Elettrodinamica Quantistica  

Finora ci siamo occupati delle particelle subatomiche che costituiscono la materia che ci circonda: gli adroni, suddivisi in barioni e mesoni e costituiti da quark, e i leptoni, che invece non hanno costituenti noti. Queste particelle però non sono le uniche, come ha scoperto la moderna Teoria dei Campi.

Il concetto di forza (cioè di interazione tra corpi) ha subito una radicale evoluzione, nel corso della storia della scienza. All'inizio si conoscevano solo due tipi di interazione: la coesione interna dei corpi e la gravità. Mentre però la coesione dei corpi, che ci permette di camminare sul pavimento, di restare seduti su una sedia e di piantare un chiodo in un muro, è una forza di contatto, cioè per agire richiede che due corpi entrino a contatto diretto, la gravità è invece un'azione a distanza, cioè la Luna ruota intorno alla Terra senza bisogno che i due corpi celesti si tocchino. Questa circostanza è ben nota fin dall'antichità, se è vero che Dante Alighieri chiama il centro della Terra « 'l punto / al qual si traggon d'ogne parte i pesi » (Inf. XXXIV, 110-111), ma era spiegata da Aristotele ammettendo che il moto naturale dei corpi è verticale, cioè « per loro natura » la terra e l'acqua si muovono dall'alto verso il basso, così come « per loro natura » l'aria e il fuoco si muovono dal basso verso l'alto.

Questo modo di pensare la gravità venne ritenuto valido fino al Seicento, cioè fino a che Aristotele venne ritenuto il maestro più autorevole che non poteva non avere ragione ("ipse dixit"): chi di voi ha letto "I Promessi Sposi" sa che Don Ferrante, il manzoniano marito di Donna Prassede, era proprio un aristotelico "fuori tempo massimo": « Siccome però que' sistemi, per quanto sian belli, non si può adottarli tutti; e, a voler esser filosofo, bisogna scegliere un autore, così don Ferrante aveva scelto Aristotile, il quale, come diceva lui, non è né antico né moderno; è il filosofo. » (cap. XXVII) Il seicento però fu anche il secolo di Isaac Newton (1642-1727), che con Galileo Galilei fu il padre della Fisica moderna; nel 1687 egli pubblicò il suo capolavoro scientifico, i "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica", nei quali enunciò la sua idea di maggior successo, la Teoria della Gravitazione Universale. A questa teoria ho dedicato un altro ipertesto, ed in esso abbiamo sottolineato come Newton analizzò il problema dell'azione a distanza, risolvendolo a suo modo con la celeberrima frase: « Hypotheses non fingo » ("non formulo ipotesi"). In altre parole, a suo parere il problema dell'azione a distanza apparteneva alla filosofia, e non alla fisica.

Sarà proprio così? Certamente sulla concezione newtoniana influì anche la circostanza, sconosciuta ai più, che l'inglese, oltre ad essere il primo dei Fisici moderni, fu anche l'ultimo degli Alchimisti antichi (lo stesso concetto di "azione a distanza" è stato mutuato dall'Alchimia). Nell'Ottocento però ogni influsso dell'alchimia antica si era ormai esaurito (John Dalton e Joseph Louis Proust avevano già posto i fondamenti della Chimica moderna), e un altro dei grandi padri della fisica, l'inglese Michael Faraday (1791-1867), elaborò la prima vera Teoria dei Campi. A questo punto però le forze della Natura erano diventate quattro, perchè alla coesione dei corpi e alla gravità si erano aggiunte la forza elettrica e la forza magnetica, grazie agli studi di Alessandro Volta (1745-1827), Charles Augustin Coulomb (1736-1806), Hans Christian Ørsted (1777-1851), André-Marie Ampère (1775-1836) e Georg Simon Ohm (1789-1854). Ed anche queste forze operano attraverso l'azione a distanza, perchè i corpi carichi elettricamente e i magneti interagiscono senza bisogno di toccarsi. Per spiegare questo fenomeno, Michael Faraday (che era un autodidatta e veniva da una famiglia poverissima, ma era anche uno dei più straordinari geni di tutti i tempi) introdusse il concetto di campo.

