Lo sfidante alto sei cubiti e un palmo

« Dall'accampamento dei Filistei uscì uno sfidante, chiamato Golia, alto sei cubiti e un palmo. »

(1 Sam 17, 4)

 

Ogni civiltà ha usato le sue unità di misura diverse da quelle delle altre, almeno fino a che la prima Conférence Générale des Poids et Mesures del 1889 non ideò il Sistema M.K.S. (dalle iniziali delle tre unità fondamentali: metro, kilogrammo e secondo), poi diventato S.I. (Sistema Internazionale) nel 1961, in modo da creare uno standard di unità di misura uguali per ogni paese del mondo). Vale dunque la pena di esaminare quali unità di misura venivano utilizzate nel mondo della Bibbia, che a volte sono ancora una parte importante della vita dell'Israele moderno. Tra gli esegeti vi è un acceso dibattito circa l'esatta relazione tra le unità di misura del mondo biblico e quelle del moderno Sistema Internazionale: antiche definizioni, come quella secondo cui un Etzba ("dito") era pari alla lunghezza di sette chicchi d'orzo posti uno di seguito all'altro, o che il "log" era un'unità di volume pari a quello di sei uova di medie dimensioni, sono così indefinite e vaghe da essere praticamente inutilizzabili. Tuttavia, come riferito dalla Jewish Encyclopedia, l'intero sistema di misura biblico corrisponde quasi esattamente al più noto sistema babilonese, dal quale con ogni probabilità il sistema di misurazione israelita derivava, con l'aggiunta di alcune influenze del sistema egiziano; suò pertanto ritenere che il rapporto tra le unità di misura ebraiche e quelle contemporanee sia lo stesso tra le unità di misura babilonesi e quelle contemporanee.

A) MISURE DI LUNGHEZZA

Le misure di lunghezza erano chiaramente antropometriche, cioè derivate dal corpo umano: il dito, la mano, il braccio, la spanna, il piede e il passo; ma, dal momento che queste misure differiscono anche notevolmente da un individuo all'altro, sono state ridotte a degli standard per l'uso comune. Eccone un breve elenco:

1) Etzba (plurale etzba'ot), in ebraico אצבע (plurale אצבעות), in italiano "dito". Era pari alla larghezza di un dito umano:

« Delle colonne poi l'una era alta diciotto cubiti e ci voleva un filo di dodici cubiti per misurarne la circonferenza; il suo spessore era di quattro dita, essendo vuota nell'interno. » (Ger 52, 21)

2) Tefah o Tefach (plurale Tefahim o Tefachim), in ebraico טפח (plurale טפחים), in italiano "palmo". Esprimeva la larghezza della mano alla base delle quattro dita, pari dunque a 4 dita.

« Lo spessore del Mare era di un palmo; il suo orlo, fatto come l'orlo di un calice, era a forma di giglio » (1 Re 7, 26a)

3) Zeret (plurale Zarot), in ebraico זרת (plurale זרות), in italiano "spanna". Pari a 3 palmi, e quindi a 12 dita, era pari alla larghezza della mano aperta, dal mignolo al pollice.

« Queste sono le misure dell'altare, in cubiti, dei quali ogni cubito è un cubito e un palmo. La base misura un cubito d'altezza e un cubito di larghezza; l'orlo che termina tutto il suo contorno, una spanna di larghezza; questo è il sostegno dell'altare. » (Ez 43, 13)

4) Amah (plurale Amot), in ebraico אמה (plurale אמות), in italiano "cubito". Pari a 2 spanne, quindi a 6 palmi e a 24 dita. Di questa importantissima unità parleremo più diffusamente nel seguito.

« Il terreno delle città che darete ai leviti si estenderà per lo spazio di mille cubiti fuori dalle mura della città tutt'intorno. » (Nm 35, 4)

A questa lista si aggiungono due misure di origine non ebraica, ma utilizzate dai popoli cui gli Ebrei furono sottomessi:

5) lo stadio, di origine greca, in ebraico Ris (ריס), pari a circa 185 metri e utilizzata per lo più nel Nuovo Testamento:

« Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi. » (Lc 24, 13)

La versione della CEI del 2008 traduce « un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme », perchè effettivamente 60 x 185 = 11.100 metri. Secondo il mio amico linguista Guido Borghi, la parola "stadio" deriva dalla radice indoeuropea √*sek-, "seguire", da cui *sk-ro-, "che insegue", che in composizione diventa *sk-i-, e dall'altra radice indoeuropea √*med-, "misurare", più il suffisso comparativo *-ies-, che dà *md-is-- Il risultato è *sk-i-md-is-o-m, "che ha maggiore misura degli inseguitori", da cui verrebbe il protogreco *skimdiho-n, e per successivi passaggi *skjadiho-n, *spadio-n, *sptadio-n, da cui stádion (στάδιοn), argivo spádion. Dal nome di questa unità di misura deriva il termine "stadio", che indica una struttura architettonica in cui si tengono competizioni sportive: il più antico stadio conosciuto è infatti quello di Olimpia, nel Peloponneso occidentale, dove si tenevano i Giochi Olimpici: inizialmente i Giochi consistevano in un singolo evento sportivo, una gara di corsa su una distanza pari appunto a quella di uno stadio.

6) Mil (plurale Milin), in ebraico מיל, in italiano "miglio". Deriva chiaramente dal latino "mille" ed era pari a 2000 cubiti:

« Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due. » (Matteo 5, 41)

7) Derekh yom, in ebraico דרך יום, in italiano "il viaggio di un giorno":

« Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta." » (Giona 3, 4)

Vi sono anche unità mai citate nella Bibbia, ma usate nel Talmud (in ebraico "insegnamento", "studio", dalla radice למד), che raduna i commenti e le discussioni intorno al testo biblico elaborate dai rabbini tra la distruzione del Tempio e il quinto secolo dopo Cristo:

8) Hasit, in ebraico חסיט, in italiano "doppio palmo", pari a due tefah e derivato dal greco dichas.

9) Pesiah, in ebraico פסיעה, in italiano "passo", derivato dall'omonima unità romana (0,74 m il passo semplice o gradus, 1,48 m il passo doppio o passus).

