DON ERALDO COLOMBINI

(da "La Nona Campana", febbraio 1997)


Purtroppo, la mattina di domenica 20 settembre 2009, mi raggiungeva la notizia che don Eraldo Colombini, il parroco di Lonate che mi ha battezzato e che ancora prima aveva sposato i miei genitori, la sera precedente era tornato alla Casa del Padre dopo una lunga malattia, per la quale era ricoverato all'ospedale di Modena, dove si trovava in vacanza. Aveva 85 anni e mezzo, essendo nato a Pregnana Milanese il 1 gennaio 1924, e fu sacerdote per ben 61 anni.

Don Eraldo giovane sacerdote (per gentile concessione di Romana Ferrario)

Don Eraldo durante il suo servizio all'Istituto dei Sordomuti (per gentile concessione di Romana Ferrario)

Seguendo gli spostamenti del padre per motivi di lavoro, don Eraldo si trasferì in gioventù a Milano. A 14 anni, nel 1938, ricevette la Vestizione in San Fedele, quindi entrò nel Seminario Minore di San Pietro a Seveso (allora il numero dei seminaristi era molto più alto di quello attuale); ma nel 1945, verso la fine del Secondo Conflitto Mondiale, la sua casa fu bombardata e la famiglia si trasferì a Venegono Superiore, nel cui Seminario don Eraldo era passato a studiare. E proprio a Venegono Superiore egli celebrò la sua Prima Messa il 22 maggio 1948. Da giovane sacerdote insegnò all'Istituto dei Sordomuti di Milano, dove conobbe Mons. Giulio Broggi, che gli fu sempre amico, e che morì nel 1986 poco prima di compiere il secolo di vita. Divenuto Vicerettore del Seminario, manifestò il desiderio di ricevere la responsabilità di una Parrocchia, e il cardinal Giovanni Colombo lo destinò a Lonate Pozzolo, dove fece il suo ingresso il 25 settembre 1965. Divenuto anche parroco di Tornavento il 1 gennaio 1995, il 1 settembre 1996 lasciò l'incarico per motivi di salute, rimpianto da tutti i lonatesi. Nel 1997 il cardinal Martini lo nominò Monsignore, anche se egli volle essere sempre chiamato semplicemente don Eraldo (amava ripetere: "quand ün l'è un pör om, ul fan monsciùr dal Domm"!)

Per ricordare la sua inesausta opera di apostolato che tanta importanza ha avuto sulla mia formazione di uomo e di cristiano, ho voluto pubblicare questa pagina tratta da un numero speciale de "La Nona Campana", notiziario parrocchiale che don Eraldo, riprendendo una tradizione che si era interrotta, ha voluto, diretto e curato per trent'anni. In essa vengono tratteggiati vari aspetti dei cammino pastorale della comunità ecclesiale di Lonate Pozzolo durante il lungo periodo (1965-1996) in cui egli ne fu parroco: ne emerge un quadro ricco e variegato di avvenimenti, scelte, iniziative, sottolineature che fanno parte della nostra storia. Ma qui voglio anche tentare di offrire alcune linee interpretative generali e sintetiche di questo cammino, intorno a tre nuclei tematici: il "sentire con" la Chiesa; il discernimento dei "segni dei tempi"; lo stile dei cammino. Parleremo poi del rinnovamento della liturgia da lui voluto, del suo impegno educativo e delle sue attenzioni pastorali.

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5 settembre 1965: don Eraldo Colombini giunge a Lonate Pozzolo quale nuovo parroco e sale sul sagrato della chiesa di S. Ambrogio, accompagnato dal sindaco Carlo Soldavini e dai padrini Remo Bollazzi e Giovanni Milani

25 settembre 1965: don Eraldo Colombini giunge a Lonate Pozzolo quale nuovo parroco e sale sul sagrato della chiesa di S. Ambrogio, accompagnato dal sindaco Carlo Soldavini e dai padrini Remo Bollazzi e Giovanni Milani.

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DISCORSO DI BENVENUTO DEL SINDACO CARLO SOLDAVINI IL 25/9/1965

« Rev.mo don Eraldo,

mi sento grandemente onorato di essere il primo dei cittadini lonatesi che possa esprimere a Lei il benvenuto e l'augurio per la Sua missione di Parroco fra noi: onorato, ma anche turbato perché il mio benvenuto e il mio augurio deve riflettere quello di tutta la popolazione lonatese e non so se le mie parole sapranno interpretare con esattezza i sentimenti di gioia, di fede, di entusiasmo che si agitano nell'animo di tutti quelli che saranno suoi devoti parrocchiani.

Lei già, in questi brevi istanti di vita lonatese, ha avuto modo di vedere la simpatia e l'affetto da cui è circondata la sua persona: quella folla che faceva ala al suo passaggio, quei battimani, questi visi fissi alla Sua persona non sono solo indice di curiosità, ma sono cuori che vogliono donarsi a Lei.

Lonate è un paese che ha ancora una popolazione sana, laboriosa, attaccata alla fede dei suoi padri. E Lonate oggi si stringe attorno a Lei perché in Lei vede il Maestro, la guida, il padre.

II Maestro che avrà solo parole di verità.

La guida che conosce la via e indirizzerà noi tutti alla meta.

Il padre che ci amerà di un amore virile che potrà si avere talvolta lo sguardo e la voce ammonitrice, ma che saprà anche penetrarci profondamente nel cuore, che saprà capirci, che saprà dire la parola del conforto e della comprensione.

Lonate si dona tutto a Lei perché ci sia fra noi un colloquio intimo di anime e di coscienze.

Don Eraldo, Lonate tutta è qua stretta attorno a Lei; fra poco con Lei reciterà le parole del Divino Sacrificio in una comunione di intenti e di fede: unita, salirà al cielo, la Sua e la nostra preghiera: Dio coroni la Sua missione fra noi con tante opere di bene e Le conceda di esserci Maestro, guida e padre. »

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IL "SENTIRE CON" LA CHIESA

Arrivando a Lonate dopo il servizio pastorale svolto a Milano tra i sordomuti e a Venegono nel seminario teologico, don Eraldo (che, dall'angolo privilegiato di osservazione da cui proveniva, era pure a conoscenza di diverse impostazioni pastorali e avrebbe potuto definirne una "a tavolino") non si presentò con uno schema "precostituito", da applicare e "riprodurre" nella comunità che gli veniva affidata. Si pose, piuttosto, in ascolto attento della storia viva della parrocchia in cui si inseriva, per comprenderla, rispettarla, farla evolvere verso una sempre maggiore fedeltà al Vangelo. Tale attenzione vigile - non certo nostalgica, bensì aperta ai cambiamenti che si sarebbero resi necessari o utili - rimarrà una costante in questi anni. Ne sono testimonianza, tra l'altro, il ricordo riconoscente dei suoi predecessori (a loro volle venissero intitolati gli oratori e nell'anniversario della morte di don Antonio Tagliabue promosse ogni anno una celebrazione di suffragio, invitando a presiederla anche sacerdoti o vescovi che l'avevano direttamente conosciuto); la coltivazione della memoria di alcuni figli di questa parrocchia, come padre Luigi Rosa e padre Vincenzo Soldavini; il riconoscimento dell'azione svolta, con semplicità e con altrettanta generosità, da alcuni laici o laiche per la comunità ecclesiale e per quella civile; la custodia, la riscoperta, la ripresentazione "aggiornata" di alcune testimonianze o tradizioni precedenti; lo spazio accordato a studi, ricerche (o, più semplicemente, "vecchi ricordi") riguardanti non solo la parrocchia ma anche il paese.

Entrando nella storia di questa comunità e diventandone poi uno dei costruttori, non era però sprovveduto o disarmato: la sua "arma" fu la Parola di Dio. Lo testimonia, come suo primo atto ufficiale, l'opuscolo distribuito alle famiglie in occasione dei suo ingresso: « il nostro primo dialogo sia fatto con la parola stessa di Dio. Per questo ho pensato di farvi pervenire il Vangelo. In questi giorni, in attesa di incontrarmi con voi, sono andato rimeditando sulla mia missione di sacerdote e pastore e mi permetto di suggerirvi la lettura di alcuni brani dei vangelo di Matteo, in modo che anche voi possiate andare disponendo il vostro spirito a quanto ci diremo e al cammino che faremo assieme nelle strade di Dio ». A questa parola non si e mai stancato di rimandare, non solo promuovendo occasioni di conoscenza, studio, approfondimento della Bibbia (avvalendosi anche della competenza di esperti, tra i quali il biblista don Giovanni Giavini, che per qualche tempo prestò il suo servizio pastorale festivo a Lonate dopo la partenza di don Luigi Della Rossa), ma anche: sostenendo i "gruppi di ascolto"; rimandando ad essa con insistenza quasi caparbia nella predicazione; sollecitandone la ripresa e la meditazione personale e in famiglia; ritornando sulla stessa Parola proclamata e spiegata nell'Eucaristia domenicale durante la catechesi degli adulti. Peraltro, il riconoscimento dei primato della Parola di Dio, a cui accostare tutti i fedeli e con cui nutrire la vita quotidiana di ciascuno, era stata una delle acquisizioni dei Concilio Vaticano II, soprattutto nella costituzione "Dei Verbum".

Ed è l'applicazione del Concilio una chiave di volta capace di interpretare il cammino pastorale di questi decenni. Si tratta di un'intenzione precisa, da sottolineare, riscoprire e inserire in un contesto più ampio. Lo si potrebbe qualificare come il "sentire con" la Chiesa: fu questa un'altra "arma" di don Eraldo. Quando arrivò in paese quella sera di sabato 25 settembre 1965 (festa di sant'Anatalone e di tutti i santi vescovi milanesi: coincidenza indubbiamente significativa!), il Concilio non era ancora terminato: si sarebbe concluso nel dicembre successivo. Ma del Concilio e delle sue immense potenzialità egli aveva potuto respirare tutta la ricchezza nel contatto con alcuni artefici (come mons. Giovanni Colombo e mons. Carlo Colombo) e nel dialogo sui temi conciliari (vissuto con profondo interesse e gioia interiore, come più volte ebbe occasione di ricordare) con quegli attenti osservatori che erano alcuni teologi di Venegono. Né sono mancati altri stimoli e altre occasioni privilegiate per coltivare l'atteggiamento del "sentire cum Ecclesia": dalla partecipazione al 46°Sinodo diocesano, a quella, per diversi anni, al Consiglio Presbiterale Diocesano e alle assemblee dei Decani, per non dire dei rapporti più informali di conoscenza e amicizia con alcune persone che hanno esercitato il loro influsso nella vita della nostra diocesi.

Importantissima, ricca e, per molti versi, innovativa e stata la grande lezione ecclesiologica che ci è venuta dal Concilio. Don Eraldo ha cercato di trasfondere e vivere questa visione di Chiesa nella sua azione pastorale.

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Dicembre 1966, in via Novara per la benedizione del rinnovato salone del Circolo S. Ambrogio; lo accompagnano il sacrestano Angelo Rosa, Sergio Conti e Ambrogio Nisoli. Sulla destra si vedono il Panificio e l'ingresso del cortile nel quale l'autore di questo sito ha abitato per trent'anni

Dicembre 1966, in via Novara per la benedizione del rinnovato salone del Circolo S. Ambrogio; lo accompagnano il sacrestano Angelo Rosa, Sergio Conti e Ambrogio Nisoli. Sulla destra si vedono il Panificio e l'ingresso del cortile nel quale l'autore di questo sito ha abitato per trent'anni.

