L'Italia disintegrata


Il sasso viene lanciato dal grande Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon con questa sua « Ucronia parabossiana »:

La seguente non è una mia proposta, ma l'ipotesi che agli inizî degli Anni Novanta alcuni Decisori a livello molto alto in Occidente abbiano davvero preso in considerazione un'ucronia come questa e abbiano per contrasto dato vita al progetto politico di Forza Italia (che ormai storicamente si può dire che abbia svolto il ruolo di acceleratore del processo di americanizzazione culturale, almeno ad alcuni livelli, del per certi versi peculiare ambiente sociopolitico della Repubblica Italiana):

(Epoca: primi Anni Novanta)
- Moltiplicazione dei gruppi politici con obiettivi di ridiscussione dei confini politico-territoriali interni alla Repubblica Italiana
- Corrispondente crescita dei gruppi unitaristi, contrarî a tali prospettive

Poco tempo dopo, i due insiemi opposti sono stati ciascuno egemonizzato da un partito, rispettivamente Lega Nord e Alleanza Nazionale (con conseguente neutralizzazione di tutti i soggetti meno controllabili), e poi fatti entrambi convergere, attraverso un inatteso compromesso storico, in un'unica Maggioranza di Centro-Destra guidata da un partito almeno apparentemente nazional-popolare (Forza Italia) con personale in parte reclutato tra esponenti della precedente Maggioranza di Pentapartito.

Punto di divergenza: invece della semplificazione politica operata dai due 'collettori' Lega Nord e Alleanza Nazionale e del successivo riorientamento ideologico in senso più o meno xenofobo anziché mutuamente contrapposto tra Secessionisti e Unitaristi, si attua una vicenda analoga alla Jugoslavia, approssimabile con le seguenti omologie:

1) "Cisalpina" (nella pubblicistica di quegli anni non si era ancora imposta l'accezione estesa di "Padania") = nucleo della Secessione (Slovenia, Croazia, Bosnia)
2) "Italia" (curiosamente, in accezione antiquaria preaugustea, come "Cisalpina") = Terza Jugoslavia (Serbia, Montenegro)
3) Regioni Autonome = altre Repubbliche (Macedonia; in sèguito Montenegro, infine come Provincia autonoma il Kosovo / Kosova).

Una prima asimmetria rispetto alla crisi della Seconda Jugoslavia è che le Regioni e Province Autonome (in particolare Valle d'Aosta, Trentino, Alto Adige / Südtirol, Friuli - Venezia Giulia) sfuggono al grosso nucleo secessionista, che in compenso è più compatto (Veneto, Lombardia, Piemonte, forse Liguria) rispetto alla distinzione in tre Repubbliche di Slovenia, Croazia e Bosnia (a sua volta poi divisa).

Gli aspetti che chi si presume abbia concepito questa ucronia deve aver temuto di più sono le vicende militari e la pulizia etnica. In questo scenario sarebbero:

- tentativo della Cisalpina di coinvolgere nella Secessione anche l'Emilia-Romagna e la Toscana; quest'ultima non è quasi coinvolta, a parte sconfinamenti dalla Liguria e dall'Emilia in Lunigiana e Garfagnana, mentre in Emilia-Romagna un'iniziale secessione nelle fasce padana e appenninica accerchia le città sulla Via Emilia ma non riesce a inglobarle e finisce per arretrare di fronte alla controffensiva unitarista che si spinge fino a Piacenza

- secessione nella secessione, da parte delle cinture (sub)urbane di Torino e Milano e di alcuni centri di confine (Ventimiglia, Bardonecchia ecc.) a prevalente popolazione italiana (in senso stretto, cioè non cisalpina), che si proclamano fedeli all'Italia - ulteriori microsecessioni nelle Valli Occitaniche, che si proclamano Repubbliche Autonome federate alla Valle d'Aosta, nonché sporadici tentativi analoghi altrove (nei varî Comuni alloglotti non compresi nelle Province o Regioni Autonome)

- combattimenti a Torino e Milano tra Secessionisti e Unitaristi: Forze Armate italiane vengono accerchiate in città dai Secessionisti, a loro separati dal resto della Cisalpina a motivo delle cinture suburbane controllate dagli Unitaristi

- tentativo della controffensiva italiana di raggiungere Milano e Torino da Piacenza

- episodî di pulizia etnica a scapito dei Secessionisti nelle cinture suburbane e nei centri di confine fedeli all'Italia, a scapito invece degli Unitaristi altrove (sottolineo che Secessionisti e Unitaristi si rappresentano come comunità etnico-politiche, specialmente i primi, ma sono di fatto molto eterogenei dal punto di vista genealogico, sia perché decenni di cittadinanza senza distinzioni hanno mescolato una grande parte dei lignaggi, sia anche perché molti gruppi o singoli individui - anche se 'etnicamente' ancora individuabili secondo le categorie al momento in voga - optano a seconda della convenienza occasionale per l'uno o l'altro schieramento e vi si mimetizzano coscientemente. Fanno da cornice internazionale alla vicenda un malcelato sostegno alla Cisalpina da parte di alcuni Länder tedeschi (p.e. Baviera), dall'altro un ambiguo atteggiamento da parte vaticana, nominalmente a fianco delle più intransigenti posizioni unitaristiche italiane, ma con molte tacite eccezioni locali in Cisalpina (soprattutto dove la Secessione si è imposta senza produrre disordini).

Prospettive successive:
Intervento americano e/o delle Nazioni Unite?
Esito parallelo alle vicende jugoslave?
Appianamento dei contrasti nell'àmbito di accordi in sede di Unione Europea?

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Ed ecco come Enrico vede la possibile disintegrazione dell'Italia così come oggi la conosciamo, tratteggiata qui sopra da Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon:

Dal Corriere di Bellinzona del 12 dicembre 2007:

Anche il Meridione se ne va

Nel referendum di domenica 9 dicembre gli elettori del mezzogiorno d'Italia si sono pronunciati con il 55,4% dei voti a favore della separazione dalla Repubblica Italiana e per l'indipendenza.

