SANTA MARIA NASCENTE AL CUORICINO (CARDANO AL CAMPO)

(da "Santa Maria Nascente", di Elena Gnoato, Monica Mariniello, Anna Elena Galli)


La chiesa di Santa Maria Nascente è situata all'ingresso del comune di Cardano al Campo, nella frazione di Cuoricino, lungo un importante snodo viario, oggi denominato via Giovanni XXIII, un tempo via per Castelnovate; ossia la strada che da Milano conduce alla brughiera di Malpensa e al Ticino, sul tracciato dell'antico cardo romano (l'attuale via Roma).

II complesso è composto dalla chiesa, dal campanile e dalla sacrestia, ed è delimitato da un muro interrotto da edicole con le stazioni della via Crucis, chiuso da due cancelli in ferro, di cui uno si apre su via Roma e l'altro su via Giovanni XXIII. Alla fine, vi dirò in che modo essa è legata a Lonate Pozzolo.

La datazione della chiesa come la vediamo oggi e seicentesca, ma diverse sono state le fasi di costruzione. La chiesa è sussidiaria della parrocchia della Natività di Maria, e viene destinata alla celebrazione della messa giornaliera e di numerosi matrimoni; rappresenta infatti un luogo protetto, raccolto, quasi un'isola di silenzio tra il traffico odierno, reso ancor più piacevole dal giardino con parterre d'erba che la circonda.

Sin dall'antichità, come testimoniato da documenti seicenteschi, essa e sempre stata molto amata sia dai cardanesi che dai fedeli dei comuni limitrofi, Lonate Pozzolo incluso, ed è oggi considerata un Santuario, luogo di devozione e di preghiera.

Santa Maria Nascente al Cuoricino (foto di Anna Elena Galli)

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La storia

Le carte d'archivio hanno restituito la memoria di molti luoghi sacri cardanesi, tra i quali alcuni intitolati a Santa Maria (la denominazione Cuoricino si trova solo a partire dal XVI secolo), e questo ha generato non poche ipotesi circa l'identificazione di questo luogo di culto. Il moltiplicarsi nei secoli di tanta devozione mariana riportava a sentimenti di fede popolare mai sopita, ma tuttavia ingenerava dubbi per gli uguali toponimi assegnati a luoghi distanti un tiro di sasso l'uno dall'altro, rendendo arduo il riconoscimento e assai agevole l'incorrere in fraintendimenti. Di molte chiese, fra le quali, per esempio San Quirico, si conserva memoria solo nelle carte ingiallite degli archivi e di altre solo la memoria orale dei parrocchiani soccorre alla mancanza assoluta di immagini e altri riferimenti.

Tra l'altro vi era una chiesa dedicata a Santa Maria che si potrebbe identificare con quella poi annessa al convento dei Cappuccini (la prima pietra della chiesa, che fu rinvenuta durante la demolizione dopo le soppressioni napoleoniche, riportava la data "1553 die 23 fe[bbraio]"), un'altra con un altare dedicato a San Pietro, forse trasformata nell'omonima chiesa, infine l'oratorio di Santa Maria in solitudine al Monterosso, che in seguito venne abbattuto nonostante il 9 novembre 1805 papa Pio VIl gli avesse concesso l'indulgenza plenaria per la seconda domenica di agosto.

Le fonti più ricche sono le relazioni stilate a margine delle visite pastorali o vicariali, documenti conservati presso l'Archivio Storico della Diocesi di Milano (ASDMi): tuttavia è bene ricordare che tali atti, preziosissimi e irrinunciabili per chiunque si accinga a scrivere la storia di un luogo sacro, spesso sono limitanti, poiché sono pur sempre scarni resoconti in cui gli inviati del Vescovo dovevano sostanzialmente accertare che un luogo di culto fosse decoroso e fornito dei paramenti e dei libri sacri, che si conservassero reliquie di santi o martiri e che vi fosse un reddito sufficiente a pagare la celebrazione delle Messe. Originariamente non era prescritto che si annotasse l'eventuale presenza di opere d'arte, cosa che veniva rilevata solo in casi in cui la statua o la pittura fossero legate o ad una committenza di rilievo o ad un maestro di chiara fama. Quindi non deve destare meraviglia l'assenza di cenni ad opere pittoriche o scultoree, poiché non era una voce richiesta e, purtroppo, la sensibilità per la conservazione di tali opere non era ancora cosi sentita come oggi.

Pianta della chiesa di Santa Maria Nascente al Cuoricino

Pianta della chiesa di Santa Maria Nascente al Cuoricino

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I primi documenti

L'odierna via Roma a Cardano al Campo, su cui affaccia il lato nord della chiesa di Santa Maria Nascente, corrisponde all'antico cardo romano che attraversava Cardano, mentre il decumano corrisponderebbe all'attuale asse viario della via Carreggia, dove sono state portate alla luce tombe di epoca romana. Inoltre la via per Castelnovate, oggi via Giovanni XXIlI, è stata sin dall'antichità un importante asse viario che collegava Milano al Porto del Ticino di Castelnovate, del quale si parla in questa pagina; è pertanto probabile che esistesse una cappelletta dedicata alla Vergine Maria posta lungo il cammino, un luogo per la sosta dei viandanti "al termine della campagna coltivata e al principio della sconfinata brughiera.

La tradizione popolare, tramandata oralmente, narra di un miracolo qui avvenuto a beneficio di un giovane sordomuto che ritrovò la parola e l'udito grazie alle preghiere rivolte alla Vergine: la popolazione decise di trasformare la cappella in un Oratorio, luogo di preghiera, con un atrio che servisse da riparo ai fedeli. Tra l'altro la tradizione di miracoli avvenuti per intercessione della Vergine Maria a Cardano vanta un altro esempio, la Madonna delle Fragole, dove si narra che la Madonna abbia salvato da un malintenzionato due giovani fanciulle, intente a raccogliere fragole nei boschi: un affresco che adorna un'edicola stradale ricorda l'evento. Sempre in merito al risanamento di sordomuti, resta la memoria del miracolo operato dalla Vergine a Mezzana di Somma Lombardo: proprio in quel luogo fu costruito il santuario della Madonna della Ghianda.

