I figli di Fëanor

di Paolo Maltagliati e Edoardo Secco

Paolo è stato preso da un'improvvisa ispirazione: ha voluto scrivere una versione alternativa del "Silmarillion" del grandissimo J.R.R. Tolkien, aiutato dalla consulenza dell'esperto Edoardo. Ed ecco il risultato...

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Il lamento dei figli di Bór

[Quenta Silmarillion – Cap. XX "Della quinta battaglia: Nirnaeth Arnoediad"]

472 Prima Era

Pure, non tutti gli Orientali si dimostrarono sleali. I figli di Bór spacciarono Ulfast e Ulwarth. Borlad e Borlach furono a loro volta uccisi, ma (POD) Borthand sopravvisse e, radunando con sé il resto dei suoi che erano sopravvissuti, seguì i passi di Maglor, Maedhros, e degli altri figli di Fënor, conducendoli alle pendici del monte Dolmed.

[...]

Ma ben poco amore, ormai, gli Eldar nutrivano per la loro stirpe, ché la consideravano interamente asservita al gioco di Morgoth. Nel loro orgoglio, reso potente dalla paura e dalla disperazione, i Noldor pensarono di cacciarli lontano dai luoghi in cui dimoravano, come si fa con le bestie dei boschi. Ed in cuor suo, se ne fosse stato a conoscenza, l'Oscuro ne avrebbe riso. Il solo sospetto del tradimento era per lui, infatti, un arma più che sufficiente, perché i ranghi dei suoi nemici si assottigliassero.

Pur tuttavia, Borthand chiese udienza a Maglor e Maedhros e così parlò, al cospetto dei figli di Fëanor: "La luce del Reame Beato, mai potemmo vedere, ché il nostro fato è lungi dalla Terra-di-Mezzo. Poco somigliamo ai nostri fratelli che per primi vennero in queste terre, ed il nostro aspetto ci accomuna più ai Nani che agli Elfi. Noi sappiamo che trovate la nostra forma affatto ripugnante, e da quella giudicate il nostro cuore. Noi, tuttavia, qui siamo, perché al pari vostro, abbiamo perso le nostre case ed i nostri affetti. Se ci giudicate servi di Morgoth, ben misera ricompensa abbiamo ricevuto dal nostro signore, per i nostri servigi!

Principi degli Eldar, abbiamo difeso la vostra ritirata combattendo con onore. Mio padre ed i miei fratelli sono rimasti uccisi. Quale sogno malvagio inculcato nelle vostre menti può farvi immaginare che fosse tutto un piano per guadagnarci la vostra fiducia? Persino le fiere dal cuore più nero provano pietà per i propri figli!

Se volete liberarvi di noi, cacciarci con il fuoco, non staremo certo ad attendere; non vogliamo mendicare neppure la più piccola briciola del vostro pane. Ma sappiate la vostra collera è mal riposta e del vostro disprezzo nei nostri confronti, Morgoth ride."

Come concluse, i Noldor iniziarono a mormorare. Maedhros e Maglor erano certo i più savi tra i figli di Fëanor e, pur legati ai tre gioielli dal terribile giuramento, mai dimenticavano la lealtà ricevuta ed il rispetto per tutti i nemici di Morgoth.

Così Maglor, il sommo cantore, udite le parole di Borthand, disse a tutti gli Eldar ivi convenuti:

"Per parte mia, non ho mai dubitato dell'amicizia di Bór e dei suoi figli. In quest'ora buia, nessuno disprezzi chiunque alza la mano contro i nemici di Morgoth. Paura e sospetto sono il veleno che alberga nel nostro cuore. Uccide lentamente, ma la morte arriva comunque e senza fallo, se lo lasciamo agire. Io non mi estranierò da chi mi ha salvato la vita. Le gesta di Bór e dei suoi figli meriterebbero di essere cantate in ogni parte del Beleriand, non svilite da meschini e freddi ragionamenti."

Maedhros tacque, ma annuì alle parole del fratello. Ed ai Noldor cadde un velo dagli occhi e la stirpe di Borthand, sebbene non appartenesse alle tre case degli Edain, fu rispettata ed onorata. Ed essi rimasero sempre amici degli Eldar. Anche la gente del Dor-Lómin, pur essendo schiava della genìa di Uldor, mai più si levò con parole amare contro la gente di Borthand, che pur aveva il medesimo sembiante dei loro aguzzini. Da quel giorno vennero chiamati Morinehtari, gli uccisori dell'ombra.

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La storia di Maglor e Maedhros

[Quenta Silmarillion – Cap. XXIV "Del viaggio di Eärendil e della Guerra dell'Ira"]

587 Prima Era

Qui segue la storia di Maglor e Maedhros, fratelli di sangue, figli di Fëanor, il grande artigiano.

Nella sua follia, il creatore dei Silmaril legò anche la propria stirpe al giuramento di recuperare le gemme. Ma esse, sin dal massacro di Alqualondë, non potevano più essere reclamate, ché la loro purezza non tollerava di essere maneggiata da mani indegne.

E quando Eönwë l'araldo questo spiegò con molte parole agli ultimi due figli di Fëanor, aggiungendo che in Valinor essi dovevano tornare, per sottoporsi al giudizio dei Valar, a malincuore accettarono (POD). Maedhros, invero, era del parere di combattere, pur a malincuore e stancamente, sino all'amara fine, per onorare il giuramento prestato. Ma Maglor suo fratello, grande cantore tra tutti gli Eldar, gli disse:

"Se pur nella nostra stoltezza, giurammo sull'Uno, e le nostre voci mai potranno raggiungere Ilúvatar al di là delle cerchie del mondo, pure, preferisco sottomettermi al giudizio nel reame beato, e là attendere la tenebra eterna che abbiamo attirato su di noi con le funeste parole di quel giorno."

Maedhros dunque, mentre le lacrime rigavano il suo scuro volto, rispose: "Bene hai parlato, fratello mio. Per quanto io tema l'oscurità e l'abisso, le mie mani, invero, sono troppo piccole e macchiate di sangue, perché io abbia il cuore di adoperarle per altre nefandezze. Che i Silmaril tornino al luogo per cui erano destinate."

Ed essi si consegnarono al grande Eönwë. Furono quindi condotti all'anello della Sorte, per essere lì giudicati da Manwë e Varda. Tutta Tirion era lì radunata, poiché grandi erano state, nel bene e nel male, le gesta cui aveva condotto il giuramento di Fëanor e gli Eldar attendevano, trattenendo il respiro, il giudizio dei Valar.

Per sette giorni tutte le imprese dei Noldor furono narrate, nei più minuti particolari, mentre lacrime sgorgavano dagli occhi di tuti i presenti, non ultime le potenze del reame beato.

E quando tutto fu detto, Manwë infine, dopo un lungo silenzio, si pronunciò.

"Il vostro giuramento è infranto per sempre, perché vani dovevano essere i vostri sforzi sin dal principio. Ma la tenebra eterna, che voi stessi avete invocato a suggello del vostro patto, per grazia di Ilúvatar, che ama Arda e le sue creature, non scenderà su di voi. Bene e Male, in strana misura mischiati, fu fatto per i tre gioielli. Ma il bene più grande fu compiuto non per voi stessi, ma per i Secondogeniti, che grazie a voi poterono intravedere la luce e amarla, mentre la Terra-di-Mezzo era immersa nell'oscurità del nostro caduto fratello, come ben ci narrò Eärendil, figlio di entrambe le stirpi. In virtù di questo, nessuna punizione discenderà da noi per quanto avete fatto, poiché vediamo nel vostro cuore pietà, dolore e pentimento sincero.

Che non ci siano parole amare per il nostro giudizio. Se non tutto è perdonato, da parte dei Teleri, che si pronuncino pure per dare loro una qualche punizione. Ma i molti anni in cui ebbero il cuore lacerato dal dubbio e dalla morte sono per i Valar una punizione sufficiente. Così ha parlato Manwë."

A quel punto i Teleri così parlarono al cospetto delle potenze del reame celato: "Non desideriamo accrescere con dure condanne la pena dei Noldor, in cui, nostro malgrado, fummo coinvolti. Pur tuttavia, il cuore nostro non li ritiene degni di camminare su queste stesse rive assieme con noi. Che passino ancora molti anni perché Maglor e Maedhros possano dimorare a Tol Eressëa. Che i figli di Fëanor rimangano nella Terra-di-Mezzo, su cui tanto sangue hanno versato."

Varda la misericordiosa, però, intervenne: "Ordunque volete condannare i figli di Fëanor ad un eterno esilio, privati per sempre del conforto della luce per cui, in fondo, hanno tanto lottato?"

Ma i Teleri replicarono: "No, nostra dolce dama. Vogliamo che però apprendano la pietà, al cui spirito i loro cuori si sono aperti solo ora. Che aiutino dunque gli Edain a sradicare i germogli di nequizia che Melkor ha piantato. Altri mali e altre lotte attendono la Terra-di-Mezzo. Che vi partecipino coloro che la amano. E quando verrà nuovamente il giorno della vittoria per gli Eldar e le loro membra saranno stanche, potranno, sempre se lo desiderano, tornare e li ricompenseremo delle loro fatiche."

A queste parole, che a molti Noldor, in verità, parvero assai aspre, Manwë si rivolse direttamente ai due figli di Fëanor e domandò loro: "E voi, come giudicate le parole di costoro?"

Maglor, dopo un istante di silenzio, replicò: "Non c'è onta nel loro dire, nobile Manwë. Se le parti fossero scambiate, non v'è dubbio che la stirpe dei Noldor non avrebbe saputo dare un giudizio altrettanto misericordioso. Che la mia casa sia dunque la Terra-di-Mezzo, almeno sino al prossimo mutare delle maree del mondo."

Maedhros, a quel punto aggiunse: "Mio nipote Celebrimbor ha scelto liberamente di dimorare lungi dal reame celato per amore della Terra-di-Mezzo. Approfitterò del tempo concessomi per redimermi agli occhi suoi, e, se il destino me lo concederà, guidarlo attraverso i pericoli. Sento però, che non passerà molto tempo, prima che io prenda la mia strada per le aule del sommo Mandos, in cui forse potrò nuovamente incontrare mio padre."

