Eureka!

Archimede fu un personaggio poliedrico, come abbiamo potuto osservare. Fu un matematico, un fisico, uno scienziato complesso e quindi non ci stupisce che fosse anche un inventore di sorprendente genialità. A lui furono attribuite numerosissime invenzioni fra le quali la vite senza fine (coclea), un planetario, gli specchi ustori e potenti e originali macchine belliche. Ancora una volta è necessario osservare che spesso la leggenda che avvolge lo studioso rende difficile distinguere il mito dalla realtà. E' certo, però, che ci sono giunte diverse testimonianze di storici noti, come Plutarco o Livio, che ci aiutano nel nostro studio.
-La "vite di Archimede" o "coclea" (chiamata così perché la sua forma ricorda una chiocciola) è un macchinario idraulico.

Permette di spostare grandi quantità di acqua da un livello più basso a uno più alto (come nel caso dei pozzi). E' costituita da un cilindro in cui è situata una massiccia spirale di legno. Veniva collocata inclinata nell'acqua, con le estremità aperte, in modo tale che l'acqua potesse fuoriuscire in alto passando per le volute della spirale. Il tutto è azionato da una manovella. E' un meccanismo altamente utile e innovativo destinato all'irrigazione.
Archimede, inoltre, era anche esperto di ingegneria nautica. Tito Livio ci racconta il primo incontro tra il re Gerone e lo scienziato. Il re di Siracusa aveva fatto costruire un'immensa nave come dono per il re d'Alessandria. L'imbarcazione, però, era così possente che si temeva di non riuscire a portarla dai cantieri al mare. Archimede, però, comodamente seduto sulla spiaggia, impartì gli ordini necessari e anche grazie ai macchinari costituiti da corde, carrucole e pulegge da lui inventati, portò a termine il compito senza imprevisti. Infatti:

"Là dove tutti i siracusani uniti non potevano assolutamente muoverla, Archimede fece sì che Gerone da solo potesse porla in mare."

Da quel momento, affascinato da tanto genio, Gerone volle sempre al suo fianco Archimede.

-Il "Divulsile" è un ulteriore attrezzo attribuito (da Galeno) al siracusano.
Questa volta, però, ci troviamo in ambito medico. Sarebbe, infatti, uno strumento per curare problemi alle articolazioni.

-Passiamo ora all'astronomia. Questa volta la testimonianza ci giunge da Cicerone che narra che il console Marcello, di ritorno dall'assedio di Siracusa, portò con sé un macchinario che riproduceva la sfera celeste e i pianeti. L'equivalente dei nostri planetari! Per diverso tempo si pensò che anche questo facesse parte della leggenda, fino a che non fu scoperto, nel 1902, il "Meccanismo di Anticitera", così chiamato perché ritrovato nel relitto di una nave vicino all'isola Anticitera. E' costituito da diversi ingranaggi con ruote dentate e serve a calcolare (lo si capì verso il 1950) il sorgere del Sole, le fasi lunari, gli equinozi, i mesi e i giorni della settimana, nonché il moto dei pianeti. Il tutto con un'estrema precisione. Rappresenta il più antico calcolatore meccanico finora conosciuto ed è attualmente custodito presso il Museo Nazionale di Atene. Vediamo uno schema degli ingranaggi della macchina:

-Archimede è noto anche per le sue macchine da guerra che permisero ai siracusani di dare del filo da torcere al potente esercito romano. Nel 215 a.C., infatti, i romani, guidati dal console Marcello, assediarono la città, accusata di essersi alleata con Annibale (cartaginese). L'esito del conflitto sarebbe stato scontato e rapido senza l'aiuto dello studioso. I romani furono così meravigliati dall'ingegno di Archimede (che consideravano un mago) che Cicerone ordinò di rapirlo a fine conflitto per portare il suo genio a servizio di Roma, anche se purtroppo non andò così.
L'assedio, che doveva durare 5 giorni, in realtà si prolungò di molti anni. I romani, che attaccavano sia via terra che via mare, possedevano fionde, balestre e la sambuca (una torre di legno molto che, posta sulle navi a ridosso delle città, permettevano di scavalcare le mura cittadine). I siracusani, però, riuscirono a sovrastarli sempre, grazie a potenti macchine quali la "catapulta", perfezionata da Archimede e munita di ruote, con la quale scagliavano enormi pesi per affondare le navi, anche se molto lontane. Massi di spropositata grandezza venivano lanciati dalla sommità delle colline grazie ad appositi sistemi di leve per annientare l'esercito di terra. Abbiamo una testimonianza diretta dell'efficacia di queste potentissime macchine da guerra, lasciataci da Plutarco nella "Vita di Marcello". Gli assediati gettavano, sui nemici romani, proiettili di ogni sorta, dalle pietre all'olio bollente. Questo però non è tutto!

-Parliamo della "Manus Ferrea", un artiglio meccanico in grado di ribaltare le imbarcazioni nemiche e spezzarle al centro.