Il "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" (1289) di Goffredo da Bussero è un'indispensabile fonte per la conoscenza e la comprensione dell'organizzazione e del sistema di vita della nostra zona in tutta l'epoca medioevale. Esso ci informa che la Lombardia era all'epoca divisa in tre nuclei distinti: la città di Milano, la Diocesi della metropoli che godeva di maggiore autonomia, e le sue 57 pievi, che dipendevano dalla diocesi madre secondo il più rigido rispetto dell'ordine gerarchico. Tali distretti erano cosi chiamati poiché ad essi faceva riferimento soprattutto la "plebe", cioè la popolazione del luogo. Ebbene, nel Liber Notitiae Goffredo da Bussero elenca tre chiese esistenti a Cardano, tra cui una "ecclesia Sanctae Mariae", nella quale vi era un altare dedicato a San Pietro: l'attuale chiesa del Cuoricino non ha un impianto sufficientemente grande da ospitare un secondo altare, quindi e da escludere che si tratti dello stesso luogo.

Nella "Notitiae Cleri Mediolanensis" del 1398 viene citata solamente la chiesa di S. Anastasio a "Cardani": in questo elenco si trovano annotate le tasse che la Chiesa pagava a Gian Galeazzo Visconti, e pertanto venivano riportate le chiese che producevano reddito, quindi tassabili; questo prova che Santa Maria Nascente non era una chiesa, senza escludere che esistesse gia come luogo di preghiera.

Un'altra generica citazione di "ecclesia sanctae Mariae" si trova negli atti della visita alla pieve di Gallarate di Gabriele Sforza, arcivescovo di Milano, il 3 agosto 1455.

Più dettagliata, ma non risolutiva al fine delle nostre indagini, è la notizia di un luogo dedicato a Maria (precisamente all'Annunciazione) e ripresa nel 1620 da Salvatore da Rivolta, secondo il quale durante l'inverno del 1413 due donne, attese da un malvivente, furono anticipatamente avvisate dall'apparizione della Madonna che le esortò a tornare al paese e a testimoniare la sua apparizione esortando la costruzione di una chiesa: a testimonianza del fatto consegnò loro una pianta di fragole chiaramente fuori stagione. Venne pertanto costruita la chiesa dedicata all'Annunciazione, detta anche "Madonna delle Fragole". Tale chiesa è da identificarsi come quella edificata a partire dal 1553 e, in seguito, annessa al Convento dei Cappuccini, ora di proprietà della famiglia Bossi, poiché l'autore la colloca in un "(...) bosco che esisteva rigoglioso dove ora sorge il convento": ancora oggi la proprietà intorno all'ex convento e ricoperta da un fitto bosco di piante secolari.

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Il cinquecento

La prima fonte certa ci deriva dall'opera di San Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano dal 1565 al 1583, che stilò l'elenco di chiese ed oratori della Diocesi di Milano secondo criteri moderni e funzionali. Già il visitatore padre Leonetto Chiavone, che giunse a Cardano il 28 settembre 1566 su mandato dell'arcivescovo, riportò l'annotazione di una Confraternita istituita nel 1431 a S. Maria a seguito di un miracolo; il fine della Confraternita era visitare i poveri e di provvedere al vitto del cappellano, tale Pietro De Qualiis (di anni 73) che celebrava nella chiesa di Santa Maria. Il canonico trascurava, forse per l'età avanzata, i suoi doveri: era analfabeta, vestiva un abito "non molto decente", non possedeva i libri prescritti, ascoltava le confessioni "ma ignorava le assoluzioni" ed era solito tenere in sagrestia cibi e bevande, come fosse la cucina; ovviamente incorse nelle ire di San Carlo. Il 22 giugno 1570 lo stesso San Carlo Borromeo visitò la pieve di Gallarate, composta dalle seguenti parrocchie: Gallarate, Lonate Pozzolo, Ferno, Samarate, Cardano al Campo, Verghera, Arnate, Cedrate, Cassano Magnago, Bolladello, Peveranza, Oggiona con Santo Stefano, Solbiate Arno, Albizzate, Ierago, Besnate, Orago, Cavaria, Caiello, Crenna (il feudo apparteneva al Conte Giacomo Pallavicino ed era abitato da più di 6.000 anime). Probabilmente il Santo visitò anche la chiesa di cui ci stiamo occupando, dato che nei successivi Decreti per gli Oratori del 1577 dà una descrizione di Oratorio campestre che poi riassume in un testo fondamentale, "Istruzioni per edifici e suppellettili"; dove vengono stilate le caratteristiche che devono possedere gli oratori in cui non si celebra la messa, e descrive la tipologia del nostro edificio, confermando che prima del 1643, anno della sua ricostruzione, era solamente un oratorio, assurto a chiesa solo in una fase successiva.

Inoltre, i resoconti delle visite pastorali successive riportano la dicitura di Oratorio della Beata Maria Vergine "in loco del Curesino": ecco finalmente la prima citazione del "Cuoricino"! Il termine, di origini incerte, è ancora oggi in uso per identificare un luogo ben differente dal paese di Cardano, un luogo periferico, tra i campi, su un asse viario importante verso il Ticino, in posizione soprelevata, proprio come richiesto da S. Carlo. Questa identità si e mantenuta durante i secoli ed è molto forte ancora oggi, confermata dall'esistenza della Parrocchia del Cuoricino, diversa dal quella di Cardano, da secoli dedicata a Sant'Anastasio.

Come scrisse la mia amica storica dell'arte Anna Elena Galli, « con la sua frenetica peregrinazione verso le pievi più lontane e le parrocchie, il Borromeo, oltre a conoscere lo stato della vita in tutto il territorio della chiesa ambrosiana, si prefisse lo scopo di "dare ad ogni comunità, anche la più piccola ed emarginata nelle montagne, la coscienza di partecipare, attraverso la persona del Vescovo, ad una circolarità mai prima sperimentata nella vita sociale e politica. A conferma di ciò basti pensare che tra il 1566 ed il 1574 San Carlo Borromeo si recò in visita ufficiale in ben ventitrè pievi e dal 1577 al 1583, dopo un'interruzione di due anni a causa del Giubileo del 1575 e dell'epidemia di peste che colpì Milano e la Lombardia, visito ancora sei pievi ». I "Decreti" sono le prescrizioni inviate da Milano a seguito delle risultanze delle visite, e definivano gli interventi da compiersi per rendere la chiesa adatta al culto.