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L'anelito alla comunione

Prima e più che dei suoi aspetti strutturali e organizzativi, il Vaticano II, soprattutto nella "Lumen gentium", ha messo in luce il "mistero" della Chiesa e l'ha fatto utilizzando diverse categorie, tra cui spicca quella di "popolo di Dio". La Chiesa appare così contraddistinta e definita dalla comunione: e riflesso della comunione trinitaria; è segno e strumento della comunione con Dio e di tutto il genere umano; è chiamata a vivere nella comunione e nella corresponsabilità di tutti i suoi membri.

Questo profondo anelito alla comunione ha attraversato i decenni dal 1965 al 1996: una comunione effettiva ed affettiva con il Vescovo e con il Papa. Non possiamo non ricordare, a tale proposito, la obiettiva "sfrontatezza" e audacia con cui don Eraldo chiedeva (e, a volte, otteneva) che fosse l'Arcivescovo a suggellare, con la sua parola e la sua presenza, il cammino pastorale svolto in parrocchia in un determinato periodo (l'ultima volta nel 1995, dopo un anno dedicato al Giorno del Signore); né possiamo dimenticare la gioia interiore con cui, sottoponendosi anche alla "sfacchinata" del viaggio fatto di corsa per non abbandonare la parrocchia, accolse l'invito di celebrare l'Eucaristia con il Papa nella sua cappella privata la mattina del 2 giugno 1995, insieme con don Mario Manfrin. Voleva che la comunione fosse effettiva e visibile nella parrocchia, e rifuggiva da ogni manifestazione di comunione che fosse solo esteriore e alla quale non corrispondesse una reale unità di intenti, per la quale soffriva.

Nell'ottica della comunione va visto anche il suo modo di esercitare l'autorità di parroco. Avvertiva appieno la responsabilità del suo ufficio; la viveva con grande passione e intensità (forse si comprendono in questa luce anche alcuni suoi richiami insistenti: si trattava del dovere avvertito con urgenza di aiutare chi gli era affidato a camminare più speditamente sulla via della santità, andando all'essenziale); a volte ne sperimentava la concretezza e il "peso" quasi a livello fisico. Ma non ne fu mai geloso. Addirittura ci furono periodi nei quali sognava che si potesse guidare pastoralmente la parrocchia alternandosi nella responsabilità tra tutti i presbiteri della parrocchia stessa. Sapeva anche "delegare", e non solo in quelle occasioni (solitamente molto solenni e significative net cammino della comunità) nelle quali la salute non gli permetteva di essere presente. Ma soprattutto si fidava dei suoi più diretti collaboratori. Pur non lasciando mancare, all'occasione, le prospettive ritenute opportune, raramente ha dato loro indicazioni che riguardassero i dettagli delle scelte da operare o delle cose da fare: "lasciava fare", nel caso accettando anche i rischi di tale comportamento. Questo atteggiamento ad alcuni poteva sembrare "assenza" o "disinteresse", ma non lo era affatto: era, piuttosto, rispetto, valorizzazione e promozione della responsabilità altrui: c'era dietro la fiducia nella capacità e nella volontà degli altri di intuire, condividere, realizzare. Ne emerge cosi la figura di un'autorità che, secondo il significato etimologico della parola, sa "far crescere", stimolando la libertà e la responsabilità dell'interlocutore.

Perché questa comunione avesse a crescere, promosse la partecipazione e la corresponsabilità dei laici. Convinto (come ebbe a scrivere nel novembre 1968) che « questa era l'ora dei laici » e che « essi hanno una parte propria e assolutamente necessaria nella missione della Chiesa nel mondo », già in preparazione alla missione parrocchiale del 1971 ne metteva in risalto l'urgenza, partendo dalla constatazione che « il legame con la parrocchia e più una generosa risposta alle proposte dei sacerdoti che non iniziativa di cosciente ed effettiva corresponsabilità ». Per promuoverla non si stancò di richiamarne i fondamenti battesimali e le motivazioni più radicali; ne parlò nella predicazione e negli scritti; si confrontò con le esperienze gia in atto in altre parrocchie; organizzò momenti specifici di riflessione, formazione e preghiera. E con tempestività fu tra i primi a dare vita agli strumenti che la potessero rendere effettiva: dal Consiglio Pastorale Parrocchiale, alla Commissione amministrativa (oggi Consiglio parrocchiale per gli affari economici), alla assemblea parrocchiale. Ciò nonostante, non si accontentò dei traguardi raggiunti e continuò a spronare tutti e ciascuno a viverla con impegno maggiore e rinnovato. In questa ottica, in un orizzonte più ampio di cura delle vocazioni, sempre presente nella sua azione pastorale e alla quale, con gli altri presbiteri, dedicò intelligenza ed energie, non sempre vedendone i risultati sperati, pubblicamente e nei singoli rapporti interpersonali, non si stancò di proporre vie, luoghi, modalità concrete di impegno temporaneo o duraturo a servizio della comunità ecclesiale.

La volontà di dare attuazione e visibilità al mistero della comunione ha condotto don Eraldo a desiderare profondamente la realizzazione di una pastorale d'insieme sia su scala decanale sia, in particolare, tra le tre parrocchie. del comune. Non sono mancate proposte e sono stati pure sperimentati alcuni tentativi, ma al desiderio, per diversi motivi, non sempre ha potuto corrispondere la realtà. Il cammino da percorrere, a tale riguardo, è ancora lungo e faticoso. L'assunzione, dal 1995, della responsabilità di parroco anche di Tornavento va vista indubbiamente come una spinta, voluta dalle autorità competenti, in questa direzione.

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L'urgenza missionaria

Quella delineata dal Concilio è una Chiesa ricca di vita, la quale, lungi dal chiudersi in se stessa, si apre con maggior slancio al mondo: essa ha preso rinnovata coscienza della sua intrinseca dimensione e vocazione missionaria, si è sentita e si sente "debitrice del Vangelo" a tutti gli uomini. Un altro cardine dell'ecclesiologia conciliare e, quindi, quello della missione. E anche questo cardine ha caratterizzato e innervato il cammino pastorale di questi decenni.

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Copertina de "La Nona Campana" del luglio-agosto 1969, dedicata al nuovo Oratorio Maschile, con grafica e logo rinnovati

Copertina de "La Nona Campana" del luglio-agosto 1969, dedicata al nuovo Oratorio Maschile, con grafica e logo rinnovati (assai migliori di quelli attuali).

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In don Eraldo tutto ciò si è chiaramente espresso nella sua prorompente ansia evangelizzatrice. Essa si è manifestata, fin dal gennaio 1966, con la pubblicazione de "La Nona Campana", voluta per formare la mente e le coscienze e, quindi, secondo una conferma datata maggio 1972, come « un bollettino parrocchiale che non fosse puramente informativo, non si limitasse cioè a dare notizia di nati, morti ed offerte ma, in quanto foglio parrocchiale, tentasse di promuovere anche una certa formazione o, perlomeno, offrisse lo spunto per l'approfondimento della propria formazione cristiana » (e il bollettino parrocchiale ha perso gran parte del suo smalto dopo il ritiro di don Eraldo nel 1996). Momento emblematico rivelatore di quest'ansia evangelizzatrice è stata la grande Missione cittadina del maggio 1971, la cui novità di impostazione (la visita dei laici Focolarini in tutte le famiglie, per portarne l'annuncio, e la predicazione svolta dai volontari della "Pro civitate christiana" di Assisi) nasceva come risposta al bisogno di una fede più convinta e vissuta in un contesto di crescente indifferenza religiosa, soprattutto da parte delle nuove generazioni, e di diffuso materialismo pratico, e aveva come unico scopo quello di « conoscere Gesù Cristo, il Risorto, il Vivente ». In questa stessa ottica si inseriscono: il primato della Parola di Dio, a cui si è già accennato; l'impegno diretto per la catechesi degli adulti, come anche nella preparazione dei bambini e delle bambine e dei loro genitori alla Prima Comunione, sollecitando la collaborazione anche di alcuni alunni del seminario e sperimentando cammini in qualche modo originali, o elaborati appositamente o mutuati da altri; l'insistenza ricorrente e quasi "ostinata" sulla necessità della catechesi per tutte le età; la predicazione nei diversi momenti liturgici, come pure in apposite celebrazioni della Parola e nei "momenti dello Spirito", avviati fin dal dicembre 1973; il richiamo pressante, a volte accorato alla testimonianza personale e comunitaria della vita. Quasi a suggello di quest'ansia evangelizzatrice va ricordata anche la Piccola Missione Parrocchiale del settembre 1990, nella quale soltanto accettò che venisse inserito il ricordo del suo venticinquesimo di parrocchia, che non doveva in nessun modo essere fine a se stesso: con il motto "Andate anche voi nella mia vigna", riproponeva alla comune considerazione l'urgenza missionaria come compito da vivere da parte di tutti e di ciascuno, partecipi dell'unica missione della Chiesa.

Un'altra faccia dell'ansia evangelizzatrice fin qui tratteggiata può essere rintracciata nella passione educativa vissuta da don Eraldo, che ha avuto come destinatarie le diverse fasce di età: dai ragazzi e i giovani, ai fidanzati, alle famiglie, agli adulti, agli anziani: basta scorrere velocemente le annate de "La Nona Campana" per intuirne l'esistenza e le direttrici fondamentali non solo a partire dalle diverse iniziative attuate, ma anche dalle sottolineature che emergono dalla rubrica mensile "La parola del parroco". Essa si è resa visibile soprattutto con l'edificazione del nuovo oratorio maschile, che, realizzando un sogno del predecessore don Tagliabue, con don Antonio Bosisio e con altri collaboratori, ha voluto moderno e funzionale e ha visto come strumento indispensabile per l'educazione regolare e sistematica, umana e cristiana, di tutti i ragazzi e di tutti i giovani. Nella stessa linea va poi interpretato l'ammodernamento di quello femminile. Ma, soprattutto, si deve richiamare la preoccupazione con cui si è adoperato perché in questi ambienti educativi, distinti e collaboranti, non mancassero guide sapienti, sostenendone e incoraggiandone l'impegno perché ci fossero catechisti formati e convinti, animatori esperti e generosi, collaboratori disinteressati e disponibili. È alla luce di questa stessa passione educativa che va vista l'azione svolta con i fidanzati e con le famiglie e per le famiglie, fermamente convinto sia del bisogno impellente di preparare i giovani ad arrivare al matrimonio cristiano aiutandoli a crescere nella fede e nell'amore così da saper assumere un impegno totale e duraturo, sia della necessità di accompagnare il cammino delle coppie e delle famiglie e di sostenere, senza emarginarli, i coniugi in difficoltà o in situazione irregolare. Ne vanno dimenticati: l'attenzione e l'impegno per la scuola e la promozione della cultura; la rivitalizzazione o la creazione e l'animazione di realtà associative; l'opera nascosta, ma preziosissima, svolta in innumerevoli incontri personali illuminando, richiamando, consigliando, sostenendo e incoraggiando.

