La Prova

di Perchè No?


Il bambino nel giardino era un bambino come tanti altri: capelli neri, le guance piene, poco più di sei o sette anni, davvero niente di speciale. Un giorno avevo letto un raccontino di Dino Buzzati che narrava più o meno la stessa cosa, ma in quel caso si capiva che il bambino aveva qualcosa di speciale. Lì, niente. Anche se sono abituato a non essere sorpreso dalla realtà storica (la prima volta che ho visto Cleopatra é stata la più grande disillusione della mia vita), mi sarei aspettato un po' di più da questo bambino. Forse una luce negli occhi, una traccia del suo terribile futuro... ma non c’é niente negli occhi del piccolo Adolf Hitler, a sei (o forse sette) anni.

Basta sognare gli angeli! Vediamo come sta il novellino. Sempre sul tetto del palazzo di fronte alla casa della famiglia Hitler. Sempre con il dito sul grilletto del suo fucile Sniper professionale (2000 $). Non posso crederci, non ha neanche mosso un capello da venti minuti che sta li. Però la tensione nella sua mente si manifesta già, vedo da qui il sudore sulla sua fronte. Ammetto che in parte é colpa di questa bella giornata di fine XIX secolo.

Bene! fai come vuoi, io sto comodo, ti osservo tranquillamente, ho anche la birra accanto a me (non é regolare ma é un giorno nel quale va bene bersi una birra). Quando me l’hanno affidato sapevo che questo Ariel Katzav aveva un caratteraccio di iena, testardo, orgoglioso: anche se era un ottimo candidato all’agenzia temporale, dal curriculum immacolato, sapevo che avrebbe avuto problemi con la Prova.

Ah ! Non posso non pensarci, ogni volta sono scosso dalle regole della Prova di ammissione all’agenzia temporale. Roba da bastardi psicopatici! La cosa é così semplice e così furba, dobbiamo sapere se i nostri agenti saranno abbastanza disciplinati e intelligenti per non avere la tentazione di modificare il passato durante le missioni. L’agenzia é esclusivamente dedicata allo studio storico, non intende toccare niente, non salverà nessuno e non potrà giocare con il passato, anche se per questo dobbiamo diventare macchine senza cuore. Ariel é davvero intelligente, ma anche lui é stato fregato. Normalmente giochiamo sul loro orgoglio (si pensano sempre abbastanza furbi per superare l’intera amministrazione e i vecchi viaggiatori del tempo che purtroppo hanno visto tutta la furbizia possibile nel mondo). Imparano come far funzionare la macchina, usare armi, sopravvivere in ambito storico, sono pieni di idee e di passione ingenua per questa attività. Si mettono a giocare a Dio. Sono storici, hanno tutti giocato un giorno o l’altro all’ucronia, immaginano e costruiscono una nuova storia nata dalla loro solo volontà. Si vedono come maestri della macchina del tempo, i buffoni! Anche Ariel l’ha fatto, ha comprato segretamente un fucile (come se non avessimo potuto sorvegliare il suo conto in banca!), ed é rimasto due mesi alla biblioteca dell’agenzia per studiare la giovinezza di questo bastardo di un Hitler. Ed eccolo qui!

Hitler! era davvero ovvio, Ariel Katzav, pensaci un po'! Ho letto la storia della sua famiglia, l’intera famiglia annientata ad Auschwitz tranne un ragazzo antenato dell’attuale Katzav, diventato in seguito capitano nell’esercito israeliano; un figlio importante, storico specialista della Shoah e ucciso da un attentato islamico, con un interessante trascorso. Una famiglia pronta a lottare e ferita dalle diverse catastrofi della storia. E adesso l’ultima maglia della catena familiare ha Adolf Hitler, senza difese, nel mirino del suo fucile!

Ah? Ariel si é mosso un po'! riguarda nel vuoto, perso negli suoi pensieri. Ehi! non addormentarti, Ariel! tra quaranta minuti la signora Hitler farà rientrare il suo bel bimbo nella casa per la merenda (una mela tagliata, credo).