"A ciò, come sai, i Valar non sanno dare risposta.", fece a quel punto Aulë, che così continuò: "La decisione dei Teleri è stata dunque accettata. Non vi sia più ragione di contesa tra i Priminati. Naturalmente, coloro che per amore, onore o fedeltà vorranno seguire i due figli di Fëanor, sono liberi di lasciare Tol Eressëa. Ma non avranno alcun obbligo verso la sentenza emessa e potranno tornare al nostro reame quando lo desiderano."

Manwë, alle parole di Aulë si limitò ad annuire. Stese un braccio sui due e concluse: "Ora potete andare. Che la nostra benedizione vi accompagni."

Diversi dei Noldor che in principio avevano deciso di dimorare in Tol Eressëa, decisero di seguire Maglor e Maedhros nel loro esilio, perché, pur avendo errato, pur nei loro infiniti travagli, erano ancora nobili, saggi e potenti, e destavano pietà e commozione le loro sventure.

E i due Silmaril, a imperitura memoria di Telperion e Laurelin, presero finalmente posto nella dimora che a loro spettava sin da quando Fëanor li intagliò con la sua insuperata arte.

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[Degli Anelli del Potere e della Terza Era]

Circa VII°-VIII° secolo Seconda Era

Oltre che in Eregion, che gli uomini chiamavano Agrifogliere, alcuni Noldor, guidati da Maglor, figlio di Fëanor, presero dimora a oriente, nella terra detta di Dorwinion, ricca e assolata. Quivi fondarono, tra i boschi che lambivano le coste del mare interno di Rhûn, Esgalnim, "il Bianco Rifugio".

E se la gente di Ost-in-Edhil, guidata da Celebrimbor, prese il nome di Gwaith-i-Mírdain, "Popolo degli Gioiellieri", i Noldor di Esgalnim furono detti Gwaith-i-Linnath, "Popolo dei Cantori", poiché mirabilmente belle erano le melodie che essi componevano. E quando Maglor si abbandonava al canto delle memorie passate, persino gli uccelli del cielo venivano da lungi per udirlo. E Gwaihir re dei venti, spesso si fermava in quel luogo.

Ma ancora più fama e fortuna avevano i suoi vitigni, e in tutta Arda non si produceva vino migliore. Grande traffico vi era di questa bevanda tra Ost-in-Edhil ed Esgalnim, assicurato dalla stirpe di Durin, che risiedeva in Moria. La via attraverso Boscoverde il grande, e poi giù, lungo il corso del Celduin fu chiamata, a motivo di ciò, Men-i-Naugrim.

Anche Maedhros spesso risiedeva presso il Bianco Rifugio, ma aveva deciso di non prendere una dimora propria e di vagare continuamente, come colto da un interno fuoco, portando consiglio e aiuto a chiunque lo cercasse. Volentieri sostava presso Gil-galad e Celebrimbor.

1200 Seconda Era

Quest'ultimo Maedhros avvertiva sovente che non si fidasse di Annatar, signore dei doni. "Il bel sembiante, non sempre era sinonimo di cuore nobile, così come quello brutto di uno spirito malvagio", egli soleva dire al nipote. Da principio Celebrimbor gli diede ascolto. Dopo molti anni di dure parole, infatti, questi si era finalmente rappacificato con lo zio, e arrivò a considerarlo alla stregua di un padre. Pur tuttavia, la sua sete di conoscenza era ardente, e infine cedette e lo accolse.

Ma questi altri non era che il maia Sauron, sommo maestro di iniquità, che bramava niente di meno che l'asservimento dei Priminati. Per quanto gli Uomini fossero più facili da porre sotto il suo volere, gli Elfi erano invero più potenti. E per questo tanto più li odiava, così come gli Edain di Númenor, che in quel torno di tempo, presero anche a costruire delle navi e veleggiare presso le coste della Terra-di-Mezzo e fondarvi, col passare degli anni, dei porti.

Anche la stirpe dei Morinehtari, che seguirono Maglor, andando a vivere poco più a sud, tra le colline che si trovavano presso le sponde sud-occidentali del mare interno (Dol Rhúnen, così era chiamata dagli Elfi la loro dimora), egli teneva in sommo disprezzo, poiché non gli sembrava possibile che vi fosse un casato degli Uomini che, pur avendo vissuto sotto l'ombra, avesse avuto la forza per allontanarsene.

Maglor e Maedhros, disegno di Catherine Karina Chmiel

Maglor e Maedhros, disegno di Catherine Karina Chmiel (da questo sito)

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La caduta di Eregion e la morte di Maedhros

1693 Seconda Era

Appena Celebrimbor scoprì gli inganni di Sauron, in cuor suo anelò consegnare a Maedhros i tre anelli. Pure, Maedhros non ne volle sapere. Gli anelli di potere, nel loro sommo splendore, troppo gli ricordarono i Silmaril, e quanto per loro aveva patito. Si astenne dal rimproverare freddamente il nipote per non aver prestato ascolto ai suoi consigli, e nulla disse, se non: "Quando l'oscura progenie dell'ombra piomberà su queste terre, noi dovremo essere pronti."

Ma Sauron, per impedire che i Noldor della Terra-di-Mezzo si unissero contro di lui, attaccò all'improvviso e con forze massicce Maglor, cingendo d'assedio Esgalnim e Dol Rhúnen. In suo ausilio accorsero Oropher, da Amon Lanc e Amdír re di Lórinand, con i loro Elfi Silvani. La vittoria arrise agli Elfi, ché i Noldor giunti a Esgalnim a seguito dei della stirpe di Fëanor non avevano certo dimenticato la loro perizia nel combattere le creature di Morgoth e freddi e spietati, erano, nella loro ferocia.

Da ultimo giunse Maedhros, assieme ad Elrond e un esercito da Eregion. Sauron decise dunque di ritirarsi. Ma aveva fatto i suoi calcoli e gioì, poiché i suoi nemici non avevano a fondo capito i suoi piani. Inoltre, aveva inflitto considerevoli perdite alle schiere degli Elfi, e c'era risentimento tra i Sindar, poiché molto più grande era il numero dei loro morti, rispetto a quello degli Alti Elfi dell'ovest.

1695 Seconda Era

E quando il suo attacco si volse contro Celebrimbor, da Boscoverde il grande non giunsero aiuti, e da Lórinand in numero insufficiente a domare la marea nemica.

Da Esgalnim, Maglor non poté giungere in soccorso, poiché, sebbene l'assedio era stato rotto, i suoi erano in numero appena bastante a tenere lontani i nemici dai confini. E di grande conforto, in questo, era l'imperitura amicizia di Borthang, discendente di Borthand e sovrano dei Morinehtari. Accorse così, in aiuto al proprio nipote il solo Maedhros e i Naugrim di Moria della stirpe di Durin. Il maggiore dei figli di Fëanor si batté come una fiera.

Egli sapeva, che, come aveva presentito presso l'Anello della Aorte, quella sarebbe stata la sua ultima battaglia contro le schiere dell'oscurità. Cadde per difendere Celebrimbor, che, all'ultimo, fu soccorso da un esercito inviato dal Lhûn da Gil-Galad, il re supremo, e comandato da Elrond Mezzelfo. Questi si fece largo tra gli orchi e trasse il corpo di Maedhros, prima che fosse orrendamente mutilato.

Prima di spirare, egli disse: "Elrond, un'ultima volta chiedo perdono per le sofferenze che ho causato a te e ai tuoi genitori. Tuttavia Ilúvatar mi ha concesso di perire qui, piuttosto che in modo ignomignoso presso le foci del Sirion o nel Doriath, quando non credevo che il viaggio al cospetto di Mandos potesse essere tanto dolce. Addio, e porta il ricordo della mia storia con te, quando farai vela per l'occidente!"

1697 Seconda Era

I superstiti di Eregion si rifugiarono in una valle nascosta tra le Montagne Nebbiose, cui fu dato il nome di Imladris. Qui giunsero le armate di Sauron, cingendola in uno stretto assedio. Ma nonostante le grandi ambasce, i Noldor ivi trincerati, eressero prima di tutto un tumulo a Maedhros. E nonostante nella sua vita avesse arrecato molti lutti, aveva percorso la difficile via dell'espiazione e tutto era stato perdonato.

Elrond e Celebrimbor lo piansero e Maglor compose un lungo lai sulla morte del fratello, e Gil-galad, quando le circostanze lo permisero, ristette a lungo straziato dal dolore, al cospetto del freddo marmo del suo sepolcro.

1700 Seconda Era

Persino gli Edain, quando giunse il loro grande apparato in ausilio da Númenor, si recarono a tributargli un devoto omaggio."

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Oropher e Maglor

Oropher, nel lontano Beleriand sommerso dalle acque, era un nobile della schiatta di Thingol Grigiomanto, e dimorava con lui in Menegroth, nel reame celato. Passata che fu la marea e sconvolto che fu il mondo, egli prese ad abitare, assieme a molti Sindar, nel Lórinand, governato dal nobile Amdír, anch'egli signore del Doriath. Ma per amore di Celeborn, Galadriel la Noldo della stirpe di Finarfin e sorella di Finrod, giunse anch'ella nel Lórinand. E poiché grande era la sua saggezza e potente era, tra tutti gli Eldar che ancora risiedevano nella Terra-di-Mezzo, volentieri Amdír ascoltava il suo consiglio. Ma Oropher se ne crucciava, e come lui molti altri Elfi Silvani.

Ancora poco amore portava, infatti, per i Noldor. Esacerbato, se ne andò, infine, verso Boscoverde il Grande, e molti Nandor che ivi dimoravano da prima del crollo di Thangorodrim lo accolsero come proprio signore. Egli costruì la propria capitale in Amon Lanc, a meridione degli stretti del bosco. Traffici intensi vi erano, tra lui e gli Elfi di Esgalnim. Pur tuttavia, poco comprendeva come i Silvani in Dorwinion fossero giunti ad amare e rispettare, come proprio signore un Elda, e per giunta della maledetta genìa di Fëanor.

Quando l'ombra di Sauron si accrebbe su quei luoghi, più volte Amon Lanc fu attaccato da ingenti schiere dei servi dell'oscurità. Tutte le volte che poteva, Maglor accorreva a prestarli soccorso. Oropher, tuttavia, pur serbando gratitudine, in cuor suo disprezzava quegli aiuti, pensando che i Noldor pretendessero la potestà ed il dominio su tutti gli Elfi della Terra-di-Mezzo. Infine, Amon Lanc dovette soccombere, e Oropher condusse la sua gente più a nord, verso gli Emyn Duir. E ciò per lui fu un bene, poiché gli attacchi ai suoi domini diminuirono. Oropher, tuttavia, non sapeva che così era anche poiché le terre brune erano sorvegliate dalle valenti genti di Esgalnim.