L'urgenza missionaria si è espressa anche in una evidente e spesso accorata attenzione e preoccupazione per i lontani. Essa era già esplicitamente presente allorché si andava progettando e realizzando la Missione del 1971. Si partiva dalla constatazione, avvalorata da una precisa rilevazione numerica, svolta da alcuni volontari per alcune domeniche successive, che « circa il 45% della popolazione in età responsabile frequenta la messa festiva, con prevalenza degli adulti sui giovani, delle donne sugli uomini, dei lonatesi sugli immigrati ». Che ne era, quindi, dell'altro 55%? Di qui il realistico e "preoccupato" riconoscimento del dato (« dentro la comunità esiste il numeroso gruppo dei lontani »), a cui faceva seguito la lucida indicazione del compito che ne derivava: « la nostra parrocchia ancora oggi deve svolgere il difficile compito dell'evangelizzazione ». Tale preoccupazione ha accompagnato e attraversato il ministero di don Eraldo, che si è industriato per proporre iniziative, momenti, gesti finalizzati a coinvolgere anche gli assenti. A titolo esemplificativo si possono ricordare le celebrazioni svolte in alcuni quartieri del paese nei quali la percentuale di chi era assente dalla vita della comunità ecclesiale appariva più elevata. Ma, ancora più radicalmente, tale preoccupazione per i "lontani" si è espressa nel martellante invito ai "vicini" perché si interrogassero sulle cause di questo fenomeno e, nella misura del necessario, si convertissero, cosi da offrire una testimonianza credibile in grado di attrarre anche chi fosse indifferente e pregiudizialmente contrario: a questo proposito, chi non ricorda il ricorrente e provocatorio accenno di don Eraldo alle "sedie vuote" nelle nostre celebrazioni?

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Marzo 1966, inaugurazione della Biblioteca Popolare Comunale; da sinistra: Giandomenico Oltrona Visconti, il dott. Luigi Tacchi, la maestra Paola Zaro, il sindaco prof. Carlo Soldavini

Marzo 1966, inaugurazione della Biblioteca Popolare Comunale; da sinistra: Gian Domenico Oltrona Visconti, il dott. Luigi Tacchi, la maestra Paola Zaro, il sindaco prof. Carlo Soldavini.

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La lode di Dio

Quella emersa dal Concilio, prima di essere una Chiesa che "fa" qualcosa, è, ancora, una Chiesa che loda Dio, ne riconosce il primato assoluto, sta davanti a lui in silenziosa adorazione e vede nella liturgia, come ha ricordato la "Sacrosanctum Concilium", il culmine verso cui tende la sua azione e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore.

Della preghiera e della sua imprescindibile necessità, don Eraldo ci è stato e ci è testimone e maestro. Egli la vive con intensità e partecipazione, dedicandovi tempo prolungato, immergendola nel silenzio e nel raccoglimento (a volte, soprattutto di domenica, tale raccoglimento era cosi palpabile che, quasi, non si riusciva a parlargli, tanto da far dire bonariamente a qualcuno che "di domenica si chiudeva in ritiro"), preferendola quasi circondata da una soffusa penombra (cosi da suscitare qualche perplessità sulla mancanza di un'adeguata illuminazione anche fuori delle celebrazioni liturgiche nella nostra chiesa, bella ma non molto luminosa), per fissare ancora di più lo sguardo degli occhi e del cuore su Dio che ne è il termine vivente. Alla preghiera personale, familiare e comunitaria non si è stancato di richiamarci: per la preghiera in famiglia ha sostenuto e sollecitato la produzione e distribuzione di sussidi semplici e ben pensati sia per il momento dei pasti sia per i tempi forti dell'Avvento e della Quaresima; per quella comunitaria, raccogliendo un elemento tradizionale nella vita della Chiesa, ha reintrodotto le "veglie" proprie delle feste principali dell'anno liturgico, insistendo perché vedessero una partecipazione sempre più numerosa; affinché le feste cristiane fossero tali, è stato scrupolosamente fedele alla celebrazione dei vespri (tradizione che dopo di lui assai raramente si è ripetuta) e ha voluto che fossero preparate dai "momenti dello Spirito", per i quali suggeriva sì la proposta di una riflessione tematica, ma soprattutto insisteva sulla necessità di viverli come momenti di autentico ritiro spirituale, pur immersi nel vortice della vita quotidiana. Era talmente avvertita in lui l'importanza della preghiera, da invitare tutti e ciascuno a darsi, anche per questo versante, una "regola di vita": a tale proposito diceva di prendere esempio dai diciottenni che così facevano preparandosi alla "Redditio Symboli" e indicava la scansione quotidiana monastica (otto ore per la preghiera; otto per il lavoro; otto per il riposo).

Quando venne a Lonate, la riforma liturgica era iniziata da poco (molti ricordano la prima Messa in lingua italiana nella prima domenica di Quaresima del 1965), e don Eraldo si inserì in questo flusso che stava invadendo e trasformando la vita delle comunità ecclesiali. Convinto che « la comunità parrocchiale ha origine dall'Eucaristia e dalla Parola di Dio», educò più volte e ripetutamente ragazzi, giovani, adulti e anziani a rimettere l'Eucaristia al centro della propria esistenza e a viverla "attivamente" nel momento celebrativo e "fattivamente" nelle vicende quotidiane della storia personale, familiare e sociale. Secondo tale prospettiva crediamo si possano interpretare alcune scelte, quali, ad esempio: la ricorrente insistenza sul "Giorno del Signore", fino a dedicarvi un intero anno pastorale; la decisione, presa fin dai primi anni, di non confessare durante le messe domenicali e festive; la valorizzazione del triduo pasquale e, in esso, non solo della Veglia pasquale ma anche della Messa "nella Cena del Signore" (ritornata ad essere unica per tutti, ragazzi, adolescenti, giovani, adulti e anziani, dopo un breve periodo nel quale per i ragazzi veniva celebrata nel pomeriggio); la concelebrazione di un'unica Eucaristia in alcune circostanze significative della vita della comunità parrocchiale (come all'inizio delle Quarant'Ore), e cosi via.

In particolare, lungo tutti gli anni del suo ministero di parroco, fu accompagnato dalla preoccupazione di promuovere una reale partecipazione di tutti i fedeli all'azione liturgica. In questa linea non si può non ricordare come, fin dai primi mesi, abbia messo a disposizione dei fedeli appositi sussidi e abbia pure continuato a farlo negli anni successivi, anche "riciclandone" alcuni fin quasi all'esaurimento, e come abbia ultimamente insistito sull'invito a venire a Messa con gli "strumenti" necessari (dal messalino, agli occhiali per chi ne ha bisogno). Nella stessa prospettiva si è pure adoperato, ad esempio, perché nelle celebrazioni pubbliche della fede, come le processioni, i fedeli non fossero solo accompagnati dalle note della banda musicale, ma potessero ascoltare, pregare e cantare insieme, aiutati anche da sistemi di amplificazione, introdotti quando ancora pochissimi lo avevano fatto. Anche per questi aspetti dal sapore innovativo, come per altri più sostanziali già ricordati o che emergeranno, ci furono anni in cui la nostra parrocchia veniva qualificata da taluni come "parrocchia pilota"; né mancarono, anche negli anni seguenti, apprezzamenti positivi espressi pure da persone autorevoli della diocesi sulla vita della comunità parrocchiale lonatese e sull'azione dei suoi sacerdoti.

Egli ha pure creduto nella forza educativa ed evangelizzante della liturgia stessa: non ha certo mancato di illustrarne il senso e il valore e di aiutare a cogliere la ricchezza dei testi e dei singoli riti, ma ne ha anche curato e fatto curare le modalità celebrative, convinto che i testi e i riti sanno essere eloquenti per se stessi.

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Don Eraldo celebra il matrimonio dei genitori dell'autore di questo sito, Enrica Soldavini e Aldo Boschetto

Don Eraldo celebra il matrimonio dei genitori dell'autore di questo sito, Enrica Soldavini e Aldo Boschetto, l'8 luglio 1968.

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L'inserimento nella storia

Come ha detto ancora il Concilio, in apertura della "Gaudium et spes", delineando la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo: « Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi e di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ».

Questo atteggiamento, fatto proprio da don Eraldo, lo ha reso attento alle antiche e alle nuove forme di povertà, oltre che alle emergenze sociali che andavano via via presentandosi: dagli ammalati, agli anziani, agli indigenti, agli immigrati, agli extracomunitari, ai problemi dei lavoratori. Per ciascuna di queste realtà ha saputo impegnarsi personalmente con la sua presenza, il suo aiuto, il suo intervento educativo e propositivo anche a livello comunitario e pubblico. Ma si è pure adoperato, promuovendole o sollecitandole appositamente, o sostenendo quelle nate dalla libera iniziativa di altri, perché, in parrocchia e sul territorio, esistessero e operassero strutture, aggregazioni e persone volontarie che, debitamente motivate e formate, fossero attente e disponibili a vivere tale servizio secondo un'ottica di genuina dedizione e carità. Con prontezza e concretezza, su suo suggerimento o con il suo sostegno, la parrocchia si è generosamente mobilitata di fronte ad alcune calamità, a drammatiche evenienze, o anche a bisogni cronici a livello internazionale (paesi dell'Africa; luoghi di presenza dei nostri missionari; Polonia; Albania; ex Jugoslavia...), italiano (le alluvioni a Mosso Santa Maria, a Firenze, ad Alessandria; i terremoti nel Friuli e in Irpinia...) e locale (in particolare dopo l'incendio scoppiato in Filanda). Di fronte alle crisi che più volte hanno attraversato il mondo del lavoro, in stretta sintonia con le linee concordate anche a livello decanale, da alcuni criticato e male interpretato, ha alzato la sua voce stigmatizzando alcuni comportamenti e, soprattutto, invitando ogni parte interessata e l'intera comunità cristiana alla solidarietà fattiva: non si può negare che fossero prese di posizione caratterizzate da forte "profezia" e "denuncia", comunque animate da profonda passione per l'uomo e la giustizia.

Mosso e animato da questa profonda "simpatia" con ogni uomo che soffre, ha educato ad un uso corretto dei beni. Un uso che si traduce in uno stile di sobrietà, distacco e povertà, da lui stesso praticato, e che, pur presupponendo la legittimità del possesso dei beni, subordina tale diritto alla loro destinazione universale e alla loro conseguente funzione sociale. « La terra è di Dio! La terra è di tutti! »: sono affermazioni che in alcuni anni sono risuonate alte e pungenti nella sua predicazione. Essa non si e mai stancata, con interventi che richiamavano, non solo nei contenuti ma a volte anche nei toni, le "invettive" di alcuni grandi Padri della Chiesa, di mettere in guardia dall'accumulo delle ricchezze e dal pericolo del consumismo: a questi temi, tra l'altro, aveva voluto fossero dedicati alcuni "Momenti dello Spirito". È questa anche la prospettiva con cui don Eraldo ha vissuto il rapporto con il denaro. Forse non si e lontani dal vero se si pensa che, pur riconoscendone il valore e il bisogno nella nostra storia, non riusciva a "stimarne" fino in fondo la portata. Non certo per avarizia o insensibilità, ma piuttosto per questi motivi più fondamentali, le somme che servivano per alcune iniziative gli potevano sembrare sempre "troppo alte" e da non sottrarre all'urgenza della carità. Anche per questo difficilmente "chiedeva", a meno che fosse appunto in gioco l'urgenza della carità: egli, infatti, sapeva che ogni « flusso di carità che alla Chiesa arriva, da essa altrettanto copiosamente deve diffondersi per trasformarsi in insegnamento, in assistenza, in soccorso, in organizzazioni, dando vita ad ogni possibile e provvidenziale forma di carità spirituale e materiale » e ammetteva candidamente: « provo tanta vergogna e tanta difficoltà quando devo chiedere soldi o debbo riceverli per un servizio sacro reso o devo spenderli ». In ogni caso, quando doveva tendere la mano anche educando i fedeli al dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa, voleva lasciare "liberi": si può vedere in questa linea, ad esempio, la decisione presa fin dai primi anni, di non ritirare l'offerta da parte dei sacerdoti durante le benedizioni natalizie, invitando piuttosto ciascuno a portare personalmente in chiesa quando riteneva di dare.