Uno squillo sul com speciale ? Uhm… é la dottoressa C., forse ha delle inquietudini per il suo favorito?

"Pronto?"

"Dimmi un po'! Come sarebbe che hai escluso il tuo nuovo studente dalla lista dei candidati? Sai di chi é figlio?"

"So bene di chi é figlio, ma é davvero un’imbecille: l’ho portato con me per quella faccenduola della settimana scorsa a Roma nel 305 d.C., ed ancora un po' e raccontava tutto a quella ragazza nel Foro, solo per fare il galletto ! Sono sicuro che se gli avessi dato un appuntamento alla piramide di Caio Cestio, si sarebbe imbarcato verso l’Egitto!"

"Forse aveva bisogno di po' di pratica... e a proposito di Roma, mi ha raccontato una strana storia su dei leoni del Colosseo…"

"Bah! Era solo per vedere se aveva del carattere, però é davvero poco resistente!"

"Non devi giocare così con i candidati, la maggior parte sono storici mai usciti prima dalla loro biblioteca, non dimenticarlo... per questa volta non sarà annotato, e parlerò con Sua Eccellenza... uhm! A proposito di candidato, come si comporta Ariel?"

(ah! eccoci!) "Niente di nuovo per il momento, é ancora pronto a uccidere e a cambiare la storia, però esita. Per il momento non posso dire cosa farà. Ma adesso ha solo trenta minuti, poi dovrò intervenire."

"Mi sarei aspettata di meglio di lui, é abbastanza intelligente per sapere qual é il suo dovere. Contattami immediatamente quando sarà finito."

"Ok, boss."

Vai al diavolo, tiranna dei tiranni! Come se fosse facile la Prova, é davvero uno shock psicologico che spazza via la maggior parte delle nostre valide menti. Non sarei cosi cinico se non avessi affrontato questa Prova anch'io. Solo al ripensarci mi viene da tremare! E la dottoressa C., quando eravamo candidati, é tornata piangendo dalla sua Prova, ed é rimasta sei mesi sotto trattamento psichiatrico! Ha la memoria corta la signora! Come Ariel, cosa immagina in questo momento? Lo conosco, é un uomo di grande valore morale, rispettoso, pacifico, scientifico, mette sopra tutto la ragione e non pratica neanche la religione di suoi padri. Ed eccolo pronto alla vendetta, per vendicare vittime morte da tanti secoli! Lui che non sopporta l’ingiustizia del mondo, adesso é pronto ad assassinare un bambino. Un bambino chiamato Hitler, certo, ma pur sempre un bambino.

Prendo il com.

"Patrick! Karim! ero occupato con la rompipalle di servizio, come sta il novellino?"

"Sembra che ci sia una tempesta dentro il suo cranio."

"Vero! È da cinque minuti che ha deposto il fucile e si é preso la testa nelle mani."

"Uhm… sì, lo vedo, non sembra affatto stare bene."

"Almeno questo qui pensa alle conseguenze, non come il suo predecessore che ha davvero provato ad avvertire la autorità americane il 10 settembre 2001 (é il problema di quasi tutti i candidati americani)... Abbiamo dovuto arrestarlo. Ariel invece pensa alle conseguenze, non solo le conseguenze storiche, roba di ragione, ma anche le conseguenze morali (non é dato a tutti di dipingere un muro con il cervello di un bambino e lasciare che sia la mamma a scoprirlo): lotta tra il suo desiderio di vendetta, la sua educazione (non era il suo antenato storico che scriveva sulla riconciliazione?) e l'etica professionale, l’abbiamo convinto da due anni che cambiare la storia é un’illusione. Spesso le cose avvengono lo stesso (l’abbiamo visto durante il tempo benedetto della conquista temporale), insegniamo che non siamo Dio, non abbiamo diritto di giudicare un’epoca, che la gente che vediamo é morta da tanti anni o secoli, che farebbe più male che bene, e così via. Cose ipocrite per dire che non vogliamo fare nulla, che siamo solo degli osservatori perversi. Guardiamo la gente soffrire e morire come guardiamo le gazzelle sbranate dal leone nei documentari sugli animali. Questo lo sa anche lui.