E la pace di cui godeva Oropher era pagata a prezzo di molti dolori, giù, nel sud, ché Sauron batteva Maglor come martello sull'incudine. Non tollerava, infatti che un figlio di Fëanor avesse avuto l'ardire di costruire una tale fortezza così vicino ai suoi domini. Buoni erano i rapporto con Amdír e Gil-galad, re supremo dei Noldor in Luhun. Ma troppo lontani erano i loro domini per poter apportare un valido aiuto.

2350 Seconda Era

Maglor, perciò, accolse con gioia la fondazione, da parte dei Dúnedain, di Pelargir su Anduin il grande. Dall'Ithillien, gli Edain compivano incursioni per liberarsi di orchi e troll, e, alle volte, si spingevano su nel nord, a rendere visita all'ultimo dei figli di Fëanor ancora in vita.

Queste spedizioni riempivano di gioia le genti di Esgalnim, per quanto le informazioni che gli Uomini dell'ovest portavano sulla situazione in Númenor riempissero il cuore di Maglor di sgomento e cattivi presagi. Altro motivo di scontento verso gli Edain, per Maglor, era il palese disprezzo, che gli Elfi del Dorwinion avevano infine abbandonato, dei Númenoreani nei confronti dei Morinehtari. Sebbene le genti di Pelargir fossero fidi, amici degli Elfi, erano pur sempre dei Dúnedain, e ritenevano inferiori, stupidi e meschini tutti gli altri Uomini. Su questo, tuttavia, il grande cantore non cessava mai di rimproverarli.

Ma il rado sussidio di poche estemporanee spedizioni, non alleggeriva certo il fardello su Esgalnim. Per questo Maglor inviò messi nel reame di Oropher, il più vicino, tra quelli rimasti liberi dall'influenza di Mordor. Pur tuttavia, il signore Sinda non rispondeva affatto, o replicava con parole sprezzanti.

Sia per necessità, sia perché desideroso di cambiare il suo cuore, alla fine, Maglor stesso risalì il Celduin per giungere sugli Emyn Duir, per poter discutere con Oropher faccia a faccia. Fu accolto con fredda cortesia e attese per due giorni e due notti, di poter avere un incontro faccia a faccia. In quel torno di tempo, divenne amico del figlio di Oropher, Thranduil. Lungimirante e saggio, l'orgoglio non aveva ancora contaminato il suo cuore e ben comprendeva che di fronte alla potenza di Sauron, qualsiasi disputa su onore e orgoglio assumeva l'aspetto di un triviale gioco di bambini.

Ma il figlio non riuscì a convincere il padre, sempre più rinchiuso nella sua paranoia. Infine, Maglor si stancò e decise di agire. Raramente, financo nella Prima Era, gli alleati avevano visto in lui qualcosa di differente da un aspetto mite. Ma Oropher troppo ricordava in lui la memoria dei defunti fratelli che pur amava tanto, e che quasi tutti perirono per la loro stessa arroganza. Perciò violò con la forza la sala in cui il Silvano teneva consiglio. Disvelò la sua forza e la sua luce, così come era nel meriggio di Valinor, o così come lo poterono mirare le schiere di Morgoth durante le cinque grandi battaglie; e il suo sguardo non ammetteva repliche.

Oropher ne ebbe terrore e muta era divenuta la sua lingua. Allora Maglor lo incalzò: "Stolto! se quel che succede nel tuo reame solamente t'importa, sappi che solo grazie allo sforzo di molti, la pace ha raggiunto le tue terre. Temi che i Noldor vogliano usurpare i tuoi domini? Tienteli pure, pazzo. È per la Terra-di-Mezzo intera che noi combattiamo, e per ogni cosa libera e bella che in questo mondo può sopravvivere senza essere macchiata dalle nere mani di Sauron. Ma se tu tutto misuri con la bilancia, se tu tutto calcoli, presto il conto potrà diventare troppo salato per la tua borsa. E non lo esigeranno gli Eldar, ma Troll e orchetti dalle brune armature. Fa' come vuoi, ma se ami la tua terra, impara, e presto, ad amare l'intera Arda!"

Da quel giorno, tale fu lo spavento, di fronte alla gloria del grande signore dei Noldor (che mai aveva visto in quella guisa), che si fece più mite e propenso ad ascoltare i consigli del figlio Thranduil. E sempre più gli lasciava mano libera nel governare il reame, per quanto mai la durezza di cuore si disgelò del tutto, nei confronti degli Eldar.

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Isildur e Maglor

3319-3320 Seconda Era

Maglor, unico tra i Noldor, non credette che Sauron fosse stato completamente cancellato dalle cerchie del mondo assieme con Númenor. Pure, per un certo tempo così parve, ed i cuori dei nemici dell'ombra esultarono. I Dúnedain eredi dei signori di Andunië fondarono sulle coste della Terra-di-Mezzo dei regni in cui potessero dimorare. Nell'Eriador, sotto l'egida di Gil-Galad, Elendil l'alto stabilì la signoria di Arnor, dimorando in Annùminas. Sulle coste meridionali sbarcarono invece i figli di Elendil, Isildur e Anárion.

Quivi fondarono il reame di Gondor. Costruirono Minas Anor e Minas Ithil, le fortezze del sole e della luna, e lungo il corso dell'Anduin eressero la loro capitale, Osgiliath. Eressero inoltre diverse fortezze a guardia degli Uomini selvaggi dei monti che avevano servito Sauron al tempo del suo dominio. Le più importanti furono Erech, Aglarond ed Angrenost, che successivamente venne chiamata Isengard.

I Noldor accolsero benevolmente i superstiti della grande marea nella Terra-di-Mezzo. Maglor giunse dal nord presso Isildur ed Anárion in Osgiliath e fece con loro alleanza, allo scopo di ripulire le terre tra le Montagne Nebbiose ed il Carnen di tutta la progenie di Sauron.

Ma il figlio di Fëanor, nella sua saggezza, frutto di molti secoli di lotte contro le forze dell'oscurità, ammonì i signori di Gondor: "Pure io non credo che il germe d'iniquità che ha portato a rovina la Terra della Stella sia del tutto scomparso. Un inquieto e nero spirito vedo correre veloce sulla distesa delle acque nei miei sogni. Ulmo, che misericordia ha avuto delle vostre imbarcazioni, credo mi stia ammonendo di restare in guardia."

Ma non fu il solo ammonimento che Maglor diede a Isildur. Non amava infatti molto il modo con cui i Dúnedain trattavano gli altri Uomini. "Se pure negli anni bui essi hanno volto i loro spiriti a Sauron, e certo molti di loro lo fecero per mero terrore, il vostro cuore dovrebbe essere più improntato alla pietà, piuttosto che al disprezzo. Cacciate molti di loro come fossero bestie selvagge. Molti secoli orsono l'arroganza dei Noldor fu condotta su questa medesima strada. Ma un amico, di cui conserverò ricordo imperituro, mi ricordò che dell'orgoglio dei suoi nemici, Morgoth ride, ché è l'arma che sfrutta più volentieri per creare brecce in mura apparentemente solide quanto quelle che voi avete edificato in questi anni."

Isildur ristette a lungo in silenzio all'udire queste ultime parole di Maglor. Infine rispose: "E sia. Darò una possibilità a coloro che dimorano negli Ered Mimrais, poiché io pure sento che impellente è il bisogno nostro di trovarci degli alleati su questa terra in cui ora dimoriamo. Ma non sarò clemente con loro, se tradiranno la parola data."

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La battaglia di Dagorlad e l'assedio di Barad-dûr

Come gli inquieti sogni datigli da Ulmo avevano fatto presagire a Maglor, Sauron non era affatto morto, con l'inabissamento della Terra della Stella. Spirito nero e orribile, imbevuto di odio e malignità, riprese la sua dimora in Mordor.

Era furioso che di tutti gli Edain, proprio coloro che odiava di più, i fidi guidati dai signori di Andunië, fossero sopravvissuti ed avessero costruito un regno proprio alle sue porte.

A quel punto, decise quindi di attaccare, prima che gli Uomini consolidassero le proprie posizioni.

3429 Seconda Era

Assaltò, vomitando bestie malevole di ogni sorta dai suoi neri cancelli, la dimora di Isildur, Minas Ithil.

Scopo di Sauron era nuovamente assoggettare l'intera Terra-di-Mezzo al suo volere ed alla sua mercé.

3430 Seconda Era

Per impedirlo, tutti i popoli liberi che ancora dimoravano nella Terra-di-Mezzo stabilirono un'alleanza. E mentre Anárion e Isildur erano trincerati a Minas Anor, Elendil, Gil-galad ed Elrond, su nell'Eriador, approntarono un grande esercito e lo addestrarono, per distruggere una volta per tutte il terrore di Mordor e del Signore Oscuro.

Anche ad est delle montagne nebbiose ci fu mobilitazione. Maglor, (assieme a suo nipote Celebrimbor, che viveva in quel momento con lui in Esgalnim) tenne consiglio con Amdír e il figlio di questi, Amroth, signori del Lórinand, e con Galadriel, sua parente. Oropher non volle inviare nessuno, ma il suo parere fu infine sconfitto da quello del figlio e un grande numero di Silvani di Boscoverde, sotto la guida sua e di Thranduil, partì per la guerra.

3431 Seconda Era

Nell'attesa che arrivasse Gil-galad, Maglor venne riconosciuto capo supremo dell'armata. Ma Oropher, che aveva immaginato che sarebbe stata presa tale decisione, affermò chiaramente che lui ed i suoi avrebbero obbedito solo a loro stessi e non ad un Noldo.

Anche i Morinehtari, sotto la guida del loro re, Borfang, si unirono al grande esercito delle terre selvagge, così come i Nani di Moria e le grandi aquile.

Si afferma, in verità, che tutte le specie viventi presero partito in quei giorni, scegliendo di combattere per l'una e per l'altra parte, ed ogni razza si divise, tranne gli Elfi.

Dopo tante sofferenze, infine, Gil-galad e l'esercito del nord giunse, e la valle dell'Anduin fu sgomberata dalla genia di Sauron, che arretrò presso il Cancello Nero.

