Addio al greco!


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Ed ora, un'articolata discussione aperta da Renato Balduzzi con questa proposta:

Da sempre la Grecia mi ha affascinato. Non parlo solo di Grecia antica, ma anche della Grecia moderna. I Greci sono il popolo più antico d'Europa, tra quanti ci hanno lasciato testimonianze scritte. La loro cultura e la loro lingua sono sopravvissute nonostante le innumerevoli contaminazioni, dominazioni e invasioni, mentre i Romani, popolo conquistatore, si sono frammentati in innumerevoli popolazioni di lingua romanza, idem per i Germani e gli Slavi.

Ora, ho provato ad immaginare alcune possibili fini della Grecia, sfruttando eventi storici, con le ricadute sul presente:

I Persiani non sono sconfitti a Salamina. Serse decide di radere al suolo la Grecia, di deportare i suoi abitanti e impiantare nella zona coloni spartani. Oggi in Grecia si parlerebbe una lingua affine al curdo o al farsi, e sicuramente si tratterebbe di una zona relativamente marginale del continente europeo. Anzi, senza i grandi fondatori del pensiero occidentale, oggi l'Occidente apparirebbe molto diverso: niente scienze pure e filosofia, tutt'al più regnerebbero credenze misticheggianti quali l'astrologia o l'aruspicismo. Inoltre, l'esercito persiano avrebbe potuto giungere quasi incontrastato fino a Roma e, perché no, sottomettere l'intera Europa.

Grecia romanza I: i Romani assimilano completamente i Greci, che nel giro di qualche secolo iniziano a parlare latino. L'acheo (dal nome dell'antica provincia romana, Acaia) sarebbe probabilmente una lingua sorella dell'attuale rumeno, con tutte le implicazioni culturali e politiche del caso. Maggiore vicinanza, tra l'altro, con il Mezzogiorno d'Italia porterebbe a notevoli implicazioni politiche, ad esempio il regno di Acaia potrebbe rivendicare le Due Sicilie, oppure il Risorgimento italiano trovare un buon appiglio anche in Grecia.

Grecia romanza II: i Greci non smettono di parlare la loro lingua subito, ma più tardi, a seguito dello spostamento di popolazioni romanze dai Balcani centrali. Ne consegue una maggiore perpetrazione della cultura greca che culminerebbe con la formazione di una nazione arumena nell'Egeo con sacche di resistenza dell'ellenico sulle isole e in zone marginali. Probabilmente, a differenza del caso precedente, la lingua arumena sarebbe scritta in alfabeto greco.

Grecia slava: le popolazioni slave, che storicamente penetrarono diverse volte nell'Ellade, impongono la propria lingua e danno origine a una grande Macedonia. La Jugoslavia potrebbe quindi essere estesa fino all'Egeo, con notevoli conseguenze geopolitiche. Ad esempio, nel secondo dopoguerra la Turchia sarebbe geograficamente circondata per tre quarti da paesi allineati all'URRS, e forse per questo motivo non entrerebbe in NATO.

Grecia, ovvero Turchia europea: i Turchi assimilano completamente l'elemento greco. Tutto il sud dei Balcani e il mar Egeo sono parte della nazione turca. Ovviamente si tratta di una nazione di religione musulmana, quindi il nostro concetto di Europa, oggi quasi combaciante con quello geografico, sarebbe alquanto diverso.

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Così risponde MAS:

Se l'Impero Romano non si fosse diviso alla morte di Teodosio, e avesse in qualche modo retto contro le invasioni barbariche, quasi certamente, l'elemento latino sarebbe alla lunga prevalso e il greco sarebbe alla fine stato soppiantato (forse isole linguistiche avrebbero avuto maggior durata nelle isole ... appunto .... e in luoghi non facenti parte della Grecia attuale: zone interne dell'Anatolia, Crimea e comunità grecofone in Medio Oriente).

Attorno al 300 d.C. il latino stava effettivamente soppiantando il greco anche nell'Ellade (basti pensare che nella Grecia continentale, solo 150 anni fa la metà della popolazione parlava lingue neolatine: arumeno e meglenorumeno, e 300 anni fa i neolatini erano una fortissima minoranza in Albania, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Bosnia e Croazia; l'Adriatico era un golfo neolatino con italiani, istriani, dalmati, veneti, veneto-giuliani, veneto-istriani, veneto-dalmati, veneto-ionici e morlacchi).

Conseguentemente ritengo che se l'Impero avesse retto (unito) ancora un paio di secoli, i Balcani sarebbero essenzialmente linguisticamente simili all'Europa occidentale con solo minoranze slave, greche e forse turche.

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Never75 però non si mostra per nulla d'accordo:

Ma sei sicuro? A me non risulta. Semmai il rischio, in certi secoli, fu il contrario!

Tra il I° sec. a.C. (nonostante le strilla isteriche di Catone il Censore) e l'Epoca degli Antonini fu quasi il greco a soppiantare il latino in Italia!

Tutti (o quasi) i senatori erano bilingui, come pure lo era la gente di una certa cultura.

Le frasi più note di Cesare tramandateci in latino ("Tu quoque!", "Alea jacta est", "Veni vidi vici") in realtà le pronunciò in greco.

Alcuni imperatori parlavano addirittura il greco come lingua madre o lo preferivano al latino, e non dico un Adriano od un Marco Aurelio, ma anche un Giuliano!

Le biblioteche imperiali erano bilingui. La lettura e scrittura dei giovani rampolli cominciava pari pari nelle due lingue fin dall'infanzia.

Alcune città del Sud d'Italia mantennero la madrelingua greca fino ad un'epoca tardissima (Napoli era sicuramente greca fino a Nerone e Siracusa lo fu praticamente sempre).

Questo per il grandissimo rispetto che i Romani avevano per la cultura e la lingua di Omero.

Il latino era la lingua dei militari e dei giuristi (anche Giustiniano userà il latino per il suo Codex), ma dal punto di vista letterario e burocratico fu sempre il greco a farla da padrone, anche in Occidente.

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MAS ribatte:

Guarda, solo in Grecia i neolatini (non protetti da nessuna legge) sono attualmente 350.000, stime di fine '800 parlavano di oltre 1.500.000 neolatini tra Grecia (quasi un milione su una popolazione nel continente di 2.300.000 all'epoca), Macedonia e Albania.

Sino alle invasioni turche il morlacco era la lingua fortemente maggioritaria nell'attuale Bosnia-Erzegovina; nel 1918 (con l'appoggio francese e l'opposizione italo-greca) si formò la repubblica di Corcia (in Albania) di lingua Arumena; gli Italiani nel '41 crearono il Principato del Pindo, anch'esso di lingua Arumena.