10) Parasa, in ebraico פרסה, corrispondente al greco parasanga, di origine persiana, pari a 4 miglia. Come mi ha riferito il già citato dottor Guido Borghi, l'iranista tedesco Josef Markwart (1864-1930) ipotizzò che il greco "parasánga" derivi, per mediazione da una lingua (anatolica) senza il fonema /f/ e col divieto di gruppi consonantici iniziali, dall'antico īrānico *fra-sanhva-, "indicatore, annunciatore", dal preverbio indoeuropeo *pro "davanti" e *k'ems-wo-, formazione nominale sulla radice √*k'ems- "parlare solennemente, annunciare" (come nel verbo *k'ems-eyo-hz (da cui il latino "cēnseō"). Il geografo nordafricano Abu Abdallah Mohammed al Idrisi (1099-1165) nel suo "Libro di Re Ruggero" (1154) divideva il grado di meridiano in 25 parasanghe. Questa notizia fisserebbe il valore della parasanga a 4,445 km. Il viaggio di un giorno sarebbe pari a 10 parasanghe, cioè a 44,45 km.

Come si vede, quasi tutte le unità di misura dipendono dalla prima, l'Etzba, la cui effettiva lunghezza però è tutt'altro che nota con sicurezza ed è stata oggetto di controversia tra le autorità rabbiniche. Il valore più comunemente accettato è quello di Avrohom Yeshaya Karelitz (1878-1953), noto anche con il nome di Chazon Ish ("Visione dell'Uomo"), che è quello della sua opera principale, considerato tra i fondatori del moderno stato d'Israele. Questi fissò il valore dell'Etzba a 0,94 pollici, cioè a 2,39 centimetri. Da qui si può dedurre che il palmo equivale a circa 9,60 cm, la spanna a 28,80 cm, il cubito a 57,60 cm, il miglio a 1.152 metri e la parasanga a 4,608 km.

Ad ogni modo, tra tutte le unità di lunghezza bibliche la più famosa è sicuramente il cubito. Le parole cubito e cubiti ricorrono in tutto 179 volte nella Scrittura, dimostrando il ruolo di superstar di quest'unità di misura non solo presso gli Ebrei, ma in tutto il mondo antico. Esso corrispondeva alla distanza che va dal gomito alla punta delle dita; oggi è usato anche come sinonimo dell'osso dell'avambraccio chiamato ulna. Due sono le ipotesi sull'etimologia di questa parola, sempre riferitemi dal dottor Guido Borghi: dalla radice √*keu-, "piegare", con ampliamento *-b- (riferendosi all'atto di piegare il braccio), oppure per metonimia ("gomito", cioè "ciò su cui ci si appoggia per dormire"), dal participio passato passivo "cubitus" di "cubāre", dalla radice indoeuropea *k(‘)eubh-, "coricarsi". Le difficoltà di conoscerne l'effettiva misura sono legate al fatto che nell'antichità erano in uso molte versioni del cubito, e questo fatto è attestato anche dal Secondo Libro delle Cronache, il cui autore scrive:

« Queste sono le misure delle fondamenta poste da Salomone per edificare il tempio di Dio: lunghezza, in cubiti dell'antica misura, sessanta cubiti; larghezza, venti cubiti... » (2 Cr 3, 3)

Gli Egizi usavano effettivamente due cubiti diversi, uno dei quali, il cosiddetto cubico reale, era un sesto maggiore del cubito comune. La misura reale è stata la prima delle due in uso in Egitto, e le grandi Piramidi di Gizah sembrano essere state progettate con misure espresse da un numero intero di cubiti reali. Si pensa che il cubito comune misurasse 44,70 cm, mentre il cubito reale ("meh niswt") più antico oscillasse tra 52,50 e 52,81 cm. I due Libri di Samuele dicono che il Tempio fu progettato da un architetto fenicio, e in Fenicia per misurare le dimensioni di parti di navi era usato il cubito babilonese, eredità di quello sumerico; quest'ultimo, riportato su una statua in pietra di Gudea, re di Lagash tra il 2144 e il 2124 a.C., era pari a 49,50 cm, dunque intermedio tra i due cubiti egizi. Il Dizionario Biblico Eerdman di David Noel Freedman (2000) afferma che « l'archeologia e la letteratura suggeriscono una lunghezza media per il cubito comune di 44,45 cm ». Noi perciò in questo ipertesto adotteremo tale valore. Da quest'ultimo si inferisce che la spanna equivale a 22,23 cm, il palmo a 7,41 cm e il dito a 1,85 cm, mentre il miglio è pari a 889 metri e la parasanga a 3,556 km, poco meno dunque di una lega francese, pari a 3,898 km. Il moderno miglio terrestre equivale invece a 1,609 km, e l'antico miglio romano a 1,482 km, assai di più del miglio ebraico.

Un cubito reale egizio del Nuovo Regno conservato al Liverpool World Museum

Un cubito reale egizio del Nuovo Regno conservato al Liverpool World Museum

È attraverso il cubito che vengono fornite le misure dell'arca di Noè, dettate da Dio stesso:

« Ecco come devi farla: l'arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. » (Gen 6, 15)

Sulla base del valore del cubito da noi adottato, il vascello preistorico misurava 133,35 x 22,22 x 13,33 metri, per un volume totale di 39.497,28 metri cubi. « La farai a piani: inferiore, medio e superiore », precisa il testo della Genesi; l'arca aveva dunque tre piani, per una superficie totale di 3 x 133,35 x 22,22 metri, cioè di 5.926 metri quadrati. Delle misure dell'Arca di Noè però riparleremo in un altro capitolo di questo ipertesto.

Sempre in cubiti sono espresse le misure dell'arca dell'Alleanza, in ebraico Ārôn habbrît (ארון הברית):

« Faranno dunque un'arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. » (Es 25, 10)

