generali di sua fiducia in una situazione non dissimile da quella pre-medievale, in cui gli imperatori delegavano ai generali il comando e la responsabilità delle guerre.

Vi fu anche un altro fatto importante in quel periodo: la nota famiglia Sullana, nota per il suo controllo dei traffici commerciali della repubblica, aveva da tempo legato il suo primogenito con un matrimonio ad un’altra tra le più facoltose famiglie di Vrbe Nova, ma le nozze non diedero i risultati sperati. Infatti non fu un maschio a nascere, come tutti speravano, ma bensì una femmina, Alcina. Costei, ancora bambina, fu promessa in sposa al Dux Militae che stava già prendendo connotazioni di Imperatore, e la situazione temporaneamente fu stabilizzata; ma quando gli eventi si scatenarono, ovvero all’arrivo delle invasioni Azteco-Apache, il neo-Imperatore Primo Massimino non fu in grado di arrestare l’avanzata dei barbari, riportando pesanti sconfitte entro il territorio patrio.

Fu compito del Generale Stilio Giulio Massimo riportare alla ragione i barbari, e infatti, dopo essere stato delegato sia dal senato che dall’Imperatore (incoronatosi di fatto appena prima di partire alla volta delle sue sconfitte), condusse alla vittoria il suo esercito in un gran numero di piccole e poco significative battaglie nella Gallia Silvana.

A nord-est intanto i Limes della Gallia Aemilia furono travolti da imponenti armate barbariche composte da Irochesi e dai primi “profughi” Celti, che arrivarono su queste lande in gran numero, fuggendo di fronte ale invasioni dell'impero romano europeo da parte dei Germani, a loro volta spinti dagli Unni. A respingere le invasioni fu inviato il Generale Marco Mario, attendente e sostenitore dell’Imperatore, che riuscì a distruggere la prima ondata di attacchi ma fu richiamato in patria per le nuove e più ufficiali celebrazioni da parte dello stesso Primo; al suo posto fu inviato il Generale della Guardia Dominens Praetoria, di nome Tito Ventidio Aureliano, discendente del generale Tito Emilio e, come lui, eccellente comandante e combattente

(grazie a Daniele Fabbro)

(Mappa dell’avanzata di Giulio Massimo)

La successiva mossa di Giulio Massimo lungo il limes occidentale fu l’ovvia avanzata in territorio azteco, che però venne ritardata dai gruppi azteco/barbarici che ancora razziavano i territori meridionali della Gallia Silvana; intanto però il brillante stratega patè dedicarsi ad un’altra offensiva sferrata grazie all’utilizzo della flottiglia romana, che fu moderatamente ampliata per trasportare le legioni, e che venne utilizzata per effettuare l’invasione dell’Africa Azteca (il nostro Yucatan), riuscendo, con un vero colpo di genio, a far sua addirittura l’antica capitale Maya che rinominò Carthago Itzà.

Intanto i semi della futura guerra civile si stavano già spargendo: il Senato e le sue fazioni disapprovavano apertamente l’incoronazione al rango di imperatore di Primo; a Marco Mario era stato ritirato il compito affidatogli in precedenza, le avanzate barbariche non respinte ma solo fermate, e la pressione politico-militare dei regni vicini (anche l’Impero Inca appena sorto stava facendo pressioni economiche sulla repubblica), sono tutti segni che prevengono la tempesta.

A nord-est intanto Ventidio Aureliano sterminò senza fatica le armate nemiche, in parte per la sua capacità di stratega, ed in parte per la grande potenza dei suoi “Pretoriani”: in meno di tre mesi riuscì a disporre la Guardia Dominens Praetoria lungo tutti i varchi settentrionali e a far erigere su questi delle fortificazioni adeguate alla difesa dei territori romani.

Nel frattempo l’Imperatore Primo Massimino e il suo vice, Marco Mario, si apprestavano ad ampliare il proprio potere con ampie sanzioni e leggi che limitavano il potere senatoriale ed accentuavano la figura imperiale, esautorando quasi totalmente il senato mediante confische dei beni e liste di proscrizione. Esse non procurarono certo grandi amicizie all'imperatore, ed anzi non fecero che aumentare l’appoggio del senato (o meglio delle sue fazioni) verso uno dei due generali al momento impegnati negli scontri sui limes dell’imperio.

La goccia che fece traboccare il vaso fu la decisione di dare in sposa la suddetta figlia della famiglia Sullana, Alcina, all’Imperatore degli Inca, al fine di arrestare alla radice il diverbio nato tra questi e Vrbe Nova. Inutile dire che Alcina era una ragazza potente nonostante la sua giovane età: a quindici anni aveva infatti il controllo, o quantomeno la possibilità di controllare tramite il futuro marito, tutti i traffici commerciali del nuovo Impero, e allo stesso tempo gestiva uno dei patrimoni aurei più cospicui a tutt'oggi conosciuti.

(grazie a Daniele Fabbro)

(Mappa della situazione “Azteca” al termine della guerra e all’inizio della Guerra Civile)

Fu durante la conquista finale dell’Impero Azteco, che Giulio Massimo dichiarò l’Imperatore “nemico pubblico”, sostenuto dal Senato. Giulio si rivolse a Ventidio Aureliano, estraneo a queste faccende ed impegnato in incursioni a settentrione contro Celti e Irochesi, per condurre la guerra civile contro l’Imperatore e contro Marco Mario. Intanto si diceva che, visti i nuovi “sviluppi” della questione “Alcina”, l’Imperatore Inca avesse mobilitato il proprio esercito e si fosse diretto alla volta di Tenochtitlàn, arruolando per strada i soldati più valorosi tra i Maya e gli Oaxaca, e conquistando tutti i territori  compresi tra l’attuale Bolivia ed i territori più meridionali in mano ai Romani (vedi cartina).

