Riflessioni di Padre Costanzo (La Verna, Arezzo)

Il santuario della Verna sotto la neve, fotografato nel novembre 2008

Il santuario della Verna sotto la neve, fotografato nel novembre 2008

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Pace e Bene, fratello Pellegrino, che ti affacci, con il fiato sospeso, su un piazzale grande e raccolto, dominato da una Croce semplice e rude; già avverti la Voce misteriosa della Verna: un silenzio che parla, penetra e commuove. Sì, la sentirai e anche la gusterai, ma solo nel tuo e nel suo silenzio. Se saprai tacere, avvertirai, robusta e solenne, la voce delta Natura, soprattutto nelle sue piante gigantesche, abbarbicate sulla pietra e nei suoi massi enormi e misteriosi. Sentirai forte il richiamo al divino nell'arte cristiana, con le sue numerose e meravigliose terrecotte robbiane. Ma soprattutto avvertirai affascinante l'eco di una bontà eccezionale che da otto secoli vi attira un mondo intero, anche non cristiano: la bontà di San Francesco. Quanti dei suoi pellegrini si sono chiesti: "Ma cosa c'è quassù? Tutto è un forte richiamo a Dio, un invito alla riflessione, uno stimolo alla bontà. Non si può ripartire come siamo venuti." Credimi, non è sentimentalismo. È la Presenza di Dio in Francesco. Una presenza scolpita su queste pietre, tuttora viva, sentita; che affascina con quel suo amore filiale e appassionato al Padre e ad ogni Sua creatura che per lui avevano un solo volto: Dio! Un solo nome: fratello, sorella. È anche la presenza di Dio in te. Egli e tuo Padre, per cui ti fa incontrare con dei fratelli che non possono lasciarti indifferente; soprattutto un Francesco che ti viene incontro con un volto raggiante di amore cristiano, e con quel suo saluto caldo che aveva continuamente sulle labbra perché lo sentiva forte nel cuore: "Pace, fratello". Ascoltalo; e fra il tuo silenzio attento e quello accogliente della Verna riecheggerà pure nel tuo cuore la Sua voce. Sarà soprattutto un invito accorato e insistente ad aprire il tuo cuore a Dio, che continuamente ti offre il suo amore di Padre.

[Queste sono le parole con le quali il caro Padre. Leopoldo, che ci ha lasciati nel 2006, accoglieva i numerosi gruppi di pellegrini e li accompagnava a visitare il Santuario della Verna. Ho volute porre queste parole all'inizio di questa pagina affinché possano essere ancora oggi il mio saluto a tutti gli amici della Verna, un santuario francescano cui sono molto legato, e l'augurio a vivere secondo l'esempio del nostro grande padre Francesco]

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Obbedire alla coscienza

La vita è legata profondamente a coppie di opposti: la singolarità e la totalità, l'immanenza e la trascendenza. E anche la nostra vita è bipolare: una lotta a volte dura tra l'io e il noi, tra l'immediato tangibile, o esperienza, e ciò che va al di là delle comprensioni sensitive o immaginazioni del futuro. Questo bipolarismo fa sì che ogni concetto non può essere compreso senza l'opposto. Non posso capire il futuro senza il passato, la vita senza la morte, il tempo senza l'eternità. Ogni conoscenza ne risulterebbe falsata.

L'essere dell'uomo è persona, quindi unità degli opposti: è spirito e corpo, è vita e morte: è sempre potenzialità bipolare nei confronti del bene e del male. Ma anche altre entità sono in lui nella contemporaneità di "palmo e dorso": amore o odio, frigidità o passione, ragione o istinto...

La tensione originaria è l'unità degli atti intenzionali e apertura verso la trascendenza, cioè verso una totalità possibile e positiva. L'unica totalità positiva a livello esemplare non è nei grandi della scienza o nei campioni del soprannaturale, i santi della Chiesa, né nella pluralità delle culture extraeuropee guardate al di là dell'orizzonte dell'occidente: l'unica possibilità è l'Uomo-Dio, Gesù di Nazareth, e nell'affermare la fede come "essere in Cristo". Alcuni grandi uomini della scienza e tutti i Santi della Chiesa, con intensità, personale diversa, ci aiutano a capire che è falsa la convinzione dell'abissale lontananza di Dio dall'uomo e testimoniano invece la dimensione trascendentale dell'esperienza umana: soggettività ed esistenzialità proiettati in alto dalla "Parola". Nell'antropologia cristiana il tema della Grazia (= fede e coscienza) assume una posizione centrale: dono libero e soprannaturale di Dio, data sempre all'uomo e ad ogni uomo. La Grazia (= fede e coscienza) viene offerta con l'esercizio stesso della vita e può essere accolta o rifiutata, ma è comunque sempre presente nell'uomo.

Ad ogni libertà è offerta la Grazia. "Dio non e un'idea frutto del pensiero dell'uomo": ogni uomo è naturalmente cristiano, ci ricordava Tertulliano, perchè può, nell'intimo del suo io, dire sì al senso positivo dell'esistenza. Ci sono non cristiani che realizzano di fatto, nella vita, il mistero della carità e dell'amore del prossimo, mentre vi sono cristiani dichiarati che vivono una vita da increduli, indifferenti ai contenuti autentici del Cristianesimo. È sempre questione di coscienza o meno.

(ottobre 2013)

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Battezzati o cristiani?

Non sembri strano l'interrogativo iniziale, perché "cristiano" significa discepolo di Gesù Cristo e quindi membro attivo all'interno di una Comunità che è la Chiesa, mentre tanti battezzati non si riconoscono né come seguaci di Gesù Cristo, che non conoscono e non rientra nell'ambito dei loro interessi, e conseguentemente non si ritengono appartenenti all'insieme dei discepoli, anzi spesso contrastano l'applicazione sociale dei principi evangelici guidati da un vieto anticlericalismo di altri tempi.

Papa Francesco, nelle giornate di Rio, e soprattutto sulla spiaggia di Copacabana, ai tre milioni di giovani di tutte le parti del mondo ha ripetuto il suo invito a tutti gli uomini e le donne del mondo a vivere il Vangelo dell'amore nei suoi termini elementari, che sono la dolcezza e la tenerezza come sensibilità umana verso gli ultimi. In fondo era questo che voleva San Francesco quando comandava ai suoi frati di Vivere il Vangelo "sine glossa", cioé senza accomodamenti, senza manipolazioni di sorta.

Chi incontra Cristo si commuove e si stupisce nello scoprire quanto Dio, Babbo e Mamma, ci voglia bene e dia la possibilità di vivere in ogni circostanza, lieta o triste, umanamente parlando, in perfetta letizia. Cristo, se e quando Lo incontri, attira e non pretende che andiamo avanti con i propri sforzi, ma si fa carico di ognuno di noi e ci porta in collo col Suo perdono.

Dopo questo abbraccio diventi luce e fuoco per i fratelli, e senti il bisogno di andare, di abbandonare il tuo guscio, di lasciare quei gretti egoismi che escludevano, giudicavano, condannavano. Andare contro corrente, come Abramo che deve lasciare la sua terra e andare verso l'ignoto di Dio; come i Dodici che annunciano verità ordinariamente incomprensibili e nuove, come vendere tutto, prendere la Croce, morire per avere la vita; annunciare che Dio ci ama come siamo con le nostre fragilità e debolezze, ci ama anche se non abbiamo tutte le carte in regola nell'archivio parrocchiale. Ognuno è un tesoro prezioso, la pupilla degli occhi per Gesù.

Solo questo, poi, dà la capacità di ridistribuire quanto ricevuto senza possibilità di esaurimento della potenza infinita di Dio incarnata nel cuore del cristiano che ha scoperto in sé il riflesso della luce e dell'amore di Dio e la possibilità di irraggiare l'esperienza tutt'intorno a sé come servizio agli uomini e al mondo creato.

Non chi appartiene all'anagrafe parrocchiale, ma il seguace, il discepolo può camminare, colpito dal fascino divino, verso l'evento finale che ci accompagna dal primo giorno della nostra storia: una via di pace possibile per tutti quelli che la vogliono percorrere.

(agosto-settembre 2013)

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Celesti armonie di una notte

« Quando al mattino le figlie andarono da Lei, la beata Chiara disse: Benedetto il Signore Gesù Cristo, che non mi ha lasciata sola, quando voi mi avete abbandonata. Ho proprio udito tutte quelle cerimonie che sono state celebrate questa notte nella Chiesa di Santo Francesco. »

L'umanità abbandonata ormai dalla speranza che l'antica promessa potesse diventare storia, con una vita minacciata e fragile in balia del potere politico e religioso, non pensava che nel bello del censimento dell'impero romano, quando la persona valeva una tassa, accadesse l'evento: Dio si fa uomo ed appare come un piccolo d'uomo, ignorato nella sua fragilità, offeso nella sua dignità.

Per avvertire oggi il senso del Natale occorre avere il cuore semplice di Chiara, e solo così si può entrare nella sinfonia dei cori celesti, ascoltare il brusio degli angeli e sentire il sussurro di Dio fra gli uomini.

Purtroppo l'ambiente non e favorevole all'accoglienza, ad un cuore a cuore tra la Divinità e la creatura per una possibile simbiosi di salvezza. Le istituzioni politiche hanno perduto la finalità del loro ruolo: non più il servizio al cittadino, ma l'esercizio del potere, la ricerca del privilegio, lo sfruttamento della situazione. Ci sentiamo abbandonati a noi stessi, per cui la speranza di una società più vivibile, dove il debole è al primo posto, si va lentamente dissolvendo.

L'enfasi dei consumi ha paganizzato le menti e i cuori portandoci a "chiamare grigia una foglia verde", per cui il Natale non è più il Cantico delle Creature, ma un ingorgo di rapporti economici, di regali assurdi, che ci impedisce di riconoscere il mistero che celebriamo nella profondità di un amore donato da chi ci ha dato la vita. Non riusciamo più a vedere la luce del sole, ma solo le ombre che produce.

Se noi cristiani capissimo, per quanto e possibile, il mistero del Natale, saremmo abbastanza per cambiare il mondo, riconducendo gli uomini ad avere un cuore fanciullo di pascoliana memoria.

Come il Figlio di Dio si è caricato della nostra tenda e la ha posta tra le nostre case, quelle soprattutto della periferia dell'umanità, così il cristiano deve abbandonare il suo palazzo e girovagare nelle stalle del mondo, nelle trincee dell'uomo e far vedere che il Natale non è una illusione di un cuore bambino, ma la forza travolgente di Dio che si fa sterile nella sterilità della sua creatura, come diventa fuoco, fiume in piena, uragano che travolge il male, nella disponibilità di chi si apre a Lui e lo accoglie nel frammento di ogni creatura.

Buon Natale soprattutto a quanti, come Chiara, lo passeranno nel loro letto di dolore o nella rarefazione degli affetti.

(dicembre 2012)

Marko Ivan Rupnik, Battesimo di Gesù, mosaico

Marko Ivan Rupnik, Battesimo di Gesù, mosaico

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Credere per capire

A cinquant'anni dall'inizio del Concilio ecumenico Vaticano secondo, a venti anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, stiamo vivendo due nuovi eventi ecclesiali di grande spessore: il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e l'Indizione dell'Anno della Fede, 11 ottobre 2012-2013.

L'anno della fede è certo annuncio aperto e sereno di Gesù Cristo e del Suo Vangelo al mondo intero, ma soprattutto vuole essere uno stimolo alla Comunità cattolica: i battezzati del mondo occidentale hanno subito una drastica riduzione della pratica della fede e la secolarizzazione ha scardinato l'elemento costitutivo della comunità stessa, la famiglia, primo e insostituibile soggetto della trasmissione della fede e dei valori del Vangelo.

La Chiesa ha come primo compito l'evangelizzazione, che è annuncio di comunione e di servizio in una cultura che enfatizza la libertà individuale e minimizza il rapporto di ognuno con gli altri.

La Chiesa è il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, per questo si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio, celebrazione dei Sacramenti e servizio della carità.

Ogni battezzato è chiamato a trasmettere quello che ha ricevuto con impegno e responsabilità, con viva fede, ferma convinzione e gioiosa testimonianza per gridare che il Vangelo non toglie nulla, anzi ha forza liberatrice per farci essere più uomini, prima ancora che migliori cristiani.

La Fede, che proviene dall'ascolto della Parola di Dio, si è illanguidita perché abbiamo ridotto all'osso l'annuncio evangelico e spesso comprendendolo come una dottrina socializzante svuotata di mistero, e cercando di temporalizzare l'eterno: abbiamo dimenticato che il cammino della vita è un incastro di cielo e di terra, di eterno e di tempo, di mistero e di storia: la terra senza cielo è disperazione, il tempo senza l'eterno è paura, la storia senza il Mistero è frammento insignificante di falso amore.

La nuova evangelizzazione è il tentativo di impastare di nuovo la terra con il cielo, il tempo con l'eterno, la storia con il mistero d'amore di un Dio che ci vuole aiutare a costruire secondo leggi che impediscono il crollo e la rovina donando salvezza, per una società dove non prevalga 1'amoralità, ma sia caratterizzata dall'amore di comunione e dalla vita nella gioia. Ascoltare Gesù per credere e credere per capire, per capire il bene e il male, Dio e l'uomo.

(novembre 2012)

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"Tu sei...": o il nulla

"Libera nos a nihilo": liberaci dal nulla, dal centro vuoto intorno al quale si arrotola la fame di avere e di fare che spinge al desiderio, sempre insoddisfatto, della totalità impossibile.

Stiamo vivendo un oggi inconsapevole verso un domani che sta precipitando sull'orlo del nulla: "Il benessere ha oscurato la vera ricerca del bene e dell'essere".

Il Figlio di Dio è sempre e ancora disposto ad annientare se stesso per una nuova redenzione dal rischio del nulla, per aiutarci ad uscire dalla nostra solitudine e risalire verso la comunione d'amore non interrotta dal sortire dal tempo verso sponde diverse, verso un non luogo d'incontro dove nessuno sarà più straniero o estraneo per l'altro.

Il definirsi di San Francesco "misero vermiciattolo" è la più coerente comprensione della propria umanità originata in un orizzonte remoto che si e fatto vicino, tanto da essere simile per farci simili a Sé.

A coloro che soffrono, a quanti patiscono la povertà, o le schiavitù nuove ed antiche, agli umili, agli afflitti, ai desolati, consegna la moneta della speranza per salpare verso la salvezza.