L'affluenza è stata elevata: l'86,3 per cento degli aventi diritto. I cittadini di Basilicata, Calabria, Campania e Puglia erano chiamati alle urne per dire la parola finale sul destino dell'unione tra la parte meridionale dello stivale e ciò che è rimasto sia della nazione creata dal Risorgimento, sia della Repubblica sorta all'indomani del secondo conflitto mondiale. A favore dell'indipendenza è schierata compatta la nomenklatura del mondo economico e politico moderato del Meridione, e a nulla sono valsi gli appassionati comizi dei governatori di Puglia e Campania Vendola e Bassolino contro questa ulteriore secessione. In testa ai partigiani della sovranità c'è l'uomo forte della nuova Repubblica: il noto Clemente Mastella, pronto a qualunque "giro di valzer" nei non lontani tempi della tenzone politica, quando ancora l'Italia era unita. Malgrado queste "vecchie storie" però, il neo primo ministro Mastella può contare su un sostegno quasi incondizionato del fronte interno e su un sistema di potere ben strutturato. E, grazie a numerosi viaggi diplomatici e con la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, Mastella è riconosciuto oggi anche come un valido interlocutore da diverse cancellerie occidentali.

Stavolta il governo di Roma, a differenza delle precedenti consultazioni referendarie volte a raggiungere la secessione di parti del territorio, non ha posto in essere alcun forma di contrasto per impedire l'esercizio del voto, se si eccettuano delle labiali quanto innocue proteste.

Con la proclamazione dell'indipendenza della cosiddetta "Repubblica dell'Italia del Sud", si è giunti all'ultimo capitolo della recente storia italiana, una storia costituita da una serie di avvenimenti che hanno sempre più incrinato i legami che tenevano unita quella nazione. Molti analisti politici fanno iniziare la crisi all'indomani delle consultazioni politiche dell'aprile dello scorso anno, quando le polemiche sorte sul conteggio dei voti che avevano assicurato la vittoria della coalizione di centro-sinistra, acuirono in modo sempre più grave i rapporti tra le varie fazioni, giungendo progressivamente ad un'irreversibile avvelenamento fino ad una breve ma sanguinosa guerra civile.

Eccone le tappe principali:

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Sicilia

Collocata all'estremo sud della Repubblica Italiana e ancorata da secoli a tradizioni indipendentiste, la più grande isola del Mediterraneo fu la prima a proclamarsi libera e sovrana, sulla scia di un referendum contro l'aumento della quota statale sulle imposte - coronato dall'88% di sì - celebratosi il 2 luglio 2006. Un passo che aprì le porte a una sorta di effetto domino, dapprima ignorato dal governo centrale, allora guidato da Romano Prodi, ma che dopo la caduta di quest'ultimo nella tarda estate di quell'anno, proprio a causa del "caso Sicilia", venne contrastato in ogni modo dal nuovo esecutivo condotto da Massimo D'Alema, fino a giungere all'intervento, nell'autunno, delle forze di polizia e delle truppe nazionali; intervento conclusosi peraltro con scontri a livello di scaramucce nel giro di dieci giorni, per lasciare spazio, già nel dicembre 2006, al riconoscimento di fatto dell'indipendenza di Palermo.

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Sardegna

Terza regione italiana per dimensioni, la Sardegna è stata seconda nella corsa alla secessione. Uno sbocco preparato dalla sempre più maggiore influenza presso il governo regionale di Cagliari dell'ex generale e ideologo nazionalista Efisio Arras (settembre 2006) e da una serie di modifiche legislative, contestate come incostituzionali dal governo nazionale (e pertanto disconosciute). La volontà dei Sardi fu però suggellata nel successivo gennaio da un referendum, contrastato dal governo D'Alema e dall'ex presidente della Regione Soru, nel quale i sì all'indipendenza furono l'82%. Un risultato destinato a scatenare scontri ben più sanguinosi di quelli della Sicilia, con una guerra aperta durata quasi quattro mesi, caratterizzata dall'iniziale prevalenza delle forze italiane, che godevano dell'appoggio dell'aeronautica, e riscossa finale nella primavera 2007 del nuovo esercito sardo grazie alla cosiddetta operazione "Indipendènzia", secondo molti supportata dall'estero.

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Padania

Vero fulcro della tragedia italiana, quest'area del settentrione variamente composita - la quasi totalità del Trentino, del Veneto e del Friuli, il 60% della Lombardia, il 30% del Piemonte, modeste zone della Liguria - fu la terza a dichiarasi sovrana. Lo fece con voto referendario (anch'esso disconosciuto e contrastato) il 4 febbraio di quest'anno. Un passaggio seguito dal tentativo riuscito dell'ex premier Berlusconi di mediare un accordo tra il governo D'Alema e il leader della Lega Umberto Bossi, ma da questi poi denunciato in seguito alla subitanea incriminazione dello stesso Berlusconi per ordine della magistratura milanese. Venne allora indetto un nuovo referendum indipendentista, svoltosi clandestinamente nel marzo 2007, nonostante il divieto del governo centrale e gli impedimenti posti in essere dalla comunità politica di centro-sinistra. Referendum approvato dal 62,8% della popolazione delle regioni a nord del Po (eccetto la provincia di Bolzano), seguito dalla dichiarazione d'indipendenza della Padania, a sua volta scatenante un conflitto con le forze militari e di polizia governative italiane, e proseguito con la partecipazione dei cosiddetti "volontari del popolo" voluti, armati e finanziati dal governo di Roma e incitati da alcuni fra i leader presenti nelle istituzioni. Conflitto emblematicamente rappresentato dall'assedio di Milano, un accerchiamento destinato a durare sei mesi, in un panorama punteggiato da eccidi e devastazioni, fra vaghi tentativi negoziali europei e trame di ipotetiche spartizioni del Nord attribuite sotto banco a nazioni straniere. Fino ai raid USA contro le forze italiane e agli accordi imposti da Condoleezza Rice nel summit di Ginevra dell'ottobre 2007 e sanciti dal riconoscimento dell'indipendenza di Milano, anche da parte di Roma: accordi precari, ma tali da mettere almeno fine a una mattanza pagata da 20mila morti (1.800 solo nel famigerato massacro di civili di Cuneo) e da moltitudini di profughi.

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Sud-Tirolo

Altro mosaico, non solo politico, ma stavolta anche etnico (Tedeschi, Italiani, Ladini), però confinato alla frontiera nord della penisola, l'Alto-Adige o più propriamente Sud-Tirolo è stata quella regione che è giunta all'indipendenza sotto la guida della più nazionalista delle formazioni politiche, il Sudtirolen Volkspartei guidato da Elmar Pichler Rolle. Già a fianco di Romano Prodi e della sua coalizione nello sconfiggere il governo di centro-destra di Berlusconi nell'aprile del 2006, Pichler Rolle approfittò della lotta scoppiata nell'Italia settentrionale per proclamare la sovranità della ex provincia di Bolzano, ottenendola, come per forza d'inerzia nel luglio 2007, con un quasi plebiscito (95% di sì, grazie al boicottaggio dei cittadini di lingua italiana), ma senza versare - in quel frangente drammatico - neppure una goccia di sangue. «Il passo successivo sarà la riunificazione con la madre patria Austria», dichiarò Pichler Rolle, ma a tutt'oggi Vienna non ha ancora ufficialmente espresso la sua posizione, mentre una serie di azioni terroristiche hanno cominciato a verificarsi ad opera di sedicenti "partigiani italiani".