Rimangono solo quindici minuti… Ah! é arrivato alle stesse mie conclusioni, però é giovane, ha ancora la capacità di ribellarsi e di volere qualcosa di più giusto (mi rassicura, con la sua faccia tanto seria avevo dei dubbi, forse era un imbecille che obbedisce solamente senza essere capace di emozionarsi, non vogliamo persone insensibili, solo persone capaci di superare le loro emozioni). Adesso ha ripreso il fucile e tiene sotto tiro il bambino (che adesso gioca a distruggere delle formiche, ma non é un segnale premonitore, l’abbiamo fatto tutti).

"Patrick! Tieniti pronto con il fucile ipodermico, se si mostra minaccioso, mandalo a dormire un paio d’ore."

"Ok, boss."

Ci avviciniamo dalla fine del gioco, Ariel é pallido come la morte, lascia il fucile e... prega! Questo non me l’aspettavo, a questo punto io sarei andato a rompermi la testa contro un muro. Odio questa Prova! Ne abbiamo bisogno, ma non sopporto di vedere la disperazione e il crollo delle illusioni. Dopo sarà qualcuno sicuro e spietato come noi. La prima volta é la più difficile, tradire le proprie convinzioni e adottarne di nuove è un po' come morire e rinascere, secondo me. È come la prima volta che il candidato vede morire qualcuno, non andiamo a vedere una battaglia, prendiamo piuttosto un assassino non troppo lontano e sempre banale. È la prima pietra sulla via del viaggiatore del tempo.

Oh, no! Ariel ha ripreso il fucile, solo cinque minuti prima della fine della Prova, sembra ormai deciso. Che tristezza...

Ariel lancia uno sguardo al paesaggio verde dell’Austria, poi riguarda la sua stella di Davide, poi l’insegna dell’agenzia, infine riguarda il bambino, non vedo tante cose da dove sono ma mi sa che lo vede infine com’é, un bambino, nient’altro, un bambino che avrebbe potuto fare tante altre cose nel bene o nel male, che non ha niente di malefico (o almeno niente di più dell’umano normale). E lascia il fucile.

Ecco! È fatta, c'é riuscito, ormai si é messo piangere. Tutto sommato poteva reagire in modo ben peggiore: quando è toccato a me, io ho provato a spararmi alla testa!

"Ok! Tutto va bene, vado a prenderlo."

Arrivo accanto a lui, nel giardino accanto la signora Hitler punisce Adolf perché si é permesso di risponderle (toh! Ben ti sta, Adolf!) Tra due fiumi di lacrime, Ariel mi vede.

"Boss, io… volevo farlo, ho provato, ma... scusatemi, ho tradito la vostra fiducia... ci ho pensato, ma non ho potuto, io..." (poi non riesce più a parlare).

"Va bene, figliolo, ora ti spiego tutto. Ma prima... Benvenuto tra noi!"

Perchè No?


Dialoghi dall'Aldilà

di Never75

Così come sono stati scritti in passato degli "Amores" ucronici, io ho voluto cimentarmi nel loro contrario, ossia mettere a confronto due personaggi vissuti in epoche diverse che, in un ipotetico Aldilà, avrebbero un sacco di cose da dirsi o recriminare. Questo è il primo che mi è venuto in mente...