3434 Seconda Era

Nella piana si tenne la più grande battaglia dai tempi della guerra d'Ira e la disfatta di Morgoth per mano dei Valar.

I Silvani comandati da Oropher, trascurando gli ordini di Gil-galad, lanciarono intempestivamente un attacco. Sulle prime sconfissero i nemici dinnanzi a loro, ma non si resero conto che non si trattava di una trappola di Sauron. Le loro armature e le loro armi non erano forti e resistenti come quelle dei Noldor, e non erano, come loro, addestrati alla guerra e resi terribili da lunghissimi anni di tribolazioni e sofferenze. Per questo, tagliati fuori dal resto dell'esercito, perirono in grandissimo numero. E sarebbero certo morti tutti se Maglor, Celebrimbor ed i Morinehtari non fossero giunti in loro soccorso.

Fu principalmente agli uomini di Borfang che Oropher ed i Silvani superstiti dovettero la salvezza, poiché furono loro a rompere l'accerchiamento di Troll e altre enormi ed ottuse bestie, che avevano isolato su un lieve pendio gli arcieri elfici.

Ma proprio in virtù di questa azione gloriosa, pochi dei Morinehtari, rispetto al numero di coloro che erano partiti, fecero ritorno a Dol Rhúnen.

E, buoni ultimi, anche i Silvani di Boscoverde e gli Edain, dopo aver visto tali gesta cambiarono definitivamente la loro fredda disposizione verso di loro.

Infine, le sorti della battaglia, nonostante l'alto numero di caduti, arrisero ai nemici di Sauron.

3434-3441 Seconda Era

L'alleanza strinse un duro assedio alla Torre Oscura, sui versanti dell'Orodruin. Possenti erano Elendil, Ereinion Gil-galad, Maglor, Elrond e Celebrimbor. Nessuno osava sfidare Aeglos, la lancia di Gil-galad, Narsil, la spada di Elendil, e Daedìn, il pugnale di Maglor.

Ma lì, nella sua terra, il potere dell'Oscuro e dell'Unico anello, che proprio lì era stato forgiato, era massimo. E quando uscì egli stesso dalla sua dimora, terrore e spavento lo circondavano, e non pochi, tra i nomi famosi, caddero per sua mano. Gil-galad tra questi, ed Elendil lo seguì. Ma Isildur, riverso a terra, raccolse uno dei frantumi della spada del padre e tagliò il dito con l'anello del dominio dalla mano di Sauron e questi, che aveva infuso gran parte della sua essenza in quell'artefatto, venne sconfitto. Almeno per il momento...

Venne dunque la pace, dopo un tale aspro conflitto e i numenoreani poterono espandere i loro regni e la loro supremazia.

Maglor decise di non fare vela verso occidente. Strani presentimenti gravavano nel suo cuore, pertanto parlò ai Morinethari superstiti e disse loro: “Nessun re potrà mai ricompensare adeguatamente il vostro popolo per tutti i lutti con cui avete scontato il vostro valore. Siete rimasti in pochi e temo per voi. Per antica amicizia con la vostra stirpe, non veleggerò verso Aman finché le ombre oscure che vedo sul vostro popolo non saranno dissipate. Pure, molti tra coloro che ho comandato in battaglia non sono più, o sono stanchi delle tribolazioni della terra-di-mezzo e hanno deciso di partire, pertanto vi chiedo perdono, se non avrò il potere di tenere lontani da voi e dai vostri eredi molti dei mali di Arda.”

Trattati di amicizia anche Isildur subito stipulò con i Morinehtari superstiti, in nome di entrambi i regni in esilio, per quanto in verità era convinto che ormai poco vi fosse da temere. La sorte tuttavia, gli mostrò, e molto presto, quanto tale pensiero fosse errato. L'Unico Anello, che egli recava con sé, scomparve tra i flutti dell'Anduin, attendendo il tempo in cui il suo legittimo possessore tornasse a perseguitare la Terra-di-mezzo.

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[Il Signore degli Anelli - Annali dei re e governatori]

Il Dorwinion e i Morinehtari

490-550: Dopo la guerra dell'Ultima Alleanza, erano rimasti ben pochi Morinehtari. Abbandonata Dol Rhunen, per lungo tempo rimasero dispersi in piccoli villaggi intorno a Esgalnim, per quanto la linea di sangue Borthand, più antica di molte casate numenoreane, venisse preservata. Ci vollero intere generazioni prima che il loro numero tornasse quello di un tempo. E quando finalmente sembrava che avessero recuperato la gloria passata, nuove calamità si abbatterono su di loro. Intorno al 490, comparvero infatti nuove stirpi di uomini provenienti da est. Guerrieri nomadi e in cerca di bottino, i loro attacchi si fecero sempre più insistenti e pericolosi di anno in anno. Avvicinarsi a Esgalnim non osavano, ma non si davano pensiero di attaccare i numerosi insediamenti degli uccisori d'ombra. Vennero pronunciate parole dure contro Maglor e contro gli elfi, che molti ritenevano non fare a sufficienza, pur con tutto il loro potere, per proteggerli. Il figlio di Feanor era amareggiato in cuor suo da ciò, anche perché aveva ben poche colpe: appena un esercito elfico muoveva per sconfiggere un'orda di Esterling, un'altra ne compariva, a diverse leghe di distanza, pronta a portare morte e distruzione indisturbata.
Borgard, secondogenito di Borfast VI, decise quindi di mandare un'ambasceria a Minas Anor, per chiedere aiuto a Gondor. Il figlio di re Ostoher, Tarostar, che già aveva intenzione di preparare una spedizione a oriente, accolse di buon grado il messaggero e gli assicurò un intervento tempestivo.
All'arrivo dell'esercito di Gondor, molti Morinehtari, al seguito di Borgard, si unirono entusiasti a lui. Per il loro valore e i loro servigi durante la campagna, Turambar, figlio di Tarostar (che nel frattempo era divenuto re ed aveva assunto il titolo di “Romendacil”) offrì loro di occupare alcune fortezze abbandonate sul versante nord-orientale degli Emyn Muil. Maglor cercò di convincere Borgard a restare nel Dorwinion, ma senza successo; pur non dubitando delle buone intenzioni di Turambar, il noldo temeva infatti che la difesa di quelle terre in nome dei numenoreani potesse portare, alla lunga, più lutti che benefici agli eredi di Bòr. Ciò nonostante, per tutta la durata del regno di Turambar, i rapporti tra Morinehtari (sia quelli stanziatisi sugli Emyn Muil, sia quelli rimasti nelle loro terre ancestrali) e Gondor rimasero ottimi.

1050: Un'ombra cala su Boscoverde, per quanto Gondor, la cui attenzione è concentrata su Umbar e sull'Harad, poco se ne curi. Borlach VIII, con l'aiuto di Maglor, fonda Rhunost, sulle rive del mare interno. Ultar di Emyn Muil rafforza le sue difese e riallaccia buoni rapporti tra la sua gente e Maglor.

1200: I cosiddetti “uomini del nord”, discendenti anch'essi dagli Edain, si espandono rapidamente di numero nelle terre orientali, occupando quel che viene ormai denominato Rhovanion. Non sempre le relazioni tra questi e i Morinehtari sono buone. In diverse occasioni, infatti,essi non disdegnano di allearsi agli Esterling per distruggere (attribuendo poi a questi ultimi la colpa) i villaggi della stirpe di Bòr, per poi reinsediarvisi.

1231: prima guerra tra le genti del Rhovanion e i signori di Rhunost. All'ultimo, Maglor interviene per frapporsi alle due armate e impedire un inutile massacro. Su intermediazione del figlio di Feanor, le due parti raggiungono una tregua.

1240: a seguito di una nuova calata di orde Esterling, si scatena un secondo conflitto tra uomini del nord e Morinehtari. Anche in questa occasione, Maglor cerca di impedire lo scoppio della guerra e propone un'alleanza comune per scacciare gli invasori. Questa volta però la mediazione non riesce ad impedire diversi scontri tra le due parti (le quali, peraltro, si affidano persino ad alleanze con i clan Esterling per avere ragione dell'avversario), che rimangono sospettose l'una dell'altra. Molti Sindar chiedono a Maglor di schierarsi apertamente con i Morinehtari contro gli uomini del Rhovanion, a loro dire troppo chiassosi, bellicosi e arroganti; altri sostengono invece di sospendere qualsiasi rapporto con gli umani di ambo le parti e lasciare che anneghino tutti nel Rhun con la loro follia. Maglor obietta contro entrambe le posizioni. “Grandi sventure possono nascere da piccoli screzi. Temo che il sassolino qui gettato possa cambiare il corso degli eventi in tutta Arda. Già una volta ho predetto la sopravvivenza di Sauron. Non voglio credere che anche stavolta la sua nequizia sia scampata alla distruzione. Ma allora perché non riesco più a dormire? Perché nei miei incubi il Nemico incatenato al di là dei confini di Arda scruta tutto ciò e ne ride? ” Ulgard di Emyn Muil, esasperato, si reca a Minas Anor per intercedere in favore della sua stirpe su nel nord-est presso i re di Gondor, asserendo che gli uomini del nord, pur essendo di stirpe Edain, a suo avviso si comportano in modo più degno delle schiere asservite a Sauron.

1248-1250: Preoccupato dalle notizie sulla caotica situazione delle terre selvagge, il reggente Minalcar di Gondor organizza una grande spedizione militare per rendere chiaro e incontrastato il dominio dell'albero bianco su quelle terre. I Morinehtari accolgono l'armata numenoreana come una benedizione e tutte le genti della regione si affrettano a rendergli omaggio. Costringe i signori del Rhovanion e i signori di Rhunost a combattere insieme sotto la sua bandiera. Maglor mette a disposizione diversi sindarin come guide per l'esercito. Durante la campagna, Vidugavia, uno dei più potenti signori tra gli uomini del nord, subisce un'imboscata da parte di un clan a lui ostile, che per toglierlo di mezzo si era alleato a un'orda Esterling. Borgurd di Rhunost gli salva la vita, guadagnandone l'amicizia. I due, per cementare la loro alleanza, pensano, eventualmente, di combinare un matrimonio tra i propri figli. Minalcar spazza via gli Esterling e organizza una serie di feste e banchetti per celebrare la vittoria assieme agli alleati, oltre che per consolidare la ritrovata armonia tra genti del nord e morinehtari. Successivamente decide di inviare il proprio figlio Valacar come ambasciatore permanente di Gondor nella regione.