Secondo Faraday, il campo è una regione di spazio in cui ad ogni punto è associata una grandezza, che può essere scalare (ad esempio il campo di temperature in una stanza) o vettoriale (ad esempio il campo di velocità all'interno di un fluido). Ad esempio, una massa m posta in un punto dello spazio lo "deforma", facendo comparire in ogni punto un vettore chiamato campo gravitazionale. Tale vettore però non può essere quello che esprime la forza di gravità, per un motivo molto semplice. La grandezza misurata non può mai dipendere dallo strumento di misura, questo è uno dei concetti base della Fisica. Si ponga dunque una massa m' ad una distanza d da m. Naturalmente la massa m' deve essere assai più piccola di m, altrimenti anch'essa genererebbe un campo, come tutte le masse, e disturberebbe quello generato da m. La forza avvertita dalla massa m' per effetto della massa m è data dalla ben nota Legge di Gravitazione Universale:

Faraday ebbe l'idea di introdurre un nuovo vettore, detto intensità del campo gravitazionale, dato dal rapporto tra la forza F e la massa campione m':

Come si vede, l'intensità di campo gravitazionale è definita come la forza esercitata per unità di massa; la sua direzione e il suo verso coincidono con quelli di F, per cui essa è sempre rivolta verso la massa che genera il campo. La sua espressione analitica è:

Essa ha le dimensioni di un'accelerazione, e infatti coincide con l'accelerazione di gravità. Analogo ragionamento si può ripetere per la forza elettrostatica: in tal caso il campo elettrostatico è definito come la forza divisa per la carica elettrica campione.

Naturalmente questa descrizione dei campi è un escamotage per spiegare come avviene l'interazione a distanza tra due corpi. Tornando infatti all'esempio della gravità, secondo Faraday non appena io pongo una massa m in un punto dello spazio, in tutti i punti circostanti compare un vettore g, che è presente in quel punto anche se lì non vi è alcuna massa; esso è l'effetto della "deformazione" dello spazio causato dalla massa m. Appena però in un punto pongo una massa m', per effetto del campo essa avverte una forza F = m' g. La forza compare solo in presenza della massa, mentre il campo gravitazionale, cioè l'accelerazione di gravità g, esiste a prescindere: il campo stesso coincide con questa distribuzione spaziali di vettori. Invero si tratta di una descrizione davvero ingegnosa, ma non risolve il nostro problema. Esso infatti sposta semplicemente la domanda: non più "perchè due masse interagiscono senza toccarsi?", bensì: "come fa la massa a deformare tutto lo spazio, anche a grande distanza da essa?" Infatti la forza gravitazionale ha un raggio potenzialmente infinito, e dunque la deformazione dello spazio indotta dalla massa avrebbe la capacità di modificare l'intero universo. Come è possibile?

A ciò bisogna aggiungere un altro problema, cui né Newton né Faraday avevano pensato, per il semplice fatto che sono vissuti prima di Einstein. Qest'ultimo infatti ha stabilito che nulla può viaggiare più velocemente della luce. Invece, la perturbazione descritta da Newton e Faraday si trasmette istantaneamente, cioè a velocità infinita. Nessuna moderna Teoria dei Campi può fare a meno di tenere conto di questo fatto. Ma come può riuscirci?

Richard P. Feynman (New York, 11 maggio 1918 – Los Angeles, 15 febbraio 1988)

Richard P. Feynman (New York, 11 maggio 1918 – Los Angeles, 15 febbraio 1988)

La risposta giusta fu fornita da Richard Phillips Feynman (New York, 11 maggio 1918 – Los Angeles, 15 febbraio 1988), uno dei più grandi intelletti del ventesimo secolo: noto come il più giovane tra i partecipanti al Progetto Manhattan, fu anche un grande divulgatore della scienza, oltre che un provetto suonatore di bongo. Eccentrico ed anticonformista, è celebre per la sua "Fisica di Feynman" ("The Feynman Lectures on Physics"), lezioni pubblicate tra il 1964 e il 1966 che sono considerate da molti una lettura obbligata per chiunque si interessi di Fisica a livello universitario. A renderlo famoso presso il grande pubblico è stata però l'autobiografia "Sta scherzando, Mr. Feynman? Vita e avventure di uno scienziato curioso", che lo ha reso famoso presso il grande pubblico e ha rivelato a tutti la sua anima stravagante, spiritosa ed irriverente.

