Ucronie della Prima Repubblica

Cosacchi a San Pietro (ma non troppo...)Dossetti SuperstarIl microfono di DioL'altro QuirinaleL'Anno dei Miracoli (o no?)BerlusconeideUn servitore esemplare dello Stato Il Secondo SegniPericolo scampato, Presidente!Enrico Mattei al QuirinaleLa crisi dell'Achille LauroE se il disastro di Černobyl' non fosse mai avvenuto?I Colli EuganeiCraxi nello spazioAddio a CraxiRequiem (anticipato) per SaddamIl Polo Lombardo dell'auto

Queste sono le versioni alternative della storia della cosiddetta "Prima Repubblica" pensate da Demofilo:

Cosacchi a San Pietro (ma non troppo...)

Riprendendo una puntata straordinaria de "La Storia siamo Noi" di Gianni Minoli, andata in onda nel marzo 2006, ecco un'ucronia su un possibile successo del Fronte Democratico Popolare alle elezioni politiche dell'apocalittico 18 aprile 1948. Vittoria dei socialisti e dei comunisti del Fronte Popolare con il 50,8% dei voti, seguiti dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi, che insieme ai partitini laici (socialdemocratici, repubblicani e liberali) tocca quota 35,7%. I restanti voti vanno all'Uomo Qualunque di Giannini e alla destra monarchica di Vincenzo Selvaggi.

Incertezza sul possibile nuovo esecutivo della repubblica. Viene eletto presidente della Camera il comunista Giorgio Napolitano, mentre al Senato diventa presidente il liberale Benedetto Croce. Alla presidenza della repubblica va il democratico del lavoro Ivanoe Bonomi, il quale convoca al Quirinale il cattolico democratico Giuseppe Dossetti. Questi forma un esecutivo moderato e riformista con Nenni all'Interno, De Gasperi agli Esteri, Togliatti alla Giustizia, Longo al Lavoro e politiche sociali, La Pira all'economia e finanze con delega al bilancio, Parri alla Difesa. Per l''Italia, senza più tensioni sociali, inizia un'era di pace e prosperità.

 

Dossetti Superstar

Il Terzo Congresso della Democrazia Cristiana a Venezia, tenutosi il 2-6 giugno 1949, è teatro di una forte resa dei conti all'interno del partito dello scudocrociato. Dopo il consueto inno "Bianco Fiore, simbolo d'amore!" e le bandiere bianche e scudocrociate che sventolano nel Centro Fiere che ospita l'assise dei democratici cristiani, il segretario politico Giuseppe Cappi apre con una relazione che illustra la situazione del governo e del partito. Nel pomeriggio interviene il fondatore e presidente del consiglio Alcide De Gasperi che ricorda la possibile convergenza fra le varie anime del partito, senza spezzare l'unità dei cattolici in politica. Durante la notte iniziano le riunioni delle varie correnti del partito bianco.

Nella mattina del 3 giugno prende la parole l'ex-segretario del partito Attilio Piccioni, esponente di "Politica Popolare", area vicina a De Gasperi, che ricorda il ruolo svolto dal partito nella costruzione della democrazia in Italia. Nel pomeriggio abbiamo gli interventi del ministro dell'interno Mario Scelba, di Giuseppe Spataro e del sottosegretario alla presidenza del consiglio, il giovane Giulio Andreotti. Il giorno seguente si apre invece con l'intervento della destra del partito, capeggiata da Stefano Jacini e Carmine De Martino e facente parte del gruppo dei "vespini"; assunsero tale nome dal luogo di fondazione, il Vespa Club di Roma.

Nel pomeriggio si registrano le prime contestazioni alla linea liberista pura e selvaggia espressa durante l'intervento di De Martino, definito "la quinta colonna della Confindustria". Il 5 giugno, terza giornata del congresso, è la sinistra democratica cristiana a tenere banco. Nella mattinata è alla ribalta "Politica Sociale", erede diretti del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, capeggiata da Giovanni Gronchi con Achille Grandi, Giuseppe Rapelli e Fernando Tambroni, mentre nel pomeriggio prende la parola Giuseppe Dossetti, leader di "Cronache Sociali", affiancato da Giorgio La Pira, Amintore Fanfani e da illustri intellettuali cattolici come Giuseppe Lazzati e Achille Ardigò.

Nello stesso pomeriggio sono ufficializzate le varie candidature: Paolo Emilio Taviani per "Politica Popolare", Carmine De Martino per i "vespini", Giovanni Gronchi per "Politica Sociale" e Giuseppe Dossetti per "Cronache Sociali". Durante la notte c'è un incontro a tre tra De Gasperi, Gronchi e Dossetti. Nella mattinata del 6 giugno 1949, ultimo giorno di Congresso per la Democrazia Cristiana, mentre De Martino conferma la candidatura alla segreteria, interviene Gronchi indicando come candidato unico per "Politica Popolare", "Politica Sociale" e "Cronache Sociali" Giuseppe Dossetti. Il ministro Scelba, Giuseppe Pella e Tambroni abbandonano l'assise mentre don Luigi Sturzo benedice l'intesa e il candidato Giuseppe Dossetti, che viene eletto quarto segretario del partito.

Alla presidenza onoraria viene nominato don Sturzo, alla presidenza del partito Gronchi, responsabile amministrativo Tavini e responsabili del settore giovanile Andreotti e Tina Anselmi. Il "Popolo" viene affidato a Giuseppe Spataro e la "Discussione" a La Pira. La Democrazia Cristiana conferma naturalmente pieno appoggio all'esecutivo De Gasperi e apre la cosidetta "terza fase sociale" per il governo in materia di politiche contro la disoccupazione, a favore delle famiglie e dei lavoratori. Mentre la Democrazia Cristiana ha questa evoluzione, in linea con il precetto degasperiano "un partito di centro che guarda a sinistra", il cosiddetto "Partito Romano" di Scelba, Pella e Tambroni fonda con Luigi Gedda il movimento "Patto Cristiano-Comitati Civici", dove ben presto confluisce la destra cattolica tradizionalista, con esiti minimi in termini di voti e lo sconcerto dello stesso papa Pio XII. In questo modo rientrano nel partito di De Gasperi i cristiani sociali di Gerardo Bruni: è la fine dell'unità politica dei cattolici...

 

Il microfono di Dio

Ricordate padre Riccardo Lombardi, il "microfono di Dio", il fido cavaliere che, insieme al professor Luigi Gedda, portava avanti la battaglia "Per un Mondo Migliore" di papa Pio XII? Ebbene, nel 1952 si tengono a Roma le elezioni Comunali. Pio XII paventa la vittoria del blocco del socialcomunisti che presentano come candidato il liberale ed ex-presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti. Chiama Gedda e Lombardi e li invita a contattare don Luigi Sturzo, il maestro di Alcide De Gasperi, con il compito di convincere il leader della Democrazia Cristiana a formare un polo con le forze conservatrici della destra. In particolare il Partito Nazionale Monarchico di Enzo Selvaggi, il fronte dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante. Sturzo rifiuta giustificandosi per motivi di salute. Pio XII decide quindi di contattare il presidente del consiglio che però rifiuta categoricamente, opponendo la storica dichiarazione: "la DC è un partito di centro che guarda a sinistra". Il papa, a questo punto, decide di mollare l'operazione, sotto il consiglio del sostituto alla segreteria di stato, monsignor Giovan Battista Montini. Gedda e Lombardi non hanno quindi più il supporto del papa, ma l'appoggio dell'ala tradizionalista del Vaticano, in particolare i cardinali Ottaviani e Siri. Il "microfono di Dio" decide di formare una lista dei "Comitati Civici", simbolo una croce sotto una corona di spine, che contiene cattolici tradizionalisti, monarchici, qualunquisti e missini con candidato al Campidoglio Luigi Gedda. La DC e gli alleati (Psdi, Pri e Pli) candidano Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del consiglio mentre le sinistre Nitti. Dopo un'infuocata campagna elettorale vince Andreotti e la coalizione di governo con il 54% dei voti, sconfitta per Lombardi e la sua "operazione" che non supera il 15%

 

L'altro Quirinale

L'elezione del Presidente della Repubblica è sempre stato uno dei passi più complicati del nuovo sistema istituzionale, poiché si sono sempre intrecciati interessi pubblici e privati nel designare gli inquilini del Colle. Ecco cosa ho pensato se le elezioni del Capo dello Stato fossero andate diversamente.

28 giugno 1946: l'Assemblea Costituente, eletta il precedente 2 giugno, nomina capo provvisorio dello stato il noto filosofo e storico napoletano, il liberale Benedetto Croce. Infatti dopo una lunga discussione è scelto un sostenitore della monarchia, sconfitta al referendum, vista soprattutto la portata di tale causa che è stata superata dai repubblicani con soli due milioni di voti. Inizialmente infatti si era pensato all'ultimo presidente della camera dei deputati, il liberale Enrico De Nicola, ma dopo un suo rifiuto si decide per un altro napoletano, liberale e monarchico: Benedetto Croce, appunto.

11 maggio 1948: per la prima volta le due camere riunite, il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati, eleggono in seduta comune il capo dello stato. Inizialmente il Partito Liberale e il Partito Repubblicano propongono la candidatura dell'economista liberale Luigi Einaudi, ministro del bilancio, appoggiato anche dai settori conservatori della Democrazia Cristiana, dal Fronte dell'Uomo Qualunque, dal Partito Nazionale Monarchico e dallo stesso Movimento Sociale Italiano. Successivamente però il presidente del consiglio Alcide De Gasperi propone il conte Carlo Sforza, ministro degli affari esteri in carica; tale scelta viene motivata con la sua fede antifascista, repubblicana ed europeista. La sinistra socialcomunista, il Partito Socialista Democratico e i quadri generali della Democrazia Cristiana appoggiano tale scelta e Carlo Scorza diviene il secondo inquilino del colle.

29 aprile 1955: dopo un settennato voluto soprattutto dai progressisti, i conservatori della Democrazia Cristiana impongono che la carica di nuovo Presidente della Repubblica vada a Mario Scelba, presidente del consiglio in carica e per tanti anni ministro dell'interno, nonché leader della corrente di destra Forze Libere. Così il Parlamento riunito in seduta comune elegge il terzo capo dello stato grazie al voto favorevole della Democrazia Cristiana, del Partito Liberale, della destra monarchica e missina. Vanno poi registrati il voto negativo del Partito Comunista e del Partito Socialista e l'astensione di socialdemocratici, repubblicani e del senatore a vita don Luigi Sturzo, ex-maestro di Scleba, in dissenso per la scelta "calata dall'alto".

6 maggio 1962: i giorni preannunciano una possibile staffetta al Quirinale tra Scelba ed un altro esponente della destra del partito dello scudo crociato, Antonio Segni, ministro degli esteri in carica e già presidente del consiglio e responsabile di numerosi dicasteri in altrettanti governi dal 1951 in poi. Ma questa volta è il Partito Repubblicano a proporre l'elezione di Ugo La Malfa, ministro del bilancio in carica. La sua candidatura è appoggiata dal governo di centro-sinistra di Amintore Fanfani con l'assenso sia del Partito Comunista che di alcuni esponenti del Partito Liberale, mentre le destre votano contro. Ugo La Malfa diviene quindi il quarto Presidente della Repubblica Italiana.

28 maggio 1969: questa volta la Democrazia Cristiana candida ufficialmente Giovanni Leone, ex presidente del consiglio e della camera dei deputati, mentre il Partito Socialista Unificato (Psi + Psdi) candida Giuseppe Saragat, esponente storico del centro-sinistra e più volte ministro. Di fronte a queste due posizioni nette e non modificabili, interviene l'abile tessitura politica di Aldo Moro, ministro degli esteri in carica, che decide di candidare Aminore Fanfani, presidente del Senato della Repubblica. Ed è così che il "candidato non ufficiale" alla fine viene eletto alla carica di capo dello stato con i voti della coalizione di governo in carica e dei comunisti, mentre liberali e destre si astengono.

15 maggio 1976: l'elezione del Presidente della Repubblica avviene sotto la cappa del terrorismo politico e mentre nascono i "governo di unità nazionale" tra il centro-sinistra e i comunisti. Di fronte ad una politica che continua ad allontanarsi dalla gente e con un paese in preda alla paura del terrorismo, il candidato è uno solo: Aldo Moro, ministro dell'interno in carica e fautore del centro-sinistra e dell'unità nazionale. Aldo Moro diviene così il sesto inquilino del Quirinale grazie a voti della larga coalizione di governo e l'astensione del Movimento Sociale Italiano.

30 aprile 1983: con Bettino Craxi a Palazzo Chigi inizia ufficialmente un decennio dove il Partito Socialista Italiano diventa vero arbitro della politica italiana. E così è proprio il presidente del consiglio a proporre l'elezione di Sandro Pertini. Il centro-sinistra, il Partito Liberale e il Partito Comunista votano a favore mentre si registra il voto contrario della destra missina poiché Pertini è stato comandante partigiano e fiero antifascista. Sandro Pertini continuerà l'opera di Moro lanciando messaggi per rinnovare la politica e le istituzioni.

12 maggio 1990: questa volta a capo dello stato è candidato ufficialmente Giulio Andreotti, presidente del consiglio in carica con alle spalle ben sei esecutivi da lui guidati e numerosi dicasteri. Andreotti ha l'appoggio del cosiddetto "Pentapartito" (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli), l'astensione del Partito Comunista, il voto favorevole del Movimento Sociale Italiano e il voto contrario di Democrazia Proletaria e del Partito Radicale. Durante il suo settennato vedrà la fine la cosiddetta "Prima Repubblica", dovuta a numerose cause (crollo del Muro di Berlino, Tangentopoli, ecc...) e si avrà la nascita di un nuovo assetto transitorio.

13 maggio 1997: l'elezione del nuovo capo dello stato matura dopo un difficile confronto tra il governo di centro-sinistra e le opposizioni di destra. Saranno infatti il presidente del consiglio Romano Prodi e il ministro dell'economia Carlo Azeglio Ciampi a proporre la candidatura della popolare Rosa Russo Jervolino al Quirinale. Dopo l'iniziale posizione favorevole di Gianfranco Fini e di Alleanza Nazionale, tutto il Polo dà l'appoggio alla Jervolino: è il primo Presidente della Repubblica donna della storia della Repubblica Italiana. La Lega Nord vota contro poiché "è del Sud" (tsk).

22 maggio 2004: questa è una delle elezioni più difficili. Il governo di destra della Casa delle Libertà ha infatti proposto la candidatura del presidente del consiglio in carica, Silvio Berlusconi, che però viene bocciato per ben sette votazioni dai franchi tiratori della sua stessa maggioranza. A questo punto è lo stesso presidente della Margherita Francesco Rutelli a proporre la candidatura del senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, appoggiata dall'Ulivo, dall'Italia dei Valori, dal Partito della Rifondazione Comunista, dall'Udc e da ampi settori di Forza Italia. Oscar Luigi Scalfaro diviene il decimo Presidente della Repubblica; durante la votazioni la Lega Nord, Alleanza Nazionale e lo stesso Silvio Berlusconi votano contro.

 

L'Anno dei Miracoli (o no?)

Il grande storico Silvio Lanaro ha definito il 1968 "L'Anno dei Miracoli", o anche "L'Anno degli Studenti".

Mentre la protesa studentesca scoppia nei principali campus degli Stati Uniti, nei prestigiosi atenei d'Europa e nei centri universitari dell'America Latina e del Giappone, in Italia tutto sembra tranquillo. Sembra, naturalmente! Infatti la protesta vera e propria inizia il 1 marzo 1968 con la famosa "Battaglia di Valle Giulia" a Roma, evento scandito da canzoni come "Il Primo marzo sì, me lo rammento, saremo stati più di cinquecento, e caricava giù la polizia, e gli studenti la mandavan via!"

Ad ogni modo gli incidenti intorno alla "Sapienza" di Roma sono un campanello d'allarme per il governo, presieduto dal democratico cristiano Aldo Moro. Il Consiglio dei Ministri del 15 marzo 1968, approva il testo della nuova riforma universitaria, elaborata dal ministro della pubblica istruzione (naturalmente con delega all'università e alla ricerca scientifica), la democratica cristiana Franca Falcucci. Tale testo dà agli atenei italiani una maggiore autonomia nei confronti del ministero e del governo, con piani di studi diversi, una didattica ammodernata ai tempi e un rapporto meno intransigente tra docenti e studenti.

In questo modo le possibili "rivendicazioni materiali" da parte del Movimento Studentesco, nato in quei giorni a Milano e Roma, erano praticamente cadute. L'iter parlamentare avrebbe confermato la riforma Falcucci e entrata in vigore ufficialmente per l'anno accademico 1968/1969. Ad ogni modo le varie dimostrazioni non finirono dopo Valle Giulia. Alcuni gruppi infatti prendono d'assalto, il 7 giugno 1968, la sede del "Corriere della Sera", accolgono con uova marce la borghesia milanese mentre questa entrava alla prima del Teatro La Scala di Milano il 7 dicembre 1968, e lanciano pomodori contro la discoteca "La Bussola" di Viareggio, durante la notte di Capodanno, per rovinare, come diceva il volantino, "la festa dei padroni".

A parte comunque queste operazioni di facciata, il Movimento Studentesco è privo di una sua anima e la condanna più forte viene dalla penna di Pier Paolo Pasolini nel "Il PCI ai giovani", nel quale condanna i "figli di papà che si scontravano con la polizia, figli di povera gente". In sostanza Pasolini contesta l'anima stessa della protesta, portata avanti da figli di imprenditori della borghesia medio-alta. durante il 1969 fortunatamente tutto cambierà con lo scioglimento del movimento, dopo numerosi scontri interni. Và ricordato che nel 1968 si sarebbe completata l'unificazione del Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni e del Partito Socialdemocratico Italiano del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nel Partito Socialista Unificato (dicitura utilizzata dai riformisti di Giacomo Matteotti nel 1922 dopo la scissione), premiato naturalmente dall'elettorato con un forte 20,2%.

 

Berlusconeide

Silvio Berlusconi, noto imprenditore edilizio ed editore, si reca, il 10 maggio 1982, nelle sede nazionale del Partito Comunista Italiano, a via delle Botteghe Oscure per un incontro privato con il segretario Enrico Berlinguer. Durante la discussione Berlusconi, nominato "cavaliere del lavoro" dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, dichiara di aver sempre "ammirato e votato il PCI, il più grande partito del socialismo democratico presente nell'Europa Occidentale", e decide di "offrire le sue televisioni alla causa rossa".

Dopo un'iniziale di titubanza, Berlinguer accetta e la falce e martello riempie regolarmente gli schermi delle televisioni private di Berlusconi. Tra i due sarebbe nata un'inattesa amicizia e Berlinguer avrebbe fatto da testimone alle seconde nozze dell'imprenditore con l'attrice di teatro Veronica Lario nel 1983, e sarebbe stato il padrino anche del figlia Barbara, nata nel 1984. E proprio durante la primavera del 1984 Berlinguer manca dalla scena politica per un mese, passato all'ospedale di Arcore e ritorna più in forma che mai. Nel 1986 organizza infatti il XVII Congresso del Partito Comunista Italiano (9-13 aprile 1986 a Firenze) e avvia la "terza fase socialdemocratica" trasformandolo in Partito del Socialismo Europeo ed entrando nei governi di centro-sinistra guidati da Ciriaco De Mita. Al Congresso di Rimini del 10-13 maggio 1993 Berlinguer diventa presidente onorario, Silvio Berlusconi nuovo segretario nazionale e Massimo D'Alema suo vice...

 

Un servitore esemplare dello Stato

Nato a Saluzzo nel 1920, Carlo Alberto dalla Chiesa entra nella Resistenza, partecipando alla presa di Roma nel giugno 1944 con gli Alleati. Successivamente prende parte alla lotta contro il banditismo al comando di Compagnia e, dopo numerosi successi, è spostato in Sicilia nel 1949 per operare contro l'EVIS e il Movimento Separatista Siciliano, origine di illegalità e di continui attentati. Conosce in questi anni i sindacalisti Placido Rizzotto e Pio La Torre, in più occasioni coinvolti in attentati ed agguati ma fortunatamente usciti illesi e protetti dallo stesso Dalla Chiesa.

Durante la parentesi del servizio a Firenze, a Como e successivamente presso la capitale, ha un contrasto con il generale Giovanni De Lorenzo nel coordinamento degli istituti di istruzione dell'Arma. Nel 1966, dopo la nomina a colonnello, ritorna in Sicilia, al comando della legione carabinieri di Palermo. Assicura alla giustizia mafiosi come Gerlando Alberti e Frank Coppola, solo per citare i più conosciuti, ed inizia una profonda ricerca dei collegamenti tra mafia e politica.