Francesco arriva alla Verna già ricco della sua fragilità e della forza di Dio, in una commistione che lo fa conforme all'Amato fino alla somiglianza fisica: i segni della Passione esternano la complicità d'amore tra Gesù e Francesco, che riparte dalla Verna ormai segnato dalla Croce e con lo sguardo che fissava non il vuoto, ma il suo e nostro Dio. Troppi cristiani, oggi, sono vittime inconsapevoli del "nulla"; vivono sempre nel tormento interiore perché per avere tutto hanno rinuncialo alla verità, alla dignità, alla conoscenza, alla pietà per il miraggio di una felicità che illude e delude.

"Un sogno che sospende la vita, ospite d'un momento, è la felicità, breve frammento di un tutto o guscio naturale di qualcosa di immensamente più grande e quindi incontenibile nel poco che io sono".

La percezione del bello, nella luminosità dell'ordine, il sole della verità che aiuta a superare i deliri notturni della menzogna, il canto corale dell'amore che riempie la musica vuota della solitudine, sono le gocce di felicità possibili a chi lancia lo sguardo verso il culmine delta vita, redento dalla paura del nulla dall'arsura del possesso, dall'inganno dell'apparenza e dalla fatuità dell'effimero.

(luglio-ottobre 2012)

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Santi e peccatori

Credo che la definizione più bella, più vera e più reale della Comunità ecclesiale l'abbia data, già nel secondo secolo dopo Cristo, sant'Ireneo vescovo di Lione, la cui produzione letteraria era rivolta quasi interamente a combattere lo gnosticismo, dottrina dalla gamma infinita di sfaccettature, ma soprattutto come negazione di ogni presente concreto di Gesù per una fuga nella sfera divina con la conoscenza filosofica e l'ascesi.

La gnosi è vivace anche ai nostri giorni. La Chiesa, dice appunto sant'Ireneo, è la "santa società dei peccatori", dove il "santo" è la componente divina e il termine "peccatori" sta per la persona umana: chiesa indefettibile in quanto identificazione con Cristo, peccatrice perché ogni creatura umana è lambita dal peccato.

Il peccato dei cristiani è segno evidente della loro identità viva, storica: i cristiani non sono delle cariatidi, sono esseri comuni che hanno scelto un cammino di conversione, di costante tendenza alla perfezione, ma sanno benissimo che non sono perfetti. Quando vengono messe in piazza le debolezze, le fragilità, i peccati della chiesa vuol dire che non siamo una cosa "scontata". La nostra presenza fa arrabbiare, fa discutere, ma la grande maggioranza di quelli che ci attaccano non sanno chi siamo, non sanno che guardare un Crocifisso ci fa tremare, ma ci dà Speranza, provoca emozioni forti perché il Crocifisso-Risorto non è un fantasma di venti secoli fa, ma è una Presenza efficace.

I nostri amati detrattori sono convinti che il cristianesimo sia una tradizione di altri tempi, uno stile di vita perbenista che pretende di imporre fatui moralismi oppure un'agenzia di potere: analisi semplicistica, esegesi non culturale, ignoranza dell'evento Cristo, pseudo-filosofie etichettanti secondo il vento delle mode di pensiero. Noi soli sappiamo che nel campo della Chiesa c'è della zizzania, ma c'è tanto più buon grano, spighe turgide di frutto per sfamare il mondo, ogni tipo di fame, anche la fame di eterno: questo è lo scandalo e la meraviglia di una presenza eccezionale che è Cristo, che tu non riuscirai mai a capire se non potrai volergli dire "Io ti amo". I sistemi economici e politici a cui "l'Intellighenzia" dei nostri giorni vorrebbe assimilarci si succedono e crollano precipitosamente e spesso in modo drammatico, provocando violenza e morte. Noi "peccatori"'; con Lui, "I1 Santo", ci siamo sempre e ci saremo sempre, perché il potere della morte è stato per sempre sconfitto e Gesù è presente tra noi in modo storico fino alla fine del mondo, per perdonare il nostro peccato e per darci la capacità di essere uomini veri.

(maggio-giugno 2012)

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Il tutto e il niente

Quando mi fermo a pensare alle proporzioni dei corpi celesti e sulle distanze intersiderali, sono preso insieme da stupore e sgomento: profondo senso di gratitudine e accorato timore del niente che siamo.

Creato e creatura: così incommensurabile l'uno e così piccola l'altra. Eppure tutto è stato fatto per ciò che sembra così sperduto e solitario. Per me, per te, per Francesco, uomo piccolino.

È manifestazione del grande amore di Dio per la sua immagine preferita che è ogni persona che viene alla luce in questo mondo. L'avvenimento di Nazareth e di Betlemme ci sorprende come duemila anni fa quando fu annunziato ai poveri pastori. Un avvenimento che è diventato storia: storia del mondo, storia dell'uomo. La mia storia è frutto di incontri. Come quella del mondo che e cambiata dall'incontro con Cristo.

Gesù, l'uomo-Dio e il Dio-uomo, espressione sensibile dell'amore Trinitario, ha voluto entrare in comunione con il creato e la creatura per liberare chi vuole ritrovare le evidenze originarie e portare a totalità chi intende essere salvato. Solo analogia ombrata è ogni altro incontro d'innamoramento o di struggente amore.

L'evangelista Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, evidenzia con chiarezza sconvolgente la difficoltà reale di questo incontro e il rifiuto di molti: "Venne nella sua casa, ma i suoi non l'hanno ricevuto... venne la Luce, ma le tenebre non l'hanno accolta..., la Parola era nel mondo, ma il mondo non la conobbe".

In tanta oscurità noi frati francescani, come raccomanda il Serafico Padre, vogliamo andare fra i non credenti, o diversamente credenti, per comportarci in mezzo a loro come uomini di pace, di riconciliazione e di accoglienza reciproca, e solo quando il Signore ce lo indicherà vorremo essere annunciatori di Cristo. All'uomo di oggi, ingolfato dai disvalori proclamati e confuso, bisogna dire che l'uomo esiste per essere amore e donare e ricevere amore: questo ha fatto il Figho di Dio, Gesù, quando è venuto in mezzo a noi per accompagnarci fino alla fine del tempo. Dal Monte della Verna Buon Natale a tutti.

(agosto-dicembre 2011)

Andrea della Robbia, Natività, formella in maiolica, La Verna

Andrea della Robbia, Natività, formella in maiolica, La Verna

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Controcorrente

Che fatica! Poveri salmoni! Abbandonano le gelide acque dell'Atlantico settentrionale e superando, a salti, rapide e cascate, senza prender cibo, risalgono i fiumi americani ed europei che sfociano in quell'oceano. Arrivano esausti, quelli che arrivano, ma raggiungono lo scopo.

Forse noi Italiani dovremmo imparare dai salmoni per tornare all'acqua dolce della verità che sola genera libertà.

Che fatica! Siamo impantanati in uno stile di vita che scivola inesorabilmente verso le sabbie mobili dell'egoismo, della sopraffazione, dell'arrivismo a tutti i costi. Come venir fuori da un disagio morale assai diffuso, da un governo della Polis scadente e che non dà speranza immediata di risolvere i problemi assillanti del popolo e specialmente del mondo dei giovani, di coloro che sono la storia dell'Italia di domani? Come saranno gli anni a venire?

Ad alcuni sembra ineluttabile la decristianizzazione progressiva dell'Italia, ma chi cerca la verità può constatare anche oggi il fascino benefico della tradizione cristiana. La fede non cede alle intemperie e una forte porzione di popolo è testimone di esperienze positive pur in una dominante visione riduttiva della persona umana, oggi cosi conclamata da una certa aggressività laicista la cui proposta educativa è l'ingannevole diritto ad agire a proprio piacimento, indipendenti da obblighi: la coscienza viene rimpiazzata da una sua contraffazione (Card. Newman).

Ritrovare la "vita buona" del Vangelo e riscoprire gli ormeggi oggettivi in una società fiaccata dal consumismo e che ha asservito al benessere i valori fondanti: la vita, la famiglia, la fede in Dio e nell'uomo.

Ricordare i 150 anni di storia dell'Italia ci renda coscienti della debolezza etica e della fibrillazione politica ed istituzionale del nostro paese per risalire la corrente nella convinzione che cambiare in meglio si può e si deve.

Un certo pensiero filosofico dall'unità d'Italia in poi, il dominio delle ideologie per un lungo periodo e anche certe sfilacciature teologiche del postconcilio hanno prodotto smarrimento e confusione. Quale futuro se il terreno nel quale il Paese vive rimanesse inquinato? Noi italiani dobbiamo ritrovare quell'atteggiamento interiore che permetterà di avere uno scatto di coscienza e di responsabilità necessario per essere popolo, cioè per camminare e costruire insieme.

I grandi Italiani Francesco d'Assisi e Caterina da Siena ci aiutino in questa risalita controcorrente, difficile ma non impossibile.

(gennaio-febbraio 2011)

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È nato Dio!

La Vema, a Dicembre, è spesso incappucciata di nebbia, oppure sembra immergersi in una palude di latte, quando la valle è ricoperta di neve. Le gelide notti stellate, con la falce di luna che appare e scompare tra i faggi e gli abeti, o le brevi giornate di sole velato, creano un'atmosfera paciosa e silente dove il cuore e la mente si scoprono cantori di gioia. Freddo e calore insieme. Odori e sapori diversi. Gusto delle cose eterne. Le emozioni semplici come nei giorni di Natale della mia infanzia.

Ma poi, dal quadrante, rientri nella protettiva staccionata e ritrovi il quotidiano coi suoi pensieri. Un momento diverso fa bene. Ti porta al di sopra del limite umano: in fondo è solamente Lui la pace e la gioia, il senso e il sapore. Quanto è forte a Natale il richiamo al Divino contemplando l'umano! È Lui questa sintesi, quasi colata di lava incandescente che distrugge il male e rende fecondo d'amore l'arido cuore dei figli.

A Greccio e alla Verna si gusta l'umano di Dio nelle sfaccettature più belle e più gradite, indicate da Francesco dopo il prodigio delle Stimmate. È quel Bimbo del presepio tenerezza, dolcezza, bellezza, pazienza, ricchezza a sufficienza. È quell'uomo affisso in croce tutto ciò che nell'uomo non è deviato. È quel morto che è risorto che può ancora dar speranza ad un mondo spazzatura. È ancora Lui che sa far fiorire i Santi in un mondo di letame. Ma "l'ateismo scientifico" dominante ha ridotto il Natale ad un evento non più leggibile nella verità della storia, ma basato sul prurito della favola. L'analfabetismo spirituale di ritorno è ciò che spoglia la creatura umana e la riduce ad ingranaggio produttivo e di consumo: non c'è forse ferita più lacerante alla dignità dei Figli di Dio.

Su questa scia di pensiero non esiste più una vera via etica dell'azione, ma si assiste ad un susseguirsi mutevole di umori, di desideri, di vane emozioni, foriere di vuoto interiore che ci porta ad essere consumati dal tempo, senza uno sfocio con qualche luce verso il futuro. Non si costruisce così la storia. Il figlio di Dio, Gesù di Nazareth, è venuto a portare stabilità, senso della direzione di vita nella frammentarietà dei rapporti familiari di oggi: la latitanza genitoriale tarpa la crescita armonica dei figli che si ritrovano piante senza radici, vittime necessarie del primo vento di moda che li stende nella loro umanità.

Augurarci "Buon Natale!" ha ancora un senso nella Comunità cristiana? Non è un interrogativo retorico, certamente, ma vorrei sperare che sia ancora possibile recuperare con coraggio il senso vero del nostro esistere contemplando l'umiltà dell'Onnipotenza Divina. Allora proviamo a dircelo: "Buon Natale!"

(dicembre 2010)

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Amore e desiderio

Non lo ami perché non lo conosci: "Se lo conoscessi..." Se lo conoscessi non potresti non amarlo, perché Lui solo è il pienamente umano, con una pienezza che attinge al pienamente divino. Basta spezzare la conchiglia dell'individualismo per trovare la perla della comunione, che frantuma la solitudine egoistica ed acida che umilia e fa star male la persona, in una insoddisfazione che rende amara la vita e annebbia ogni capacità di speranza nell'oggi del tempo e nel domani eterno. Il suo non è un messaggio di rinunce, come spesso ci è stato detto con insistenza in una troppo comune catechesi domenicale, ma di conquiste.

Lui può dare di più di tutto quello che il cuore desidera: di più bello, di più intenso, qualcosa che sazia per sempre realizzando il desiderio: "Dammi da bere di cotest'acqua..." Lui suggerisce la scelta migliore con un invito apparentemente assurdo: portare la Croce. Portare la Croce significa fare quello che ha fatto Lui, caricarsi di amore, non di dolore, anche se ogni amore ha in sé una porzione di dolore. Le sue parole sono tutte come carboni ardenti, parole che bruciano la carne, a volte sembrano assurde, ma mai sono parole che tolgono qualcosa, al contrario caricano mente e cuore delta passione di seguirlo. Prova a cercare chi non sai, a domandarti chi sei e troverai Lui che è lì ad aspettarti per farti dono di libertà e di felicità. Incontrarlo sembra morte ed invece e vita: l'unica vita vera... non la parodia del vivere consumando l'istante.

Il cristiano di oggi ha uno stile di vita da autodidatta, senza qualcuno che lo guidi, perché non vuole essere guidato, senza che qualcuno lo corregga, perché crede nella propria infallibilità, è convinto di saper procedere ma ha il retro-gusto di sviottolare dal percorso delta Tradizione, per affogare nella mutevolezza dell'umore. Possibile non accorgersi che l'idra dei media, o proliferazione della comunicazione, ci sta riducendo, tutti, a passivi fruitori della legge di mercato? Per cui tutto e sovrapponibile, interscambiabile, senza confini: si può dirci contemporaneamente seguaci di Gesù e del proprio utile nell'immediato, si può sposarsi in Chiesa e divorziare, concepire e abortire, difendere la vita e praticare l'eutanasia. Siamo come colti dal presagio dell'ineluttabile e si vive in zone ombrate dove non arriva più né luce di sole, né luce di luna, ma tutto diventa artificiale come luce di lampada di cui si può esaurire la fonte energetica e restare al buio. Nella cella buia ogni colore si confonde.

Mi torna in mente il grande Agostino di Ippona: "Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato... hai mandato un baleno e il tuo splendore ha fatto dileguare la mia cecità... possa io conoscere te, che mi conosci, conoscerti come lo mi conosci... mi piaci, oggetto di amore e di desiderio".