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Qui segue il racconto di Borgil e Vinnili:

Il figlio di Borgurd, Borgil, si innamorò di Vidumavi, figlia di Vidugavia (che iniziò a farsi chiamare, dopo la vittoria, “Re del Rhovanion”). Meno combattivo e focoso rispetto al padre, si era distinto nella guerra più per abilità di comando, che per espliciti atti di valore. La sua compagnia si era distinta per aver perso pochissimi uomini e per aver colto di sorpresa il nemico più di una volta. Pur tuttavia, diversi signori del nord, consci dell'amore che Borgil provava per Vidumavi e desiderosi di ostacolarlo (per sposarla a loro volta), insinuarono che la condotta del figlio di Borgurd fosse stata poco valorosa e codarda. Questo, unito al fatto che non era di bel sembiante (anche in virtù di una profonda cicatrice sul lato destro della faccia), fece in modo che Vidumavi non ricambiasse minimamente il suo affetto. La sorella minore, Vinnili, era l'unica che le consigliasse di non rifiutare a cuor leggero l'amore di Borgil e di guardare oltre a quel che molti dicevano di lui.

L'anno successivo, Minalcar decise di inviare il proprio figlio Valacar come ambasciatore presso il Rhovanion. Questi, tuttavia, fece ben di più: si innamorò a sua volta di Vidumavi. Al contrario di Borgil era alto, bello, di modi signorili e di stirpe regale numenoreana. La ragazza ricambiò immediatamente le sue attenzioni; la relazione del resto aveva l'approvazione di Minalcar, che la vedeva come un rafforzamento importante della presa di Gondor sul Rhovanion. Vidugavia stesso, sebbene avesse promesso al padre di Borgil in passata un matrimonio tra i rispettivi eredi, preferiva imparentarsi con un potenziale re di Gondor, rispetto al signore di Rhunost. Borgil naturalmente si sentì profondamente ferito da tutto ciò; si convinse che Vidumavi e Valacar ridessero di lui e si prendessero gioco delle sue speranze infrante. Esacerbato, si liberò del proprio seguito con una scusa, giunse alla residenza dei principi del Rhovanion e sfidò a duello Valacar, il quale accettò e lo sconfisse. A terra, ormai disperato e disonorato, Borgil cercò di provocare l'ira del numenoreano con insulti, per farsi uccidere. E Valacar l'avrebbe anche fatto, anche a costo di provocare la reazione dei Morinehtari, non fosse stato per Vinnili, che all'ultimo, dopo aver gettato uno sguardo furente sulla sorella, che niente aveva fatto per impedire quella pazzia in suo nome, si frappose tra il corpo di Borgil e la spada di Valacar.

“Facevo gli uomini di Gondor dotati di una saggezza superiore a noi rozze genti delle terre selvagge. A quanto pare mi sbagliavo. O sono forse i nostri costumi che vi hanno traviato tanto, nobile principe Valacar?”

Alle parole della ragazza, l'uomo rinserrò la spada, senza nulla dire. Dopo che l'avversario se ne fu andato, Borgil, rialzatosi malamente, proruppe in una risata amara e disse a Vinnili: “Certo che le principesse del Rhovanion sono davvero crudeli: una mi strappa il cuore dal petto e l'altra mi vuol costringere a vivere senza di esso. L'avessi saputo, avrei volto lo sguardo solo sulle brune donne di Rhunost, invece che sulle bionde streghe del nord!”

Quella, accennando un sospiro, replicò: “Se fossi strega, userei le mie magie per restituirvi quanto dite vi è stato rubato da mia sorella, ma non è nelle mie facoltà, principe degli uomini bruni. Perdonate, se potete, la mia impotenza.”

Borgil capì che le parole di Vinnili erano sincere e se ne commosse. Ciò nonostante, si sentiva troppo amareggiato per trovarvi vera consolazione. “Siete gentile, strega bionda, ma vi confesso che in questo momento il mio cuore è troppo piccolo per accettare questa vostra gentilezza. Non impeditemi di sopravvivere alla mia umiliazione, ve ne prego.”

Per tutta risposta, con un tenue sorriso, Vinnili ribatté: “Noi uomini del nord abbiamo un'usanza: quando ad un guerriero viene salvata la vita, costui ha un debito con il proprio salvatore; per pagare questo debito, per un intero giorno, il salvato è servo e deve obbedire ai suoi comandi. Mi pare di avervi salvato la vita, oggi, uomo bruno.”

“Cosa comandate, dunque, mia signora?” fece, in tono ironico, Borgil.

“Che non buttiate via la vostra vita per colpa di chi ha frainteso la vostra umanità e l'ha scioccamente scambiata per debolezza.”

Vinnili realizzò in quel momento di essersi innamorata del signore dei Morinehtari. Sapeva che quello sarebbe stato un amore senza speranza, poiché Borgil amava follemente sua sorella, pertanto non confessò i suoi sentimenti apertamente. Le bastava stare al suo fianco, senza pretendere nulla in cambio, per trarlo dal cupo stato d'animo in cui era caduto.

Passarono settimane e mesi. La notizia del duello si diffuse presso i Morinehtari, tanto che molti accorsero da Borgil per offrire la propria spada, per vendicare l'onta subita. Tuttavia, il figlio di Borgurd predicava la calma e la pace, ripetendo loro: “Preferisco il disonore, piuttosto che versare inutilmente il vostro sangue per il mio egoismo.” Borgurd non approvava la condotta del figlio, ma ormai sentiva l'approssimarsi degli anni, per cui tenne fede alla risoluzione di abbandonare tutte le questioni di governo nelle mani del proprio primogenito.

Valacar si maritò finalmente con Vidumavi e Borgil, pur facendo forza a se stesso, presenziò alla cerimonia ed al banchetto nuziale in qualità di signore di Rhunost e principe dei Morinehtari. In quell'occasione chiese perdono, inchinandosi, per la passata condotta verso gli sposi. Valacar, tuttavia, reagì con parole sprezzanti:

“Avete finalmente compreso quanto la vostra borsa sia troppo piccola per pagare un debito così salato come il vostro?”

Borgil ristette in silenzio, per poi sospirare e rispondere, lentamente: “credo di aver pagato la mia follia con umiliazione bastante, principe di Osgiliath. Ma se per voi ciò non dovesse ancora essere sufficiente, sono pronto ad accettare qualsiasi punizione vorrete infliggermi, purché la vostra soddisfazione non giunga ad intaccare la fedeltà dei miei uomini verso il regno di Gondor.”

A quelle parole, invero, a Vidumavi si strinse il cuore, ma tacque, accompagnando via il proprio sposo.

Vinnili gli si avvicinò e gli disse: “Uomo bruno, si è finalmente sanata la vostra ferita?”

“Vi sono ferite che non guariscono, mia signora. Ma ho compreso che per un capitano non è bene mostrare la propria ferita ai soldati.”

“Voi non siete il mio capitano e io non sono un soldato. Dovrei essere una strega secondo il vostro dire, ricordate? E alle streghe si possono mostrare anche gli squarci più dolorosi. Esse non volgeranno lontano lo sguardo scandalizzate.”

Borgil rimase a lungo pensoso di fronte alla strana risposta della fanciulla. Avrebbe voluto dire e chiedere molte cose, ma si limitò a risponderle con un “Vi ringrazio dama Vinnili. Posso avere l'ardire di chiamarvi amica?” La parola amica la ripeté una seconda volta, non nella lingua del Rhovanion, e nemmeno nella lingua comune, l'Ovestron, con cui era solito esprimersi, ma nell'ancestrale lingua dei Morinehtari, che essi tenevano segreta alle altre razze e stirpi.

“A quanto ne so è una parola impegnativa, per la progenie degli uccisori d'ombra. Vi giuro che non tradirò il grande onore che tributate.”

Appena dopo aver proferito tali parole, Vinnili rimase molto turbata e si allontanò da lui, incapace come era di dare ordine ai propri pensieri. Per tutti i giorni seguenti, Borgil e Vinnili si incontrarono in numerose occasioni, ufficiali e non. L'uomo bruno traeva un sempre maggiore quanto indefinibile serenità dalla presenza di lei, tanto che, col trascorrere del tempo, divenne lui per primo a ricercare attivamente la sua compagnia.

Diverse settimane dopo, la fanciulla venne spinta dall'intenso desiderio di visitare Maglor. Ormai i Morinehtari visitavano di rado Esgalnim, per quanto il figlio di Feanor restasse per loro il più nobile e saggio signore di tutta la terra-di-mezzo, oggetto di rispetto e finanche venerazione. Ma per gli uomini del nord il noldo rappresentava un essere misterioso, verso il quale nutrire diffidenza e timore. Nessun uomo del Rhovanion aveva mai varcato le porte del bianco rifugio di propria spontanea volontà.

Entrando nel cuore della foresta elfica, Vinnili dovette fare forza su se stessa per evitare di tornare sui suoi passi dalla paura. All'improvviso scorse tra gli alberi un elfo, che intonava una soave melodia con il proprio flauto. Colta da sgomento, la fanciulla rimase immobile senza nulla dire, mentre il cantore, accortosi della sua presenza, le rivolse la parola in questo modo: “Per qual motivo, ora che persino la genia di Bòr visita raramente le nostre dimore, una dama degli uomini del nord si spinge tanto addentro nella selva che contorna il bianco rifugio? “

“In verità non so nemmeno io discernere l'impulso che qui mi ha condotto, messer elfo. E' come se strane visioni mi avessero condotto a far visita a colui che gli uomini bruni dicono essere il più antico e possente di tutti gli esseri che ancora calcano il suolo della terra-di-mezzo.”

“Avete per caso sangue di Numenòr nelle vene, fanciulla?”

“Chi ne avrà sarà il figlio che nascerà dal grembo di mia sorella maggiore. Per quanto mi concerne, io non ne ho nemmeno una goccia... E nemmeno desidero averne.”

“Come, non aneli ad un antico lignaggio e ad una vita diverse volte più lunga rispetto a quella dei comuni mortali?”

“E che me ne farei di una vita così lunga? Vedere coloro che amo appassire e perire sarebbe un destino ben più orribile della morte! Per quanto concerne il lignaggio, poi, esso, per quanto ne ho esperienza, non fa altro che rendere più arroganti e vanagloriose le persone. La nobiltà di un cuore non è sempre pari alla purezza del proprio sangue.”