Sino al terremeoto del '53, esistevano grosse minoranze venete nelle isole Ionie che avevano sviluppato una loro lingua (il veneto-ionico); tale lingua era parlata da almeno 1/3 (a Corfù si stima da almeno metà della popolazione e quasi lo stesso vale per Zacinto)della popolazione nel 1863 quando inopinatamente gli inglesi cedettero questa parte d'Italia alla Grecia anziché restituirla alla nazione italiana che aveva controllato tali territori per almeno 1200 anni negli ultimi 2000 (da dove venivano i fratelli Bandiera, Niccolò Tommaseo nato a Sebenico ma di famiglia corfiota e giusto per citare un emerito sconosciuto: Ugo Foscolo?).

Se leggi i dati di Ragusa (che Italiana o Veneziana non fu praticamente mai, dopo la caduta dell'Impero) ti rendi conto di quanto sottostimiamo l'italianità di queste zone: ebbe un sindaco italiano fino al 1889, ancora in epoca napoleoniaca era bilingue (nel senso che la maggioranza parlava veneto-dalmata e la minoranza parlava dalmata) e gli slavi erano del tutto assenti sia in città che nel "contado"; ricordiamoci che in Istria e Dalmazia la dominazione austriaca favorì a dismisura l'elemento slavo, considerato più fedele e il cui irridentismo iniziò con almeno 50 anni di ritardo rispetto al nostro (ed era anche più incerto in quanto i Croati, gli sloveni e i bosniaci odiavano e odiano i Serbi ortodossi).

E' certamente vero che l'aristocrazia italica in epoca imperiale (già in epoca tardo-repubblicana) subiva il fascino della cultura greca ma in compenso il popolino greco si stava latinizzando.

Siracusa era una città grecofona all'epoca delle invasioni arabe e i grecani di Calabria testimoniano la presenza dei greci in Magna Grecia, gia i greci del Salento sono d'origine più incerta in quanto parlano una forma di "bizantino" (greco medievale con forti apporti latini) e fanno pensare più a un ripopolamento in epoca bizantina o (similmente agli albanesi e agli slavi del Molise) a profughi dell'epoca delle invasioni turche.

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Never75 replica a sua volta:

OK, MAS. Ma tu ti riferisci a dati tardi, e di molto, rispetto all'epoca trattata! Io intendevo dire che basi hai per affermare che durante l'Impero Romano (mettiamo tra il II° ed il IV° sec.) il greco in Grecia era poco parlato.

Il fatto che nelle isole Jonie, nell'Eubea (per i Veneziani Negroponte), a Rodi,a Crofù ed a Creta ci fossero (e ci sono ancora) minoranze italofone lo dobbiamo all'imperialismo coloniale della Serenissima e, parzialmente, a quello militare giolittiano-fascista.

Ragusa (città dalmata da non confondere con l'omonima città siciliana) non fu mai italiana, è vero, però l'influsso (anche culturale) di Venezia su di lei fu innegabile, anche se politicamente la Serenissima la occupò per pochi anni. Ma anche qui si tratta di un fenomeno "relativamente" recente.

Tra l'altro Venezia cominciò ad emergere proprio quando Bisanzio tramontava.

I Veneziani, pure nel pieno della decadenza, controllavano ancora a fine '700 tutte le coste dell'attuale Venezia Giulia (unica ma rilevantissima eccezione: il porto imperiale di Trieste), dell'Istria, della Dalmazia fino all'attuale Albania, tranne appunto Ragusa, una specie di enclave tra i domini veneziani.

In pratica il 95% dell'Adriatico era veneziano e parlava una lingua affine all'italiano.

Ciò però è un fenomeno che non può certo risalire all'Evo Antico e neppure al Tardo Antico.

Siracusa fu grecofona (o perlomeno bilingue) anche nell'epoca tardo antica.

Nelle catacombe di S. Lucia sono conservati affreschi del IV° secolo scritti ancora in greco (antico), segno che la popolazione grecofona era perlomeno ancora in maggioranza.

Che a Napoli sicuramente ai tempi di Nerone (ma forse anche più tardi) si parlasse di prevalenza il greco ce lo testimonia tra gli altri Svetonio.

Prima di partire per il suo tour estivo nell'Ellade, l'ultimo imperatore giulio-claudio fece delle prove tecniche a decantare poesie ed inni in greco proprio nella città partenopea.

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MAS non è convinto:

In Anatolia (Galazia, Ponto; Cilicia ecc.) dove il greco aveva soppiantato le lingue indoeuropee anatoliche a partire dall'epoca di Alessandro (la costa ionica era già grecofona), sino all'arrivo dei turchi (non gli ottomani ma i selgiuchidi dopo Manzicerta nel 1074) c'erano aree neolatine (unica lingua rimasta a contrastare il greco e ci sono scritte in tardo latino in Cappadocia dell'anno 1000.

La stessa Costantinopoli fu romanza fin verso il 650 quando l'arrivo di profughi grecofoni da Siria, Anatolia ed Egitto ne snaturò a parlata; i neolatini del Pindo, dell'Epiro meridionale e della Tessaglia sono forse dei fuggiaschi dalla Dacia?!

La lingua latina si stava lentamente imponendo anche ad oriente (ad occidente non incontrando nessuna "civiltà" e nessuno stato moderno si era imposto in poche decadi.

Vuoi la prova? il greco attuale è stato imposto nel 1973 quando ha soppiantato il "Romaico"; si tratta di una lingua artificiale (tipo l'attuale israeliano) creata durante il risorgimento greco da puristi della lingua ellenica che lentamente si è sovrapposta ed ha soppiantato la parlata dell'ellade, figlia del "bizantino" una lingua "melting" (spero il termine sia giusto) che aveva oltre il 30% di termini latini (i vecchi comunque lo parlano ancora).

Come se Mussolini avesse voluto togliere come "stranierismi" tutte le parole d'origine greca dall'italiano (oltre il 15% della nostra parlata abituale è composta da termini greci: idraulica, geografia, enoteca e chi più ne ha più ne metta e la percentuale sale al 20% nell'italiano aulico).

Ricordiamoci che gli albanesi attuali sono scesi dalla Serbia in due ondate, la prima nel 600 d.C. sotto la spinta degli slavi, la seconda durante l'invasione turca, sulla costa e in parte anche nell'interno si parlava una lingua neolatina.

Le lingue parlate in una regione cambiano innumerevoli volte, la Macedonia dove (ancora all'epoca di Filippo il Grande) si parlava una lingua dinarica (parente dell'albanese, del tracio, del daco ecc.) è stata soppiantata dal greco, poi dal latino (neolatino come l'arumeno e il megalorumeno ancor oggi minoritari ma presenti), poi sono arrivati bulgari che hanno introdotto una lingua slava (imparata per strada visto che loro erano o ugro finnivci o più probabilmente turco-turanici) che oggi è maggioritaria nella regione (checché ne dicano i greci prova ad uscire 10 km da Salonicco, anche in direzione sud, e senti cosa parlano).