(luglio-agosto 2010)

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La scelta

Sembriamo una folla anonima che cammina portando, sulle spalle, enormi macigni che annientano sul nascere il desiderio di correre. E poi a terra ostacoli di ogni genere. Cadi e devi rialzarti per rotolare di nuovo. È solo questo la vita sulla terra? No, non è questa la vita vera. Certamente il peso schiacciante del dolore e della solitudine opprime l'esistenza per scelte sbagliate, anzi perché manca proprio il coraggio di scegliere: un atto invece inderogabile. E la scelta decisiva è quella religiosa: solo essa infatti guarisce dalla disperazione, la vera malattia mortale che colpisce tutti. Ma la scelta religiosa è un paradosso, perché sembra comandare l'assurdo e quindi isola e condanna molto spesso alla solitudine e al disprezzo. Noi lo sappiamo: chi si fa "contemporaneo" di Cristo non può che finire come Lui. Sommamente negativa è la rinuncia a quella dimensione dell'esistenza che è la libertà, la possibilità, il desiderio, la tensione all'infinito. Chi non fa la scelta religiosa è destinato a una lacerazione drammatica tra posizioni antitetiche: finito e infinito, necessità e possibilità. Senza la scelta religiosa l'uomo è solo contraddizione, perché non potrà mantenere entrambe le polarità: infinità e finitudine. L'uomo moderno non si accetta come posto nell'esistenza dalle mani di Dio, e quindi non avverte di doverGli restituire la vita per definire per sempre la propria singolarità e identità.

La fede, la lotta del credente con il mondo, è lotta di carattere. La vanità umana è di voler comprendere, di non voler ubbidire quando non può capire, di non accogliere come possibile il binomio fede-ragione. Il cristianesimo non è una dottrina, ma una forma di esistere corrispondente, di conformità, di croce con la Croce, di resurrezione con il Risorto. Un cristianesimo ridotto a formule, a dottrina, non interpella e non parla all'esistenza.

Oggi nella Comunità cattolica si ama "giocare" al cristianesimo, e ne esce fuoriuna vita comica: croce d'oro sui prosperosi petti senza accettare di essere crocifissi accanto a Lui: se non come santi, almeno come ladroni. Lo spaesamento della fede è provocato dalla perdita di contatto con la propria interiorità. La meditazione della Parola di Dio è occupazione d'altri tempi, spesso nemmeno più monastica, e si fuggono le due polarità che ci costituiscono: si fugge la finitezza e necessità per affermare l'infinito del desiderio e la pura possibilità. O si fugge la propria dimensione infinita e libera per aderire ai compiti e ai doveri del proprio ruolo e della massa che li prescrive. Per superare questo dissidio bisogna fondarsi sulle proprie origini, nella potenza di Colui che ci ha posto nella storia.

Questo atto di fede, che implica il paradosso e lo scandalo, è il vero cristianesimo: di nuovo non dottrina, ma rapporto di contemporaneità con Cristo, l'assumersi il rischio della solitudine, delle incomprensioni e del rigetto.

E non abbiamo troppo tempo per "giocare" con un cristianesimo da salotto o per stare a guardare, contenti di una religiosità fasulla, quasi rappresentazione teatrale. La decisione per una fede che sia esercizio di vita, espressione di un vissuto, è di una urgenza ineluttabile.

Per Francesco d'Assisi la vita e la fede sono state comunicazione di esistenza, non esercizio accademico. Non era prigioniero del desiderio, ma attore e protagonista della più intensa e possibile comunione d'amore. Ha vissuto abbandonandosi a Dio, scegliendo di vivere secondo le Sue richieste, che non sempre sono comprensibili dal sentire comune. Il volontarismo francescano si basa su quelle virtù che Francesco stesso sa personalizzare e "saluta": "La signora sapienza con la sua sorella semplicità, la signora povertà con la sua sorella umiltà, la signora santa carità con la sua sorella Obbedienza".

(aprile 2010)

Luca della Robbia, La Pietà, Peretola (Firenze), 1441-1442

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Cercatori di Dio

Cercatori di Dio, cercatori della Verità. Ma prima ancora che io mi metta in cammino è il Dio-Verità che mi viene incontro. "Dio ci ha amati per primo", afferma San Giovanni, l'evangelista teologo. Una relazione che diviene conoscenza e si fa accoglienza reciproca.

Se non ci nascondiamo all'approccio con Dio si può capire anche l'uomo e, solamente riconducendo ad unità il binomio Dio-uomo, è possibile rispondere ai grandi interrogativi sulla nostra origine e sul senso del vivere e del morire.

Interrogativi spesso insabbiati perché ritenuti dai contenuti indecifrabili o perché costituirebbero un tormentone insopportabile. E intanto allontaniamo la Verità assoluta per costruirci apparenti verità di comodo, ma che non soddisfano, e non possono farlo, anzi illudono e deludono creando dissidio interiore e inquietudine insanabile: è la ricerca di una felicità mai appagata. Felicità non e possesso, conquista, potere, piacere, egoismo: è prima di tutto coscienza della propria fragilità. Non sembri strano, ma chi esorcizzasse le sofferenze fisiche, psichiche e sociali, che vanno dal nascere al morire, non potrà mai capire che la vita è bella e che la felicità su questa terra e possibile.

La "Lettera ai cercatori di Dio", che i Vescovi hanno indirizzato alla Comunità italiana, vuole aiutare chi cerca, e spesso fatica a trovare, una risposta alle domande più profonde del cuore di ognuno di noi, credente o non credente: un gesto di amicizia per un dialogo costruttivo. Ci accomuna la convinzione che non siamo eterni nel tempo, non siamo onnipotenti e la fragilità stessa ci insegna che i beni più importanti sono la vita e l'amore. L'invecchiamento, il dolore innocente che fa sanguinare il cuore, la morte per eventi di violenza, il silenzio di Dio, potrebbero spegnere la voglia di vita e raffreddare ogni slancio per una umiliante rassegnazione che lascia l'amaro in bocca. Bisogna costruire speranza, accogliere la speranza che viene dall'alto, che "trascende le nostre possibilità, la nostra progettualità, i nostri orizzonti". Sentirsi amati, cercati, sostenuti nel quotidiano in un crescendo di senso, di gioia, di operosità costruttiva che va oltre l'esperienza della fine di tutto, vuol dire gustare la successione dei giorni nella loro fuga verso l'ieri che non torna. Siamo fatti per amare e constatiamo ogni giorno il fallimento dell'amore perché non abbiamo mai imparalo ad amare: l'amore non e catturare l'altro e asservirlo, ma dare il braccio per accompagnare; e nostalgia, desiderio, attesa.

Quanto fluttuare di desideri mai appagati e sempre risorgenti, amore e tradimento, in uno scontro che consuma bloccando il cuore in un avido e illusorio accumulo di possesso di persone o di cose.

Fare verità è riconoscere il limite dell'uomo, non fine a se stesso, ma proiettalo verso l'infinito, e questo genera felicità e speranza. Fare verità è riconoscere che verità e vita si identificano con Gesù, vero Dio e vero uomo.

(marzo 2010)

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Forestieri e pellegrini

Sia nella Regola bollata che nel Testamento, San Francesco ama ripresentare questa icona della vita in dissolvenza, vita come scelta di graduale allontanamento dalla vicenda del tempo presente fino alla conclusione della corsa, quando il disfacimento della materia ci aprirà cieli nuovi e terra nuova.

Il concetto di provvisorietà ci porta a misurare le nostre dimensioni del tempo, a conquistare la "sapienza del cuore per poter contare i nostri giorni", scanditi da ritmi d'azione vertiginosi e imperativi, nell'accavallarsi veloce delle stagioni.

Giobbe così parla: "L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio d'agitazioni, spunta come un fiore, poi è reciso e fugge come ombra e mai si arresta".

Ci sovrastano due abissi: l'infinito e il nulla. E la scelta si impone. Ma il nulla è interruzione della coscienza creata e quindi impossibile ad esistere: il nulla non esiste. È l'infinito, invece, che ci spinge alla coscienza di noi stessi, polverizzati in una infinita di emozioni registrate dai sensi e poi sincronizzate nella ricostruzione di una unità della persona con destino ultraterreno. Destino che ci assilla, ma ribalta le paure del nulla e riesce a far intuire il flusso continuo del tempo verso l'ignoto eterno.

Solo la consapevolezza della propria finitudine rende l'uomo autenticamente umano. Se non impareremo a contare i nostri giorni, cioè ad assumere fino in fondo la radicale precarietà e finitezza della nostra esistenza, non giungeremo mai alla sapienza del cuore, cioè ad una vita autentica e vera.

Essere pellegrini e forestieri significa sospendere l'assenso agli interessi mondani per ascoltare la voce della coscienza, che parla attraverso il silenzio. Il silenzio della coscienza rappresenta un appello a ritrovare se stessi, a mettersi in ascolto, decidendo di sottrarsi al mondo della chiacchiera e degli interessi mondani. Ma questo passaggio all'autenticità richiede un atto di coraggio e di decisione, con cui liberamente ci assumiamo il peso della nostra condizione umana.

Solamente chi si è fatto pellegrino e forestiero riuscirà a veder trasparire l'eternità nell'apparire della realtà: il germe della speranza e il seme della carità, cioè l'aprirsi all'altro, impedisce il naufragio. La fede è la borraccia d'acqua del pellegrino, la speranza è il santuario di arrivo e la carità i passi che ce lo conducono.

Chi sa di andare verso un sicuro punto di arrivo porta con sé le cose migliori, che sono quelle eterne, le cose più alte, quelle che mettono l'ultima pietra all'edificio dell'universo. Il cuore del pellegrino sente ciò che la ragione non sempre riesce a pensare.

(febbraio 2010)

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È Natale, coraggio!

Lettera aperta da Betlemme

Queste parole che sto per dirti sono le mie: le avevo in me già a Betlemme. "Non sono venuto per essere servito, ma per servire; non per abolire, ma per portare a compimento; non per spegnere il lucignolo fumigante; non per i sani, ma per i malati; non a giudicare e condannare ma a salvare". Poi le ho gridate ai quattro venti, perché germoglino fino ai confini del mondo e alla consumazione dei tempi.

Ho assunto la tua carne come Figlio del Grande Amore, mendicante di uomini, naufraghi dell'esistenza, ciechi e soli. Ho udito ed ascolto il grido viscerale, l'urlo che sale dalla terra verso il cielo, avverto il buio ch'è nel cuore del povero. E dico a te quella parola che di nuovo dà speranza: coraggio, alzati, ti conosco per nome e sono qui per aiutarti a ripartire, per liberare la tua energia compressa dal dolore, dalle vicende che ti hanno portato all'esperienza del non senso delta vita.

Getta via il fardello dalle cianfrusaglie che pensavi amuleti efficaci e ti hanno deluso, dandoti solo fluttuare di desideri inappagabili e sempre più prepotenti, fino a schiavizzarti. Hai bisogno di luce per vedere bene la strada che devi percorrere per arrivare fino a me, ma sappi che io la percorro con te, ti sorreggo se inciampi e se cadi ti rialzo. Hai bisogno di sale per dare sapore ad una vita insipida. Hai necessità di lievito per uscire dagli azzimi del deserto e scoprire il nuovo pane, che non conosce corruzione, è pegno d'immortalità e ti darà la possibilità di raggiungere pascoli erbosi e sorgenti zampillanti.

Sono venuto e sono rimasto con te, ci sono per sempre, ma solo i piccoli mi possono riconoscere, solo la semplicità dei pastori sa stupirsi e prova la gioia di accogliermi.

Erode, e chi come lui, resta nel suo palazzo, circondato dai suoi servi, dalle sue concubine, avvolto nelle sue paure, nei suoi tristi presagi. Lui non può capire la pace e l'amore che porto, perché non ha la volontà di capire. Nemmeno gli Scribi e neppure i Farisei o i sommi Sacerdoti sapranno vedere, perché non sanno gridare il buio che hanno nel cuore, non intendono il linguaggio di chi li chiama per nome e dice: "Coraggio, condividi le tue paure, grida il tuo dolore, non gettarti a terra, non demolirti. Dai tuoi cocci io sono in grado di rifare un vaso nuovo, colmo di speranza per l'eternità".

Cerca nel tuo profondo quel "fanciullino" che è rimasto in te, e renderai possibile e fecondo il nostro incontro e non subirai giudizio, ma sentirai in te quella dolcezza e tenerezza di amore che solo i baci delta tua mamma potevano darti. Il mio Natale è il tuo Natale: cammineremo insieme, percorreremo strade che non sapevamo, porteremo la croce, saliremo il Calvario e guardandoci negli occhi non ci sentiremo soli nemmeno in quel momento. E sarà proprio allora che ci vorrà tanto coraggio.

(dicembre 2009)

Natività, Lourdes, mosaico della Basilica del Rosario

Natività, Lourdes, mosaico della Basilica del Rosario

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...E preghino per i defunti

Si fa buio presto a novembre. La faggeta scheletrita e l'abetaia verde cupo, anche nelle ore del giorno, sono come opacizzate allo sguardo dalla nebbia piovigginosa: le lunghe giornate estive sono ormai un sogno abbastanza lontano. Ma torneranno.

Con il cappuccio in capo e il lungo mantello di lana mi muovo con passo deciso tra la Basilica e la Cappella delle Stimmate, in quel lungo corridoio dove gli affreschi di Baccio Bacci mi ricordano, come sempre, gli eventi salienti della vita di Francesco.

Eventi che hanno il loro culmine, appunto, là dove sto andando, in quel fianco della montagna che ha ascoltato il sussurro di Dio e i gemiti d'amore di Francesco, nel pensare al suo Gesù crocifisso, e dove frate Leone poté osservare quella scena di simbiosi tra Dio e Francesco.

E il mio pensiero vola ad un'altra parte preziosa della Verna, in quel rettangolo esposto del Monte, poco sopra la mensa del pellegrino, dove i miei confratelli riposano e stanno riconsegnando il loro involucro alla madre terra: li ho conosciuti tutti e li ricordo uno ad uno. Fra Achille, il frate speziale, Fra Umberto, il frate cardinale, e poi mi tornano in mente Celestino, il costruttore, Luca, Tommaso, il faceto, Mario, burbero e scrupoloso, Gregorio, Massimo, Sabatino, il giullare di Dio, Leopoldo, l'ultimo dei mistici; tutti quelli, uno ad uno, che hanno avuto un posto nel mio cuore negli ormai cinquantatre anni dall'inizio del mio noviziato. Ma la commozione sale quando penso a Fiorenzo: tanti anni abbiamo camminato insieme.

Ognuno di loro ha portato le proprie stimmate come il padre San Francesco. Certo diverse dalle sue, ma non meno vere 
e non meno apprezzate da Dio come collaborazione per la salvezza dei fratelli.

Loro, il Padre e i suoi figli, hanno puntualmente restituito a Dio ciò che Lui aveva donato: la vita su questa terra, il proprio corpo, le persone care. Tutto.