Nel 1968 i suoi uomini intervengono in soccorso delle popolazioni del Belice, colpite dal sisma, guadagnandosi una medaglia di bronzo al valor civile per la partecipazione alle operazioni in prima linea. Nel 1973, dopo la nomina a generale di brigata, diviene comandante della regione militare del nord-ovest (Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria). Qui inizia la "grande battaglia" contro le Brigate Rosse: nel settembre 1974 cattura il capo storico delle BR, Renato Curcio, e Alberto Franceschini. Nel 1977 è nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena; passando generale di divisione, ottiene in seguito, il 9 agosto 1978, poteri speciali per diretta determinazione governativa ed è nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la Lotta contro il Terrorismo: una sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del Viminale. Nel marzo 1978 riesce ad arrestare Mario Moretti e a sventare il possibile sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e presidente della repubblica dall'autunno 1978.

Nel 1979 Dalla Chiesa viene intanto nominato comandante della divisione "Pastrengo" a Milano. Nel 1981 partecipa attivamente alle operazioni per ritrovare i documenti di Licio Gelli e della P2, confessando che anni prima lo stesso De Lorenzo gli aveva passato una domanda di adesione a questa loggia massonica, ma l'aveva respinta.

Il 2 maggio 1982 il presidente del consiglio, il repubblicano Giovanni Spadolini, lo invia in Sicilia come prefetto di Palermo per combattere l'emergenza della mafia con poteri speciali che in più occasioni fanno indispettire parte della classe politica sicula legata alla malavita organizzata. Il 3 settembre 1982 Carlo Alberto Dalla Chiesa giura nelle mani del capo dello stato, il presidente della repubblica Aldo Moro, come ministro dell'interno nel secondo governo guidato da Spadolini e darà un contributo decisivo allo sradicamento della mafia in Sicilia e nell'Italia del Sud. Carlo Alberto dalla Chiesa si spegnerà a Torino il 3 settembre 2000.

 

Il Secondo Segni

Elezioni politiche del 27 marzo 1994: ai blocchi di partenza di presentano il Patto per l'Italia, coalizione che unisce il Partito Popolare di Mino Martinazzoli, il Patto Segni di Mario Segni, il Partito Repubblicano Italiano di Giorgio La Malfa, i Socialisti Democratici di Giuliano Amato, la Rete per il Partito Democratico di Leoluca Orlando, Alleanza Democratica di Willer Bordon, i Cristiano Sociali di Pierre Carniti, la Federazione dei Laburisti di Valdo Spini e con l'appoggio di movimenti regionali come il Sudtiroler Volkspartei, la Lega per l'autonomia Alleanza Lombarda e la Liga Fronte Veneto; l'Alleanza dei Progressisti che unisce il Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto, i Socialisti Riformatori per l'Europa di Giorgio Benvenuto, la Sinistra Repubblicana di Giorgio Borgi, il Partito della Rifondazione Comunista di Armando Cossutta, il movimento Agire Solidale di Giuseppe Lumia e la Federazione dei Verdi con Carlo Ripa di Meana; e il Polo delle Libertà e del Buon Governo formato da Forza Italia di Silvio Berlusconi, il Movimento Sociale Italiano di Gianfranco Fini, la Lega Nord di Umberto Bossi, l'Unione Democratica di Raffaele Costa e il Centro Cristiano Democratico di Pierferdinando Casini.

Dopo una campagna elettorale infuocata si svolgono così le prime elezioni con il nuovo sistema elettorale maggioritario, introdotto grazie ai referendum promossi da Mario Segni e dal suo movimento Popolari per la Riforma. Alta risulta l'affluenza alle urne e il risultato è il seguente: Partito Popolare 24,1%, Partito Democratico della Sinistra 21,3%, Forza Italia 20,1%, Patto Segni 11,3%, Movimento Sociale Italiano 7,9%, Lega Nord 7,1%, Rifondazione Comunista 3,2%, Federazione dei Verdi 2,2%, Partito Repubblicano 2,1%, altre liste 0,7%. Il Patto per l'Italia raggiunge quota 37,5%, seguito dal Polo delle Libertà e del Buon Governo con il 35,1% e successivamente l'Alleanza dei Progressisti.

Il democratico di sinistra Luciano Violante è eletto presidente della Camera, mentre il popolare Nicola Mancino è presidente del Senato. Il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro incarica Mario Segni per la formazione del nuovo esecutivo, che vede naturalmente la presenza della coalizione che ha vinto le elezioni, cioè il Patto per l'Italia, e l'appoggio del Partito Democratico della Sinistra, dei Socialisti Riformatori per l'Europa, della Sinistra Repubblicana e della Federazione dei Verdi.

Il governo è così costituito: Mario Segni presidente del consiglio, ministro dell'interno il repubblicano Enzo Bianco, ministro degli esteri il democratico di sinistra Massimo D'Alema, ministro della giustizia il socialista Giuliano Amato, ministro dell'economia, delle finanze, del tesoro e del bilancio Carlo Azeglio Ciampi, ministro dello sviluppo economico il popolare Romano Prodi, ministro del lavoro e delle politiche il democratico di sinistra Pierluigi Bersani, ministro della pubblica istruzione il popolare Giuseppe Fioroni, ministro della sanità la popolare Rosy Bindi, ministro dell'università e della ricerca scientifica il giovane popolare Enrico Letta, ministro delle infrastrutture e dei trasporti il pattista Artuto Parisi, ministro dell'agricoltura e delle risorse forestali e marittime il pattista Paolo De Castro, ministro dell'ambiente e della salvaguardia del territorio il verde Francesco Rutelli, ministro della cultura e dei beni culturali la democratica di sinistra Giovanna Melandri.

Viene avviato un profondo risanamento dei conti pubblici, la privatizzazione delle industrie di stato, una stagione di forti liberalizzazioni, la riforma delle pensioni, più flessibilità nel mercato del lavoro e forti aiuti alla ricerca scientifica. In questo modo si apre la cosidetta "Seconda Repubblica", con un tripolarsimo formato da una coalizione moderata e riformista di centro-sinistra, un polo liberista e conservatore di destra e un'estrema sinistra radicale e massimalista: forse l'unico modo per risolvere veramente i mali di questo paese.

E con questo siamo già alla Seconda Repubblica...

Demofilo

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A questo punto il grande Enrico Pellerito ha voluto approfondire una particolare ucronia della Prima Repubblica, quella incentrata su Aldo Moro:

Pericolo scampato, Presidente!

Senza entrare negli aspetti del "complottismo" che vede nell'eliminazione di Aldo Moro un trasversale interesse da parte di più ambienti politici ed economici, italiani e stranieri, immaginiamo cosa sarebbe potuto accadere se il presidente della DC non fosse stato sequestrato ed ucciso dalle BR.
Mi sia concessa una non breve spiegazione di come evitare l'evento in questione.
Nel crescente diapason della lotta armata che le BR stanno attuando in Italia nella seconda metà degli anni 70 del secolo scorso, la cosiddetta operazione Fritz rappresenta il raggiungimento di un grande obbiettivo; "colpire al cuore" per l'ennesima volta il sistema, ma stavolta attraverso uno dei suoi più importanti rappresentanti di vertice, riuscire magari a mettere in una profonda crisi il detto sistema e, considerando la mole di informazioni riservate in possesso a Moro, possibilmente creare davvero un grosso casino anche a livello internazionale, perlomeno nei rapporti tra la Repubblica Italiana e gli Stati Uniti d'America.
L'eccidio e il sequestro, che in HL avvennero quel 16 marzo del 1978, invece falliscono grazie ad un errore delle BR effettivamente accaduto; nonostante l'accurata preparazione della loro azione, i brigatisti commisero una distrazione riguardo al bollo di circolazione e al contrassegno assicurativo esposti sul parabrezza della Fiat 128 di colore blu, uno degli automezzi impiegati durante l'azione.
I suddetti tagliandi risultavano registrati all'autovettura targata Roma L72639, mentre la targa del mezzo era Roma L55850.
Orbene, quest'ultima targa non era più in vita, essendo appartenuta ad un mezzo ritirato dalla circolazione e, ancora peggio, la prima targa era stata utilizzata su un'auto impiegata in un precedente attentato proprio a Roma, il 14 dicembre 1976, ai danni del vice questore Noce e della sua scorta.
Come si disse all'epoca, un semplice controllo da parte di un "pizzardone" avrebbe potuto mettere in crisi tutto il piano, ma come e quando accorgersi della diversità tra quanto riportato sui tagliandi esposti rispetto alla targa?
Molto probabile che la vettura in questione sia stata tenuta in qualche posto riservato e non parcheggiata per strada, ma quella mattina del 16 marzo, se non già il giorno precedente, la 128 blu, che è destinata al trasporto di una parte dei terroristi in fuga dopo l'azione programmata, va necessariamente posteggiata in via Fani (così come alcuni degli altri automezzi che dovranno essere utilizzati dai brigatisti) e possibilmente proprio a pochi metri dall'incrocio con via Stresa, dove avvenne l'eccidio.
Ecco che l'esigenza di avere il mezzo in un posto stabilito e senza il rischio di trovare l'area indisponibile, perché occupata da altre autovetture, comporta il suo preventivo spostamento in loco.
In questa TL, alle prime luci dell'alba del 16 marzo 1978 il professor dottor Guido Tersilli, noto medico della Capitale e primario della clinica Villa Celeste delle Piccole Ancelle dell'Amore Misericordioso (struttura non più convenzionata con le mutue), ha trascorso una notte di bisboccia e, piuttosto alticcio, risale con la propria Maserati via Mario Fani a velocità sostenuta.
Giunto all'incrocio con via Stresa il famoso chirurgo (sic!) non rispetta il segnale di stop; nello stesso momento, giunge un motofurgone carico di merce ortofrutticola (caricata poco prima presso i mercati generali) e alla cui guida vi è il fruttivendolo Remo Proietti, diretto al suo negozio nel centro di Roma.
L'impatto manda il motofurgone fuori dalla carreggiata percorsa e la parte posteriore del mezzo rovina sulla fiancata di una Fiat 128 di colore blu, parcheggiata in via Mario Fani poco prima dell'angolo con via Stresa.
Molte persone, le più svegliate dal fragore dell'incidente che nel silenzio delle prime ore è stato distintamente sentito nel circondario, si affacciano a finestre e balconi; mentre il chirurgo deambula confusamente emettendo degli "ahiomamma che disastro!" e il fruttivendolo Proietti (proiettato a sua volta con il proprio mezzo ma fortunatamente illeso) urla "li mortacci tua e di chi ti c'ha mannato!", qualcuno, più solerte, avvisa i soccorsi.
Poco dopo sul luogo dello scontro giungono ambulanze e vigili urbani dell'infortunistica.
Fra i vigili intervenuti vi è tale Otello Celletti; questi, in virtù di un combinato disposto, è da tempo distaccato a Roma, dato che la sua inflessibilità non era più tanto gradita presso il comune dove era stato in origine assunto.
Lo zelante operatore provvede a controllare i danni che ha subito la Fiat 128, rimasta coinvolta nell'incidente e si accorge di una discrepanza tra il numero della targa e quello riportato sui tagliandi esposti sul parabrezza dell'autovettura.
Il fatto viene comunicato alla centrale del corpo, da li iniziano gli accertamenti che molto presto comporteranno una trafila di comunicazioni dirette all'autorità giudiziaria.
In breve vengono allertati gli inquirenti che si occupano di terrorismo, dato che una delle targhe risulta già utilizzata in un'azione eseguita dalla criminalità sovversiva.
Si ritiene che nella zona possa esserci qualche covo terrorista e iniziano immediatamente una serie di controlli e di perquisizioni debitamente autorizzati dalla Procura della Repubblica.
Ma agli specialisti dell'antiterrorismo non sfugge la possibilità che l'auto sia stata messa lì in attesa di qualche azione, per cui vengono valutati i possibili obbiettivi gravitanti nell''area avente come epicentro l'incrocio teatro dello scontro, compresi le residenze di personaggi pubblici.
Fra questi vi è l'onorevole missino Pino Rauti, che abita proprio in via Fani, ma poco più distante, in via del Forte Trionfale, risiede addirittura il presidente della DC Aldo Moro, che proprio quella mattina, dopo un cambio di itinerario dovuto all'incidente, ha presenziato a Montecitorio all'investitura del nuovo governo Andreotti, un monocolore democristiano che ha ottenuto il voto favorevole di quasi tutti i partiti, soprattutto del PCI, che ha accettato la promozione di questo esecutivo grazie proprio alla mediazione di Moro.
Per il Presidente democristiano vengono immediatamente "indurite" le misure di sicurezza: adozione di macchine blindate per i trasferimenti, scorta rafforzata e un incremento del personale destinato al controllo del quartiere.
Indagini serrate vengono, nel frattempo, effettuate, ma non emerge nulla riguardo a possibili azioni eversive a Roma, mentre se ne verificano alcune in Italia Settentrionale.
Nei mesi a seguire, il governo Andreotti mostra di tenere, nonostante la Democrazia Cristiana, in specie alcuni suoi rappresentanti, sia soggetta ad attacchi da parte di giornalisti ed esponenti politici riguardo il cosiddetto scandalo Lockeed.
Fra i soggetti coinvolti vi è stato anche lo stesso presidente Moro, sospettato di essere il misterioso Antelope Kobbler, ma la Corte Costituzionale ha definitivamente archiviato la posizione dello statista democristiano il 3 marzo del 1978 e ora settori della stampa indicano che il percettore delle tangenti sia stato Giovanni Leone, il presidente della Repubblica.
L'inchiesta sullo scandalo Lockeed seguirà la sua strada, ma Leone, sempre più soggetto agli attacchi giornalistici e politici, ritiene opportuno dimettersi e lo fa il 15 giugno 1978.
Una serie di accordi, all'interno della DC prima, fra questo partito e le altre formazioni politiche dell'Arco Costituzionale poi, finiscono per far convergere su Aldo Moro, artefice dell'attività di mediazione che ha consentito di risolvere l'impasse governativa creatasi all'inizio dell'anno, le preferenze sulla nuova figura presidenziale.
Amintore Fanfani, l'altro esponente fra i notabili democristiani che aspira a venire eletto alla massima magistratura deve abbozzare, consapevole che la sua persona non è gradita al PCI, al PSI e ai partiti laici minori. Inoltre, la maggioranza delle varie correnti democristiane vogliono evitare che si ripeta la medesima situazione verificatasi sette anni prima, quando la candidatura di Fanfani provocò uno stallo memorabile durante il procedere delle varie votazioni per l'elezione dell'inquilino del Quirinale che sarebbe succeduto a Giuseppe Saragat.
Il 30 giugno del 1978 Aldo Moro viene eletto settimo Presidente della Repubblica Italiana.
Ancor prima che scocchi l'anniversario dell'elezione, la presidenza verrà definita "sonnacchiosa" da Eugenio Scalfari.
In effetti Aldo Moro si dimostra piuttosto sobrio nel gestire il suo settennato.
Il Presidente, diversamente dai suoi predecessori, che già non erano poi stati molto loquaci, non è uso a fare dichiarazioni, ma solo discorsi nelle occasioni previste dal cerimoniale.
Tali discorsi, come quello dello stesso insediamento, risulteranno un po' barbosi nei toni e nell'uso dei termini; sebbene qualche analista politico li definisce equilibrati, il loro contenuto viene considerato più rivolto alla classe politica che ai cittadini e alle altre componenti sociali della nazione.
Le apparizioni pubbliche sono, ovviamente, quelle ufficiali, ma risultano addirittura inferiori come quantità a quelle delle precedenti presidenze.
Poche e comunque brevi le visite nelle città italiane, così come le visite di Stato all'estero, di fatto delegando l'immagine dell'Italia ai presidenti del Consiglio e ai ministri degli Affari Esteri che si avvicendano nei tempi.
Per gli Italiani, abituati a vivere le attività della più alta carica dello Stato come quelle di un distante personaggio in doppiopetto, che a seconda delle occasioni si limita ad inviare telegrammi di auguri e felicitazioni, ovvero di cordoglio insieme a corone funebri, la cosa non assume rilevanza.
Ma è la classe politica ad essere coinvolta dalle esternazioni riservate del Presidente.
Moro appare sempre più un'eminenza grigia che uomini di governo e del Parlamento non possono permettersi il lusso di non tenere in considerazione, proprio in virtù della dialettica e della capacità di mediazione da egli sempre espresse.
Nei colloqui che si renderanno necessari in occasione delle crisi di governo e negli incontri che il Presidente avrà spesso con gli esponenti dei vari partiti (al riparo delle mura del Quirinale e sulle quali conversazioni verranno emessi solo asettici comunicati di circostanza), non pochi ostacoli alla dinamica politica saranno rimossi, varie divergenze appianate, numerose problematiche risolte.
La presidenza Moro si caratterizza per l'incisivo indirizzo nella gestione di governo, ma anche per essere la prima durante la quale, dopo tanti anni, viene dato incarico di formare un gabinetto a personalità di partiti diversi dalla Democrazia Cristiana.
E un tale affidamento, sebbene poi rimesso per le difficoltà incontrate (e che neanche Moro, quella volta, riuscirà a risolvere) viene perfino dato al Segretario del PCI, partito che progressivamente cerca di rendersi sempre più indipendente da Mosca.
Alla fine del suo mandato, al quale segue l'elezione alla massima carica del repubblicano Giovanni Spadolini, Moro concede un'intervista al maggior quotidiano italiano, dove stigmatizza la mancata costituzione di un governo guidato dal Segretario del PCI con la frase: "I tempi non sono ancora maturi".
Senatore di diritto a vita quale presidente emerito, sembra che Aldo Moro proseguirà l'attività politica, ma molto presto è costretto a ritirarsi a seguito del peggioramento di una malattia tumorale, insorta già nel periodo della Presidenza, che lo conduce, dopo poco tempo, al decesso.
Grande il cordoglio da parte di tutta la classe politica italiana e di molti paesi stranieri.