« Che grandi cazzate che hai fatto! Cosa vuol dire: "difesa della razza?" Io coi Galli ci sono andato giù bello pesante, ma quelli sopravvissuti si sono integrati piuttosto bene, tanto che in poco tempo son diventati più Romani dei Romani stessi, e neppure cento anni dopo sono perfino entrati in Senato!
Come erano avanti eh, i miei successori! Mica come i tuoi!
Ma, torniamo a noi, perché discriminare così tanto gli ebrei? Che male ti hanno fatto?
Pensa che sono stati i miei migliori alleati di sempre! Per non parlare poi del patto stretto con i Germani e il loro capotribù taurisco coi baffetti ridicoli! Ma come si fa? Un briciolo di dignità non ce l'avevi?
Poi, per tutti gli dèi, non si dichiara guerra se non si ha un esercito motivato ed efficiente. Non ti è servito proprio a nulla il mio esempio? Essì che avevi cominciato piuttosto bene a imitarmi. »

Anche tu avevi iniziato dal basso, ti eri lanciato anima e corpo in una guerra ma oltre al grado di caporal maggiore non sei arrivato.
Poi hai cercato di replicare il mio passaggio del Rubicone, ma anziché guadare fiumi in gennaio tu nella Capitale ci sei andato bello comodo!
Sembrava più una sfilata trionfale o una commedia di Plauto che un colpo di Stato!
Eppure, devo ammetterlo a malincuore, ti è andata proprio bene! Ci sono cascati proprio tutti.
Guarda, scommetto che se a Roma avessi incontrato soltanto la metà degli avversari che mi son dovuto trovare di fronte io, saresti stato infilzato dalle loro lance ancora prima di scendere da quel fottuto treno! Volevo vederti contro un Pompeo che ti affrontava in battaglia con le sue legioni, oppure difenderti dalle arringhe di un Catone o di un Cicerone in Senato!
E invece chi avevi di fronte? Un reuccio più deforme di Efesto che ti ha consegnato tutto il potere senza combattere. Comodo così!
Io, invece, la gloria me la son dovuta sudare e tanto!
Ma non te ne faccio una colpa, sei stato fortunato in quel caso.
Poi hai appreso bene come manipolare il popolino e ottenere il suo consenso, anche se, lasciatelo dire, il tuo continuare a insistere con Lupe, fasci littori, battaglie del grano, ecc. dava la nausea dopo un po', sembrava più una parodia. Noi veri Romani mica avevamo bisogno di tutti questi orpelli per manifestare il nostro potere, sai? Bastavano le nostre legioni per metterli in fuga tutti.

Poi non capisco perché hai dovuto riconciliarti, stringere accordi e umiliarti con quel vostro pontefice massimo. Ma scherziamo? Da quando in qua sono i dittatori a essere servili con pontefici? Semmai era lui a doversi arrendere a te e non il contrario. Hai perfino ceduto una parte del territorio inviolabile dell'Urbe, per cosa poi? Avevi timore che Giove ti avrebbe fulminato se non lo avessi fatto?
E poi, un briciolo di cultura, per Giove! Sotto di me e il mio degno successore c'è stato un rifiorire di poeti e letterati. Sono stati composti più poemi ed elegie che nei due secoli precedenti. Tu, invece, che spazio hai dato agli artisti?
Il massimo intellettuale che bazzicava dalle tue parti, che sembrava perfino avere qualche attitudine guerresca (e che per di più odiavi visceralmente perché ti faceva concorrenza) era un orbo spelacchiato che scriveva componimenti pomposi quanto vuoti. Voleva imitare Virgilio e Ovidio ma ai tempi miei al massimo lo avrei assunto come stenografo.
E pure tu non sei nulla di che da quel punto di vista! un misero maestro delle elementari, una professione che noi facevamo svolgere agli schiavi. Io ero uno degli uomini più colti del mio tempo, la mia biblioteca personale era la seconda di Roma dopo quella di quel piantagrane di Cicerone.

Anche sull'ascendente che riuscivo ad avere su uomini e donne non c'è proprio paragone. Io ho affascinato re e regine. Tu ti sei accontentato di sedurre parrucchiere e ostesse!