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Valle d'Aosta

« Con la decisione della maggioranza dei cittadini della Vallée, è stata stabilita la separazione dall'Italia e presto verrà richiesta l'unificazione con la Francia », diceva questa estate, alla folla festante che lo acclamava, il presidente dell'Union Valdotaine Guido Cesal, ricordando quando già nel 1945 questo evento era stato impedito dall'offerta dell'allora neonata Repubblica Italiana di garantire determinati privilegi agli abitanti della Vallée; privilegi che né l'attuale governo di Roma, né tanto meno la Padania, erano più disposti a riconoscere. La Francia, però, per il momento si è solo limitata ad istituire una commissione parlamentare per la valutazione della richiesta.

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Italia

Dopo l'indipendenza del Meridione, questa parola ha addirittura cessato di essere un'espressione geografica, per come dichiarava il Metternich. Di fatto costituita ormai solo dall'area centro-settentrionale (Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio e Molise) e da una propaggine che si allunga verso nord-ovest, rappresentata da una vasta porzione della Liguria, l'attuale Repubblica Italiana, sembra avere poca influenza nel panorama politico europeo. Il fatto che la maggior parte del Piemonte e vaste zone della Lombardia siano rimaste in mano ai cosiddetti "lealisti" – secondo i Padani, in realtà leali verso i partiti della sinistra che governano a Roma, tanto che definiscono "rosse" quelle zone – non modifica i rapporti di forza oggi esistenti con la rivale nazione a nord del Po. Già il governo guidato da Romano Prodi si trovò a gestire i primi sussulti secessionisti handicappato da un problema che avrebbe poi assillato D'Alema e i suoi ministri: l'impossibilità di utilizzare gli elementi siciliani o sardi presenti nelle forze dell'ordine e nelle forze armate, laddove impiegati contro i loro conterranei; elementi che nella stragrande maggioranza dei casi, all'indomani delle dichiarazioni d'indipendenza delle loro regioni, abbandonarono in massa le strutture nazionali, portando seco la loro professionalità, e quel che peggio, i loro equipaggiamenti, talvolta anche quelli pesanti. Nella lotta contro i secessionisti padani, il governo di Roma poteva ancora contare su una buona parte di militari e poliziotti provenienti dalle regioni meridionali continentali. Ormai, con la secessione del Meridione, anche questo serbatoio è venuto meno, peraltro dissanguato dalle campagne della Sardegna e del Nord, e da ultimo annichilito dall'azione militare USA. Ed è notizia di questa stessa mattina che un intero reggimento di fanteria, schierato sul confine di Piacenza, e costituito per la quasi totalità da elementi provenienti dalla Campania e dalla Puglia, si sia di fatto ammutinato, dirigendosi verso sud per tornare nei luoghi di origine. È da ritenere che non si tratterrà di un singolo caso. Molti reparti dell'esercito nazionale, sebbene comprendenti i recenti volontari delle regioni "rosse", sono costituiti da professionisti di provenienza meridionale. Difficilmente le unità fedeli al governo di Roma tenteranno di bloccare questa "anabasi". Oltre a questi spostamenti di militari, si assisterà ad una nuova serie di trasferimenti di civili, più correttamente di profughi per motivi ideologici, che abbandoneranno il territorio dominato da governi con i quali non si sentiranno più in sintonia. Resta il fatto che all'interno di ciò che resta della Repubblica Italiana si verificano molti episodi di terrorismo, specialmente, e con frequenza quasi giornaliera, nel Lazio e in Abruzzo, ad opera di simpatizzanti dell'estrema destra; ciò è segno che nel prossimo futuro, altri pezzi di quanto è rimasto dell'originario Bel Paese potranno staccarsi per molto probabilmente unirsi alla nuova nazione sorta a sud. (Articolo firmato)

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Sempre lo stesso autore così commenta il suo stesso scritto:

Ecco come dovrebbe svolgersi l'assurda situazione:

aprile 2006:
vittoria del centro-sinistra;
polemiche sul conteggio dei voti;
sempre più strisciante esacerbazione degli animi in tutta la nazione;

maggio 2006:
costituzione del II governo Prodi;

giugno 2006:
violenze verbali e dichiarazioni di fuoco tra maggioranza ed opposizione;

luglio 2006:
referendum anti-fiscale siciliano;
l'Assemblea Regionale Siciliana emana leggi in contrasto con la Costituzione;
intervento del Commissario dello Stato;

agosto 2006:
tutti al mare (siamo in Italia, no?!);

settembre 2006:
dichiarazione d'indipendenza della Sicilia;
crisi di governo e costituzione del III gabinetto D'Alema;

ottobre 2006:
intervento militare italiano in Sicilia;
stallo dopo i primi scontri;

novembre 2006:
crisi legislativa in Sardegna come già accaduto in Sicilia;
evacuazione italiana dalla Sicilia;

dicembre 2006:
riconoscimento "de facto" dell'indipendenza della Sicilia;

gennaio 2007:
referendum secessionista in Sardegna;

febbraio 2007
intervento militare in Sardegna;
referendum secessionista nel Nord;

marzo 2007:
secondo referendum secessionista nel Nord;

aprile 2007:
dichiarazione d'indipendenza della Padania;
esplode il conflitto in tutto il Settentrione tra separatisti e lealisti;

maggio 2007:
violenti scontri in Sardegna e nel Settentrione;

giugno 2007:
i Sardi respingono gli Italiani e prendono possesso dell'isola;

luglio 2007
referendum secessionista in Sud-Tirolo;

agosto 2007:
referendum secessionista in Valle d'Aosta (i montanari sono più seri e non vanno in vacanza se devono lavorare);

settembre 2007:
intervento militare USA a favore della Padania (semplicemente assurdo);

ottobre 2007:
accordi di Ginevra;

dicembre 2007:
referendum secessionista nel Meridione;
nascita della Repubblica dell'Italia del Sud.