Vivendo la sua missione nel mondo, la Chiesa è chiamata anche a confrontarsi con la realtà politica. Trattando di essa e facendo tesoro della riflessione precedente, il Concilio ha sottolineato l'importanza della politica e la necessità dell'impegno sociopolitico da parte dei cristiani e ha affermato la distinzione tra fede e scelte politiche, richiamando nello stesso tempo alla coerenza con i valori e i contenuti dell'ispirazione cristiana. Guidato da questi insegnamenti e convinto della necessità di distinguere tra l'errore e l'errante, fattosi paladino della fine di ogni forma di collateralismo, don Eraldo, non senza suscitare perplessità in alcuni strati dell'opinione pubblica, ha vissuto un atteggiamento di rispetto e di dialogo anche con chi aveva fatto scelte diverse da quelle di ispirazione cristiana, ha scrupolosamente evitato di intromettersi nelle vicende partitiche, ma nello stesso tempo e stato ostinatamente geloso della sua libertà e del suo dovere di richiamare tutti e ciascuno alla coerenza tra la fede e le opzioni concrete. In questa linea, non ha tralasciato di mettere in guardia i fedeli da possibili scelte scorrette, ha osato richiamare con forza i cristiani impegnati in politica quando ne ha visto le scorrettezze anche a livello di onestà, trasparenza e stile, ma (soprattutto) ha promosso e sostenuto ogni proposta formativa in campo sociale e politico.

Alla luce dell'insegnamento conciliare (ripreso e riaffermato anche nella revisione del Concordato), il criterio fondamentale che deve guidare il rapporto con le istituzioni e quello della "sana collaborazione" per il bene comune, nella consapevolezza che la Chiesa e la comunità civile, indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo, anche se a titolo diverso, sono tutte e due a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. La tenace fedeltà a tale criterio può spiegare sia la ricerca costante del dialogo con le diverse forze sociali e con la stessa amministrazione comunale nell'affrontare i problemi concreti della gente, anche mediante incontri pubblici come le "assemblee civili", promossi anche quando da alcuni si esprimevano dubbi e perplessità, sia le modalità concrete con cui don Eraldo ha vissuto i rapporti con l'autorità civile, nonostante i profondi cambiamenti socioculturali intervenuti durante gli anni del suo apostolato. Emerge anche da questo l'atteggiamento del pastore che, pur di mirare all'essenziale e al bene del gregge affidatogli, non va certo "contro" le forme, ma non teme di essere "al di sopra" di esse.

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Il cristocentrismo

Sarebbe, tuttavia, falso e mortificante leggere il Concilio solo secondo la pure importantissima e fondamentale ottica ecclesiologica fin qui delineata. Il Concilio, infatti, lungi dal cadere in uno scorretto ecclesiocentrismo, come ha espressamente sostenuto Paolo VI, e da vedere in una chiave essenzialmente religiosa, nella convinzione che è proprio la dimensione religiosa, ovvero quella riguardante il rapporto diretto col Dio vivente, a costituire la ragion d'essere della Chiesa, di quanto essa crede, spera e ama e di quanto essa è e fa. In questo senso, il Vaticano II è stato un richiamo forte ed essenziale a riscoprire il primato di Dio e la centralità di Gesù Cristo. Ed e ciò che ha fatto costantemente anche don Eraldo lungo tutti questi anni. Di tutta la sua azione pastorale si può affermare quanto Paolo VI ha detto del Concilio, ossia che essa tutta « si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente ed amichevole invito all'umanità d'oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio "dal quale allontanarsi e cadere, al quale rivolgersi e risorgere, nel quale rimanere e stare saldi, al quale ritornare e rinascere, nel quale abitare e vivere" ». Fin dagli anni della giovinezza in seminario, come a volte ha confidato, grazie anche ad alcune letture fatte allora, don Eraldo è stato affascinato dalla figura e dalla persona di Gesù; da lui si è lasciato sedurre; di lui si è innamorato; a lui ha dato tutta la sua vita con profonda letizia e senza pentimenti (chi non ricorda, a questo riguardo, le volte in cui ci ha detto, lui cosi schivo nel manifestare i suoi sentimenti, la sua gioia di essere prete?); lui ci ha costantemente presentato come persona vivente e amica, come colui che ci è necessario, come il dono più grande del Padre (e in questo orizzonte che si possono leggere anche alcuni temi ricorrenti nella sua predicazione: l'essere figli di Dio, eredi con Gesù del paradiso; il grande valore del battesimo; la coscienza di essere salvati dalla grazia e, quindi, la consapevolezza del nostro essere peccatori); a lui ha voluto indirizzare ogni persona, soffrendo quando vedeva l'instaurarsi di rapporti educativi che legavano troppo all'educatore invece di essere preoccupati di "legare" a Gesù.

Di questo suo amore a Gesù e della sua ansia di farcelo conoscere, incontrare e amare sono testimonianza visibile anche i numerosi quadri del volto di Cristo che ricoprivano letteralmente ogni angolo della sua casa e che ha voluto esporre anche in chiesa accanto ai confessionali. Anche per questo, alla fine del suo apostolato, i parrocchiani gli hanno regalato una icona di Cristo Pantocrator e maestro, perché, come era scritto nella pergamena che accompagnava il dono, « quando il suo sguardo si incrocerà con quello di Gesù, raffigurato in questa icona, continui a ricordarci e a pregare perché, come ci ha insegnato con evangelica insistenza, sappiamo riconoscere e vivere nella nostra esistenza la centralità, necessità e signoria di Cristo ».

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In udienza da Paolo VI nel 1973, con don Antonio Bosisio, in occasione del 25° di ordinazione sacerdotale

In udienza da Paolo VI nel 1973, con don Antonio Bosisio, in occasione del 25° di ordinazione sacerdotale.

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IL DISCERNIMENTO DEI "SEGNI DEI TEMPI"

Quella che stiamo considerando è stata un'epoca caratterizzata da tanti mutamenti, che abbiamo vissuto da attori o di cui siamo stati spettatori. Si è trattato di trasformazioni radicali (taluni le hanno definite "epocali") a livello sia ecclesiale sia civile, dagli influssi e dalle ripercussioni anche a livello locale. II Concilio Vaticano II, grazie al soffio dello Spirito santo, ha messo le basi di una nuova primavera della Chiesa: senza segnare una rottura con il passato, ha saputo valorizzare il patrimonio dell'intera tradizione ecclesiale per orientare i fedeli nella risposta alle sfide della nostra epoca. La contestazione, soprattutto giovanile, sul finire degli anni '60, pur affondando le sue radici in realtà obiettivamente problematiche, ha portato non pochi ad un generate disorientamento e ha scardinato non pochi valori a livello personale, familiare, sociale, ecclesiale. Il crescente fenomeno della secolarizzazione e della scristianizzazione, manifestatosi, a livello civile, anche in alcune precise scelte popolari e "referendarie", ha fatto scoppiare quella drammatica frattura tra la fede, la mentalità diffusa, le impostazioni teoriche e il vissuto quotidiano, che caratterizza la nostra cultura contemporanea. Le ricorrenti crisi occupazionali a livello interno, come quelle economico-sociali a livello internazionale (fino al riesplodere di non pochi conflitti), hanno fatto emergere urgentemente il problema della giustizia, dello sviluppo, della solidarietà, della pace. Il superamento dei blocchi con i grandi avvenimenti europei del 1989 ha portato sì ad una inedita esplosione della libertà, ma ha pure dato la stura a non poche contrapposizioni latenti ed ha accelerato quel processo di ripensamento globale della convivenza civile, interna e internazionale, in cui siamo ancora faticosamente immersi. Da noi, la fine dell'unità politica dei cattolici sta lasciando diverse persone nello smarrimento e sta obbligando alla ricerca di nuove vie di presenza dei cattolici nella società a servizio del bene comune.

Tutti questi fenomeni, ed altri ancora che si potrebbero menzionare, nell'ottica della fede possono e debbono essere visti come "segni dei tempi", ovvero come realtà da interpretare e da cui lasciarsi utilmente provocare. Tutto ciò a partire dalla lucida consapevolezza che Dio, attraverso il suo Spirito, sta ancora guidando la storia e sta ancora parlando alla sua Chiesa, per condurla sempre più genuinamente alla sequela e alla imitazione di Gesù. Questa parola, appunto, si esprime anche nei "fatti della storia", soprattutto se essi non sono puri e semplici "fatti di cronaca" episodici e passeggeri, ma, pur manifestandosi a volte in singoli fatti di cronaca, appaiono come "risultato" di alcune tendenze in atto o come "indice" e preannuncio di cambiamenti più generali e incisivi.

Con la Chiesa intera, così li ha considerati e vissuti anche don Eraldo: come fenomeni da interpretare alla luce della fede, per andare alla ricerca delle vie pastorali più adeguate. Ne è nata, innanzitutto, la fatica del discernimento. È stata una fatica personale, che ha comportato attenzione al reale, letture, studio, confronti: ricordo, a tale proposito, il desiderio di capire e la voglia di interrogarsi che affioravano in alcuni momenti e in alcuni dialoghi. Ma tale discernimento auspicava che diventasse anche comunitario. Ad esso voleva educare e di esso voleva proporre qualche modello. In questa ottica, non si possono dimenticare le molte pagine de "La Nona Campana" di quegli anni, nelle quali, a volte sotto forma di risposta alle "lettere in redazione", venivano proposte riflessioni che desiderava (impresa spesso ardua!) precise, sintetiche, comprensibili, sui grandi temi dibattuti ai diversi livelli (dal divorzio, all'aborto, al rapporto dei cristiani con il marxismo, alla grande Malpensa...) e sui più significativi fatti di cronaca (come la nube di Seveso, le varie tornate elettorali, le cose più rivelanti capitate nel mese ...). A quest'ultimo proposito, aveva anche promosso una rubrica, "Parola di Dio e fatti di cronaca". Per favorire questo stesso discernimento comunitario talora ha promosso alcuni momenti di incontro, che desiderava fossero pure di confronto e di dialogo, invitando anche dei competenti che aiutassero a interpretare e a riflettere.

Il discernimento, però, non doveva essere fine a se stesso. Si trattava di "ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese" per trovare le strade da percorrere e sulle quali cominciare ad "avventurarsi" con prudenza, intelligenza e coraggio. Di qui il bisogno, avvertito nitidamente, di un rinnovamento pastorale. Esso nasceva dall'attenzione ai cambiamenti a cui si e fatto cenno: un'attenzione che, localmente, si faceva anche molto concreta, ad esempio, con talune "notizie di casa nostra", e si sposava felicemente con la predisposizione, abbastanza manifesta in don Eraldo, a proporre iniziative e percorsi nuovi (ai più impegnati e ai più diretti collaboratori, a volte, egli appariva come un "vulcano in attività", tante erano le idee, a volte solo intuite e inizialmente accennate, che metteva sul tappeto). In ogni caso, non si trattava di rincorrere la novità per se stessa, anche se così ad alcuni poteva forse sembrare; si trattava, piuttosto, di provocare, di non cadere nel rischio e nella tentazione di "sedersi", di superare una pastorale di pura conservazione: e tutto per vivere con maggiore fedeltà il Vangelo assumendosi le proprie responsabilità nella storia. Ne sono sgorgate le scelte innovative a cui, si è già fatto cenno, come pure alcune iniziative o scelte che sono andate man mano acquisendo una loro stabilità, come la promozione di pellegrinaggi che, diversamente da prima, negli ultimi anni avevano preso un ritmo fors'anche un po' vorticoso; la costruzione, l'allargamento, l'abbellimento della chiesa del Moncucco, nel cui quartiere aveva iniziato la celebrazione della Messa festiva il 18 aprile 1971 (non era questo un modo per venire incontro alle esigenze connesse con i cambiamenti urbanistici?); la sollecitazione perché si costruisse e si aprisse il Centro Anziani e la passione con cui ne ha seguito i primi passi e le successive complesse vicende (non si tratta, appunto, di una intelligente risposta al dato innegabile del più diffuso allungamento della vita?).