Noi attendiamo ancora la Sua venuta e il pensiero di chi ci ha preceduti ci stimola a non bruciare il tempo che ci è donato, a non fruire egoisticamente di doni che ci sono stati elargiti, a preparare il nostro incontro con il Padre ed entrare nella luce più abbagliante di ogni sole. Non possiamo né descrivere, né immaginare, forse in qualche modo solamente intuire, dove sono, cosa fanno, come vivono i nostri morti. La Liturgia, nel primo prefazio dei defunti, tenta di darci una mano: "Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo".

È con questa speranza e certezza che esco dalla Cappella delle Stimmate e tomo, per il lungo corridoio, verso il Convento.

Ora piove ed è quasi buio. Mi fermo ancora in Basilica e penso a tutti voi, amici, che ogni mese mi leggete, e voglio ricordare anche tutti i vostri cari che non sono più visibilmente con voi.

Non dimenticateli e più dei fiori offrite le preghiere, memori di quanto afferma Sant'Agostino: "I fiori, le luci e le lacrime servono ai vivi, non ai morti".

Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di fuoco d'amore purificante porterà anche noi con Sé. In quel momento, sia esso nel dolore o per eventi accidentali o nella tranquillità del sonno o solo nel logico spegnimento dell'età avanzata, percepiremo, come Elia profeta, il mormorio di una tenue brezza e non potremo sbagliare. È lui: sarà il giorno di sole pieno che torna dopo le brume invernali delle nostre miserie, sarà la realizzazione del sogno di felicità che ha ritmato il tempo breve della vita, sarà l'incontro beatificante con tutte le persone che abbiamo portato nel cuore e che ci attendono per una comunione d'amore che non conoscerà limite d'intensità.

(novembre 2009)

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Chiara, donna solare

Come la foresta della Verna è alimentata dal sole che le ha permesso, nel tempo, di crescere sulla roccia, dopo averla arricchita di humus, così la vita di Chiara è nutrita da quel sole riflettente Cristo, che è Francesco. Tanto nutrita, da prosperare giovane e sana, prima, e più ancora dopo, donna e malata sulla roccia della povertà evangelica, resa feconda con l'humus della penitenza innamorata e fraterna. Chiara di Assisi, nobile, aveva dichiarato di aver "succhiato" questo nutrimento evangelico da Francesco, rivelando ciò a "sora" Filippa, anch'essa nobile e conosciuta "da la sua puerizia". Riferiva a lei di una visione in cui, "suggendo" dal petto di Francesco, le era rimasto tra le labbra un piccolo globo d'oro; e che, prendendolo con le mani, "le pareva che fusse oro così chiaro e lucido, che ce se vedeva tutta, come quasi in uno specchio" (Processo, III, 29). Paternità e maternità di Francesco; ma appartenenza a Cristo, per mezzo di Francesco, di questa "piccola pianta del Beatissimo Padre" (Regola, I); e appartenenza tale che la stringeva ad eseguire "i comandamenti di Dio e del Padre nostro Francesco" (Testamento) con quella fusione di obbedienza che aveva la sua sicurezza nella evangelicità del "povero" di Assisi.

"La professione della santissima povertà" era promessa da Chiara e dalle sue sorelle a "Dio e al Beato Padre Francesco ", che il Signore aveva donato "come fondatore, piantatore e sostegno... nel servizio di Cristo ". "Ed egli, finché visse, ebbe sempre premurosa cura di coltivare e far crescere noi, sua pianticella, con la parola e con le opere sue".

Chiara riporta, come cuore della sua Regola (c. IV), le promesse fatte da Francesco trentenne a lei e a tutte le "sorelle povere" nella "formula di vita"; promesse di "attenta cura e sollecitudine" per loro che avevano scelto di vivere "secondo la perfezione del Santo Vangelo "; e, ormai al morire, nella sua Ultima volontà", professando, lui "piccolino ", di voler "seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre", prega e consiglia loro, sue "signore", di vivere "sempre in questa santissima vita e povertà ".

Nell'obbedienza a Francesco, Chiara matura il frutto ecclesiale e cosmico, di cui è così sicura: "Il Signore ha collocato noi come modello, ad esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle quelle che il Signore stesso ha chiamato a seguire la nostra vocazione, affinché esse pure risplendano come specchio ed esempio per tutti coloro che vivono nel mondo" (Testamento).

Francesco che dalla capanna addossata a San Damiano contemplava a occhi spenti il mistero della penitenza di Chiara diventato ormai malattia, e portava, con le stimmate, questo nuovo dono di lei, vedeva e cantava la vita vissuta "in verità" e "in obbedienza " dalle "signore povere" come dai ' frati minori".

Era quello il "nuovo e umile popolo" che Gesù aveva chiesto al Padre. Provenivano da tutto il mondo e percorrevano l'arco del mondo, come il sole. Soffrendo, "in pace", amando, godendo la fraternità e offrendola, in povertà; costruttori fedeli della Chiesa cattolica, come agli inizi di San Damiano.

Vedeva e cantava anche il patire, guardando, oltre la vita di fuori, quella migliore "dello spirito "; e consolava col canto le sorelle, tristi per le sue malattie. Il suo canto era profezia, perchè, diceva:

"Ciascuna sera regina en celo coronata cum la Vergene Maria".

p. Vittorio

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Povertà è ricchezza

Ricchezza della povertà o povertà della ricchezza?. La povertà recupera il suo significato solo quando informa una scelta di vita o realizza una vita veramente da poveri con i poveri. Questo è il senso evangelico dell'uso povero dei beni di Questo mondo. Di tutti i beni che sono dono di Dio: non certo ultimi l'aria,l'acqua, la terra con i loro abitanti. La povertà come penuria dei mezzi di sussistenza, come privazione dei diritti fondamentali della persona e un male che offende l'uomo e che Dio non vuole. Sono molto dure le parole dell'Ecclesiastico: "Non distogliere lo sguardo da chi chiede e non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, perché, se uno ti maledice con amarezza, il suo Creatore esaudirà la sua preghiera". Dio si fa vindice "del povero che supplica, dell'infelice che nessuno protegge". Il messaggio di Gesù è liberazione da tutte le povertà: per Lui i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, chi ha fame e saziato, chi è malato viene guarito, chi muore risuscita.

E quello che ha fatto, Gesù lo ha comandato ai suoi esigendo fraternità, uguaglianza e libertà per tutti, senza distinzione di razza o di religione o di colore della pelle. Nella comunità dei credenti in Cristo, la povertà va bandita in nome della condivisione e della comunione dei beni. La Terra è di Dio e quindi di tutti i suoi figli, non di alcuni che sfruttano gli altri.

"Beati, voi, poveri... Guai a voi, ricchi": è la storia del povero Lazzaro e del ricco epulone. La ricchezza, afferma il Profeta Amos, rende malvagi: "Essi sui letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla... bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina dei loro fratelli non si preoccupano". E Gesù è ancora più deciso nella condanna della ricchezza: "Guai a voi, ricchi; perché avete già la vostra consolazione". La ricchezza è ingiusta, cattiva e detestabile davanti a Dio. Gesù condanna la ricchezza, perché è causa della povertà, e quando manca la giustizia prolifera l'odio, nascono le divisioni e le classi, dominano l'ambizione e l'idolatria del benessere a tutti i costi e l'accettazione di qualunque compromesso di coscienza.

Oggi la povertà è il vero scandalo sociale, perchè i beni materiali devono esser equamente partecipati da tutti. L'ideale cristiano non è cercare di costruire una società ricca, ma nel creare una società giusta dove regni la carità fraterna. Un ideale che si traduce non in amore alla povertà, ma ai poveri, e conduce non a farsi poveri, ma a vegliare perché nessuno soffra necessità. Magari anche poveri con i poveri come Francesco di Assisi o Madre Teresa di Calcutta.

(ottobre 2009)

 

Giotto, Sposalizio di San Francesco con Madonna Povertà, 1316-1318, volta della Basilica Inferiore di Assisi

Giotto, Sposalizio di San Francesco con Madonna Povertà, 1316-1318, volta della Basilica Inferiore di Assisi

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La sobrietà

Sono tanti gli stili di vita possibili e ognuno è frutto di una scelta morale e culturale. In un tempo di crisi economica mondiale cosi conclamata è necessario adoperarsi per costruire stili di vita nei quali la ricerca della verità, dell'amore e della giustizia siano gli elementi che determinano i consumi, i risparmi e gli investimenti. Un reale superamento dei problemi della globalizzazione può avvenire con l'impegno di tutti, certo delle Istituzioni, mettendo in discussione una prassi quotidiana che non dimostra la crisi.

Ma più che per il significato economico, la sobrietà è importante a livello antropologico: nella sobrietà si manifesta l'interesse per l'altro rifiutando l'ebbrezza dei consumi, dell'accumulo e del possesso. In quanto cristiani non e possibile rinunciare al fondamento etico dell'agire economico.

Un mondo più equo e sostenibile, cioè capace di futuro, nel tempo della globalizzazione, non si costruisce senza di me. Non posso delegare ad altri il cambiamento. Se due miliardi di cristiani fossero convinti di questo sparirebbero dal mondo la fame, la sete e la solitudine. Tutte le povertà sono generate dalla convinzione di autarchia dei più. Lo sviluppo equo-solidale dipende soprattutto dal considerare l'umanità una sola famiglia. Un sistema di solidarietà sociale maggiormente partecipato e organico, meno burocratizzato, permetterebbe di valorizzare tante energie, oggi sopite, a vantaggio dei popoli in via di sviluppo. Ma finché uno si arricchisce alle spalle degli altri, non si può parlare ne di umanità, né molto meno di cristianesimo.

La sobrietà è il nome nuovo delta temperanza: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza sono le virtù cardinali. Ma anche per loro è arrivato il tempo dell'oblio, è diventato difficile sopravvivere.

La temperanza, o sobrietà, è un bene relazionale e quindi produce non ingordigia o agire smodato, eccessivo, ma volontà di ridurre, recuperare, riciclare, ricominciare. Essa ha il potere di colorare la vita e portarla in una prospettiva di stupore per le piccole cose, di attenzione alle sfumature del rapporto, al dettaglio dell'amore.

Dalla civiltà del volere "sempre di più" bisogna passare a quella del "forse è già troppo" per percorrere ancora le strade dell'eleganza nella semplicità, felici non di qualsiasi forma di povertà, ma innamorati di "Madonna Povertà" con la quale Francesco d'Assisi venne a mistiche nozze per conformarsi totalmente alla sobrietà stessa del Cristo povero e Crocifisso.

(agosto 2009)

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Il Beato Giovanni della Verna

Giovanni da Fermo, suo luogo di nascita, o della Verna, luogo dove ha passato la vita, fu un mistico francescano vissuto tra il 1259 e il 1322. Lo stile di vita di Francesco di Assisi, come ricerca di conformità ai perenni ideali evangelici, era ancora pieno di fascino e richiamava persone elette per un radicale discepolato di Cristo.

Giovanni ha saputo sintetizzare il processo della perfezione cristiana nell'impegno centrale della sequela di Cristo povero e crocifisso e nella docilità allo Spirito, che purifica e infiamma del suo splendore, conducendo all'esperieuza rnistica delta divina bellezza nell'estasi della contemplazione.

Nell'opuscolo "I gradi dell'anima" il Beato Giovanni della Verna descrive le varie fasi ascendenti della vita spirituale, con una visione più ottimistica della natura umana, rispetto a quella del maestro ed amico Iacopone dal Todi, che, secondo la tradizione, lui avrebbe assistito nel momento della morte.

Il tema della povertà che ritorna con vigore polemico, talvolta virulento, nelle discussioni e negli orientamenti francescani del tempo, vedi Ubertino dal Casale o Angelo Clareno, non tocca il mistico Giovanni, che si scinde dalla Comunità, e non viene più modellato da questa, anche se si scontra con problemi formidabili a cui cerca di offrire una risposta inebriandosi di Cristo nel più austero ascetismo, con il giubilo del cuore che canta di amore celeste. In lui la conoscenza intellettuale di Dio si trasforma in "sapienza" che permea ogni attività, riconducendo tutto alla devozione, o offerta di sé, a cui tutte le altre cose devono servire.

Oggi è molto difficile parlare di misticismo, di estasi, di contemplazione in un contesto storico dove è venuta a mancare l'identificazione nei grandi valori comuni producendo la secolarizzazione della società in una visione non più religiosa della vita e portando la persona umana ad un individualismo narcisistico. Quanti, oggi, vivono in un'angoscia tenebrosa che 1i rende deboli e indifesi! Basterebbe aprirsi e scoprire il mistero di Dio in noi e di noi in Dio. Ma gli ostacoli sono tanti: le filosofie che negano il sacro, gli stili di vita più edonistici, le sollecitazioni della tecnologia e della telematica.

Il ripercorrere la storia dei Santi ci aiuta a capire che il laico cristiano, il sacerdote o il religioso non possono esaurirsi nel ruolo di volontari di una agenzia umanitaria, ma devono essere "meno affannati per le attività e più dediti alla preghiera". Solo così il gelo dell'inverno scomparirà dalla comunità cristiana e la primavera, carica di fiori e di frutti, avanzerà. Senza la preghiera le enormi potenzialità dell'uomo diventano pericolose e possono ritorcersi contro l'umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia.

(luglio 2009)

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Pietro e Paolo, il Primo e il Grande

Per Gesù non fu certo una cosa semplice la scelta e soprattutto la formazione degli Apostoli. Quanta fatica per dirozzare Pietro, il primo dei Dodici! E Paolo, il Grande, dovette fulminarlo sulla Via di Damasco.

Nei tre anni, circa, di convivenza, Pietro si era messo in testa di difendere Gesù da ogni umiliazione e sofferenza, sinceramente convinto di essere un discepolo generoso, che non si risparmia e quindi non avverte nessuna necessità di convertirsi, di cambiare la mentalità del pescatore di Galilea in modo radicale. E Gesù, spesso con parole molto forti, gli ripete che si deve convertire pur conoscendo che gli vuole immensamente bene e vuole proteggerlo dall'incomprensione delle folle e dall'odio dei connazionali.

Pietro aveva pensieri di umana grandezza, come del resto un po' tutti i dodici: basti ricordare la disputa dopo la richiesta di due posti di privilegio della Madre dei figli di Zebedeo.

Pronto a dare la vita per Gesù e subito dopo a rinnegarlo, ma anche disponibile al primo sguardo del Maestro a piangere lacrime amare di pentimento.

Potremmo dire che Pietro è di una ricchezza umana eccezionale, che fa quasi resistenza alla Grazia, ma poi cede con la semplicità di un bambino quando alla triplice domanda di Gesù risponde per tre volte "Lo sai, o Gesù, che ti voglio bene": ed è costituito nel Primato.