La simmetria con la ex-Jugoslavia è la seguente:

Slovenia = Sicilia
Croazia = Sardegna
Bosnia Erzegovina = Padania
Macedonia = Sud-Tirolo
Jugoslavia/Serbia = Italia
Kossovo = Lazio e Abruzzo
Montenegro = Meridione

In effetti, se consideriamo che il governo federale di Belgrado abbandonò quasi subito il progetto di mantenere con la forza la Slovenia nell'ambito della Jugoslavia, dovremmo valutare il perché l'abbia fatto: territorio periferico rispetto al corpo del paese, popolazione residente compatta ed omogenea nell'etnia, presenza di cittadini serbi piuttosto scarsa, molto probabilmente ha avuto il suo peso anche il fatto che confinasse con noi, una nazione occidentale facente parte della NATO; a questo punto mi viene da pensare che forse sarebbe più esatto far equivalere la Sardegna con la Slovenia, proprio in ragione della distanza e della popolazione residente, e di conseguenza la Sicilia con la Croazia.

Volendo dare un minimo di consistenza a questa dissennata ucronia, i primi a secedere dovrebbero essere i Sardi, e dopo i Siciliani, quindi scaramucce in Sardegna (e poi la Brigata Sassari di stanza nell'isola è costituita al 90% da locali, quindi il conto torna), e dopo poco tempo Roma abbandona Cagliari.

In Sicilia invece le cose vanno per le lunghe, cinque mesi di combattimenti, poi anche lì si decide di evacuare perché nessuno vuole morire per i limoni e le arance.

Tornando al paragone con la guerra intestina jugoslava, per la Padania la simmetria con la Bosnia-Erzegovina è, purtroppo, anche troppo realistica. Molti certamente proveranno orrore a ridurre Piemonte e Lombardia a macchia di leopardo (il paragone con l'abito di Arlecchino sarebbe troppo gioioso), ma è proprio quello che accadrebbe in una infausta e speriamo irrealizzabile eventualità, creandosi tutta una serie di cantoni di diverso colore e, appunto, invivibilità e ingovernabilità. Sarebbe veramente un "bellum omnium contra omnes". Secessionisti contro lealisti, all'interno di questi ultimi presenza di estremisti di sinistra e di destra, quindi anche pronti a scannarsi tra di loro (forse che in quel bailamme gli ultras fascisti si perderebbero l'occasione di far fuori quelli dei centri sociali comunisti e viceversa?), e poi dalli agli extracomunitari (includendo i Romeni anche se adesso non lo sono più). Una vera tragedia, ma questo solo se arriviamo al diapason della follia, una sommatoria di elementi e di eventi non facilmente concretizzabile (almeno spero!)

Enrico

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Questo è il commento in proposito di Renato Balduzzi:

Il motivo principale delle guerriglie etniche jugoslave fu la diversità religiosa. Infatti, Croati, Bosniaci e Serbi secondo molti linguisti parlano la medesima lingua, il serbo-croato, e le loro lingue nazionali non sarebbero altro che suoi dialetti. La vera differenza l'hanno fatta le religioni: i croati sono cattolici, i bosniaci musulmani sunniti, i serbi cattolici. Da qui sono nate le diverse nazionalità. Come si sa, spesso la religione sfocia in fanatismo, si mescola alla politica e nascono le guerre civili.

In Italia non c'è questa differenza religiosa.

Altro motivo è la pancia non proprio piena degli jugoslavi negli anni '80, a differenza degli italiani ben pasciuti del 2010. Come la storia insegna, le rivoluzioni si fanno sempre "a digiuno".

Ultimo motivo, l'Italia si è formata nel 1860 ma è in parte frutto di un movimento complesso che potremmo chiamare "unitarismo", che da fortemente minoritario com'era nel '700 alla fine dell'800 è diventato fortemente maggioritario. La propaganda italiana e la repressione nei confronti dei dissidenti vennero svolte in modo magistrale, tant'è che gli attriti tra le differenti culture del paese sono venuti alla luce solo negli anni '70, con il grande esodo dei meridionali verso i centri industriali della Padania. I motivi sono essenzialmente quattro: politico (ai tempi vivere in una nazione di grandi dimensioni comportava minore possibilità di invasione e quindi stabilità politica con conseguente maggiore benessere); culturale (l'Italia letteraria era un'entità ben definita, avendo una lingua comune), storico (l'unificazione d'Italia era il risveglio dell'Impero romano e la fine del potere temporale della Chiesa), geografico (l'Italia è una regione geografica dai confini facilmente definibili). La Jugoslavia peccava in tre delle quattro motivazioni che hanno tenuto insieme l'Italia.

In Jugoslavia invece i popoli furono tenuti insieme con la forza ma evidentemente la propaganda trovò scarsi appigli per convincere gli jugoslavi di fare parte di un'unica nazione.

Quindi, per avere una rivoluzione violenta di stampo jugoslavo, l'Italia sarebbe dovuta essere come la Germania, con un nord protestante e un centro-sud cattolico, con l'aggiunta magari di una Sicilia musulmana.

Nella situazione odierna, invece, perché il secessionismo diventi violento occorre:

- Un'identità etnica ben definita. Questa c'è già. Il localismo, per quanto riguarda il centro-nord, è fortissimo. Non ricalca i confini etnici reali, ma c'è. Esiste anche un senso appartenenza comune alla Padania, checché se ne dica. Un padano generalmente sa distinguere un "peninsulare" da un suo "connazionale".

- Una situazione economica disastrosa. Questo è il motivo fondamentale ma non siamo ancora ridotti così male. La Lega è nata per difendere il nord dagli sprechi del centralismo, che riversa al sud buona parte delle tasse settentrionali. Qualora la crisi economica peggiorasse fino a non poter più garantire l'attuale benessere, il malcontento popolare aumenterebbe e ci sarebbero maggiori spinte di secessione presso la popolazione settentrionale, che senza il sud riuscirebbe a risollevarsi notevolmente. La repressione dei movimenti secessionisti da parte delle forze dell'ordine, dell'esercito e della magistratura sarebbe addirittura deleterio e non farebbe che rinforzare l'identità locale contro l'Italia, in quanto la maggior parte delle forze armate e dei funzionari dello Stato è chiaramente meridionale. Una volta inquadrati i meridionali e lo stato italiano come una cosa inscindibile, e in ultima analisi come oppressori, la secessione violenta del Nord è inevitabile.