Vista la situazione mutata così repentinamente, e desideroso di abbattere la torma di nemici che stava per arrivargli addosso, Giulio Massimo si mosse per arruolare più leve possibile per le sue auxilie e per affrontare gli Inca in una battaglia campale decisiva, che risolvesse le continue schermaglie che c’erano state dal loro arrivo nella regione, sconfiggendoli così definitivamente.

L’occasione non gli mancò di certo, poiché gli Inca cercarono di affrontarlo in più di un’occasione, ma il furbo generale li attirò sempre più nella sua trappola e quando, appena al di fuori di Tenochtitlàn, finalmente li affrontò in campo aperto, le legioni di Giulio supportate dalla cavalleria e dal grande numero di ausiliari in campo riuscirono ad aver ragione facilmente dei nemici Inca e dei loro alleati. In tal modo egli riportò una vittoria schiacciante e detronizzò l’Imperatore Inca, la cui testa rotolò così nella sala del senato, ora svuotata della presenza di numerosissimi senatori. Ma la città di Urbe Nova conosceva anche la perdita dell’Imperatore, fuggito più a nord per unirsi alle sue truppe nel Castrum Claudiano, dove però Marco Mario aveva subito una pesante sconfitta per merito di Ventidio Aureliano che ritornava or ora dalla Gallia Aemilia.

Era il 183 d.C. quando le forze dell’Imperatore e quelle della Guardia Dominens Praetoria si scontrarono in un violento scontro all’ultimo uomo. Le forze di Giulio Massimo, rimaste per la maggiore in Numidia Azteca e in Africa Azteca per presidiare i nuovi territori (così essi erano stati battezzati), non potevano muoversi, e con solo un piccolo pugno di forze il generale Stiliniano riuscì velocemente a traghettare le sue quattro legioni di supporto a Novaneapolis per muovere poi verso Vrbe Nova assieme alle milizie che avrebbe raccolto lungo la strada. Tuttavia, al suo arrivo sul luogo dello scontro, la pianura che costeggiava il Pontus Erculeo )golfo del Messico) e che chiudeva l’entrata alla capitale, vi trovò pronto il generale della Guardia che lo attendeva mentre passava in rassegna i suoi pretoriani sopravvissuti dopo il violento scontro in cui le sei legioni dell’imperatore furono letteralmente “macellate” e violentemente trucidate.

L’andamento dello scontro rimane ancora un mistero, in quanto le testimonianze sono contrastanti, ma si sa di preciso che le legioni dell’imperatore furono spinte alla fuga dai pretoriani che avanzarono e, invece di essere accolte all’interno delle mura cittadine, le legioni furono chiuse fuori ove i pretoriani ebbero solo da menare i gladii.

Si risolveva così la crisi per quanto riguardava ovviamente le minacce militari: l’Impero Azteco era limitato alla sua sola capitale e non fu mai più un vero problema, ma il pericolo politico-sociale rimaneva latente a causa della ragazzina sedicenne ancora “single”, ragazzina che fu appropriatamente data in moglie a Giulio Massimo dal senato e dalla stessa familia non appena questi tornò con un gran quantitativo d’oro azteco come bottino e con le sue quattro legioni di veterani, assieme a due quinti dell’esercito inca come schiavi.

Stranamente si dice che Tito Ventidio Aureliano si fosse innamorato di quella ragazza, e che anche questa fosse segretamente interessata al rude generale; tuttavia i due finirono per non parlarsi mai, e perfino quando il generale della guardia veniva invitato in presenza dell’Imperatrice, non faceva altro che esprimersi nella tipica maniera rude e spassionata che gli si accusava spesso di usare nei confronti dei leader indiscussi del nuovo “Impero”.

Effettivamente Tito Ventidio Aureliano si dimostrò un’anomalia del mondo romano: disinteressato agli affari di stato, si occupò della difesa di Vrbe Nova e dei suoi territori senza mai fare domande; contrariamente ad alcuni famosi generali di Roma non cadde in battaglia, sebbene in più di un’occasione riportasse gravi ferite ne uscì sempre indenne, ed alla fine della sua carriera militare si ritirò nella propria villa di campagna senza mai prendere moglie e quindi senza mai generare un proprio erede.

D’altro canto Giulio Massimo Stilio sembrava l’immagine sputata del classico Giulio Cesare: brillante stratega e valoroso soldato, condusse le quasi sempre truppe alla vittoria e divenne a honorem Imperatore a tutti gli effetti, dopo esser stato acclamato per ben tre volte dalla folla in tripudio per averla liberata da un “falso imperatore”.

 

L’Impero Azteco, da impero a  provincia romana

Meno di cinquant’anni dopo la guerra civile, un nuovo imperatore prendeva le redini dell’Impero, il secondo dalla morte di Stilio Giulio Massimo: si chiamava Metronio Prisco, e discendeva da una famiglia con lignaggio patrizio, legata probabilmente al sangue del condottiero Marcello Claudio Prisco.