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A questo punto Renato dice la sua:

Che interessante discussione! Vorrei però chiedere a MAS da che fonte ha tratto l'informazione che in Anatolia c'erano aree neolatine. Io non ne ho mai sentito parlare, ma potrebbero costituire materiale molto interessante. Da quel che so, in epoca bizantina in Anatolia predominava il greco quasi ovunque, l'armeno nelle regioni orientali e il galata (lingua celtica parlata nella zona di Ankara) era ormai quasi estinto.

In compenso nel territorio dell'odierna Grecia il greco era prevalente, ma in una linea spostata leggermente più a nord, comprendente anche la Macedonia, l'Epiro e i monti Rodopi in Tracia. La linea tra romanzo e ellenico all'epoca passava da quelle parti. Furono poi gli Slavi a sospingere alcune popolazioni balcaniche romanze giù per la catena del Pindo.

L'arumeno e il meglenorumeno (come l'istrorumeno, estintosi nel XIX secolo in Istria) sono considerate più vicine al rumeno della Dacia che al morlacco e al dalmata (parlati rispettivamente nelle regioni interne e costiere dell'ex Jugoslavia), che invece avevano una somiglianza straordinaria con le lingue dell'Italia peninsulare (beninteso, senza tener conto del bacino padano, che linguisticamente è galloromanzo). Per cui... forse davvero gli Arumeni della Grecia sono giunti dalla Dacia, oppure, più verosimilmente, sono i parlanti più meridionali di un antico continuum dialettale che dalla Macedonia passava per la Tracia e giungeva fino ai Carpazi. Non mi sembra un'ipotesi campata per aria, data l'attuale diffusione della lingua rumena molto al di fuori dei confini dell'antica provincia imperiale in direzione delle pianure ucraine che testimonia una vocazione alla migrazione e una forte identità etnica.

Riguardo invece la questione dell'espansione latina in occidente, quello che hai detto è vero a metà. Il latino non si impose affatto in poche decadi, se non nelle grandi città, come potevano essere Mediolanum, Augusta Treviorum o Lugdunum, che certamente furono latine fin dai primi anni di colonizzazione romana secondo una dinamica che ben conosciamo anche al giorno d'oggi: l'innovazione prima parte dai grandi centri e poi si dirama attraverso le vie di comunicazione verso i luoghi più reconditi. Per raggiungere ogni valle ci vollero secoli, e forse non bastò nemmeno l'intero periodo imperiale.

Si hanno testimonianze indirette di gallico parlato nell'odierno nord della Francia ancora in tarda epoca imperiale (credo con Gregorio di Tours), mentre nella regione spagnola della Galizia il celtico continentale pare sia scomparso solo nel XV secolo. Bisogna comunque dire che il trend nell'Impero Romano d'Occidente era certamente basato sulla sostituzione delle parlate locali con la lingua latina. La Britannia ha costituito una grande eccezione alla latinizzazione occidentale e non saprei spiegarmi perché, data la romanizzazione non indifferente della regione che si deduce dai reperti ritrovati (alcuni addirittura sono stati trovati in Irlanda, testimoniando quanto siamo andati vicini alla romanizzazione completa almeno del sud della Gran Bretagna).

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Anche Enrico si inserisce nella discussione:

Da quanto ho letto, mi risulta che il greco era la lingua parlata in "Trinacria" dal popolo (anche nelle aree occidentali non soggette alle colonizzazioni elleniche) fino a molto dopo la caduta dell'Impero.
Il latino era l'idioma dei ceti più abbienti, probabilmente per dimostrare il loro "servilismo" nei confronti della potenza dominante.

A questo punto ritengo che la successiva occupazione bizantina del 535, almeno dal punto di vista linguistico, sia stata congeniale per i Siciliani.

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MAS riprende il filo del suo discorso:

Sembra che in epoca imperiale (all'epoca di Masada, 70 d.C.) i comandi nell'esercito romano venissero dati in dialetto siciliano che era una sapiente mistura di termini: italici (siculi che parlavano un dialetto latino-falisco), greci (data l'assoluta predominanza di tale lingua nei centri costieri e dell'immediato entroterra anche occidentale; Selinunte e Segesta, all'estremo Ovest erano pur sempre città greche), latini (lingua che si stava imponendo, sopratutto tra le classi più abbienti) e in minor misura punici.

Malgrado la presenza bizantina (Siracusa fu capitale dell'Impero Romano d'Oriente durante il VII sec.), l'uso del greco, già prima dell'occupazione araba, si stava restringendo alla costa orientale, mentre nel resto dell'isola si stava imponendo l'uso del siciliano neolatino, dal quale deriva l'attuale siciliano (che ha però ricevuto consistenti apporti dall'arabo, dal francese e dallo spagnolo) che, nella Sicilia orientale ha mantenuto più termini di origine greca (niko = piccolo e non picciriddu, carina = schiena e non schina ecc.) nonchè alcuni apporti gallo-italici (dalle numerose minoranze "lombarde" stanziate in epoca Sveva ed Angioina in provincia di Catania e in quella d'Enna o Castrogiovanni, qual dir si voglia).

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Lapidario l'intervento di Basileus TFT:

Da bizantinista rispondo che il greco non rischiò mai di essere soppiantato dal latino. Sostengo la tesi di Never75.

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Subito Never75 coglie la palla al balzo:

Tanto più che in Oriente, già da prima di Alessandro Magno, il greco era la lingua dei commerci.

Non avrebbe avuto senso esportare il latino nelle province orientali, dato che non lo capiva nessuno.

Senza dimenticarci l'importanza della letteratura greca per i Romani, che considerarono la propria addirittura inferiore alla loro.

Un Marco Aurelio che scrive le proprie riflessioni in greco anziché in latino, dove lo mettiamo?

Un Adriano che parlava un latino dalla pesante pronuncia "spagnola" (e per questo era deriso da tutti) ma che parlava un greco perfetto e forbito, non lo consideriamo?

Che poi ci fossero state penetrazioni latine in Grecia, è possibile, ma che la lingua latina soppiantasse il greco, è un'assurdità. Sarebbe come dire che in Italia si parla più l'inglese dell'italiano solo perchè la gente ascolta più musica anglosassone che italiana.

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MAS non demorde:

Siamo semplicemente partiti da una proposta di un ucronista che cercava possibili cause di una neolatinizzazione della Grecia!!!