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E Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon gli replica:

Sono d'accordo con te, ma aggiungo due minime eccezioni di dettaglio:

1) a proposito del motivo principale delle guerriglie etniche jugoslave da ricercarsi nella diversità religiosa, secondo me la situazione è ancora più complicata. È verissimo che il continuum dialettale serbocroato è diviso secondo linee che non coincidono con quelle che separano Serbi, Montenegrini, Muslimani, Croati (al punto che le lingue nazionali tradizionali - serbo e croato - non sono dialetti diversi, ma diversificazioni dello stesso dialetto, che non è locale né nella regione di Zagabria né in quella di Belgrado, anche se nelle città ormai invece sì). È altrettanto vero che le etnie serbocroate si differenziano in linea di massima per religione (ma con significative eccezioni: Serbi e Montenegrini non tra loro; inoltre ci sono subetnie serbe cattoliche; infine l'etnia bosniaca si ricollega a comunità sicuramente esistenti in fase anteriore all'introduzione massiccia dell'Islām nella regione). Tuttavia, il criterio fondamentale di appartenenza non è la religione (come non lo è la lingua, anzi meno ancora, perché se non altro la lingua serve come criterio quando la religione non lo è: i Serbi si differenziano dai Bulgari per la lingua, così come i Bosniaci dai Turchi balcanici o dagli Albanesi musulmani e come i Croati dagli Sloveni: il primo criterio è la lingua, poi al suo interno la religione - ma v. sotto - invece che i dialetti), bensì la genealogia (in linea patrilineare), tant'è vero che i figli delle croate e bosniache stuprate dai Serbi sono considerati serbi dai Serbi, anche se è evidente che non saranno di confessione serbo-ortodossa. Se dunque la vera differenza è genealogica (per cui i Serbi che siano tradizionalmente cattolici restano pur sempre serbi) e la religione ne è solo una - oltretutto parziale - conseguenza, il confronto col Regno d'Italia e poi Repubblica Italiana va condotto su questo livello e a questo punto arriva la sorpresa: è vero che nel territorio in esame gli assi genetici sono relativamente più numerosi (benché anche nei territorî serbocroati non siano affatto scarsi), ma il loro raggruppamento in due schieramenti polarizzati e contrapposti (per secoli Guelfi e Ghibellini) risulta più spesso costante nel tempo - a livello di piccolo Comune (mentre in ogni città i due partiti sono di norma compresenti, dato che la città comprende troppi gruppi gentilizî e quindi difficilmente riesce a raggrupparli in meno di due insiemi) - che non irrimediabilmente rimescolato. È chiaro che la logica geopolitica prevale, quando è necessario, sulle appartenenze genealogiche (per cui, per esempio, Genova sarà comunque contro Torino, ma Savona e Sanremo saranno contro Genova a fianco di Torino e sua volta Coldirodi sarà contro Sanremo a fianco di Genova e contro Torino), eppure resterà sempre spazio per una quinta colonna interna (a base 'clanica') collusa col 'nemico'. (È quasi superfluo aggiungere che la continuità storica non implica coerenza ideologica, bensì costanza gentilizia, per cui non bisogna attendersi che la distribuzioni di Democristiani e Comunisti coincida con quella di Guelfi e Ghibellini, bensì che ogni contrapposizione locale tra Guelfi e Ghibellini sia continuata da una contrapposizione locale tra Centro-Destra e Centro-Sinistra, a prescindere dal fatto che in un luogo i Ghibellini siano continuati da Leghisti e in un altro da Comunisti o quel che si vuole.)
La differenza decisiva risiede dunque non nella presenza o meno di una contrapposizione religiosa (questa si è prodotta solo in alcune linee di faglia dell'Europa, per ragioni geopolitiche più grandi che trascendono le rivalità locali; avrebbe potuto interessare la Cisalpina se lo Scisma d'Occidente fosse continuato più a lungo, invece è terminato ed è subentrata la Riforma, che ha diviso le comunità svizzere ma, con una sola eccezione, non si è consolidata a Sud delle Alpi), bensì nel fatto che presso Serbi e Croati la polarizzazione delle rivalità gentilizie si è spesso (ma notoriamente non dovunque, anzi con numerosissime e tragicamente famose eccezioni) coagulata in distribuzioni territoriali (e quindi macroetniche) di leggibilità relativamente facile (da notare che la stessa compresenza di tre religioni o confessioni non tripartisce invece il continuum albanese in tre etnie, perché la distribuzione territoriale non è altrettanto leggibile), mentre sia in Cisalpina sia in Italia (con tutte le anfizone intermedie che vogliamo individuare) - e chiaramente in molti altri luoghi - la rivalità gentilizia è risultata illimitatamente diffusa (ossia oltre qualsiasi possibilità di semplificazione territoriale) per la parallela distribuzione di entrambi i poli.

2) a proposito dell'"unitarismo", io rafforzerei la tesi che "la propaganda italiana e la repressione nei confronti dei dissidenti vennero svolte in modo magistrale" rincarando la dose con questo argomento: tali operazioni sono state tanto più magistrali in quanto il compito non era facilitato dalle quattro cause menzionate, anzi era reso quasi impossibile dal contrario di tali cause. In particolare:

- il motivo politico della sicurezza derivante da uno Stato (più che una Nazione: siamo in politica militare ed economica, non ideologica) di grandi dimensioni non era discriminante, perché la maggior parte dei territorî entrati a far parte del Regno d'Italia facevano già parte di grandi Stati o Imperi (che stavano diventando ancora più compatti proprio in quel periodo) e anzi le "invasioni" sarebbero state casomai l'ingresso in Imperi persino più grandi. Questo in teoria; la realtà spicciola era che il dilemma nell'Ottocento consisteva nell'aggregazione a un grande Impero Mitteleuropeo (Germania + Paesi Asburgici + Stati dell'Espressione Geografica) oppure al grande Impero Neolatino a guida francese: l'Unità in forma sabauda è stata il distacco dall'orbita asburgica per entrare nell'orbita francese (il Regno d'Italia stava al Secondo Impero Francese come i Regni Napoleonici non retti da un Bonaparte stavano al Primo Impero), ossia non un riparo dalle invasioni ma una scelta tra due equivalenti di "invasione" (se si prende il termine in accezione neutra) e alla lunga ha significato essere uno Stato più piccolo.