L’Imperatore Prisco ebbe a condurre personalmente una guerra contro gli Aztechi che furono sottomessi in massa, anche se la situazione è poco chiara: Tenochtitlàn era ancora Azteca ma sotto la sovranità di un clero, plagiato ovviamente dai romani, che a loro volta erano stanziati a poche miglia dalla città con le unità avanzate del loro esercito.

Dal momento che, dai tempi di Giulio Massimo, gli Aztechi vivevano rinchiusi nella loro stessa capitale venerando dei romani, o meglio una sola divinità romana, il Sol Invictus, l’Vrbis Dominii Imperii (così era detto il dominio imperiale romano d’America) si ritrovò con un grattacapo di non facile risoluzione. La religione degli aztechi donava loro l’opportuna “difesa” che gli serviva per sopravvivere, tuttavia la Guardia del Tempio Azteca, milizia difensiva della città-capitale, continuava imperterrita a saccheggiare e ad ingaggiare combattimenti con le forze romane nei territori romani inimicandosi l’Imperatore. Spesso la cosa era passata inosservata a Vrbe Nova, e ancor più spesso l’Imperatore Prisco dovette subire tali insulti in presenza del senato che difendeva suo malgrado la popolazione barbara.

Dopo meno di tre anni di guerra l’avanzata romana riprese verso meridione dove affrontò l’ambiente più complesso e difficile da gestire di tutta la loro storia: la giungla. Essa infatti impediva l’uso del normale schieramento della legione, anche la cavalleria non patè essere schierata, e a tale scopo Metronio addestrò nuovi combattenti adatti a questo tipo di guerra, le Lame.

Le Lame furono per lungo tempo truppe d’assalto e da combattimento in aree tropicali occupate da giungle intricate, e combattevano in queste ultime utilizzando un addestramento fornito proprio dai barbari arrivati cinquant’anni prima, i Celti. Questi insegnarono alle Lame come combattere nelle foreste; l’addestramento intensivo per affrontare la giungla portò ad un aumento del potenziale delle Lame, cosicché queste riuscirono ad “eliminare” fisicamente numerosissimi leader delle popolazioni con cui i romani venivano a contatto o che volevano conquistare; i legionari che venivano al loro seguito erano quasi sempre portati dalla flotta.

L'espansione successiva alla conquista totale dell’Africa Azteca è costituita dalle “Campagne Meridie”, compiute dallo stesso Metronio, che portarono nell’Impero altre due fruttuose prefetture conquistate brillantemente agli Inca durante sedici anni di battaglie; tali prefetture furono chiamate Nova Cyrenaica e Aegyptus Incaico, il cui confine naturale orientale era il Rio Orinoco.

Intanto il luogotenente più stimato dell’Imperatore Prisco, ovvero il Generale Zenone, portò il Limes occidentale lungo il Rio grande fino ad introdursi nelle montagne rocciose e a congiungersi al Limes settentrionale, rappresentato dal fiume Arkansas.

Altro importante avvenimento capitato durante il regno di Metronio fu l’evacuazione degli Agri Decurioni a causa di una violenta invasione di barbari, capeggiati dai terribili Sioux; essa però fu completamente arrestata da Zenone, anche se gli Agri vennero completamente abbandonati.

 

L’Impero di Zenone, tra crisi e ripresa

Il regno dell’Imperatore Zenone cominciò dopo la morte del precedente imperatore Metronio Prisco, venuto a mancare nel 261 d.C. a causa di una malattia non ben identificata, dopo dieci anni di regno. Fu subito descritto come un Imperatore saggio ed illuminato; sebbene non riuscisse a condurre l’Impero molto al di là delle dimensioni sotto Metronio, Zenone aggiunse le varie isole interne tra il Pontus Erculeo e il Mare Meridio, vale a dire le odierne isole di Cuba, Giamaica e Haiti, seguite dalle isole dei Caraibi e delle Bahamas. Terminando l’espansione con quelle conquiste, Zenone si prefisse di espandere a settentrione l’impero inviando un generale della guardia (come fu per Aureliano e Giulio Massimo) a conquistare l’isola di Nova Britannia, ma senza successo. A lui si deve anche un tentativo di contattare l’Impero Romano a oriente dell’oceano atlantico, ma sempre senza successo: delle due spedizioni inviate, nessuna riuscì ad arrivare a Roma, né tantomeno a ritornare ad Vrbe Nova.

Fondamentalmente però sotto il suo regno l’impero conobbe grande stabilità politica ed economica, ma il vero guaio fu dovuto ad una importante riforma dell’esercito che precludeva a tutti i barbari le armi. Di per sé non fu un male, ma purtroppo una successiva pestilenza non fece che aggravare la situazione falcidiando moltissimi esponenti dell’esercito anche tra i più validi, e pertanto Zenone dovette restituire ai barbari l’accesso all’esercito. E così, i quadri amministrativi e di comando vennero presto presi da numerosi barbari provenienti dal nord oppure dal nord-ovest quali erano i Sioux, i Crow e i Cheyenne, anche se i migliori in assoluto furono Celti; ma anche la normale truppa fu trasformata inserendo grandi quantità di barbari nelle forze combattenti, anche se Zenone aveva preso le proprie contromisure.

(grazie a Daniele Fabbro)

Mediante editti imperiali vagliati e autorizzati dallo stesso senato, l’esercito venne suddiviso in due parti. L’Exercitus Imperii veniva diviso in quattro armate principali, una stanziata in Gallia Aemilia, una in Gallia Silvana, una in Africa Azteca e un’altra nella Nova Cyrenaica; a capo di queste armate composte di barbari stavano generali barbarici con il grado di Magister Militum Barbaricus, e sopra di essi i vari Magister Militum Romanum e Magister Classis. Al comando di questo staff di comando si poneva quasi sempre l’Imperatore, quando non lo faceva il vice che era il Generale della Guardia Dominens Praetoria.