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Così gli tiene dietro Federico Sangalli:

I miei complimenti vivissimi per l'ottimo lavoro, completo anche di citazione cinematografica! Devo ammettere che, essendo Aldo Moro uno dei miei personaggi storici ed umani preferiti, ho sempre bazzicato l'idea di fare un'Ucronia su una sua sopravvivenza, magari quando finirò quelle ancora in cantiere, ma naturalmente ho lasciato campo, discussione e mente libera dai miei commenti con altissime aspettative per il lavoro di Enrico e devo dire che non sono rimasto deluso. Nel mio abbozzo di TL Pertini veniva ugualmente eletto Presidente della Repubblica, sopratutto per via della grande stima che ho per quest'alto personaggio e in una sorta di scambio suggellatore del compromesso storico (Presidenza socialista vs governo monocolore democristiano) e Moro era il suo successore al Quirinale nel 1985, ma anche il tuo scenario è perfettamente plausibile. Visto che sui governi in se sono state fatte minori precisazioni mi permetto di aggiungere ciò che avevo pensato nella mia versione, integrandolo con quanto descritto da Enrico: il Governo Andreotti IV nasce ugualmente ma con una composizione diversa, perché Moro media con Andreotti perché accolga alcune delle proposte dei comunisti come la riduzione del numero dei ministri, l'inclusione di qualche indipendente e l'esclusione di Antonio Basaglia e Carlo Donat-Cattin, entrambi forti oppositori del compromesso. Per cui abbiamo solo 18 ministeri (eliminati quelli per il Commercio con l'Estero, per la Marina Mercantile e quello per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno) , perlopiù uguali alla HL salvo l'indipendente socialista Giuliano Vassalli alla Giustizia al posto del DC Francesco Paolo Bonifacio, Antonino Pietro Gullotti alle Partecipazioni Statali e non alle Poste in sostituzione di Basaglia, Romano Prodi all'Industria, Commercio e Artigianato al posto di Donat-Cattin mentre Ciriaco DeMita, privato del suo Ministero del Mezzogiorno, ottiene quello dei Lavori Pubblici al posto di Gaetano Stammati (DC) che invece va alle Poste. Con una maggioranza tanto ampia (fuori soltanto MSI e Democrazia Proletaria) il Governo Andreotti IV regge, nonostante i rimpasti, fino alla scadenza naturale nel 1981, portando a termine le leggi effettivamente approvate con i Governi Andreotti IV e V, salvo la Legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi, data l'assenza del ministro. Nel 1981 le elezioni vedono un lieve calo dei comunisti, dovuto perlopiù alla concorrenza da "destra" (il PSI di Craxi) e da "sinistra" (i Radicali di Pannella), ma il PC tiene comunque al 32%, con la DC al 35% ed il PSI all'8% dato il successo della politica di Berlinguer. In crescita anche l'MSI che accoglie democristiani avversi alla collaborazione avviata con le sinistre. Viene confermato l'accordo di alternare le Presidenze delle due Camere, dando la Camera al principale partito d'opposizione: così il democristiano Amintore Fanfani viene confermato Presidente del Senato mentre la comunista Nilde Iotti diventa la prima donna Presidente della Camera. Si forma il Governo DeMita I, guidato dall'avellinese per eccellenza, il quale nel frattempo, come capo della corrente "sinistra" della DC, ha sostituito Zaccagnini come Segretario. Il suo primo atto è incontrare il nuovo Pontefice Paolo VII (non preciso il nome perché la morte ritardata di due anni di Paolo VI, dovuta al mancato dolore per la morte dell'amico, darebbe vita ad un Conclave diverso: i due maggiori papabili, ovvero l'Arcivescovo di Milano Giovanni Colombo e il suo collega di Cracovia Karol Wojtyla, avrebbero entrambi il nome di Paolo VII in continuità con il predecessore, dato che in questa TL Albino Luciani non sarà mai Papa Giovanni Paolo II. Considerando che in HL Colombo rifiutò l'elezione tre anni prima, é probabile che il Pontefice sia comunque Wojtyla seppur con nome diverso). Le frequenti frizioni tra l'esuberante DeMita e gli alleati portano in breve a due crisi di governo fino alle dimissioni dell'esecutivo (forse la prima per lo Scandalo P2, quindi per l'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, che porta alle dimissioni il Ministro degli Interni Francesco Cossiga, infine cade per qualcosa di simile alla Lite delle Comare), dando modo a Moro di dare per la prima volta l'incarico esplorativo ad un comunista, ovvero lo stesso Berlinguer (o forse il migliorista Napolitano?), salvo poi ripiegare su un centrista come Giovanni Spadolini, del Partito Repubblicano, primo non democristiano a reggere un governo dal 1946. Egli governa grazie alle grandi convergenze (senza escludere crisi e rimpasti ovviamente) fino al 1985 quando scade il mandato di Aldo Moro al Quirinale e le forze politiche s'interrogano sul successore: Spadolini, immischiato nelle manovre governative e capo del Partito Repubblicano da soli sei anni (dalla morte del predecessore Tommaso LaMalfa), non appare un candidato disponibile (almeno non appare a me, anche perché nella HL non venne proposto per il Quirinale che molto più tardi, nel 1992) mentre Berlinguer e Craxi concordano sul fatto che sia ormai tempo per un Presidente proveniente dalle file della Sinistra. A favore di tale possibilità sono anche i laici di centro, tra cui lo stesso Spadolini, e una parte della DC, da Moro a DeMita, ritiene che si possa fare. Scartato il troppo anziano Pertini, si decide infine di convergere sul nome del magistrato, giudice costituzionale, ex partigiano e Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli (che fu uno dei tre nomi, oltre a Pertini e all'ex comunista e nipote dello statista Giovanni, Antonio Giolitti, proposti da Craxi nel 1978) che viene così eletto ottavo Presidente della Repubblica, continuandone lo stile riservato e notarile del ruolo. Nel giro di un anno si va a nuove elezioni ma sei mesi prima Enrico Berlinguer (qui, meno stressato e meno frustrato, non ha avuto il malore del 1984, sebbene sia solo ritardato) convoca il Congresso del PC in cui aveva intenzione di ritirarsi e di designare un successore: stando alle cronache dell'epoca i favoriti per la successione erano quattro, ovvero il Segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana Achille Occhetto, il Segretario Generale della CGIL Luciano Lama, il Capogruppo alla Camera Giorgio Napolitano e il Sindaco di Bologna Renato Zangheri. Zangheri, famoso per le sue iniziative civiche e sociali e per lo sforzo nel contrastare il terrore che aveva colpito Bologna pochi anni prima (Italicus, Stazione di Bologna), fuori dalla Romagna è poco conosciuto mentre Occhetto appare ancora troppo giovane per poter gestire una fase così delicata. Difatti all'epoca le quotazioni si dividevano per di più tra Napolitano e Lama, l'uno noto per essere il leader dei parlamentari comunisti e il gran tessitore, in Aula, degli accordi con le altre forze politiche, l'altro come il grande simbolo indiscusso del sindacalismo e delle grandi lotte portate avanti in quegli anni. Sennonché la CGIL ha affrontato anche battute d'arresto (come la Marcia dei Quarantamila) e lo stesso Lama è abbastanza anziano (65 anni) e ha qualche problema di salute (che lo porteranno ad abbandonare la carriera politica nel 1992 e a morire quattro anni più tardi), non ha mai fatto una vera e propria vita politica (verrà eletto senatore come indipendente nelle liste comuniste solo l'anno dopo) ed é stato anche duramente contestato dagli studenti dell'Università La Sapienza di Roma nel 1977, cosa che rischia di alienare le simpatie del movimento giovanile. Pertanto al XVII Congresso del Partito Comunista, svoltosi a Firenze tra il 9 ed il 13 aprile 1986, Giorgio Napolitano viene eletto nuovo Segretario del Partito, a pochi mesi dalle nuove elezioni. A Berlinguer dovrebbe spettare di diritto la carica onoraria di Presidente del Partito ma nelle ultime fasi concitate del Congresso, durante uno dei suoi celebri discorsi, il Segretario uscente é colpito da un grave malore ma continua imperterrito e sempre più sofferente il suo discorso fino alla conclusione, nonostante i sempre più ripetuti e disperati appelli dei partecipanti ad interromperlo. Subito dopo Enrico Berlinguer crolla e, portato d'urgenza all'Ospedale di San Giovanni di Dio, muore poco dopo tra pianti e la costernazione generale. L'incredibile commozione popolare generata dalla sua morte, oltre a portare un milione di persone in piazza per il suo funerale, genera un "Effetto Berlinguer" sul PC che così vola e due mesi dopo supera ineditamente la DC alla politiche, seppur appena di un punto e mezzo. Per la prima volta il Presidente della Repubblica incarica per primo e di diritto un comunista di formare un governo ma la DC fa scudo insieme ai centristi e blocca la cosa. Si prospetta dunque un DeMita II o un Andreotti VI con maggioranza di governo allargata ma stavolta é il PS ad opporsi giacché Craxi é convinto di poter giocare al gioco dei due forni per vedere "chi tra DC e PC é disposto ad offrire di meglio". Spadolini e Napolitano lo supportano e anche una parte della Sinistra democristiana non disdegna un governo di sinistra. Nasce così il Governo Craxi I con Giulio Andreotti (DC) agli Esteri, Arnaldo Forlani (DC) agli Interni, Giovanni Goria (DC) al Tesoro, Romano Prodi (DC) alle Finanze, Susanna Agnelli (PR) alla Giustizia, Tina Anselmi (DC) alla Sanità, Gianni De Michelis (PS) al Bilancio, Vincenzo Scotto (DC) all'Industria, Oscar Luigi Scalfaro (DC) all'Istruzione, Mino Martinazzoli (DC) al Commercio, Renato Altissimo (PL) ai Trasporti, Antonio Gullotti (DC) alla Cultura, Antonio Gava (DC) alle Poste, Bruno Visentini (DC) alle Partecipazioni Statali, e Giovanni Spadolini (PR) alla Difesa nonché il primo comunista a ricoprire un incarico ministeriale dai tempi di Palmiro Togliatti Ministro della Giustizia nel 1946 (esattamente quarant'anni prima), ovvero Luciano Lana al Lavoro. A completare il comunista Pietro Ingrao diventa Presidente del Senato mentre il democristiano Virginio Rognoni viene eletto Presidente della Camera. Molto attese sono riposte nel primo governo socialista della Storia italiana, formatosi in questo primo scorcio di distensione mondiale che l'operato dell'ex Presidente della Repubblica Aldo Moro, ora recentemente deceduto tra il cordoglio dell'intero arco politico ed istituzionale, ha saggiamente anticipato e portato a compimento.

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C'è spazio per queste altre ucronie "morotee" pensate dal Marziano:

Durante il rapimento di Aldo Moro, ci fu chi fece sua una proposta, per certi versi simile a quella di Guareschi ai Cardinali. Facciamo dimettere Leone. Organizziamo un'elezione presidenziale puramente pro forma e eleggiamo Capo dello Stato Moro. Le funzioni saranno svolte dal presidente del Senato (all'epoca, se non ricordo male Fanfani), coadiuvato, durante la "Cattività" del Presidente, da una figura non prevista dalla Costituzione, ma la cambiamo, sempre in fretta e furia e per pura formalità: il Consiglio (o comitato, o Convenzione) di Presidenza, costituito da Presidente del Consiglio (Andreotti), ministro dell'interno (Cossiga) ed i capi di Stato emeriti ( all'epoca i viventi erano Leone, Saragat, e Gronchi). Tale organo, potrà proclamare e gestire situazioni speciali, compresa l'assunzione dei pieni poteri. Secondo voi, come sarebbe andata?
La rivista satirica (fino alla bestemmia) degli anni '70 " IL MALE", durante il caso Moro, pubblicò un ventaglio di possibili soluzioni dello stesso, con relative scommesse. La morte e la liberazione, erano date alla pari. Erano, però, prese in considerazione, anche altre possibili conclusioni. E, di recente, anche Cossiga ha svelato che non si trattava di sole speculazioni di comici, ma anche la politica ci stava pensando seriamente e si stava attrezzando per confrontarcisi:

1) SINDROME DI STOCCOLMA (e pure di Norimberga), nella sua forma massima.
Moro si converte al verbo brigatista. È subito cooptato nel comitato centrale. Assume la guida del partito armato e mette tutte le sue conoscenze a disposizione del progetto;

2) SINDROME DI PADRE SPIRIDON (santo vescovo eremita, russo, confessore di zar, che rapito da briganti ebrei, li converte e ne fa dei buoni monaci; però uno di loro, che aveva contatti con una compagnia di Assicurazioni, lo convince a farsi delle polizze!). Moro converte i brigatisti, che, anzi, divengono una sorta di guardia "pretoriana", o, piuttosto, Giannizzeri, al servizio dello Stato, ma più in particolare, della corrente morotea. A loro sono destinati i compiti più "sporchi", tipo eliminare terroristi e criminali comuni, difficilmente raggiungibili per vie legali, con la possibilità di perpetuarsi, arruolando vittime di questi ultimi;

3) La RIVOLTA DEI "PEONES" (variante, un po' "intersezione" delle/fra le precedenti). Moro, dopo che i carcerieri gli hanno mostrato cosa sta succedendo, lo lasciano scappare. Sapendo benissimo, come ha svelato Cossiga, e come già sapeva, perchè l'ipotesi di come gestire un sequestro politico era già stata discussa da tempo, e si erano decise una serie di cose, che, poi, saranno parzialmente attuate nel caso Cirillo (in pratica una sorta di nuovo "sequestro", per rendersi conto dell'equilibro mentale e di cosa poteva aver detto), Moro, con una circospezione da consumato avventuriero, contatta dei propri fedelissimi e scende in clandestinità. Si incontra con vari "PEONES" di tutti i partiti. Infine, con un colpo di teatro, irrompe in Parlamento. Appunto alla testa di "PEONES", occupa in Parlamento. A questo punto abbiamo una biforcazione:

3a) Si accontenta di tale esternazione-beffa, del tipo sono sempre io, si dimette dalla DC e altre due biforcazioni:

     3aI) si ritira a vita, non solo privata, ma persino contemplativa;
     3aII) provoca la dimissione in massa di tanti "PEONES" e fonda con loro un nuovo partito;

3b) Organizza un colpo di Stato in piena regola, riorganizza lo Stato su basi autoritarie. Del resto, da Cesare in poi, solo i capi democratici riescono bene nel tentativo, sempre nel superiore interesse del popolo, di creare la dittatura. Nella sua riorganizzazione, le BR hanno la dignità di soggetto politico a tutti gli effetti;

4) BON VOYAGE (variante della 3aI). Arriva ad un accordo tra gentiluomini con i carcerieri. Visto come è stato tenuto in considerazione, non ne vuole più sapere di nulla. Non solo lo liberano, ma ciò avviene nella massima segretezza. Quindi lo aiutano ad imbarcarsi per la misteriosa isola di Pentecoste. Si ritira laggiù, nello stesso convento che ospita l'ultracentanario arciduca Francesco Ferdinando, Ettore Majorana, un pentito & penitente Che Guevara, John Fitzgerald Kennedy, Oliver Hardy, Totò, l'attore cinese Bruce Lee, e dove, alcuni mesi dopo, saranno raggiunti da Elvis Presley. Dimenticavo: il fondatore e superiore a vita del convento è Aasvero, l'ebreo che, per aver dileggiato Gesù durante la Passione, è stato condannato ad attenderne quaggiù il ritorno, per "mettersi in pari" onorandolo degnamente;

5) HO FATTO UN BRUTTO SOGNO. Moro si sveglia nel suo letto e così commenta.
(Quest'ultima ipotesi era data IL BILANCIO DEL BRASILE CONTRO UNO...)

Che ne dite?

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Enrico Pizzo poi ha voluto avanzare una diversa proposta:

Qualche tempo fa l'amico Natale Luzzagni ha condiviso con me un'interessante Informazione da cui ricavo un POD.
La sera del 3 Agosto 1974 il Ministro degli Affari Esteri, Onorevole Aldo Moro, era in procinto di prendere posto sull'Espresso 1486 Roma - Monaco di Baviera "Italicus" per raggiungere la famiglia in vacanza a Bellamonte ( Tn ) quando fu fatto scendere da dei collaboratori che avevano bisogno della sua firma su dei documenti.
Scese, perse il treno e questo gli salvò la vita perché alle ore 1.23 del 4 Agosto, mentre attraversava la Grande Galleria dell'Appennino, l'Italicus fu devastato dall'esplosione di una bomba posta nella quinta carrozza.
Ipotizziamo che quella sera Moro non perda il treno e muoia nell'attentato. Come potrebbe cambiare la Storia?

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Diamo ora la parola a Dario Carcano:

Enrico Mattei al Quirinale

Enrico Mattei fu senza dubbio una delle più importanti figure politiche e imprenditoriali nell'Italia del Boom economico. Padre-padrone dell'ENI, che sotto la sua direzione si trasformò in una potenza internazionale capace di competere col cartello delle Sette sorelle, fu un punto fermo nell'instabilità politica che caratterizzava (e tuttora caratterizza) la repubblica Italiana.
Viene quindi spontaneo chiedersi cosa sarebbe successo se Mattei non fosse morto in circostanze misteriose il 27 ottobre 1962, ma fosse sopravvissuto e avesse continuato a esercitare la sua influenza sulla politica italiana. Vicino alla sinistra democristiana, Mattei avrebbe sicuramente sostenuto il "centro-sinistra organico" ossia l'ingresso del PSI nei governi a guida democristiana. Sarebbe magari possibile vederlo eletto al Quirinale nel 1964, al posto di Saragat. Da quella posizione farebbe sentire con ancora più forza la sua influenza sulla politica italiana e sulla politica estera del Belpaese.

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Gli risponde Federico Sangalli:

Il problema di Mattei in politica (che aveva già praticato, essendo stato deputato per la DC durante la prima legislatura repubblicana) è che è vero che l’ostilità nei suoi confronti non fosse personale, bensì basata sulla sua gestione dell’ENI/Agip (in particolare la decisione di rompere con il monopolio delle Sette Sorelle, offrendo fino al 75% delle Royalties ai paesi dei pozzi al posto della miseria pagata dalle compagnie occidentali con la minaccia di “interferenze” della CIA stile Mossadegh, il che gli permise di negoziare accordi molto vantaggioso anche con paesi socialisti, come l’Algeria e l’Unione Sovietica, in barba alle linee del Dipartimento di Stato USA). Però è altresì vero che non ci sarebbe modo di impedire a Mattei di praticare le stesse politiche una volta scelto per una posizione di vertice politico. Mattei era un democristiano di sinistra, grande sponsor di Giovanni Gronchi, del quale perorò la rielezione al Colle nel 1962, finanziatore della corrente “la Base” di cui faceva parte anche il giovane De Mita. Aveva molti soldi, che usava per oliare a dovere i meccanismi della Prima Repubblica: non credo si possa dire che fosse un fan di quel sistema, ma credo fosse dell’idea che se proprio devi passare da una porta girevole, almeno che giri in tuo favore. Il che spiega anche perché non si sia riusciti a bloccarlo né assediandolo con un boicottaggio burocratico né rimuovendolo per via politica: semplicemente tanta gente riceveva tanto da Mattei per agire contro di lui e lui faceva sì che fosse così, per mandare avanti l’ENI senza che i suoi avversari lo ostacolassero. Sembra che una volta abbia detto che “i partiti sono come dei taxi”, che paghi per andare dove vuoi andare. In questo senso non credo che avrebbe dovuto sgomitare se avesse deciso di candidarsi: la DC avrebbe fatto i tappeti d’oro per avere i suoi finanziamenti, nei giochi tra correnti Mattei sarebbe stato uno di quelli che in gergo si chiamano “grossi elefanti”, pesanti, influenti e difficili da piazzare in sordina. Gli Anni Sessanta sarebbero stati il momento perfetto: la nascita del Centrosinistra storico era la congiuntura giusta per una sua esperienza ministeriale, prima del grande inverno andreottiano. Nel 1963 si candida e viene eletto in Parlamento nelle file della DC. Il filone su cui viene subito indirizzato è quello delle Partecipazioni Statali: non solo è lo stesso portafogli che aveva in carico l’ENI (oltre all’IRI e a numerose altre aziende azionarie a maggioranza statale) ma la casella era stata assegnata alla DC e il Ministro delle stesse nei Governi Moro I, II e III era Giorgio Bo, della corrente “la Base”, che evidentemente aveva ottenuto la posizione nei riequilibri interni democristiani, tanto da farsela confermare invariata per quattro governi di fila (i tre Moro e il Leone II). Quindi Mattei nel 1964 entra come sottosegretario nel Moro II, poi nel 1966 sostituisce lo stesso Bo come ministro nel Moro III, col sostegno di tutta la corrente. Vi viene confermato nel Leone II ma già a partire da Rumor I si capisce che la corrente è cambiata in favore delle alchimie andreottiane: il dicastero va al fidato Forlani, Mattei fa un paio di incarichi minori poi conclude la sua esperienza ministeriale, causa veto petro-americano che cade nelle orecchie compiacenti della nuova gestione democristiana. Per tenerlo buono gli fanno fare tutta la ginnastica politica che era il cursus honorum della Prima Repubblica: relatore ai Congressi di partito, sponsor di corrente, presidente del comitato, componente della segreteria, componente della presidenza e così via. Lo fanno anche Cavaliere del Lavoro (scontato, direi) e magari Senatore a Vita. Potrebbe essere candidato al Quirinale nel 1972, in HL Moro ci andò vicino e secondo Cossiga perse il ballottaggio interno con Leone per un voto, ma diciamo che vada tutto come in HL. Nel 1978 è escluso perché i giochi parlamentari e la situazione del paese avevano già assegnato la carica più alta del paese ad un socialista. Negli Anni Ottanta Mattei ritrova un sistema che conosce bene: ricominciano le generose elargizioni, che ora trovano un sistema organizzato quasi scientificamente per raccoglierle. Il suo ex compagno di corrente, del quale ha sponsorizzato l’ascesa, Ciriaco De Mita va alla guida della DC e poi di Palazzo Chigi. In questa veste Mattei ha un’ottima probabilità di essere proposto nel 1985: qualcuno dirà ad Andreotti di sabotarne la nomina, ma ormai siamo andiamo verso il disgelo da fine Guerra Fredda e l’altro compare di De Mita è Craxi, che detesta il politico avellinese ma che è sempre stato ben disposto verso i contributi generosi. Così il 3 luglio 1985, a 79 anni, Enrico Mattei giura come ottavo Presidente della Repubblica. Come Presidente spingerà per la nascita del primo ministero per l’energia e per una politica estera e commerciale che assicuri l’auto sufficienza energetica all’Italia, ricucendo i rapporti con la Libia di Gheddafi e l’Iraq di Saddam Hussein ma sopratutto arrivando per primo e assicurandosi accordi molto vantaggiosi con l’URSS di Gorbaciov. Oggi sarebbe una figura controverso: lodato per i successi politici e l’appoggio al compromesso storico, popolarissimo per la conseguente abolizione delle accise della benzina, criticato e chiacchierato per la gestione disinvolta di favori e bustarelle con l’implicita accusa di essersi comprato la strada per il Quirinale. In Italia ci sarebbe più inquinamento, perché benzina meno costosa significa meno incentivi al risparmio, sia per le case automobilistiche sia per i consumatori. Avendo più problemi ambientali e meno energetici, l’Italia avrebbe ritirato la propria partecipazione al progetto South Stream, che, deviato nei Balcani, causerebbe meno screzi tra Turchia e Grecia. Oggi l’Italia sarebbe imbarazzata dal silenzio della Farnesina sul conflitto azero-armeni a causa della simpatia per l’Armenia e i grandi interessi in Azerbaijan (imbarazzo ingiustificato, visto che senza siamo stati in silenzio lo stesso come il resto della comunità internazionale, ma non potremmo saperlo).