- il motivo culturale - di rilevanza esclusivamente ideologica - era falso per difetto e per eccesso: per difetto perché l'uso del fiorentino come lingua di cultura era esteso a molti punti del Mediterraneo centro-orientale, ovviamente mai in misura maggioritaria, ma anzitutto in Dalmazia (fino alle guerre austro-italiane) era persino maggioritario (nonostante che - è sempre bene ribadirlo - le lingue di base fossero in maggior quantità serbocroate che venete) e invece in Sardegna era minoritaria (rispetto al castigliano) più che in Tunisia; per eccesso perché comunque l'area in cui il fiorentino era effettivamente la lingua di cultura più usata non coincideva praticamente mai con i confini geografici né con quelli politici (preesistenti o fissati allora)

- il motivo storico era addirittura il contrario: la continuazione più diretta dell'Impero Romano (d'Occidente) era il sistema culturale, territoriale e in parte politico della Chiesa Cattolica, all'epoca profondamente scosso e tuttavia tenuto ancora in vita opportunisticamente (com'è giusto, in politica) e a fasi alterne (secondo la convenienza) da Monarchie grandi e piccole (certamente Carlo Alberto, ma anche più vistosamente gli Asburgo, ritiratisi dal modello giuseppino); sul lungo periodo si è trattato di una forma compromissoria di coronamento della secolare aspirazione geopolitica francese di egemonia sulla Cisalpina, sulla Penisola Italica e sulle grandi isole del Tirreno (oltre che sulla Penisola Iberica)

- infine il motivo geografico, spesso ritenuto in buona fede valido (anche se questo significa non tenere nella minima considerazione le Isole), a una misurazione 'cieca' si rivela irriconoscibile: se si considerano i bacini idrografici, il Regno d'Italia consiste nella giustapposizione di due subregioni da due bacini differenti (adriatico da un lato e mediterraneo occidentale dall'altro), mentre se si considerano le costellazioni delle distanze relative tra aggregati di popolazione si deve osservare che, se da un lato molti centri peninsulari (ma non tutti - cfr. Bari - e, di nuovo, non delle Isole!) costituiscono effettivamente un insieme coeso, dall'altro le antiche capitali non peninsulari (Genova, Torino, Milano, Venezia e, per l'importanza portuale, anche Trieste) hanno ciascuna una rete di rapporti geografici che è stata per la maggior parte mutilata dall'imprigionamento nella riesumazione dell'Italia Augustea (che a suo tempo era stata una grande innovazione - dopo molte tappe intermedie - della Confederazione Italica, ma poi era stata incommensurabilmente superata dalle successive vicende antropiche dell'Impero Romano).

Se dunque geografia, storia, politica e cultura erano motivi di disunità dell'Italia (ma insisto sempre su una premessa logica: qualsiasi insieme è e sarà inevitabilmente disunito, ciò che importa non è l'eterogeneità interna, quanto il fatto che tutto ciò che invece unisce unisca SOLO quell'insieme e non si estenda al di fuori, altrimenti l'insieme non ha senso), lo sono state anche per la Jugoslavia, anche se bisogna osservare che la vera e originaria formulazione del concetto di Jugoslavia come "Nazione degli Slavi meridionali" (ossia, per i criterî dell'epoca, "dei Popoli di lingua slava meridionale"), poiché includeva anche la Bulgaria poteva perlomeno aspirare alla coerenza sul piano linguistico, pur ridimensionata quando si considerano i dettagli dell'andamento del confine con le altre lingue (che lascia moltissime sacche alloglotte interne - Albanesi, Turchi, Romeni - e isole omoglotte esterne - Croati nel Burgenland, Serbi in Kosovo, Bulgari in Bessarabia); per l'Italia, invece, non sussiste nemmeno questo criterio, anzi, così come la Jugoslavia senza Bulgaria non poteva essere veramente "Slavia Meridionale", allo stesso modo l'Italia senza Francia, Vallonia, Romandia, Spagna, Portogallo non può essere veramente Romània (Occidentale; altrimenti, per essere "Romània" completa, dovrebbe includere pure Romanìa e Moldavia): come si vede, se alla Jugoslavia mancava almeno un terzo (la Bulgaria), all'Italia in quanto Romània mancano tre quarti...

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Questa è la risposta di Enrico Pellerito:

Sebbene conti di ritornare su alcuni aspetti espressi da Renato, in linea generale concordo con le vostre analisi, particolarmente con le puntualizzazioni di Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon.

Le motivazioni riguardo le contrapposizioni fra le varie componenti della ex-Jugoslavia sono molteplici e di varia natura e origine. Fra l'altro, a differenza dell'indole tipica italiana, in quella nazione gli abitanti erano stati costretti a far propri della loro caratterialità certi aspetti militareschi, notevolmente enfatizzati dal governo, causa la condizione geostrategica che derivava dalla politica di Tito.

Il primario timore di essere invasi dai Sovietici (essendo secondario quello di un attacco proveniente dall'Occidente) indusse la dirigenza jugoslava a programmare un'accurata macchina per la difesa nazionale, prevedendo, oltre alle forze armate vere e proprie, anche milizie locali e financo reparti di studenti universitari in armi.

Eravamo, dunque, in presenza di un popolo indottrinato ad intervenire nell'eventuale lotta per la salvezza della propria terra, vista nell'ottica dell'intera repubblica socialista, necessitando così l'impiego di preparazione ed educazione militare in tutti gli strati della società jugoslava e condizionante la vita del singolo cittadino fino all'età matura; con la conseguenza che questi insegnamenti diventavano un patrimonio all'occorrenza, per come verificatosi, "spendibile" anche in situazioni dove la salvezza della propria patria poteva non essere territorialmente coincidente con quella che intendevano e avrebbero inteso, Tito e la dirigenza federale.

Tutto questo non poteva certo che contraddistinguere in senso fortemente bellicista (anche se in senso difensivo) i vari popoli della vicina ex federazione, cosa che, ribadisco, mancava e manca totalmente a noi Italiani.

E poi, in una veste tragicamente ironica, aggiungerei una generalizzazione che, in quanto tale, come tutte le generalizzazioni è approssimativa, ma secondo me ha un suo peso e cioè la tipica "reattività" litigiosa del popoli in questione, caratteristica non di per se slava, ma fortemente propria degli abitanti di quei territori.

Con questo non voglio dire che da Lubiana a Skopje, passando per Zagabria e Belgrado, la gente sia tutta attaccabrighe, ma semplicemente che è portata a reagire pesantemente alle offese e alle provocazioni.

In certe zone della Sicilia siamo soliti dire che "cu pigghia avanti pigghia du viaggia", frase che in una sua interpretazione intende dire: chi si attiva per primo in una zuffa e dà il primo pugno, mette già una parziale ipoteca sulla possibilità di uscirne vincitore, raddoppiando (du viaggia = due volte) le probabilità suddette.

In pratica, un individuo con una sua particolare suscettibilità, sia esso di solide origini valdostane o pugliesi, potrebbe reagire non solo verbalmente a degli improperi, ma egli rappresenterebbe, nel contesto italico in genere, una minoranza.