Le dimensioni dell'arca, cui Indiana Jones diede la caccia in un celeberrimo film, sarebbero dunque di 111,1 x 66,7 x 66,7 cm, per un volume di 494.271,7 cm3, cioè di 494, 3 litri. Questo volume sembra sufficiente per contenere non solo le Tavole della Legge (« Nell'arca non c'era nulla se non le due tavole, che vi aveva posto Mosè sull'Oreb », 2 Cr 5, 10a), ma anche gli altri oggetti che vi erano conservati secondo l'anonimo autore della Lettera agli Ebrei: « un'urna d'oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le Tavole dell'Alleanza » (Ebrei 9, 4b). Che fine abbia fatto l'Arca, non si sa: alcuni ritengono che essa sia andata perduta già nel 925 a.C. quando, durante il regno di Roboamo, il faraone Sheshonq I (945-924 a.C.) invase la Palestina, conquistò Gerusalemme e mise al sacco il Tempio; io però ritengo quest'ipotesi improbabile, perchè il Cronista, molti secoli dopo, scrisse che nel Tempio l'Arca « è rimasta fino ad oggi » (2 Cr 5, 9b)., e questo sarebbe impossibile se Sheshonq I la avesse distrutta o portata nella sua capitale, Bubasti, nel delta del Nilo, come si ipotizza appunto nel film "I Predatori dell'Arca Perduta". Più probabile che sia andata perduta nella distruzione del Tempio ad opera di Nabucodonosor II nel 586 a.C. Gli Ebrei del postesilio però non si sono rassegnati alla perdita del simbolo più prezioso della loro identità religiosa e nazionale; e così, nel Talmud è scritto che l'Arca si trova ancora nascosta sotto il luogo dove s trovava il Santo dei Santi: già re Salomone, prevedendo la futura distruzione del Tempio, avrebbe fatto costruire una cella sotterrane< in cui nasconderla in caso di attacchi nemici; e il pio re Giosia la avrebbe fatta nascondere là sotto 22 anni prima della distruzione del Tempio. Alcuni Israeliani moderni hanno eseguito prospezioni geologiche proprio nella speranza che tale nascondiglio esista davvero. Invece nel Secondo Libro dei Maccabei si riporta la tradizione secondo cui  l'Arca dell'Alleanza sarebbe stata nascosta dal profeta Geremia all'interno del monte Sinai: « Geremia salì e trovò un vano a forma di caverna e vi introdusse la tenda, l'arca e l'altare dell'incenso e sbarrò l'ingresso » (2 Mac 2, 5).  Invece, secondo un'antica tradizione contenuta nel testo sacro etiope "Kebra Nagast" ("il Libro della Gloria dei Re"), l'Arca sarebbe stata donata dal Re Salomone a Menelik I, il figlio da lui avuto dalla regina di Saba. Ancora oggi si dice che l'Arca sia conservata nella Chiesa di Santa Maria di Sion ad Axum, ma a nessuno è permesso di vederla; alcuni pensano che in essa sia in realtà conservata una copia dell'antica Arca, perchè ben difficilmente Re Salomone si sarebbe separato da essa con tanta leggerezza, usandola per uno scambio di doni. E così, sull'effettivo destino di quel leggendario manufatto resta fitto il mistero.

Nel Libro dell'Esodo vengono minuziosamente descritte le misure in cubiti non solo dell'Arca, ma dell'altare, del propiziatorio, del recinto, dei tendaggi, dimostrando la passione dei Sacerdoti d'Israele per la liturgia e tutti i suoi più dettagliati particolari. Il cubito viene citato molte volte anche nel Primo Libro dei Re e nel Secondo Libro delle Cronache, dove si elencano con la stessa minuziosa pignoleria le dimensioni delle parti e degli arredi del Tempio di Gerusalemme:

« Il tempio costruito dal re Salomone per il Signore aveva sessanta cubiti di lunghezza, venti di larghezza, trenta cubiti di altezza.  Davanti all'aula del tempio vi era il vestibolo: era lungo venti cubiti, nel senso della larghezza del tempio, e profondo dieci cubiti davanti al tempio. » (1 Re 6, 2-3)
« Eresse il sacrario nel tempio, nella parte più interna, per collocarvi l'arca dell'alleanza del Signore. Il sacrario era lungo venti cubiti, largo venti cubiti e alto venti cubiti. Lo rivestì d'oro purissimo e vi eresse un altare di cedro. » (1 Re 6, 19-20)

Come si vede, il Tempio misurava 26,67 x 8,89 x 13,33 metri; il vestibolo o Ulam, il portico est di ingresso al Tempio, misurava invece 8,89 x 4,44 metri, e in esso si trovavano due colonne di rame dette Jachin e Boaz, alte 18 cubiti, cioè 8 metri. Invece il Debir o Santo dei Santi, la « parte più interna » aveva la forma di cubo con il lato di 8,89 metri. La differenza tra questa altezza e quella del Tempio (13,33 metri) di solito viene spiegata con la soprelevazione del Santuario di 5,33 metri, come la cella di altri templi antichi; in esso abitava la Shekinah, la "Presenza" del Signore.

Il libro di Ezechiele poi fa ampio uso di misure in cubiti e in altre unità, ad esempio nella visione del Nuovo Tempio e della Nuova Terra, che anticipa sotto molti aspetti l'Apocalisse giovannea:

« Ed ecco, il Tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, ciascuno di un cubito e un palmo. » (Ez 40, 5a)

Qui naturalmente si parla del cubito reale egizio, più lungo del cubito ebraico. E non è tutto. Il Deuteronomio fornisce le misure del "letto di Og", il re Amorreo della regione di Basan, in Transgiordania, che fu sconfitto e ucciso da Mosè e dai suoi uomini nella battaglia di Edrei:

« Og, re di Basan, era rimasto l'unico superstite dei Refaìm. Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è forse a Rabbà degli Ammoniti? È lungo nove cubiti e largo quattro, secondo il cubito di un uomo. » (Dt 3, 11)

I Refaim (in ebraico רפאים) erano una razza di mitologici giganti, che secondo gli antichi Ebrei abitavano la Terra di Canaan prima dell'arrivo dei loro antenati guidati da Mosè e Giosuè. Invece Bašan (in ebraico הבשן, "terreno chiaro") è un territorio citato ripetutamente nella Bibbia, proverbiale per i ricchi pascoli e le folte foreste, che si trovava a oriente del fiume Giordano, a nord del torrente Iabbok. Si credeva che prima dell'ingresso degli Israeliti in Canaan fosse abitata dai Refaim, di cui Og era il mitico Re. Da cosa è nata questa leggenda? Nella regione di Basan, che oggi comprende anche le contese alture del Golan, si trovano centinaia di monumenti megalitici detti dolmen (in celtico "tavole di pietra") risalenti ad un'epoca compresa tra il quinto e il terzo millennio a.C. Per lo più i dolmen erano utilizzati come sepolture collettive: forse essi rappresentano i primi esempi in cui una tomba venne percepita come uno spazio sacro. Una volta giunti in Canaan, tuttavia, gli Ebrei videro questi monumenti della cui originaria funzione si era persa la memoria, e identificarono uno di essi, presso Rabat Ammon, la capitale del regno degli Ammoniti, con il "letto" del leggendario Og, che a quel punto non poteva che essere immaginato come un gigante, viste le dimensioni del dolmen. Un'altra concentrazione di questi megaliti in Terrasanta può essere localizzata tra le colline di Giuda nei pressi di Hebron, dove infatti secondo Numeri 13, 33 sarebbero vissuti gli Anakiti, mitici giganti figli di Anak che furono espulsi dalla Terra di Canaan dall'intrepido Giosuè (« In quel tempo Giosuè andò a eliminare gli Anakiti dalla zona montuosa: da Ebron, da Debir, da Anab, da tutti i monti di Giuda e di Israele. Giosuè li votò allo sterminio con le loro città. » Giosuè 11,21) In effetti nel 1918 l'orientalista tedesco Gustaf Hermann Dalman (1855-1941) scoprì in un quartiere di Amman, oggi capitale della Giordania, che è stata costruita sul sito dell'antica Rabbat Ammon, un dolmen che ha proprio le dimensioni approssimative del letto di Og fornite dalla Bibbia, cioè 4 metri per 1,78, e ciò dimostra che la leggenda dei giganti nacque proprio dall'osservazione di quei monumenti megalitici, esattamente come accadde in Sardegna per le "tumbas de sos gigantes" (Tombe dei Giganti), in realtà monumenti funerari nuragici risalenti al II millennio avanti Cristo.