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Dario allora aggiunge:

27 ottobre 1961. Il presidente dell’ENI Enrico Mattei viene colpito da un infarto che lo costringe a lasciare la guida dell’ente da lui fondato. A succedergli alla guida dell’ENI è Marcello Boldrini, uomo di fiducia di Mattei di cui era stato vicepresidente; ma Mattei avrebbe continuato ad avere una forte influenza sull’ente da lui fondato, anche se non ne era più presidente, tanto che all’epoca si parlava di Mattei come “presidente ombra” dell’ENI.
Ripresosi dall’infarto, dopo quasi un anno, Mattei iniziò a considerare la possibilità di ritornare in politica in prima persona; era già stato eletto deputato nel 1948, e senza troppa fatica ottenne dai vertici della DC una candidatura al Senato per le elezioni del 1963. Fu eletto senza troppe difficoltà, e iniziò la sua carriera ministeriale. Erano gli anni del “centrosinistra organico”, e dei primi governi partecipati dai socialisti, cosa che Mattei, democristiano di sinistra, aveva attivamente sostenuto. Nel 1964 fu nominato sottosegretario alle Partecipazioni Statali nel governo Moro II, e poi nel successivo Moro III ottenne il posto di Ministro.
In questa veste rafforzò ulteriormente il suo controllo sull’ENI, assicurandosi la nomina di vertici a lui favorevoli, e soprattutto disposti a “finanziarlo”. Spinse per la creazione di un ministero autonomo che si occupasse di questioni energetiche, ma questi appelli caddero nel vuoto.
Dopo il 1968 la stella di Mattei sembrò iniziare a declinare. La corrente DC “la Base”, a lui favorevole, stava perdendo presa sul partito in favore delle correnti più conservatrici. Mattei nel passaggio dal governo Leone II al Rumor I perse il ministero delle Partecipazioni Statali. Ottenne un posto da sottosegretario agli Esteri, e nel Rumor II fu sottosegretario all’Industria. Nel Rumor III non ottenne nessun incarico di governo.
Dopo il 1970 la carriera politica di Mattei sembrava avviata alla fine; era ancora molto influente sulle decisioni del governo, aveva l’ENI nelle sue mani, ed aveva a disposizione grosse quantità di fondi, ma era fuori dal governo e la parte del partito a lui favorevole era opposta al segretario Piccoli.
Nel 1970 fu nominato senatore a vita da Saragat, e poco dopo arrivò la nomina a cavaliere del Lavoro. Nel 1971 si vociferò di una sua possibile candidatura al Quirinale come successore di Saragat, ma alla fine la maggioranza del partito decise di convergere su Giovanni Leone. Nel 1973, dopo il XII congresso, entrò a far parte della segreteria della DC.
Nel 1978, quando fu rapito Aldo Moro, Mattei fu uno dei pochi membri della DC a sostenere la necessità di una trattativa per salvare il presidente della DC. Ma i suoi appelli caddero nel vuoto, e non impedirono la morte dello statista democristiano.
Nello stesso anno sostenne l’elezione di Sandro Pertini al Quirinale, giudicandola necessaria dopo gli scandali che avevano caratterizzato la presidenza Leone.
Sembrava che la carriera politica di Mattei fosse giunta al termine, però tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 ci fu una svolta. L’inizio del Pentapartito, un sistema partitocratico in cui le “donazioni” erano organizzate scientificamente, e l’arrivo alla segreteria della DC di Ciriaco De Mita, esponente de “la Base”, rilanciarono Mattei, che nel 1983 tornò ministro delle Partecipazioni statali nel primo governo Craxi.
Nel 1985, in occasioni dell’elezione del successore di Pertini al Quirinale, De Mita non fece troppa fatica a creare un’intesa trasversale per eleggere Mattei. Andreotti, e più in generale la destra della DC non gradivano il nome dell’ex presidente dell’ENI, ma era un nome gradito ai socialisti e agli alleati “laici” del Pentapartito grazie alle elargizioni che questi partiti ricevevano da lui, e non era sgradito ai comunisti per le sue vedute in politica estera, che ricordavano come si fosse scontrato con gli interessi americani quando era presidente dell’ENI.
Il 24 giugno 1985, al primo scrutinio, le camere in seduta comune eleggono Enrico Mattei ottavo presidente della Repubblica, con 752 voti su 1011.
L’energia e l’autosufficienza energetica dell’Italia furono i temi portanti della presidenza Mattei. Mattei spinse fin da subito affinché fosse creato un ministero per l’Energia, che si sarebbe concretizzato nel 1988 con la nascita del governo De Mita. Mattei spinse anche affinché fossero ricuciti i rapporti con Libia e Iraq, e nel 1991 pose il veto sulla partecipazione italiana all’invasione americana dell’Iraq. Questa politica irritò non poco gli americani, ma piacque a Mosca, e negli anni ‘90 l’Italia riuscì a essere la prima a inserirsi nel mercato delle risorse energetiche dell’ex Unione Sovietica. Questo permise negli ultimi anni del settennato Mattei di abolire le accise sul carburante.
Dopo il crollo del muro di Berlino Mattei iniziò a lanciare apre critiche al sistema dei partiti e alla sua incapacità di mutare di fronte ai cambiamenti internazionali, critiche che furono dette dai giornalisti “picconate” e che diedero a Mattei il soprannome di “picconatore”.
Ci furono anche aspetti oscuri della presidenza Mattei: i finanziamenti miliardari dell’ENI alla campagna per il NO ai referendum sul nucleare nel 1987, che secondo molti permisero ai sostenitori del NO di rubare una vittoria al fronte antinucleare, e grazie ai quali le centrali nucleari italiane oggi sono ancora operative; e più in generale, l’accusa di aver usato l’ENI come bancomat per finanziare la propria carriera politica. Aspetto che verrà fuori in tutta la sua grandezza con le inchieste di Tangentopoli nel 1993.
Ma per allora Enrico Mattei era già morto. Si spense infatti all’età di ottantasei anni il 25 novembre 1992, pochi mesi dopo la fine del suo mandato presidenziale. Durante la sua vita era stato bersaglio di diversi tentativi di assassinio, tanto che già quando era presidente dell’ENI aveva una scorta privata guidata dall’ex partigiano Rino Pachetti; un colpo apoplettico riuscì laddove i sicari fallirono.
Una figura controversa che ancora oggi divide gli italiani quando si tratta di ricordarlo.

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E ora, la palla passa ad Enrico Pizzo:

La crisi dell'Achille Lauro

Tra il 7 ed il 9 Ottobre 1985 Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭāʾir, membri del FLP, si resero responsabili del dirottamento della nave Achille Lauro e dell'omicidio del cittadino Statunitense Leon Klinghoffer.
Riparati ad Alessandria d'Egitto riuscirono ad ottenere dal Governo Egiziano, la sera del 10, la possibilità di trasferirsi a Tunisi, all'epoca sede dell'OLP, utilizzando un Boeing 737 della EgyptAir requisito per la bisogna.
L'aeromobile trasportava, oltre ai 4, anche Abu Abbas e Hani el Hassan, Rappresentanti Ufficiali dell'OLP in qualità di Mediatori, e funzionari e Personale di sicurezza del Governo Egiziano.
Con l'obiettivo di impedire che i 4 dirottatori trovassero riparo a Tunisi nella notte tra il 10 e l'11 l'aeromobile Egiziano fu intercettato da aerei Statunitensi, decollati dalla Portaerei Saratoga, sopra il Canale di Sicilia e costretto ad atterrare in Sicilia, presso l'Aeroporto Militare di Sigonella.
Il Governo Statunitense, però, aveva agito senza l'autorizzazione di quello Italiano ignorando che, ai sensi della Legge Italiana, a nessuno è consentito sottrarre persone sospettate di aver commesso un atto criminale nel territorio della Repubblica.
Con l'intenzione quindi di tutelare le prerogative della Magistratura Italiana i responsabili dell'aeroporto fecero circondare l'aeromobile Egiziano da Carabinieri e Personale dell'Aeronautica Militare in quel momento impegnati nella sorveglianza delle istallazioni.
La decisione fu provvidenziale, poco dopo il Boeing atterrarono a Sigonella aeromobili delle Forze Armate Statunitensi da cui scese Personale incaricato di prelevare i membri del FLP.
Per alcuni minuti vi fu un drammatico confronto tra Militari Statunitensi ed Italiani risolto grazie alla decisione Americana di rinunciare al prelievo dei quattro.
Ma se il Governo Statunitense decida di non retrocedere dalla decisione di prelevare i quattro del FLP ordinando al proprio Personale di usare la forza contro i Militari Italiani?

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Gli replica Alessio Mammarella:

Certamente un terremoto politico in Italia. Immagino che Craxi sarebbe stato costretto alle dimissioni da Presidente del Consiglio (a prescindere dal merito della questione, essere arrivato a un tal punto di tensione con gli alleati americani sarebbe stato considerato un errore madornale per un Capo del Governo). Di fronte al clamore mediatico, Cossiga avrebbe probabilmente conferito l'incarico di formare il nuovo governo a un democristiano. C'era Forlani, vicepremier e (se non erro) leader della corrente conservatrice della DC, oppure, se l'irritazione americana fosse stata più forte, qualche esponente DC "di riserva": qualcuno di età ed esperienza, ma non coinvolto nel governo Craxi, in modo da mandare a Washington un segnale di totale discontinuità. Altra alternativa poteva essere Spadolini (in pratica un'anticipazione di quanto accaduto in HL) leader del partito più filoamericano in assoluto.
Al di là del Presidente del Consiglio che avrebbe sostituito Craxi, forse sarebbe più interessante riflettere sulla maggioranza. Craxi infatti avrebbe potuto arroccarsi sulle sue posizioni e negare la fiducia al nuovo governo. In quel caso il nuovo governo si sarebbe potuto reggere incorporando nella maggioranza i radicali, gli autonomisti e probabilmente una parte dei deputati e senatori socialisti che avrebbero magari abbandonato Craxi per passare nel PSDI.
In questo caso potremmo pensare che alcuni dei temi che i radicali hanno proposto tramite referendum sarebbero potuti diventare oggetto di riforme legislative. Sarebbero state fatte delle riforme su temi per i quali ancora oggi si discute? Oppure i radicali avrebbero rifiutato di collaborare alla nuova maggioranza e si sarebbe andati a elezioni anticipate?

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Interviene Dario Carcano:

Questo PoD mi fa venire in mente un fatto che ho letto nel libro "Mani Pulite - La vera storia", scritto a sei mani dal trio Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio.

Nel 1981, nell'ambito delle indagini sulla P2, Gherardo Colombo nella perquisizione degli uffici di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi si era imbattuto in un misterioso appunto, che riguardava un deposito bancario in Svizzera denominato Protezione, dove affluivano soldi destinati "a Claudio Martelli per conto di Bettino Craxi". Interpellati sull'argomento, sia Martelli che Craxi negarono di saperne qualcosa.
Colombo avrebbe scoperto la verità dodici anni dopo, nel 1993, durante le indagini di Mani Pulite, quando Silvano Larini raccontò ai magistrati la storia del conto corrente UBS 633369, ossia il conto Protezione.

La storia inizia nel 1980; il PSI era pesantemente indebitato con le banche, in primis il Banco Ambrosiano di Calvi, e oltretutto Craxi temeva le imboscate dei suoi rivali di partito, in particolare Claudio Signorile, leader della 'Sinistra lombardiana'.
Signorile era il fautore di una politica di 'unità nazionale' che portasse al governo il PCI in una riedizione del compromesso storico, e Craxi temeva che Signorile avesse già stretto un alleanza con la corrente andreottiana della DC, sia per avere una sponda politica una volta preso il controllo del PSI, ma anche per mettere le mani su una fetta della maxi-tangente ENI-Petromin (in breve, nel 1980 l'ENI di Giorgio Mazzanti per ottenere una fornitura di petrolio dall'Arabia Saudita pagò ai sauditi una tangente del 7% sul valore della stessa; la tangente era stata approvata dal governo italiano, solo che i partiti di governo ne approfittarono e gonfiarono la tangente, intascandosi la differenza).

Perciò Craxi, per proteggersi dalle supposte macchinazioni di Signorile, aveva bisogno di un canale di finanziamento per la propria corrente, sia per saldare i debiti del PSI che per sbaragliare i rivali interni.
Così, nell'estate del 1980, l'ENI, all'epoca guidata dal socialista Florio Fiorini, concesse al Banco Ambrosiano di Calvi un prestito di 50 milioni di dollari americani ad un tasso d'interesse inferiore a quelli di mercato. Un operazione molto insolita per un ente di Stato, che aveva come contropartita una tangente di 7 milioni di dollari, che il Banco Ambrosiano versò sul conto Protezione intestato a Silvano Larini.
L'operazione era sponsorizzata da Licio Gelli e dalla P2, di cui facevano parte Calvi, Fiorini e Leonardo Di Donna, esponente socialista all'epoca vicepresidente dell'ENI.

Ora, immaginiamo che in seguito ai fatti di Sigonella, gli americani decidano di liberarsi di Craxi e rimpiazzarlo alla guida del governo italiano; il modo più facile per farlo sarebbe che una 'manina' dei servizi segreti USA facesse arrivare alla magistratura prove compromettenti contro Craxi a proposito del conto Protezione.
Queste rivelazioni costringerebbero Craxi a lasciare sia la guida dell'esecutivo, che la segreteria del PSI. Ma a questo punto la storia può avere conseguenze più o meno gravi a seconda che l'inchiesta si estenda.

Perché se dal conto Protezione i magistrati iniziano a indagare su tutto il PSI, e da lì su tutti i partiti, avremmo una Tangentopoli con nove anni di anticipo e tutti gli sconvolgimenti del caso.
Se invece le indagini restano limitate alla corrente craxiana del PSI, lo scenario più probabile sarebbe l'arrivo alla guida del PSI di uno tra Signorile e De Michelis; il secondo sarebbe quello più 'in continuità' con Craxi, perciò tenderei a escluderlo in favore di Signorile.
Non so se, da segretario del PSI, Signorile avrebbe cercato seriamente di concretizzare i suoi propositi di portare al governo il PCI in una riedizione del 'compromesso storico', però visto lo scandalo non escludo che il PSI decida di uscire dalla maggioranza e passare un periodo all'opposizione per 'ripulirsi'.
Il problema però sarebbe che, senza il PSI, non ci sarebbero i numeri per formare un nuovo governo, a meno di includere uno tra il PCI o l'MSI.
E visto che all'epoca la DC era guidata da De Mita, esponente della 'sinistra' del partito, forse - con grande disappunto degli americani - potremmo vedere una riedizione del compromesso storico.

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Federico Sangalli suggerisce:

A questo punto forse converrebbe agli americani favorire l'implosione del sistema e appoggiare l'attuazione del Piano di Rinascita Democratica sostenuto dalla P2...
Però ora che ci penso la P2 era già stata scoperta e sgominata per il 1985, quindi un suo ruolo non sarebbe possibile. Resta però la prospettiva di far posto a una nuova formazione filo-americana e ideologicamente malleabile, insomma una Forza Italia ante-litteram.

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Dario obietta:

Nel 1983/84 Mediaset si stava ancora consolidando: solo nel 1984 Berlusconi avrebbe acquistato Rete4 e instaurato il duopolio Mediaset-RAI, però senza gli appoggi politici di Craxi rischia seriamente di vederselo togliere subito. Per questo non credo che potremmo vedere lui alla guida di una simile forza politica.
Bisognerebbe trovare un politico atlantista e vagamente liberale, che sarebbe coinvolto marginalmente dagli scandali di corruzione scoperchiati dalla storia del conto Protezione, e quindi in grado di fondare una nuova forza politica che prenda il posto della DC alla guida del paese.

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Alessio vuole esagerare:

E allora qui ci può stare anche una piccola "teoria del complotto": davvero Tangentopoli potrebbe essere stata voluta/innescata in qualche modo dagli americani per vendicarsi di Craxi, e tutto questo è successo nel 1992 perché non poteva succedere negli anni '80 (l'URSS c'era ancora, il Muro di Berlino c'era ancora, il PCI non era opportuno che avesse una chance per governare). Appena il contesto internazionale è cambiato, e il PCI si è trasformato in PDS per aggiornare la sua identità e i suoi programmi politici, l'armadio con gli scheletri è stato aperto...

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Fabio Roman corregge il tiro:

Forse innescata dagli americani no, ma il fatto che tutta la storia sia saltata fuori proprio nel momento in cui era più sicuro che accadesse, può non essere un caso. D'altro canto abbiamo anche sul sito ucronie in cui il blocco sovietico non cade, e Tangentopoli viene insabbiata per ragion di "pericolo rosso".

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Ma Enrico Pizzo scuote la testa:

Non sono d'accordo Fabio. Quando è iniziata Tangentopoli l'opinione pubblica Italiana era abituata a quel genere di scandali.
Lenzuola d'oro, Zolle d'oro, Petrolio Primo e Secondo, Lockheed e poi tantissimi altri che ho dimenticato.
Solo che fino al 1992 le cose funzionavano in modo diverso, il politico coinvolto si dimetteva tra le dichiarazioni di esecrazione dei suoi colleghi di partito, La Malfa ritirava la sua delegazione al Governo aprendo la crisi, giro di consultazioni e nuovo Governo con identica maggioranza, La Malfa nel frattempo era rientrato, il Buon Mariano che salito in cattedra dichiarava che il Potere Politico non è corretto anche se un gruppo di trafficoni discredita l'intero sistema.
Se Chiesa fosse stato Zitto & Buono, Tangentopoli sarebbe morta lì, solo che quella volta è successo quello che nessuno si aspettava succedesse.
Chiesa non aveva la vocazione del Martire, e per cavarsi dai pasticci ha fatto un sacco di nomi, innescando la reazione a catena.

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Alessio allora fa notare:

Interessante l'aspetto che il primo sasso contro i socialisti fosse scagliato dai repubblicani, esattamente gli stessi che si schierarono contro di loro dopo i fatti di Sigonella...

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Ritorna in campo Federico Sangalli:

Potrebbe verificarsi una situazione del genere:

Incidente di Sigonella, Craxi non è anti-americano ma il suo carattere (il "ducetto", come lo chiamò qualcuno) lo induce a impuntarsi. Nel giro di qualche settimana la maggioranza si sfascia: De Mita chiede il rispetto del patto della staffetta e il suo incarico a Palazzo Chigi ma Craxi per rappresaglia mette il veto. Il leader socialista ha intenzione infatti di causare elezioni anticipate in cui massimizzare il proprio consenso elettorale cavalcando l'ondata di anti-americanismo causata dal massacro di un pugno di carabinieri padri di famiglia. Infatti anche sommando i democristiani, i repubblicani, i liberali, i socialdemocratici (cioè il tetrapartito orfano del PSI) con i radicali e gli autonomisti i numeri non tornano. Ogni tentativo trasversale fallisce perchè la corrente andreottiana ha intenzione di certificare il fallimento del "secondo centrosinistra" DC-PSI lanciato da De Mita per tornare alla guida del partito. Così, dopo i falliti mandati esplorativi a De Mita stesso e a Scalfaro (nome esterno e integerrimo di provata fede atlantista, che venne tentato anche nel 1987 quanto la staffetta fallì), Cossiga dà il mandato all'anziano, stagionato e collaudato Amintore Fanfani, da pochi mesi Presidente del Senato dopo essere successo allo stesso Cossiga, per creare un governo istituzionale che traghetti il paese a elezioni anticipate (come in HL nel 1987).

