Elisabetta  

Un autore parla di Elisabetta come di una donna che danza, il cui
grembo danza alla presenza del Signore: non restiamo fermi, allora...

Se pensiamo alla figura di Elisabetta, facilmente la colleghiamo con l'episodio, descritto dall'evangelista Luca nel suo Vangelo, dell'incontro di questa donna con Maria. A questo punto, quasi spontaneamente, la nostra attenzione si sposta e si concentra tutta sulla Madre del Signore, sui Suoi gesti, sulle Sue parole mentre, raramente, ci si sofferma a guardare la figura e i tratti di questa donna che, pur comparendo solo nella prima parte del primo capitolo del Vangelo di Luca, è figura significativa che ci insegna l'abbandono fiducioso in Dio, l'ascolto attento e perseverante della Sua Parola, l'accoglienza docile, la sequela pronta e operosa. Di Elisabetta, Luca ci dice che era una donna giusta davanti a Dio, osservante irreprensibile di tutte le leggi e le prescrizioni del Signore, insomma una vera credente dell'Antico Testamento, osservante esemplare della legge di Mosè e delle pratiche cultuali del Popolo Eletto. Una donna, però, la cui vita era macchiata da una sofferenza: la sterilità, che la tradizione di Israele considerava un disonore, una vergogna, sovente un castigo divino.

Ma è proprio in questa situazione di sofferenza che Dio interviene manifestando la Sua gloria, la Sua potenza, il Suo amore per l'uomo, facendo dono a Elisabetta e a suo marito Zaccaria, di un figlio, Giovanni. "Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini" (Lc 1, 25): queste parole, pronunciate dalla donna al momento del concepimento, vogliono esprimere la lode riconoscente a quel Dio che l'ha visitata, anzi, a quel Dio che, consapevolmente, Elisabetta sa che non ha mai smesso di guardarla e di abitarla, di visitarla e di camminarle accanto.

Ancora l'evangelista ci dice che "concepì e si tenne nascosta cinque mesi" (Lc 1, 24). È Maria, a questo punto, che viene a scovarla, a tirarla fuori da quella meraviglia sconvolgente che l'ha investita. E lei, anziana, avanti negli anni, donna che tanto aveva già camminato nella vita, non si sottrae alla gioia contagiosa di questo incontro così semplice, così spontaneo, così bello ma, allo stesso tempo, così misterioso. Due donne, due grembi non vuoti, non sterili, non solitari, non chiusi ma grembi abitati, parlanti, esultanti, già partecipi dell'esistenza. Elisabetta apre la sua casa, la sua vita, la sua persona, il suo grembo. Non si nasconde più, non pone ostacoli, barriere o misure. Si pone, invece, in ascolto: "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria..." (Lc 1, 41) e "Appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi..." (Lc 1, 44), sono espressioni che sottolineano l'ascolto e, di conseguenza, l'apertura agli eventi della vita che raggiungono Elisabetta stessa in maniera cosi inaspettata.

Apre l'orecchio per aprire poi il cuore e il grembo. E accoglie, e sa accogliere. Per questo non fatica a comprendere che lì, davanti a lei, c'è Dio, è proprio il Dio di Israele, il Dio dei Padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio della sua vita. E, aprendosi, lascia spazio dentro di sé e dentro la sua vita allo Spirito Santo e alla Sua azione. Elisabetta ha accolto Giovanni nel suo grembo, ha accolto Maria nella sua casa e, da nascosta che era, ha vissuto con la Madre del Signore per circa tre mesi, condividendo ogni giorno, e, ogni giorno "spezzando" con lei sentimenti, esperienze, gioia, paura, sofferenza, ricerca: ora, accoglie lo Spirito di Dio nel proprio cuore per lasciarsi docilmente invadere, inondare dalla Sua presenza e da Lui lasciarsi riempire.

Visitata dallo Spirito del Signore: non solamente toccata, sfiorata all'esterno in un passaggio frettoloso, impercettibile o casuale, distratto o obbligato, ma riempita, abitata da una presenza sempre più piena, sempre più consistente, sempre più reale, sempre più unica e preziosa. Ed è questo Spirito che la fa esultare, esclamare a gran voce, benedire, riconoscersi e riconoscere, uno Spirito che la fa acclamare, lodare ma, soprattutto e in conseguenza a tutto ciò, accogliere e sentirsi accolta.

In questo modo, Elisabetta diventa modello di vita per ciascuno di noi, modello di una vita che ascolta, che si apre all'Altro e agli altri, di una vita che accoglie, di una vita mai spenta, di una vita sempre pronta a riconoscere e benedire il Signore che passa, che viene a prendere casa con l'uomo. Tocca ora a noi muoverci, proseguire la corsa insieme a tutti coloro che, già prima di noi, oggi con noi e domani dopo di noi, hanno seguito, seguono e seguiranno il Signore, Salvatore del mondo. Un autore parla di Elisabetta come di una donna che danza, il cui grembo danza alla presenza del Signore: non restiamo fermi, allora, apriamoci alla venuta del Signore verso di noi, a casa nostra. Appena entrerà, anche il nostro grembo, come è stato per Elisabetta, comincerà a danzare, a vivere di nuovo, a vivere e ricercare, tutti i giorni ed ogni giorno, la vita nel Signore.

M. Grellet, "Maria visita Elisabetta", Basilica del Rosario di Lourdes, 1903

M. Grellet, "Maria visita Elisabetta", Basilica del Rosario di Lourdes, 1903