Ipparco di Nicea
La precessione degli equinozi

Introduzione
E’ noto a tutti che la terra ruota su se stessa e contemporaneamente percorre una traiettoria ellittica intorno al Sole. Questi due moti, detti rispettivamente di rotazione e di rivoluzione, sono i più conosciuti ed importanti del nostro pianeta, e tra l’altro determinano l’alternarsi del giorno e della notte ed il ciclo delle stagioni (quest’ultimo è anche conseguenza dell’inclinazione dell’asse terrestre); non sono però gli unici, in quanto l’interazione gravitazionale con gli altri corpi del sistema solare, unita al fatto che il nostro pianeta non ha forma perfettamente sferica, è causa di altri moti minori. Di questi, il più importante è la precessione degli equinozi, che consiste nella variazione dell’orientazione dell’asse terrestre rispetto ad un sistema di riferimento solidale con le stelle fisse. Si usa in genere paragonare questo moto a quello di una comune trottola; il principio fisico è infatti lo stesso: per effetto dell’azione di una forza esterna, l’asse di rotazione ruota intorno ad un altro asse, che nel caso della Terra è la normale all’eclittica mentre nel caso della trottola è la direzione della forza peso, mantenendo costante l’angolo relativo. La durata di un ciclo completo di precessione, ovvero il tempo che l’asse di rotazione impiega per compiere un giro intorno all’altro asse, per il nostro pianeta è di circa 25.700 anni.
Il moto di precessione dell’asse terrestre ha diverse conseguenze: lo spostamento dei poli celesti, lo spostamento dei punti equinoziali lungo l’eclittica (da cui deriva il nome di precessione degli equinozi), la diversa durata del ciclo delle stagioni (anno tropico) rispetto all’anno siderale.

Scoperta della precessione
La scoperta della precessione è di solito attribuita a Ipparco di Nicea, astronomo greco fra i maggiori dell’antichità, anche se da alcuni è stata avanzata l’ipotesi che il fenomeno potesse essere già noto agli astronomi di culture precedenti, come i babilonesi o gli egizi.
Nessuno degli scritti di Ipparco ci è pervenuto direttamente, ma diverse sue opere sono menzionate da Tolomeo nell’Almagesto. In particolare la scoperta della precessione è descritta in “sullo spostamento dei punti solstiziali e equinoziali” (Almagesto III.1 e VII.2). Ipparco misurò le coordinate eclittiche (λ, β) della stella Spica (αVirginis) durante un’eclisse di Luna e trovò che essa si trovava a circa 6° ad ovest del punto dell’equinozio d’autunno (punto Omega, che si trova esattamente a 180° dal punto dell’equinozio di primavera o punto Gamma, rispetto al quale solitamente si misurano le longitudini). Confrontando i suoi dati con quelli, risalenti a 144 anni prima, dell’astronomo babilonese Timocharis, egli trovò che la latitudine β era rimasta invariata, mentre la longitudine %lambda; era cresciuta di circa 2°. Tale variazione di λ e costanza di β fu ben presto riscontrata in altre stelle prossime all’eclittica (la cui longitudine era più facile da misurare). Le spiegazioni possibili erano due: o le stelle si erano spostate tutte insieme dello stesso angolo oppure era stato il punto di riferimento usato per le misure, il punto equinoziale Gamma, a spostarsi. Dalla variazione di 2° della longitudine dalla costanza della latitudine in un arco temporale di 144 anni, Ipparco dedusse che il punto Gamma si era spostato lungo l’eclittica in verso retrogrado, ovvero verso Ovest, di circa 46″ all’anno (il valore reale è 50″, 3 per anno). Nella concezione geocentrica di Ipparco e Tolomeo, la precessione venne spiegata in termini di movimento della sfera delle stelle fisse, che ruoterebbe lentamente attorno ai poli dell’eclittica. Ma perché Ipparco aveva bisogno di un’eclisse di Luna per effettuare le sue misure? Egli aveva sviluppato un metodo che gli consentiva di sapere in ogni momento le coordinate del Sole; la Luna al culmine di un’eclisse è esattamente a 180° dal Sole, per cui una misura dell’arco longitudinale separante il centro della Luna da Spica permetteva di ricavare la distanza fra Spica ed il Sole e di conseguenza le sue coordinate.
La prima interpretazione della precessione come conseguenza della variazione dell’orientazione dell’asse terrestre si deve a Copernico (de revolutionibus orbium coelestium (1543): la retrogradazione di Gamma è dovuta alla rivoluzione dell’asse attorno alla normale al piano eclittico, mantenendo costante l’angolo relativo di 23° 27′. La spiegazione fisica della precessione in termini di interazione gravitazionale fra la Terra e gli altri corpi del Sistema Solare, in particolare la Luna ed il Sole, è dovuta a Isaac Newton (philosophiae naturalis principia mathematica (1687)). La teoria di Newton esposta nei Principia prevedeva anche che il moto di precessione fosse accompagnato da lievi oscillazioni periodiche sia della velocità di retrogradazione che della obliquità, oscillazioni dette collettivamente nutazione, dovute al fatto che le forze agenti sulla Terra non sono costanti. Tali oscillazioni furono poi effettivamente osservate dall’astronomo inglese Bradley nella prima metà del XVIII secolo. Esse avevano però ampiezza molto maggiore di quanto aveva previsto Newton; il fisico inglese aveva infatti sottostimato il contributo della Luna alla precessione. La trattazione matematicamente rigorosa dei moti di precessione e nutazione si deve ai matematici del XVIII secolo, fra i quali spiccano i nomi di D’Alembert e Eulero.