Ma sebbene queste valenti riforme aiutarono l’impero a sopravvivere a lungo, per stabilizzarelo e mantenere buoni rapporti con l’Impero Inca, diretto avversario dei romani, Zenone concesse loro l’intera provincia dell’Aegyptus Incaico.

A nord Irochesi e Celti si combattevano ora tra di loro a causa delle invidie e delle diatribe tra le varie tribù; a nord le popolazioni Inuit furono completamente isolate dall’arrivo di nuovi esploratori europei, forse Vichinghi, forse altre popolazioni germaniche: le notizie sono incomplete e poco chiare. Quella che venne chiamata Germania (l'Ontario) divenne teatro di guerre e sconvolgimenti, in cui l’Impero di Vrbe Nova restò neutrale o fece da ago della bilancia, appoggiando a turno le varie tribù, con la sola preferenza per quelle tribù celtiche particolarmente “utili” all’impero.

Furono senz’altro anni tranquilli per i romani, ma quando Zenone venne a mancare le lotte per il potere si scatenarono nuovamente portando questa volta un inetto al trono, un inetto che fu ampiamente aiutato dalle truppe barbariche. Queste ultime, essendo assai superiori numericamente ai romani, presero a porre sul trono imperiale dei fantocci facilmente manovrabili che reggevano le sorti dell’impero, ma che avevano almeno l’accortezza di non rifiutare di appoggiare i barbari quando eliminavano le incursioni nemiche alla radice.

Tenochtitlàn seconda capitale romana (grazie a Daniele Fabbro!)Assieme ai nuovi arrivati, profughi del nord Europa, arrivò intanto anche il culto cristiano che si diffuse rapidamente dalle comunità nordiche fino a sud, ove regnava ancora il culto del Sol Invictus, arrivato precedentemente. Tenochtitlàn divenne quindi la “San Pietro” del nuovo mondo, e i sacri templi eretti dagli Aztechi divennero cattedrali cristiane da dove i patriarchi d'America organizzavano e gestivano praticamente l'intera vita sociale. E' da notare l’interessante rapporto tra i chierici cristiani e i commercianti, che avevano le proprie sedi principali tutt’intorno ai sacri templi: chi era un “buon cristiano” godeva infatti di maggior protezione e tutela in un mondo ostile e dominato da bande di predoni e di razziatori, e così l’attività dei mercanti cristiani prosperava. Ad accentuare il potere del clero cristiano fu l’ultimo reggente, l’Imperatore Alessandro Prisco, dell’omonima casa imperiale, quasi “immortale” in quasi ogni momento della storia dell’impero questa casata era presente e/o “vigilante”.

Alessandro Prisco fu un imperatore forte e riuscì ad utilizzare il clero (ma forse fu il clero ad utilizzare lui) per plagiare i barbari come meglio credeva; egli stesso si convertì infatti al cristianesimo, e in seguito pretese che le quattro armate seguissero il suo atto di conversione. La maggioranza delle truppe barbariche che non si convertirono andarono incontro a sorti avverse, raccontano le fonti dell’epoca più autorevoli e non di parte.

Con il grosso dell’esercito che seguiva la fede cristiana, e con i barbari del nord anch’essi cristiani, Alessandro Prisco condusse una guerra contro l’Impero Inca che stava attraversando una profonda crisi, ricondusse l’Aegyptus Incaico sotto il dominio di Vrbe Nova, e spostò la capitale da quella classica a Tenochtitlàn, ribattezzata Tenocinia, assicurandosi l'appoggio del clero cristiano, che stava diventando uno dei partiti più potenti dell'impero.

Nel 373 d.C., dopo aver stabilizzato l’impero ed avergli ridato una provincia importante, Alessandro compì numerose scorrerie a sud, sia all’interno del bacino del Rio delle Amazzoni, sia nell’Impero Inca, arrivando con il suo esercito alle porte di Cuzco per pretendere un trattato di pace stabile con il popolo Inca. La spedizione si concluse con il suo trionfo a Tenocinia, ma così ebbe fine anche il periodo d’oro dell’impero. In seguito numerose crisi a carattere economico e politico sconvolgeranno l’impero portandolo ad una parziale rottura.

 

Tardo Impero, la spaccatura

Mentre la presenza barbarica nel dominio romano cresceva e si moltiplicava a vista d’occhio, a nord, durante i periodi precedenti e seguenti il fatidico “476 d.C.”, i “profughi” barbari di ogni popolo e nazionalità, in particolar modo Franchi, Celti, Germani di innumerevoli tribù, Scoti e Britanni, arrivavano sempre più numerosi, portando con loro cultura e religione della terra d’origine.

Queste popolazioni, sempre più densamente ammassate all’interno della Graecia Nova (Nuova Scozia), ultima regione invasa dalle truppe imperiali, furono in seguito costrette ad infrangere i confini presidiati dai reparti dell’esercito imperiale ancora chiamati come le legioni di un tempo. Fu infatti dal 485 d.C. in poi, lungo più di quindici anni di lotte e battaglie, che i popoli sempre più “romanizzati”, anche se non da questo impero bensì da quello europeo, furono in grado di respingere le truppe imperiali fino ai confini della Gallia Clavdia inglobando o annettendo la Gallia Aemilia e la Graecia Nova tra i loro territori.

