IL PONTE DI OLEGGIO

(da "La Nona Campana", settembre 1989)

 

Per molti secoli il passaggio del Ticino a Tornavento era stato effettuato tramite il "porto natante", costituito da due barconi accostati, congiunti da un soprastante palco di legno. Essi si muovevano da una sponda all'altra, agganciati ad una fune tesa attraverso il Ticino, con l'opportuna manovra di un lungo timone che sfruttava lo scorrere dell'acqua del fiume.

Nell'Ottocento tale modalità di transito andò sempre più mostrando la sua insufficienza e la sua precarietà, soprattutto a seguito delle piene straordinarie del 1868 e del 1872: si ricordi che l'attività del "porto" veniva sospesa durante le "burrasche" (piene) del fiume.

Fu cosi che, a partire dal 1874, si comincià a pensare alla sua sostituzione con un ponte che assicurasse in modo stabile i collegamenti tra le due sponde, ed in particolare tra Oleggio, Gallarate e Busto Arsizio. Risulta da documenti d'archivio che già nel 1882 l'ing. Vincenzo Soldati, torinese, aveva presentato un suo progetto di ponte in ferro, secondo i nuovi indirizzi circa i materiali utilizzati nella costruzione di simili strutture.

A seguito dei rilievi mossi dalla commissione incaricata di vagliare il progetto, l'ing. Soldati nel giugno del 1886 provvide alla sua modifica, proponendo la costruzione di un ponte in ferro con "strutture a travate metalliche posizionate su piedritti in muratura, definenti luci di 60 metri" per un doppio transito: via carreggiabile al piano inferiore, via ferroviaria al piano superiore, quest'ultima mai realizzata.

Nel gennaio 1887 L'opera venne appaltata alla Ditta Fratelli Invitti di Milano, la quale, nel giugno di quell'anno, aprì il cantiere dei lavori sullo stesso luogo ove era in esercizio il porto natante. Il ponte avrebbe dovuto essere ultimato entro il giugno 1889.

I lavori procedettero come previsto, cosicché nell'agosto del 1889 la commissione poteva rilevare che "i lavori di costruzione del Ponte sono ultimati". Eseguite con esito positivo le prove di resistenza della travata metallica, nell'ottobre del 1889 il ponte risultava già aperto al transito, anche se ancora non era avvenuta l'inaugurazione ufficiale.

 

Il ponte di Oleggio in una cartolina del 1910 circa

Il ponte di Oleggio in una cartolina del 1910 circa

Oggi esso si presenta con le seguenti misure:

Il ponte di Oleggio inoltre costituisce una preziosa testimonianza di "archeologia industriale", dopo la distruzione durante la 2° Guerra mondiale dei ponti in ferro di Sesto Calende (1882) e di Turbigo (1887). Esso è un esempio di quella radicale innovazione a partire dalla 2° meta dell'ottocento nella tecnica costruttiva dei ponti, resa possibile dall'impiego del ferro.

I ponti a travate reticolari, come gli attuali ponti di Sesto Calende e Turbigo, di altezza costante, costituiti da aste rettilinee, delle quali le più lunghe sono tese e le più corte compresse, costituiscono una soluzione intermedia tra i ponti ad arco e quelli sospesi.

La struttura del ponte di Oleggio però era ancora diversa: si tratta di una travata a graticcio, derivante dalla tecnologia tradizionale dei ponti in legno statunitensi e perciò detta all'"americana", determinata dalla sovrapposizione di più reticoli (8 in questo caso).

Il ponte di Oleggio non possiede certamente né lo slancio delle grandi arcate, né la razionalità delle campate sospese. Esso ha tuttavia il pregio di essere un oggetto semplice, un parallelepipedo collocato nella natura, senza mimetismi, con una dichiarata artificialità che è anche L'espressione del clima culturale di un'epoca - sono coevi la torre Eiffel (1889) di Parigi e la statua della Libertà (1876-86) di New York - nella quale lo sviluppo tecnologico conferì all'uomo, per la prima volta nella storia, la capacità (o per meglio dire l'illusione) di dominare la natura".

Al ponte di Oleggio è stato dedicato un ampio volume, "Il Ticino tra Oleggio e Lonate Pozzolo", pubblicato nel 1990 dall'editrice Nicolini.

 

Il Ponte di Oleggio fotografato negli anni novanta

 


L'IPPOSIDRA

(da "Varesefocus", dicembre 2010)

 

L'opera di presa del Canale Villoresi situata a Somma Lornbardo, in località Maddalena, è un casello idraulico, un fabbricato cioè che ha la funzione di regolare il flusso d'acqua che dal Ticino entra nel canale intitolato al proprio progettista, l'ingegnere lombardo Eugenio Villoresi, e che fu inaugurato il 28 aprile 1884. Un vero monumento alla storia dell'irrigazione lombarda, che fa parte del sistema delle dighe dette del Panperduto, costruite per regolare l'uso delle acque del Fiume Azzurro a fini irrigui e poi energetici. Sulle origini del nome "Panperduto" si discute: c'è chi fa riferimento alle ingenti spese profuse per lo scavo dei canali, non proporzionate ai vantaggi ottenuti; chi invece allude a scavi realizzati mediante il contributo forzoso di manodopera, sottraendo così ai sottoposti il tempo necessario per procurarsi il pane quotidiano; chi infine ritiene che la denominazione sia da ricollegare al rischio di ribaltamento cui andavano incontro le imbarcazioni che trasportavano mercanzie in quel tratto del corso del Ticino, nelle vicinanze dell'abitato di Maddalena, dove vi sono tuttora dei salti d'acqua: con la perdita del carico si sarebbe perso il guadagno della giornata, cioè il pane.