Il voto si tiene all'inizio del 1986. I comunisti e i partiti alla loro sinistra fanno una campagna apertamente anti-atlantica, i socialisti la personalizzano incentrando tutta la loro retorica su Craxi come patriota italiano in stile risorgimentale, anti-comunista ma anche non suddito dello Zio Sam. La DC è presa in mezzo, le sue posizioni tradizionalmente concilianti mal si sposano con l'aggressività della campagna elettorale, gli andreottiani filo-arabi abbandonano a De Mita la patata bollente. Solo i repubblicani e i liberali fanno una campagna apertamente atlantista, mentre i missini rispolverano la famosa "Terza Via Fascista". I risultati sono chiari: i socialisti si attestano attorno al 20% con un evidente rafforzamento che vede il prosciugamento del tradizionale bacino dell'elettorato laico-moderato-progressista, lasciando a repubblicani, liberali, socialdemocratici e radicali solo le briciole. Il PC non arretra, anzi si rafforza, e in pratica tallona la DC di pochi decimali attorno al trenta per cento. Il resto del tetrapartito, assieme ai Verdi, sono quasi dimezzati rispetto all'HL e si fermano a un complessivo 5%. Modesto rafforzamento dell'MSI mentre gli autonomisti vanno male a causa delle generale ripresa del sentimento nazionale italiano. Indro Montanelli dichiarerà che il periodo tra il 1982 e il 1986 saranno gli Anni del Tricolore (contrapposti agli Anni di Piombo e agli Anni di Fango), dove i successi calcistici e le vicende internazionali getteranno la base per una riscoperta del patriottismo nazionale.

Di fatto il risultato è uno stallo a tre tra il blocco comunista, i socialisti e il blocco a guida democristiana. Andreotti e Forlani fanno partire il piano prevista, costringono De Mita a dimettersi e riprendono la guida del partito, quindi rinegoziano un nuovo accordo con Craxi, che torna premier, per spartirsi la torta. Per l'establishment italiano è tutto sistemato e la retorica nazionalista può essere rimessa in cantina in attesa della prossima campagna elettorale. Ma gli americani non perdonano e si preparano ad attuare la loro massima preferita: "Se non ti piacciono i risultati della democrazia, cambia la democrazia"...

A inizio 1988 scoppia lo scandalo delle carceri d'oro che travolge alcuni maggiorenti democristiani come Vittorino Colombo e il segretario del PSDI Franco Nicolazzi. Ma nel bel mezzo della tempesta giudiziaria documenti scottanti vengono rinvenuti "casualmente" dai magistrati inquirenti. Gherardo Colombo ci mette la testa e fa scoppiare lo scandalo della corruzione nel PSI. Nell'ambiente si parla di un'operazione per avere la testa di Craxi ma lo scandalo avrà conseguenze inattese: infatti saltano fuori tangenti a tutti i partiti e in breve l'intero schieramento politico ne è travolto. La stampa ribattezza la vicenda "Tangentopoli" (anche se in generale l'allargamento dello scandalo sarà più graduale che in HL a causa delle resistenze dovute all'ultima fase della Guerra Fredda).

Il Craxi II deve rassegnare le dimissioni dopo l'incriminazione del premier, che cerca di sfruttare la sua residua popolarità con un roboante discorso alla Camera in cui minaccia i suoi colleghi di partito e i magistrati e soprattutto ammette le sue colpe difendendosi con l'argomentazione che tutti i partiti si finanziano allo stesso modo. Andreotti e Forlani sgomitano per sostituirlo ma Craxi minaccia i cari alleati di veto, il CAF ormai traballa. Alla fine è chiamato alla guida del governo Giovanni Goria, giovane ministro democristiano che si spera possa offrire un volto fresco a un'opinione pubblica sempre più in rotta con la propria classe dirigente. Criticato per avere un politico quasi nulla in confronto al CAF, il Governo Goria farà poco per frenare la caduta in disgrazia del nuovo-vecchio pentapartito, che deve guardarsi anche dal fuoco amico del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che inizia le sue "picconate".

Le elezioni locali del 1990 vedono il grande successo delle sinistre e dei nascenti partiti anti-sistema: a Venezia i comunisti riescono a costruire una maggioranza con gli autonomisti e altre formazioni di sinistra ed eleggono sindaco l'ex deputato e filosofo Massimo Cacciari, teorico di un'intesa tra la sinistra italiana e un crescente sentimento localista che si sta manifestando nel centro-nord senza trovare sfogo né nei delegittimati partiti tradizionali né nei partiti separatisti danneggiati dai "Patriottici Anni Ottanta". A Palermo il democristiano dissidente Leoluca Orlando, fautore della "giunta esacolore" con i comunisti, i verdi e indipendenti cattolici e di sinistra ottiene un successo straordinario ma non viene riconfermato dal consiglio comunale per veto esplicito di Andreotti, che non tollera insubordinazioni nel suo "feudo": Orlando allora lancia il nuovo movimento politico La Rete. Il cattivo risultato alle amministrative causa le dimissioni del Governo Goria, che è rimpiazzato da Forlani. Il PSI è ormai imploso dopo l'arresto eclatante del suo segretario Bettino Craxi prima che potesse fuggire all'estero (in questa TL non ha avuto il tempo di coltivarsi Ben Alì per ottenere asilo politico) ma lo scandalo lambisce apertamente anche la DC e i partiti laici minori.

Le elezioni del 1991 sono un terremoto politico: il Partito Socialista praticamente scompare, la DC sprofonda sotto il 20%, gli altri "tre moschettieri" del pentapartito (PSDI, PLI, PRI) evaporano. Il Partito Comunista dovrebbe beneficiarne di default ma paga la dolorosa transizione a Partito Democratico di Sinistra lanciata a sorpresa pochi mesi prima delle elezioni e di fatto ancora una volta si ritrova dietro ai democristiani. Il risultato è comunque clamoroso: la somma dei principali partiti uscenti rappresenta sì e no appena un terzo dell'elettorato. Grande successo ottengono invece Mariotto Segni, volto ex democristiano della stagione dei referendum anti-establishment che si è messo ora alla guida di Alleanza Democratica, un patto tra i sopravvissuti dei partiti laici, i dissidenti cattolici e i federalisti guidata da Cacciari e Franco Castellazzi; La Rete di Orlando e Nando Dalla Chiesa; i Verdi e i Radicali. Il resto va ai missini, in rialzo, a Rifondazione Comunista e al Partito dell'Amore di Moana Pozzi. Segni diventa premier alla guida di una coalizione tra diessini, democratici, La Rete, ambientalisti, radicali, RC e "amoristi", replicando a livello nazionale l'esperimento della "giunta esacolore". Nel 1992 i comunisti sono compensati con l'elezione di Nilde Iotti alla Presidenza della Repubblica.

Il Governo Segni avrà vita difficile, a causa del peggioramento delle condizioni economiche, dello scoppio delle Guerre di Mafia e della litigiosità della sua maggioranza. Segni stesso dovrà dimettersi dopo il ritiro della fiducia dei vetero-comunisti e sarà sostituito dal più progressista Willer Bordon. Durante il suo periodo radicali e "amoristi" si unificheranno dopo la morte della Pozzi, Rifondazione si dividerà ancora mentre intellettuali come Romano Prodi e Arturo Parisi proporranno di fondere La Rete e Alleanza Democratico in un unico soggetto, per ora senza successo. All'opposizione invece si segnala l'ascesa della Lega Meridionale dell'ex telepredicatore e Sindaco di Taranto Gianfranco Cito, che beneficia nel focus "nordista" della sinistra in questa TL e può contare sui delusi dalla svolta moderata di Gianfranco Fini, a cui si affianca a sorpresa un partito monarchico guidato dal Duca Amedeo di Savoia-Aosta e in seguito anche una formazione moderata chiamata Futuro Italia e guidata da Luca Cordero di Montezemolo. Queste tre formazioni, assieme a Fini, al rinnovato Partito Cristiano Democratico guidato dal giovane Pierferdinando Casini e a una formazione scissionista ex radicale contraria all'intesa con la sinistra e che raccoglie il testimone della destra liberal-libertar-liberista guidata da Emma Bonino, formeranno la coalizione che vincerà le elezioni nel 1996. Fini e Cacciari saranno protagonisti della famosa riforma presidenzialista nei primi Anni Duemila.

Presidenti del Consiglio:
Bettino Craxi 1983-1985 PSI
Amintore Fanfani 1985-1986 DC
Bettino Craxi 1986-1988 PSI
Giovanni Goria 1988-1990 DC
Arnaldo Forlani 1990-1991 DC
Mariotto Segni 1991-1993 AD
Willer Bordon 1993-1995 AD
Antonio Maccanico 1995-1996 AD
Gianfranco Fini 1996-2001 AN
Massimo Cacciari 2001-2006 AD
Pierferdinando Casini 2006-2011 PCD
Fabio Mussi 2011-2016 DS
Pierferdinando Casini 2016-... PCD

Presidenti della Repubblica:
Francesco Cossiga 1985-1992 DC
Nilde Iotti 1992-1999 PDS
Lamberto Dini 1999-2006 PLD
Gianfranco Fini 2006-2011 AN
Massimo Cacciari 2011-2016 AD
Luca Cordero di Montezemolo 2016-... FI

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Diamo ora la parola a Generalissimus, che ha tradotto per noi questa ucronia:

E se il disastro di Černobyl' non fosse mai avvenuto?

L'era atomica portò nuove possibilità, ora l'energia nucleare poteva essere imbrigliata per creare armi di distruzione di massa e come energia alternativa.
L'Unione Sovietica costruì centrali nucleari sul suo territorio nel tentativo di ottenere energia pulita e forse anche per costruire qualche bomba.
Ma quel tentativo ebbe un esito disastroso nel 1986 in Ucraina: il catastrofico meltdown di un reattore nucleare rilasciò radiazioni letali nell'area circostante, l'incidente portò all'evacuazione di intere città che non vennero più ripopolate.
Il Disastro di Černobyl' è diventato il simbolo degli effetti negativi delle radiazioni e di quello che l'uomo può fare all'ambiente, e ci ha fatto dare uno sguardo a quella che poteva essere un'apocalisse nucleare.
Ora questo fa sorgere la domanda: come sarebbe il mondo se il Disastro di Černobyl' non avvenisse mai? L'energia atomica sarebbe percepita in modo diverso in questa TL alternativa? Potrebbero esserci anche altri effetti politici e storici? Ma prima, un po' di contestualizzazione per quelli che non conoscono il Disastro di Černobyl': quella che è comunemente nota come Černobyl' si chiamava in realtà Centrale Nucleare Vladimir Il'ič Lenin, e si trovava vicino alla città di Černobyl', oggi la centrale è conosciuta semplicemente come "la centrale di Černobyl'".
In epoca sovietica venne costruita e diretta sotto la giurisdizione dello stesso governo di Mosca.
L'impianto si trovava nella città di Pryp''jat', che era stata costruita nel 1970 dal governo sovietico per ospitare gli operai della centrale.
Il 26 Aprile 1986 le vite dei cittadini di Černobyl', Pryp''jat' e di innumerevoli altri sarebbero cambiate per sempre: nel reattore nucleare 4 un test di sicurezza di routine (lo so, è ironico) andò malissimo perché i normali protocolli di sicurezza vennero bypassati, portando all'esplosione del nocciolo, allo scoperchiamento del tetto del reattore e allo spargimento di grafite nell'area.
Le cause del disastro furono probabilmente numerose: il progetto difettoso del reattore e l'errore umano ebbero sicuramente una parte.
Furono inviati dei pompieri ad affrontare gli incendi causati dall'esplosione e finirono in una zona altamente radioattiva.
Gli effetti furono immediati, avvertirono dolore su tutta la pelle appena i loro corpi furono sottoposti alla piena forza delle radiazioni.
In tutto 31 persone moriranno a causa di malattie provocate dalle radiazioni pochi mesi dopo.
Più tardi, quel giorno, la gente di Pryp''jat' capì che c'era qualcosa che non andava, il vomito e le vertigini erano tutti sintomi del fatto che le radiazioni stavano ricadendo su di loro.
Il giorno seguente fu dato l'ordine di evacuare le aree circostanti, Pryp''jat' inclusa, e furono inviati autobus a trasferire le persone verso aree esterne alla zona immediatamente colpita dalle radiazioni.
Risuonarono i messaggi del Partito Comunista dagli altoparlanti della città, che invitavano i civili a lasciare i loro averi, ma nessuno tornò mai a riprenderli.
L'incidente e l'evacuazione di un'intera città non vennero resi pubblici fino a due giorni dopo il disastro, e anche allora vennero minimizzati.
Le radiazioni vennero trasportate dai pennacchi di fumo in regioni molto lontane da Pryp''jat' e Černobyl', e i venti trasportarono il fallout in Ucraina, Russia e Bielorussia.
Le radiazioni viaggiarono in tutto il mondo e nelle vicinanze dell'incidente calarono dal cielo e uccisero la vegetazione.
Col deteriorarsi della situazione i membri delle squadre d'emergenza fermarono il rischio di un'esplosione di vapore e i liquidatori iniziarono a raccogliere i detriti altamente radioattivi che ingombravano l'intero sito.
Per impedire ad altre radiazioni di inquinare l'ambiente, gli ingegneri sovietici si misero al lavoro e dopo cinque mesi un enorme sarcofago di cemento e acciaio ricoprì il reattore esploso, rinchiudendo al suo interno detriti e materiali radioattivi..
Questa struttura ha aiutato ad impedire alle radiazioni di fare ulteriori danni, ma in molte aree l'ambiente era ormai l'ombra di sé stesso.
Perciò, come sarebbe questa TL alternativa se il Disastro di Černobyl' non avvenisse mai? Beh, un effetto ovvio è che le aree di Pryp''yat', Černobyl' e degli altri villaggi circostanti continuerebbero ad essere abitate, la Zona di Alienazione di Černobyl' non esisterebbe.
L'Unione Sovietica cadrebbe comunque, stava soffrendo a causa di troppi problemi per poter rimanere a galla, ma impiegherebbe più tempo a cadere.
Il Disastro di Černobyl' influenzò le relazioni dei popoli non russi col governo sovietico, fece aprire gli occhi sul fatto che il governo di Mosca proteggeva i propri interessi piuttosto che la salute e la sicurezza del popolo.
L'impianto di Černobyl' era gestito direttamente dal governo sovietico, che era responsabile delle operazioni della centrale, della risposta in caso di emergenza e della notifica di emergenze come questa, tutte cose nelle quali i Sovietici fallirono.
All'inizio le dimensioni della catastrofe vennero minimizzate (classico modo di fare sovietico) ma le conseguenze tra le parole del governo e gli effetti portarono a più disillusione e sfiducia tra gli Ucraini e gli altri paesi non russi.
Černobyl' non fu solo un disastro ambientale, ma forse uno dei tanti crack che portarono al collasso dell'Unione Sovietica pochi anni dopo, fu il simbolo di un governo Comunista morente che stava muovendo i suoi ultimi passi, ma che dire del futuro dell'energia nucleare? Se in questa TL alternativa il Disastro di Černobyl' non avviene, vedremo le centrali nucleari prendere il sopravvento sulle centrali a carbone e a gas? No.
L'Incidente di Three Mile Island degli anni '70 diede il via alla prima grande protesta contro l'energia nucleare per via della paura di incidenti, e già entro gli anni '80 l'energia nucleare aveva iniziato a perdere fascino.
Non sono qui per discutere dei lati positivi e negativi dell'energia nucleare, quello che conta in questa TL alternativa è la percezione che ha il pubblico di essa.
Černobyl' fu un disastro in termini di pubbliche relazioni per l'energia nucleare, la sua crescita stava già rallentando a metà anni '80, ma il disastro fece interrompere la costruzione di molte nuove centrali, e dopo Černobyl' l'Italia votò contro l'energia nucleare l'anno seguente.
Černobyl' fece analizzare e migliorare i protocolli di sicurezza alle centrali di tutto il mondo, facendole intraprendere misure migliori per impedire che simili eventi si verificassero di nuovo.
In questa TL alternativa, anche se Černobyl' non avviene, ci sarebbero solo poche centrali in più, dato che senza la paura di Černobyl' non c'è la picchiata nella crescita dell'energia nucleare.
In questa TL alternativa il mondo non vede mai un evento catastrofico come Černobyl', dato che fu un disastro unico del suo genere: una combinazione di errore umani, difetti progettuali e corruzione sovietica, perfino a Fukushima dopo il terremoto non si raggiunsero mai gli stessi livelli di radiazioni di Černobyl', ma questo semplicemente a causa della natura del progetto.

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Aggiungiamo quest'altra ucronia della Prima Repubblica scritta da Enrico Pizzo:

I Colli Euganei

L'attività estrattiva sui Colli Euganei probabilmente è antica quanto l'uomo.
Dalle coline si è sempre estratto calcare per le fornaci da calce e trachite per le costruzioni, ma l'estrazione per secoli, anzi no - per millenni, si è sempre limitata a poche centinaia di mc di materiale tanto che le cave in alcuni casi sono persino diventate, in un certo modo, parte del paesaggio.
Le cose, purtroppo, iniziarono a cambiare dalla seconda metà del XVIII secolo, quando alla modesta domanda di pietra da taglio si aggiunse una ben più corposa richiesta di " pietra da annegamento " necessaria per le fondazioni che i volumi estratti fanno un salto di qualità.
Da allora è stato per 100 anni un continuo " crescendo ", passando dai 70000mc del 1895, ai 200000 del 1931 ed ai 500000 del 1952.
Ma è col Boom economico e l'avvio dei lavori di costruzione della rete autostradale che l'assalto ai Colli si fa brutale, arrivando ai 6000000 di mc del 1969.
Ma questa brutale attività di estrazione, che alla fine degli anni '60 minacciava l'esistenza stessa dei colli, scatenava sempre di più la paura delle popolazioni locali, frane smottamenti polvere e danni alla rete idrica erano pane quotidiano, e l'indignazione dei turisti.
Alla fine degli anni '60 sorsero numerosi " comitati spontanei " volti al salvataggio dei Colli che incontrarono l'appoggio della stampa nazionale, primo tra tutti il Corriere della Sera che il 9 Febbraio 1971 titolava " Diga di giovani per i Colli Euganei ".
L'attività dei comitati e la campagna stampa non potevano bastare senza un appoggio politico che venne trovato nel parlamentare locale Giuseppe Romanato, allora Presidente dell'ottava Commissione Belle Arti.
Romanato si impegno a presentare una proposta di legge che regolamentasse l'attività estrattiva.
La proposta di legge, intitolata " Norme per la tutela delle bellezze naturali e ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei ", venne presentata alla Camera il 4 Gennaio 1971, secondo firmatario era il deputato atestino Carlo Fracanzani.
La proposta era firmata anche da numerosi altri parlamentari, non solo di diversi partiti ma persino di diverse correnti dello stesso partito!!, che in quell'occasione raggiunsero un'unanimità sconcertante...
La proposta di legge prevedeva il divieto di aprire nuove cave e la riattivazione di quelle dismesse e la chiusura di quelle " che forniscono materiale trachitico, liparitico, calcareo o di altro tipo destinato a riempimenti, arginature, opere di difesa marittima, costruzioni di rilievi stradali e ferroviari ".
La legge passò alla Camera il 13 Maggio, il 14 una violenta protesta dei cavatori paralizzò la Bassa con blocco della linea ferroviaria e auto incendiate, in Senato le cose furono più difficili, il Presidente Fanfani però nicchiava dichiarandosi preoccupato per le ricadute occupazionali e le conseguenze che queste avrebbero avuto sulle future, imminenti, elezioni anticipate.
Fortunatamente la pressione dei comitati riuscì a vincere le resistenze senatoriali ed a fine Luglio la legge era approvata anche se alcune modifiche ne rendevano necessario un secondo passaggio parlamentare.
Data l'imminente fine anticipata della legislatura ci furono forti pressioni su Romanato perchè rimandasse a dopo le elezioni l'approvazione finale della legge, ma questi decise di essere coerente e rimettendola in discussione.
La proposta di legge venne definitivamente approvata il 24 Novembre del 1971, ultimo giorno della legislatura, nessun voto contrario, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 Dicembre.
I cavatori reagirono ricorrendo alla Corte Costituzionale sostenendo l'incostituzionalità della legge che espropriava beni di privati senza prevedere l'indennizzo.
Il 22 Febbraio del 1973 la Corte Costituzionale respingeva i ricorsi ricordando che il sottosuolo, e quindi il materiale lapideo delle cave, è di proprietà del Demanio che può concederlo in uso ai privati ma senza che questi possano vantare un effettivo diritto di proprietà.
La legge, purtroppo, arrivava troppo tardi per salvare alcune colline...
Nel 1972 del monte Fiorin e del monte Barbaro restavano solo dei desolanti buchi del terreno, in seguito goffamente camuffati in laghetti...
Ma cosa sarebbe successo se Romanato nel '71 avesse ceduto alle pressioni dei suoi compagni di partito rimandando l'approvazione della legge a tempi futuri?