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Estate 1974: con i "lupetti" al campo scout di Ceresole Reale (TO)

Estate 1974: con i "lupetti" al campo scout di Ceresole Reale (TO).
La ragazza all'estrema destra della foto è la sig.na Romana Ferrario

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Contrariamente ad ogni apparenza, una così marcata apertura al nuovo non ha affatto significato la rinuncia a un cammino "ordinario", nella convinzione che ogni novità e ogni momento straordinario debba servire a dare vita e freschezza a un cammino che sia in grado di esprimere un "habitus" acquisito, ovvero un'abitudine non stanca e ripetitiva, ma capace, con la sua necessaria vivacità, di esprimere una mentalità e un insieme di gesti e di scelte diventate come spontanee e "connaturali". A ben guardare, nei suoi decenni di vita pastorale non sono pochi i "punti fermi" consegnati alla storia e al cammino successivo. Sono, innanzitutto e soprattutto, quelli attinenti alle scelte e agli orientamenti pastorali più fondamentali sopra ricordati: il primato della Parola, la comunione e la partecipazione, l'evangelizzazione e la catechesi, la preghiera, la liturgia, il Giorno del Signore, la responsabilità e la passione per la storia, la centralità di Gesù Cristo... che fanno riferimento ai Concilio e al "sentire con la Chiesa". Ma vi sono anche altri elementi, che qui ricordiamo solo a titolo esemplificativo:

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LO STILE DEL CAMMINO

Lo stile del cammino pastorale svolto tra noi e con noi da don Eraldo è stato, in primo luogo, caratterizzato da profonda umanità. A taluni don Eraldo può essere sembrato molto riservato e, a volte, anche un po' "chiuso"; in qualcuno la sua figura ha anche potuto incutere qualche atteggiamento di "soggezione". Certo "riservatezza" e "signorilità" ci pare siano stati alcuni tratti obiettivi del suo temperamento. Ma, a ben guardare, non si è lontani dal vero se si afferma che, pur con difficoltà e con momenti meno felici, il suo cammino pastorale è stato animato da grande passione per la gente e da una spiccata sensibilità umana. Ha voluto incontrare e "stare con" la gente: finché la salute glielo ha permesso, ha letteralmente "seminato chilometri" per le vie del paese, e questo è stato un mezzo molto semplice e concreto per instaurare un rapporto fatto di uno sguardo, di un saluto, di una parola, di una sosta; quando la salute glielo ha reso più difficile, non senza qualche sofferenza interiore (perché lo spaventava la prospettiva di dover fare il parroco "a tavolino", senza un contatto diretto e costante con la gente), è stato disponibile ad accogliere, ad incontrare, ad ascoltare, a capire, a consigliare, a farsi carico. Non si deve neppure dimenticare la capacità di affetto, di riconoscenza e di amicizia: sono sentimenti difficilmente espressi a parole, proprio per la sua innata riservatezza; ma all'occorrenza sapeva trovare quel gesto o esprimere quell'attenzione che, più di ogni parola, sapevano "dire" ciò che provava. Tutti abbiamo potuto "vedere" questa sua sensibilità alla morte dei suoi genitori, allorché non concelebrò la Messa durante i funerali perché sapeva che, pur sostenuto dalla consolazione della fede, non sarebbe "riuscito a non piangere". Su questi legami di affetto ci ha poi aperto il suo cuore in alcune occasioni: era un segno di quando sapesse "condividere" con gli altri. Non sono pochi anche coloro che potrebbero ricordare con gioia momenti di sana e cordiale fraternità, in grado di far percepire tratti della sua personalità anche diversi da quelli più usuali e più noti.

Un altro aspetto evidente è il rispetto di ogni persona, accompagnato dalla fiducia che riponeva in tutti e in ciascuno. Nella sua azione pastorale è stato custode geloso della libertà di ciascuno; a ciascuno guardava sapendo che la verità del suo essere risiedeva in Gesù e, per questo, sapeva insieme riconoscere l'azione che la grazia andava compiendo in lui e il cammino che rimaneva ancora da fare per dare piena realizzazione alla sua libertà. In nome di tale atteggiamento il suo servizio pastorale si è svolto secondo uno stile di continuo dialogo, rifuggendo il più possibile dal prendere posizioni e decisioni autoritarie. Non c'è dubbio che si tratta di uno stile che può comportare anche dei rischi, che esige la pazienza del seminatore e, per questo, risulta "vincente" solo su tempi lunghi o medio-lunghi; è, però, uno stile che "invita a crescere" e valorizza ogni seme di bene. Questa predisposizione positiva nei confronti di ciascuno, tuttavia, in don Eraldo si offuscava quando nell'altro vedeva o intuiva atteggiamenti o comportamenti segnati da profonda "doppiezza": allora, pur senza rinunciare a cercare una via che aiutasse la persona a ravvedersi, subentrava in lui una sorta di ferma e sofferta "indignazione".

Inoltre, ci piace sottolineare la popolarità del suo servizio pastorale. Lungi da ogni elitarismo, la sua proposta volle sempre essere "popolare", attenta cioè al cammino di ciascuno e, nello stesso tempo, capace di far camminare e di far crescere un popolo intero; lungi da ogni intellettualismo, fu sempre attenta alla "globalità" della persona, fatta si di intelligenza, ma anche di volontà, sentimento, corporeità e cosi via. In questa luce si deve sottolineare lo spazio riservato all'espressività e, quindi, a "segni" e a "gesti" che fossero alla portata di tutti e che tutti, dai bambini agli anziani, potessero cogliere nel loro significato. Pensiamo, ad esempio, alle scritte, ai cartelli e alle raffigurazioni che di tanto in tanto facevano mostra di sé in chiesa parrocchiale, come alcune rappresentazioni figurative del mistero natalizio che, soprattutto nei primi anni, venivano letteralmente "impiantate" (visto che si trattava di strutture alte non pochi metri) sulla piazza della chiesa, cui subentrò poi il più tradizionale presepio allestito sempre con finezza e buon gusto da alcuni generosi e appassionati volontari; pensiamo ad alcune attenzioni che chiameremmo "scenografiche", comprese quelle lunghe tavolate che occupavano tutta la chiesa, ad esempio in occasione delle Prime Comunioni. Si può leggere in questa prospettiva anche la "bellezza" delle celebrazioni liturgiche, ottenuta grazie alla dedizione e all'impegno di molti: a tale bellezza don Eraldo teneva sempre, tanto da dire in alcune occasioni che esse non avevano nulla da invidiare a quelle che si svolgono nel duomo di Milano. Pensiamo alla scelta di vivere alcuni momenti particolarmente significativi della vita della comunità cristiana (processioni; festa parrocchiale di settembre con gli ammalati; riflessioni nel mese di maggio...) in luoghi emblematici della parrocchia (la Filanda, il Moncucco, il Centro anziani, alcuni cortili....).

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Foto scattata nel 1979, in occasione del 50° della costituzione del Gruppo Alpini di Lonate Pozzolo; da sinistra: Magg. Giacomo Bottini, Cesare Barzaghi, Ugo Ferrario, ing. Antonio Bottarini

Foto scattata nel 1979, in occasione del 50° della costituzione del Gruppo Alpini di Lonate Pozzolo; da sinistra: Magg. Giacomo Bottini, Cesare Barzaghi, Ugo Ferrario, ing. Antonio Bottarini.

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IL RINNOVAMENTO DELLA LITURGIA

Per quanto riguarda la liturgia, don Eraldo manifestò fin da subito una sensibilità e una attenzione profonde, determinate anche dal fatto che, avendo iniziato il ministero a Lonate sul finire del Concilio Vaticano II, dovette affrontare le sfide e le difficoltà legate al rinnovamento liturgico.

Una prima grande questione di cui si fece carico fu quella dei lettori. La partecipazione dei laici a questo ministero rappresentava, per quell'epoca, una vera rivoluzione; era perciò necessario utilizzare una grande delicatezza per educare la gente a questo cambiamento senza urtarne la sensibilità. I lettori, inizialmente, erano pochi e timorosi, sia per la difficoltà di leggere davanti all'assemblea, sia per il timore nell'attendere a un compito sino ad allora demandato ai soli presbiteri. Per venire in aiuto in tale situazione, don Eraldo si adoperò anzitutto per organizzare dei corsi di dizione con insegnanti qualificati e, consapevole dell'importanza e della ricchezza della Parola di Dio, li invitò settimanalmente a un incontro di preghiera e di approfondimento delle letture della domenica successiva, cui egli stesso prendeva parte. A coloro che svolgevano il servizio di lettori chiese anche una "dignità esteriore", nell'abito ad esempio, che doveva nascere proprio dall'aver compreso e interiorizzato ciò che si andava a proclamare agli altri.

Ad orientare le scelte e le decisioni di don Eraldo, in questo caso come poi in tutti gli altri ambiti della liturgia, fu la preoccupazione che tutto il popolo di Dio riunito nelle celebrazioni potesse parteciparvi in maniera consapevole e riconoscere in esse dei luoghi privilegiati per fare esperienza di Dio.

Per questa ragione non esitò a sperimentare nuove forme liturgiche che potessero avvicinare maggiormente i fedeli alla comprensione dei misteri celebrati, anticipando spesso scelte successivamente condivise nella diocesi. Ne è un esempio la convinzione che la Liturgia delle ore dovesse essere valorizzata non solo come preghiera del sacerdote ma della Chiesa tutta; tale convinzione lo portò a stampare e a utilizzare i libretti dei Vespri in italiano, ancor prima che la Chiesa milanese facesse ufficialmente questa scelta.

Ma si pensi anche alle prime celebrazioni eucaristiche all'aperto; all'esperimento della "Messa beat" negli anni settanta; alle "Messe sperimentali" in preparazione alle Prime Comunioni durante le quali poi, a volte, i ragazzi furono collocati intorno alla mensa; alla sottolineatura del ministero degli sposi net rito del matrimonio invitandoli sull'altare; all'introduzione della celebrazione comunitaria dell'Unzione dei malati, poi sostenuta anche dal cardinale Martini.

Certamente molte di queste intuizioni "profetiche" gli derivarono dall'esperienza e dalle amicizie del seminario (in particolare con il cardinale Colombo, per il quale nutrì sempre grande stima e ammirazione); ma egli ebbe indubbiamente il merito di perseguirle con determinazione e coraggio. Seppe anche riconoscere gli errori che si commettono a volte nella sperimentazione, ma non evitò il rischio di sbagliare e di esporsi alla critica pur di fare qualcosa per avvicinare al Signore il popolo a lui affidato.

Questa tensione fu chiara, ad esempio, anche nel modo in cui don Eraldo si pose rispetto alla questione delle processioni, riconosciute come occasione di vicinanza e di incontro con tutta la comunità e specialmente con le persone più lontane. Ne segui la scelta concreta di percorsi diversi, attraverso i quali andare a toccare e a incontrare tutte le realtà presenti sul territorio della parrocchia.