La nuova “entità” politica di quelle regioni non fece in tempo a formarsi e la guerra continuò imperterrita e sempre più furibonda. La verità storica rivela come Roma, sfruttando il potenziale barbarico di abili guerrieri e di indomiti conquistatori, li raggirò convincendo le popolazioni barbare a raggiungere il “nuovo mondo”, senza menzionare il fatto che là vi fosse un impero analogo al suo. O per inganno o per pura ignoranza, Roma convogliò il grosso delle forze barbariche in azione attraverso due “canali” che portarono queste valenti popolazioni ad invadere prima il Medio Oriente in tumulto per l’arrivo degli arabi “islamizzati”, e in un secondo luogo il nord america.

Nel 500 d.C. la conquista barbarica della Gallia Aemilia era una certezza: il governo imperiale di Vrbe Nova si era da tempo trasferito a Tenocinia, ma la città e la stessa prefettura della Latia era considerata come “sacra” e mantenuta ad ogni costo. I tentativi di impedire l’invasione della Gallia Clavdia furono insufficienti e/o inutili, ma alla fine sorse un nuovo Imperatore, Attilio Emilio, forse discendente del noto generale della repubblica: questi riuscì ad opporre le forze dell’Exercitus Imperii Fvlvi et Clavdii, recuperando nel contempo i resti dell’Exercitus Imperii Aemilii e formando così una formidabile linea difensiva sull’imboccatura della penisola, lasciando tuttavia il resto del territorio settentrionale (pattugliato solo da guarnigioni minori) ai barbari britanni e compagnia.

Mentre i tre eserciti imperiali furono disposti a difesa di Vrbe Nova, nello stesso periodo che andava dal 500 al 540 d.C., l’Exercitus Imperii Fvlvi et Clavdii, sotto il diretto comando dell’Imperatore Attilio, si ritirò sulla linea meridionale del Rio Grande ove i barbari stavano ora avanzando in forza. La “Grande Invasione” aveva raggiunto il culmine, per il momento, quando da Roma una speciale delegazione preannunciava una pace più o meno sofferta. Fu infatti così che Vrbe Nova e Roma si accordarono, nel trattato di Novaneapolis del 543 d.C., per accordare a tutta la popolazione barbarica (ormai unita da anni e anni di combattimenti) i territori conquistati ai romani d'oltreoceano, garantendo loto l'assoluta indipendenza.

Nello stesso anno, Porta Aemilia venne dichiarata nuova capitale delle cosiddette “tredici colonie romane”; da quel momento in poi le imponenti colonie romane non fecero altro che accogliere gli innumerevoli “profughi” che dall’Europa arrivavano copiosi.

Dal 543 d.C. fino al 611 d.C., la situazione fu pressoché stabile per entrambe le parti, con la Latia ancora in mano all’Vrbis Dominii Imperii e con i territori a settentrione del Rio Grande totalmente in mano ai barbari, i quali non fecero obbiezioni alla loro conquista e ricolonizzazione; fu solo nel 776 d.C. che i vari governi coloniali romani dichiararono l’indipendenza e, con il supporto occasionale dell’esercito imperiale di Vrbe Nova, sconfissero con successo la Milizia Coloniale di Roma.

La “Spaccatura” fu un fenomeno che interessò contemporaneamente la politica interna ed esterna dell’Vrbis Dominii Imperii segnando  una lunga pagina della storia del nord America. Con le vittorie del “barbari” del nord sulle milizie romane al settentrione e con la dichiarazione d’indipendenza delle tredici colonie (nome con cui i barbari chiamavano i territori a nord del Rio Grande), il governo di Roma fu profondamente scosso. Furono anni bui in cui gli Imperatori furono destituiti dal ruolo di carica politica più rilevante, e il Senato fu ricondotto a forza sulla scena, affidando a quest' organo politico la direzione dell’amministrazione imperiale civile. E così, anche se la figura dell’imperatore venne mantenuta per dirigere le forze militari e per costituire un’unica persona di riferimento nella politica estera, Roma e il suo impero divennero di fatto una nuova e più stabile Repubblica protetta da vari imperi e regni confinanti, oltre che da imponenti forze armate nuovamente suddivise in valide Legioni.

A nord andavano affermandosi i regni venedico/slavi, ad oriente l'impero ottomano con l'appoggio di Roma stava sterminando gli arabi che retrocedevano in africa; sul Bosforo i regni turco/mongoli si stabilizzavano fornendo truppe e/o tributi alla repubblica ricostituita; l’Impero d’Oriente era stato straordinariamente “riconquistato” dalla repubblica e costretto alla sola Costantinopoli che, proprio durante gli anni 818 d.C. e 901 d.C., vide il crollo totale delle istituzioni e delle residue forze difensive e la sottomissione e successiva annessione alla repubblica romana.

Oltre oceano i cambiamenti furono altrettanto sconvolgenti. La fine del potere temporale del clero, o meglio la sua distinzione dalla politica e dal governo di Roma, si riflesse di colpo nei domini romani d’oltreoceano in cui l’amministrazione civile tentò senza successo di appoggiare a tutti i costi dei movimenti di riforma in senso repubblicano, durante tutto l’anno 890 d.C.