Comunque, caro il mio sfortunato miles, abbiamo avuto un destino piuttosto simile. Traditi entrambi dai nostri amici più cari. Ma almeno io son caduto in piedi, con onore.
Sapevo benissimo cosa avevano tutti in serbo per me, quei senatori disonesti. Tu invece ti sei ridotto negli ultimi anni a fare il cagnolino di quel capotribù germanico. Non sei stato neppure capace di morire con dignità, preferendo fuggire dagli Elvezi.
Ti avrei crivellato di colpi pure io per la tua pavidità!
Sapessi i miei funerali come sono stati gloriosi! Roma intera ha pianto la mia scomparsa, qualcuno più credulone ha persino detto di aver visto la mia anima salire in Cielo e altri che l'aquila di Giove mi rapì come Ganimede! Magari fosse stato così! Lasciamoglielo pure credere. Ma questo sta a dimostrare la stima che avevano di me. A te invece, o mio supposto emule, le cose sono andate piuttosto diversamente, mi pare... »

Never75

 


L’osservatore silenzioso

di Agatha Christie

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Passo le mie giornate sui treni. Ci lavoro. È incredibile, soprattutto se si ha un’indole votata alla curiosità perpetua come me. Ogni giorno vedo gente nuova e ormai i finestrini delle carrozze sono diventati per me un osservatorio migliore della tv. In fondo con la televisione vieni al corrente dei problemi, apprendi le notizie e guardi la pubblicità. Una vera e propria finestra sul mondo. Sul treno la cosa è la stessa. La differenza è che sono più piccoli, quindi sono finestrine sul mondo… A parte gli scherzi, faccio qualche esempio. Alla mattina, ogni giorno, mi metto al lavoro e il treno inizia il suo tragitto. Provate a pensare questo fatto dal punto di vista dello spettatore. A cominciare dalla prima stazione, attraverso il vetro si possono osservare un sacco di problemi del panorama italiano. Proprio l’altro giorno c’era un signore elegante che parlava a un altro tizio seduto di fronte a lui più o meno così:

- Non trova queste stazioni uno spettacolo disgustoso? O sono da decenni in stato di restauro oppure in stato di abbandono più totale. In questa, per esempio, non c’è un orologio che sia a posto. Sono tutti fermi. E i vetri? Vogliamo parlare dei vetri? Quasi sempre sono tutti rotti. Mi gioco una mano se questa stazione ha i vetri a posto! Ecco, vede? Avevo ragione! E le panchine: o sono inesistenti o sono sfasciate e sporche. E nessuno si sogna di cambiarle! Ah già! Ecco che mi stavo dimenticando di mostrarle una cosa! Guardi laggiù, quel gruppetto vicino alla mezza panchina. Secondo lei cosa stanno facendo? Certo che si stanno drogando! Altra piaga di questo paese! Ma che fa il governo, dorme? E prima ancora, scommettiamo che i poliziotti della stazione sono assenti o stanno facendo altro? Ci ho azzeccato ancora, ha visto? -

Non so assolutamente come dare torto a questo signore e trovo che non ci sia altro da aggiungere. Andiamo avanti. Avete presente il tragitto di un treno che va e viene da Milano?

Immaginiamo ancora di guardare dal finestrino: cosa si può vedere? In primo luogo l’occhio cade sul vetro stesso. Ogni millimetro quadrato è cosparso di ditate e di macchie. Proprio l’altro giorno c’era sul treno una bambina che ha cominciato a emettere urlettini di disgusto rivolta al vetro. Diceva che non voleva appoggiarsi perché aveva paura che il suo peluche si prendesse qualche brutta malattia. Soggetti interessanti i bambini… hanno la capacità di esprimere in parole estremamente semplici concetti che sembrano incomprensibili alla gente che ha le possibilità per agire. Ma al di là del vetro cosa c’è? Rottami, capannoni che sembrano ancora di sessant’anni fa (se non lo sono davvero)… Poveri noi! Avete capito perché guardare fuori da un treno è come guardare la televisione? Si guarda in faccia all’Italia.

Meno male che non sono io che devo aggiustare le cose… Vi ho mostrato la situazione per vedere se vi viene una qualche idea geniale… Io che sono un semplice ragno che ogni giorno tesse la sua tela, che posso fare?