Parlando di giganti biblici, non possiamo certo fare a meno di nominare i filisteo Golia (in ebraico גולית, probabilmente dall'accadico "gilittu", "terrore"). Di lui nel Primo Libro di Samuele si dice:

« Dall'accampamento dei Filistei uscì uno sfidante, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. » (1 Sam 17, 4)

Assegnando (come abbiamo fatto sopra) al cubito ebraico il valore di 44,45 cm e al palmo quello di 7,41 cm, il gigante filisteoo doveva essere alto circa 44,45 x 6 + 7,41 = 274,11 cm. A questo proposito bisogna notare che Robert Pershing Wadlow (1918-1940), l'uomo più alto mai esistito secondo il Guinness World Records, arrivò all'altezza di 2,72 m, solo due centimetri meno del leggendario Golia, il che rende tutt'altro che implausibile l'altezza registrata dall'autore Deuteronomista. Da notare che, secondo lo storico giudaico Giuseppe Flavio, Golia sarebbe stato alto "solo" quattro cubiti greci e un palmo, ovvero circa 208 cm, una misura ancor meglio giustificabile, e che contribuirebbe a confermare la storicità dell'episodio biblico del duello tra Davide e Golia, così narrato dal poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli in un sonetto datato 9 gennaio 1833:

« Ar vede un pastorello co la fionna,
strillò Golia sartanno in piede: "Oh cazzo!
Sta vorta, fijo mio, l'hai fatta tonna."
Ma er fatto annò ch'er povero regazzo,
grazzie all'anime sante e a la Madonna,
lo fece cascà giù come un pupazzo.  »

Caravaggio, "Davide con la testa di Golia" (1607), Kunsthistorisches Museum di Vienna

Caravaggio, "Davide con la testa di Golia" (1607), Kunsthistorisches Museum di Vienna

L'incredibile altezza di R.P. Wadlow, detto non a caso « il Gigante dell'Illinois », era dovuta alla iperplasia della ghiandola pituitaria, una malattia che tra l'altro lo portò a morire a soli 22 anni. Com'è logico, la moderna medicina ha cercato una possibile spiegazione patologica anche per l'altezza sproporzionata di Golia di Gat: secondo il neurologo Vladimir Berguiner dell'Università Ben Gurion del Negev, Golia avrebbe sofferto di acromegalia, male caratterizzato da una produzione abnorme da parte dell'ipofisi dell'ormone della crescita, che ne spiegherebbe la statura gigantesca. Tra gli altri, avrebbero sofferto di acromegalia l'imperatore romano Massimino il Trace (173-238), che secondo l'"Historia Augusta" era alto ben 240 cm, il pugile italiano Primo Carnera (1906-1967), alto 197 cm e dalla forza eccezionale, e l'attore statunitense Ted Cassidy (1932-1979), reso famoso dal telefilm "La Famiglia Addams" ed alto 206 cm. Ma i malati di acromegalia di solito soffrono anche di problemi alla vista; e secondo Berguiner sarebbe per questo motivo che il campione filisteo venne sconfitto con irrisoria facilità dal giovane Davide, che egli non riusciva a vedere bene.

Un altro "gigante" biblico la cui misura è espressa in cubiti è la statua colossale che re Nabucodonosor II avrebbe fatto edificare presso Babilonia, ordinando a tutti i suoi sudditi di venerarla, pena la vita:

« Il re Nabucodonosor aveva fatto costruire una statua d'oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l'aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. » (Dn 3, 1)

L'immenso simulacro del re caldeo sarebbe stato alto 26,67 metri e largo 2,67 metri: oggi dubitiamo che una simile statua sia mai effettivamente esistita, perchè nessuna fonte ne parla al di fuori del Libro di Daniele, che fu scritto oltre quattro secoli dopo gli eventi che narra; o, se è esistita, probabilmente era più piccola e le sue dimensioni furono esagerate dall'Autore Sacro per sottolineare l'oltraggiosa tracotanza del sovrano caldeo. Chi vuole saperne di più, consulti quest'altro mio ipertesto.

B) MISURE DI SUPERFICIE

Il sistema biblico di misura delle aree era piuttosto informale; la Scrttura misura le aree descrivendo quanto terreno potrebbe essere seminato con una certa quantità di semi, per esempio la quantità di terra in grado di essere seminata con 2 seah di orzo. Quella più vicina ad una unità convenzionale di superficie era lo iugero (in ebraico semed), talvolta tradotto come "acro", il quale rappresenta la terra che una coppia di buoi aggiogati poteva arare in un giorno. In Mesopotamia la stima standard per questa superficie era di 6.480 cubiti quadrati, che per quanto detto sopra è pari a 1280,32 metri quadri. Un acro moderno è stato fissato nel 1958 a 4046,86 metri quadri, per cui lo iugero biblico equivaleva solo al 32 % di tale misura. Lo usa ad esempio il Profeta Isaia:

« Poiché dieci iugeri di vigna produrranno solo un bat, e un homer di seme produrrà un'efa. » (Isaia 5, 10)

Altre unità di misura di superficie erano:

1) Searah (plurale searot), 1/36 di un Geris, cioè circa 9 millimetri quadrati

2) Adashah (plurale adashot), 1/9 di un Geris, cioè circa 36 millimetri quadrati

3) Geris, un cerchio con un raggio di circa 1,015 cm, 3,235 centimetri quadrati

4) Amah al Amah, cioè un cubito quadrato, pari a (44,45)2 = 1975,8 centimetri quadrati

5) Beit Rova, la superficie necessaria per la semina di un quarto di kav di sementi, il cui valore era compreso tra 24 e 34,5 m2

6) Beit Seah, la superficie necessaria per la semina di un seah di sementi, il cui valore era compreso tra 576 e 829 m2

7) Beit kor, la superficie necessaria per la semina di un kor di sementi, il cui valore era compreso tra 1,73 e 2,50 ettari

A queste andrebbe aggiunta un'unità chiamata garmida (in ebraico גרמידא), ripetutamente menzionata nel Talmud senza alcuna indicazione delle sue effettive dimensioni. Tuttavia un passo del Talmud (BB 27a) usa questo termine per indicare un cubito quadrato, cioè aun Amah al Amah, mentre in un altro "garmida" indica un cubito cubo, cioè 87,82 litri, anche se il termine consueto che denota l'aggettivo "cubo" viene omesso.