Gli imperatori appoggiati dal clero finivano spesso appesi per il collo, mentre direttamente a nord si costituivano gli Stati Uniti, dominati dai Sassoni che erano divenuti prevalenti su tutti gli altri popoli Celti e Germanici, e si facevano sentire con le loro forze strutturate in maniera più flessibile e agili.

Importantissima fu la ribellione occidentale, che vide la parte alta del Messico, compresa la penisola californiana, sottoposta alla direzione politica di un “governo ribelle” inviso alla corte di Tenocinia. Contemporaneamente, durante l’anno 894 d.C., l’Imperatore Clavdio Gregoriano II, eletto dall’Exercitus Imperii Fvlvi, diventato il più ingente per effettivi ed equipaggiamento, condusse l’Exercitus Imperii Aegypticvs e un buon numero di legioni contro il decadente Impero Inca, che a malapena riusciva a condurre azioni difensive.

Come già successe per Alessandro Prisco, Gregoriano II arrivò fino a Cuzco annettendo i territori in tre prefetture nuove a carico dell’amministrazione civile di Tenocinia e in larga parte del clero cristiano. Quest'ultimo a sua volta era in grado di esercitare il suo potere tramite l’uso diretto dello strumento teologico, tacciando questo o quell’individuo come eretico, oppure utilizzando il suo braccio armato, la Guardia del Tempio Imperiale, neo-costituita guardia patriarcale. Tuttavia, come spesso accade, le truppe patriarcali, le più valide al tempo, furono inviate dal Patriarca dell’epoca (di cui non si sa il nome) a sottomettere Elleroconte, città-capitale della ribellione occidentale, con una guerra che durò per undici anni e che nel 905 d.C. portò il nuovo Patriarca Giuliano ad Elleroconte a capo di un esercito di evangelizzatori per “fermare l’eresia alla radice”. Elleroconte fu data alle fiamme e la popolazione fu “epurata” quella notte stessa.

Nel 910 d.C., cinque anni dopo, l’intera regione rimaneva ancora ribelle e la nuova istituzione romano/azteca si diede da fare a stipulare trattati con Roma e con Porta Aemilia, capitale degli Stati Uniti Sassoni e rinominata Washington in lingua sassone, per la sicurezza della nuova Repubblica Messicana. Vrbe Nova dal canto suo non potè fare altro che accettare la cosa di buon grado e sperare che i neo-costituiti Stati Uniti Sassoni ignorassero il Messico per favorire altri scenari di contrasto.

All’alba dell’anno mille il clero di Tenocinia era in piena crisi con la Chiesa Cristiana di Roma che già aveva affrontato e sottomesso la Chiesa Ortodossa di Costantinopoli, e successivamente aveva concesso alla Chiesa Protestante degli Stati Uniti Sassoni di affermarsi sull’Orbis Atlanticvs, l’America. Nel 993 d.C., la Chiesa di Tenocinia fu tacciata di eresia da quella di Roma e le furono bandite contro delle “Guerre Sante” che tuttavia si risolsero senza alcun successo.

L’amministrazione civile imperiale di Tenocinia ottenne da Roma l'invito a contrastare il Clero Tenociniano (che diede nome all’eresia omonima), ed al neo-imperatore Emilio Giovanni Paolo (che coincidenza) non parve vero di cogliere l’attimo trasferendo nuovamente la capitale all’antica Vrbe Nova, dove poté ristrutturare i quadri dell’esercito e attendere di affrontare le armate pontificie di Tenocinia.

Con importanti manovre d’accerchiamento, Giovanni Paolo “chiuse” la città con soli due Exercitus Imperii, mantenendo gli altri lungo i limes più “caldi”, la riforma repubblicana tanto attesa non arrivò, ma al Senato fu restituita molta della potenza originaria, e l’istituzione dell’imperatore fu retrocessa al precedente grado di Dux Militae Ultrisque. Giovanni Paolo si guadagnò quindi il favore sia di Roma che di Washington, che da tempo volevano un governo più “democratico” a Vrbe Nova, e gli concessero di mantenere la Latia senza atti bellici volti all’acquisizione della provincia di Latia.

(grazie a Daniele Fabbro)

Con il passaggio da “imperatore” a Dux Militae Ultrisque, l’Vrbis Dominii Imperii cominciò un veloce percorso che lo portò alla democratizzazione, sebbene questa non fu mai raggiunta realmente: alla morte di Giovanni Paolo nel 978 d.C., ciò che una volta veniva definito impero ora è repubblica, e anche i territori conquistati agli Inca sono ora restituiti solo per vederli, solamente pochissimi anni più tardi, preda di nuovi “coloni” europei. Si va così ad formare la “Repubblica Vrbis Dominens” che regnerà su uno dei territori più vasti del pianeta ma allo stesso tempo più debole e scompaginato.

Negli stessi anni tra la formazione della repubblica e l’anno mille, la Chiesa di Tenocinia, prima rinnegata da Roma e poi sconfitta da Giovanni Paolo, si rifugia a sud, nel decadente Impero Inca, appoggiando i coloni in maniera ferma e decisa: la momentanea “ribellione delle province patriarcali” si conclude in “scaramucce” tra i tre eserciti repubblicani e le residue truppe del Patriarca.  Il Messico viene attaccato da entrambi gli schieramenti ma, al contrario di quanto succede con il “clero ribelle”, le truppe repubblicane vengono altresì appoggiate da entrambe le “superpotenze” dell’epoca.