Io sostenevo che sarebbe bastato che l'Impero Romano: - si fosse ripreso dalla crisi iniziata prima di Diocleziano - avesse riportato la capitale a Roma - fosse sopravvissuto per almeno altri 2 o secoli.

Certamente l'occidente (fortemente latinizzato) aveva subito il fascino della superiore (al momento della sua conquista 600 anni prima) cultura ellenistica.

Da un punto di vista linguistico attorno al 400 d.C. il greco aveva cessato di espandersi con la caduta dei regni ellenistici (e forse anche qualche decennio prima) per cui da oltre 400 anni non aveva assolutamente allargato il suo bacino che anzi andava sempre più restringendosi con le seguenti regressioni totali: - Marsiglia e Nizza - la Sicilia con l'esclusione di Siracusa - l'Italia meridionale dove forse veniva ancora parlato in alcune località calabre e salentine (l'appartenenza del Grecano al greco bizantino fa quasi certamente escludere la sua derivazione da genti italiote, mentre è assai più probabile si tratti di greci giunti in tarda epoca bizantina o più probabilmente in epoca normanno-sveva) - l'Epiro - la Macedonia settentrionale.

È peraltro vero che la crisi dell'impero (conseguentemente degli scambi e trasporti) aveva messo in crisi l'unità linguistica latina e substrati (celtici, berberi, iberi) erano riemersi e avevano dato luogo più che a veri e propri dialetti ad un sistema di pronunciare il latino che si differenziava e anche di parecchio (basti pensare alla u lombarda o francese, alla c aspirata di origine etrusca, riemersa, guarda caso, in Toscana).

Una ripresa imperiale avrebbe dato nuova linfa al latino, che nel frattempo era cambiato (molti nuovi termini, provenienti dalle lingue assorbite e oramai estinte) assorbendo un'infinità di termini greci (che infatti si ritrovano in tutte le lingue romanze, per cui erano stati assorbiti dal linguaggio comune ancor prima della caduta dell'impero); con la capitale nuovamente a Roma ed una situazione sufficientemente stabile da permettere una forte ripresa economica e culturale, avrebbe visto un'ulteriore espansione del latino ai danni sopratutto del greco che, appunto era in fase regressiva da oltre 400 anni.

Al momento della crisi dell'impero il latino stava iniziando a penetrare in Tracia, Macedonia meridionale, Anatolia (parlate neolatine cessarono solo dopo l'invasione turca), Siria ed Egitto a tutto scapito del greco e nella stessa Grecia alcune aree stavano passando al latino (gli aromuni non sono originari della Dacia ma sono autoctoni): al momento della deposizione di Romolo Augustolo sulle pendici dell'Olimpo i pastori parlavano (e parlano, io ci sono stato) una lingua romanza.

Ripeto, dai altri due secoli a Roma e il greco sarebbe stato un bel ricordo.

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Anche Bhrg'hros si inserisce nella dotta discussione:

Queste sono le ucronie più riuscite coralmente, quelle in cui si evidenziano punti di divergenza che porterebbe a conseguenze macroscopiche ma specifiche oggi Ribadisco che la *pars construens* sia di MAS sia di Never75 è esatta.

È vero che gli Aromuni sono autoctoni; è vero che erano sul posto nel 476 d.C. (ciò comunque non vuol dire che fossero già maggioritarî; il grande aumento si è avuto qualche secolo più tardi, all'epoca erano maggioritarî i Macedoni antichi, comunque trilingui con la koiné come acroletto e il latino egnatino come mesoletto).

È vero che il latino si stava introducendo (ma attenzione: come mesoletto) nelle province orientali (ma non nel Tardoantico, solo prima, soprattutto da Caracalla a Costantino; nel Tardoantico invece in ogni Patriarcato prevaleva l'acroletto: non dimentichiamoci mai che l'Impero Romano era non solo plurilingue a livello basilettale, ma anche a livello acrolettale parlava cinque lingue, non due - latino, greco, aramaico-siriaco, copto, fenicio-punico, quest'ultimo in calo, controbilanciato però altrove dalla crescita dell'armeno).

È vero che le lingue preromane, prima di scomparire (per cui hanno impiegato dieci secoli dalla conquista!), hanno notevolmente influenzato il latino locale (non solo e non tanto nella fonologia, che è sempre incerta e nel caso dell'etrusco addirittura meno verosimile rispetto a un'origine longobarda della gorgia toscana, quanto invece per il lessico e soprattutto la toponomastica: per il lessico un buon 7%, che è già tantissimo consideratene le dimensioni enormi, e per la macrotoponomastica - solo essa, perché nella microtoponomastica ha prevalso la traduzione del toponimo - addirittura di più, in alcune zone padane e alpine fino al 50%!). Non ci sono stati periodi precedenti di scomparsa o grande calo delle lingue preromane; per i dettagli rimando al messaggio precedente, sulla differenza tra situazioni sociolinguistiche urbane e rurali.

È vero che le lingue romanze hanno assorbito una grande quantità di grecismi anche popolari, perché il greco è stato sia sostrato sia parastrato sia superstrato, a livello sia basilettale sia mesolettale sia acrolettale, ossia il greco è sempre stato privilegiato dai fatti nel processo di contatto interlinguistico (e a sua volta il latino, più ancora che sostituirsi al greco, ne costituiva il principale adstrato e superstrato).

È vero che le isole greche non solo nel Salento, ma anche in Calabria, non esisterebbero se non fossero state sostanzialmente rianimate da immigrazione bizantina e più tarda ancora.

D'altra parte, è vero che in tutte le isole linguistiche greche c'è completa continuità col greco antico (semplicemente, con sostituzione di varietà: prima dorica o achea o altro, poi koiné, poi bizantina, infine romaica); è altrettanto vero che il greco ha continuato a espandersi (proprio grazie a Roma) ben dopo la fine dei Regni Ellenistici e, né più né meno, nell'Impero d'Oriente (non c'è mai stata interruzione, sotto nessun imperatore, nemmeno con Giustiniano, il più romano di tutti gli Imperatori).

Marsiglia e Nizza sono rimaste greche (con aggiunta, senza svantaggio, del latino) proprio nel periodo in cui il latino si espandeva in Oriente: quando la Grecità delle due colonie greco-celtoliguri ha cominciato a recedere, altrettanto ha fatto la Latinità in Oriente. In Epiro e Macedonia si tratta di greci diversi: prima c'erano le lingue locali (paragreche) e il greco della koiné come acroletto, poi, man mano che il peso del latino è cresciuto, è aumentato anche quello del greco, mentre diminuiva il paragreco locale.