“Eppure, per una strana ironia della sorte, il sangue della casa di Marach scorre quasi puro in voi, per quanto ciò poco possa significare. Se vi metteste di punto in bianco a parlare in Taliska, quasi non mi sorprenderei.”

“Non conosco questo vostro Marach, sire... E non so che lingua sia il Taliska che voi avete nominato. Conosco solo la lingua dei miei avi e la lingua comune... Oltre che qualche parola nella lingua degli uccisori d'ombra.”

“Questa non può che essere una menzogna. I Morinehtari tengono segreta la loro lingua ancestrale e non la parlano mai in presenza di estranei. Credono che possa essere motivo di scherno o, peggio, diffidenza, in quanto di origine Esterling; solo a chi reputano vero amico fanno questo dono.”

A quella provocazione, Vinnili mormorò sottovoce un'unica parola: “...Drauga.” Era il termine con cui l'aveva definita Borgil al matrimonio di Vidumavi.

Con fare apparentemente sorpreso, l'elfo fece mostra di aver sentito e replicò: “Chiedo perdono, fanciulla umana, ho errato nel mettere in dubbio le vostre parole. A quanto pare siete veramente una “amica”, secondo gli uomini bruni di Rhunost. La cosa mi rende molto felice.”

“Molto... felice? Cosa intendete dire?”

“Fanciulla umana, quanto sapete della storia degli uccisori d'ombra?”

“So che sono antichi. Erano qui molto tempo prima della nostra venuta in queste valli. Per loro non siamo altro che streghe e usurpatori. So anche che sono molto amici del vostro signore Maglor e che usano nomi elfici come la gente di Gondor. Vengono detti uccisori d'ombra, ma il motivo di ciò non mi è noto.”

“Niente altro?”

“Niente altro. Però non avete ancora risposto alla mia domanda, sire.” ribatté, sempre più confusa, Vinnili.

Con un tenue sorriso, l'elfo rispose: “Dovete sapere che le imprese dei Morinehtari non sono inferiori a quelle degli Edain. Vengono così chiamati perché durante il principio del mondo vissero sotto il dominio del signore oscuro. Gli Edain giunsero nelle terre ora sommerse da liberi, e da liberi rifiutarono di sottomettersi alle nequizie di Morgoth, mentre loro non videro altro che le torri di Angband sin dai loro albori. Eppure, nonostante questo, pochi coraggiosi riuscirono a scuotere il giogo e volgere lo sguardo oltre il velo di paura e sottomissione posto sui loro occhi, accettando le offerte di amicizia dei Noldor. Chissà se le tre case sarebbero riuscite a fare la stessa cosa, se si fossero trovate nelle stesse condizioni... Sia come sia, condivisero in tutto con gli Eldar i dolori e i lutti delle battaglie contro l'Ombra, senza mai tradire i giuramenti prestati nemmeno una volta. Eppure, per il loro sembiante, che li fa apparire simili alle stirpi che hanno sempre servito Morgoth e Sauron, il loro destino è sempre stato quello di essere disprezzati e guardati con diffidenza; le loro numerose imprese sono poco conosciute e di rado cantate. Loro stessi non le menzionano volentieri. Sono infatti certi che sarebbero tacciati come bugiardi o vanagloriosi, se lo facessero. Sono convinto che le famiglie più nobili di Gondor conoscano tali storie, ma che allo stesso tempo temano di di divulgarle. Forse perché credono che ciò sminuirebbe la loro gloria. Dopotutto, la storia della terra della stella è la prova lampante che gli Edain furono, almeno in una occasione, più deboli e più spergiuri di loro.

E' per questo che i Morinehtari aprono difficilmente il proprio cuore a uomini di altre razze e tanto più ne soffrono, se da essi si sentono traditi.

Ed è sempre per questo che, per rispondere alla vostra domanda, il mio cuore si riempie di felicità nel sapere che uno di loro si sia spinto a dichiarare la propria amicizia ad un membro di un altro popolo.”

Vinnili rimase a dir poco sorpresa ad udire ciò che raccontava l'elfo. Ora capiva meglio il comportamento Borgil e della sua gente. E tanto più per questo, il suo affetto per l'uomo bruno si ingigantiva, oltre che la pena che provava per lui. E mentre era assorta in tali pensieri, l'elfo le disse: “Avete la mia benedizione.”

All'udire ciò la fanciulla del nord si riscosse e, all'improvviso, le cadde un velo dagli occhi. L'elfo con cui aveva discusso per tutto quel tempo altri non era che il grande Maglor!

Quest'ultimo, dopo aver sorriso di fronte all'espressione di stupore della sua interlocutrice, continuò: “Sapete, tempo fa prestai giuramento di proteggere la progenie dei Morinehtari fino al nuovo mutare delle maree del mondo. Il mio cruccio più grande è sempre stato il dileggio e il contegno sprezzante che aleggia come coltre intorno a loro. Esso è tanto spesso e recidivo che mi ha condotto a pensare sia una maledizione lanciata contro di loro dall'Ombra stessa... Quel che più temevo e temo è che alla lunga il disprezzo subito riempa il loro cuore di rabbia e lo renda freddo e desolato. Per questo non potevo che essere curioso di conoscere una persona come voi, che spontaneamente ha offerto la sua amicizia... no, il suo amore, ad un uomo di Rhunost. E, perdonatemi, ma non ho potuto fare a meno di mettervi alla prova, per accertarmi della sincerità dei vostri pensieri e delle vostre azioni. Come vi ho già detto, non v'è nulla di più doloroso per un uccisore d'ombra che sentirsi tradito da una persona cui aveva riposto la propria fiducia. E per questo, ripeto, avete la mia benedizione.”

A quel punto, Vinnili proruppe in una risata amara, per poi dire: “Vi sbagliate, nobile Maglor. Colui che messer Borgil ama è mia sorella, Vidumavi. Io non sarò mai per lui null'altro che un'amica.”

“Ah, bambina mia, non vi ho già spiegato forse il significato della parola “amico” nella lingua dei Morinehtari? Avete già scavato abbondanti brecce nelle mura che circondano il suo cuore, solo che ancora deve accorgersene. Abbiate fiducia in quel che vi dico ora: continuate a stargli accanto come avete fatto finora e pazientate ancora un poco. Ma attenta: con lui non avrai una vita né pacifica, né semplice.”

“Sono una donna del nord. Non temo la guerra e le traversie, nobile Maglor.” Rispose decisa Vinnili.

“Così sia, dunque, figlia di Vidugavia.” Le disse infine il figlio di Feanor, accomiatandosi con lei.

Passò ancora diverso tempo. Valacar non mutò il suo contegno nei confronti di Borgil. Vedendo l'assiduità con cui egli cercava la compagnia di Vinnili , temette che l'uomo bruno avesse irretito in qualche modo la sorella dell'amata sposa. Di questo parlò a Vidumavi, che però si limitò a dire: “Egli non è un cuore meschino, non userebbe tali subdoli inganni al solo scopo di avvicinarsi a me o per accampare pretese sul regno del Rhovanion. In più, so leggere bene lo sguardo di mia sorella e non vi vedo ciò che voi paventate.”

L'affetto di Borgil era ora rivolto completamente a Vinnili. Egli aveva notato il cambiamento che era avvenuto nel suo animo, eppure non si decideva, per timore di ingannarsi. Mai avrebbe potuto sopportare ulteriori umiliazioni e scherno. Sicuramente l'uomo di Gondor avrebbe riso e avrebbe detto di lui: Ecco, non è riuscito a irretire la maggiore e ora, disperato, tenta disperatamente la fortuna con la minore.

Fu un giorno in cui si arrovellava su simili pensieri che Vinnili si approssimò a lui, durante una cavalcata, con cipiglio insolitamente severo e gli disse: “Non desidero più essere vostra amica.” Senza attendere risposta, la fanciulla diede di sprone al cavallo. Borgil, frastornato, decise di inseguirla, per capire cosa intendesse dire. E durante quella corsa sfrenata capì che nemmeno lui poteva desiderare più l'amicizia di Vinnili. Finalmente, l'uomo bruno la raggiunse e le disse quello che aveva in animo:

“Se non volete più essermi amica, dama Vinnili, allora siate mia sposa.”

A quella frase, la ragazza del nord si sciolse in un sorriso e disse: “Cominciavo a perdere la speranza, uomo bruno!”

I due si unirono in matrimonio poche settimane dopo, con l'approvazione di Vidugavia e di Borgurd, ormai morente.

Valacar e Vidumavi, in quel torno di tempo ebbero un figlio, che chiamarono Vinitharya nella lingua del Rhovanion. Successivamente anche Borgil e Vinnili ebbero un erede, cui misero nome Bormalen.

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1260: Valacar fa ritorno a Gondor, assieme alla moglie Vidumavi e al figlio Vinitharya, che prende il nome di Eldacar. I Numenoreani fanno cattiva accoglienza al fatto che un principe di stirpe reale si sia sposato con una donna comune e dalla vita destinata ad essere breve. I figli maschi di Vidugavia tentano di uccidere il figlio neonato di Borgil dei morinehtari e Vinnili, sorella di Vidumavi, cui era stato messo il nome di Bormalen. Scoppia nuovamente un'aspra contesa tra Rhunost e il Rhovanion.

1273: Borgil è accusato di atteggiamento troppo remissivo verso gli uomini del nord, oltre che di essersi lasciato corrompere dalla moglie straniera, spodestato ed esiliato. La sua famiglia troverà rifugio presso Esgalnim. Gli è comunque concesso portare con sé parte dei cimeli della sua casa.

1280: Bormalen e sua sorella minore Borwen lasciano Esglanim e prendono la via degli Emyn Muil, prestando servizio presso Barandor, signore di quelle terre, che li accoglie come lontani parenti. Qui nota come i numenoreani, trattino con una certa malcelata sufficienza gli uomini bruni. L'unica eccezione sono alcune casate dimoranti nello scarsamente popolato Calenhardon orientale.

1285: Nasce Boral, figlio di Bormalen e di Baraniel, terza figlia di Barandor.

1294: Muore Narmacil II. Gli succede sul trono di Gondor Calmacil, padre di Minalcar e bisnonno di Eldacar. Celebrimbor, di ritorno da uno dei suoi lunghi viaggi, informa gli amici che i passi delle montagne nebbiose settentrionali iniziano a pullulare di creature maligne, tanto da essere impraticabili.