Ma lo stesso desiderio di prossimità fu evidente anche nella tempestività e nell'entusiasmo con cui egli accolse l'invito della diocesi ad istituire ministri straordinari della Comunione eucaristica che portassero il Corpo di Cristo agli ammalati, così che anch'essi potessero sentirsi uniti alla comunità nel Giorno del Signore.

Non si può dimenticare, infine, che l'accuratezza e la bellezza della liturgia furono per don Eraldo anche grande occasione di godimento spirituale e segno della presenza di Dio, che egli desiderò sempre condividere con il suo popolo.

Per questo ritenne sempre di grande importanza un'adeguata sussidiazione delle celebrazioni, che consentisse ai fedeli di partecipare coralmente: oltre ai già citati libretti per la Liturgia delle Ore, introdusse i libretti per i canti, per il rito del matrimonio, per la Messa dei Ragazzi e, infine, i messalini.

Per la buona riuscita delle celebrazioni riconobbe al canto, soprattutto al canto corale e popolare, una grande importanza, tanto che in alcune occasioni chiese ai cantori di distribuirsi in vari punti dell'assemblea per animarne la partecipazione. Per questa stessa ragione, fu anche promotore della suddivisione dei diversi ministeri fra i laici durante le celebrazioni, affinché ciascuno, in quanto membro di un popolo di consacrati, potesse parteciparvi con i propri doni: lettori, commentatori, chierichetti, cantori, ministri straordinari della Comunione eucaristica, ma anche persone che, più semplicemente, raccogliessero le offerte e provvedessero alla presentazione dei doni.

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Benedizione dei malati in piazza Sant'Ambrogio nel 1981

Benedizione dei malati in piazza Sant'Ambrogio nel 1981.

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L'IMPEGNO EDUCATIVO

Si può dire che l'impegno educativo di don Eraldo sia stato centrale quanto è stata centrale in lui la consapevolezza dell'importanza della Parola di Dio. Da essa ha origine e ad essa viene ricondotto ogni sforzo educativo: il far conoscere e il far incontrare Gesù ha, quindi, la sua origine e il suo centro nella Parola di Dio.

L'azione educativa, perciò, non è solo insegnamento della dottrina cristiana, ma cammino alla ricerca e all'incontro con Cristo: e questo cammino non può prescindere dalla conoscenza della Parola di Dio.

Fin dall'inizio del suo ministero, la proposta formativa, soprattutto per i più piccoli, ha avuto una dimensione "familiare", non solo per l'insistenza sulla responsabilità dei genitori nell'educazione alla fede, ma anche perché di fatto la catechesi è stata riorganizzata nella prospettiva della "famiglia", con l'inserimento di mamme catechiste e con la catechesi spesso effettuata nella casa delle catechiste stesse (la madre dell'autore di questo sito ha tenuto catechesi in casa sua per vari anni ai ragazzi delle scuole elementari); per un certo periodo di tempo, addirittura, cercò di far gestire la catechesi direttamente da una coppia di sposi.

Parallelamente alla catechesi parrocchiale, c'è stata un'attenzione costante all'educazione religiosa all'interno della scuola; di qui l'impegno diretto di insegnamento sia nella scuola elementare, quando era ancora il sacerdote ad entrare nelle classi, sia nelle medie inferiori; e il sostegno della presenza del sacerdote nella scuola media, non solo come insegnante, ma anche come persona capace di comprendere gli indirizzi educativi della scuola stessa, per cercare di orientarli secondo la prospettiva dei valori evangelici.

In questa prospettiva è pure da vedere la decisione di iniziare un gruppo di "Amici della scuola", quale sostegno ad una presenza di cristiani nella realtà scolastica.

La stessa Scuola Materna Parrocchiale è stata voluta non solo per una necessità sociale, ma anche come realtà capace di offrire un contributo educativo particolare fin dai primi anni della vita di un bambino, affiancandosi e sostenendo l'opera educativa dei genitori, e offrendo loro occasioni e stimoli per una organica riflessione sui valori umani e cristiani in gioco nella proposta educativa.

Segno evidente della scelta "educativa" di don Eraldo, è stata la realizzazione dell'Oratorio Maschile, a cui è seguita, in un secondo momento, la ristrutturazione dell'Oratorio Femminile.

Dai suoi interventi di quei tempi raccogliamo alcune convinzioni costantemente presenti in lui. Il nuovo oratorio doveva essere « un oratorio moderno, per la gioventù moderna, perché ragazzi e giovani possano trovarsi bene ». Doveva servire alla « educazione religiosa regolare, sistematica, interessante », e alla « formazione umana e religiosa della gioventù ».

In altra occasione disse: « Senza la frequenza all'oratorio riesce generalmente impossibile una vera educazione cristiana ». L'intenzione era che fosse anche un ambiente aperto e familiare; proprio per questo, quasi tutte le famiglie di Lonate avevano contribuito alla sua realizzazione. Per loro, e per don Antonio Tagliabue, don Eraldo ha un ricordo riconoscente. Nel maggio 1967 scriveva: «Finora il totale dei versamenti e degli impegni e stato di £. 103.000.000, e si aspettano altre offerte. Sono cifre che indicano che Lonate vuole un oratorio moderno e funzionale per tutti i suoi figli. L'impegno è molto, la somma finale sarà elevata. Ma dopo la dimostrazione di generosità data dal nostro paese, nessun dubbio e più lecito ».

Poco dopo, nel mese di giugno del 1967, si esprimeva cosi: « Il nuovo oratorio, segno di riconoscenza a don Antonio Tagliabue, che non solo sognò l'oratorio nuovo, ma pure lasciò in eredità una grossa somma che, unita alla vostra, ci permette di affrontare con ragionevole serenità l'impresa, veramente gigantesca ». Prima la realizzazione dell'Oratorio Maschile e poi la ristrutturazione dell'Oratorio Femminile stanno ad indicare la scelta di una impostazione educativa ispirata ai criteri diocesani della "collaborazione nella distinzione"; scelta educativa che doveva essere "globale", capace cioè di coinvolgere i ragazzi in tutta la loro personalità, facendoli esprimere secondo le loro doti e le loro capacità anche nel gioco, nella vita di gruppo, nella loro apertura e disponibilità ai fratelli.

Sempre, comunque, don Eraldo parlò di "oratorio", sottolineando lo scopo di "formazione" della gioventù per cui tale struttura era stata voluta.

A garanzia della bontà di questa scelta, arrivava anche il discorso del cardinal Giovanni Colombo nel giorno dell'inaugurazione dell'Oratorio. Eccone solo una battuta: « Non c'è denaro meglio speso di quello che viene investito per la formazione dei nostri giovani. Siete perciò provvidi e lungimiranti: l'Oratorio e una scuola di educazione integrale che, oggi, deve essere affiancata a quella della scuola e sostenuta da quella della famiglia ».

Anche il Gruppo Scout, da lui direttamente voluto, doveva essere un luogo privilegiato per una "esperienza di fede". Nacque nel 1969, in un contesto ecclesiale di grandi rivolgimenti e, anche, di grandi difficoltà. Soprattutto i giovani erano stati presi dal fenomeno della "contestazione", che non risparmiò neppure i nostri ambienti ecclesiali. Lo scoutismo era un'esperienza nuova e originale, che avrebbe potuto aiutare a superare quel momento estremamente critico. Lo spirito dello scoutismo e il metodo seguito costituivano una grande risorsa educativa, oltre che una risposta possibile alle grandi domande di rinnovamento che si levavano con sincerità, oltre che con forza, da molti giovani lonatesi. In quegli anni si vide don Eraldo impegnarsi direttamente nelle attività scout, vestendo la divisa, ricoprendo con generosità e anche con gioia la sua carica di guida saggia, partecipando in prima persona anche ai vari campi che venivano organizzati.

Quanto al Gruppo Chierichetti, per i molti ragazzi che si sono avvicinati a questa esperienza don Eraldo ebbe sempre un'attenzione particolare, fino a condividere momenti di vacanza insieme con loro. Ad esso diede un'impostazione di carattere vocazionale, nel senso che doveva essere un aiuto a far emergere le qualità di ciascun ragazzo per una risposta di fede al progetto di Dio sulla propria vita. Non solo, quindi, un gruppo per il "servizio" alla comunità nella liturgia, ma un gruppo dalle valenze profondamente educative, in una prospettiva di attenzione al singolo ragazzo e ai suoi talenti.

L'esigenza di formazione emergeva, comunque, da ogni iniziativa e da ogni proposta: ogni azione pastorale doveva essere preceduta da un cammino di riflessione per comprendere il problema che si voleva affrontare (da qui i "cicli" di incontri formativi, ad esempio, sulla liturgia, o sull'impegno sociale e politico, o sull'impegno caritativo...); allo stesso modo, ogni gruppo parrocchiale, anche di tipo operativo, doveva avere il suo necessario spazio di "formazione" spirituale, oltre che specifico in riferimento alle proprie competenze.

Tutti questi cammini formativi particolari trovavano comunque il loro punto di riferimento nella più organica e sistematica strutturazione della catechesi degli adulti, nei "momenti dello Spirito" (una sorta di intuizione profetica di quelli che oggi n diocesi sono chiamati "esercizi spirituali" per adulti) e, ultimamente, nei "gruppi di ascolto".

L'attenzione educativa di don Eraldo conosce, dunque, una sorta di parabola che ha al suo inizio e alla sua fine la consapevolezza della centralità della Parola di Dio: come fondamento di ogni costruzione e di ogni proposta, come sintesi a cui ricondurre ogni cammino, anche quello della propria vita personale.

Sotto l'arco di questa parabola stanno tutte le proposte formative, sostenute anche con i nuovi strumenti che la tecnica della comunicazione ha elaborato negli ultimi decenni e sperimentate con coraggio, in obbedienza all'invito a "evangelizzare" sostenuto con determinazione dal Concilio Vaticano II, nel quale già si era denunciato il pericolo più grave per la fede oggi, quello, cioè, di una "scollatura" tra la fede e la vita.

Nella formazione ad una "vita" cristiana autentica, fondata sulla centralità di Cristo e della sua Parola, sta la risposta al problema della fede oggi.

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Con Rino Zaro a colloquio con il cardinal Giovanni Colombo, in visita a Lonate nel 1988 per incontrare il gruppo della "Terza Età"

Con Rino Zaro a colloquio con il cardinal Giovanni Colombo, in visita a Lonate nel 1988 per incontrare il gruppo della "Terza Età".

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PER "FARSI PROSSIMO"

Quando don Eraldo arrivò a Lonate, l'unico gruppo caritativo organizzato, esistente dalla fine degli anni cinquanta, era la "San Vincenzo". Buona parte degli interventi caritativi erano normalmente lasciati alle iniziative dirette dello stesso parroco e dei singoli parrocchiani.

Sin dai primi anni della sua presenza come parroco, grande fu la sua attenzione ai portatori di handicap, agli ammalati, soprattutto a quelli gravi, e agli anziani. A volte portava la celebrazione della Messa presso le loro abitazioni, raccogliendo attorno a loro preghiere, ma anche solidarietà.

La nota generosità dei lonatesi, guidata e stimolata dalla grande sensibilità di don Eraldo, anche alla luce dei piani pastorali diocesani, è stata via via indirizzata dentro un progetto teso ad accrescere l'attenzione dell'intera comunità verso il tema della carità.

Ma e dopo un pellegrinaggio parrocchiale a Lourdes, che, nel 1981, presero corpo il gruppo "Pronto Soccorso" e il gruppo "AvULSS".