P.S.: Per le cifre sull'attività estrattiva mi sono avvalso del libro che sto leggendo "I Colli Euganei", per l'iter politico su quanto mi aveva raccontato, un pomeriggio ad Este tantissimi anni fa, mio padre.

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Fabio Roman commenta:

Una cosa del genere successe anche a Sant'Ambrogio di Torino, sotto il Monte Pirchiriano (quello sulla cui sommità si trova la Sacra di San Michele). L'attività estrattiva alle pendici della montagna fu interrotta tra gli anni '80 e '90 tra polemiche varie, culminate in sospetti ai padri rosminiani che ancora risiedono nell'abbazia di essersi rivolti agli "agganci giusti" per ottenere un'interruzione in tempi relativamente rapidi, esagerando il rischio di smottamenti.

Probabilmente il pericolo non era così imminente, ma a vedere gli strapiombi palesemente non naturali che si sono creati nei decenni, se si fosse continuato fino ad oggi, forse adesso sarebbe un problema.

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Ed Enrico Pellerito non può fare a meno di concludere:

Sarebbe accaduto uno scempio, un danno orribile ad una delle più belle zone del Veneto e dell'Italia.
L'ennesimo danno ecologico e territoriale come altri che si sono verificati in questa nazione dove spesso interessi e miopia hanno prevalso rispetto alla riuscita salvaguardia dei beni naturali.

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Diamo ora la parola a Dario Carcano:

Mercoledì 13 settembre 1972 sul Corriere della Sera usciva un articolo in cui si commentava un previsione dell’economista Pasquale Saraceno, che in un rapporto al ministro del Bilancio (all’epoca il democristiano Paolo Emilio Taviani) sosteneva che il divario economico tra Nord e Sud, uno dei più gravi problemi dell’economia italiana, si sarebbe risolto nel 2020.

Nell’articolo si criticava il modo in cui negli anni del Boom era avvenuto lo sviluppo economico al Sud, definito disordinato, e si evidenziava come fosse necessario un cambiamento. Si aveva un po’ più di fiducia nel settore siderurgico, anche se gli stabilimenti Italsider di Taranto e Napoli venivano giudicati “Piramidi sulle sabbie mobili”. Veniva invece criticata la propensione a investire nel mattone o alla ricerca di un posto statale, che non lasciava spazio all’industrializzazione e spingeva i laureati del Sud a emigrare.

“[…] Ovviamente, se a distanza di quasi cinquant'anni la situazione non si è evoluta nella direzione auspicata, la colpa non va individuata nell'analisi di Saraceno, […] piuttosto bisognerebbe cercare nell'incapacità (dimostrata dalle classi dirigenti) di ascoltare le indicazioni che provenivano da parte degli studiosi e di inaugurare una serie di riforme figlie di una visione politica. Il fatto stesso che la previsione del Corriere fosse accompagnata da un'immagine dell'Italsider di Taranto è quanto mai eloquente sulla fiducia nei confronti di un'industrializzazione che in quegli anni rappresentava una speranza concreta di cambiamento e oggi invece si è rivelata uno degli snodi più disastrosi del rapporto fra Sud e modernità.
Il vero problema non era tanto la presenza più o meno invasiva delle fabbriche, che occuparono una parte consistente nei discorsi politici e perfino nell'immaginario degli scrittori, quanto l'incapacità di chi ha gestito il potere nel saper individuare le coordinate di un modello concreto di sviluppo. […]” (Giuseppe Lupo, Il Sole24Ore, 21 dicembre 2019)

A questo punto devo porre una domanda difficile: a partire dal 1972 come dovrebbero cambiare gli avvenimenti storici affinché si realizzi la previsione di Saraceno, e nel 2020 sia colmato il divario economico tra Nord e Sud Italia?

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Gli risponde Fabio Roman:

Nel 1972 non si facevano di certo le considerazioni che giustamente facciamo oggi sull'ILVA, e sulle altre realtà produttivi simili. Considerato che fino a 20 anni prima eravamo un paese arretrato in cui gli elettrodomestici erano riservati ai ceti abbienti, c'era da leccarsi le dita di non doversi più spaccare la schiena sui campi col rischio di fare la fame in caso di condizioni climatiche avverse; il pensiero di ammalarsi sul lavoro, ammesso che fosse noto, passava in secondo piano.

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E MorteBianca aggiunge:

Penso che risolvere il divario in mezzo secolo sia un'impresa non da poco. Ecco alcune mie opinioni su cosa si sarebbe dovuto fare:

-Lotta matta e disperatissima alla criminalità con annesse leggi sull'ineggibilità, sulla processabilità ed i privilegi politici, snellimento della Burocrazia.

-Massivi investimenti nella realtà meridionale, sgravi fiscali per le imprese estere ed interne che localizzano al Sud, importante wellfare a livello nazionale (che per forza di cose coprirebbe più il Sud che il Nord).

-Importanti infrastrutture (all'avanguardia europea) da costruire in tutto il meridione, favorendo l'urbanizzazione, il proliferare di autostrade e treni ad alta velocità e grandi industrie informatiche e di telecomunicazioni.

-L'ondata migratoria potrebbe, se coniugata con una buona integrazione, condurre a colmare il gap di popolazione.

Continua per 50 anni di fila senza fermarti mai e, forse, la differenza tra Nord e Sud sarà solo una differenza geografica.

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Vi è anche un'altra idea di MorteBianca:

Craxi nello spazio

Craxi implementa con successo il programma nucleare italiano, il suo partito non si oppone. L'Italia nucleare diventa più autonoma dal petrolio e dal gas, anche l'economia italiana conosce un leggero rialzo.

Craxi non si ferma e, nel corso dei suoi governi, prosegue il programma missilistico italiano. Dopo Alfa 1, 2 e 3 si sperimenta Alfa 4, usando per la prima volta un vero dispositivo nucleare (ovviamente di matrice americana). L'Italia si rende disponibile per lanciare le testate americane, mentre intanto avvia il proprio arsenale nucleare. Primo test nucleare di successo condotto nel Nord della Sardegna (lo chiamavano Test Trinità), ed un test successivo riguarda l'uso combinato di testata e lancio (continuavano a chiamarlo Trinità). Il Papa critica l'arma nucleare italiana, ma a nulla serve la sua lamentela, ed oggi l'arsenale italiano conta circa 217 testate. Intanto dai missili si passa ai satelliti, l'Italia diventa l'emblema europeo nella corsa allo spazio, diversi astronauti italiani vanno a lavorare negli Stati Uniti per progetti di collaborazione tra i due paesi. Con il modulo Galileo il primo italiano fa la sua passeggiata nello spazio. Il Vaticano avvia una prolifica collaborazione per le osservazioni spaziali. Berlusconi è il primo privato europeo con una trasmissione satellitare in proprio. La Stazione Spaziale Europea (ex Stazione Garibaldi) è ancora oggi un orgoglio italiano (anche se è stata sistemata ed ingrandita da pezzi costruiti da vari paesi europei). Samantha Cristoforetti, anni dopo, sarà la prima italiana a mettere piede sulla Luna. Elon Musk annuncia di voler fondare la sua nuova azienda, la SpaceX, qui in Italia, a seguito della progressiva privatizzazione del settore industriale aero-spaziale da parte del governo Renzi. Il Movimento Cinque Stelle fa propria la battaglia contro il Nucleare, mentre Salvini annuncia, se arriverà al governo, che aumenterà il numero di centrali nucleari per incrementare l'autonomia italiana. La Centrale di Taranto è nota per il suo scandalo nel riciclaggio dei rifiuti tossici. Un giornalista americano afferma "in tre cose gli italiani, oggi, primeggiano: la Cucina, la Moda, lo Spazio".

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feder commenta:

E pensare che io mi ero immaginato Bettino Craxi a tu per tu con gli alieni  :D

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E Shark Peddis fa notare:

Mmm... Dopo i fatti di Pratobello del '69 dubito che l'Italia sarebbe riuscita ad espropriare altre territori non militarizzate come il Nord Sardegna, al massimo lo avrebbero a Capo Frasca, nel Salto di Quirra o a Capo Teulada come in HL (perché sì, sono state impiegati anche materiali radioattivi nei test militari in queste basi). Può sembrare una sottigliezza, ma se il Governo non vuole grane provenienti dal basso deve oculare bene le sue scelte.

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Alessio Mammarella poi aggiunge:

L'Italia, nonostante budget risicatissimi dedicati alla ricerca scientifica, ha una presenza abbastanza significativa nel settore aerospaziale. Avio Spazio per esempio è una società (minuscola rispetto ai colossi di altri paesi, ma d'eccellenza) che realizza un vettore spaziale, il razzo Vega. Oltre a essere un concorrente dei razzi Ariane il Vega è anche ipoteticamente utilizzabile per un programma militare. Seguendo l'ipotesi che si sta facendo di una Italia dotata di armi nucleari ci potrebbero quindi essere sicuramente 2 delle componenti di una "triade nucleare": le bombe tradizionali, imbarcate su aerei (bombe b-61 americane, su Tornado e poi F-35A) e gli ICBM lanciabili da postazione fissa. Mancherebbero i sottomarini lanciamissili. Negli anni '60 l'Italia aveva anche in progetto di costruire un sottomarino nucleare, ma a parte quell'ennesimo progetto arrivato a metà e poi abbandonato (la nostra storia industriale ne è tristemente piena), ad oggi l'Italia non è un grande costruttore di sottomarini, neppure di tipo convenzionale. Penso quindi che quella componente lì sarebbe assente in ogni caso.

Una cosa che mi ricordo dell'era Craxi era l'attenzione alla ricerca scientifica, e fu infatti in quegli anni che fu costruita la base in Antartide e fu creato il ministero dell'Ambiente. Quindi se immaginiamo maggiori risorse a disposizione risultati maggiori sarebbero realistici. Magari Marta Cristoforetti sulla Luna è esagerato, ma per esempio la società Thales Alenia Space, che ha il suo principale impianto a Torino e che ha fabbricato buona parte della Stazione Spaziale Internazionale avrebbe una composizione societaria diversa (Oggi è al 67% del gruppo francese Thales e al 33% di Leonardo... magari ci fosse stato qualche soldino in più a disposizione non si sarebbe stato bisogno di capitali francesi).

Insomma più Italia nello spazio non è una fantasia esagerata... sarebbero bastate scelte più lungimiranti da parte della politica (ma anche degli imprenditori privati, perché no... solo che l'imprenditore "tipo" italiano assomiglia più a Flavio Briatore che a Elon Musk).

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E Generalissimus sottolinea:

Avevamo già in progetto addirittura dei sommergibili a propulsione nucleare, di classe Guglielmo Marconi.

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Tuttavia Alessio Mammarella gli fa notare:

Costruire una forza nucleare subacquea è in assoluto la cosa più complessa e costosa. Anche ipotizzando di avere conservato in Italia una industria nucleare, in grado di fabbricare un reattore ed i relativi sottosistemi, non è immediato stipare tutto dentro un sottomarino sufficientemente sicuro e sufficientemente silenzioso (il silenzio è un requisito tecnico fondamentale). Americani e sovietici hanno avuto enormi problemi con le prime generazioni di sottomarini nucleari, e oggi quelli girano per gli oceani sono frutto di mezzo secolo di esperienze che altrove non possono essere presenti (e non possiamo neppure immaginare che gli americani ci regalerebbero i loro ingegneri e i loro tanti piccoli segreti costruttivi). I sottomarini cinesi e quelli francesi hanno, ancora oggi, notevoli problemi di inefficienza e rumorosità (malgrado questi paesi rispetto a USA e Russia abbiano solo un lieve ritardo). Idem per i britannici che addirittura non hanno dei missili propri, e devono montare le testate su quelli forniti dagli USA. L'idea che l'Italia si possa aggiungere facilmente al club la considero abbastanza velleitaria.

Oltretutto, il punto non è costruire un singolo sottomarino, uno non serve a nulla... poiché bisogna alternare periodi di operatività, pausa/manutenzione e addestramento, se non si dispone almeno di 4-6 sottomarini dello stesso tipo è praticamente come non averne nessuno. E se si dispone di sottomarini equipaggiati con missili balistici, poi occorrono almeno altrettanti sottomarini d'attacco per scortarli.

Insomma, io non credo che avrebbe senso per l'Italia, anche se fosse una Italia diversa più tecnologica e dotata di armi nucleari, fare una scelta del genere, probabilmente ci sono molti altri progetti tecnologicamente interessante che potrebbero essere finanziati, avendo le risorse.

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Tommaso Mazzoni propone:

Mi pare più interessante discutere di come la disponibilità di energia a minor prezzo influenzi l'economia italiana; io prevedo un debito più basso e maggiore crescita (oppure più mafia e qualche brutto incidente per impianti fatti colposamente male...)

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Alessio ritorna alla carica:

Una cosa interessante che possiamo considerare è che il costo dell'energia influenza le decisioni di investimento degli imprenditori. Se l'energia costa poco, infatti, i settori economici "ad alta intensità di capitale" (che fanno cioè, un grande uso di macchinari energivori) sono favoriti. Famoso il caso dell'ex Alcoa, in Sardegna, dove proprio l'elevato costo dell'energia sembra alla base della decisione della precedente proprietà di cedere l'impianto e di quella attuale di chiuderlo per spostare la produzione nei paesi arabi. Se l'Italia, invece di avere la bolletta energetica più salata del continente, avesse disponibilità di energia a basso costo, certi rami d'attività sarebbero più fiorenti.

Dall'altra parte, c'è una corrente di pensiero secondo cui un alto costo dell'energia costituirebbe un disincentivo all'inefficienza energetica, e quindi favorirebbe le scelte di risparmio energetico. Indubbiamente l'Italia è un paese in cui si fa risparmio energetico (anche se l'ambito edilizio è molto indietro, le gran parte degli edifici sono obsoleti e inefficienti da riscaldare).

Comunque, lasciatemelo dire, mi sembra di leggere troppo pessimismo a proposito della presunta incapacità degli italiani di gestire delle centrali nucleari, sia sulla questione della criminalità organizzata. Se pensiamo che ogni opera pubblica sia automaticamente un favore alla mafia, poi non lamentiamoci per l'esistenza del movimento no-tav (e scusatemi se vi sembro polemico, non è mia intenzione).

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Anche un altro Enrico ha voluto cimentarsi con un'ucronia della Prima Repubblica:

Addio a Craxi

L'edizione delle 13 del TG1 si apre con una notizia annunciata praticamente in diretta: Bettino Craxi è morto. Il presidente del consiglio, dopo una riunione fiume con i vertici del PSI e prima di un importante comizio a Napoli, è stato colto da ictus durante la nottata ed è morto in ospedale.

Il 14 giugno si svolgono i funerali a Roma: partecipano tutti i leader politici italiani, da Berlinguer ad Almirante, mentre due giorni dopo, in tutta fretta, viene nominato primo ministro Amintore Fanfani, richiamato dopo un breve consulto fra i partiti politici. Il PCI di Enrico Berlinguer, per non creare ulteriore scompiglio nel paese, decide di astenersi durante il voto di fiducia. Il 17 giugno si tengono le elezioni europee che vedono una netta crescita del PSI sulla scia della morte del suo leader, mentre tengono la DC ed i comunisti. Il segretario socialista diventa il delfino di Craxi, Gianni Demichelis.

Il governo Fanfani è destinato, tuttavia, a durare poco. Con la morte di Craxi si riaprono ferite gravi all'interno del Partito Socialista che subisce anche una grossa emorragia di iscritti ed elettori, la cui gran parte ripiegherà sull'astensionismo ed in piccola parte a supportare il PCI che nel frattempo aveva ripristinato i contatti con i partiti al governo in quello che da molti viene chiamato il "Secondo compromesso".

Nel 1985 si tengono le elezioni politiche che premiano la DC ed il PCI. I due partiti avanzano (la DC al 34%, il PCI al 30%) mentre i socialisti perdono terreno. La composizione del governo è di difficile interpretazione ed il Pentapartito riesce ad imporsi grazie alla longa manus di Francesco Cossiga, il quale però esautora di qualsiasi potere la componente socialista. Viene eletto presidente del consiglio un altro socialista: De Martino.

Poche settimane dopo, i "Si" vincono il referendum sulla Scala Mobile: un trionfo per il PCI e per Berlinguer che si era fatto promotore dell'iniziativa.

L'anno successivo l'incidente di Chernobyl allontana ulteriormente i comunisti italiani dall'Unione Sovietica, tanto che si parla di un possibile cambio di rotta (e addirittura di nome e simbolo) riguardo a tutte le posizioni storico-ideologiche del partito. Il governo Andreotti regge fino a dicembre. Gli succede De Mita, il quale però riesce a mantenere il governo in piedi solo fino a luglio 1987.

In quell'anno avvengono due importanti congressi: il primo è del PSI che si deve rinnovare dopo alcuni anni di profonde sconfitte ed una crisi che non pare conoscere virate. Si aggiungono tre pesanti procedimenti legali a carico di De Michelis, Martelli e Pillitteri, i quali verranno chiamati a gran voce alle dimissioni.

Il congresso elegge Gino Giugni in qualità di segretario, ma la vittoria in realtà è di Giorgio Benvenuto, leader della UIL, sceso in campo per sostenere la candidatura del padre dello Statuto dei Lavoratori. L'elezione viene applaudita dal PCI, mentre la DC sente minacciata la stabilità del governo.

Proprio il PCI va a congresso a settembre, con un'inedita sfida fra Berlinguer e Cossutta per la leadership. Berlinguer propone di proseguire il reindirizzamento del partito verso un socialismo di matrice scandinava, andando addirittura oltre quelli che erano stati i paletti posti durante le riunioni con Carrillo e Marchand ai tempi dell'Eurocomunismo. La parte più oltranzista si raduna attorno a Cossutta, il quale però otterrà solo il 10% e si dimetterà dal partito, fondando il Movimento per la Rifondazione Comunista che però otterrà scarso seguito.

Nel 1988 per la prima volta cade un governo a causa del voto di sfiducia: Ciriaco De Mita aveva posto la fiducia sulla riforma del lavoro, richiesta da Confindustria per venire incontro alla crisi della grande impresa, tuttavia PCI e PSI si oppongono e assieme al MSI contribuiranno a far cadere il primo ministro campano.

C'è scoramento nella DC, anche perchè le ultime elezioni amministrative sono state una Caporetto: Torino, Napoli e, soprattutto, Milano sono andate in mani comuniste, mentre a Roma il sindaco è il giovane socialista Cicchitto, sostenuto da PCI e PRI. Il congresso viene rinviato al dopo-elezioni che si preannuncia drammatico.

Nel maggio 1988 non avviene il tanto temuto sorpasso, ma solo per una questione di decimi: DC 32,6 - PCI 31,8%.

L'ago della bilancia diventa il PSI con il suo 10,4% : Giugni e Benvenuto danno la disponibilità ad un governo di unità nazionale sotto la guida di un esponente super-partes o quantomeno riconosciuto da tutti i partiti italiani. E' di nuovo Spadolini, questa volta sostenuto anche dal Partito Comunista di Berlinguer.

Il 1989 è l'anno del crollo del muro: il PCI sorprende tutti già ad aprile, cambiando nome e simbolo. Partito della Sinistra Democratica è il nuovo nome della creatura voluta da Enrico Berlinguer. Esce dal movimento una piccola fazione guidata dai più giovani D'Alema e Bersani, attivi nel nuovo Partito dei Comunisti Italiani che tuttavia rientrerà nel PSD nel 1992.

Il governo Spadolini resiste fino al 1992, quando lo scandalo che aveva colpito il PSI si allarga anche a DC e PCI, colpendo però personaggi di secondo piano, fatta eccezione per il ministro dei trasporti Arnaldo Forlani.

Si rende necessaria una nuova consultazione elettorale in cui il PSD effettua il tanto agognato sorpasso e vince con il 35% delle preferenze. E' così possibile un governo in alleanza con il PSI che, seppure in calo, aveva potuto permettere un'alleanza solida con PRI e PRC.

Il ruolo di primo ministro non viene assegnato a Berlinguer, ormai 70enne, ma all'ex ministro degli interni Achille Occhetto. Il governo cerca di imporre un nuovo sistema di aliquote ed una riforma della scuola. Le riforme passano, ma il sostegno al governo si assottiglia nel corso dei mesi e dopo un anno e mezzo dalla clamorosa vittoria rossa, Occhetto si dimette. Lo stesso giorno Berlinguer, ministro degli esteri, annuncia il ritiro dalla politica.

Questa per il PSD suona come una campana a morto, perchè nel frattempo la DC, fortemente rinnovata dopo il tracollo elettorale, torna alla carica con un governo sostenuto dal PSI e per il quale il PCI decide per l'astensione.