1304: Minalcar diviene sovrano di Gondor. Borgil muore in esilio a Esgalnim. Maglor tenta di convincere i morinehtari a sospendere l'esilio per Bormalen e la sua famiglia. Si crea dissenso: una parte è favorevole, poiché soffre il clima di Rhunost sempre più reclusivo e sospettoso verso tutti gli stranieri. I capi riuniti a consiglio tuttavia rifiutano. Vidumavi offre a Vinnili di recarsi a Minas Tirith a trascorrere gli anni della sua vecchiaia, ma la sorella rifiuta.

1309: Boromir, figlio di Borwen e migliore amico di Boral, viene ucciso in un incidente di caccia presso Parth Galen da un signore numenoreano dell'Ithilien in visita. Boral ne rimane molto scosso. Poiché Bormalen insiste nel chiedere giustizia, Valacar, in nome del padre, assegna una pena all'assassino, ma è considerata dai morinehtari troppo leggera. Nasce Borvid, figlio di Boral. Muore Barandor di Emyn Muil. Questi, prima di morire affida il suo dominio in eredità a Bormalen (previa approvazione di Gondor). E' ristabilita l'unità della progenie di Bor. Borvid, secondo l'insegnamento del padre e del nonno, crescerà nella diffidenza totale verso i numenoreani.

1316: morte di Vinnili, grandemente pianta da molti.

1325: Borvid ha screzi con i figli del signore di Cair Andros. Boral è costretto a punire pubblicamente il proprio figlio. La verità è che i due molto probabilmente hanno tentato di costringerlo a scalare Tol Brandir per scommessa. A quel punto il ragazzo avrebbe ferito d'impeto uno dei due per liberarsi. Interessatosi della vicenda, Irluin, della piccola guarnigione di Amon Hen, scopre come è andata veramente e redarguisce severamente i due. Irluin chiede a Boral di far entrare suo figlio nella guarnigione. Dopo molta esitazione, alla fine la proposta è accettata. Miriél e Firion, figli del signore di Cair Andros, continuano le loro visite. Progressivamente mutano il proprio contegno verso Borvid e verso i morinehtari.

1335: Miriél e Firion divengono amici di Borvid. Miriél se ne innamora, ma, a prescindere dal fatto che non avrebbe potuto sposarlo, non è da questi ricambiato. In realtà, Borvid non si fida completamente di loro. Borvid si sposa con una donna dei morinehtari.

1337: Nasce Boril, figlio di Borvid.

1339: la moglie di Borvid, in compagnia di Miriél, giunta in visita, ha un incidente, e annega nell'Anduin presso Tol Brandir. Borvid, non avendo mai dimenticato quanto accadutogli durante l'infanzia, accusa di assassinio Miriél, che però non ha colpe. La figlia del signore di Cair Andros è lacerata dal dolore, ma Borvid non se ne avvede, a sua volta preso dal furore. Quest'ultimo abbandona tutto e si reca da solo verso est, lasciando una lettera in cui definisce la progenie di Numenor come “una banda di impostori e avidi ladri. Tradiscono i patti di amicizia e non si curano di tutto ciò che intralcia il loro cammino. La stirpe di Elendil sarebbe dovuta rimanere adagiata sul fondo del grande Mare. E i Valar tuttavia hanno permesso loro ancora una volta di inquinare la terra di mezzo. Vi sarà guerra tra me e i figli di Isildur!”. Divorata dal senso di colpa, Miriél decide di lasciare Cair Andros e ottenere il permesso da Boral per stare presso i morinehtari e accudire Boril. Boral all'inizio rifiuta, poi, impietosito da Miriél, accetta. Maglor, inaspettatamente, giunge segretamente in visita presso gli Emyn Muil. Parla lungamente con Bormalen, ormai in fin di vita, Boral e Miriél.

1344: Vidumavi muore ad un'età straordinaria per la gente del Rhovanion. piccoli gruppi di Esterling tornano ad attaccare il Rhovanion. In seguito si scoprirà essere aizzati da Borvid.

1356: Una parte degli sturoi del Dunland decide di tornare nelle terre selvagge.

1366: Valacar diviene re di Gondor. Boril decide di lasciare la sua dimora per recarsi da Maglor, visitare il tumulo di Vinnili e Borgil, e recarsi nelle terre a est a cercare il padre. Miriél tenta di dissuaderlo, ma inutilmente: “forse da qualche parte è stato stabilito che il destino di chi decide di legarsi al vostro popolo debba essere amaro. Eppure non rimpiango di aver serbato amore per tuo padre e di aver amato te come un figlio.” Boril si reca anche a Rhunost in sfida al secolare bando verso la sua famiglia. Nessuno pone reale resistenza al suo arrivo. Boril scopre che i morinehtari di Rhun si sono isolati rispetto al resto del mondo, sono divenuti paranoici e sono lacerati da continue lotte al proprio interno. Progressivamente guadagna seguaci alla sua rivendicazione di guida dei morinehtari e si impegna a ristabilire la situazione. Come Borgil un secolo prima, sfidando l'aperto dissenso di molti, si sposa con una donna del Rhovanion, Gaitel. Al figlio nato due anni dopo sarà dato il nome di Borcar.

1370: Boril si scontra con il padre, ormai completamente fuori di senno, e lo sconfigge. Smunto e usurato anzitempo da dai travagli fisici e mentali, Borvid trascorre una settimana intera senza parlare. Miriél e Firion si recano a visitarlo. La prima non cessa di accudirlo per molti giorni. In questo torno di tempo, la donna scrive la raccolta Commentari al Lai di Leithian, che diverranno una delle opere in prosa più celebri nella letteratura di Gondor. Ciò che ne garantirà la fama sarà in particolare il componimento conclusivo, il pianto di Finduilas, in cui immagina i pensieri della sfortunata fanciulla elfica innamoratasi di Turin un attimo prima di morire, mettendo amaramente a confronto la sua sorte con quella di Luthien.

Narra la leggenda che, appena concluso il suo scritto, Miriél l'abbia letto ad alta voce a Borvid e che quest'ultimo, alla fine, avesse interrotto il suo silenzio per porgerle le sue scuse: le aveva ingiustamente riservato odio e rancore e lei, nonostante tutto, non aveva mai smesso di amarlo. Dopodiché, iniziò a raccontarle tutte le saghe e le storie dei morinehtari, che lei aveva sempre desiderato sentire (e mettere per iscritto). Dopo aver parlato fino a notte fonda, si coricò. Venne trovato morto da Boril e Miriél il mattino seguente. Quest'ultima decide di risiedere per il momento a Rhunost, con l'approvazione del figlio adottivo e sfidando l'iniziale diffidenza della popolazione locale.

1390: Valacar torna per una visita ufficiale nel Rhovanion, accompagnato dal figlio, ma evita di far tappa a Esgalnim o Rhunost. Eldacar, al contrario, decide quantomeno di portare i propri omaggi a dama Miriél di Cair Andros.

1402: Nasce Borondor, figlio di Borcar.

1411: Nascono da Borcar due figlie, Boriél e Boriàn.

1425: Dopo aver passato i primi anni dell'infanzia a Rhunost, Borcar implora Miriél di accompagnare le figlie a Osgiliath perché vengano educate anche agli usi e costumi di Gondor. Tuttavia, la minore, dopo essere finita per accidente nei boschi di Esgalnim durante una battuta di caccia, supplica Borcar di essere educata, piuttosto, dagli elfi. Nonostante i timori dell'uomo, Maglor accetta.

1429: il figlio di Feanor si affeziona molto alla fanciulla morinehtari sotto la sua custodia, ma le ingiunge di tornare tra la sua gente, presentendo l'approssimarsi di un periodo di nuove difficoltà per gli uccisori d'ombra.

1430: Boriél torna da Osgiliath indurita e amareggiata. Miriél racconta a Boril e Borcar di come la sua protetta sia stata trattata invero piuttosto freddamente dalla gente numenoreana, in particolare dall'anziano re di Gondor (al contrario del figlio Eldacar e dei nipoti Ornendil e Aldamir, sempre molto gentili e cortesi). In realtà non è un trattamento riservato ai soli morinehtari: fuori dagli ambienti di corte, anche le genti del Rhovanion vengono trattate con sufficienza. Borcar, non più giovane ma di forte costituzione, viene accidentalmente ucciso durante una battuta di caccia al bufalo. Malaugratamente, anche Borondor, nel tentativo di salvare il padre, perde la vita. Addolorata dalla perdita del fratello, Boriél si fa ancor più fredda e cupa e giura di non prendere mai marito. Boriàn, preoccupata per lo stato d'animo della sorella e incapace di esserle di conforto, si consulta con Maglor. Il figlio di Feanor, tuttavia, pur a malincuore, rifiuta di rivelarle ciò che potrebbe accadere o di dirle cosa avrebbe dovuto fare (presumendo, a ragione, di avere eccessiva influenza sul suo agire). E' anzi tentato di tornare sui propri passi, invitandola a passare il resto dei suoi giorni nella pace di Esglanim. In realtà, il noldo teme per il fato di Boriàn e vorrebbe evitarle di prendere sulle proprie spalle un peso più gravoso di quanto non sia in grado di portare.

1432: Guerra civile a Gondor tra Eldacar e l'usurpatore Castamir, che non desidera un mezzo sangue come sovrano dei numenoreani. Le genti del Rhovanion sono propense a sostenere Eldacar.

Quasi centenario, muore Boril. Sentendo la fine approssimarsi anche per lei, Miriél si reca a Esgalnim, dove trascorre gli ultimi mesi di vita. Maglor erige per lei un tumulo a fianco a quello di Vinnili e scrive in suo onore un Lai.

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La guerra delle stirpi nelle terre selvagge

Alla morte di Boril, Boriél venne unanimemente accettata come signore dei morinehtari. Solitamente il potere veniva passato per linea maschile, ma non vi era una regola fissa. A maggior ragione, le figlie di Borcar erano tenute in gran conto, poiché, nonostante la giovane età, erano entrambe belle, sagge, forti e volitive. Erano altresì versate negli usi e costumi di edain ed eldar, per cui difficilmente ingannabili da eventuali malizie dei nobili ma arroganti uomini del sud. Il disprezzo per il sangue del Rhovanion che scorreva nelle loro vene era già stato dimenticato e nessuno ebbe da ridire sull'approvazione degli anziani e dei capi del popolo.