Il primo documento che ci interessa è quello in cui viene citato il nostro edificio come "Oratorio della Beata Maria Vergine chiamato del Cuoricino", per il quale si prescrivono le stesse premure riservate all'oratorio di San Pietro: chiudere la cappella maggiore con cancelli muniti di battente e di porre tra queste e il popolo una immagine di Gesù Cristo adornata di un velo di seta rosso. I cancelli servivano a preservare il luogo sacro da furti o da intrusi animati da intenzioni sacrileghe; l'immagine di Cristo (dipinta o scolpita) era funzionale alla preghiera dei fedeli e, a seconda delle iconografie scelte, avrebbe aiutato a ricordare un episodio evangelico o un Mistero del Rosario.

Veduta da via Giovanni XXIII (foto dell'autore di questo sito)

Veduta da via Giovanni XXIII (foto dell'autore di questo sito)

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Il seicento

Dopo l'episcopato di Gaspare Visconti (1584-1595), toccò ad un altro Borromeo, il manzoniano Federico IlI, ricoprire l'ambita carica di vescovo della diocesi di Milano, e dai resoconti della sua visita pastorale del 1620 si rileva che la situazione non era molto differente dall'ultima ispezione. Nell'Oratorio di Santa Maria di Cuoricino membro del luogo di Cardano bisognava rinnovare le pitture, forse quell'immagine di Gesù Cristo richiesta nei Decreti del 1577, togliere l'altare, in ossequio alle Istruzioni di San Carlo; la chiesa doveva essere mantenuta chiusa e l'esterno necessitava di una mano di intonaco, ed infine anche il tutto andava accomodato.

Due anni dopo, un altro visitatore inviato dal vescovo menziona un Oratorio campestre in Cuoricino, dove mancano molte cose per la celebrazione, che tuttavia vengono trasferite dalla parrocchiale di Cardano quando si celebra, poiché anche senza rendita, si celebra per devozione e il celebrante si fa carico di trasportare le suppellettili; questo dato e molto importante perché attesta che il sacerdote celebrava gratuitamente la Messa: evidentemente si considerava più importante mantenere vivo il segno della fede e la regolarità delle celebrazioni, a svantaggio di un'entrata economica, segno che la lezione di San Carlo era diventata parte integrante della mentalità dei canonici.

Questi primi decenni del Seicento furono tempi oltremodo difficili per le popolazioni del gallaratese e in generale per chi viveva nel nordovest della Lombardia. A tutti sono note le vicende narrate dal Manzoni: la peste e ancor maggiormente il passaggio delle soldatesche provenienti dal nord Europa provocarono danni ingentissimi al patrimonio delle singole comunità.

Sebbene la memoria di molti tenda a rimandare all'evento di maggior impatto emotivo, la peste del 1630, furono di fatto proprio il passaggio e lo stanziamento nel gallaratese delle truppe francesi comandate dal Maresciallo di Crequi, responsabili tra l'altro della Battaglia di Tornavento, che destavano maggior timore e portavano lutti e tragedie nei borghi: i soldati, a cui veniva concesso il libero saccheggio, si abbandonarono ad ogni sorta di violenza contro la popolazione inerme, spogliando case ed edifici sacri di ogni arredo ritenuto di qualche pregio, rubando o distruggendo i raccolti e lasciando un vero e proprio deserto alle loro spalle. Le cronache dell'epoca si riducono spesso ad una pietosa conta delle vittime e ad un altrettanto mesto inventario dei furti in cui, assai frequentemente, la perdita delle scorte di grano, vini e frutta ha maggior risalto rispetto alla sparizione di reliquie o suppellettili sacre. Le pagine dei registri parrocchiali annoverano più morti che nati, un drastico ridimensionamento dei matrimoni e, in molti casi, negli Stati delle anime si trovano abitazioni vuote a causa della emigrazione dei residenti verso altri borghi.

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La datazione dell'attuale chiesa

Durante l'episcopato di Cesare Monti (1632-1650), il visitatore Monsignor Filippo Maria Visconti illustrò l'Oratorio con maggiore precisione scrivendo: "Santa Maria in Cuoricino ai confini della Pieve sulla via per Castrinovatis o Castelnovate, il porto sul fiume Ticino". Egli prescrisse di costruire cancelli di legno e di chiudere a chiave la porta per impedire l'accesso alle bestie: la piccola chiesa doveva essere collocata lungo una via molto frequentata, ma altresì in una posizione isolata, tra i campi, dove pascolavano liberi degli animali, il cui ingresso in chiesa avrebbe causato danni.

Questo e il documento più importante che sia emerso nel corso delle ricerche: si tratta dell'atto diviso in tre parti e compilato da altrettanti estensori, con il quale si concede la benedizione della chiesa ricostruita, che è risultata conforme ai disegni presentati e, dalle ispezioni successive, non sono emersi motivi che impediscano la riapertura al culto. L'atto è datato "1644 die 29 Augusti", e tra l'altro in esso si dice:

« Già anticamente si ritrovava nella terra di Cardano della Pieve di Gallarate un Oratorio dedicato alla B.ma Verge tenuto in gran veneratione et devozione da tutto quel popolo et dalle terre circonvicine per le continue gratie che da ogni tempo ricevono. Onde mossi gli hanno fabbricato col consenso et partecipatione e modello approvato da Mons. Primicerio all'hora prefetto delle fabbriche, qual è ridotta à perfettione, et provvista delle cose necessarie ad effetto ad effetto di potervi celebrare la S.ta Messa, essendo anco da questa università dotata d'una Messa feriale per cinque anni a venire, come da Instrumento d'obbligatione, che si essibisce. Che però detta università di Cardano fa ricorso dalla paterna benignità et innata clemenza di V. ra S. ria R. ma. (...) »

Da notare che "università", dal latino universitas, indica in questi documenti l'intera comunità di Cardano.

Da questi testi si desume che la Comunità di Cardano il 22 novembre 1640 aveva presentato un progetto per la costruzione dell'edificio al Prefetto delle Fabbriche e ne aveva ottenuto l'approvazione; dal 1641 fino al 1644 si era aperto il cantiere che, verosimilmente, si era chiuso nell'estate del 1644. Edificata la chiesa, la comunità aveva inviato a Milano la richiesta di benedizione, che era stata visionata dal Prefetto delle fabbriche, Biagio Costanzo, il quale, a sua volta, il 25 agosto 1644 aveva dato l'incarico al vicario foraneo di Gallarate, Pietro Gregorio Lomeno, di verificare che l'edificio fosse conforme alle prescrizioni. A seguito della visita, il Lomeno, il 29 agosto, informò il superiore di aver trovato l'edifico in regola con le prescrizioni e di auspicarne il permesso alla benedizione, che venne impartita dopo il 29 agosto, data dell'autorizzazione, il "non expedit".