Diversamente, oltre l'Isonzo, la suscettibilità, anche di fronte a semplici ingiurie o atteggiamenti insolenti ha un livello di innesco molto basso.

Molto probabilmente, tale irascibile condotta reattiva, ripeto non propria dei popoli Slavi in quanto tali, ma assurta in quelle zone come adeguamento "genetico" nei comportamenti sociali estremizzati, tende a degenerare durante i conflitti, producendo tutta una serie di azioni improntate ad estrema faziosità (fino a sconfinare nel fanatismo e nella ferocia) in una quantità superiore rispetto ad altri teatri di guerra, dove non mancherebbero efferatezze, ma potrebbero essere numericamente inferiori e, anche se non mi piace la cosa, umanamente/inumanamente fisiologiche.

Non dimentichiamo la precipua bellicosità che caratterizzò la lotta partigiana nella Yugoslavia occupata dall'Asse durante la II guerra mondiale, con aspetti di spietata violenza tra le opposte fazioni locali, dove, oltre a combattere contro o a favore degli occupanti, si scatenò anche una sorta di "bellum omnium contra omnes" che vide impegnati Cetnici serbi, Ustascia croati, musulmani bosniaci e partigiani titini.

E, per concludere, il concetto di vendetta, anch'esso profondamente radicato in quelle zone; basterebbe, come esempio, quello di un serbo che, durante i tragici eventi degli anni novanta del secolo scorso, uccise un croato il cui padre aveva, a sua volta, ucciso il genitore del serbo nella lotta che durante la guerra partigiana aveva opposto gli Ustascia ai Serbi. Un rancore, chiamiamolo così, covato ed alimentato perlomeno per ben quattro decenni!

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Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon si dimostra entusiasta:

Come sempre, un'analisi approfondita e precisa! Quindi:

1) (domanda non ucronica, bensì propriamente storica) ammesso che al mondo ci siano persone più e altre meno influenti (su questo credo che saremo sempre tutti d'accordo), è verosimile o no che alle persone relativamente più influenti di tutti (in campo politico-diplomatico internazionale) nei primi Anni Novanta sia apparso concreto il rischio (magari non imminente, ma pur sempre possibile) di una guerra 'etnica' nel territorio della Repubblica Italiana? (Siamo d'accordo che la 'finestra' virtuale c'è stata: se ne sono accorte queste persone influenti?)
Se sì, è verosimile o no che Alleanza Nazionale e Lega Nord abbiano addomesticato tali tendenze convogliandole in due grossi contenitori e quivi 'addormentandole' (giacché da quando sono al potere nessuna delle due forze ha compiuto passi significativi verso gli obiettivi caratterizzanti - in tema di struttura dello Stato - dei proprî programmi ufficiali)? Forza Italia è stato il complemento di questa (presunta) manovra o fondamentalmente il risultato di un'altra tendenza?

2) (domanda ucronica, nonostante le apparenze) Qual è oggi la funzione storica del Popolo delle Libertà? Quali sono le sue speranze di vita (minima e massima)? Quali sono le due possibilità estreme in caso di sua fine?

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Il dialogo a distanza prosegue con la replica di Enrico:

Personalmente sono poco propenso a credere alle tesi complottiste, ma che esistano certi circoli molto esclusivi, formati da gente che per talento e capacità sappiano vedere al di là del proprio naso in campo politico-diplomatico internazionale (e, correlativamente, in quello economico-finanziario) mi sembra del tutto normale e realistico.

Certo, definirlo un semplice giro di amicizie mi par fuor di luogo, ma fra questi importanti e influenti personaggi potrebbero esistere vincoli amicali (nascenti dal reciproco rispetto per l'intelligenza) e che trascendono la nazionalità di ciascuno di loro.

Oppure, nonostante siano tutti dotati di qualità notevoli, di senso dello Stato (inteso come entità strutturale politica) e di pragmatismo, operano in campi avversi e con obbiettivi e metodologie totalmente difformi.
Ma ammettendo che possano esserci identità di vedute, con ciò non intendo dire che questi individui gestiscono l'intero sistema economico-finanziario-politico del globo, tanto da poter decidere le sorti dell'umanità in un sera d'inverno, davanti il fuoco di un caminetto di una lussuosa villa, centellinando liquori pregiati e fumando sigari altrettanto pregiati.

Qualcosa di simile potrebbe avvenire, ma nell'ambito di una definita serie d'incontri e in relazione a quadri piuttosto circoscritti di azione (un determinato gruppo aziendale, anche multinazionale, una nazione, anche abbastanza grande ma non molto importante, ecc.).

Le sorti del mondo sono, a mio avviso, decise, indirizzate e gestite da una più ampia pluralità di soggetti, fra i quali sono presenti anche i personaggi di cui stiamo parlando, non sempre ai vertici guida, ma influenzanti, appunto, in qualità di consiglieri.

Già che ci siamo, potremmo fare qualche nome. Kissinger, ad esempio. E il recentemente scomparso presidente emerito Cossiga poteva essere una di queste persone? E Licio Gelli?

Con ciò, non è detto che ci sia commistione o peggio tra le persone che mi sono permesso di elencare; origini, studi, esperienze ed evoluzione di queste persone (in senso culturale, etico e politico) possono portarle ad essere tutt'altro che amiche fra di loro, considerando le differenti personali interpretazioni su concetti come l'onestà, la moralità, la correttezza, il rigore.

Riguardo alla tua tesi secondo cui « Alleanza Nazionale e Lega Nord avrebbero addomesticato tali tendenze convogliandole in due grossi contenitori e quivi 'addormentandole', la tua tesi non è affatto azzardata, e potrebbe benissimo rientrare in quel piano di sviluppo che proprio Gelli accarezzava (creazione di due sole concentrazioni/alleanze politiche opposte fra loro).

Nell'ambito di uno schieramento riformista in senso liberale, moderato nei passi da compiere e nei tempi di applicazione degli stessi passi, l'imbrigliamento delle fasce estreme per poterle addomesticare in un più ampio programma di decisioni-non decisioni politiche, mi sembra fattibile e, dico di più, auspicabile, visto l'esigenza di conformare ulteriormente una nazione come la nostra al mondo occidentale.

Riguardo infine alla funzione storica del Popolo delle Libertà, qui siamo nella "partitica" di un certo livello e mi limito a dire una sola cosa: la mia superficiale impressione è che un partito come Forza Italia, oggi "allargatosi" in PdL, è stato un esempio, come ben pochi al mondo, di forza politica nata e subito, nel giro di brevissimo tempo, affermatasi fino a raggiungere la maggioranza relativa alla prima "discesa in campo"; conseguente approssimativa personale sensazione è che altrettanto subitaneamente questa compagine possa crollare di fronte all'uscita (in qualunque senso) del suo attuale leader.