Le nuove elezioni politiche si tengono nel 1994 quando, nonostante la discesa in campo del magnate televisivo Silvio Berlusconi, la DC del giovane Pierferdinando Casini vince con il nuovo sistema maggioritario. Ne fa le spese anche la sinistra dell'altrettanto giovane Walter Veltroni, il quale avvia un processo di unità con il PSI che culminerà, nel 1998, con la nascita del Partito Democratico della Sinistra.

Nel 1996 Casini lascia spazio a Romano Prodi dopo la crisi di governo, ed i partiti dell'area centrista manterranno la leadership fino alla nuova tornata elettorale del 1999, quando un clamoroso ribaltamento di fronte permette a Giuliano Amato di essere eletto premier. Lo stesso anno, Enrico Berlinguer viene eletto Presidente della Repubblica, dopo essere stato senatore a vita per sette anni.

Nel 2002 l'Italia entra nell'Euro, ma la crisi che ne deriva costringe Amato alle dimissioni. Si alternano governi di area centrista ad altri di sinistra moderata, fino alla clamorosa riforma del 2008 in chiave presidenziale. Le prime elezioni presidenziali dirette vedono contrapposti Veltroni (PDS) e Franceschini (PPI, nuovo nome della DC), ma la grande sorpresa è l'exploit del leader dell'estrema destra Gianfranco Fini che scalza, con il 31%, Franceschini e va al ballottaggio con Veltroni, che vincerà godendo del supporto democristiano per evitare la deriva populista.

Il 23 giugno 2011 muore a Roma Enrico Berlinguer, ai cui funerali parteciperà oltre un milione di persone.

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Altra ucronia della Prima Repubblica, stavolta di Inuyasha Han'yō:

Requiem (anticipato) per Saddam

Il 2 agosto 1990, trent'anni or sono, l’Iraq invase il vicino Kuwait, annettendolo come sua diciottesima provincia. Questo atto fu il culmine di una crisi diplomatica iniziata meno di un mese prima, quando il governo di Baghdad aveva accusato il minuscolo vicino di rubargli il petrolio. Il dittatore iracheno Saddam Hussein sperava nell'appoggio degli Stati Uniti d’America, ma questi già il 4 agosto gli intimarono di ritirarsi dal Kuwait e il 6 le Nazioni Unite vararono sanzioni economiche contro lo stato mesopotamico. I mesi passarono, e in Occidente ebbe luogo una campagna mediatica in favore dell’intervento contro l’Iraq, mentre nei paesi islamici si svolgevano manifestazioni in favore di Saddam Hussein. Tuttavia anche nei paesi europei si svolsero manifestazioni contro l’imminente guerra da parte di gruppi di pacifisti, che però non minarono la volontà dei governi occidentali. Il 29 novembre il consiglio di sicurezza dell’ONU approva con 4 voti favorevoli su 5 (la Cina si astenne) una risoluzione che autorizzava gli USA all'uso della forza contro l’Iraq se questi non si fosse ritirato dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991. Saddam però non aveva alcuna intenzione di obbedire, e in una intervista a Bruno Vespa dichiarò che l’annessione del Kuwait è assolutamente legittima, adducendo il pretesto che il Kuwait in passato era territorio iracheno (cosa non vera).

Nonostante i suoi proclami altisonanti (“Allah è con noi!” Dichiarerà) il 15 gennaio ebbe inizio l’operazione Desert Storm: la coalizione a guida USA (cui partecipano USA, Canada, Argentina, Francia e altri) liberò in breve tempo il Kuwait. Saddam temette allora di avere i giorni contati, tanto che sembra abbia domandato a uno dei suoi collaboratori:

“Credi che gli americani arriveranno a Baghdad?”

Per sua fortuna, però Bush senior lo considerava ancora un valido argine contro l’Iran teocratico, e per questo decise di lasciarlo in sella. Una decisione che costerà a lui la rielezione, e al Medio Oriente una guerra futura con conseguenze fosche per l’intera area (basti pensare all'ascesa dell’ISIS).

Ma se invece avesse deciso di continuare l’avanzata fino a Baghdad, causando la caduta del regime di Saddam con 12 anni d’anticipo? Andiamo con ordine:

L’occupazione dell’Iraq e l’abbattimento del regime di Baghdad sarebbe stata relativamente facile. L’esercito iracheno non potevano in alcun modo competere con le forze della coalizione, si sarebbe dissolto in breve tempo. E poi?

IL DOPO-SADDAM

In questa TL avviene ciò che nella nostra avvenne nel 2003: la coalizione entra a Baghdad e poi occupa il resto dell’Iraq, determinando il crollo del regime bhaatista con 12 anni d’anticipo.

Saddam Hussein potrebbe prendere la via dell’esilio, recandosi in Siria o nello Yemen o in qualche altra nazione, oppure subire una sorte simile a quella toccatagli nella HL, processato per crimini di guerra e giustiziato.

A questo punto l’Iraq viene inizialmente guidato da un governatore militare americano (Colin Powell o Norman Schwarzkopf), e poi da un nuovo governo iracheno, di impronta democratica.

Intanto però l’abbattimento del regime di Baghdad crea un vuoto di potere, che genera instabilità, e tensioni religiose/separatiste.

I sunniti sono la maggioritaria in tutto il mondo islamico, fatta eccezione per due stati: l’Iran e l’Iraq, dove gli sciiti sono la maggioranza.

Sebbene Saddam Hussein venga indicato come un leader laico, egli perseguitò duramente gli sciiti e favorì i sunniti. Forse era ostile agli sciiti per motivi religiosi, o più probabilmente li vedeva come potenziali quinte colonne leali all’Iran, con cui l’Iraq combatté una lunga e sanguinosa guerra negli anni ’80.

Ma non solo con gli sciiti: Saddam usò il pugno di ferro anche contro i curdi, che abitavano (e abitano) il nord dell’Iraq e avevano aspirazioni indipendentiste.

Caduto Saddam avremmo questa situazione:

I sunniti (specialmente i bahaatisti, leali al rais) si sentirebbero scalzati dal loro ruolo di favoriti, e sarebbero ostili alle forze alleate, colpevoli di occupare “illegalmente” il territorio iracheno, e agli sciiti.

Gli sciiti, dal canto loro, reclamerebbero ruoli di potere, da cui erano stati esclusi negli ultimi 12 anni.

I curdi dal canto loro mirerebbero all'indipendenza, ma verrebbero osteggiati da Iraq, Turchia, Iran e Siria (nel timore che essi tentino di dare vita a un grande Kurdistan, strappando loro i territori a maggioranza curda).

Una vera polveriera, insomma, segnata da guerriglia e attentati contro le truppe occidentali, che mieterebbero numerose vittime.

A gettare benzina sul fuoco ci penserebbero le potenze regionali dell’area: la Turchia, che contrasterebbe i curdi iracheni e le loro aspirazioni secessioniste; l’Iran, che appoggerebbe gli sciiti, nella speranza di attirare l’Iraq nella sua orbita rendendolo uno stato vassallo (dopo il ritiro degli occidentali); l’Arabia Saudita, che appoggerebbe i sunniti. Probabile che, negli anni successivi, entri in gioco anche Al Qaeda (che nella HL prese parte alla guerra civile nello Yemen).

NEGLI USA

Forte della vittoria irachena, Bush senior verrebbe rieletto per un secondo mandato (nella HL gli elettori non gli perdonarono l’aver lasciato in sella Saddam, e ciò favorì la vittoria del candidato democratico Bill Clinton). Se però la situazione irachena degenera come nella HL post 2003 la sua popolarità calerà sempre di più.

Inoltre la rielezione di Bush senior e l’impegno americano in Iraq potrebbe spingere Washington a trascurare altri scenari, come la Somalia.

GLI ANNI SUCCESSIVI

Le elezioni americane del 1996 sarebbero state vinte da un candidato democratico, probabilmente Al Gore (non so se Clinton si sarebbe ripresentato dopo il flop del ’92). Egli avrebbe ritirato le truppe dall'Iraq nel giro di tre anni, e avrebbe aderito al protocollo di Kyoto. In questa TL lo scandalo Lewinsky non avrebbe luogo e quindi il Partito Democratico non verrebbe danneggiato da esso. Di conseguenza Gore verrebbe rieletto, rimanendo in carica fino al 2005. Seguirebbe poi un candidato repubblicano (Bush Junior o un altro) fino al 2013, e oggi alla casa bianca probabilmente siederebbe un democratico. Dando per scontato che gli eventi in questa TL siano simili a quelli avvenuti nella nostra (l’11 settembre, la guerra in Afghanistan) gli USA in questo contesto avrebbero vita più facile, non dovendo aprire un secondo fronte in Iraq. Riguardo quest’ultimo posso fare un paio di ipotesi riguardo la sua sorte:

Uno: entra nell'orbita iraniana, se il governo rimane in mano agli sciiti. In questo contesto l’Arabia Saudita finanzia delle cellule sunnite contro il nuovo corso pro-Iran di Baghdad.

Due: entra nell'orbita saudita o turca, in tal caso è l’Iran a finanziare cellule sciite contro Baghdad.

Tre: implode, diviso tra un Kurdistan indipendente (che rischia l’invasione da parte della Turchia), il sud, satellite dell’Iran, e la zona centrale in piena anarchia, diventando una sorta di Somalia 2.0.

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Gli risponde Alessio Mammarella:

Forse retrodatare al 1991 gli effetti della guerra del 2003 potrebbe essere un modo per "anticipare" ai giorni nostri ciò che possiamo prevedere per il prossimo futuro. Poiché in HL l'occupazione dell'Iraq è durata fino alla fine del 2011 lasciando il paese in una condizione di debolezza politica e lieve predominio sciita (occupando i primi tre anni del mandato di Barack Obama, favorevole al ritiro) in questo scenario il ritiro sarebbe avvenuto alla fine del 1999 (dopo i primi 3 anni di Al Gore, democratico eletto nel 1996 e favorevole al ritiro). Essendo il 1999 precedente al famigerato 11/9 penso che Al Qaeda, ancora poco conosciuta, avrebbe potuto infiltrarsi in Iraq (sfruttando il malumore dei sunniti orfani di Saddam Hussein) invece che in Afghanistan e gli attentati dell'11/9 avrebbero costretto Al Gore a intervenire di nuovo nel paese poco dopo aver ritirato le truppe. In questo caso il Presidente USA attuale avrebbe appena annunciato il ritiro dall'Iraq (occupazione dell'Iraq in luogo di quella dell'Afghanistan). Ci sarebbe da capire se in uno scenario del genere si sarebbero verificate ugualmente le Primavere Arabe, come sarebbero state percepite dall'opinione pubblica occidentale e che cosa ne sarebbe stato di Libia e Siria...

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E ora, l'idea di Daniele Novati:

Ciao a tutti. Mi lancio, da appassionato di auto e da professionista dell'automotive, in un excursus:

Alfa Romeo presenta a Ginevra il nuovo concept Tonale al salone dell'auto. Il Polo Lombardo composto da Alfa, Innocenti e Autobianchi lancia la sfida a FCA, ancora alle prese con la costruzione d'un'opportuna gamma di crossover e suv sportivi. E' poi alta l'attesa per la nuova versione MINI innocenti full electric, che sarà disponibile nelle concessionarie dalla seconda metà del 2019.

Alfa Romeo viene acquisita dal gruppo de Tomaso, già proprietario di Innocenti e Maserati il quale, previo intervento dell'IRI in Autobianchi (che rileva le quote di Bianchi e Fiat) procede poi all'acquisizione del marchio di Desio.

Quali conseguenze sul ruolo degli Agnelli ? Quali conseguenze per il mercato dell'auto italiano ed europeo? Se fosse proprio Innocenti e non BMW a rilanciare il marchio MINI?

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Così gli risponde Alessio Mammarella:

Il Polo Lombardo dell'auto

Quella che segue è la storia dal dopoguerra ad oggi del gruppo Alfa Romeo (comprendente anche i marchi Autobianchi, Innocenti, Iso Rivolta ed Isotta Fraschini).

I primi passi di un nuovo corso
All'inizio degli anni '50, IRI decide di puntare maggiormente sulla produzione automobilistica, per evitare che la FIAT, unica azienda automobilistica dotata di una moderna organizzazione fordista, raggiunga una posizione di monopolio nel mercato. Alfa Romeo viene separata da quella che era stata la sua holding di riferimento, Finmeccanica, e beneficia di un sostanzioso aumento di capitale.
Grazie alle maggiori risorse disponibili, Alfa partecipa insieme alla Pirelli alla nascita di Autobianchi. Attraverso la nuova azienda, i vertici del gruppo milanese si propongono di realizzare piccole vetture che entrino in concorrenza con i modelli FIAT, senza utilizzare il marchio principale, inequivocabilmente noto come costruttore di auto sportive e per consumatori esigenti. Poiché gli ingegneri Alfa non hanno esperienza nella progettazione di piccole vetture, viene stretto un accordo con Renault per produrre nel nuovo stabilimento di Desio la Renault 4, alla quale si decide di assegnare il nome Bianca. Con lo stesso accordo, Alfa ottiene anche di produrre su licenza per l'Italia, nel suo stabilimento del Portello, la Dauphine.

Dalla Giulietta a Giugiaro
In seguito al successo della Giulietta, Alfa ritiene che il mercato premi i modelli autenticamente Alfa rispetto a quelli stranieri e l'accordo con Renault viene rinegoziato: il modello successore della Dauphine sarà ugualmente prodotto in Italia, ma dalla Autobianchi, in quanto tutte le Alfa Romeo saranno progettate in Italia. Il primo frutto del nuovo accordo è l'Autobianchi Primula, versione italiana della Renault 8. Nel frattempo, l'Alfa Romeo vede esplodere le sue vendite grazie alla Giulia ed ai modelli da essa derivati. Meno successo hanno le Alfa 2000 e 2600, frustrando le ambizioni della casa milanese di combattere ad armi pari con case come Lancia, Mercedes e Jaguar. Per il momento si sceglie di abbandonare la costruzione di quel genere di auto.
Alla fine degli anni '60, le pressioni governative per aumentare gli investimenti al sud portano a ristrutturare lo stabilimento di Pomigliano d'Arco per adibirlo a una produzione in grande serie di autovetture. Scartata l'idea di fabbricare a Pomigliano la Giulia o la sua erede (che non possono che prodotte nello stabilimento principale di Arese, peraltro appositamente progettato) oppure modelli sportivi (la cui tiratura limitata sarebbe incapace di saturare lo stabilimento) si ipotizza un modello compatto a trazione anteriore. Tuttavia i dati di vendita sconfortanti della Primula e la repulsione dei dirigenti alfisti circa l'aspetto estetico della Renault 10 (presa in considerazione per una produzione su licenza) spingono l'azienda alla decisione di sviluppare internamente il sistema di trazione anteriore e di presentare una vettura dal design innovativo.
Il compito viene assegnato al brillante "Giorgetto" Giugiaro. Il nome prescelto per l'autovettura, che appare da subito una "travolgente novità" rispetto al passato è Bora. L'Autobianchi Bora, entrata in produzione nel 1974 segna il decollo del marchio Autobianchi, che comincia ad essere noto anche al di fuori dell'Italia.

Negli anni successivi sempre dalla matita di Giugiaro escono la più grande Alisea e la più piccola Aria. Quest'ultima sostituisce precocemente la Nuova Bianca, versione italiana della Renault 6 ed ultimo frutto della collaborazione commerciale tra Renault ed Alfa Romeo.

Gli anni '80
I grandi introiti della nuova gamma Autobianchi portano i governi a inoltrare nuove richieste ad Alfa Romeo. La prima è quella di provvedere al salvataggio di Innocenti, coinvolta dalla crisi Leyland. Rilevata l'azienda, la soluzione tampone è quella di produrre nello stabilimento di Lambrate un clone dell'Autobianchi Aria denominato Innocenti Kpral.

Subito iniziano tuttavia gli studi per una vettura totalmente nuova. Deliberato che il ruolo del marchio Innocenti sarà quello di realizzare modelli economici, ma spaziosi e giovanili, Alfa Romeo ricorre nuovamente alle mani fatate di Giugiaro, che realizzano un nuovo capolavoro, la Panda.
Dopo aver disegnato la Panda, Giugiaro passa a collaborare con la FIAT, per la quale progetta la Uno. Oggi si parla di "sfida degli anni '80" per riferirsi alla grande concorrenza sul mercato tra la Autobianchi Aria e la FIAT Uno. Una rivalità passata anche attraverso le rispettive varianti sportive, la Aria GTI e la Uno Turbo. Parlando di GTI non si può però non nominare la Bora GTI, sogno di intere generazioni di giovani. Nel frattempo Alfa Romeo continuava a rappresentare un riferimento delle berline a trazione posteriore con la 75 e la 90, prodotti di buona qualità costruttiva ed al passo con la consueta concorrenza di Mercedes e BMW.
Nella seconda metà degli anni '80, Alfa Romeo si cimenta nel rilancio di Iso Rivolta, un marchio apparso brevemente tra gli anni '60 e '70 nella produzione automobilistica. L'origine di tutta la vicenda è da ricercare nella progettazione di un nuovo, innovativo motore V10, con il quale Alfa Romeo contava di rientrare in F1. Tuttavia le incertezze sulla convenienza di un tale progetto, soprattutto considerando le sfortunate esperienze accumulate collaborando con Brabham, Autodelta ed Osella, spingono i vertici Alfa a rinunciare al progetto sportivo. Tuttavia per non gettare alle ortiche tutto il lavoro svolto sul nuovo motore, viene immaginato l'acquisto di un marchio sportivo che possa costruire la sua gamma intorno al nuovo motore V10. Falliti i tentativi di acquisire il controllo di Maserati o di Lamborghini, Alfa Romeo decide di acquistare i diritti dell'abbandonato marchio Iso Rivolta, e con quello proporre auto ad alte prestazioni.
Il primo prodotto della rediviva Iso è inevitabilmente una sportiva, che prende il nome di Nuvola. Poco dopo arriva Iride, una grande berlina che, collocandosi per dimensioni e prestazioni al di sopra dell'Alfa 90, completa la gamma del gruppo con una concorrente dell'Audi 200, della BMW serie 7 e di quella che sarà la Mercedes Classe S.

Il rilancio di Iso Rivolta
Verso la fine degli anni '80, Alfa Romeo si cimenta nel rilancio di Iso Rivolta, un marchio apparso brevemente tra gli anni '60 e '70 nella produzione automobilistica. L'origine di tutta la vicenda è da ricercare nella progettazione di un nuovo, innovativo motore V10, con il quale Alfa Romeo contava di rientrare in F1. Tuttavia le incertezze sulla convenienza di un tale progetto, soprattutto considerando le sfortunate esperienze accumulate collaborando con Brabham, Autodelta ed Osella, spingono i vertici Alfa a rinunciare al progetto sportivo. Tuttavia per non gettare alle ortiche tutto il lavoro svolto sul nuovo motore, viene immaginato l'acquisto di un marchio sportivo che possa costruire la sua gamma intorno al nuovo motore V10. Falliti i tentativi di acquisire il controllo di Maserati o di Lamborghini, Alfa Romeo decide di acquistare i diritti dell'abbandonato marchio Iso Rivolta, e con quello proporre auto ad alte prestazioni.
Il primo prodotto della rediviva Iso è inevitabilmente una sportiva a due posti secchi che prende il nome di Nuvola, e che viene immediatamente apprezzata dagli sportivi per la sua impostazione che ricorda certi miti degli anni '60 come la AC Cobra.

Poco dopo arriva Iride, una grande GT a 5 porte che coniuga prestazioni di alto livello con un'abitabilità superiore rispetto a quella di una berlina executive. Negli anni successivi anche altri costruttori di auto ad alte prestazioni, come Ferrari e Porsche, immagineranno di produrre delle auto a metà strada fra sport e lusso.