È bene sottolineare che la costruzione della chiese e dovuta alla sola "università" di Cardano e, agli atti, non risulta che nessun altro abbia concorso alle spese per i lavori. Un'ulteriore conferma a quanto detto viene dalla relazione stilata a seguito della visita pastorale del cardinal Cesare Monti, Arcivescovo di Milano, avvenuta il 15 settembre 1646. Fu probabilmente la prima visita dopo la ricostruzione ed è molto importante, perché data la costruzione della chiesa detta B.V. Maria del Cuoricino, situata nel territorio di Cardano: in essa si legge che già da tre anni è stata ricostruita dalle fondamenta, e quindi tra il 1643 e il 1644, grazie alle elemosine e alle fatiche degli abitanti e del popolo di Cardano.

Isabella Arconati de Capitani, nobildonna originaria di Dairago, moglie di Giacomo Antonio Cardano, seguendo il costume abituale per quei tempi lasciò in eredita al figlio Ottavio, sacerdote, la cappellania della chiesa e, per garantire questo servizio, si premurò di lasciare delle rendite cospicue.

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Fasi edificative

Sulla base dei dati forniti dalle diverse analisi condotte durante il recente restauro, è stato possibile individuare e collocare cronologicamente sei diverse fasi edificative, succedutesi tra il XV e il XX secolo; presumibilmente tali fasi risultano essere state sviluppate su opere murarie precedenti (forse risalenti al XII secolo), ed oggi riscontrabili nella forma di "preesistenze". Ecco una cronologia sintetica delle varie fasi, che si vedono illustrate qui sopra con diversi colori:

Prima fase cronologica (preesistenze):

La tipologia delle murature e il loro spessore attestano la presenza di un'antica ed importante struttura, successivamente completamente stravolta e rimaneggiata, ma base di partenza per l'edificazione della nuova chiesa, che dai documenti storici si dice essere stata costruita intorno al 1640.

Le preesistenze trovate nella parete d'altare sono cosi suddividibili:

1) muratura disomogenea di notevole spessore con intonaco in malta di calce, ciottoli e mattoni disposti in maniera frammentaria con muratura mista e prevalentemente in pietra (tamponamento?);

2) ritrovamenti di tracce di un'antica muratura in mattoni di grandi dimensioni con giunti di malta di notevole spessore, che indicano chiaramente la presenza di una struttura antica (un oratorio?).

La nuova chiesa seicentesca fu eretta su una muratura precedente che ne divenne parte integrante, ed è stata riportata alla luce da recenti restauri. Tale circostanza è ben testimoniata dalla documentazione storica e dalla ricerca archivistica, che indicano l'esistenza dell'edificio già in epoca medioevale.

Seconda fase cronologica (seconda metà del XVI-XVIII secolo):

La chiesa nasce come un corpo unico con struttura ed aspetto simile all'attuale. L'edificazione della chiesa può essere confermata grazie ai diversi documenti storici dal 1632 al 1684.

Alla seconda fase appartengono:

1) murature in mattoni pieni omogenea nella parte bassa, costituita da mattoni listati con bozze in pietra e ciottoli, i mattoni sono di spessore e dimensione elevate;

2) parte di murature in pietra e ciottoli principalmente riconoscibili in alcune pareti interne.

Le stratigrafie eseguite hanno messo in luce, oltre alle tipologie murarie, il perfetto ammorsamento negli angoli della chiesa (si dicono ammorsature le pietre lasciate sporgere dall'estremità di un muro per giuntarlo ad un altro muro); le pareti risultano eseguite con file sovrapposte di mattoni, intercalate da pietre, spaccate e sbozzate, di piccole dimensioni.

a) muratura in mattoni omogenea e ben ammorsata nelle parti basse degli angoli;

b) presenza di livello di pavimentazione differente con intonaco di calce tinto;

c) strato di intonaco antico picchettato con calce bianca databile al sei-settecento, presente in modo lacunoso e non sempre rintracciabile;

d) presenza di apertura tamponata con cornice in prossimità del campanile;

e) decorazioni omogenee: non esistono decorazioni parziali o limitate che possono far pensare a edificazioni successive;

f) pitture murali eseguite a mezzo fresco, ricollegabili a tre momenti diversi ma tutti compresi tra il XVI e il XVII secolo.

La chiesa, che è nata come un corpo omogeneo, ha un aspetto non chiaro riguardo alla sua altezza, i cornicioni sono diversi e disomogenei, e ciò può far supporre e ritenere l'attuale navata (e soprattutto le sue volte) successive all'impianto originario.

Terza fase cronologica (XVIII secolo):

Le fonti storiche non documentano ampiamente tale fase, ma sono riconoscibili significativi cambiamenti all'interno del nostro edificio, come sovrapposizioni di muri lungo le murature del campanile; qui la situazione e di difficile comprensione e si ipotizza l'esistenza di un vecchio campanile. Le pareti murarie non sono ammorsate e completamente separate dal resto dell'edificio.

L'attuale campanile fu aggiunto in un secondo momento; questo è evidente anche nel prospetto laterale, dove una parete del campanile risulta sovrapposta in parte alla finestra della navata. È quindi ragionevole ipotizzare che durante il settecento la chiesa non abbia subito grandi stravolgimenti.

Quarta fase cronologica (XIX secolo):

Risulta di più facile lettura grazie alle trasformazioni subite dell'edificio e ai diversi documenti che ne attestano i cambiamenti. Esso si presenta nel suo complesso omogeneo, e solo per brevi tratti murari e possibile riconoscere le trasformazioni subite. Elemento importante che conferma la differenza tra la fase sei-settecentesca e quella ottocentesca è infatti la diversità degli intonaci ritrovati, che ad una prima indagine visiva si presentano uniformi ed ascrivibili alla seconda fase costruttiva (sei-settecento), mentre per quanto riguarda l'attuale sacrestia e le volte gli strati di intonaco sono identici e collocabili alla quarta fase costruttiva (ottocentesca). Interessante è lungo il cornicione la decorazione tipicamente ottocentesca. Esistono solo due diversi tipi di intonaco, che potrebbero indicare un innalzamento dell'edificio nel corso del XIX secolo.