Fu Feynman ad avere l'idea giusta per formulare una Teoria Quantistica dei Campi. Egli propose che l'interazione elettromagnetica si svolga attraverso lo scambio tra due corpi di una particella intermedia, chiamata mediatore di forza o quanto di forza o bosone vettore (dal latino "che trasporta"), la cui massa risulta inversamente proporzionale alla distanza di interazione. Visto il successo che ottenne, questo meccanismo fu poi esteso agli altri tipi di forze conosciuti.

Dal momento che la forza elettromagnetica ha un raggio d'azione infinito, i quanti responsabili di tale interazione devono avere massa nulla; Feynman identificò tali particelle con i fotoni, i quanti di luce introdotti da Einstein nel 1905, che hanno spin 1, e quindi sono effettivamente dei bosoni. L'interazione tra due corpuscoli carichi elettricamente non si esplica in modo diretto ed istantaneo, bensì viene trasmessa con una velocità finita (quella della luce) in seguito all'emissione e al riassorbimento di fotoni da parte delle cariche stesse. Dato che tali fotoni non possono essere rilevati sperimentalmente, si parla di fotoni virtuali. A differenza di un fotone reale, come quello responsabile della radiazione luminosa che possiede un'esistenza tanto lunga da poter essere sperimentalmente rilevato, una particella virtuale non può essere osservata allo stato libero, vivendo un'esistenza troppo breve, e venendo riassorbito immediatamente dopo essere stato emesso.

Per chiarire questo concetto, consideriamo il seguente esempio, ispirato al celeberrimo "Dream Team", la Nazionale Statunitense di Basket, che stravinse l'oro alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Michael Jordan, dei Chicago Bulls, si avvicina al canestro palla in mano, proveniente da sinistra, mentre Magic Johnson, dei Los Angeles Lakers, arriva da destra. Ad un tratto Jordan passa la palla a Johnson. Siccome la palla porta con sé della quantità di moto, essa si sottrae vettorialmente da quella del sistema Jordan + palla, che così cambia direzione. Al contrario, quando Magic Johnson afferra la sfera, le loro due quantità di moto si sommano vettorialmente, e così l'asso dei Lakers cambia direzione, va a canestro e segna con una delle sue proverbiali schiacciate:

Allo stesso modo Feynman descrisse l'interazione tra due elettroni in moto relativo. Ad un certo istante, quando l'elettrone di sinistra si trova in A, emette un fotone virtuale, e di conseguenza cambia direzione e velocità. Questo fotone, rappresentato nel diagramma sottostante dalla linea ondulata, viene successivamente assorbito in B dal secondo elettrone, che a sua volta cambia direzione. Dato che il fotone non viene rilevato, le due particelle sembrano avvicinarsi e poi respingersi per una misteriosa azione a distanza; in realtà tra di esse vi è stata un'interazione attraverso la particella mediatrice, emessa dall'una e assorbita dall'altra, che ha garantito il "contatto" fra le due particelle, e si è propagato a velocità finita. Dobbiamo dunque immaginare ogni particella carica come se fosse circondata da una "nuvola" di fotoni virtuali, emessi e continuamente riassorbiti, che in presenza di altre particelle cariche interagiscono con esse, dando vita all'attrazione o alla repulsione tra cariche. Questo andamento dell'interazione elettromagnetica può essere schematizzato attraverso la rappresentazione sottostante, detta diagramma di Feynman:

Questa teoria supera l'elettrodinamica classica, aggirando le sue inalienabili difficoltà, come l'azione a distanza e la propagazione a velocità infinita, e prende il nome di Elettrodinamica Quantistica. Noi la abbrevieremo con la sigla QED, dall'inglese Quantum Electro-Dynamics. Essa descrive tutti i fenomeni che coinvolgono le particelle cariche interagenti per mezzo della forza elettromagnetica, includendo la teoria della Relatività Ristretta, ed è stata definita "il gioiello della fisica" per le predizioni estremamente accurate di quantità come il momento magnetico anomalo del muone. Anticipata dai calcoli di Paul Dirac, Wolfgang Pauli ed Hans Bethe, fu formulata nella forma odierna negli anni cinquanta del Novecento da Richard Feynman con la collaborazione di Shin'ichirō Tomonaga (1906-1979), Julian Schwinger (1918-1994) e Freeman Dyson (1923-). Per la formulazione della QED, Feinman, Schwinger e Tomonaga furono insigniti del Premio Nobel per la Fisica nel 1965.