Quindi in realtà, se si tralascia la *pars destruens*, ognuno ha ragione e tutto è compatibile in un quadro unitario. Ciò però significa che il greco non scompare, date queste condizioni; sarebbe occorso di più. MAS propone tre condizioni:

1) la prima è autoevidente (ricordiamoci che la responsabilità della crisi non è dei Germani, che anzi avrebbero e fattualmente nella maggior parte dei casi hanno sacrificato la propria nazionalità - volontariamente o no - causando la crescita, addirittura esagerata, della Latinità; la crisi è consistita nel crollo infrastrutturale, a sua volta causato dalla crisi economica, conseguente all'arresto dell'espansione dell'Impero: l'Impero si è trasformato - non è mai caduto - perché non è riuscito ad annettere la Persia Sâsânide, la quale a sua volta ha provato a conquistare la *Pars Orientis *e a usare gli Unni e altri ancora, ma alla fine ha dovuto subire una trasformazione ancora più radicale, in forme 'islâmiche);

2) la seconda condizione è ridondante (qualsiasi capitale latinofona avrebbe avuto gli stessi effetti *e li ha avuti storicamente*, sia pure in àmbiti geopolitici più ristretti - i Regni Romano-Germanici - e comunque giganteschi se presi nel complesso: il latino si è espanso di più DOPO il 476 d.C. che prima!) e il fatto che Bisanzio non sia rimasta latina non è dovuto a una sua intrinseca grecità, anche perché era ancora in ragguardevole misura traco-dacomisia (nonostante fosse colonia greca!) al tempo di Costantino;

3) la terza è necessaria, ma va completata con una quarta per essere sufficiente e ottenere finalmente il risultato voluto dall'ucronia: i Patriarcati si sarebbero dovuti sostituire con un unico Papato (in questo caso, latino) - come infatti è stato tentato per tutto il periodo 1000-1500 e oltre, senza successo - e forse non in due secoli, ma in una dozzina, purché senza interruzioni e ovviamente senza Turcocrazia musulmana (per la quale ho grandissima simpatia, ma che è evidentemente abbastanza incompatibile con la latinizzazione della Grecia; piuttosto avrebbe potuto portare a una sua italianizzazione), si sarebbe formato un gruppo grecoromanzo (comunque diverso dal balcanoromanzo), teoricamente passibile di assomigliare all'italoromanzo meridionale estremo (che è letteralmente la lingua più vicina a un ipotetico grecoromanzo mai esistita), con le varie e alternative conseguenze ottocentesche ipotizzate da Renato.

Ma veniamo ora al discorso prettamente linguistico aperto da MAS. Tutte le posizioni sono corrette nella *pars construens*, le incompatibilità derivano solo dalle tesi sulla scomparsa, mentre le sopravvivenze delle lingue nominate sono tutte acclarate o quasi (quest'ultimo quando la situazione documentaria è scarsa).

Per praticità ricorro una volta per tutte alla terminologia sociolinguistica:

acroletto = lingua alta, di prestigio, scritta
mesoletto = lingua intermedia, veicolare, meno scritta
basiletto = lingua bassa, sempre nativa, non scritta

bilinguismo = due lingue occupano ciascuna tutti e tre i ruoli
diglossia = acroletto e basiletto (anche più di uno) ben distinti
dilalia = l'acroletto si usa anche in famiglia, mentre il basiletto non si usa mai a livello formale
diacrolettia = due o più acroletti coesistenti

Ancora all'epoca di Caracalla e fino a dopo Costantino, tutte le città dell'Oriente e dell'Africa e le ex-colonie greche in Italia e Sicilia erano caratterizzate da diacrolettia: in Italia e Sicilia greco e latino erano paritarî (nelle città greche, beninteso), in Oriente (Grecia inclusa) prevaleva il greco, col latino in risalita da mesoletto ad acroletto, in Siria-Palestina i due acroletti erano greco e aramaico (il latino era decisamente mesolettale), in Egitto erano acroletti il greco e il copto (l'aramaico era mesolettale) e il latino era intermedio tra acro-e mesoletto (ma ad Alessandria era acroletto, mentre il copto era mesoletto), infine in Africa (sempre nelle città) il latino era acroletto, il libico-berbero era basiletto, il fenicio-punico tendeva a occupare sia le funzioni basilettali sia quelle acrolettali, mentre il greco era la più importante lingua straniera, oltre che basiletto per gli schiavi e i liberti.

Nelle città dell'Occidente e del bacino danubiano prevaleva la diglossia: il latino era acroletto e quasi sempre anche mesoletto militare, il greco era solo basiletto servile e libertino, le lingue locali erano sempre basiletti e spesso anche mesoletti; nelle colonie latine si aveva dilalia, col latino acro- e basiletto, il greco basiletto servile e libertino e la lingua locale dei dintorni come mesoletto veicolare.
In tutte le campagne - a parte le ville, dove vigeva la situazione delle città (quindi varia a seconda delle regioni e anche a seconda che il padrone fosse romano o della nobiltà locale) - vigeva tipicamente la diglossia "alta", cioè col latino come acroletto di uso limitato (ma in espansione) e però unica lingua quando si trattava di scrivere, mentre la lingua locale era basiletto e anche mesoletto (se qui non interveniva un'altra lingua, sempre locale, ma diversa dalla precedente).

Questa situazione generale, in cui le principali differenze di situazione sociolinguistica distinguono la città dalla campagna, comporta specifici repertorî linguistici diversi a seconda delle regioni nominate nella discussione:

Anatolia: greco acro-, meso- e basiletto, latino acro- e mesoletto, aramaico (in parte anche frigio e armeno) mesoletto, lingue anatoliche (lidio, cario, licio, pisidico, isaurico, licaonico, forse mariandino) e altre lingue indoeuropee locali (misio, frigio, galatico, armeno) basiletti

Bisanzio: greco acro-, meso- e basiletto, latino acro- e mesoletto, tracio e daco-misio basiletti (immigrazione anche di basiletto aramaico e armeno)

Grecia: greco (koiné) acro-, meso- e basiletto, latino mesoletto, dialetto greco locale basiletto, siriaco basiletto servile e libertino

Macedonia: greco acro-, meso- e basiletto, latino acro- e mesoletto (con modesto ma crescente impiego scritto, quindi tipicamente acrolettale), antico macedone basiletto (in precedenza anche mesoletto)

Dalmazia: latino acro- e mesoletto (basiletto nelle colonie), greco mesoletto (basiletto nelle colonie), antico dalmatico basiletto, siriaco basiletto servile e libertino

Salento: latino e greco acro-, meso- e basiletti, messapico basiletto

Sicilia: latino acro- e mesoletto (basiletto nelle colonie), greco acro-, meso- e basiletto, fenicio-punico mesoletto (basiletto in colonie residue), siculo ed elimo (con possibili residui sicani) basiletti, siriaco basiletto servile e libertino