Quinta fase (fine XIX e metà del XX secolo):

Nei primi anni del novecento numerosi sono gli interventi rintracciati nei documenti. Nel 1915 vennero eseguiti lavori di restauro: la cantoria e un aggiunta successiva si presenta non ammorsata con tipologia muraria differente; la facciata è stata completamente rifatta, il portone si inserisce in modo anomalo nella nuova struttura, mentre internamente appare originale; il pronao presenta diverse anomalie: capitelli rifatti con malte cementizie, lesene in cemento, copertura successiva che non si adatta alla facciata; costruzione della Via Crucis, consacrata nel 1890; decorazioni interne; rifacimento del tetto con tegole marsigliesi; la realizzazione della nuova sacrestia; telai per campane; portina per bussola.

Sesta fase cronologica (dalla metà del XX secolo fino ai giorni nostri):

La sesta fase è riconducibile a tutte le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria avvenuta negli anni cinquanta, ottanta e novanta, opere che sono documentate sia dalle fonti di archivio che dalla presenza di elementi tecnologici tipici dell'epoca. Dal punto di vista delle tecniche costruttive, tali interventi di epoca recente si riconoscono per l'uso diffuso di malta cementizia e tinte plastiche, per la presenza di elementi nuovi (pavimenti, ecc.) e per l'utilizzo di mattoni forati, come dimostrano alcuni tamponamenti. Il più consistente intervento è avvenuto negli anni sessanta con i lavori di restauro e trasformazione della zona absidale e con il nuovo progetto dell'altare in marmo, che ha portato all'erezione di una controparete in mattoni con malta cementizia; essa ha accelerato il processo di degrado dell'affresco sulla parete, portando così la chiesa in uno stato di degrado avanzato. Inoltre l'apertura della parete di sinistra, per creare nuovo spazio ai fedeli, ha portato alla parete dell'affresco una situazione fessurativa nuova.

Nel 1984 fu aperta al culto la nuova chiesa parrocchiale più ampia e rispondente alle nuove esigenze della parrocchia di Cuoricino che, dalla sua erezione nel 1970, ha conosciuto un consistente sviluppo demografico. Nel vecchio edificio, temporaneamente chiuso al culto, si compirono alcuni interventi di consolidamento, che culminarono con lo strappo dell'affresco tardo medioevale, rivenuto sotto l'immagine di Maria Nascente: il restauratore Edoardo Verdelli di Vedano Olona, dopo lo strappo, fissò la pellicola dipinta su tela, che venne collocata sull'altare come pala. Una sommaria ricostruzione dei fatti qui menzionati si trova in S. Carù, "Girovagando in cerca d'arte in Cardano al Campo. Storia di una comunità laboriosa," Varese 2000, p. 101.

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Gli affreschi

L'indagine volta a datare e ad attribuire le pitture che adornano il presbiterio della chiesa di Santa Maria è iniziata dalla consultazione dei documenti: leggendo le carte conservate negli Archivi sono emerse scarse informazioni circa gli affreschi; saltuariamente, qualche visitatore, inviato dai vescovi, più sensibile ai fatti artistici, menziona la decorazione della chiesa, ma si tratta di episodi sporadici: questo segna un notevole svantaggio nell'attribuzione e nella datazione.

Certamente il fatto che l'edificio sia stato edificato non come chiesa, ma, originariamente, come oratorio campestre, ovvero edificio destinato alla sola preghiera, non alla celebrazione, induce a credere che non vi fosse un vero e proprio ciclo pittorico, ma semplicemente un'immagine della Vergine con il Bambino che fu visibile almeno fino al 1716. Carlo Borromeo infatti cosi prescriveva: "[Negli oratori in cui non si celebra] al di fuori saranno intonacati, e all'interno ben imbiancati e ornati con un Crocefisso e con l'immagine della Beata Maria Vergine o di qualche santo o santa. [...] Non dovranno avere altari". (C. Borromeo, "Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo", traduzione italiana di Z. Grasselli, Milano 1983, Parte prima, p. 163, §4). L'indicazione precisa viene riportata negli atti della visita vicariale di mons. G. Pietro Andreani, che riferisce di un dipinto raffigurante la Madonna con Bambino.

I dati emersi dal recente restauro, a questo proposito, sono significativi: gli esami scientifici ed i rilievi hanno consentito di individuare, proprio sulla parete di fondo, tracce di pigmenti. Questi, uniti al ritrovamento di un lacerto di pittura con l'immagine della Vergine Bambina e Sant'Anna, rinvenuto nel corso dei suddetti lavori di consolidamento del 1984, permettono di suffragare la tesi iniziale, ovvero la presenza, fin dalla sua costruzione, di un affresco devozionale che costituiva l'immagine alla quale i fedeli rivolgevano le loro preghiere. Le successive vicende, che si legano alla ricostruzione della chiesa, attorno agli anni '40 del Seicento, pongono un problema: gli affreschi (Adorazione dei Magi e Adorazione dei pastori) sono legati alla figura della nobile benefattrice Isabella Arconati De Capitani, che dopo il lascito per la Cappellania a favore del figlio (1632), nel 1676 aggiunse altri beni che possedeva nella pieve di Dairago, compresa una casa a Cardano, o piuttosto all'intraprendenza dell'università (intesa nel senso latino di "comunità") di Cardano che, a sue spese, fece riedificare la chiesa?

I più ritengono che il ruolo di Donna Isabella sia circoscrivere alla sola dotazione di una cappellania in favore del figlio Ottavio: parrebbe una forzatura legare il suo nome alla committenza delle opere dipinte, soprattutto in ragione del fatto che non vi sono documenti che comprovino altro legame, che quello dei benefici derivanti dalla cappellania ereditaria.