C) MISURE DI VOLUME E DI CAPACITÀ

Il sistema biblico per la misura del volume di solidi e di liquidi corrispondeva esattamente al sistema babilonese. A differenza del sistema egiziano, che è basato su multipli di 1, 10, 20, 40, 80 e 160 dell'unità di base, il sistema babilonese si basava su multipli di 6 e 10, vale a dire su multipli di 1, 12, 24, 60 , 72 (60 più 12), 120, e 720 dell'unità di base. Secondo la Jewish Encyclopedia, quest'ultima unità di base era la Mina, che era definita come un sessantesimo di Maris, il quale a sua volta era la quantità d'acqua pari al peso di un talento reale. La Maris era quindi pari a circa 30,3 litri, e la mina a circa 0,505 litri. Nel sistema biblico, il termine Log (in ebraico לג) era usato al posto della mina babilonese, ma la misura era comunque la medesima. Anche se entrambi utilizzavano il Log come unità di base, gli Israeliti usavano diverse unità di misura di volume per i solidi e per i liquidi. Le misure per i solidi erano le seguenti:

1) Bezah (in ebraico ביצה, "uovo"); 6 Bezah erano pari a un Log, dunque 1 Bezah = 0,084 litri = 84 cm3

2) Kav (in ebraico קב), pari a 4 Log, cioè a 2,020 litri. Lo troviamo citato ad esempio nei Libri dei Re:

« Ci fu una grande carestia a Samaria; la strinsero d'assedio fino al punto che una testa d'asino si vendeva a ottanta sicli d'argento e un quarto di Kav di guano di colomba a cinque sicli. » (2 Re 6, 25)

3) Seah (in ebraico סאה),  pari a 6 Kav, cioè a 12,12 litri. Secondo l'autore biblico, già Abramo si serve di quest'unità, quando i tre Angeli vanno a visitarlo presso il querceto di Mamre:

« Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, tre seah di fior di farina, impastala e fanne focacce." » (Gen 18, 6)

La ritroviamo poi all'epoca di Elia:

« Con le pietre Elia eresse un altare nel nome del Signore; scavò intorno all'altare un canaletto, della capacità di circa due seah di seme. » (1 Re 18, 32)

4) Efa (in ebraico איפה), pari a 3 Seah, cioè a 36,36 litri, e attestata già all'epoca dell'Esodo, visto che nel Levitico si dice:

« Se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due colombi, porterà, come offerta per il peccato commesso, un decimo di Efa di fior di farina, come sacrificio per il peccato. » (Lv 5, 11a)

5) Letek (in ebraico לתך), pari a 5 Efa, cioè a 181,80 litri. È menzionato solo una volta nel testo masoretico, e la Settanta lo traduce con il termine greco "nebeloinou", che significa otre:

« Io me l'acquistai per quindici pezzi d'argento e un Letek e mezzo d'orzo. » (Osea 3, 2)

6) Kor (in ebraico כור), pari a 2 Letek, cioè a 363,6 litri. Questa unità è attestata ai tempi di Salomone:

« Salomone diede a Chiram ventimila kor di grano, per il mantenimento della sua casa, e venti kor di olio puro; questo dava Salomone a Chiram ogni anno. » (1Re 5, 25)

A queste si potrebbe aggiungere l'unità più piccola, la Ke'zayit (in ebraico כזית), il volume medio di un'oliva, che da fonti diverse è considerata pari a mezzo bezah, a un terzo di bezah, o non direttamente correlata alle altre unità di volume.

Un'altra unità molto importante è l'Omer (in ebraico הומר), della quale la Torah precisa esplicitamente: « L'Omer è la decima parte dell'Efa » (Es 16, 36), cioè è pari a 3,64 litri. Appare evidente che essa non era originariamente presente, nel sistema ebraico, ma vi fu inserita in seguito a un processo di decimalizzazione, forse sotto l'influenza dell'Egitto o dell'Assiria, dato che entrambi questi stati utilizzavano sistemi decimali. Nella Torah, è l'Autore Sacerdotale che fa riferimento all'Omer, piuttosto che al Seah o al Kav; infatti gli esegeti individuano l'Autore Sacerdotale come uno dei più tardi tra quelli che lavoravano alla redazione della Torah, facendolo risalire al periodo in cui Egitto e Assiria ebbero un'influenza pesante su Israele. Secondo l'esegeta statunitense Padre Lawrence Edward Boadt (1942–2010) la parola "Omer" deriva dall'ebraico "asino", e quindi va intesa come il carico che un asino può trasportare. Tale unità è utilizzata tipicamente nel racconto della manna, e ciò dimostra che arrivò in Israele attraverso l'influenza egiziana:

« Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda. » (Esodo 16, 16)

Passiamo ora alle misure per i liquidi. Le unità principali erano le seguenti:

1) Log, pari a 0,505 litri, la stessa usata anche per i solidi. Eccone un esempio di uso nel libro del Levitico:

« Il sacerdote prenderà uno degli agnelli e lo presenterà come sacrificio di riparazione, con il log d'olio, e li offrirà con il rito di elevazione davanti al Signore. » (Lv 14, 12)

2) Hin (in ebraico כזית), pari a 12 Log e quindi a 6,06 litri, significa "vasetto", probabilmente dalla radice egizia hnw, con lo stesso significato. Lo ritroviamo infatti nell'Esodo, tra le prescrizioni rituali dettate da YHWH a Mosè:

« Con il primo agnello offrirai un decimo di Efa di fior di farina, impastata con un quarto di Hin di olio puro, e una libagione di un quarto di Hin di vino. » (Es 29, 40)

3) Bat (in ebraico בת), pari a 6 Hin e quindi a 72 Log, cioè a 36,36 litri. Essa appare dunque come l'equivalente dell'Efa per i liquidi. Ad esempio, così scrive Salomone a Hiram, Re di Tiro e suo alleato, i cui artigiani egli vuole reclutare per edificare il Tempio di Gerusalemme:

« Ecco, a quanti abbatteranno e taglieranno gli alberi io darò grano per vettovagliamento; ai tuoi uomini darò ventimila kor di grano, ventimila kor d'orzo, ventimila bat di vino e ventimila bat d'olio. » (2 Cr 2, 9)

Queste cifre equivalgono a 7272 metri cubi di grano e altrettanti di orzo, a 727.200 litri di vino e altrettanti d'olio! Cifre forse esagerate, ma che sottolineano i potenti mezzi messi a disposizione dal biblico sovrano per l'edificazione del Tempio. Vi era anche l'equivalente per i liquidi dell'Omer, senza un nome preciso, descritto come la decima parte di un bat, e quindi effetto di una tarda decimalizzazione.