Spiegazione della precessione
Come già anticipato, il moto di precessione avviene a causa della forza di gravità e del fatto che la Terra non è perfettamente sferica: a causa del moto di rotazione, essa infatti ha assunto una forma approssimabile ad un ellissoide di rotazione schiacciato ai poli. Fu Newton il primo ad intuire il legame fra la forma della Terra ed il fatto che essa possiede un moto di precessione. Seguiamo il suo ragionamento, concentrando per il momento l’attenzione soltanto sull’interazione fra la Terra ed il Sole. Consideriamo innanzitutto il caso in cui la Terra sia perfettamente sferica ed abbia simmetria radiale; supponiamo quindi che la sua densità ρ sia dipendente solo dalla distanza dal centro e non dalla longitudine o latitudine.
Come si vede in figura 1, per ogni punto P della sfera, sul quale il Sole esercita una forza F (più propriamente P è un piccolo volumetto dV che contiene la massa dm = ρdV), è possibile prendere un punto Q, simmetrico rispetto alla congiungente Terra-Sole, posto alla stessa distanza dal Sole e sul quale quindi agisce la stessa forza F. La forza agente su P tende a causare sia una traslazione che una rotazione della Terra, rispettivamente verso il Sole e intorno al centro di massa terrestre; la forza agente su Q tende a causare una uguale traslazione verso il Sole ma una rotazione uguale ed opposta. La conseguenza dell’applicazione simultanea di entrambe le forze è una forza risultante applicata nel centro di massa, che causa soltanto una traslazione, mentre non induce alcuna rotazione. Ragionando alla stessa maniera per tutti i punti che compongono la sfera, prendendoli cioè opportunamente a coppie, si avrà che la risultante delle forze di attrazione esercitate dal Sole sui volumetti di materia che compongono la Terra sarà una forza applicata nel centro di massa, che causa il moto di rivoluzione, senza alcuna rotazione. La forza esercitata dal Sole non altera quindi in alcun modo la rotazione propria della Terra, che continua indisturbata con la stessa velocità ed orientazione dell’asse. La situazione è diversa se si considera la Terra non perfettamente sferica; in questo caso l’ellissoide di rotazione si può schematizzare come composto da una sfera interna più un rigonfiamento equatoriale (Figura 2. Per quanto riguarda i punti interni alla sfera, valgono le considerazioni svolte precedentemente: essi contribuiscono solo al moto di rivoluzione. Sia P invece un punto del rigonfiamento equatoriale: come si vede nella figura, in questo caso il punto simmetrico rispetto all’asse Terra-Sole non appartiene al rigonfiamento, per cui non si ha la compensazione osservata in precedenza.
Consideriamo il punto Q, simmetrico rispetto al centro della Terra, e valutiamo le forze agenti su P e Q. Il punto P è più vicino al sole, e quindi la forza F1 esercitata su di esso sarà maggiore rispetto alla forza F2 agente su Q. Le due forze in questo caso sono equivalenti ad una forza applicata nel centro di massa più una coppia di forze che tende a far ruotare la Terra. Sommando i contributi di tutti i punti del rigonfiamento equatoriale, il risultato complessivo è una forza risultante che contribuisce al moto di rivoluzione più una coppia il cui momento giace sul piano equatoriale. Nelle figure 3 sono riportate le posizioni relative di Terra e Sole nei giorni dei solstizi; come si vede, in entrambi i casi la coppia di forze tende a riportare il piano dell’equatore sul piano dell’orbita, ovvero a ridurre l’inclinazione dell’asse terrestre. La coppia di forze non è però sempre uguale nel tempo: il suo momento è massimo ai solstizi e nullo agli equinozi, assumendo valori intermedi negli altri periodi. Ma perché l’asse terrestre precede, invece di orientarsi semplicemente nella direzione ortogonale al piano dell’orbita? A questo proposito paragoniamo nuovamente il moto della Terra a quello di una comune trottola: se sulla trottola agisce la forza di gravità, notiamo che tale forza tende a farla cadere ed essa effettivamente cade, a meno che non sia in rapida rotazione. E’ la rotazione, dunque, che impedisce alla trottola di cadere ed alla Terra di disporsi con l’equatore parallelo al piano dell’orbita.
(Fonte: osservatorioacquaviva.it/)

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