In quel torno di tempo, nuvole di tempesta si addensavano sul reame di Gondor. La sovranità di Eldacar, figlio mezzosangue di Valacar era contestata, in particolare nelle regioni meridionali del reame. L'usurpatore Castamir, anch'egli di sangue reale, radunò molti seguaci e assediò duramente il re a Osgiliath; la città venne infine espugnata, ma quest'ultimo riuscì a fuggire. Non così il figlio Ornendil, che venne catturato dagli uomini di Castamir e ucciso.

Su nel nord tali notizie destavano preoccupazione. Gli uomini del Rhovanion erano particolarmente fedeli ad Eldacar, considerato che in lui scorreva il loro sangue; in più, temevano che il nuovo signore di Gondor si mostrasse freddo e crudele nei confronti del loro popolo, per quanto non osassero ribellarsi apertamente a lui.

Boriél, invece, in cuor suo gioì, anzi, si affrettò ad inviare omaggi e congratulazioni a Minas Tirith.

Di ciò, Boriàn fu assai contrariata con la sorella, poiché non ne condivideva la posizione:

“Mia regina, non posso dire di possedere il dono di preveggenza del supremo signore dei Noldor che nelle terre del Dorwinion dimora, che amo e stimo più di un padre, ma ti invito a valutare con più attenzione i cuori degli uomini del sud. Non permettere che le traversie della nostra schiatta, causate direttamente o indirettamente dal padre di colui che ora tutto ha perduto, inquinino il tuo giudizio.”

Al che, con sguardo severo, prontamente Boriél replicò:

“Invero, sorella, tengo in gran conto il tuo pensiero. Ma lo sprezzo di Valacar e della sua genia verso di noi ben lo conosco, purtroppo. A sentire le storie di Borgil e di Vinnili la gentile, ho sempre pensato che causa dei nostri mali fosse un esagerato senso dell'onore e un infondato senso di inferiorità che albergano nel cuore della nostra gente. Eppure, negli anni di permanenza a Osgiliath il sangue arrivò a ribollirmi e non posso negare di aver desiderato che quei visi arroganti, che mal celavano il loro scherno e imbarazzo in mia presenza, finissero nella polvere.”

A ciò Boriàn scosse la testa e si limitò, rassegnata, a risponderle:

“Così sia, sorella e regina mia.”

Mentre discorrevano di ciò, Boriél e Boriàn ancora non sapevano che Eldacar era sfuggito alla cattura e che si stava dirigendo nelle terre selvagge per cercare rifugio tra le genti di sua madre.

Un giorno, con il cuore in tumulto, Boriàn prese la via verso il bianco rifugio di sire Maglor. Sapeva che l'elfo le aveva fatto giuramento di non rivelarle nulla del suo fato, né di guidare con l'influenza del suo dire le sue azioni. Pur tuttavia, in quello stato d'animo, sentiva l'ardente bisogno di trarre conforto e serenità dalla semplice compagnia del sommo cantore.

Durante il tragitto, tuttavia, incrociò un gruppo di cacciatori incappucciati. Si muovevano con fare circospetto, come timorosi di qualcosa. I loro mantelli e le loro armi tradivano la loro provenienza ed il loro lignaggio. Boriàn non ci mise molto per comprendere di avere di fronte degli uomini di Gondor.

La prudenza avrebbe imposto alla fanciulla dei morinehtari di seguirli in silenzio e senza farsi scorgere. Eppure, facendo mostra di non temerli affatto, ella emerse dal folto del sottobosco e si mostrò loro alzando le mani in segno di pace. Senza dar loro il tempo di riprendersi dallo stupore, chiese: “Signori delle terre del sud, cosa vi porta tanto lontano dalle vostre città di pietra?”

Boriàn formulò la richiesta in tono cortese, ma, per tutta risposta, questi fecero per estrarre le armi. La morinehtari diede mano allora al proprio arco.

Il comandante, tuttavia, si frappose tra lei e i suoi uomini, con l'intento di calmare gli animi. Inginocchiandosi in segno di rispetto, mostrò il proprio volto e soggiunse:

“Dama Boriél, vi chiedo perdono se mi mostro a voi in tale guisa. Quando ho riconosciuto il vostro sembiante lo stupore mi ha impedito di comportarmi come si conviene. Voi siete qui la padrona e io nient'altro che un umile ospite. Penso che ormai conosciate le circostanze che affliggono mio padre e me... Perdonate il mio ardire, se oso chiedervi di dimenticare questo nostro incontro e permetterci di proseguire in pace verso le dimore della madre di mio padre Vidumavi. Vi giuro sul mio onore che né io, né i miei uomini, per tutto ciò che abbiamo di più caro, abbiamo alcuna intenzione di portare guerra agli uccisori d'ombra o coinvolgerli nelle nostre tristi faccende, a meno che voi stessa decidiate spontaneamente di allearvi alla nostra causa. Del che, ne saremmo immensamente grati.”

A quel discorso, Boriàn non trattenne il riso. Quindi, ribatté, serena:

“Perdonate me piuttosto, sire dei numenoreani. Non sono colei che conoscete con il nome di Boriél, bensì sua sorella gemella, Boriàn. Lieta di fare la vostra conoscenza. Siete assai abile con le parole, per quanto dubito che le vostre preghiere avrebbero comunque sortito alcun effetto presso di lei.

Dovete però sapere che ho imparato a conversare presso il più alto poeta di tutta la terra-di-mezzo sin dal tempo degli alberi, per cui non mi lascio sviare facilmente dalle lusinghe! Il vostro discorso predicava pace, ma nei fatti faceva presagire guerra. Personalmente non ve ne voglio per questo, ma sappiate che il contegno del vostro progenitore Valacar verso i morinehtari non è stato affatto dimenticato. Boriél ora è regina. Non so cosa le sia accaduto a Osgiliath, ma il rancore verso i figli di Anarion è in lei molto radicato; un fuoco appena dormiente sotto delle braci, ma capace di risvegliarsi alla minima scintilla. Non è tanto divorata dalla follia da alzare senza giustificazioni la spada contro di voi... Ma se siete qui per sobillare il Rhovanion e scagliarlo contro Castamir, se siete qui per innalzare il vessillo della rivolta e non solo per nascondervi, allora sappiate che senza dubbio mia sorella sarà vostra nemica.”

“Il vostro dire è gentile, dama Boriàn, eppure proferite parole di certa sventura. Mio padre non si arrenderà facilmente al suo fato e, a costo di trascinarsi dietro l'intera terra-di-mezzo, farà di tutto per riottenere il trono che gli spetta e vendicarsi della morte di Ornendil mio fratello.”

“Non v'è dunque modo di evitare di incontrarsi sul campo di battaglia, dunque.” Soggiunse pacata Boriàn alle parole di Aldamir.

“Non dite questo. Vi è dunque impossibile mutare l'animo di vostra sorella?”

“Nulla è veramente impossibile. Tuttavia al momento non vedo alcuna via. Ma dunque, vi chiedo nuovamente, quali affronti e umiliazioni dovette subire Boriél a Osgiliath, per divenire così? Se voi sapete qualcosa, vi prego di dirmelo, per amore della mia famiglia e del mio popolo.”

“Per quanto sia vergognoso ammetterlo, il contegno della mia gente verso tutti gli altri uomini che vivono la terra-di-mezzo è sempre stato sprezzante, non c'è bisogno che ve lo nasconda. Ma questo vale sia per voi morinehtari, sia per le genti del Rhovanion, senza distinzione alcuna. E' per questo sprezzo che Castamir è riuscito a usurpare il trono, scatenando il sospetto verso mio padre, un mezzosangue. Non è però questo, suppongo, il motivo per cui dama Boriél è, come dite, ed io certo lo credo, ottenebrata da cupi pensieri.

Uccisori d'ombra, vi credete tanto inferiori a noi, tanto da logorarvi per questo... Eppure, siete una razza fiera e terribile ed invero, chi vi conosce, impara a temervi. Il vostro ostinato senso dell'onore e la vostra perseveranza è in grado di oltrepassare persino quella del popolo di Durin e tanto più insinua vergogna nei cuori di coloro tra gli uomini che sono stati benedetti dai Valar! Quando uno dei Dunedaìn pone lo sguardo oltre l'aspetto esteriore e si sofferma sulla reale fattura del vostro cuore, è difficile che non provi invidia nei vostri confronti.”

A quel punto, con grande stupore di Boriàn, Aldamir chiese ai suoi uomini di allontanarsi. Una volta assicuratosi di ciò, riprese, con voce bassa e tono serio:

“Confidandovi questo e sperando che non lo divulgherete, mi rimetto completamente alla vostra mercé, mia signora... Tale, in realtà, è stato l'inconfessabile segreto del padre di mio padre, Valacar. Fintanto che dama Vidumavi fu in vita, egli mai dubitò del suo amore. Ma, dopo la sua morte, iniziò ad essere colto da dubbi... Dubbi che probabilmente già prima albergavano nella sua mente, ma che mai aveva avuto il coraggio di esplicitare. Che forse lei si fosse poi pentita di aver dato il proprio amore a lui invece che a Borgil, il testardo, ostinato, onorevole signore degli uomini bruni? Che forse avesse provato invidia verso la sorella minore Vinnili, che prima di lei aveva saputo guardare al di là delle apparenze? Che forse, potendo far tornare indietro la ruota del tempo, Vidumavi avrebbe fatto una scelta differente? Quando ebbe a conoscere la storia di dama Miriél, una numenoreana, una figlia degli Edain che, scandalosamente, aveva scelto di dare il sua affetto a un uomo bruno, tali dubbi non fecero che acuirsi e divenire tarlo nella sua mente.”

“Fu così che, quando gli si parò dinnanzi mia sorella Boriél, riversò su di lei le sue paure, sotto forma di scherno e umiliazioni. Ciò è esatto?”

Aldamir annuì silenziosamente alla supposizione di Boriàn. E concluse:

“Vi chiedo perdono a nome di mio nonno. Nonostante da parte nostra non facessimo mancare il nostro rispetto verso vostra sorella, in fondo non abbiamo fatto altro che assecondare la debolezza di Valacar, per pietà e amore filiale nei suoi confronti. Mi rattrista immensamente pensare che da questo debbano inevitabilmente derivare grandi lutti tra i nostri rispettivi popoli.”

Paolo Maltagliati e Edoardo Secco

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Per far avere il vostro parere agli autori, scrivete a Paolo a questo indirizzo e ad Edoardo a questo!

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