Diverso e il caso in cui siano stati gli abitanti a trovare le risorse per commissionare ad uno o più artisti il lavoro di decorazione delle pareti laterali del presbiterio. In questo caso si tratterebbe di un secondo e cospicuo sforzo, intrapreso dai cardanesi per abbellire un lungo di culto che evidentemente ricopriva un ruolo assai rilevante per la pietà locale, o perché posto lungo un'importante asse viario, o perché la devozione mariana si esprimeva qui con particolare fervore, più che in altre realtà del borgo. Per quanto riguarda la datazione, gli affreschi si possono collocare, con buona approssimazione, nella seconda metà del XVII secolo, ovvero dopo la ricostruzione della chiesa avvenuta tra il 1644 e il 1646, come attestano i documenti, ad esempio gli Atti della visita del cardinal Cesare Monti alla pieve di Gallarate, il 18 giugno 1646 ("De Ecclesia B.V. Maria Curiosino. Ecclesia haec ex pietate fidelium modo erecta").

Procedendo con ordine, l'area presbiteriale appare interamente decorata: alle pareti laterali campeggiano le due scene speculari l'Adorazione dei Magi e l'Adorazione dei pastori.

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Adorazione dei pastori (foto di Anna Elena Galli)

Adorazione dei pastori (foto di Anna Elena Galli)

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L'Adorazione dei Pastori riprende fedelmente il passo del Vangelo di Luca 2, 8-14, che segue l'annuncio della nascita del Messia portato dall'angelo ai guardiani delle greggi che pernottavano nei campi; questa iconografia compare inizialmente nell'Europa del nord, verso la fine del XV secolo. Sono rappresentati i pastori che, inginocchiati o in piedi, col cappello in mano, circondano il Bambino e lo adorano: spesso sono in tre e, in contrapposizione con l'Adorazione dei magi, portano doni rustici, come agnelli, simbolo del sacrificio, in alcuni casi trasportati sulle spalle, talora evocando la figura del buon pastore. Secondo una lettura largamente diffusa, nella notte più buia dell'anno (quella del solstizio d'inverno), i pastori vegliavano all'aperto le greggi per evitare che venissero sopraffatte dagli animali più feroci, ma, destati dal richiamo degli angeli, accorsero alla capanna per vedere quale prodigio si evocava dal cielo.

Nell'affresco prevale lo stupore, ben rappresentato dal giovane, attonito, che si accosta alla Sacra famiglia, tenendo stretta a sé la pecorella, nonché nella mimica scomposta degli altri pastori che esprimono tutta la loro meraviglia indicando reciprocamente il Bambino, mentre alcuni angioletti reggono il cartiglio con la scritta "Gloria in excelsis Deo".

San Giuseppe e la Vergine, assorti nella meditazione e nella preghiera, contemplano il Bambino, adagiato nella greppia tra la paglia; al di sopra due colombe, poste sulla trave del tetto, danno un tocco di intima e semplice familiarità alla scena della nascita del Salvatore, rimandano idealmente alla colomba, simbolo dello Spirito Santo, e sottolineano l'attributo di Maria quale Tempio dello Spirito, ricordato nelle litanie lauretane.

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Adorazione dei pastori, particolare (foto di Anna Elena Galli)

Adorazione dei pastori, particolare (foto di Anna Elena Galli)

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II paesaggio retrostante presenta un edificio in muratura sul quale s'impone una torre merlata, affiancato da un altro edificio meno identificabile, apparentemente una chiesa per la presenza di una torre campanaria: questo potrebbe portare all'identificazione del borgo di Somma Lombardo, di cui il castello visconteo e ancora oggi simbolo della città, o di un altro edificio fortificato (ad es. castello di Jerago o di Crenna). Anche in questo caso, più che una precisa indicazione topografica, appare più calzante il riferimento all'invocazione lauretana alla Torre di Davide e alla Torre d'Avorio.

L'Adorazione dei Magi illustra dettagliatamente il brano del Vangelo di Matteo 2, 9-12, unico a citare questi personaggi: il testo evoca la nota la vicenda di alcuni saggi provenienti dall'Oriente che, guidati a Betlemme da una stella, si misero in viaggio per recarsi dal « Re dei Giudei »; giunti da lui, gli resero omaggio, si inginocchiarono e lo adorarono; aperti gli scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra: l'oro in omaggio alla regalità, l'incenso alla divinità, la mirra all'umanità (essendo un unguento impiegato nell'imbalsamazione, prefigura la morte).

II dipinto di sinistra presenta il più anziano dei Magi prostrato ai piedi di Maria e del Bambino, intento a baciare il piede dell'infante. Questo gesto era segno di totale ubbidienza, riservato al Pontefice (o alla statua di san Pietro), e quindi di totale sottomissione. Accanto, gli altri due Magi si apprestano a fare altrettanto, ma èe interessante osservare la mimica e la loro gestualità: la mano sul petto dell'uno dice che sarà il suo turno, e che dovrà prendere lo scrigno che gli viene porto dal giovane servo ai suoi piedi. Infatti un giovane valletto porge uno scrigno ed uno moro al seguito trattiene degli immaginifici cammelli per le briglie. Di particolare nota è il gesto della Vergine che alza il mantello sopra il capo del re inchinato, in segno di protezione, ripetendo il gesto tipico dell'iconografia della madonna della Misericordia. Alle sue spalle la colonna spezzata segnala che la giovane vita del Salvatore si spezzerà drammaticamente presto, evocando il dramma della Passione.

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L'Adorazione dei Magi (foto di Anna Elena Galli)

L'Adorazione dei Magi (foto di Anna Elena Galli)

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Anche in questa immagine si scorge sullo sfondo un edificio sormontato da una torre, per la quale possono valere le considerazione già espresse per l'Adorazione dei pastori.

Per giungere ad una possibile identificazione degli autori, è opportuno tentare di ricostruirne il contesto artistico, ed è pertanto necessario considerare quali altre opere presenti nel territorio cardanese possano intrattenere una qualche parentela con gli affreschi di Santa Maria, che i recenti restauri hanno riportato ad una migliore leggibilità e ripulito dai sedimenti (l'Adorazione dei pastori aveva subito le conseguenze di un incendio che annerì gran parte della superficie dipinta), i quali avevano appiattito i volumi e "spento" i colori.

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Particolare di due dei Magi (foto di Anna Elena Galli)

Particolare di due dei Magi (foto di Anna Elena Galli)

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Particolare del bacio del piede di Gesù Bambino (foto di Anna Elena Galli)

Particolare del bacio del piede (foto di Anna Elena Galli)

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Confronti

Perse le tracce e mancando le testimonianze documentali in merito alla decorazione delle due chiese di Cardano, Sant'Anastasio e San Quirico, resta il confronto con l'oratorio dei Disciplini eretto dall'omonima confraternita presso la chiesa di San Pietro (nel 1688 i Disciplini di San Pietro decisero di dotarsi di un ambiente dove riunirsi per le preghiere: la chiesa venne allungata e venne costruito il coro).