 

Il sud e la Repubblica decimata

Negli anno 1023-1025 d.C., una nuova guerra scoppia a sud: le truppe patriarcali, supportate da svariate milizie coloniali, attaccano le province inca allora prese sotto “l’ala protettrice” di Vrbe Nova e facilmente conquistate. Il Dux Militae Ultrisque Commio Stilicone viene inviato dal Senato di Vrbe Nova per sottomettere gli aggressori con le nuove armate del sud, riunite appositamente e in maniera straordinaria solo per l’occasione sotto il suo comando. Roma e Washington inviano truppe di “contenimento” e osservatori in zona, per rivelare eventuali azioni che violano i trattati tripartiti.

Nel 1032 d.C. la guerra investe il Messico che, dopo essersi rifornito dagli USS (United Saxon States) di armi da fuoco, invade la Prefettura dell’Africa Azteca arrivando alle porte di Tenocinia, prima di essere ricacciato indietro dall’Exercitus Repubblicano Clavdio. Stilicone viene richiamato poco prima di dare il “colpo di grazia” alle armate patriarcali asserragliate a Cuzco, che in questo modo riescono a sopravvivere.

Nel 1033 d.C. Stilicone fa riunire tutte e quattro gli Exercitus Repubblicani e li dota di moderne armi da fuoco, con cui invade e sottomette il Messico fino alla seconda distruzione di Elleroconte. Nel 1036 d.C. Stilicone viene convocato e inviato dal Senato di Vrbe Nova per firmare il nuovo Trattato Tripartito a Washington per la regolamentazione delle armi da fuoco, trattato scaturito proprio dai timori degli USS e di Roma per la carneficina accaduta all’entrata ad Elleroconte.

Questi gli avvenimenti più importanti di questi anni, anche se in Medio Oriente e in Asia succedono parecchi avvenimenti tra cui la “ribellione sovietica”, di stampo comunista e dalle forti connotazioni sociali, che porta alla nascita dell’omonimo impero, attuatore di una politica imperialistica volta, nel suo continuo contrasto delle potenze alleate USS/Roma, a supportare la Repubblica Vrbis Dominens.

 

Età moderna dall’anno 1400 in poi...

Gli avvenimenti che hanno preceduto questa data, il 1400, sono una serie continua e quasi ripetitiva di “guerre di assestamento” con cui le grandi potenze quali gli USS, Roma, l’Impero Ottomano, l’Impero Sovietico, la Cina imperiale, il Giappone imperiale e la Repubblica Vrbis Dominens, acquisiscono o attestano il loro potere su territori contesi o vi posizionano delle “nazioni satellite” atte a sostenere il potere di questa o quella nazione.

Negli anni che separano il 1036 dal 1400, inoltre, vengono effettivamente stabilizzate imponenti aree di superficie terrestre e numerosissime popolazioni; come conseguenza delle nuove condizioni di “pace vigilata” o “pace armata”, le varie nazioni sviluppano una serie di movimenti di riforma e di risollevamento culturale e sociale che condurrà, nel 1400 circa, ad una situazione simile a quella della nostra “Età Moderna”.

Lo stesso si può dire per il “livello tecnologico e scientifico”, che risulta essere indispensabile alle varie nazioni in competizione per mantenere una certa “superiorità” nei confronti di altre.

Solo un centinaio di anni prima circa, la rivoluzione industriale portò la società europea sottoposta alla Repubblica Romana a nuovi sviluppi sociali, bellici e tecnologico-scientifici che si riversarono poi nelle nazioni o imperi confinanti quali per l’appunto l’Impero Ottomano, gli USS e l’Unione Sovietica.

Tuttavia la situazione nel Nuovo Mondo era come di consueto assai confusa. Mentre a nord Vrbe Nova e il suo governo diffondevano l’industrializzazione e il risollevamento sociale, a sud la “guerra di religione” ancora travolgeva le piccole e divise regioni del sud. Il problema principale delle forze repubblicane fu l’uso della tattica di guerriglia da parte delle truppe patriarcali e delle milizie coloniali, che oramai stavano cercando solo di sopravvivere; sia gli USS che Roma erano restie ad un intervento di qualche genere in quell’area, e se teniamo conto del fatto che sia gli USS che Roma erano tenuti particolarmente occupati dalla conquista armata in territori come il Messico e il Canada e l’Africa settentrionale e centrale, si può capire benissimo che avessero “altre gatte da pelare”.

Non ci si poteva aspettare interventi da parte dell’Impero Ottomano, preso com’era in guerre di assestamento contro l’Unione Sovietica e l’Impero Cinese per il controllo dell’Asia centrale e dell’India romana (conquistata in seguito alla circumnavigazione dell'Africa).

Nel 1411 d.C. un nuovo Dux Militae Ultrisque di nome Carlo Quinto fu inviato nel sud per “pacificare” o quantomeno “risolvere” la situazione per conto del Senato di Vrbe Nova. Con le forze militari repubblicane che si dibattevano assediate all’interno di fortificazioni immerse nella giungla, Quinto dovette sudare sette camice per ribaltare la situazione e portare quelle stesse armate nuovamente a Cuzco e poi a Lima per assediare le due principali sedi della ribellione coloniale. Tuttavia già un anno dopo queste stesse colonie, spinte da un desiderio di libertà e di pace, e desiderose di raggiungere lo status degli USS, si unirono nuovamente in consiglio per decidere un’azione comune onde contrastare le azioni repubblicane e per eleggere un nuovo governo.