Molto più sensazionale e la vocazione di Paolo, "afferrato da Cristo": giudeo, fariseo della setta più rigida dell'ebraismo, accanito nel sostenere le tradizioni dei padri, "bestemmiatore, persecutore, violento" come si definisce lui stesso nella prima lettera a Timoteo, violentemente allergico alla predicazione cristiana che richiedeva di riporre la propria fede su un uomo morto da maledetto appeso ad una croce. Ma quando le circostanze lo richiedono afferma con estrema decisione: "Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro?" Paolo è stato sottratto ad un certo modo comune di vivere dei Rabbini, per essere il beneficiario di una relazione speciale con Dio.

Nelle sue Lettere dimostra una consapevolezza molto profonda del dono straordinario che gli è stato fatto con amore generoso e gratuito: "Dio si compiacque di rivelare il Figlio suo in me, perché lo annunziassi fra le nazioni."

Al Concilio di Gerusalemme il Primo e il Grande vennero a contrasto sul rapporto tra legalismo e interiorizzazione del messaggio di Cristo. Ma concludono con la formula che da allora e per sempre quella della Chiesa di fronte alle scelte umanamente difficili: "Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso..." Il divino e l'umano fanno sintesi per la salvezza dell'uomo nel progetto di Dio.

(giugno 2009)

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Maria, Vergine fatta Chiesa

Tommaso da Celano, il primo biografo di San Francesco, ci dice che il Serafico Padre circondava di indicibile amore la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà; a suo onore cantava lodi particolari, innalzava preghiere, offriva affetti tanti e tali che lingua umana non potrebbe esprimere.

Nel "Saluto alla beata Vergine", dopo gli appellativi già noti di "Signora", di "Regina", di "Madre di Dio", ecco l'intuizione che solo una profonda intimità d'amore teologico poteva concepire: "Maria, vergine fatta Chiesa".

Occorre capire in profondità questa unità di comunione, quasi sostanzialità, tra Cristo e la sua Madre. Ella è il palazzo, il tabernacolo, la casa, addirittura il vestimento: e il termine non ha qui un senso tessile, ma dermico, di pelle, anzi vuole indicare che Maria ha dato carne a Dio, ha rivestito il Figlio di Dio della temporalità, della finitezza, della fragilità, come della tenerezza, della solidarietà e di tutto ciò che e il patrimonio umano di ogni creatura; ma non la carne di peccato. E ne è diventata la prima casa in luogo di tutta la realtà cosmica facendosi accoglienza e sintesi dell'esistente, per poi trasmettere la pienezza di Grazia ricevuta e partorire nella Pentecoste la continuità spazio-temporale del Cristo storico, la Chiesa, la comunità dei credenti. Madre di Cristo, Madre della Chiesa, perché la Chiesa è l'Incarnazione del Figlio di Dio: "Ecco, ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote" (FF. 144). Il Figlio di Dio si annienta e si ritrova nell'umiltà di Maria, svuotandosi, senza lasciarla, della sua divinità per riempirla della nostra umanità, senza annientarla, ma fondendo natura umana e natura divina nell'unicità della sua Persona.

Maria e tramite tra l'umano e il divino e permette alla povertà del peccato di essere redenta dalla ricchezza della Grazia.

Francesco contempla estasiato l'umile monumentalità di questa Donna pensata fin dall'eternità, promessa fin dai primi giorni della nostra storia, nell'esperienza di Eden, prefigurata dalle grandi donne bibliche, realizzata nella pienezza dei tempi. E lo stupore ci coglie di fronte a Maria, cantata dai poeti, contemplata dai Santi, sommamente amata ed invocata dal popolo di Dio, dalla povera gente, dagli ultimi della nostra storia, che sono la vera Chiesa di Gesù il Cristo, Figlio di Dio, oggi.

Maria è l'unico modello di vera emancipazione delta donna: della donna vergine, della donna sposa, della donna madre:, l'unica dignità contro ogni mercificazione della femminilità malamente enfatizzata dai mezzi di comunicazione sociale.

(maggio 2009)

Luca della Robbia, Madonna con Bambino, formella in maiolica, Firenze, Museo del Bargello

Luca della Robbia, Madonna con Bambino, formella in maiolica, Firenze, Museo del Bargello

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Primavera Francescana
16 Aprile 1209, Gemmazione dell'Ordine

La Porziuncola, quella piccola chiesa della piana d'Assisi, dedicata a Santa Maria degli Angeli, la Madre di Dio, è la culla dell'Ordine dei Frati Minori. Lì sono nati. Lì sono cresciuti. Da lì sono partiti come uno stormo di rondini. Ad ogni stagione torneranno al nido: ogni frate dell'Ordine, almeno una volta in vita, vorrebbe inginocchiarsi all'interno della Porziuncola per ascoltare il cuore di Francesco, che palpita d'amore per l'umanità di Cristo e dei lebbrosi: concretezza del Vangelo dell'amore.

All'inizio della primavera del 1209, Francesco ha già ricevuto in dono undici fratelli, lui è il dodicesimo di quest'inusitato drappello apostolico, e decide il grande viaggio verso Roma, per sottoporre il suo progetto di vita al Signor Papa.

Con Francesco c'è Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio, Silvestro, Sabatino, Morico, Giovanni della Cappella, Filippo Longo da Rieti, Angelo Tancredi, Giovanni di San Costanzo, Barbaro e Giovanni di Vigilante: un fenomeno ecclesiale stava germogliando per dare trasmissioni e riverberi nei secoli dei secoli: otto fino ad oggi.

L'impatto con la Curia romana e con il Papa Innocenzo III fu drammatico: gli fu detto,di andare a badare i porci e dare loro in pasto l'abbozzo di Regola che voleva presentare all'approvazione.

Ma Dio, che conduce la storia di tutti e di ciascuno, fece cambiar testa anche al suo Vicario Innocenzo III, che, dopo il fatidico sogno del crollo della basilica del Laterano, li autorizzò alla predicazione.

E annunciavano il Vangelo di pace e di bene ai contadini e ai padroni o ai nobili, non con un modo di parlare chiesastico, ma con linguaggio assolutamente popolare, per spegnere le inimicizie fra i Maggiori e i Minori. Andavano in giro per le strade e attraverso i boschi, si fermavano a pregare nelle Chiese, servivano nei lebbrosari, passavano le notti nei fienili o sotto gli alberi, facevano ore di lavoro con i contadini per guadagnarsi un tozzo di pane o una minestra ed erano gioiosi esortando alla penitenza, a ravvedersi dai vizi e a praticare le virtù.

"Molte persone, vedendo i frati sereni nelle tribolazioni, alacri e devoti nella preghiera; non avere, né ricevere denaro, coltivare tra loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente discepoli del Signore, venivano da loro ed essi davano consigli utili alla loro salvezza".

O Padre San Francesco, ottieni ai tuoi figli e a tutta la grande Famiglia francescana, dopo otto secoli di storia, la freschezza dei primi giorni nella fede e nella carità, per poter vivere con "Madonna Povertà".

(aprile 2009)

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Insieme

Se riandiamo ai primi giorni della nostra storia, in Eden, troviamo che Jahweh dice a se stesso che non è bene per Adamo essere solo. E nel Qoelet si legge: "Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno maggior vantaggio nel loro travaglio. Se uno cade l'altro lo rialza. Guai invece a chi è solo: se cade non ha nessuno che lo rialzi".

L'esemplarità ottimale della non solitudine sprofonda fino all'incomprensione nel mistero trinitario: un solo Dio, ma in tre Persone, uguali e distinte: "Trinità perfetta e Unità semplice". Dio non è una monade di platonica memoria, ma comunione; Dio è vita e la vita e condivisione, è ricevere e donare: la comunione è amore ricevuto e donato. Gesù fondando la sua Comunità ha sempre fatto riferimento alla comunione: Che siano una cosa sola come Io e Tu, Padre, siamo una cosa sola": unità perfetta l'insieme di Dio.

Anche la comunità dei credenti in Cristo è chiamata a fare unità: "Come i chicchi di grano radunati dalla piana e dalla collina formano un solo pane, così i Cristiani siano una sola cosa": insieme. Unione non confusione.

Oggi perfino di Dio si ha spesso una percezione del tutto individualistica, che esaspera l'idea dell'autonomia e dell'autosufficienza di sé e del proprio destino. La società contemporanea, con le sue proposte da brivido, ha prodotto solitudine arida e amara, ha fatto pensare di aver toccato il massimo dell'ebbrezza e l'attimo dopo ci si scopre in una alienazione debilitante; ha lasciato credere che l'uomo d'oggi debba fare titanicamente da sé e che la vita possa scorrere impavida e brillante. Non è di poco conto questo inganno.

Il nostro Dio ci parla come ad amici, quasi a coetanei, perché ci ha fatti eterni come Se stesso, e ci ha invitati ad abbandonare l'"Io", la solitudine, per formare un "Noi" con Lui ed essere nel mondo il suo eterno presente abbandonando le derive di soggettivismi eccentrici e capziosi.

I seguaci di Gesù formano una comunità, cioè un insieme di persone che intende vivere la comunione, nella dimensione più intensa possibile, come ci raccontano gli Atti degli Apostoli: "Nessuno diceva questo è mio o questo è tuo, ma tutto era di tutti, secondo le necessità di ciascuno". Ed è quello stile di vita che adottò Francesco d'Assisi per la sua fraternità, l'Ordine dei Frati Minori, che proprio quest'anno compie otto secoli di storia: una storia di apertura all'altro, di servizio agli ultimi, di accoglienza rispettosa dei più indifesi, di fiducia nell'uomo e nelle sue capacità di imparare anche dagli errori. Un lavoro che noi, frati minori, vogliamo ancora fare insieme a tutti i fratelli di buona volontà per eliminare ogni chiusura reciproca e tutte le solitudini. Da ogni momento difficile non se ne esce da soli, ma solo se lavoriamo insieme. Ce lo hanno ricordato ultimamente anche i nostri Vescovi riuniti in Consiglio permanente.

(marzo 2009)

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Fermati!

Fermati. Quanto meno rallenta la tua corsa, esci dalla folla in fuga e conquista il ciglio della strada: considera quanto è inutile l'andare senza meta.

E chi non corre vaga solitario nei meandri di un tempo non vissuto e non capito nel suo inesorabile fluire: scontento del tutto che possiede o che vorrebbe avere.

È di pochi poter fruire d'un filo d'Arianna quale è la fede nel Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, nel Dio di Gesù Cristo: unico orientamento sicuro nel dedalo dei faticosi giorni.

Pensa all'ieri che più non t'appartiene, all'oggi che si consuma allontanandosi da te, al domani che non hai ancora.

Io, essere quasi disperso nell'infinito che mi circonda, dove posso volgere lo sguardo senza perdermi nel più tetro oblio o nella più cupa disperazione? Devo trovare, voglio trovare tra le nebbie che mi circondano un led acceso: una piccola luce che mi ridoni speranza, che mi riporti sulla via della gioia, che mi liberi dalla solitudine, dalla paura della morte che si avvicina: punto saliente del divenire persona.

Niente di più falso dell'aforisma "si nasce per morire": la morte ci partorisce alla vita, quella vera, ci trasforma nell'Amore creativo, in creature divine, amate e capaci di amore per sempre. La morte ci fa uscire da sentimenti oscuri e da impulsi distruttivi.

Anche Francesco di Assisi, poco più che diciottenne, usci dalla folla in corsa e si torceva interiormente per non saper dove volgere il cammino: "Nessuno mi diceva cosa dovessi fare...". Poi un fatto, un incontro: Qualcuno si è fermato accanto a me. Mi cercava e mi ha trovato. Mi ha preso sottobraccio e mi ha condotto dove non pensavo si potesse trovare senso e sapore di vita, luce e gioia del cuore, giubilo della mente, speranza e dolce tenerezza: "Il Signore stesso mi rivelò che dovessi vivere a norma del Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo e ciò che prima mi sembrava amaro, mi si cambiò in dolcezza di anima e di corpo".

Fermati, riprendi fiato. Abbi il coraggio di liberare i tuoi occhi dalle squame del pregiudizio e osserva il panorama nuovo che ti si pone davanti: troverai pace, gusterai l'amicizia, gioirai della condivisione d'amore. Osserva nel prato le margherite e le viole, riflesso delle stelle che sono in cielo; guarda le onde che si frangono da sempre nei duri scogli o lambiscono appena la battigia. Vedi le montagne di ghiaccio o i deserti assolati. Osserva ancora il vecchio dallo sguardo annebbiato sulla memoria del mondo, o gli occhi profondi quanto l'infinito dell'ultimo nato. Fermati e pensa: la vita non e una corsa. Gusta i sapori, non trangugiare i giorni che ti sono dati.

(febbraio 2009)

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Contare i giorni

La via della saggezza non è evasione dalla vita: solo la sapienza del cuore ci insegna a contare i nostri giorni, contro ogni ossessiva ricerca dell'illusione che il tempo sia per sempre. L'illusione del tempo eterno è una spinta aggressiva e perentoria della non-speranza verso sponde che stanno al di la dello spazio che ci è dato.

Stiamo vivendo la maggiore crisi nella storia dell'uomo, provocata dal feticcio dell'azione e dal tragico oblio della preghiera e della meditazione: è crisi di pensiero a sua volta precedentemente sconvolto dalla idolatria delle ideologie.

Per noi cristiani è crisi di armonia fede-opere. La fede è dissociata dalle opere: omissioni, tradimenti consumati in nome di una scusa sempre pronta, chiudere gli occhi davanti a ciò che ci disturba, perché domanda impegno e generosità. Quindi è crisi di amore dentro una vita adattata alla mediocrità, alla rinuncia a tendere in alto, a fuggire la violenza esigente della carica.

Imparare a contare i giorni e ritrovare la speranza per la vita di ognuno e per la vicenda di tutti.

Nel lento trascorrere delle vicende umane, i ricchi di giorni, sono coloro che hanno imparato l'arte di vivere coniugando tempo ed eterno, azione e contemplazione, morte e vita.

La sapienza del cuore aiuta ad accorgerci del decadimento fisico, delle forze fattesi fragili, dell'annebbiamento della vista e della memoria, per raggiungere quella ricchezza interiore che è quiete testimoniale per le nuove generazioni.

"Sessanta, settanta anni, ottanta per i più robusti, questa è la vita dell'uomo sulla terra... poi in un giorno e in una notte ci arrotoli come una tenda di pastori".

Il contare i giorni entra nel silenzio dell'attesa, che diventa desiderio di tornare a casa, là dove c'era stato consegnato il pallottoliere, perché non dimenticassimo di enumerare coscientemente i giorni, i mesi e gli anni della parentesi terrestre.