Galizia: latino acro- e mesoletto (basiletto nelle rare colonie), celtiberico mesoletto, gallaico basiletto, greco basiletto servile e libertino (raro)

Gallia: latino acro- e mesoletto (basiletto nelle colonie), gallico meso- e basiletto, belgico, celtoligure e aquitanico basiletti locali, greco e siriaco basiletti servili e libertini relativamente diffusi, dialetti germanici (sia orientali sia occidentali) mesoletti militare in crescita, alanico basiletto di singoli gruppi di veterani *peregrini*

Britannia: latino acro- e mesoletto (basiletto nelle rare colonie), britannico meso- e basiletto, goidelico, sassone e alanico basiletti di singoli gruppi di veterani *peregrini*, siriaco basiletto servile e libertino (raro)

In tutte queste situazioni l'unica varietà precaria è di solito il mesoletto; agli altri livelli si può instaurare una rivalità se ci sono due o più acroletti, mentre tra basiletti di solito si crea una complementarità territoriale. In ogni caso un acroletto e i basiletti tendono a essere molto stabili.

Qui la discussione si è focalizzata intorno ai rapporti in epoca tardoantica: il fenomeno che ha avuto conseguenze di maggior rilievo è stata la Cristianizzazione, in conseguenza della quale le lingue dotate di traduzione (anche se effettuata all'uopo) delle Sacre Scritture sono diventate praticamente inestinguibili (a meno di cambio della Religione stessa), mentre la massima parte delle lingue associate esclusivamente al Paganesimo - di fatto quasi tutte basiletti - ha ricevuto un duro colpo e, sia pure in un arco di tempo lunghissimo (cinque secoli), è stata progressivamente abbandonata fino alla scomparsa totale. Ciò si è verificato probabilmente già nella Parte Orientale, soprattutto però nella Parte Occidentale; il motivo è oggetto di accesissima discussione, in ogni caso deve essere in rapporto con la struttura dell'Impero d'Occidente e la ripartizione di poteri con i capi militari di origine germanica. Quali che ne siano le cause, il gallico e le altre lingue preromane, che in quest'area significa prelatine, sono stati man mano sostituiti come basiletti da forme basilettali (già esistenti) di latino, a partire dalle città passando dalle ville fino alle campagne e da ultimo alle montagne.

Il discrimine è rappresentato proprio dal regno di Teodosio; i territorî lasciati dall'Impero (anche nei decenni successivi; dopo il 476, invece che l'Impero contano i Regni Romano-Germanici) non hanno infatti subìto il processo, almeno in un primo momento. In tal modo la Britannia è rimasta 'congelata' nella situazione (pre)teodosiana, il Paese Basco in quella previsigotica e così via, mentre tutto il resto è stato latinizzato ai varî livelli.

Questo per quanto riguarda i basiletti; da notare che l'acroletto prevalente è stato determinato dalla congruenza con la situazione sociolinguistica della Sede Patriarcale di riferimento, quindi latino in Occidente (inclusa l'Africa, con grave intacco del fenicio-punico), greco in Grecia e Anatolia, siriaco in Siria-Palestina e copto in Egitto. Questo è stato un primo colpo per la latinità di Costantinopoli, che altrimenti sarebbe rimasta intatta in quanto praticamente colonia latina (sia pure tarda...), nonché per tutte le città greche e anatoliche con forte presenza del latino.

Il latino, tuttavia, ha avuto una nuova diffusione a Est perché si è creata una situazione analoga ai Regni Romano-Germanici (che in Occidente sono stati i vari artefici del completamento della latinizzazione, sia pure solo dopo la conversione al Cattolicesimo, senza la quale avrebbero invece operato una radicale germanizzazione): il Khanato Protobulgaro del Danubio, un vero e proprio regno Romano-Germanico senza Germani (o almeno senza un loro ruolo dominante) e con i Protobulgari del Danubio al loro posto. Nel suo primo periodo, il Khanato (di élite altaica, probabilmente turco-tatara) ha diffuso il latino danubiano e della Via Egnatia (e non quello adriatico: questo spiega la differenza col dalmatico di Ragusa) determinando la prima e massima diffusione del rumeno (in sèguito, invece, per ragioni geopolitiche dovute alla rivalità franco-bizantina, con la scomparsa del Khanato - slavofono - degli Avari è passato al campo filobizantino e ha promosso il greco come acroletto e il bulgaro - slavo - come meso- e basiletto). Ciò significa che il grande numero di Macedoromeni (o Aromuni o Arumeni) e in parte di Meglenoromeni nell'attuale Grecia settentrionale e nelle regioni finitime è dovuto alla romanizzazione operata nel primo periodo del Khanato Protobulgaro, secondo modalità tipiche della Pax Nomadica (lingua veicolare della popolazione coscritta diversa dalla lingua dell'élite, a sua volta diversa dalla lingua dei mercanti - generalmente iranici - finanziatori della Pax stessa), mentre la rottura dell'unità territoriale protoromena è dovuta al medesimo Khanato Bulgaro del Danubio nella sua fase successiva, a meso- e basiletto slavo meridionale, secondo le modalità dei Regni Cristiani (la lingua dell'élite convertita diventa lingua dell'intera comunità).

Nel frattempo, in Britannia l'immigrazione anglosassone e jutica aveva introdotto nell'isola nuove popolazioni propriamente colonizzatrici e con ciò due tipi di situazione sociolinguistica: nei territorî di primo insediamento, la coesistenza di due comunità distinte (anglosassone da un lato, britannica / britanno-latina dall'altro), mentre nelle fasi successive si è passati al bilinguismo 'asimmetrico unilaterale' (= metà della popolazione parlava solo anglico, sassone ecc.; l'altra metà aveva l'anglosassone come acroletto e il britannico come basiletto; il britanno-latino rimaneva come acroletto quasi solo scritto per entrambe le metà). In Britannia, la Cristianizzazione (terza e definitiva, dopo i primi decenni romano-imperiali e dopo l'attività dei Missionarî irlandesi della Chiesa Celtica) ha segnato, come in precedenza nell'Europa continentale, una drastica riduzione della complessità sociolinguistica, trasformando le comunità bilingue o addirittura bicomunitarie dell'Eptarchia anglosassone in sette o forse un'unica grande comunità anglosassone cristiana cattolica (nonché ortodossa) romana, nella quale, come di regola, la lingua dell'élite convertita (in questo specifico caso i re angli, sassoni e juti) è diventata la lingua dell'intera comunità; contemporaneamente, il britanno-latino veniva 'aggiornato' e sostituito dal latino ecclesiastico altomedioevale nelle funzioni di acroletto scritto fino a quando, dopo il 1066, un nuovo acroletto neolatino, il francese normanno, sarebbe stato introdotto insieme a una nuova élite germanica - settentrionale - in Inghilterra e successivamente nei Regni vicini). Laddove invece l'élite cristiana era, al momento della conversione, di lingua britannica e non anglosassone, la lingua dell'intera comunità è rimasta celtica (e specificamente britannica, nonostante che nei secoli precedenti ci fosse stata una cospicua infiltrazione gaelica: è notevole che il gaelico si imponesse solo laddove - in Caledonia - i Gaeli avevano creato un Regno con una propria élite gaelofona, ossia il Regno di Scozia, mentre in Gallese e Cornovaglia è stata l'élite britannica a conservare il monopolio linguistico 'cristiano'; le altre aree britannofone, il Regno dei Pitti e il Regno di Cumbria, sono state conquistate e assimilate rispettivamente dagli Scot(t)i e dagli Angli).