-Un'altra invenzione attribuita ad Archimede è quella degli "specchi ustori" : grandi lamine concave di bronzo che erano in grado di concentrare i raggi solari e bruciare a distanza le navi romane. Anche in questo caso, però, è incerta la veridicità della notizia. Per secoli non siamo più stati in grado si realizzarli, per cui è lecito pensare che questo argomento faccia parte della leggenda, anche se Plutarco ce ne parla nei suoi scritti.
L'idea alla base della costruzione degli specchi ustori è quella di usare una superficie riflettente che raggruppa in un punto (detto "fuoco") i raggi che raggiungono l'intera area (concetto anche alla base delle centrali solari). Tutto ciò permetterebbe di incendiare un materiale infiammabile posto esattamente nel fuoco.
La forma più semplice per tali specchi è un paraboloide di rotazione ottenuto facendo ruotare una parabola attorno a un suo asse. Questa conica, infatti, è dotata di un fuoco tale che i raggi paralleli all'asse (come possono essere considerati i raggi solari, essendo il Sole molto distante da noi) passano tutti per il fuoco stesso. Il fuoco dipende dalla curvatura, quindi se si vuole bruciare lontano, lo specchio deve essere relativamente piatto.
Capiamo, quindi, quant'è elaboratala costruzione di questo strumento ed è difficile credere che all'epoca sia stato possibile realizzarlo. Nonostante tutto, come accade spesso, gli studiosi non sono unanimi nell'etichettarlo come pura leggenda e c'è anche chi, dopo un esperimento, dice di essere riuscito nell'impresa.

L'anno scorso il programma "MythBusters", su Discovery Channel, aveva decretato che era tutto solo un mito, dopo il fallimento di un esperimento che riproduceva tecnologia ed apparati di cui poteva disporre Archimede. Ma, adesso, il Mit rende giustizia al geniale inventore: non è certo che sia successo, ma poteva succedere.
Ma ripercorriamo la storia. Siamo durante la seconda guerra punica (218-210 a.C.): la città siciliana, una colonia greca che era stata alleata dei romani sotto il regno del tiranno Gerone, alla sua morte, nel 216 a.C., aveva visto prevalere la fazione filocartaginese. La città era stata quindi messa sotto assedio, sia da terra che dal mare, dalle forze romane al comando del console Marcello. Proprio in quel frangente, Archimede avrebbe usato degli specchi per raccogliere e concentrare i raggi solari: puntati contro le quinqueremi di legno romane, i raggi riflessi ne provocarono l'incendio, distruggendo la flotta di Marcello.
Negli ultimi anni, la comunità scientifica s'è più volte chiesta se il geniale Archimede di Siracusa (287-212 a.C.) potesse veramente utilizzare un meccanismo del genere per salvare la sua città dalla flotta nemica. Gli elementi in mano a chiunque volesse ripetere l'esperimento non sono molti: non ci è giunto nessuno scritto di Archimede sugli specchi ustori.
L'unico riferimento alla vicenda à nell'opera dello scrittore Dione Cassio, un autore imperiale del II secolo d.C, tramandataci attraverso compendi di epoca medievale. In questi scritti si parla dell'impiego degli specchi contro navi che si trovano alla distanza di ''un tiro d'arco": un unico specchio di forma esagonale, composto da numerosi e piccoli specchi elementari; e dell'utilizzo di corde per muovere lo specchio in modo da ottenere un angolo di rifrazione che deviasse i raggi del sole "concentrati" sulle navi.
Dopo i fallimenti mediatici di Discovery Channel, c'è stato chi, nella comunità scientifica, non si à dato per vinto. David Wallace, professore al Mit, il Massachusetts Institute of Technology, ha provato a ripetere l'esperimento assieme alla sua classe di geni in erba.
Il 4 ottobre, sul tetto del Wast Garage del Mit, Wallace e i suoi allievi hanno composto un collage di 127 specchi di circa 30 centimetri quadrati l'uno a circa 30 metri dal modello di una nave di legno. All'inizio, l'esperimento sembrava dovesse fallire a causa della cielo coperto dalle nuvole. Ma sono bastati 10 minuti di sole perché la nave prendesse fuoco. ''Eureka!'': Wallace e la sua classe hanno esultato e deciso di riportare su un sito internet l'esperimento che, dopo 2.200 anni, dà ragione ad Archimede.
Certo, le navi dei romani stavano in acqua e si muovevano, due circostanze che rendono più aleatorio il tentativo di incendiarle. Ma se l'esperimento à riuscito col sole pallido del Massachusetts, volete mettere con quello torrido della Sicilia.

''Non abbiamo cercato di dimostrare se il siracusano abbia usato o meno un macchinario di questo tipo - ha detto Wallace -, ma almeno abbiamo dimostrato che gli sarebbe stato possibile farlo". Quello che si sa per certo è che nel 212 a.C. dopo un lungo assedio, Siracusa venne conquistata dalle truppe di terra e, si narra, per il tradimento di un siracusano.