Negli atti del 1707, il visitatore monsignor Corradi elenca le immagini "depictus in muro", ancora oggi visibili, che raffigurano la consegna delle chiavi a San Pietro, San Francesco e San Giovanni ("In facie oratorii depictus in muro Salvator divo Petro solvendi atque ligandi clavium potestatem tradens, et a parte epistolae geminis in locis sancti Franciscus et Ioannes Baptists"): quasi certamente questi dipinti furono realizzati poco dopo il 1688. L'autore non e noto, ma, nonostante lo stato di conservazione molto precario, si nota un tratto che li può accomunare con quelli di santa Maria del Cuoricino. In entrambe le realtà le figure evocano un tono popolare, il piacere per la descrizione narrativa della scena sacra, con varie citazioni tratte dal mondo agricolo pastorale, che caratterizzava la società cardanese di quegli anni. Cosi troviamo le colombe e gli agnellini e una generale dolcezza nei tratti dei personaggi che sono protagonisti della scena sacra. Tuttavia queste affinità superficiali sono più profonde nei tratti stilistici, elementi che fanno apparentare le due realtà.

Questo ci induce ad una seconda analisi: a Cuoricino, i pittori sono almeno due: uno (autore San Giovanni. dell'Adorazione dei pastori) che non ha grandi mezzi espressivi e dimostra una certa sicurezza nel tratto solo nei volti della Vergine e di san Giuseppe, e che si limita a risolvere le altre figure con tratti veloci e sostanzialmente poco caratterizzanti. L'altro è decisamente più interessante per la scioltezza nel rendere i dettagli (tessuti, materiali, i pezzi di oreficeria, le bardature dei cavalli) e nell'articolare i panneggi, ma soprattutto perché sa costruire una fitta ragnatela di gesti e reciproci rimandi, con i quali Magi e membri del corteo dialogano e si preparano all'omaggio al Bambino. Non solo, ma si avverte una cultura iconografica che lo porta a citare puntualmente e con accuratezza le iconografie consolidate dell'Adorazione dei Magi. Paggi e palafrenieri si muovono disinvolti nella scena, costruita secondo una precisa impostazione architettonica e prospettica. Appare molto interessante anche la presenza della colonna spezzata, che prefigura la morte prematura di Gesù: essa eleva il tono dell'intera composizione, inserendo un simbolo colto, segno che non vi era nell'artista la sola necessità didascalica verso le classi più povere, ma anche la ricerca di un dialogo con chi questi simboli poteva conoscere e comprendere. Questo elemento pone un legame in termini stilistici proprio con le opere dei Disciplini, dove, oltre ad affinità di mano, si ravvede un legame anche culturale. I Disciplini di San Pietro, che certamente avevano contattato un artista che potesse rendersi interprete al meglio del loro messaggio religioso, avrebbero potuto consigliare lo stesso pittore anche per affrescare una parte dell'oratorio di Santa Maria: dai documenti d'archivio si ricava che i Disciplini possedevano terre proprio a Cuoricino, elemento che ne avvalora gli stretti legami. Un primo studio, con relativo inquadramento nel panorama storico-artistico, e riportato in A. Spiriti, "Daniele Crespi: la conquista del classicismo", in "Daniele Crespi, un grande pittore del Seicento lombardo", Busto Arsizio 2006, catalogo della omonima mostra a cura di A. Spiriti, pp. 29-57.

Infine, non si possono eludere nel computo delle altre opere a fresco, presenti sul territorio cardanese, i cicli profani (databili alla metà del XVII secolo), recentemente riportati alla luce: mi riferisco al cosiddetto "maestro di Cardano", che lavorò alla villa detta la Viscontina. Questa proprietà che, stando al nome con il quale da sempre è riconosciuta, doveva essere una villa rurale della famiglia Visconti. Gli ambienti, decorati ad affresco e recentemente restaurati, sono databili tra la fine del XVI secolo (sala a grottesche, forse la biblioteca, forse alcova con gli Emblemata amorum), probabilmente di un artista tardo manierista, ed entro la prima metà del XVII (studiolo a boscareccia e ninfeo), opera di diverse mani, forse della bottega degli Avogadro. Oggi la villa è di proprietà della famiglia Crespi. Un primo studio, con relativo inquadramento nel panorama storico-artistico, è riportato nel succitato "Daniele Crespi: la conquista del classicismo", di A. Spiriti. Sebbene le tematiche affrontate siano ovviamente diverse da quelle che si ritrovano in Santa Maria, questa nuova scoperta conferma la vivacità e la raffinatezza intellettuale che caratterizzava il ceto nobiliare locale, e ci permette di affermare che, contrariamente a quanto creduto, Cardano era un borgo dove si esprimeva una vivace e qualificata attività artistica, dove gli artisti sostavano ed erano chiamati a lavorare sia per commissioni private che per incarichi legati all'ambito religioso. 

Un'accurata ricognizione presso l'Archivio parrocchiale di Cardano ha permesso risalire agli abitanti della dimora a partire dal 1770, quando vi risiedeva la famiglia Sironi, di cui il capofamiglia Lazzaro (1710-1774) era agente del Luogo Pio dell'Ospedale Maggiore di Milano. La casa a partire dal 1813 passò ai familiari del parroco Beretta, fino a restare del tutto disabitata dal 1823. Benché l'assoluta mancanza di documenti non ci consenta, ad oggi, di formulare alcun tipo di relazione tra gli affreschi profani della Viscontina e quelli della chiesa del Cuoricino, resta valida l'ipotesi che gli autori a cui furono commissionate le opere nella chiesa (e in particolare quello che chiameremo il "Maestro dell'Adorazione dei Magi") dovevano avere un legame molto stretto con gli artisti milanesi, o forse aver effettuato praticantato presso le botteghe di pittori affermati come gli Avogadro o i fratelli Lampugnani, milanesi, ma attestati nell'area a nord ovest del capoluogo; o la poco conosciuta ma attivissima famiglia dei De Advocatis. o infine con lo stesso gallaratese Carlo Cane, autore presente negli stessi anni in molti centri lombardi e attestato anche nel santuario gallaratese di Madonna in Campagna ma da non confondere con un omonimo pittore piemontese attivo nell'area novarese.