Un particolare tipo di diagramma di Feynman è rappresentato dai cosiddetti diagrammi a loop, in cui la particella virtuale emessa, nel nostro caso un fotone, si "materializza" dando luogo a una coppia particella-antiparticella che subito dopo si annichila, riproducendo un fotone che completa l'interazione:

L'aspetto più difficile della Meccanica Quantistica, consiste proprio nel tenere conto di tutte le possibili situazioni che possono dar vita a un evento di interazione, inclusi questi loop e la creazione di nuove particelle riassorbite immediatamente dopo! Ad ogni evento di interazione, cioè ad ogni tipo di diagramma contenente quanti loop si vogliono, secondo la Meccanica Quantistica corrisponde una certa probabilità. Ad ogni "vertice" di un diagramma di Feynman viene attribuito un coefficiente minore di uno, e di conseguenza il contributo complessivo di ogni tipo di diagramma, proporzionale al numero dei suoi vertici, diminuisce all'aumentare di tale numero. Sommando contributi sempre più piccoli alla probabilità totale, si ottiene una serie di probabilità con valori decrescenti, e più contributi si sommano, più risulta accurato il calcolo della probabilità complessiva. Il prezzo da pagare per tale accuratezza è quello di avere, all'aumentare del numero di loop, un numero crescente ed assai maggiore di diagrammi e quindi di contributi da calcolare. È stato calcolato che, se anzichè uno come nella figura soprastante, i loop sono due, i diagrammi possibili di cui tenere conto sono 7. Se i loop sono tre, i diagrammi diventano 72; se sono quattro, i diagrammi salgono ad 891, e con cinque loop i diagrammi diventano più di 12.000. Calcolare con grande accuratezza le probabilità delle interazioni tra le particelle significa quindi studiare diagrammi sempre più complicati e contorti, che congiungono in tutti i modi possibili le particelle coinvolte.

L'Elettrodinamica Quantistica permette di spiegare anche altre proprietà piuttosto enigmatiche degli elettroni, tra cui lo spin. Come sappiamo, Wofgang Pauli dimostrò che gli elettroni devono avere un momento angolare intrinseco, oltre che uno orbitale dovuto alla rotazione della particella intorno al nucleo atomico. Per interpretare tale momento angolare intrinseco, i fisici olandesi George Eugene Uhlenbeck (1900–1988) e Samuel Abraham Goudsmit (1902–1978) suggerirono che esso ruotasse su se stesso, come la Terra ruota attorno al proprio asse, oltre che attorno al sole (spin in inglese significa "trottola"). Ma, nonostante le apparenze, gli elettroni non possono ruotare su sé stessi: per manifestare il momento angolare intrinseco misurato, infatti, le loro superfici (ammesso che abbiano una superficie) dovrebbero muoversi molto più velocemente della luce, il che è manifestamente impossibile. Eppure, l'esistenza dello spin è incontrovertibile, tanto che nella seconda metà del XX secolo, lo spin è stato sfruttato per sviluppare i laser, spiegare il comportamento dei superconduttori e aprire la strada verso la costruzione di computer quantistici. Ma se gli elettroni devono avere uno spin pur non potendo ruotare su sé stessi, da dove viene il momento angolare? Di solito esso è considerato un effetto relativistico, cioè un termine aggiuntivo che tiene conto del fatto che l'elettrone si muove a una velocità prossima a quella della luce, come suggerì Paul Dirac nel 1940. Tuttavia questa risposta non soddisfa tutti. Secondo Charles Sebens, filosofo della fisica al California Institute of Technology, la risposta va cercata nella teoria quantistica dei campi (come la QED), perchè l'elettrone è normalmente considerato una particella, ma nella teoria quantistica dei campi ogni particella può essere pensata come l'effetto di un campo. In particolare, l'elettrone può essere considerato come un'eccitazione in un campo quantistico noto come Campo di Dirac, e questo campo potrebbe essere quello che trasporta lo spin dell'elettrone. Potrebbe esserci una vera e propria rotazione di energia e carica nel campo di Dirac, e se è qui che risiede il momento angolare, il problema di un elettrone che ruota più velocemente della velocità della luce svanirebbe; la regione del campo che trasporta lo spin di un elettrone sarebbe molto più grande dell'elettrone stesso, che sembra puntiforme. Quindi, secondo Sebens, Uhlenbeck e Goudsmit avevano ragione a metà: non c'è una particella che ruota se sé stessa, ma c'è un campo di rotazione, e questo campo è ciò che dà origine alle particelle. Molti fisici sono scettici su questa interpretazione, che non si sa ancora se è applicabile o meno anche al positrone, ma le ricerche dimostreranno se l'idea è corretta, come tutti speriamo.