Come si vede, nessuna classe linguistica aveva un privilegio innato di imporsi: gli stessi Celti a volte si imponevano (anche tra di loro), altre soccombevano, a seconda che costituissero o no l'élite convertitasi al Cristianesimo. Altrettanto si osserva in Bretagna, dove l'élite costituita dagli immigrati dalla Britannia sudoccidentale generalizza, cristianizzandosi (o meglio ricristianizzandosi col sistema delle Pievi), la propria lingua sulle comunità locali, che erano ancora in situazione di diglossia gallico/latina ('bassa' nelle città, 'alta' nelle campagne). La celticità della Galizia è dovuta anch'essa all'immigrazione di comunità bretoni, che hanno rafforzato e in pratica ricelticizzato le comunità ispanocelto-latine locali (lo stesso si è verificato, a livello più piccolo, in singoli Comuni padani o italiani, Bertonico (Lodi), Castel dei Britti (Bologna), Bertinoro (Forlì - Cesena; *Brittinorum *aveva persino un vescovo bretone), Montelibretti (Roma) ecc.).

Simmetricamente, le comunità greche di Sicilia e dell'Italia meridionale sono sopravvissute, nei secoli, solo dove è continuata un'immigrazione della Grecia fino a dopo il 1000; tutto il resto - incluse le aree longobarde nonché quelle arabizzate - è stato progressivamente assimilato alla Romanità circostante (in Sicilia il processo è continuato fino al periodo normanno e svevo; in quello angioino ha avuto invece il culmine il processo di galloromanizzazione del Regno, di cui restano oggi relativamente scarsi residui nelle pur numerose comunità galloitaliche citate, tutte comunque diglottiche, col circostante siciliano come mesoletto).

In base a quanto precede, le due ucronie più efficaci dovrebbero essere quella della romanizzazione tardoantica (da ritardare ulteriormente in altomedioevale, cioè per effetto dei Bulgari e non di una drammatica fuga di Latinofoni dalla Dacia e dalla Mesia; in quanto altomedioevale invece che tardoantica, diventa inutile il postulato di una maggiore durata dell'Impero Romano indiviso) e quella della slavizzazione (sostanzialmente inalterata, salvo l'aggiunta della conquista bulgara di Bisanzio), mentre quella della romanizzazione precoce e, per gli stessi motivi, quella della turchizzazione necessiterebbero di un supplemento di meccanismi sociolinguistici (giacché altrimenti verrebbero falsificate dalla stessa Storia reale: i Romani e gli Ottomani hanno realmente dominato in Grecia, eppure il greco è rimasto, sia pure in misura minore di quello che si ritiene normalmente, ma pur sempre molto consistente): per l'Impero Romano basterebbe non tanto evitare la divisione in due Parti, quanto far oscillare ancora più a Est di quanto avvenuto con Diocleziano il confine tra le due (che pure ha subìto notevoli variazioni, a loro volta indipendenti dalla Linea Jireček che taglia in diagonale le attuali Macedonia e Bulgaria da Sud-Ovest a Nord-Est e rappresenta semplicemente il confine tra l'area di acroletto scritto latino e quella di acroletto scritto greco durante la maggior parte dell'epoca imperiale, ma è stata in sèguito superata dalla latinizzazione della Via Egnatia tra Roma e Costantinopoli e poi dalla rumenizzazione protobulgara), per l'Impero Ottomano occorrerebbe invece un genocidio più radicale di quello armeno (che non ha eliminato la nazione armena), a sua volta più profondo che lo scambio coatto di popolazioni espulse dopo la guerra greco-turca degli Anni Venti, la quale pure era stata più gravida di conseguenze che non cinque secoli di Turcocrazia.

L'ucronia persiana, infine, per conseguire lo scopo assegnato deve oltrepassare di molto i limiti dell'Impero Achemenide (nel quale non solo i Greci - specialmente in Panfilia e a Cipro - sono stati realmente sottoposti, sia pure non tutti, al dominio persiano, vivendovi e uscendone in ottimo stato e con molta più razionalità che misticismo, ma addirittura tutti gli altri popoli non hanno subìto la benché minima iranizzazione) e giungere, possibilmente appunto esteso ad altre parti dell'Europa e del Mediterraneo (e non solo attraverso la mediazione cartaginese), fino a un'epoca - nell'ucronia probabilmente più tarda che nella Storia reale, perché non stimolata dal conflitto con l'Impero Romano d'Oriente - in cui un'élite persiana di tipo Sâsânide avrebbe promosso la persianizzazione di tutte le classi dirigneti etniche dell'Impero (con il dovuto tempo; d'altra parte l'Islâm sarebbe stato, in assenza della fondamentale condizione costituita dal logoramento reciproco bizantino-persiano per quattro secoli, semplicemente una setta tra le tante vicino-orientali).

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C'è poi la proposta di Enrica S.: il dittatore Africano!

Nel 184 a.C. i conservatori misero in stato d'accusa Publio Cornelio Scipione l'Africano, loro acerrimo nemico, accusandolo di tradimento per essere stato troppo morbido nella guerra contro Antioco III di Siria. Scipione comparve di fronte ai tribuni nell'anniversario della battaglia di Zama, la sua più grande vittoria e, anziché rispondere alle accuse, trascinò con sé i giudici nel Tempio di Giove Capitolino per celebrare la storica ricorrenza. In quel momento egli avrebbe potuto sfruttare la sua enorme popolarità per imporsi come "uomo forte" e piegare a suo vantaggio le istituzioni della Repubblica. Tuttavia, da uomo rispettoso delle istituzioni qual era, rinunciò a scatenare una guerra civile e, amareggiato per l'ingratitudine dei suoi compatrioti, si ritirò in esilio volontario nella sua villa di Liternum, dove morì poco dopo a soli cinquantadue anni. Restano scolpite nella storia le sue parole: « Ingrata patria, non avrai le mie ossa! » Ma che accade se l'Africano prende il coraggio a due mani, si fa conferire la dittatura perpetua ed instaura a Roma de facto un'autocrazia personale, anticipando di gran lunga Silla, Giulio Cesare ed Ottaviano Augusto?