Ai volontari del "Pronto Soccorso" don Eraldo ripeteva continuamente le parole della liturgia: « Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli », per stimolarli ad andare incontro ai bisogni quotidiani di famiglie in difficoltà e di persone sole, soprattutto se anziane, operando con stile umile e discreto, concretamente orientato all'attenzione alla persona.

Anche la costituzione del Nucleo AvULSS, formato da persone animate da forte spirito di solidarietà che in precedenza avevano partecipato a un corpo base di formazione, avvenne con il sostegno determinante di don Eraldo. L'AVULss è una associazione nazionale che opera in raccordo e a supporto delle ASL, con compiti di aiuto alle persone in ogni genere di difficoltà.

Frutto del pellegrinaggio a Lourdes è stata anche la realizzazione della grotta a fianco della chiesa e la nascita del "Gruppo Mariano", che impegnava i propri componenti, oltre a praticare una particolare devozione alla Madonna, a contribuire per i poveri della parrocchia e a pregare con le famiglie nel dolore per la perdita di un loro caro.

Nel 1985, in risposta ai piani pastorali dell'Arcivescovo, don Eraldo diede avvio alla costituzione della Caritas parrocchiale, inizialmente quale commissione del Consiglio Pastorale Parrocchiale, con il compito di essere cerniera tra questo e i gruppi di volontariato presenti in parrocchia, puntando a una collaborazione tra e con gli stessi. Successivamente, nel tentativo di far maturare un ruolo specifico per la Caritas, si è cercato di evidenziare vecchi e nuovi bisogni presenti in parrocchia e nella comunità lonatese, attraverso un progetto di formazione comune per i vari gruppi di volontariato. Sempre alla Caritas parrocchiale era assegnato il compito di mantenere il raccordo con quella decanale e diocesana, attraverso contatti stretti e la partecipazione ai vari convegni, a partire da quello diocesano "farsi prossimo". Infine, la Caritas e sempre stata strumento del Consiglio Pastorale Parrocchiale per le iniziative che vi si decidevano e "braccio operativo" per don Eraldo.

Ogni volta che necessità o fatti rilevanti, calamità o gravi situazioni sociali collettive, in Italia o all'estero, sollecitavano la partecipazione della parrocchia, don Eraldo non ha mai fatto mancare l'iniziativa e lo stimolo, soprattutto nei momenti forti dell'anno liturgico (Avvento e Quaresima), chiedendo di promuovere raccolte di denaro, viveri, indumenti, preoccupato che, unitamente al gesto caritativo, ci fosse condivisione con le persone nel bisogno.

Ad esempio, si possono ricordare le iniziative a favore della Polonia (Quaresima 1992) e della ex Jugoslavia (1993/94), in particolare con il progetto "adozione a distanza" di bambini di Slavonski Brod.

Ancora fresco nella memoria è, poi, il ricordo del significativo intervento a sostegno degli alluvionati della parrocchia di San Michele in Alessandria (1994/95), a seguito del quale e nata una viva amicizia tra le due comunità.

Per la sua insistenza, nel 1992, si tentò di avviare un progetto di "sportello" dove raccogliere le richieste di aiuto, grazie alla disponibilità di volontari, esperti nei vari campi delle necessità (insegnanti, medici, avvocati, commercialisti...)

Non possono neppure essere dimenticati ne la sua attenzione agli extracomunitari, né quella agli anziani (con il "Centro" loro dedicato) e alle problematiche che Ii riguardano.

Grande e sempre stata la sua ansia di stimolare progetti e iniziative. In particolare, ebbe sempre presente la necessità che i volontari ricevessero un'adeguata formazione, non tralasciando di offrirsi loro come punto di riferimento spirituale.

Non meno grande, anche se ovviamente più circondata di riserbo e di segreto, la sua disponibilità e attenzione a quanti, ogni giorno, gli si rivolgevano chiedendo aiuto: famiglie senza lavoro, immigrati in difficoltà, persone che gli confidavano i loro problemi. A tutti, certamente ha offerto un sostegno, o direttamente o attivando e inviando qualche volontario.

A tutta la comunità ha cercato di trasmettere la sua ansia di carità.

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ATTENZIONI PASTORALI

Scelte pastorali o, meglio, principali attenzioni in ambito pastorale, lungo oltre trent'anni di conduzione della parrocchia a Lonate: non è di poco conto tentare di presentarne alcune, che hanno caratterizzato l'azione e le riflessioni di don Eraldo.

Dopo il Concilio e dopo il Sinodo diocesano del 1966/72 (al quale partecipò direttamente anche don Eraldo come membro di una commissione), i laici hanno riscoperto ruoli e spazi a lungo sottovalutati; ma e toccato innanzitutto ai preti, e in particolare proprio al parroco, indicare temi, suggerire modalità di impegno, "inventare" occasioni di coinvolgimento e, prima ancora, di formazione, cosi da realizzare progressivamente quella "corresponsabilità" che può davvero far crescere la comunità cristiana.

In questa linea, accanto alla istituzione del Consiglio Pastorale Parrocchiale, preceduta da innumerevoli incontri di informazione, di studio e di formazione, poi dalla costituzione di "gruppi di lavoro" e, quindi, dalla creazione di una struttura provvisoria, si colloca l'istituzione, nel 1977, della "Assemblea parrocchiale", che ha accompagnato (e arricchito) il lavoro del parroco di anno in anno. Di essa cosi troviamo scritto: « Ciascuno deve sentirsi corresponsabile in questa comunità cristiana lonatese e deve partecipare attivamente offrendo il suo servizio. L'assemblea parrocchiale deve essere vista come una occasione propizia per presentare a tutti i servizi che già si cerca di svolgere nella parrocchia e per offrire anche ad altri la possibilità di inserirsi in qualcuno di questi settori, corrispondendo alla chiamata che lo Spirito rivolge a ciascuno ».

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Omaggio alla Vergine nella grotta di Lourdes per la festa dell'Immacolata del 1990

Omaggio alla Vergine nella grotta di Lourdes per la festa dell'Immacolata del 1990.

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Delle diverse cure pastorali, una che certamente e sempre stata molto a cuore a don Eraldo è quella che riguarda la famiglia, « un organismo vivo nel corpo vivo e misterioso che e la Chiesa ».

In sintonia con le direttive conciliari e diocesane, si prodigò per la creazione e formazione di un Gruppo Familiare Parrocchiale, sorto subito dopo l'esperienza della "Missione cittadina", e presente tuttora.

E si preoccupò di introdurre in parrocchia, sin dalla Quaresima 1966, un corso di istruzione per i fidanzati, per assicurare una preparazione cristiana cosciente e responsabile al Sacramento del Matrimonio. Inizialmente di quattro lezioni, tale corso si e arricchito di anno in anno di nuove tematiche e di sempre diverse e stimolanti testimonianze e, verso la fine dell'apostolato di don Eraldo, è stato proposto in due edizioni annuali, per far fronte alle crescenti esigenze e al maggior numero di coppie.

Sempre a conferma di quanto gli stessero a cuore queste realtà, sono pure le varie ricorrenze entrate, per sua iniziativa, a far parte del calendario parrocchiale, come la celebrazione della "Festa della famiglia", con particolare attenzione ai bambini, e le celebrazioni dei più significativi anniversari di matrimonio.

La stessa "benedizione natalizia delle case" e stata ridefinita e conservata come occasione di incontro con la realtà familiare.

Come dimenticare poi i suoi interventi e le "campagne" contro il divorzio prima e l'aborto più recentemente, nonché la sua manifesta e profonda sofferenza per i risultati negativi ottenuti in entrambe le occasioni? Ne danno ampia testimonianza i numerosi articoli pubblicati sul notiziario parrocchiale, a partire nel 1967 da una serie dal titolo emblematico: "Ma al principio non fu cosi". Ed anche le "serate" specificamente dedicate a tali argomenti. Anche il suo modo accorato di parlare quando, nei suoi discorsi ai genitori in occasione della Prima Comunione o della Cresima dei figli o nelle prediche, si riferiva all'amore vicendevole dei coniugi o a quello dei genitori nei confronti dei figli, ne dà testimonianza. Oppure quando, con i fidanzati, facendo riferimento alle Sacre Scritture, parlava della creazione dell'uomo e della vocazione matrimoniale come una Belle "invenzioni" più sublimi che Dio abbia pensato.

Non possiamo, infine, dimenticare i suoi innumerevoli e concreti interventi a favore delle famiglie più bisognose, di tante coppie in crisi, di genitori sull'orlo della disperazione, di figli abbandonati a se stessi o schiavi della droga... E tutta una attività quotidiana, forse poco appariscente, ma quanto, quanto preziosa!

Fra le molteplici "ansie" pastorali di don Eraldo troviamo la sua attenzione e le sue iniziative per il mondo del lavoro. Non è facile riassumere tutto ciò che ha detto e fatto per arrivare a costituire prima e poi ad animare anche a Lonate un "Gruppo parrocchiale lavoratori per la pastorale del mondo del lavoro".

Non mancavano le indicazioni a livello diocesano: affrontando la problematica del mondo del lavoro, il Vescovo chiedeva negli anni '70: « In ogni parrocchia si dia vita a "gruppi di lavoratori cristiani", ai quali venga data una formazione apostolica e sociale... Essi dovranno essere i primi corresponsabili, con tutti i membri della comunità parrocchiale, nel compiere gesti che facciano sentire la concreta presenza della Chiesa nei problemi del lavoro ». Don Eraldo ha voluto ripetutamente formare e sostenere un tale gruppo, scontrandosi sia con la non abitudine a prestare una attenzione specifica, qualificata e globale al mondo del lavoro, sia con la disponibilità di pochissimi cristiani lavoratori ad offrire il proprio contributo per dare consistenza a un tale gruppo. Sicuramente, quando ci fu il cosiddetto "autunno caldo", la presenza di questo gruppo aiutò tutti a riflettere, a superare posizioni preconcette e ad attuare iniziative di aiuto concreto.

Di altre iniziative pastorali don Eraldo fu animatore: non mancò di richiamare la necessità di potenziare il "gruppo della Buona Stampa", inteso non semplicemente e riduttivamente come "postino" pur prezioso dei giornali di ispirazione cristiana, ma piuttosto come tentativo di stabilire di settimana in settimana un contatto schietto con le persone e, in definitiva, impegnato a svolgere una lavoro "missionario". Si interessò a più riprese dell'Azione cattolica adulti, promuovendone una certa "riforma" e proponendola in diverse occasioni come realtà associativa indispensabile nella vita della parrocchia.

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Don Eraldo in udienza privata da Giovanni Paolo II il 2 giugno 1995

Don Eraldo in udienza privata da Giovanni Paolo II il 2 giugno 1995

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DON ERALDO E IL NATALE

Rileggiamo un articolo scritto da don Eraldo nel 1974 in occasione del Santo Natale: l'attualità dei richiami da lui fatti allora ci riportano alla necessità di vivere in modo coerente la vocazione cristiana, tenendo Cristo fatto uomo come origine della nostra gioia e della nostra credibilità.

« Carissimi, "vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi il Salvatore: Cristo Signore. Alleluia!"

Su questo annuncio di salvezza formulo il mio augurio natalizio. Il Salvatore è nato oggi per noi! Non cerchiamolo in altri luoghi. Non crediamo a chi dice: "eccolo qua" oppure "eccolo là", perché la salvezza è in mezzo a noi, anzi è dentro di noi.

È vero che la nostra salvezza sarà piena e perfetta nell'altra vita. Gesù ritornerà in forma solenne all'ultimo giorno per introdurci in Paradiso: tuttavia essa e gia presente oggi, in mezzo a noi ed e Gesù Salvatore.