E non è tutto. Infatti, l'Elettrodinamica Quantistica prevede anche una proprietà chiamata crossing, che permette di interpretare le antiparticelle nientemeno che come particelle che viaggiano indietro nel tempo! Dal momento che nelle funzioni d'onda compare sempre il prodotto tra energia e tempo, quando considero energie negative (cioè antiparticelle), se cambio anche segno al tempo, tutto resta come prima. Insomma, se in un punto dello spazio si crea un elettrone, questo è equivalente a dire che si annichila un positrone, ed un positrone che vive in un tempo lineare, seguendo quella che è per noi la freccia del tempo, è equivalente ad un elettrone che viaggia a ritroso nel tempo. Consideriamo ad esempio un elettrone e un positrone che si annichilano, dando vita ad un fotone. Anziché con il diagramma di Feynman a sinistra, in cui un elettrone e un positrone viaggiano in avanti nel tempo e si annichilano nello stesso punto producendo un fotone, si potrebbe rappresentare lo stesso fenomeno con il diagramma di destra, in cui un elettrone ad un certo punto emette un fotone e rimbalza indietro nel tempo:

Si consideri in alternativa il seguente diagramma di Feynman, che mostra la creazione e la successiva annichilazione di un positrone, con l'asse delle posizioni in ascissa e l'asse dei tempi in ordinate. In genere questo diagramma viene cosi interpretato: il fotone C, raffigurato dalla linea ondulata proveniente dal basso, crea una coppia elettrone-positrone in corrispondenza dell'evento 1; l'elettrone, contrassegnato con B, se ne va a destra, mentre il positrone si dirige a sinistra, e colpisce un secondo elettrone A in corrispondenza dell'evento 2. Qui esso si annichila, producendo un altro fotone D. L'effetto complessivo è che l'elettrone A è scomparso in un punto per essere rimpiazzato dall'elettrone B in un altro punto.

Secondo l'audace congettura di Feynman, gli elettroni A e B sono in realtà la stessa particella, anche se nell'intervallo di tempo che separa gli eventi 1 e 2 entrambi gli elettroni sono presenti! L'idea di Feynman è che la linea continua a zig-zag nella figura non vada vista come la concatenazione delle linee d'universo di tre particelle distinte, ma come un cammino spazio-temporale continuo di un singolo elettrone. Il tratto corrispondente al positrone rappresenta insomma l'elettrone che si muove indietro nel tempo. L'elettrone originale indisturbato A in 2 emette un fotone e salta indietro nel tempo, quindi assorbe un fotone in 1 e ritorna a muoversi di nuovo avanti nel tempo. Un osservatore che si trovasse nell'intervallo di tempo fra 2 e 1 vedrebbe due elettroni e un positrone, ma l'Elettrodinamica Quantistica può interpretare gli eventi affermando che si tratta in realtà di un'unica particella vista tre volte: prima come A nella sua forma originale indisturbata, poi come positrone mentre torna indietro nel tempo, e infine come B mentre va ancora una volta avanti nel tempo!

L'idea di base può essere estesa includendo molti più elettroni e positroni, lasciando che la linea dell'universo continui a zigzagare. Portando questo ragionamento alle estreme conseguenze, John Archibald Wheeler (1911-2008) arrivò a proporre che tutti gli elettroni dell'universo siano in realtà un'unica particella, che semplicemente salta avanti e indietro nel tempo! In altre parole, l'universo con tutte le sue galassie, ed anche io e voi che leggete, saremmo composti tutti da un solo elettrone visto un'innumerevole quantità di volte. Per quanto fantascientifico appaia, ciò spiegherebbe perchè tutti gli elettroni risultano indistinguibili tra di loro, a differenza degli esseri umani, che hanno caratteri peculiari ed inconfondibili. Questo sì, che sarebbe un paradosso temporale degno delle più ardite puntate di Star Trek!

Nonostante queste difficoltà concettuali, la QED rappresentò uno dei più grandi successi nel mondo della Fisica delle Particelle, e per questo i fisici cominciarono a chiedersi se fosse possibile estendere questo meccanismo anche agli altri tipi di interazione noti, e di questo parleremo nella prossima lezione.