Nell'era neotestamentaria e talmudica sono state utilizzate molte altre unità di capacità, per lo più di origine straniera, in particolare dalla Persia e dalla Grecia; le definizioni di molte di queste unità sono controverse. Tra le varie frazioni di Kav utilizzate vi erano, in ordine di grandezza crescente, l'ukla (עוכלא), il tuman (תומן) e la kapiza (קפיזא) e il garab (גרב). Di entità non identificata sono l'ardaba (אדרב), la kuna (כונא) e il qometz (קמץ); forse gli ultimi due erano da equiparare ad una manciata. Aggiungiamo poi la metreta, unità di misura di capacità usata in Grecia e in Egitto, di valore variabile fra i 34 e i 39 litri, resa celeberrima dal racconto giovanneo delle Nozze di Cana:

« Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre metrete » (Gv 2, 6)

La versione della CEI del 2008 traduce correttamente « contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri ». Ma di tutte le unità "straniere" la più famosa è certamente il moggio, di origine romana, equivalente a circa 8,75 litri (in ebraico "almud", מודיא), perchè Gesù ne fa il protagonista di uno dei suoi detti più famosi (si riferisce ad un recipiente della capacità di un moggio, capovolto sopra una lucerna):

« Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce. » (Lc 11, 33)

Moggio romano ritrovato a Ponte Puñide (Galizia), oggi al Museo Arqueológico Nacional de Madrid

Moggio romano ritrovato a Ponte Puñide (Galizia),
oggi al Museo Arqueológico Nacional de Madrid

 

D) MISURE DI PESO E VALUTA

Anche per le unità di peso gli Ebrei si adeguarono al sistema babilonese. Il Libro dei Proverbi fa cenno ai "pesi del sacchetto", cioè pietre di massa standard che gli Israeliti portavano con sé per una rapida e sicura pesatura: « La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore, sono opera sua tutti i pesi del sacchetto » (Prov 16, 11). Le unità principali erano le seguenti:

1) Gerah (in ebraico גרה, dal babilonese Giru), in italiano Ghera, pari a 0,82 g. Esso equivale a 9 chicchi d'orzo, ovvero tre carrube. La Diodati la traduce con "obolo", indicando il suo scopo precipuo iniziale come spicciolo da offrire in elemosina.

« Chiunque verrà sottoposto al censimento, pagherà un mezzo siclo, conforme al siclo del santuario, il siclo di venti ghere » (Esodo 30, 13)

2) Shekel (plurale shkalim, in ebraico שקל), in italiano siclo, pari già al tempo dell'Esodo a 20 Ghere: « Il siclo sarà di venti ghere » (Ez 45, 12a). Equivale dunque a 60 carrube o a 180 chicchi d'orzo. Il peso del siclo ebraico poteva variare tra i 10 e i 13 grammi. Sicuramente è la più famosa, tanto che da essa ha preso il nome la moderna valuta dello Stato d'Israele. La radice verbale "sql", comune a tutte le lingue semitiche, esprime l'azione del pesare e, per estensione, significa "contare il danaro, pagare", perché in origine si pesavano i pezzi di metallo usati come monete. Come unità di peso e non di valuta, il siclo è utilizzato per farci capire quant'era pesante l'armatura del già nominato gigante Golia:

« Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. » (1 Samuele 17,5)

Ne consegue che il peso della corazza era compreso tra i 50 e i 65 kg!

3) Mina, pari a 60 shekel, come attesta Ezechiele: « venti sicli, venticinque sicli e quindici sicli saranno la vostra mina. » (Ez 45, 12b); inizialmente però una mina ebraica era costituita da 50 sicli; solo dopo l'esilio passò a 60 sicli, diventando così uguale a quella babilonese. Introdotta nel sistema greco, ad esempio ad Atene aveva una massa di 436,6 grammi. Con una mina di argento venivano coniate 100 dracme. Si noti che secondo l'"Apologia di Socrate", un testo giovanile di Platone, dopo la condanna del filosofo da parte dei giudici ateniesi, questi si sarebbe potuto auto-comminare un'ammenda pari a trenta mine d'argento, con la garanzia degli allievi a lui più vicini, ma i giudici non accettarono. Nella Bibbia le mine si trovano ad esempio nel tributo inviato a Roma da Simone Maccabeo:

« Successivamente Simone mandò a Roma Numenio con un grande scudo d'oro, del peso di mille mine, per confermare l'alleanza con loro » (1Mac 14, 24)

La mina greca corrispondeva a 434 grammi; siccome il talento romano era formato da 100 libbre romane, una libbra romana era esattamente pari ai tre quarti di una mina greca, quindi il talento romano era pari a 1,25 talenti greci. Un talento egizio era pari a 80 libbre.

4) Talento, pari a 60 mine. Deriva dal greco antico "talanton", "bilancia", sempre con riferimento all'atto del pesare, ed era molto diffuso in tutto il mondo antico. Nell'Iliade Achille dà mezzo talento d'oro ad Antiloco come premio nella gara di corsa in onore del defunto Patroclo:

« Questo sol disse: e l'esaltato Achille
così rispose: "Antìloco, non fia
detta invan la tua lode. Eccoti d'oro
altro mezzo talento." E sì dicendo
gliel porse, e quegli giubilando il prese. »
(Iliade XXIII, 1008-1012)

Anche nella Bibbia il talento è una delle misure di peso più diffuse:

« Andarono in Ofir, e di là presero quattrocentoventi talenti d'oro e li portarono al re Salomone. » (1 Re 9, 28)

La massa di un talento era diversa da popolo a popolo: in Grecia il talento attico corrispondeva a 26,2 kg, a Roma valeva 32,3 kg, in Egitto 27 kg e a Babilonia 30,3 kg. Gli Ebrei usavano il talento babilonese, anche se nel tempo ne modificarono la quantità: all'epoca del Nuovo Testamento il peso del talento era di 58,9 kg, ed anche di questa unità Gesù fece uso per una celeberrima parabola:

« Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. » (Mt 25, 14-15)

Erano tuttavia in uso diverse versioni del talento: una reale e una comune. Inoltre, ciascuna di queste unità esisteva in una versione pesante e in una leggera, con la prima che equivaleva esattamente al doppio della seconda. La mina per il talento reale pesante equivaleva a 1,011 kg, mentre quella per il talento comune pesante pesava solo 0,984 kg; di conseguenza, il siclo comune pesante sarebbe di circa 15,88 grammi. Secondo Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche 14, 106), le misure di uso comune in Siria e Giudea erano il talento comune pesante, la sua mina e il suo siclo. Giuseppe Flavio menziona anche un'unità aggiuntiva, la Bekah, che era esattamente pari a mezzo siclo. Dopo l'esilio, il sistema ebraico venne modificato: la litra, nome derivato dal latino libra ("bilancia"), pari a 60 Shekel, sostituì la Mina, e il kikkar (ככר), pari a 60 litra, sostituì il talento.