Le dighe danno del Panperduto luogo al sistema di canali artificiali più importante d'Italia (quasi 250 metri cubi al secondo, 6 miliardi di metri cubi all'anno): oltre al Villoresi, anche il sistema dei Navigli milanesi occidentali (Grande, Bereguardo e Pavese). Grazie a tali canali sono irrigati quasi 150mila ettari (il 20 % dell'agricoltura lombarda), e viene prodotta elettricità per circa 2000 GigaWattora annui (oltre il 10 % delle necessità energetiche lombarde). Dopo un percorso di 86 km, le acque del Ticino immesse nel Villoresi si gettano nell'Adda: il canale artificiale che ha inizio a Maddalena è uno dei più lunghi d'Italia. L'opera di presa è costituita da un edificio di notevole valore storico-architettonico, situato in un contesto ambientale unico nel suo genere. Le dighe del Panperduto si trovano nel parco regionale del Ticino sul percorso ciclopedonale europeo EI, nel tratto che collega il Lago Maggiore a Milano, un nodo di passaggio sulla via navigabile Locarno-Venezia, con una potenziale forte valenza turistica. L'opera di restauro di questo piccolo gioiello permetterà la sua valorizzazione a fini turistici: il ripristino delle tre conche di navigazione connesse con le dighe, visibili nella foto aerea qui sotto, consentirà di attivare fin da subito un percorso navigabile autonomo di 15 km lungo il sistema di navigazione turistica Locarno-Venezia, un percorso che potrebbe estendersi ad altri canali artificiali lombardi. Il progetto prevede anche la realizzazione di un percorso ciclopedonabile attrezzato, un Museo delle Acque italo-svizzere e un centro servizi ricavato nell'attuale casello idraulico.

Si tratta, in fondo, di un ritorno all'antico. La navigazione dal Ticino a Milano risale all'epoca della costruzione del Naviglio Grande (1150-1256), ed è rimasta attiva, grazie a continui adeguamenti strutturali, fino alla metà del secolo scorso. Su quella via, che ha costituito un'arteria importantissima per l'economia milanese, hanno viaggiato anche i marmi che da Candoglia dovevano raggiungere la Fabbrica del Duomo di Milano e che, essendo destinati ad un'opera religiosa, non pagavano dazio. Per questo erano riconoscibili grazie al simbolo AUF, che significava "Ad Usum Fabricae", "ad uso della Fabbrica del Duomo". Da qui deriva il detto dialettale secondo il quale fare qualcosa "a ufo" equivale a farlo gratis! Qui sotto vedete una carta d'epoca che raffigura in rosso il percorso dei marmi sulle vie d'acqua da Candoglia a Milano, per un percorso complessivo di circa 100 km (ben visibile Tornavento):

Per le merci provenienti dal lago Maggiore o addirittura dalla Svizzera, i1 porto di imbarco o di trasbordo era Sesto Calende; da lì si dovevano discendere i 22,3 chilometri del Ticino fino a Tornavento su una corrente veloce e spesso tumultuosa. Le barche erano a fondo piatto, assai larghe. Le più grosse, le cagnone, misuravano 23,5 metri per 4,75 e avevano una portata di 40 tonnellate; le barche mezzane o ossolane, lunghe attorno ai 20 metri con un carico di 30 tonnellate, borcelli, battelle (usate per i cavalli) e barche più piccole impiegate per i traffici locali. Nessuno scafo poteva pescare a pieno carico più d 75 centimetri, era vietato navigare nelle ore notturne e assolutamente interdetto i1 sorpasso tra notanti in movimento. Gli equipaggi per cagnone e mezzane erano almeno di quattro uomini: a governare il timone sul fiume era l'uomo più esperto, la guida. La discesa da Tomavento alla darsena durava dalle sette alle nove ore.

Risalire la corrente era assai più lento e complesso: dalla darsena uscivano convogli (cobbie) di dodici barche legate prua a poppa e affidate al fattore, trainati da altrettanti cavalli. Fino a Castelletto di Abbiategrasso la pendenza è dolce, quasi nulla, e vi si giungeva agevolmente in ventiquattro ore. Qui si dimezzava la cobbia, per affrontare la corrente più rapida fino a Tornavento: dodici cavalli per sei barche. Giunti alla meta, i cavalli tornavano sui loro passi per rimorchiare le altre sei. Da Tornavento a Sesto Calende la manovra si ripeteva più volle, riducendo il numero delle barche al traino e moltiplicando i tempi di percorrenza. Ancora nel 1800, per l'intero viaggio, occorrevano almeno due settimane.

Proprio quello della lentezza era il maggiore problema per chi ne fruiva. Nel 1846, Carlo Cattaneo ebbe un'idea che avrebbe consentito di risparmiare moltissimo tempo nel tragitto: trasferire via terra i barconi da Tornavento a Sesto Calende e viceversa, mediante una ferrovia a cavalli, caricandoli su grandi carri. Fondò una società per la realizzazione dell'opera, ne commissionò la progettazione, chiese le opportune autorizzazioni al governo austriaco a Milano e nel 1851 i lavori (imponenti) poterono cominciare. Poi, dal 1858 al 1865, la "Società Ferrata per il Rimorchio delle Barche" fu operativa. L'Ipposidra (da "ippos", cavallo e "idra", acqua), che faceva in poche ore quello che prima richiedeva settimane, dovette però chiudere presto i battenti: da una parte gli utenti non erano così numerosi come il Cattaneo aveva preventivato, perché barcaioli e cavallanti non avevano nessun interesse immediato al risparmio di tempo; e, cosa fondamentale, la ferrovia, quella a vapore, congiungeva oramai Milano a Sesto Calende, e contro la sua concorrenza non c'era nulla da fare.

Mauro Luoni

 

Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.

 

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