La sapienza del cuore ci aiuta a muoverci liberamente e con gioia nel fluire della vita. Una vita dipanata nel festoso canto dell'amore divino e umano che si fa melodia sempre più soave nella misura in cui diventa sinfonia di menti e di cuori, fino al grande concerto dell'universo, quando raggiungerà il canto totalizzante della gloria di Dio e di ognuno di noi, quando l'oggi che si consuma, quasi in dissolvenza, ci proietterà dal Giudice ricco di misericordia e di giustizia.

Un nuovo anno è un dono che ci carica di responsabilità per costruire rapporti altri tra uomo e mondo.

(gennaio 2009)

Cristo Pantocrator, mosaico del Duomo di Cefalù, Palermo

Cristo Pantocrator, mosaico del Duomo di Cefalù, Palermo

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Gesù Messia

Nel frastuono dei fatti del giorno la memoria degli eventi passati si obnubila sempre di più: tutto avviene in superficie e velocemente e subito precipita nell'abisso dell'oblio perché incalzano altri richiami, altre sollecitazioni per emozioni fugaci, di un solo momento. L'ignoranza del passato recide la trasmissione del sapere che dovrebbe essere la prima preoccupazione di chi è preposto alla formazione della persona umana. Domina invece una demagogia tendente a creare la società del demerito con il predominio dei peggiori e degli incapaci.

La polverizzazione prolungata della memoria storica ha prodotto una folla di sradicati, in capaci di guardare in alto e tanto meno avanti, bensì ripiegati sull'illusorio individualistico.

È il messaggio dei falsi "Messia" della politica, non più intesa come saggio governo della Cosa pubblica, e dell'economia, non più oculata conduzione della casa comune.

La voce della verità e soffocata dal suono di tanti flauti magici degli odierni incantatori dei popoli. Si suonano musiche allettanti che distolgono dal reale per condurre su apparenti pascoli abbondanti in oasi inesistenti. È l'illudente lavoro dei "Messia del momento", che non liberano dalle angosce, dagli egoismi, dai pregiudizi, dall'isolamento, ma conducono a trasgressioni universalistiche, ad emancipazioni omicide. La nostra Europa dovrebbe saper bene chi sono i falsi "Messia". "Troppi", direbbe il Giusti, "nati Pulcinella si vendono per Messia".

Purtroppo, la volontà di dimenticare ha già cancellato le ferite del ventesimo secolo: ha esorcizzato le camere a gas, i campi di concentramento, i gulag, le purghe e i manganelli di casa nostra.

Eppure duemila anni fa "Qualcuno" venne per dare un'impostazione diversa alla vita dell'uomo sulla terra, per indicare la possibile costruzione di una società basata sul rispetto, sull'accoglienza reciproca, nel concreto progetto della solidarietà e della condivisione.

Il terzo millennio ci trova ancora impreparati alle nostre responsabilità, per cui ci sentiamo liberi dall'obbligo di agire. E anche questo Santo Natale per troppi cristiani si esaurirà in una malsana gioia generale, dimentichi delle disgrazie del mondo e delle sfide dell'avvenire.

Buon Natale, con Gesù, intermediario tra Dio e l'umanità, l'unico vero Messia che può rendere possibile un avvenire nuovo e luminoso.

(dicembre 2008)

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Dio, dove sei?

Non suoni blasfema la domanda: spesso e espressione di una fede provata, di situazioni drammatiche al limite della sopportazione umana o di chi si trova sull'orlo della disperazione.

L'interrogativo sorge spontaneo soprattutto quando à l'innocente che soffre, quando la persecuzione o la calunnia arrivano inaspettate e non esiste possibilità di difesa, quando il dolore lacera il cuore di una madre o di chi si sente tradito.

Dove sei, o Dio, ci domandiamo un po' tutti quando intere popolazioni sono sopraffatte dalle ingiustizie sociali o tormentate dalla guerra, quando disastri ambientali o cataclismi naturali fanno sentire tutta la fragilità e la pochezza dell'uomo.

Forse anche San Francesco nella fase del "nessuno mi diceva cosa dovessi fare" ha pensato cosi, si è domandato dove fosse Colui che aveva conosciuto attraverso la religiosità della Madre o le formule del catechismo imparate a memoria sotto la pressione del Prete della Chiesa di San Rufino.

Ma quel Dio lontano lentamente si avvicina, trova qualche mediazione per farsi sentire, per dire tutto il suo amore di preferenza per chi soffre e per sostenere la speranza di un futuro migliore. Poco a poco si apre il libro di Dio che è il creato dove primeggia la creatura plasmata a sua immagine e somiglianza, che è fatta capace di intuire come l'universo intero costituisce la scala per ascendere a Dio salendo dalle cose inferiori alle superiori, dalle esterne alle interne, dalle temporali alle eterne (San Bonaventura in "Itinerario della mente in Dio"). E nel momento in cui meno lo aspetti, si rivela manifestandosi alle potenze dell'anima, deformate dal peccato originale e riabilitate dalla grazia della Redenzione.

A questo punto la domanda cambia: non più "dove sei o Dio?", ma "chi sei, Dio?"

Chi sei Tu o Dio? La risposta, ordinariamente, non arriva subito come a Mosè nel "Roveto ardente", ma segue un processo lungo secondo le capacità recettive di ogni persona e con intensità di rivelazione sempre diversa.

La via che porta alla risposta non e che l'amore ardentissimo al Crocifisso ,e questo amore infiammò tanto la mente di San Francesco che il Serafino alato impresse nella sua carne le sacre Stimmate della Passione. Fu questa esperienza che fece sgorgare da quel cuore innamorato la biblica risposta "Tu sei... ", quasi eco del Roveto ardente: "lo sono colui che è".

(ottobre 2008)

Beato Angelico, Stimmate di san Francesco, 1429-30, tempera su tavola

Beato Angelico, Stimmate di san Francesco, 1429-30, tempera su tavola

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Le Stimmate di San Francesco

Francesco, dopo essersi lasciato lavorare interiormente dall'Artefice di ogni perfezione, qui alla Verna desidera provare ciò che Cristo Gesù ha provato mentre per amore dava la sua vita per l'umanità. Non chiede un racconto, non chiede spiegazioni, non chiede nemmeno di capire, ma di provare! E la risposta che riceve dal Signore è un'esperienza unica. Francesco prova, sente, vive ciò che Cristo ha provato. Non gli basta l'animo e le emozioni, non gli basta il cuore e il sentimento, non gli basta neppure la mente e l'intelletto, ci vuole anche il corpo! Tutto di Francesco, spirito e carne, animo e corpo, anche il suo fisico viene avvolto dal mistero ineffabile dell'amore di Cristo, l'amore provato nella sua Passione e Morte in croce.

Davanti al lebbroso Francesco aveva conosciuto il Cristo a partire dal suo vedere, da uno sguardo suo rinnovato: "ciò che prima alla sola vista gli dava ripugnanza poi si trasforma in dolcezza."

A San Damiano Francesco conosce personalmente il Cristo ascoltando, nell'udire le parole del Crocifisso che gli parla. Alla Verna Francesco chiede di conoscere Cristo in un modo nuovo, non più vedendo, toccando, ascoltando..., bensì provando; "ch'io senta nel cuore mio, quanto e possibile, quello eccessivo amore del quale eri acceso nel sostenere volentieri tanta passione per no' peccatori".

Le Stimmate dunque sono la conoscenza intima e profonda che immedesima a Cristo per conoscere in modo unico, insuperabile: provando; provando ciò che Cristo ha provato. Per questa conoscenza non basta la mente, il cuore, l'anima..., ci vuole tutta la persona: anche il corpo.

Molto, tantissimo conosciamo di Francesco attraverso i suoi scritti, le sue biografie e una quantità smisurata di produzione letteraria e artistica. Ma ciò che conosciamo di Francesco attraverso l'esperienza singolare delle Stimmate, nessuno scritto o artista o poeta lo potrà trasmettere. Solo un approccio alla intima relazione di Francesco col suo Signore (relazione tuttora custodita in questo luogo santo), ci consente di balbettare qualcosa. Francesco stesso qui, a proposito dell'impressione delle sacre Stimmate, ci attesta l'insufficienza delle parole e della comunicazione verbale; infatti al Signore confida il desiderio di una condivisione più profonda.

"Forte come la morte è l'amore!" Nel mistero delle Stimmate Cristo trasmette la forza irresistibile del suo amore, attraverso i segni della morte. Queste ferite, segni della morte, per la potente forza dell'amore diventano segni invincibili di vita. E Francesco ha il privilegio di prendere parte di un mistero tanto grande e sublime. Vediamo allora che in Francesco, l'infinitamente piccolo, si attua il desiderio di Dio Padre che "ha rivelato le cose grandi ai piccoli e le ha fatte conoscere ai semplici".

Guardando Francesco, noi oggi vediamo chiaramente la croce accolta da Francesco per seguire Gesù. In quella, croce scolpita nella carne di Francesco, noi contempliamo il compimento e la perfezione della sequela: seguire Cristo e certamente un percorso verso l'amore, ma e sempre e anzitutto un cammino da fare per amore!

Da questi tratti della Parola di Dio comprendiamo che l'evento custodito in questo luogo non ci lascia spettatori ed estranei, ma ci riguarda e ci coinvolge. Ci riguarda come discepoli di Cristo. Ci coinvolge con la grazia di un mistero d'amore che non si e esaurita. Francesco ancora si fa tramite di questa grazia per conquistarci al bene, per condurci a Cristo, per farci innamorare.

Per queste ragioni sentiamo di avere ancora bisogno di Francesco. Sì, fratello Francesco, abbiamo ancora bisogno di te. Il mondo ha bisogno di te!

Abbiamo bisogno di te, di te che insegni che non c'e sapienza, che non può esserci conoscenza di Dio e delle cose di Dio, senza una relazione personale con Cristo.

Abbiamo bisogno di te, che hai creduto nell'amore per vincere i segni di morte presenti nel mondo: ai tuoi tempi come oggi.

Abbiamo bisogno di te, per riscoprire la dignità e la grandezza del nostro corpo, corpo immagine di Dio, corpo assunto da Cristo, corpo crocifisso per dare vita, vita eterna.

Abbiamo bisogno di te, discepolo fedele, te "il primo dopo l'unico", per confermare ogni giorno il nostro sì a seguire Gesù, povero e umile, e a seguirlo per amore.

Abbiamo bisogno di te, per riportare in ogni creatura il senso dell'esistenza e ritrovare la vocazione di essere lode al Creatore. Abbiamo bisogno di te, frate Francesco, "quale icona di Gesù crocifisso", poiché come te abbiamo bisogno di amore, abbiamo bisogno di Cristo.

(Dall'omelia di fr. Josè Carballo, 17 settembre 2008)

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Segui me

Dio conosce l'uomo, ogni uomo. Dalle sue creature vuole la conoscenza: un rapporto di reciprocità nel possesso d'amore.

Il profeta Osea evidenzia la simpatia di Dio, il cercare ansioso di Dio che attende l'affido totale nella libertà. Dio raggiunge l'uomo attraverso la Parola uscita dall'eterno silenzio e venuta a mettere la sua tenda fra le parole di questo mondo. Lui, Gesù Cristo, è la Parola solitaria ed amante, noi le parole moltiplicate e distratte.

"Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda?"(Os 6, 3-6). Come dire: cosa devo farti ancora per convincerti del mio amore, in che cosa ho mancato per non avere la tua attenzione, la tua risposta d'affetto? Eppure hai come pendaglio in mezzo agli occhi le meraviglie che ho operato per te: dall'Egitto ti ho condotto alla Terra Promessa, facendoti passare le acque del Mar Rosso, donandoti la manna e l'acqua della roccia nel deserto; per te ho fatto venire stormi di quaglie quando eri nauseato dal cibo leggero che veniva dal cielo, ti ho guarito dal morso del serpenti velenosi. Non lavoravi, non seminavi e il tuo Dio ugualmente ti sfamava. "In che cosa ti ho contristato?" "Eppure il tuo amore è come una nube del mattino o come la rugiada che all'alba svanisce".

La chiamata di Dio, pur nell'eterna sua pazienza, è sempre determinata e, se si vuole, anche esigente. Quando, nel mistero delle Sue vedute di salvezza, decide per qualcuno, vuole tutto e subito, non ammette tergiversazioni. Affacciamoci sul Vangelo. Gesù vede alcuni pescatori sulla spiaggia del Mare di Galilea attenti a rassettare le reti e in modo quasi perentorio dice ad ognuno di loro: "Vieni e seguimi". E l'Evangelista annota: "Ed essi, lasciato tutto, subito, lo seguirono". E la stessa storia per Matteo al banco delle imposte. Lo vide e gli disse "seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì.

Affacciamoci sulla storia della Chiesa: Paolo è fulminato dalla Luce di Cristo, disarcionato, e da persecutore diventa apostolo. Francesco d'Assisi passa attraverso l'angoscia interiore della solitudine e nella contemplazione del Cristo Crocifisso sente il comando: "Vai, Francesco e ripara la mia casa che sta per crollare" e diventa la copia perfetta del Cristo che soffre per amore di redenzione.

Margherita da Cortona, Rita da Cascia, Ignazio di Loyola... e mille e mille volte ancora chiama con determinazione forte.

Ma c'e anche l'"eccomi" delicato, suggestivo, estasiante, subito efficace, di Maria, icona straordinaria di ogni ordinaria chiamata di Dio. Della mia che scrivo e della tua che leggi. Dio conosce me e lo e vuole il meglio di noi stessi per veicolare il suo amore paziente.

(agosto 2008)

Caravaggio, Conversione di San Paolo, Roma, S.Maria del Popolo

Caravaggio, Conversione di San Paolo, Roma, S.Maria del Popolo

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Arezzo ieri, l'Italia oggi

Una delle biografie di San Francesco, la "Leggenda perugina", ma anche il Celano e San Bonaventura, ci racconta che la città di Arezzo era interamente in preda allo sconvolgimento e alla guerra civile a causa di due fazioni che si odiavano da lungo tempo. San Francesco, mentre alloggiava in un ospedale del borgo fuori città, scorse un nembo di demoni che si divertivano in quello sconquasso e incitavano tutti gli abitanti a distruggere la loro città con tutte le furie.

Ne fu mosso a compassione e mandò frate Silvestro a cacciare tutti i demoni dalla città, e per la preghiera di Francesco gli abitanti di Arezzo tornarono a pace e concordia. E in altra occasione Francesco ebbe sempre a dire agli aretini: "Vi siete buttati in braccio al demoni che distruggono voi e mandano in rovina l'intera città; voi siete miserabili e incoscienti".

Quanto somiglia l'Italia d'oggi alla Arezzo di ieri!

San Francesco è stato definito il più santo degli italiani e il più italiano dei Santi, ed è Patrono d'Italia e Patrono dell'ecologia.