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Chiudiamo per ora con queste nuove ucronie culturali di aNoNimo: l'Enciclopedia del Mondo Antico!

Έταιρεία σοφίας: Riprendendo quanto detto da Lucio Russo ne”La Rivoluzione dimenticata”: la scienza ellenista del III secolo a.C. era paragonabile per sviluppo a quella europea del XVII secolo, la tecnologia forse anche più avanzata (la catena di trasmissione era presente in alcuni progetti del IV, e solo a metà Ottocento alcuni genieri tedeschi riuscirono a riprodurre quelle macchine proprio per l'invenzione della catena), ma vennero dimenticate perché pure idee, eredità culturale che i nuovi sovrani ellenisti e soprattutto i Romani (alla faccia del loro “pragmatismo”) vedevano inutile. Basti pensare ad Archimede, alla conquista parta di Babilonia o a Tolomeo VII Evergete, che promosse una tale purga dei Greci di Alessandria che per alcuni anni a capo della Biblioteca dovette essere posto un sergente! Al contrario la conoscenza medievale nacque, crebbe e si diffuse attraverso le università, che con la loro indipendenza e autosufficienza poterono inventare e coltivare il libero pensiero scientifico. Immaginiamo che però le varie scuole elleniste evolvano da categoria comprensiva di pensatori tra loro affini a istituzione scolastica. Il Museo di Alessandria potrebbe costituirsi come eteria di studenti e professori sul modello dello Studio Bolognese, e da lì diffondersi nel Mediterraneo: Alessandria, Atene, Rodi, Pergamo, Babilonia, Antiochia, Cartagine e Marsiglia. Scipione l'Emiliano da ordine di distruggere Cartagine, ma concede il salvacondotto agli studenti dell'eteria, che entreranno a far parte del Circolo degli Scipioni; Evergete sarà detronizzato dai Romani per il suo attacco all'eteria alessandrina mentre i rabbini d'Egitto creano la prima “cattedra” di teologia. Marco Aurelio poi concederà l'equivalente della costituzione “habita” all'eteria di Roma, mentre ammiragli romani rientrano ad Alessandria dopo il periplo del globo attraverso il canale di Suez.

Περί επιστήμης/1: Spin-off dell'ucronia precedente. Il concetto di enciclopedia ha 2000 anni e risale alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, se non al De Archi Tectura di Vitruvio: queste opere onnicomprensive dello stato della conoscenza di un'epoca sono il sintomo dell'imbarazzo romano di fronte alla grandezza del pensiero scientifico greco. Come però accade quando non esperti spiegano cose che non conoscono, le opere enciclopediche antiche sono piene di strafalcioni: Plinio pensava che le celle delle api fossero esagonali perché ogni zampa dell'animale faceva un lato, sebbene i Greci sapessero dal III secolo che era questione di uso efficiente degli spazi; Vitruvio si appropria impunemente di tutte le invenzioni greche, come il torchio a vite o il mulino, soltanto perché erano a lui ignote prima di vederle in uso nelle ville romane (volendo fare un esempio, sarebbe come se Francesco Bacone avesse detto di aver inventato la polvere da sparo perché era il primo in Europa a parlarne); Erone disegna giocattoli meccanici complicatissimi ma non sa spiegare la fisica che ne muove gli ingranaggi. Non che ad Erone Vitruvio o Plinio mancassero i testi da cui attingere, semplicemente non li capivano, e non capendoli da un lato li disprezzavano (Seneca diceva che i greci erano a lui inferiori perché pensavano a costruire ponti e studiare astri invece che discutere del sesso dei δάιμονες ) da un lato li usavano per stupire il lettore usando le stupefacenti conclusioni espungendo però le complicate e noiose passaggi dimostrativi (i giochi di Erone). E se invece un greco, magari per insegnare l'επιστήμη ai barbari, scrive l'equivalente ellenistico del “Dialogo sul metodo” e dei “Discorsi sopra due nuove scienze”? Il libro consegnerebbe ai barbari Romani le chiavi per comprendere l'avanzatissima scienza ellenistica, permettendo di evitare le proto-scienze e pseudoscienze aristoteliche e platoniche. Mario introduce negli eserciti romani il corpo dei genieri per sovrintendere all'uso delle nuove armi da guerra, Cesare circumnaviga la Britannia su navi più grandi della Siracusana di Archimede, Catilina scatena la rivoluzione in nome del contratto sociale stoico e Augusto, console unico della Seconda Repubblica Romana saluta il rientro di Agrippa dal periplo del globo al porto di Ostia, ricevendo da questi in dono un tacchino, un canguro e una tigre del Bengala.

Περί επιστήμης/2: L'Eγκύκλος παιδεία resta ignota ai Romani ma non agli arabi, che la riscoprono e la studiano. La rivoluzione scientifica comincia in Medio Oriente, dove la libera scienza si sviluppa e si affranca dalla religione, mentre l'Europa resta indietro e scoprirà la scienza solo con la colonizzazione araba del XVII secolo.

Περί επιστήμης/3: L'Eγκύκλος παιδεία viene ignorata dagli arabi (magari per l'eccessivo laicismo dei suoi autori) ma la sua traduzione in latino ad opera di Averroé spopola nell'Europa del XIII secolo. La mediazione scienza-fede su basi aristoteliche di Tommaso d'Aquino verrà sconfitta dalle avanzate scienze ellenistiche, mentre la separazione tra scienza e fede abbozzata dai nominalisti inglesi (Duns Scoto, Ockham, Bacone) sarà la dottrina dell'Università medievale: forse Darwin sarà anticipato da qualche monaco italiano che dichiarerà allegorica la Genesi. Oppure, senza la mediazione del Rinascimento, ci sarà una feroce crisi di rigetto (si pensi all'odio luterano per Copernico). C'è anche il rischio che i medievali si mettano ad interpretare l'Encyclopædia in modo esegetico come fecero con il Corpus Iuris giustinianeo (e come fecero, ad onor del vero, anche molti ellenisti), perdendo l'elemento sperimentale, ma l'esempio antico potrebbe rinascere molto prima, magari già nel '300 con la costruzione del primo telescopio...

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Cosa si può aggiungere davanti a tanta cultura? Se volete dire la vostra, scriveteci a questo indirizzo.


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