Perciò stiamo attenti a non confonderlo con altre cose o a perderlo di vista. Il rischio e grosso e facile: "C'e in mezzo a voi uno che non conoscete". Egli è presente oggi e con lui dobbiamo costruire il nostro avvenire. Il che non significa concludere: "Dunque incomincerò a fare giudizio, a non perdere più la messa della domenica, a confessarmi e a fare la comunione qualche volta di più, cosi sarò salvo." Tutto questo e lodevole, ma non basta.

La fede cristiana è fatta certamente di celebrazioni liturgiche, di preghiere, di sacramenti, ma per un impegno sociale concreto. Il cristiano deve certamente pregare, andare a messa, ma nello stesso tempo deve interessarsi ed impegnarsi alle vicende di ogni giorno; perché è oggi qui nel suo paese che egli si gioca la sua vita eterna. [...]

Non c'è più spazio in una parrocchia, in una fabbrica, nella scuola per un cristianesimo disincarnato, cioè indifferente alle situazioni di ingiustizia, di sfruttamento, di strumentalizzazione. [...] È errata la mentalità di chi si ispira ad una matrice laicista, di chi vuol tenere i preti chiusi in sagrestia, di chi afferma che la religione è un fatto privato, che non deve entrare nella vita economica e sociale, nei problemi del lavoro e della scuola. [...]

Questo discorso augurale forse risulta strano e suscita stupore e inquietudine, abituati come siamo a concepire il Natale come la festa dei bambini, dei regali, dei canti pastorali, il giorno in cui tutti gli uomini si sentono buoni. Il mio augurio è che questa inquietudine continui anche dopo le feste di Natale. »

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Don Eraldo con il cardinal Martini nel 1997 in occasione della sua nomina a Monsignore

Don Eraldo con il cardinal Martini nel 1997 in occasione della sua nomina a Monsignore

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UN RICORDO DI DON ERALDO SCRITTO DA MONS. CITTERIO

« Giustamente a Lonate Pozzolo Monsignor Eraldo Colombini interessa per quello che è stato come parroco e ha fatto per 31 anni, mentre chi scrive lo ha conosciuto per quello che è stato e ha fatto come suo Vicerettore nel Seminario teologico.

Ma c'è un giudizio del compianto Card. Giovanni Colombo su don Eraldo che interessa tutti: "Quando ho avuto bisogno di un aiuto sicuro e fedele, del quale mi potessi fidare a occhi chiusi, soprattutto diventato Vescovo Ausiliare dell' Arcivescovo Cardinal Montini e quindi con la previsione di più numerose assenze dal Seminario, un nome mi è balzato alla mente, quello di don Eraldo Colombini. La corresponsabilità nel formare i futuri sacerdoti negli ultimi quattro anni - allora! - valeva il sacrificio richiesto a Mons. Broggi all'Istituto del Sordomuti."

Io stesso ebbi fondato motivo di confermare quel giudizio dopo i due anni passati insieme nel Seminario teologico, vivendo ogni giorno, gomito a gomito, ogni giorno parlando dei nostri compiti educativi, ogni giorno interessandoci delle singole persone affidateci.

Ben sapevo il sacrificio che, questa volta, avrebbe dovuto fare il Seminario privandosi di Don Eraldo, amato e stimato da seminaristi e superiori.

Ma il Cardinal Colombo, lasciandomi il suo compito di Rettore Maggiore dei Seminari, mi aveva messo al corrente del desiderio di don Eraldo di assumere la responsabilità di parroco. Il Cardinale aveva dato la parola. Si era dunque in attesa.

La scomparsa della veneranda figura di Don Antonio Tagliabue fu l'occasione giusta e per incarico dell'Arcivescovo ne diedi comunicazione a don Eraldo.

Una volta di più ammirai la padronanza che don Eraldo aveva di se stesso: contento che il suo desiderio fosse stato accolto dall'Arcivescovo perché questo significava per lui la volontà di Dio; contentissimo che la parrocchia fosse Lonate Pozzolo, nota per la sua tradizione religiosa e per la cura con cui era stata seguita, per le possibilità che essa offriva in un momento in cui si percepiva che grossi cambiamenti erano all'orizzonte.

Soddisfazione senza adolescenziali manifestazioni, senza venir meno alle incombenze che intanto continuavano, senza essere presente fisicamente ma con il cuore interamente altrove.

E venne a Lonate Pozzolo col suo ricchissimo bagaglio di vita spirituale, di saggezza, di zelo per il Regno di Dio che, via via, avrebbero contrassegnato il suo ministero pastorale.

Per usare un'altra espressione del Cardinal Colombo - tra il Cardinale e don Eraldo il legame di stima e affetto era davvero singolare -: "Don Eraldo non aveva vetrina particolarmente attraente; ma quale ricchezza di magazzeno!"

Voi, fedeli dilettissimi di Lonate Pozzolo, molto avete attinto a quel magazzeno.

Ha incominciato a prendersi cura dei ragazzi e dei giovani col nuovo Oratorio, che in seguito lascerà spazio anche a nuove urgenze che si andranno man mano affacciando.

Una delle ultime realizzazioni, quasi fiore all'occhiello del Parroco che si sentiva condizionato per i numerosi acciacchi, la Casa di riposo, la "Signora Casa di Riposo" come la sentii nominare venendo a Lonate.

Tra queste due opere, quante altre! Ma don Eraldo è soprattutto guida e spirito dei suoi fedeli. Il contatto umano con tutti, possibilmente; il consiglio saggio e prudente; l'ammonimento che tocca più facilmente il cuore perché si sente che viene dal cuore; le iniziative pastorali per aprire la parrocchia a nuove prospettive - come l'anno su "Il giorno del Signore", concluso dallo stesso Arcivescovo Cardinal Martini -; e, in primo luogo, l'esempio di prete di fede tutto votato a Dio e alla sua gente. Questo ha inciso soprattutto lungo i 31 anni consecutivi a forgiare la fisionomia di Lonate.

È questa la Parrocchia di Sant'Ambrogio di Lonate Pozzolo che Mons. Eraldo ha consegnato al suo successore. Celebrare il 50° di ministero e di vita sacerdotale di Mons. Eraldo Colombini è dire "grazie!" al Signore Gesù Buon Pastore per aver donato questo suo servo buono e fedele a Lonate Pozzolo. Ma è pure dare atto di profonda riconoscenza a Lui per il tanto bene compiuto.

È un atteggiamento filiale che va ben oltre la giornata del 50°! È un atteggiamento che non ha fine. »

Così scriveva Mons. Bernardo Citterio in occasione del 50° di Sacerdozio di Don Eraldo, nel 1998. Don Eraldo nei suoi primi anni di sacerdozio ha insegnato all'Istituto dei Sordomuti con Mons. Giulo Broggi  (12 aprile 1886 - 18 marzo 1986), i due si stimavano a vicenda e sono legati ambedue a Venegono Superiore.

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Don Eraldo a Busseto con i suoi coetanei in occasione del 75° compleanno

Don Eraldo a Busseto con i suoi coetanei in occasione del 75° compleanno

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UNA SUA MEDITAZIONE SULLA MORTE

Così don Eraldo meditava sulla morte alla Festa di Ognissanti dell'Anno di Grazia 2002. Uniamoci a Lui ricordando anche i nostri morti "Santi tra l'immensa moltitudine di Santi".

« Festa di Tutti i Santi. Festa dei miei Santi.

Sì, dei miei Santi, perché, mentre mi lascio entusiasmare da quelle immense moltitudini di Santi che stanno in piedi davanti al trono di Dio e davanti all'Agnello, scopro tra loro con immensa gioia mio padre Giuseppe e mia madre Emma, e tanti, tanti altri volti di lonatesi che ho accompagnato al cimitero, dove sono ancora sepolti. Improvvisamente la mia contemplazione viene interrotta dalla notizia del disastroso terremoto nel Molise, in particolare i bambini di San Giuliano di Puglia, dove con una loro maestra sono rimasti uccisi dal crollo della scuola.

La morte viene improvvisa come un ladro: "Non sapete né il giorno, né l'ora!"

Con molto realismo e serenità d'animo, la preoccupazione del momento, di ogni momento, è quella di prepararmi ad accogliere il Signore per il grande viaggio di ritorno. Solo Dio sa quanto ancora mi manca.

Sono nato nel 1924. È facile prevedere che il mio cammino su questa Terra stia per finire. Ed è bene ricordare che il viaggio di ritorno sarà meraviglioso, ma esigente. »

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IL TESTAMENTO SPIRITUALE

Riportiamo infine il testamento spirituale di don Eraldo, da lui redatto nel 1988, e che è stato letto durante il suo funerale.

« Lode si canti al Padre
e al Cristo che mi ha prescelto
lode allo Spirito Santo
Unico Dio, Trinità beata.
Amen.

Fare testamento è un dovere per ogni parroco. Pur sapendolo, soltanto oggi mi decido a scrivere, anche se la voglia mi è venuta ogni volta che sono tornato dal funerale di qualche sacerdote.

Desidero ardentemente che durante il mio funerale si faccia una breve meditazione, escludendo nel modo più assoluto qualsiasi riferimento alla mia persona che è sotto il giudizio di Dio.

Sono contento di essere prete: più contento oggi di quarant'anni fa. E sono contento di essere prete dove sono: in mezzo alla mia gente.

Muoio e non ho rancori con nessuno: ho sempre voluto bene a tutti, anche a quelli che per motivi vari sono stati lontani (certo, è una cosa difficile far sentire a tutti che gli si vuole bene senza escludere nessuno) però posso dire di avere voluto bene a tutti, anche se non sono arrivato a tutti.

Muoio chiedendo scusa e perdono specialmente a quelli che ho fatto soffrire per qualsiasi motivo.

E prima di tutto voglio chiedere scusa e perdono a Dio al quale, nonostante i miei peccati, oso ripetere e lo scrivo: ho sempre voluto bene, più che a tutti.

Il Signore buono mi usi misericordia quando arriverò sotto il Suo giudizio, nella viva speranza di arrivederci con il perdono dei fratelli.

Vi aspetto tutti nella casa del Padre "nostro".

Padre, sto per tornare a casa.

Quando sentirai bussare alla porta, aprimi. Sono tuo figlio. »

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Don Eraldo Colombini (1/1/1924 - 19/9/2009)

Quella che vedete qui sopra è l'ultima immagine che mi resta del grande Parroco che ha guidato gli anni della mia giovinezza, permettendomi tra l'altro di frugare nel suo Archivio Parrocchiale, di ritrovare le tracce dei miei antenati e di raccogliere molto materiale necessario per la realizzazione di questo sito. Proprio per questo ho osato addentrarmi nell'avventura di offrire qualche linea interpretativa del ministero di don Eraldo tra noi. L'ho fatto nella speranza di suscitare nel cuore di molti tanti ricordi e emozioni, ma anche per non smarrire le radici della nostra storia, per "fare memoria" dell'opera salvifica compiuta da Dio tra noi e per noi in quei tre decenni; per "dire grazie" non solo a Dio, ma anche a chi è stato strumento della Sua opera salvifica, che perdura dall'Eden fino all'Armageddon.

Grazie, don Eraldo!

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È giusto che esprima la mia riconoscenza anche alla signorina Romana Ferrario, che tanto si è premurata nell'assistere don Eraldo, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, e che mi ha fornito molti dei testi e delle immagini necessarie per realizzare questa pagina.

Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia recente di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.


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