Agatha Christie


Solo un attimo

di Agatha Christie

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-Ti amo. Si, è così. Anche se ti sembrerà una cosa strana, ti prego, credimi. Mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho visto…

Il ragazzo di nome Luca si ripeteva queste parole ormai da mezz’ora, in piedi, appoggiato al tronco del grosso tiglio che svettava all’ingresso della proprietà della sua famiglia. Il suo viso era accaldato e chiazzato di rosso per l’agitazione. La gola riarsa gli impedì di riprovare, per l’ennesima volta, quello che avrebbe dovuto dire.

Sospirò tremante. Aveva la nausea. Una fitta alla pancia lo fece piegare in due.

Meccanicamente si sedette su una grossa radice sporgente e si guardò intorno con occhi annebbiati. Casa sua era parecchio più in basso del suo punto di vista, nella parte di terreno pianeggiante che i suoi parenti coltivavano da generazioni. Non era un grosso appezzamento, tuttavia era sufficiente per trarne un guadagno abbastanza consistente da permettere alla sua famiglia di vivere agiatamente.

Davanti a lui vedeva il piccolo sentiero che, dai campi, confluiva più a valle nella strada asfaltata.

Il ragazzo teneva gli occhi puntati febbrilmente proprio verso quella parte.

Una solitaria raffica di vento gli rinfrescò le guance e gli scompigliò i capelli. Finalmente riuscì a respirare profondamente e il suo cervello tornò lucido per un po’.

Che cosa stava facendo, accidenti? Era sicuro che avrebbe ricevuto un rifiuto, ma di che genere? Temeva, infatti, che l’affare non si sarebbe risolto con un semplice no. Nella sua mente, ogni volta che ci pensava, udiva una risata sguaiata e crudelmente indifferente che lo attanagliava senza pietà, imprigionandolo. In questo caso, la sua vita sarebbe stata rovinata per sempre. Lo avrebbero preso in giro tutti, a vita. In più abitava in un paese tanto minuscolo che, nel giro di poco, sarebbero potuti venirne a conoscenza anche i suoi genitori. Sarebbe stata una tragedia. Non lo avrebbe potuto sopportare.

Luca era sempre stato rispettato a scuola. Aveva carisma ed eleganza ed era molto intelligente, uno dei più dotati. Sapeva far valere le sue molte idee e aveva il fascino del leader.

Se la faccenda fosse venuta a galla, tutto questo sarebbe stato dimenticato, distrutto, annientato. In nessun modo sarebbe riuscito a sconfiggere le radicate malelingue di un arretrato paesino di provincia.

Eppure, nonostante il terrore, era lì. Stufo di mentire a se stesso. Stufo di fare l’ipocrita che in realtà non era. Quella mattina si era alzato con questa insistente convinzione, aveva alzato la cornetta del telefono e aveva organizzato con perfetta naturalezza un normale pomeriggio di studio.

Un’altra folata di vento lo riportò a pensare alla situazione attuale. Un nuovo dolore acuto lo colpì ancora alla pancia. Se non avesse risolto la cosa in fretta, era sicuro che sarebbe svenuto.

D’un tratto le sue pupille ebbero un guizzo e tutti i suoi muscoli si tesero senza controllo.

Una figura si avvicinava camminando per il sentiero.

Era giunto il momento, finalmente.

Quando furono vicini, Luca sorrise.

- Ciao, Andrea.

Andrea sorrise a sua volta.

Di colpo sembrò che il tempo si fosse fermato. Gli attimi intorno a loro erano come cristallizzati, in ascolto. Nessuna foglia osava muoversi, né il vento s’azzardava a soffiare. Il mondo intero sembrava comprendere quello che stava per accadere.

Allo stesso modo in cui una bomba esplode, Luca declamò la frase che aveva tanto ripetuto, per cui aveva tanto sofferto.

Svuotato, spostò gli occhi a terra, aspettando la temuta risata.

Andrea, invece, stette zitto. Lo osservava con occhi curiosi, ma allo stesso tempo calmi e tranquilli.