Nacque così nel nostro Sudamerica la Confederazione del Sud , che elesse Lima a nuova capitale e “unì” l’intero continente sotto un’unica bandiera comune. Dalla parte repubblicana questa notizia fu sia uno shock che un’occasione di liberazione nazionale. Infatti il Senatore Flaviano, sotto protezione dello stesso Quinto, che nel 1417, durante una trattativa di pace ad Alessandrina (città meridionale della repubblica, nella nostra Guyana Francese) riuscì a strappare alla neonata confederazione un accordo di pace stabile che si mantenne per ben 120 anni circa.

(grazie a Daniele Fabbro)

Sebbene la Repubblica di Vrbe Nova fosse effettivamente in crisi, questo non impedì ad essa di emancipare la propria influenza sulla neonata Confederazione del Sud che, nel desiderio di liberarsi da questo giogo, richiese la protezione statunitense.

Nel 1537-38 d.C. gli USS, forti di nuove tecnologie derivanti dal petrolio e dalla produzione industriale di massa, poterono mettere sul campo una serie di possenti “forze di supporto” o “Commando” che la stessa Repubblica Romana stava predisponendo di recente. La Confederazione del Sud tuttavia, nel tentativo di “scrollarsi di dosso” un problema, se ne procurò uno nuovo e questa volta di maggior pericolosità del precedente. Fortuna vuole sia per la confederazione che per la repubblica di Vrbe Nova, che in quei precisi anni una rivolta nel settentrione statunitense, precisamente nell’Ontario, portò alla nascita di un nuovo stato satellite: era nato infatti il Canada. Esso pretese ed ottenne le isole settentrionali colonizzate dagli statunitensi e contemporaneamente delineò i confini occidentali della nazione che furono straordinariamente accettati e vagliati dal Senato statunitense.

Forse perché gli USS in cuor loro pensavano di ottenere nuove terre e possedimenti nel profondo sud, forse credevano che questo momentaneo movimento secessionista si risolvesse da sé, tutto ciò non ebbe in realtà grandi conseguenze e il Canada si rivelò invero un prezioso alleato degli USS. Per contro i confini meridionali divennero più caldi a causa della crisi in atto tra la federazione sassone e la repubblica romana per la “questione confederata”.

Pochissimi anni più tardi, a causa della sfrenata lotta di potere tra l’Unione Sovietica e l’Impero Cinese, l’Impero Ottomano crollò suddividendosi in una miriade di stati filoislamici e in parte repubblicani che finirono per allinearsi con la Repubblica di Roma, con l’Unione Sovietica o altrimenti vennero semplicemente abbandonati a sé stessi nel cuore dell’Africa.

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In seguito sempre l'amico Daniele ci ha inviato questo suo nuovo lavoro:

Per molto tempo ho dovuto trascurare la mia passione per le ucronie a causa di impegni vari, tuttavia nel corso degli anni che sono oramai trascorsi ho avuto modo di lavorarci su, lentamente e con pazienza ho preso a riscrivere una ucronia che tenga conto di alcuni dei quesiti presenti nel sito, dalla possibile colonizzazione romana delle Americhe alla costruzione di un vallo settentrionale che avrebbe potuto garantire a Roma la sopravvivenza alle invasioni barbare.

In tale ucronia ho voluto infatti provare a descrivere come sarebbe andata se alcuni punti salienti della condotta di uomini decisivi della storia antica, fossero stati presi in più seria considerazione, da una difesa militare ed una amministrazione economica di Roma più attentamente condotta, fino alla possibilità di evitare una fine inevitabile.

Ho inoltre tentato di capire cosa sarebbe successo se due culture così differenti ed al tempo stesso così simili per certi versi, come quella romana e quella dei nativi mesoamericani (ma non solo loro) fossero entrate in contatto e cosa sarebbe successo se i romani si fossero stabiliti definitivamente sulle coste settentrionali dell'America.

Ho avuto modo di elaborare anche una serie di cartine che mostrano almeno parzialmente la dimensione effettiva di quanto da me descritto ed ho fatto in modo di offrire una realistica versione di una possibile colonizzazione romana delle americhe.

C'è anche da osservare come verranno "moltiplicati" per certi versi, alcuni popoli, per andare a formare due culture differenti: quelle europee filo-romane e pagane, e quelle oltrane, filo-remane e cristiane.

Sempre nel tracciato storico da me delineato ho introdotto anche la nascita già vista nella mia precedente ucronia, di un possibile stato americano non dissimile da quegli Stati Uniti d'America che noi stessi conosciamo.

Purtroppo però non mi sono ancora spinto al periodo immediatamente successivo alla fondazione di un regno merovingio oltrano ed americano, mentre le tribù franche ed europee venivano mescolate da Roma stessa in un regno settentrionale assieme ad altre popolazioni come i goti europei andando a formare il "Reich" alleato a Roma ed all'altro regno o stato-cuscinetto creato dai romani, la Romania nata dalla Dacia occupata...

Insomma ho scritto molto, ho tentato di dare spiegazioni verosimili e realistiche, ho percorso tutto l'arco di storia romana che va dalla seconda guerra punica fino alla caduta dell'Impero Remano d'Oriente (che coinciderebbe nella nostra storia reale con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente). Chi vuole leggere questa mia versione della mia ucronia sulla "Roma Americana" la può scaricare in formato compresso semplicemente cliccando qui. Buona lettura!

Daniele Fabbro

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Per comunicare a Daniele i vostri pareri e suggerimenti, scrivetegli a questo indirizzo.


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