Veniamo alle valute. In origine per pagare una mercanzia si pesava una quantità d'oro o d'argento. La moneta fu inventata in Lidia nel VII secolo a.C.; dopo l'esilio i Giudei utilizzarono il darico persiano e la dracma greca. Le prime dracme giudaiche risalgono al IV sec. a.C. e portano l'iscrizione YHD, cioè Giudea; più tardi si utilizzarono le monete greche e romane, ma nel Tempio di Gerusalemme soltanto la moneta giudaica aveva valore corrente. Infatti le monete straniere portavano in genere la rappresentazione del sovrano o dell'imperatore regnante, e come sappiamo per i Giudei era proibito raffigurare la persona umana. Ecco perchè nel cortile del Tempio sostavano i cambiavalute, deputati a convertire i sesterzi romani in monete giudaiche, cambiavalute che suscitarono la dura reazione di Gesù:

« Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel Tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe... » (Mc 11, 15)

Tra le monete in uso nel mondo ellenistico, quella di minor valore in assoluto era il lepton (in greco "leggero"), tradotto anche come "spicciolo". Il lepton fu coniato sotto Alessandro Ianneo prima del 76 a.C., e sono lepton anche gli oboli della povera vedova nel Vangelo di Marco:

« Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. » (Mc 12, 41-42)

Ed ora, ecco altre valute in uso nell'antico Israele:

1) Prutah (in ebraico פרוטה, plurale prutot), una moneta di rame pari a 0,34 grani troy, cioè a 0,022 grammi

2) Issar (plurale issarim), equivalente all'asse romano e pari a 2,732 grani troy, cioè a 0,177 grammi

3) Pundion (plurale pundionim), derivata da una moneta romana di rame chiamata Dupondius, è pari a 5,4 grani troy, cioè a 0,350 grammi

4) Ma'ah (plurale ma'ot, "denaro"), una moneta d'argento equivalente all'ebraico gerah, pari a 10,8 grani troy, cioè a 0,699 grammi

5) Dinar (plurale Dinarim), esistente in due versioni. La prima equivaleva al Denario romano d'argento (in ebraico Zuz), pari a 3,884 grammi di questo metallo, e la seconda al Denario d'oro o Aureus (in ebraico Dinerei Zahav), pari a 7,29 grammi d'oro, cioè a 96,84 grammi d'argento. È a questa moneta che si riferisce Giuda quando si lamenta del fatto che Maria, sorella di Lazzaro, ha "sprecato" dell'unguento preziosissimo per cospargerne i piedi di Gesù:

« Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri? » (Gv 12, 5)

6) Shekel (plurale shkalim), moneta ebraica d'argento (in ebraico שקל) che inizialmente aveva un valore di circa tre denari e un terzo, ma nel corso del tempo la misura crebbe fino a valere esattamente quattro denari. Il suo peso era compreso tra 7,65 e 14,46 grammi d'argento. La Genesi riporta indietro l'uso del siclo fino all'epoca di Abramo, che usa quest'unità come valuta in argento per comprare il terreno in cui seppellire Sara:

« Ascolta me piuttosto, mio signore: un terreno del valore di quattrocento sicli d'argento che cosa è mai tra me e te? » (Gen 23, 15)

Si pensa inoltre che i « 30 pezzi d'argento » di Giuda fossero sicli di Tiro; un siclo d'argento era allora il salario giornaliero di un bracciante.

Moneta del 69 d.C. (risalente quindi alla rivolta antiromana) con la scritta in ebraico "Sshekel Israel" (שקל ישראל), rinvenuta a Gerusalemme nella zona del Muro Occidentale (da questo sito)

7) Sela (plurale selo'im), moneta d'argento equivalente alla Tetradracma greca, pari a due shekel, cioè 15,59 grammi. Il tallero e il dollaro moderni derivano da questa moneta

8) Minah, moneta d'argento pari a 100 Zuzim, cioè a 388,4 grammi. Nella Bibbia le mine si trovano ad esempio nella ricostruzione del Tempio operata da Neemia:

« Alcuni capi di casato diedero al tesoro della fabbrica ventimila dracme d'oro e duemiladuecento mine d'argento. » (Neemia 7,70)

9) Kikar (plurale kikarim), pari a un talento d'oro, cioè a 3000 shekel. Tutto questo ci aiuta a comprendere meglio la parabola evangelica  del servo spietato:

« Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!" Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. » (Matteo 18, 23-30)

Cento denari sono un debito irrisorio: potevano equivalere a 388,4 grammi d'argento, o al massimo a 729 grammi d'oro. Diecimila talenti sono invece una cifra spropositata, inimmaginabile, equivalente a 589 tonnellate d'oro!! Con questa parabola, il Redentore ci vuole dire che, siccome a noi è stato perdonato tantissimo, in quanto peccatori, non dobbiamo lesinare il nostro perdono a chi ci deve infinitamente di meno.

Prima di chiudere l'argomento delle unità di peso, ecco una tabella che mette a confronto alcune antiche valute:

Moneta giudaica

Moneta greca

Moneta romana

1 lepton

2 lepton

1 quadrante

1 asse = 4 quadranti

1 dracma

1 denaro = 16 assi

1 didracma = 2 dracme

2 denari

1 siclo 1 statere = 2 didracme 4 denari

25 dracme

1 aureo = 25 denari

30 sicli

1 mina = 100 dracme

4 aurei = 100 denari

1800 sicli

1 talento = 60 mine

240 aurei= 6000 denari

Oggi la valuta ufficiale del moderno Stato d'Israele è il nuovo siclo (שקל חדש, sheqel khadash), introdotto il 1 gennaio 1986 per sostituire il vecchio siclo per colpa dell'eccessiva inflazione. Il nuovo siclo è suddiviso in 100 agora, e il 14 ottobre 2015 un euro era pari a 4,399 nuovi sicli.