La trazione anteriore e la 147
Nel frattempo, arriva al pettine un importante nodo tecnico: la Alisea, a trazione anteriore ha ormai le stesse dimensioni di una media Alfa, a trazione posteriore. E' inevitabile la scelta di un'unica piattaforma tecnologica. Ne deriva la sofferta scelta di Alfa Romeo di abbandonare la trazione posteriore, visto che comunque la Alisea è un modello di rilievo europeo. La transizione non è indolore: l'Alfa 155 ottiene un riscontro di mercato tiepido, mentre vanno meglio le cose per la 164, grazie a un'estetica di gran classe curata da Pininfarina. Solo la 156 riesce ad invertire la tendenza ed a riallineare alle aspettative le vendite di quello che è il principale modello Alfa Romeo.
All'inizio degli anni 2000 vari problemi appesantiscono il bilancio del gruppo. Da una parte, la Aria che pur essendo un modello competitivo, risulta compressa sul mercato dalla rivale Punto. Dall'altra, i costi per i rilancio dei marchi di lusso. Alfa Romeo, che nel frattempo è stata anche privatizzata, è costretta a lesinare sugli investimenti. Pur di non ridurre il livello d'innovazione sulla qualità e sulla tecnica motoristica, il gruppo Alfa rinuncia a cavalcare la moda delle monovolume. In compenso, Alfa lancia la 147, compatta a 2 volumi che sfida analoghe vetture lanciate da Audi, BMW e Mercedes. L'auto è prodotta a Gand, insieme alla Bora.

Extra lusso e low cost
Mentre BMW e Volkswagen lottano per impadronirsi dei prestigiosi marchi britannici Rolls-Royce e Bentley, anche per Alfa Romeo è vivo il desiderio di tornare ad avere una vettura ammiraglia. Prendendo le mosse da una battuta del compianto Presidente Cossiga, Alfa Romeo comincia a lavorare su una "Roll-Royce italiana". Tuttavia, ritenendo eccessivamente pretenzioso presentare una vettura del genere con il marchio Alfa, viene deliberato l'acquisto dei diritti del marchio Isotta Fraschini, da tempo caduto in disuso ma famoso in passato per berline di grande prestigio. Nasce così la prima 12C, contraddistinta per l'appunto da un motore di 12 cilindri, adottata come auto presidenziale (e pare, molto amata) dai successori Scalfaro e Ciampi. In seguito alla 12C si affianca la grande cabriolet Olimpia, concepita principalmente per il mercato americano, e nota soprattutto per essere stata utilizzata in numerosi videoclip musicali di quegli anni.
Nel corso degli anni 2000, arriva sul mercato anche la nuova Panda, che sostituisce il modello Innocenti di maggior longevità. In seguito Innocenti, di fronte all'emergere del marchio Dacia ed al rafforzamento di quello Skoda, introduce una berlina "low cost" chiamata Mille, ed una monovolume, la Elba, la cui seconda serie è stata poi riconfigurata come crossover. Le due vetture vengono prodotte a Campulung, in Romania, nello stabilimento che fu dell'azienda Aro.

SUV e mobilità evoluta
Alfa Romeo intanto inizia ad introdurre i primi modelli off-road, soprattutto per soddisfare il mercato americano, dove tali prodotti sono imprescindibili. La nuova compatta, che riporta in auge il nome Giulietta, nasce insieme al SUV Tonale. La berlina media Giulia nasce insieme al SUV Stelvio, che sostituisce la non più prodotta versione Sportwagon. Il più apprezzato dei SUV Alfa è comunque Kamal, il primo ad essere dotato di motori simili a quelli di una sportiva ad alte prestazioni.

I nuovi modelli vengono introdotti simultaneamente in Europa, Nordamerica e Cina, dove un accordo con la Guangzhou Auto getta le basi per la produzione su licenza, nello stabilimento di Changsha, dei modelli del gruppo considerati più promettenti per il dinamico mercato orientale.
Pur essendo ormai una entità privata, Alfa Romeo viene nuovamente coinvolta nel salvataggio di uno stabilimento in crisi, quello di Termini Imerese. Lì il gruppo decide di stabilire il centro di ricerca e sviluppo per la mobilità innovativa, la propulsione ibrida/elettrica e la guida autonoma. Il primo frutto della nuova iniziativa e la grande berlina a propulsione ibrida Visconti.

Alfa Romeo è la prima casa automobilistica che stabilisce come propria ammiraglia una vettura ibrida, mossa da motori elettrici inseriti direttamente nelle ruote ed un motore termico che funge esclusivamente da generatore per ricaricare le batterie. Successivamente viene presentata la Excity, citycar elettrica di Autobianchi, che si pone dimensionalmente al di sotto della Aria.

Stabilimenti
Arese - Italia (Giulia, Tonale, Stelvio, GTV, Duetto)
Campulung - Romania (Mille, Elba)
Changsha - Cina (Alisea, Alisea Up, Giulia, Stelvio, GTV, Duetto - tutti destinati al mercato APAC)
Desio - Italia (Aria)
Gand - Belgio (Bora, Giulietta)
Pomigliano d'Arco - Italia (Bora, Bora Up, Alisea, Alisea Up)
Pratola Serra - Italia (Panda, Panda Cross)
Termini Imerese - Italia (Excity, Visconti)

Numeri
Attualmente, il gruppo Alfa Romeo vende annualmente circa 4,5 milioni di auto. Il marchio con i maggiori numeri di vendita è Autobianchi (ca 3 milioni di autovetture, divise per 1/3 in Europa, 1/3 in Cina ed il restante tra Nordamerica, America Latina ed altri mercati). Il marchio Alfa Romeo, con circa 1 milione di esemplari, è comunque quello che assicura al gruppo il maggior fatturato, grazie al portafoglio prodotti maggiormente remunerativo. Innocenti vende circa mezzo milione di vetture sul solo mercato europeo, l'unico in cui è presente. Trascurabili invece i numeri di vendita di Iso Rivolta ed Isotta Fraschini, le cui vendite si contano nell'ordine di alcune migliaia di esemplari.

Alfa Romeo - gamma attuale
Giulietta
Tonale
Giulia
Stelvio
GTV
Duetto
Visconti
Kamal

Autobianchi - gamma attuale
Excity
Aria
Bora
Bora Up
Alisea
Alisea Up

Innocenti - gamma attuale
Panda
Panda Cross
Mille
Elba

Iso Rivolta
Nuvola
Iride

Isotta Fraschini
12C
Olimpia

Note:
1) Negli anni '50, davvero Alfa produsse delle Renault 4 (a Pomigliano) e delle Renault 8 (Portello) - nel mio scenario, solo un progetto di collaborazione un po' più di ampio respiro.
2) Credo si sia capito ma...la Bora altro non sarebbe che la Golf, mentre la Alisea sarebbe la Passat e la Aria la Polo. Giugiaro invece di fare la fortuna di Volkswagen fa quella di Autobianchi.
3) Su Innocenti si era parlato nei giorni scorsi di "anti-Mini". Ecco, non so se la Panda ci stia bene lo stesso, a me è sembrata una idea carina.
4) Il passaggio di Alfa alla trazione anteriore era inevitabile, secondo questo scenario, ma ne possiamo discutere.

Importante:
Tutte le immagini sono scaricate da Google e si presumono di pubblico dominio. In ogni caso, si precisa che la loro raccolta è stata effettuata al solo scopo di corredare una storia di fantasia, senza alcuna intenzione di ledere i legittimi interessi economici degli autori o di altri aventi diritto. In caso di specifica richiesta, le immagini saranno rimosse senza indugio.

Alessio Mammarella

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E Generalissimus aggiunge:

Si potrebbe pensare, nella stessa ottica, ad un polo lombardo della moto formato da Cagiva, Fantic Motor, Ghezzi & Brian, Mondial Moto, Moto Guzzi, Moto Morini, MV Agusta, Paton, Polini e Speedy Working Motors.

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Passiamo ora alla proposta di Federico Sangalli:

George Herbert Walker Bush decide di non fermarsi al confine iracheno ma d'invadere l'Iraq nel 1991 per rovesciare Saddam Hussein con la scusa che altrimenti "il Kuwait non sarà mai al sicuro". In realtà il vero obbiettivo è il petrolio ma le conseguenze si vedranno solo tra qualche anno. Intanto l'invasione prosegue rapidamente: l'esercito iracheno, composto per di più da contadini, si sfalda rapidamente e solo i reparti della Guardia Repubblicana combattono contro gli invasori, opponendosi in vane battaglie a Bassora, Nassyria e Baghdad. La stessa coalizione però s'incrina poiché non nera quello l'obbiettivo fissato dalle Nazioni Unite: la Francia di Mitterand, l'Italia di Andreotti, la Germania di Kohl e la Spagna di Aznar iniziano così a ritirare le proprie forze, mentre gli inglesi di Margaret Thatcher rimangono a fianco degli americani. Comunque Gorbaciov ha un estremo bisogno degli aiuti americani e perciò ne appoggia la richiesta di ampliare il mandato ONU in cambio di una barca di soldi, idem fanno la Cina e la Gran Bretagna mentre la Francia si astiene: la proposta è approvata e gli USA sono incaricati di liberare l'Iraq. Il successo militare della guerra ha vasta risonanza e influenza molto l'opinione pubblica occidentale, ove nasce l'idea "Adesso che abbiamo abbattuto il Comunismo, tocca a noi liberare le genti oppresse portando la luce della democrazia": nasce l'idea di esportare la democrazia, cosa che si sposa perfettamente con quella del destino manifesto. Sull'onda di tutto ciò Bush viene rieletto contro Bill Clinton e anche la Thatcher evita il voto di sfiducia del suo partito e ritorna al potere con facilità.

Il 26 febbraio 1993, un mese e sei giorni dopo il secondo giuramento di Bush, un'autobomba esplode nei sotterranei del World Trade Center di New York City, uccidendo 6 persone e causando un migliaio di feriti. Due giorni dopo a Waco, Texas, agenti federali tentano di arrestare David Koresh, capo di una setta di esaltati fanatici religiosi noti come Davidiani: cinque adepti e quattro poliziotti rimangono uccisi e le forze di polizia iniziano l'assedio.

Il 4 marzo l'FBI arresta l'autore dell'attentato del 26 febbraio, il quale dichiara di averlo fatto "per liberare tutti i buoni musulmani dell'Iraq". Bush decide di seguire la linea dura, promette di punire i terroristi e vara nuove leggi anti-terrorismo.

Intanto, in politica estera, il 12 marzo inizia la Crisi del Disarmo Nord-Coreano con la Nord-Corea che rifiuta di lasciarsi disarmare e anzi annuncia la ripresa del suo programma nucleare, mentre in Algeria si susseguono attentati integralisti, sembra sobillati dall'Iran. Bush invia la 6° Flotta nel Mar del Giappone e installa una base militare ad Orano.

Il 19 aprile si conclude l'assedio di Waco con la morte di 76 persone: Bush vara i Patriot Act ma molti gruppi di estrema destra ed estrema sinistra prendono le armi contro il governo e Unabomber riprende i suoi attentati, seguito da molti emulatori. Il 27 giugno, dopo che Pyongyang ha iniziato a schierare i suoi missili presso la Zona Demilitarizzata Bush inizia i bombardamenti contro i siti missilistici, dando inizio a quella che sarà anche chiamata come Seconda Guerra di Corea.

Il 19 luglio, mentre gli USA iniziano ad interessarsi alla Somalia dopo l'uccisione di 24 caschi blu pakistani, Bush decide di rifiutare la politica "Non chiedere, non dire" che permetterebbe agli omosessuali di servire nell'esercito. Il 13 settembre falliscono i colloqui di pace israelo-palestinesi e ricominciano gli attentati.

Il 3 ottobre Bush ordina l'invasione della Somalia che in breve si trasforma in un nuovo Iraq.

Il 15 novembre un estremista di destra fa esplodere una bomba contro un Gay Pride a Washington che rivendicava i diritti omosessuali, causando una dozzina di vittime. Gli atti violenti si moltiplicano in molte città americane, speso diretti contro neri, ispanici, omosessuali o edifici governativi.

Si presume che intorno a dicembre membri di organizzazioni estremiste americane si siano recate in Giappone per prendere contatto con alcune sette religiose in possesso di armi chimiche e che un certo Osama Bin Laden abbia abbandonato il suo rifugio sudanese per recarsi in Kazakhstan ove lo smantellamento delle armi nucleari ex-sovietiche sta riscontrando parecchi problemi...

Come continuarla?

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Il testimone è raccolto da MorteBianca:

1) Più le violenze negli USA si inaspriscono, più si inasprisce la contromisura governativa. In diverse città è dichiarato il coprifuoco e la polizia viaggia armata fino ai denti. la War on Drugs in tutto questo si inasprisce. Il governo viene accusato dai partiti di opposizione di sobillare discriminazioni razziali, sessuali ed etniche. In tutto questo le formazioni nazionalsocialiste stanno crescendo molto nella Bible Belt, dato che accusano essere proprio le minoranze "Etniche e sessuali" la causa di tutti questi problemi in quanto anti-governative e sovversive, e iniziano a fare ronde per la sicurezza cittadina. Il governo inserisce anche le organizzazioni nazionalsocialiste nella lista nera.
Intanto in molte città (specie quelle del profondo sud) si torna a respirare un clima da segregazione, con i ghetti che vengono perlustrati giornalmente con la scusa della Guerra alle Droghe e della ricerca ai sovversivi. Molti neri si uniscono ai rinati Black Panthers, altri alla Nation of Islam.
A causa di tutti questi disordini il governo attua manovre speciali per limitare le manifestazioni e dare più poteri alla polizia nel reprimerle. L'FBI si infiltra in numerose organizzazioni e poi le fa chiudere. Scandalo giornalistico, numerosi autori vengono fatti arrestare a causa di scandali minori legati alla loro vita privata: erano tutti critici del governo Bush, che però continua la "caccia ai sovversivi".

2) L'idea di Esportare la Democrazia diventa il tennett principale nell'ideologia americana.
La dottrina Monroe viene ripresa: La CIA si impegna h24 in Sud America a difendere le compagnie americane e i governi autoctoni contro eventuali rivolte socialiste.
Bush dichiara "Gli Stati Uniti sono la polizia mondiale. Senza una polizia forte non c'è ordine".
Mentre le operazioni in Somalia proseguono si estende il numero di conflitti minori dove gli Stati Uniti vengono impiegati. Il sistema di tassazione degli stati uniti viene completamente cambiato grazie al sostegno popolare che Bush ha ottenuto in questi mesi, molto di più viene diretto verso la spesa militare (già di per sé altissima). 
Fondamentalmente si viene a creare un legame a doppio mandato fra interessi privati e governo: la corporazione X ha un interesse in qualche nazione estera ostacolato da quel partito, quel governo o quel movimento terroristico, il governo prepara operazioni militari, in cambio la corporazione sovvenziona questa o quella campagna elettorale, finanzia questo o quel progetto statale. Dato che il sistema di tassazione è sempre meno proporzionale e i soldi non bastano Bush evoca la necessità di una "War Tax" uguale per tutti i contribuenti, negli Stati Uniti l'economia inizia a recedere, le compagnie più piccole e le piccole imprese non reggono contro le grandi corporazioni monopolistiche, i prezzi si alzano privi di tetti, ma il mercato più florido è quello petrolifero grazie alle recenti campagne.

3) All'estero, oltre alle numerose guerre (e operazioni segrete) sopracitate, la Guerra di Corea imperversa più forte che prima. Gli Stati Uniti non vogliono che la Cina rompa le scatole e questa si limita a supportare la Corea a tempo perso, vendendo armi ad entrambi i contendenti. Il debito nei confronti della Cina inizia a crescere.
Il conflitto arabo-israeliani si inasprisce, l'ex palestina è una regione in costante rivolta. l'Iran minaccia ripercussioni anche per l'occupazione in Iraq.
Le nazioni europee sono divise fra quelle più fedeli alla NATO e quelle, come la Francia, che invece vogliono rimanere in disparte e guardare.
Un gruppo terroristico finanziato dall'Organizaja Russa di ideologia estremista, il Partito Ultranazionalista, è composto da ex generali, gerarchi e membri del KGB dell'esercito sovietico che detengono ancora molto potere amministrativo, economico, burocratico e sociale.
Il generale Orelov viene accusato da un report dell'intelligence britannica di aver iniziato la vendita di armi nucleari e scorie radioattive a formazioni terroristiche islamiche, in particolare quella capeggiata da Osama Bin Laden.
Gli Stati Uniti minacciano serie ripercussioni verso il gigante Russo, che a questo punto smette di votare a favore dei mandati americani per le missioni.
Gli Stati Uniti allargano la loro sfera di influenza e di partecipazione ai conflitti in tutto il mondo, specie Sud America, Africa, Medio Oriente e Corea.
Internamente i conflitti civili sono sempre più dispendiosi e il governo reagisce con sempre maggiore durezza verso le critiche manifestate.
La Cina aumenta la sua importanza internazionale sostenendo economicamente l'economia americana.
La Russia è impegnata a combattere il crimine organizzato e la crescente defezione di personale amministrativo e militare alle organizzazioni underground.
La Guerra di Corea finisce dopo un accordo segreto fra Cina e Stati Uniti. La Cina, a seguito di una ingente somma di denaro, ha deciso di intervenire colpendo alle spalle l'alleato e bombardandone i centri militari più importanti.
La Corea del Nord viene divisa: una parte (la gran parte, a Sud) viene ceduta alla Corea del Sud (ora semplicemente Repubblica Coreana), il resto (le zone di confine a Nord) sono annesse dalla Cina. Il debito pubblico degli Stati Uniti per mantenere l'apparato militare è molto grande, specie visto il sistema di tassazione quasi uguale per tutti.

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Anche Ainelif ha voluto dire la sua:

La Riviera romagnola intesa come area turistica attrezzata ha la sua origine a Rimini. Il primo “Stabilimento privilegiato dei Bagni Marittimi”, fu inaugurato il 30 luglio 1843, sotto il governo pontificio. Tappe successive dell'ampliamento dell'offerta turistica di Rimini furono la costruzione del Kursaal (1873) e dello Stabilimento Idroterapico (1876). I bagni di mare, intesi inizialmente come attività di carattere terapeutico, assunsero una nuova funzione e divennero parte del soggiorno aristocratico e mondano dell'alta borghesia.

Nel 1911 fu realizzata la zona balneare del comune di Cervia. A nord della cittadina fu edificata sul litorale una nuova area composta di villini, parchi e giardini: nasceva Milano Marittima. Sul versante meridionale, in cambio dell'edificabilità, gli oneri di urbanizzazione portarono alla costruzione della linea tramviaria Rimini-Riccione lungo la strada litoranea.

Gli anni '30 videro la nascita del turismo di massa, con la costruzione di numerosi alberghi, pensioni e villini sia a Rimini-Riccione (divenuto comune autonomo nel 1922) che a Milano Marittima. Furono aperte le prime colonie balneari per i figli delle famiglie meno abbienti. Nel 1935 fu iniziata la costruzione del lungomare di Rimini, il primo lungomare della Riviera romagnola.

Il secondo dopoguerra fu caratterizzato da una rapida ricostruzione e da un'enorme crescita del settore turistico. Rimini divenne una delle più importanti località turistiche d'Italia e d'Europa. Anche Milano Marittima si affermò come uno dei più rinomati centri balneari d'Italia.

Fino a questo momento lo sfruttamento dell'area rimane limitato: le aree attrezzate (con stabilimenti balneari, ecc.) sono distanziate tra loro da km di spiagge libere. A partire dagli anni '50, tutto lo spazio disponibile viene progressivamente riempito e "privatizzato".

Gli anni '60 sono il periodo in cui si consolida l'offerta turistica romagnola. Capitale del turismo balneare europeo è Rimini, celebrata anche nei film dell'epoca.

Tuttavia, dagli anni '80 inizia una fase involutiva: l'offerta non si rinnova, ripropone prodotti-vacanza ormai superati. Non vengono più fatti investimenti per mantenere o attirare il turismo internazionale. Anche la mancata attenzione all'ambiente si fa sentire. Si verificano contemporaneamente due fenomeni negativi: l'aumento della cementificazione e l'aumento dell'inquinamento atmosferico. Ne risente la qualità dell'acqua: le cattive condizioni del mare non sono il miglior biglietto da visita dei lidi romagnoli.
A poco a poco, la Riviera romagnola perde attrattiva nei mercati europei, riducendosi a luogo privilegiato per il turismo nazionale sempre più "nazional-popolare". Alla fine del XX secolo a Rimini, per esempio, la quota delle presenze straniere è del 25% (contro il 70% della Costa Brava). Nello stesso periodo avviene l'ascesa di Ravenna, città d'arte dai tesori millenari. La città bizantina, con i suoi eventi culturali, attira nuovi turisti, compensando la perdita riminese, ma non del tutto.

E se invece aziende private e imprenditori decidono di finanziare lo sviluppo turistico della Riviera romagnola per competere con Ibiza e Costa Brava che le stanno rubando progressivamente tutto il turismo nordeuropeo? Ovviamente l'ambiente non ne risente positivamente...

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Basileus TFT vuole chiudere questa pagina con una citazione di Sandro Pertini:

« Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io. »

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Per partecipare alle discussioni in corso, scriveteci a questo indirizzo.


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