Luca osò alzare il capo. Si era aspettato tutto, tranne quel dolce silenzio. Spiazzato, lo guardò, senza sapere cosa dire. Si sentiva uno stupido. Era stato un perfetto idiota a dubitare del suo migliore amico. Adesso lo sapeva. Ma cosa sarebbe successo, ora?

Senza preavviso, Andrea lo abbracciò.

Luca spalancò gli occhi per la sorpresa e rimase rigido, senza parole.

Delicatamente, Andrea, sfiorò le labbra di Luca con le sue e si scostò, sorridendo quieto.

Le foglie ricominciarono a frusciare, il vento a soffiare, il tempo a esistere.

Le case nella pianura diventarono di colpo lontane e insignificanti e a Luca tornò la voce. E fu lui a ridere. Rise, rise, fino alle lacrime, apertamente, senza più paura di nulla.

Qualsiasi cosa sarebbe successa più avanti non gli importava. Sapeva che sarebbe stato capace di superare qualunque sussurro allusivo, qualunque ghigno sardonico di quei giovani già vecchi che popolavano la sua vita. Non era più solo.

Agatha Christie

Il canale, acquerello di Sandro Degiani


Lavavetri Junior

di Sandro Degiani

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Già da lontano vedo il capannello al semaforo e tento, rallentando, di arrivare al verde in modo da salutare con un cenno i piccoli lavavetri in agguato e passare oltre con la solita sensazione di pena e di sollievo.

Ma è uno di quei semafori a lunga sosta e la manovra non riesce, mi accodo e subito un sorridente ragazzino di otto/nove anni mi corre incontro sventolando una racchetta per pulire i vetri.

I suoi vestiti sono luridi non perché non si lava, solo che passa quattro/sei ore a strofinarsi contro i parafanghi ed i cofani della auto, ricoperti di smog e polvere.

Stamattina non ho lavato il vetro come faccio di solito, in modo da non offrire un facile appiglio per l’offerta del servizio, ed ora il leggero velo di polvere depositato nella notte, rigato dalla rugiada ed illuminato dalla luce radente del sole che sta sorgendo è un richiamo irresistibile per il lavavetri.

Lo vedo arrivare sorridente ed il cervello parte in quarta con una serie di considerazioni su cosa fare.

Se do soldi al bambino incoraggio il turpe traffico di schiavi, un’altro bambino verrà rapito o comprato per finire a fare lo schiavo sui marciapiedi italiani.

Ma se non lo pago, anche se forse nel futuro il suo aguzzino riterrà il traffico non remunerativo e un bambino verrà salvato dalla schiavitù, oggi “questo” bambino verrà picchiato ed io sarò in parte responsabile della sua ulteriore sofferenza.

Vago con lo sguardo imbarazzato sulle macchine davanti a me... magari si ferma su una macchina precedente e io mi salvo da questa tortura mentale... il cuore mi batte nel petto e nelle tempie... sudo freddo e mi tremano le mani... frugo convulsamente nel portaoggetti alla ricerca di una monetina ben sapendo che il portamonete è nella valigetta 24ore e non posso certo mettermi li ad aprirla... Dio mio che situazione... Cretino! Mi dico, devo sempre tenere un Euro nel portaoggetti... sono nel pallone più totale e, come se esaudisse le mie preghiere, il semaforo scatta improvvisamente sul verde!!

I clacson dei soliti impazienti che spiavano il giallo nell'altro senso urlano in coro e sollecitano i distratti a scattare perchè sono le 8 e venti e si rischia di arrivare in ritardo al lavoro.

Innesto la prima e passo davanti al ragazzino che mi guarda deluso ripartire... gli sorrido ed agito la mano... come per scusarmi ma devo andare, non posso rimanere li a farmi lavare il vetro.

All'incrocio prendo mentalmente nota che da domani sarà meglio che mi trovi un percorso alternativo per qualche mese: non vorrei incrociare di nuovo lo sguardo di quel bambino...

Sandro Degiani

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Per farci sapere che ne pensate, scriveteci a questo indirizzo.


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