Banconota da venti nuovi sicli israeliani con l'effigie del politico Moshe Sharett (1894-1965)

Banconota da venti nuovi sicli israeliani con
l'effigie del politico Moshe Sharett (1894-1965)

 

E) MISURE DI TEMPO: IL CALENDARIO EBRAICO

Chiudiamo con le misure di tempo, accennando al calendario ebraico. Il calendario ebraico è oggi un calendario cerimoniale, e per le ricorrenze viene usato anche nel moderno Stato d'Israele. Mentre il calendario gregoriano da noi adoperato è un calendario solare, quello ebraico è un calendario lunisolare, cioè è basato sul mese lunare, ma è sincronizzato con le stagioni solari. In altre parole, ai 12 mesi ordinari viene aggiunto un mese in più che viene intercalato a periodi regolari. Il mese lunare dura 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi; dodici mesi lunari ("mesi sinodici") formano un anno lunare di 354 giorni, 8 ore e 48 minuti. L'anno solare, invece, dura circa 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi; da questo deriva che nell'arco di un anno il calendario lunare di 12 mesi resta indietro di circa 10 giorni e 21 ore rispetto a quello solare. Alternando anni di 12 e 13 mesi come specificato, si riesce a compensare quasi esattamente la differenza: lo scarto tra 19 anni solari e 235 mesi lunari è appena di 2 ore e 5 minuti circa, pari a circa 7 minuti per anno.

Il calendario ebraico si fonda sul cosiddetto ciclo metonico, dal nome dall'astronomo greco Metone di Atene (V secolo a.C.): esso comprende 19 anni, dei quali 12 di 12 mesi (mesi ordinari) e sette di 13 mesi (mesi embolismici, dal greco "intercalazione"): gli anni embolismici sono il 3º, il 6º, l'8º. l'11º, il 14º, il 17º ed il 19º anno del ciclo, per complessivi 235 mesi lunari. Il tredicesimo mese si chiama Adar Sheni. Il ciclo di 19 anni può durare da 6939 a 6942 giorni; il calendario ebraico si ripete esattamente dopo un ciclo di 689.472 anni, pari a 251.827.457 giorni. La durata media dell'anno perciò è di circa 365,2468 giorni: la deviazione rispetto all'anno solare medio è di circa 6 minuti e 39 secondi, quindi il calendario ebraico rimane indietro di un giorno rispetto all'anno solare ogni circa 216 anni. Ogni sette anni cade un anno sabbatico (ebraico שמיטה, shmita), ovvero un anno durante il quale i campi della Terra di Israele devono essere lasciati a riposo, i crediti ed i debiti vengono annullati, gli schiavi ebrei recuperano la libertà. Questo termine è entrato nel linguaggio comune proprio per indicare un periodo dedicato al riposo.

« Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai la tua vigna. » (Levitico 25, 2-4)

I mesi in origine avevano nomi molto descrittivi, come Ziv ("luce") e etanim ("forte pioggia"), con origini cananee, ma dopo la cattività babilonese i nomi sono stati cambiati a vantaggio di quelli utilizzati dai Babilonesi. I nuovi nomi dei mesi divennero Tishrì (30 giorni, settembre-ottobre); Cheshvan (29 o 30 giorni, ottobre-novembre); Kislev (29 o 30 giorni, novembre-dicembre); Tevet (29 giorni, dicembre-gennaio); Shevat (30 giorni, gennaio-febbraio); Adar (29 o 30 giorni, febbraio-marzo); l'intercalare Adar Shenì (29 giorni); Nisan (30 giorni, marzo-aprile); Iyar (29 giorni, aprile-maggio): Sivan (30 giorni, maggio-giugno); Tammuz (29 giorni, giugno-luglio); Av (30 giorni, luglio-agosto); e Elul (29 giorni, agosto-settembre). Tishrì è detto "il mese dei giganti", perché comprende le maggiori solennità ebraiche; al contrario, Cheshvan è detto Mar Cheshvan, cioè "il signor Cheshvan", per consolarlo del fatto di essere privo di feste!

Il Capodanno ebraico si identifica con la festa di Rosh haShana, che cade il primo giorno del mese di Tishrì. Questo primo capodanno introduce ai dieci giorni penitenziali che precedono lo Yom Kippur. Un secondo capodanno cade il 15 di Shevat, in occasione di Tu BiShvat, il "capodanno degli alberi" che ha un richiamo prevalente all'anno agricolo. Il terzo capodanno che cade il giorno 14 del mese di Nisan, ed è la festa di Pesach, considerato il capodanno religioso. Per esempio, il capodanno dell'anno ebraico 5776 è cominciato il 14 settembre 2015. Cliccando qui potrete accedere a un convertitore di date gregoriane in date ebraiche.

Il calendario ebraico

Il calendario ebraico

Il mese ebraico è suddiviso in settimane, ciascuna corrispondente ad una fase lunare, ed infatti spesse volte nelle Scritture il Sabato e il ciclo lunare sono accomunati nello stesso versetto:

« Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l'efa e aumentando il siclo e usando bilance false? » (Amos 8, 5)

La Genesi riporta l'origine dell'eptamerone addirittura alla Creazione del mondo, la quale segue appunto una scansione in sette giorni:

« Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando. » (Gen 2, 2-3)

I nomi dei giorni della settimana coincidono semplicemente con il numero del giorno entro la settimana. In ebraico, questi nomi possono essere abbreviati con il valore numerico delle lettere ebraiche, ad esempio "Primo giorno", o "Yom Rishon". Oltre a "ieri" (etmol) e "domani" (Machar), il vocabolario ebraico dispone anche di una parola apposita per "due giorni fa" (Shilshom). Maharatayim ("dopodomani") è una forma duale di Machar, letteralmente "due domani". Nella Bibbia, il giorno inizia con il crepuscolo, e precisamente quando il cielo diventa abbastanza scuro da poter vedere le prime tre stelle; il periodo che intercorre dal tramonto alla comparsa delle prime tre stelle viene chiamato "ben ha-shemashot". Dopo il ritorno dall'esilio fu adottato il sistema babilonese di dividere il giorno in ore (in ebraico שעה, sha'ah), heleq ("parte", in ebraico חלק, plurale halaqim), e rega ("momento", in ebraico רגע, plurale rega'im). Il giorno è diviso in 24 ore, e ogni ora è divisa in parti halaqim, dal che si ricava che ogni heleq è pari a 3600 / 1080 = 3,33 secondi; ogni heleq poi è diviso in 76 rega'im, per cui ogni rega è pari a 3,33 / 76 = 0,04386 secondi; un secondo equivale a 22,8 rega'im.

Ma restiamo nell'argomento delle scansioni temporali, e passiamo ad analizzare i problemi della cronologia biblica...