Alla fine del XVII secolo, la decorazione dell'area presbiteriale doveva essere ormai completata; nel corso del secolo seguente, forse per il deterioramento delle immagini, si decise di intervenire radicalmente sulla parete di fondo, dove era stata dipinta l'immagine più antica. Anche riguardo a questo, i documenti non hanno riportato alcuna notizia, quindi la ricostruzione di quanto è avvenuto deve per forza basarsi nuovamente su ipotesi e confronti.

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Gloria di Dio Padre dopo il restauro (foto di Anna Elena Galli)

Gloria di Dio Padre dopo il restauro (foto di Anna Elena Galli)

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Certamente il tema proposto al pittore che vi lavorò fu quello della nascita di Maria, ma il nostro artista si distinse soprattutto perché sfruttò la parete a lui assegnata e la lunetta soprastante per raccordarsi con le due opere già presenti. Infatti nella lunetta rappresentò la Gloria di Dio Padre, all'interno della cornice marmorea Maria Bambina tra le braccia di Sant'Anna (oggi perduta) e, ai lati di questa, l'Annunciazione.

La Gloria di Dio Padre e l'Annunciazione sono correlate a livello iconologico: nella prima, Dio Padre presenta il globo terraqueo, sorretto da due angeli, di cui uno in procinto di spiccare il volo. Si tratterebbe del momento in cui Dio da' inizio alla salvezza dell'umanità, inviando l'angelo Gabriele a Maria per annunciare la nascita del Redentore, evento che riporta proprio alla scena sottostante e, infine, all'affresco della parete destra con l'Adorazione dei Pastori.

Databili agli anni '50 del XVIII secolo, ma sicuramente dopo il 1750 perché altrimenti sarebbero stati citati dal cardinal Pozzobonelli negli atti della sua visita, gli affreschi della parete di fondo mostrano una diversa concezione dello spazio e dell'anatomia. L'angelo annunciante, le cui forme aggraziate sono oggi solo intuibili, dichiara i notevoli mezzi espressivi dell'artista che riesce ad impostare la figura con sicurezza, pur nell'esiguo spazio, conferendole grazia, leggiadria e intensità espressiva. Lo stesso vale per la Vergine, che nel gesto dell'accettazione della volontà divina (mano aperta) e nella semitorsione del busto, conferma la capacità di un artista di formazione alta e di notevole impegno.

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L'Annunciazione (foto di Anna Elena Galli)

L'Annunciazione (foto di Anna Elena Galli)

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Si può sicuramente riferire il ciclo ad un ambito tardobarocco, indicando nell'autore un collaboratore di Biagio Bellotti, celebre artista di Busto Arsizio, arrivando anche a proporre il nome dello stesso per l'affinità con i dipinti della chiesa cardanese di San Pietro (sempre a Cardano), a lui tradizionalmente ascritti. Un altro confronto possibile è con i lacerti di affreschi che decorano il lato est del chiostro sopra la porta di accesso al nostro monastero di Sant' Agata a Lonate Pozzolo: appare abbastanza evidente la vicinanza stilistica delle quadrature, è assimilabile alle finte architetture della volta e delle lunette laterali di S. Maria Nascente. E questo è il collegamento tra la chiesa del Cuoricino e il nostro comune di Lonate Pozzolo!

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Bibliografia:

M. Galdabini, "Le strade di Cardano", Numero Unico, n.3, Cardano al Campo 1983, pp. 4-13;
M. Palazzi, "In radicibus Alpium: testimonianze archeologiche da Cardano al Campo", Cardano al Campo 1999;
Idem, "Antiche origini di Cardano al Campo attraverso le testimonianze archeologiche in Cardano al Campo. Storia di una comunità laboriosa", Azzate 2000, pp. 7-26;
a cura di M. Gregori, "I centri della pittura lombarda. Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nordoccidentale", Milano 1992;
M.C. Terzaghi, " Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo", Milano 1999;
F. Cavalieri, "Note sui Lampugnani e su fatti della pittura di primo Seicento a Varese e dintorni", in "Rivista Storica Varesina", XX 1995, p. 80;
F. Cavalieri, "Affreschi di primo Seicento tra Saronno e il Verbano: la bottega di Giovan Battista "De Advocatis", in P.C. Marani, "Conservazione e valorizzazione degli affreschi nella Provincia di Varese", atti del Convegno, Varese 1997, pp. 75-82.
S. Coppa, "Il Settecento: gli affreschi di Biagio Bellotti nella sala capitolare e nella cappella del Santo Rosario", in C. Capponi, "La Certosa di Garegnano in Milano", Cinisello Balsamo 2003;
"Da Daniele Crespi a Biagio Bellotti: arte e restauro a Busto Arsizio e dintorni," Citta di Busto Arsizio, Assessorato alle Relazioni e Giovani. Mostra e catalogo a cura di I. Marelli e A. Spiriti, Busto Arsizio 2002;
V. Zani, "Aggiunte ai Bellotti", in "Tracce"; 21.2001 No. 44, pp. 5-18; G. Pacciarotti, "Sulle ali degli angeli: le arti a Busto Arsizio nel Settecento", Busto Arsizio 2001;
V. Zani, "Per un catalogo di Biagio Bellotti: note sui dipinti di Carnago e di Lonate Ceppino", in "Tracce", 19.1999 No. 28, pp. 23-31; R. Bossaglia, "Biagio Bellotti", in "Kalòs", 5.1971, pp. 73-80.

Nota:

Gran parte del materiale usato per realizzare questa pagina viene dal volume "Santa Maria Nascente", a cura di Elena Gnoato e Monica Mariniello, con referenze storico-pittoriche della mia inarrivabile amica Anna Elena Galli. Questa pubblicazione non intende violare alcun copyright ed ha puro scopo didattico e divulgativo. Si ringraziano il parroco del Cuoricino, don Maurilio Mazzoleni, il conservatore dell'ASDMi don Bruno Bosatra e il dottor Fabrizio Pagani per le preziose consulenze fornite.

II crocifisso ligneo (foto di Anna Elena Galli)

II crocifisso ligneo (foto di Anna Elena Galli)

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