Ogni italiano dovrebbe avvertire l'urgenza di pregarlo perché scenda dall'alto dei cieli per ripercorrere le strade della nostra patria cosi malconcia a livello politico, morale, sociale: il demonio sguazza nel malcostume di allegre amministrazioni pubbliche, nelle malversazioni delta criminalità organizzata, nei luoghi di divertimento dove regnano lo spaccio e lo sballo, in quelle che erano famiglie e sono diventate convivenze, in quelle persone che erano una volta le mogli o i mariti e ora sono ridotte solo a compagna o compagno.

San Francesco liberi i palazzi del potere dal demonio che vi si è insediato: nonostante l'alternanza delle forze politiche non si riesce ad avere governi che si interessino del bene comune e siano sensibili al grido di un popolo che reclama giustizia e vuole la pace nell'armonia delta verità, vuole salvaguardata la sacralità delta vita e della famiglia nucleo fondante della stessa società civile.

La preghiera che Giovanni Paolo II recitò nella Cappella delle Stimmate il 17 settembre 1993 è sintomatica: "Aiuta, Francesco, gli uomini d'oggi a riconoscere il male del peccato, a liberarsi dalle stesse strutture di peccato che opprimono l'odierna società, ravviva nella coscienza dei governanti l'urgenza della pace, trasfondi nei giovani la freschezza di vita, capace di contrastare le insidie delle molteplici culture di morte. Agli offesi da ogni genere di cattiveria, a tutti i Crocefissi dalla sofferenza, dalla fame e dalla guerra, riapri le porte delta speranza".

Peccato, oppressione, incoscienza, cultura di morte, cattiveria, fame e guerra sono il terreno dove il diavolo si patulla volentieri.

(maggio 2008)

Giotto, La cacciata dei demoni da Arezzo, Basilica Superiore di Assisi

Giotto, La cacciata dei demoni da Arezzo, Basilica Superiore di Assisi

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La bellezza

La bellezza suscita e nutre l'amore e aiuta a recuperare il vero e il bene. Se la verità è solo frutto di argomentazione logica e il bene è visto unicamente come imperativo, non trovano desiderio di attualizzazione. Il bene e il vero vanno presentati nel loro volto attraente e quindi amabile. Del resto se tutto ciò che esiste fuori di Dio è un raggio di Dio, in ogni realtà esistente è presente un germe di bellezza divina, "Divina pulchritudo", che cementa il bene e il vero. Il bello è forma e conferisce forma al bene e al vero.

La via della bellezza è la via di Dio. "Tardi Ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti amai". Ma all'inizio di ogni cammino di ricerca, ogni minimo bene, frammento del tutto, può rappresentare la vetta di ogni desiderio, mentre il bene veramente supremo, Dio, sembra lontano.

Ed è questa visione parziale che conduce alla "sete per il sempre più", all'avidità, alla "sacra fame dell'oro". Anche l'impulso del sapere, come ogni altra capacita dell'uomo, è per sua natura finito. Dice San Paolo: "Non cercate di sapere più di quanto convenga sapere, ma di sapere con misura". Il più infatti distrugge l'armonia e uccide la bellezza, perché non può esistere la bellezza del tutto senza l'armonia delle parti.

"Matto è chi spera che nostra ragione / possa trascorrer la infinita via / che tiene una sustanza in tre persone. / State contente, umane genti, al quia" (Purgatorio III, 34-37).

Rincorrere il progetto di emancipazione da ogni dipendenza estranea all'orizzonte terreno, caratteristica della postmodernità, porta inevitabilmente al male dell'oggi, alla paura della paura, e ai quindici milioni di depressi, solo in Italia: il desiderio mai soddisfatto è l'inferno.

Occorre tornare a contemplare ciò che si vede e ciò che si sente, per gustare la bellezza e la meraviglia delle cose viste.

L'umile innesto della volontà umana nella volontà divina non è rassegnazione al destino, ma il più grande mistero d'amore che alimenta la bellezza e la felicità del mondo.

Cristo è la bellezza incarnata, "il più bello tra i figli degli uomini", ma rinuncia alla sua bellezza: "lo abbiamo visto: non aveva più bellezza, ne decoro", per dare a noi bellezza e decoro. Quale bellezza, quale decoro? "L'amore della carità, affinché io possa correre amando e amare correndo... Guarda Colui dal quale sei stato fatto bello".

Ci perdiamo se cerchiamo la bellezza come qualcosa, la salvezza e nello scoprire che la bellezza è Qualcuno: "Tu sei bellezza". Francesco lo ha scoperto dopo l'esperienza estasiante e drammatica delle stimmate. E Sant'Agostino: "Ecco, Tu eri dentro di me e io mi buttavo sulle cose belle che Tu hai fatto. Mi tenevano lontano da lo quelle cose, che se non fossero in te, nemmeno sarebbero". Solamente con Dio, bellezza infinita, si arriva alla oggettività del bene e del vero. Senza di Lui ogni realtà è frammento che non conviene verso il tutto. Solo il Tutto e bellezza e armonia.

(aprile 2008)

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Novità di vita

Nella latinità l'"homo novus" era colui che arrivava alle più alte cariche istituzionali non per eredità familiare, ma per meriti personali. Catone il Censore è il prototipo di questa novità e non avendo "peccati sociali" di famiglia, poteva sferzare il malcostume dei nobili e l'effimero portato dall'influenze della filosofia ellenistica, che conduceva all'individualismo rifiutando la vita pubblica e l'impegno politico e vivendo come singolo piuttosto che come membro di una collettività organizzata: noi diremmo di una comunità in comunione.

La nostra situazione socio-politica, non molto dissimile da quella di Catone, dominata dalla corruzione e dalla signoria del singolo, avrebbe estrema necessità di autentici censori: nomini nuovi, lontani dal clientelismo, che possano legiferare, denunciando il malcostume, lontani da un integralismo laicista che tende a imporre una religione di stato senza limiti morali, sottoponendo la persona umana alla ricerca scientifica e a manipolazioni genetiche e non invece indirizzando la scienza in difesa della persona, valore supremo non negoziabile.

Il Cristiano è l'"homo novus" per vocazione: il Battesimo seppellisce il peccatore nella morte del Cristo, da dove esce mediante la resurrezione di Lui come "nuova creatura", "uomo nuovo", membro del corpo unico animato dallo Spirito Santo. Questa resurrezione, che sarà totale e definitiva solo alla fine del tempo, si realizza già fin d'ora mediante una vita nuova secondo lo Spirito.

La vita nuova secondo lo Spirito è entrare, mente e cuore, nella "buona notizia" che è il Vangelo; far proprio lo spirito delle beatitudini, incarnarle in ogni aspetto della vita personale per incidere nella conduzione della "Res publica" in un servizio appassionato alla persona umana, specialmente verso coloro che sono diversamente abili o comunque i più deboli della comunità locale o nazionale.

San Francesco propone "un nuovo ordine e una nuova vita", sconosciuti al mondo, realizzabili in un ritorno al Vangelo.

Il discepolo di Cristo sa che solo cercando la verità per il servizio all'uomo è possibile rendere il mondo della globalizzazione, che schiaccia come un rullo compressore la persona, più vivibile e più equo e solidale. La nuova Pasqua, il nuovo passaggio del Mar Rosso, dalla schiavitù verso la terra promessa, cioè una vita nuova, cesserà di essere pura utopia solo a condizione che sia il Risorto a guidare il cammino. Occorrono Maestri saggi, non arruffapopoli.

(marzo 2008)

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Le rughe

Può sembrare strano che alla Verna ci si preoccupi delle rughe o dei cosmetici, ma per chi vive pensando lontano tutto può essere segno e condurre a riflessioni positive.

Le rughe non sono solo sintomo del tempo che è rotolato velocemente portando modifiche sostanziali alla fronte e al volto come processo fisiologico più o meno accentuato, ma inevitabile. Non sono solo indizio di vecchiaia. Più spesso fanno riferimento a stanchezza e sofferenza, oppure possono essere corrugamenti di sedimentazione dei pensieri più riposti, o accartocciamenti di problemi mai risolti che hanno esercitato un'azione parassitaria deturpando la serenità espressiva, rendendo "oscuro et atro" il volto, aggrinzendo il cuore. Sui solchi che si formano sulla pelle si può operare, non so quanto felicemente a livello psicologico, con interventi di chirurgia plastica.

Ma a noi interessa una cosmesi, come azione dell'adornare, molto più profonda, più radicale, più efficace, che sana in radice e rende belle anche le striature epidermiche. È la cosmesi delle virtù teologali: il volto di mia mamma era solcato dagli anni, ma era bellissimo: e le mamme imbiancano, si incurvano, ma non diventano mai brutte. Le mamme vere, naturalmente, quelle che si sono rivestite di amore, di fede e di speranza: le virtù teologali appunto.

La presenza di Dio, nell'uomo o nella donna, illumina lo sguardo, rende incantevole il sorriso, contemplabile il volto, che esprime sapienza, e rende apprezzabile, lezione magistrale, la parola ed il gesto.

La bellezza vera è ricchezza dello spirito, sapienza acquisita nell'ascolto, delicatezza di tratto, loquacità sapiente, silenzio prudente, che attenua la rugosità del cuore altrui e anche quella del volto, perché l'esterno e sempre specchio dell'interno.

La miglior cosmesi è detergere il cuore dall'ampia gamma dei negativi: l'odio, il risentimento, il rancore, l'orgoglio, l'egoismo, la lussuria e tutto il codazzo dei vizi capitali.

Il vizio, come abituale incapacità del bene, abbrutisce: rende torvo lo sguardo e arcigno il volto.

Anche il giovane Francesco di Assisi aveva il cuore in subbuglio e severo il viso, ma, trovato Dio e rivestitosi delle virtù teologali, si sentì inondare di ineffabile letizia e immensa dolcezza e cominciarono ad uscire da lui angoscia e tenebre e trovò una grande luce che dilatava lo spazio della sua mente e, dice Tommaso da Celano, pareva un altro.

La Grazia di Dio è il miglior cosmetico per riavere bellezza e freschezza dello spirito e, perché no?, anche del volto.

(febbraio 2008)

Hans Pieter Brügel, Ritratto di una vecchia, Alte Pinakothek, Monaco

Hans Pieter Brügel, Ritratto di una vecchia, Alte Pinakothek, Monaco 

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Oriente o occidente

Fluisce, da sempre, in due colonne l'umanità. Una folla innumerevole cammina festante verso Oriente e un'altra folla, ugualmente non quantificabile, si sposta, triste e senza speranza,verso Occidente.

Sono uomini e donne, vecchi e giovani insieme, atleti e corpi malformati, saggi e deficienti, che fanno, in modo diverso, le stesse cose intersecandosi e magari confondendosi tra di loro, ma senza cambiare direzione. Amministratori delta cosa pubblica, funzionari di concetto, operatori sanitari, docenti di tutti i livelli, pastori e contadini, fornai e idraulici, pittori e imbianchini, frati e suore, preti, vescovi e cardinali: tutti vanno, ma ciascuno nella propria direzione. Secondo la propria scelta: chi verso Oriente e chi verso Occidente. Dove Oriente è il Vangelo, luce che illumina ogni uomo che è in questo mondo, è calore solare che feconda la terra e ci fa avere i suoi frutti a tempo opportuno, e Occidente è tenebra, gelo della notte, che avvolge tutto in una stretta mortale.

La salvezza viene da Oriente. Chi ha scelto l'Oriente è ancora in possesso della coscienza morale. In chi va verso Occidente la coscienza morale è morta.

Al di là dell'immagine, sono pochissimi, oggi, quelli che hanno saputo mantenere una autonoma capacità di giudizio e non procedono, come la massa, sollecitati da slogan per nulla motivati, né argomentati, che formano l'elemento costitutivo essenziale della società vittima, in modo diverso, prima del marxismo e poi del capitalismo.

Chi ha il potere e vuol dominate, invece di servire, si prefigge di soffocare le coscienze dei destinatari e di spegnere l'istinto di pietà che ogni essere prova nei confronti delta sofferenza fisica altrui. Uno scopo che viene raggiunto veicolando messaggi che possiamo definire "chiacchiere vuote".

Solo mantenendo la capacità di pensare possibile mantenere viva la capacità di giudicare e di opporsi, anche da solo, alla catastrofe morale causata dalle ideologie. L'uomo non è solo il prodotto di condizioni economiche, e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.

Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore, allora esso non eè progresso ma una minaccia per l'uomo e per il mondo, e apre possibilità abissali di male.

Solo se si guarda a Oriente rimane aperto lo spazio per la politica e la conduzione economica come servizio al popolo, per il pluralismo, per la libertà, che la cultura dominante tenta di distruggere. Occorre, oggi, mettere in atto una forma di resistenza etica, che mantenga alta la vigilanza e che ci permetta di pensare e di parlare liberamente.

Il messaggero evangelico fa uso delta sue libertà e sceglie di parlare franco invece delta persuasione, sceglie la verità, invece delta falsità o del silenzio, il rischio di morte invece della vita e della sicurezza, la critica e la denuncia invece dell'adulazione e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell'apatia morale. Quanti cristiani, nel continuo colloquio con la propria interiorità, hanno scelto di morire pur di non venir meno a se stessi e ai valori a cui avevano ispirato tutta la loro vita. E si sono conquistati l'Oriente eterno. Cambiare direzione è passare dall'Occidente verso Oriente, è la conversione a cui ci chiama Gesù, l'Uomo-Dio che ci ama.

(gennaio 2008)

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Buon Natale

Suggestivo il Natale alla Verna. Generalmente ricoperta da una bianca coltre di neve, invasa dai pellegrini che, a mezzanotte, vivono insieme ai Frati, nel tepore della Basilica, il mistero della nascita di Cristo, con il prezioso infantile entusiasmo regalato dalla semplicità di Francesco d'Assisi: a Greccio, quasi belato di amore, chiamava Gesù come l'agnello la pecora madre. Ma fuori è un altro mondo, una realtà più cruda: non il Vangelo dell'Amore incarnato, ma un cristianesimo deviato, che deve urgentemente essere redento per rendere ragione della propria speranza e poter azzerare la corruzione dei politici, dei giudici, degli amministratori, anche dei cosiddetti uomini di Dio, che rendono amara la vita dei poveri: gli operai, le casalinghe, i pensionati, i giovani del precariato, gli studenti delusi, le masse dei tuguri o delle capanne delle periferie delle città dell'occidente o delle metropoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina.

Gesù e venuto nel mondo per togliere le corna e la coda al diavolo, per eliminare le lingue di fuoco dell'inferno per i dannati e le patetiche e soffici nuvolette dei beati, il falcione della morte e la cascata dei sensi di colpa con la cattiveria del corpo che ci ha tormentato fin dall'infanzia, con i pianti a dirotto dell'Angelo custode e il peccato mortale ad ogni piè sospinto. Questa paura di Dio non ci ha dato un mondo migliore. Tra un cristianesimo deviato e un ateismo pratico non so chi offenda di più la dignità della persona umana.

Il cristianesimo deviato ha schiavizzato l'uomo e ha prodotto la paura dell'aldilà, l'ateismo ha eliminato l'autoverifica etica al termine del tempo: chi ne soffre e la libertà dell'uomo che, come ha scritto Bernanos, "si e fatto adulto insieme con ciò che Dio gli ha dato per diventarlo". L'evangelizzazione, oggi, consiste nel far uscire l'uomo dalla paura e farlo incontrare con l'Amore, con il fascino di Dio: condurre cioè l'uomo a capire l'innamoramento di Dio verso tutte le sue creature, che ha tratto dal nulla come "cosa buona".

L'uomo, travisando la sua origine (non creazione, ma disegno intelligente, tra l'altro senza il Divino Disegnatore), e rinnegando il suo destino trascendente si è fatto operatore di disordine morale, di violenza e di morte. Ha preteso di uccidere Dio. Certo Dio è morto, perché l'uomo ha ammazzato l'uomo e il fallimento dell'uomo è il fallimento di Dio, che niente vuole contro la libertà di scelta dei suoi figli.

Gesù, il Figlio di Dio, viene nel mondo per distruggere l'anticipo di un'Apocalisse che l'uomo ha provocato e che cerca di nascondere: un mondo di fuoco e di sangue dove non c'e posto per la speranza.

Gesù viene e ci porta la promessa del Padre, fulcro di un domani di gioia e di felicità messianica: "Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne". Ritrovare l'amore è riscoprire l'uomo e cercando l'uomo si trova il Dio che già ci viene incontro. È questo il senso del Natale.

(dicembre 2007)

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Il complotto

La storia dei complotti anticristiani cominciò più di duemila anni fa nell'Orto degli ulivi a Gerusalemme. Un complotto gestito, come sempre, dai politici. Temevano per la loro posizione influente e non ebbero ritegno a condannare a morte un innocente. Come sempre le poltrone tirano: ogni compromesso può diventare accettabile.

Il popolo obbedisca, soffra in silenzio la sua miseria e sia disponibile ai soprusi dei corrotti. Non osi protestare contro l'ideologia dominante, contro la mafia, la massoneria o i potentati economici. Il popolo deve pagare e tacere. Anche i credenti in Cristo dovrebbero pagare e tacere. Ma noi credenti in Cristo non siamo disponibili alla manipolazione delta verità. La morte piuttosto che dire verità alla menzogna o bene al male.

"Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi e diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia". Lo ha detto Gesù. Non ha fatto promesse illusorie per accalappiare qualche discepolo in più.

E si può dire che la Comunità cristiana non ha avuto un giorno tranquillo nella sua storia. I seguaci di Gesù, in qualche parte del mondo, sono sempre perseguitati, calunniati, messi a morte con le accuse più infamanti.

Oggi come ieri. Con strategie diaboliche laici e massoni scatenano la loro rabbia contro il popolo di Dio screditando moralmente vescovi e sacerdoti: se elimini il pastore il gregge è gia disperso.

Il popolo di Dio sa che anche i suoi pastori non sono impeccabili. Il carisma ministeriale si incarna in uomini deboli e fragili come tutte le creature, ma lo sbaglio di uno non annulla la virtù di mille e mille che donano la vita senza chiedere alcun prezzo.

Chi si rotola nel fango non può che schizzare fango intorno a sé. "Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra", è ancora parola di Gesù detta a tutti, ma prima di tutto a chi si dice suo seguace.

Anche i cristiani spesso complottano contro i loro pastori. Non hanno capito niente del perdono di Gesù, del Suo amore accogliente, della Sua preferenza per i peccatori. "Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori" e "si fa più festa in cielo per un peccatore pentito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza".

Non si capisce come la maggioranza dei nostri politici, nella quasi totalità gente battezzata, cresimata e magari sposata in Chiesa, abbia un odio così velenoso contro la religione a scuola, contro il volontariato, contro il lavoro umile e silenzioso, nel sociale, di migliaia di religiose e religiosi. Le amministrazioni statali e locali ignorano spesso chi rifugge una politicizzazione generalizzata. Non chiediamo privilegi, ma lasciateci lavorare in pace. 0 le vostre coscienze sono così piene di veleno che non potete non far del male?

"Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi." Guai eterni ai Lupi!

(novembre 2007)

Giotto, Il tradimento di Giuda, Padova, Cappella degli Scrovegni

Giotto, Il tradimento di Giuda, Padova, Cappella degli Scrovegni

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Verità e menzogna

Giovanni il Battista chiama con parole di fuoco alla conversione: "Convertitevi e credete al Vangelo, perché il Regno di Dio è vicino e la scure e alla radice dell'albero; ogni pianta che non porta buon frutto sarà tagliata e gettata nel fuoco". Convertirsi è trovare la verità, cioè fare memoria delle proprie origini. Risalire dalla frammentazione al tutto. Cosi come perdere la memoria delle proprie origini è vivere nella menzogna, ragione fondamentale della rovina di ogni vincolo d'amore, di matrimonio, di amicizia, di fedeltà. Nella menzogna nulla fa presa, nulla si consolida, tutto è a breve scadenza, a breve respiro. Ma il bene della verità ha bisogno di tempo, di fermezza, di "memoria" o tutto finisce per degenerare. Quando non c'è un passato di cui rispondere e un futuro da plasmare viviamo in una società "labile", destinata ad una rapida scomparsa, ad un sicuro dissolvimento. La conversione di San Francesco non avviene nell'ascolto del Crocifisso di San Damiano o nel gesto crudo del bacio sulla bocca del lebbroso, ma ha il suo inizio quando, nelle serate di chiasso giovanile, si apparta silenzioso: è il lento cammino della "memoria", il ritorno alla propria sorgente, la riscoperta che è creatura di Qualcuno.

Ecco la prima verità che annienta la menzogna e dà inizio alla conversione: prendere coscienza che non abbiamo il senso di noi stessi in noi stessi, ma siamo creature provenienti dall'eterno e proiettate verso l'infinito.

Chi si forma nell'adorazione della forza e del potere, della ricchezza e del benessere, dell'orgoglio e dell'egoismo vive ancora la fase ferina della non razionalista, deve quindi prima di tutto convertirsi all'umano per poter accogliere il Vangelo della salvezza, cioè il Cristo "Via, Verità e Vita".

In fondo sono proprio i rapporti umani il fatto più importante della vita, tanto che Dio stesso si fa servire da noi nell'umano.

Il convertito sa di dovere e voler essere per gli altri, proprio per l'esemplarità della vita di Gesù Cristo, ed e profonda mente convinto che tutto risale davvero al vivere "in Lui".

Francesco, convertito, sa che nella sofferenza, propria e dell'altro, si nasconde la nostra gioia e, nella morte, la nostra vita. Si è lasciato toccare e impressionare da Dio e, superando la sgradevole desolazione del cuore, ha trovato la dolce consolazione dello Spirito. E lo Spirito fa sempre del nuovo, dell'inaspettato: fa gustare lo stupore della seduzione, il vigore del rapimento, la realtà della contemplazione che vede Dio dall'interno al di là di ogni cosa sensibile.

Il Serafico Padre è uomo che vive del trascendente, ma ogni fratello è Dio in forma umana, in Gesù, l'uomo per gli altri. Il trascendente è il prossimo dato volta per volta, è l'esistere per gli altri. La conversione dalla menzogna alla verità e partecipazione all'umanità di Cristo, senza lasciarsi divorare dal momentaneo, ma conservando la serenità dei grandi pensieri e ricostruendo la misura di tutte le cose.

(ottobre 2007)

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Babele

I cambiamenti sono arrivati imprevisti e anche imprevedibili, almeno nella loro velocità di successione. Ci siamo ritrovati in una società plurale che non ha più un linguaggio comune. Non ci intendiamo più, nemmeno sui principi fondanti. Sono nati gerghi linguistici di settore, incomprensibili alla maggioranza, e si sono creati vasti campi di pregiudizio difficilmente conciliabili con l'amore per la verità.

Non credenti, diversamente credenti, agnostici o sedicenti laici, cristiani delle varie confessioni, praticanti o non praticanti, sono attratti spesso da vane forme di integralismi che snaturano la verità e cadono nella filosofia delle chiacchiere, volgendo l'orecchio alle favole, come dice San Paolo, per il prurito di ascoltare cose nuove. Vittime inconsapevoli dei venditori di fumo o mercanti della parola. Vedi il politichese o la lingua degli elaborati scolastici.

Si distorcono i concetti di fondo, appannando la verità o addirittura falsificandola, in nome di un vieto laicismo neorisorgimentale, assurto a nuova religione di Stato. L'ideologia del male è abilmente mascherata, ma svuota l'uomo e i suoi diritti naturali del loro significato vitale: nuove forme di "totalitarismo" con la maschera della democrazia.

Si e incapaci, oggi, di coniugare verità e libertà in una società italiana ormai acristiana o anticristiana: Babele e non saper cosa si voglia, e voler scardinare ogni logica naturale.

La Chiesa e rimasta oramai quasi sola a difendere l'uomo e la sua dignità. Ma anche tanti battezzati vivono a Babele: accettano Cristo, ma non il Vangelo, oppure il Vangelo senza Gesù Cristo.

Non si tratta di assumere atteggiamenti pessimistici generalizzati, ma di riconquistare l'obiettività e avere il coraggio di domandarci qual è il senso del nostro esserci in questo mondo.

Il vero cristiano non vuole imporre niente a nessuno, ma non può accettare che altri impongano le proprie idee e convinzioni etiche, ed e profondamente sicuro che vivere "come se Dio non ci fosse" non arricchisce, ma depaupera l'uomo.

Svuotare l'uomo dei contenuti spirituali o voler annientare il cristianesimo cattolico in nome della religione laica di tanti politici ed intellettuali non è certamente onesto: predicano dai loro pulpiti mediatici il neo-illuminismo della dea Ragione. E non vorrebbero che noi "suonassimo le nostre campane".

Imbrigliare l'uomo con la filosofia delle chiacchiere è tradirlo in pieno. È rinchiuderlo in Babele.

Francesco d'Assisi, Patrono della nostra Italia, in questo anno otto volte centenario della sua conversione, ci aiuti a cambiare mente per cambiare vita: uscire da Babele ed entrare nel fuoco della verità della Pentecoste, l'antiBabele.

(settembre 2007)

Hans Pieter Brügel, La Torre di Babele, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Hans Pieter Brügel, La Torre di Babele, Kunsthistorisches Museum, Vienna

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Felicità

Proviamo a dare pensiero ad un chicco di grano gettato dalla mano generosa del contadino tra le zolle del terreno solcato. Si trova lì separato dagli altri chicchi, solo, consapevole del suo destino immediato, ma sa che è un passaggio ineluttabile per divenire germoglio e stelo e spiga ed è felice, perché diventerà tanti chicchi, che, uniti ad altri, diverranno pane e quindi vita per tanti. Il suo ideale è essere macinato e trasformato in cibo. Una volontà tenace lo tiene vivo nonostante il rischio di finire nel becco del pettirosso o di essere cotto dal ghiaccio appena tenta di divenire germoglio.

Come il chicco è ognuno di noi, con una storia molto simile in quanto organigramma generale. Solo che in noi c'è coscienza di essere creature pensanti, e ci resta difficile accettare un itinerario di vita prestabilito nei punti focali di ogni esistenza. E ci perdiamo in mille rivoli razionali che illudono per un tempo, ma non soddisfano per sempre, e ci affidiamo, più o meno consapevolmente, alle sorti della fatalità o del destino entrando in una dimensione pagana dell'esistenza, che mai e nessuno potrà rendere felice.

Per essere felici, nel nostro mondo povero e sconvolto, occorre armarci di ottimismo fattivo, ricreare una tenace volontà di recupero, coltivare con coraggio l'ideale consono alla nostra natura umana: la valutazione eterna.

Essere felici è ritrovare lo spirito di semplicità che traspare nella bontà del cuore. Come il chicco nella profondità del solco, Dio ci suggerisce di essere creatori, di costruire un terreno colmo di speranza intorno a noi. Il chicco si svuota della sua sostanza che, peraltro, non lo abbandona, ma si trasforma, per generare nuova vita in un percorso di esodo risurrezionale. Il nostro pettirosso è la fragilità, ma chi fa nascere l seme e risorgere la nostra persona ci dice categoricamente: "Non temere, continua a fidarti."

E i germogli di frumento nel campo si guardano intorno e scoprono di essere tanti, uguali e diversi, ma tutti protesi a divenire spiga, ad essere pane.

Il chicco ce l'ha fatta e... "avremo ancora pane" come ce la fara l'acino e... "avremo ancora vino". E il pane e il vino rendono lieto il cuore dell'uomo.

Per essere lieto devo avere fiducia in me stesso ed essere convinto di procedere sulla diritta via, senza lasciarmene distogliere dalle orme poste di traverso, dei molti che vanno correndo qua e là in direzioni diverse, magari errando proprio ai due lati della via stessa. Ciò di cui si soffre la mancanza è cosa grande e somma, vicina a Dio: la tranquillità, possibile nonostante qualsiasi tempesta. Ma devo seguire una rotta sempre uniforme e favorevole e guardare con letizia alle cose e non interrompere la gioia per rimanere in una dolce condizione di quiete senza mai esaltarsi, né deprimersi.

Il tedio leopardiano, l'essere scontenti di sé, l'inquietudine di un animo che non trova requie in nessun luogo, che non sopporta la casa, la solitudine, le pareti, produce la putredine d'un animo che s'intorpidisce in mezzo ai desideri delusi, Troppi vanno in giro senza uno scopo prefisso, ma si fermano là dove sono inciampati per caso. Un correre irriflessivo, come lo strisciare delle formiche lungo gli alberi: corrono in su e tornano in giù inutilmente.

Se vuoi essere felice lascia cadere i motivi della tua personale tristezza. Se voglio essere felice devo necessariamente staccarmi dal cammino ordinario e portarmene fuori, là dove ora potrei anche aver paura di salire. Diceva il beato Egidio, compagno di San Francesco: "Per andare in suso, bisogna andare in giuso". Come il chicco di grano del resto: se non cade nel solco non farà la spiga. E sarà felice solo quando si troverà tenero germoglio.

(marzo 2007)

Padre Costanzo

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Tratti dal notiziario "La Voce della Verna". L'indirizzo del Santuario della Verna è: 52010 VERNA (AR), telefono 0575-5341. Il sito del Santuario è www.santuariolaverna.org.


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