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Ecco la replica di Bhrihskwobhloukstroy Bhrghowidhon:

Non saprei fare nomi, se non isolatamente (perché in particolare era emerso un suo ruolo decisivo negli Anni Ottanta) Edward Luttwak.

Comunque sono perfettamente d'accordo e purtroppo avevo usato una formulazione molto equivoca. Quello a cui pensavo scrivendo di "persone influenti" era qualcosa di più anonimo, ossia il corrispettivo per l'Occidente/NATO della macchina burocratica degli Stati. Esempio di iter decisionale in una macchina burocratica statale:

> un gruppo di quattro-cinque esponenti di interessi locali, ma strutturati (questi esponenti) entro un Ministero, si riunisce periodicamente per delineare in linea di massima le politiche legislative del futuro immediato, dopodichè, attraverso la catena burocratica, dà incarico a uno o più Studî professionali (generalmente legati da amicizie personali con qualche Dirigente ministeriale non per forza incluso nel 'Comitato' dei quattro-cinque) di redigere una Proposta di Legge, che poi viene trasformata in Disegno di Legge (adattandola a schemi tradizionali già semilavorati) all'interno del Ministero, portata in Parlamento, modificata secondo gli interessi rappresentati dai varî Notabili e infine approvata come Legge dello Stato (in caso contrario, tutti quelli che hanno preso parte all'iter ricevono comunque sontuosissimi emolumenti). In questo caso, chi ha concretamente deciso sono stati i quattro-cinque, poi moderatamente il Dirigente ministeriale, i due o tre Praticanti che si sono occupati della Proposta all'interno dello Studio professionale dell'amico del Dirigente, poi l'esperto anziano al Ministero che ha seguìto la pratica fino a quando è diventata Disegno di Legge, infine il Proponente e un'altra decina (al massimo) di Parlamentari che rappresentano le lobbies interessate: in tutto una ventina di persone (tra le quali le uniche dieci 'elette' sono Notabili navigati la cui base elettorale riunisce clientele disparate e quindi per la maggior parte non coincide con gli interessi dei pochi grandi reali finanziatori della campagna del Parlamentare; raramente questi Notabili fanno parte della schiera di Parlamentari nominati per meriti disicplinari dalle Segreterie di Partito), che così determinano, sia pure limitatamente a un particolare, la vita di centinaia di migliaia o magari milioni di persone

> applicazione dell'analogia all'Occidente/NATO (per brevità, ma include anche le altre organizzazioni regionali guidate dagli Stati Uniti): il Complesso Militar-Industriale (soprattutto statunitense come bandiera, ma in realtà ben diffuso anche al di fuori) ha una propria Struttura di Comando con una certa qual continuità di linee strategiche (cui può destinare ingenti finanziamenti); queste ultime vengono portate avanti ed eventualmente ridefinite in base a un continuo apporto di dati e analisi da parte dei Centri di Studî Strategici (interni alle Forze Armate o anche esterni, per esempio - tra i tantissimi - l'Istituto di Studî di Politica Internazionale della Fondazione Pirelli; ma ce ne sarebbero decine e decine di altri). In questo caso chi decide politiche gravide di conseguenze per l'intero sistema internazionale sono i Vertici supremi delle Forze Armate, eventualmente qualche Amministratore Delegato di Società Multinazionali interessate all'indotto e in ogni caso la somma dei Responsabili (tre o quattro per volta) degli studî di settore fatti dalle - poche - centinaia di Centri di Studî Strategici e ovviamente degli Strutturati delle Forze Armate che ricevono l'incarico di selezionare e sintetizzare gli studî di settore: in tutto un migliaio di persone che influenzano la geopolitica mondiale. Poi, naturalmente, ci saranno cinque o diecimila colleghi, amici, parenti e conoscenti che a loro volta hanno avuto la forza di inserirsi in qualche punto della macchina per i motivi più disparati, ma ognuno di loro alla fine può al massimo aspirare a cambiare una virgola e diecimila virgole non mi sembrano ancora sostanziali per i destini dell'Umanità, ma comunque ammettiamo pure anche loro - sia pure in posizione decisamente secondaria - tra i Decisori. Logicamente, le prospettive geopolitiche della Repubblica Italiana all'inizio degli Anni Novanta non avranno interessato tutti e undicimila; in base al peso mondiale degli Stati, si può forse congetturare che un centesimo di loro, quindi circa dieci 'Decisori' che contano e cento 'Altri', si sono occupati concretamente (cioè al di là di un semplice "sì/no" nelle discussioni finali) della questione e hanno preso parte al modellamento della politica dell'Occidente in materia.

Così è come mi immagino realisticamente il cosiddetto "Complotto", che quindi a questo punto non ha più praticamente niente del complotto (se non il fatto, che però già potevamo immaginare, che le decisioni - umanissime e fallibilissime, ma effettive e ricche di conseguenze - che riguardano tutti sono prese da circa un quinto di milionesimo dell'Umanità) ed è per questo che avevo cercato di evitarne persino il termine, che in effetti sarebbe troppo fuorviante.

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Enrico gli fa notare:

Riguardo a Luttwak, del quale ho parecchia stima, devo però far presente che una sua analisi sulle prospettive future dell'URSS fu assolutamente sbagliata: egli affermava, eravamo nella prima metà degli anni '80, che la potenza militare sovietica si sarebbe molto presto dispiegata, non contro l'Occidente, ma bensì indirizzata verso la Cina, risolvendo una volta e per tutte la questione dell'eresia maoista, consentendo così la creazione di un vasto impero intercontinentale (non meno grande di quello mongolo) che avrebbe pesato ancora di più sulle decisioni globali. Sappiamo, con il senno di poi, come siano andate le cose: il tutto è rimasto un'ucronia.

Con questo non voglio togliere nulla alle analisi di Luttwak, né ai suoi metodi di studio, ma solo ricordare che una delle sue valutazioni non si è sviluppata per come da lui ipotizzato.

Luttwak è molto vicino all'Italia, nulla quindi vieta che non abbia a suo tempo espresso ipotesi su possibili evoluzioni (o involuzioni) del nostro paese in presenza di aspirazioni secessioniste del Nord. Tendenzialmente (quindi pecco di essere aprioristico) penso che le sue valutazioni sulle probabili conseguenze di un siffatto evento sarebbero state negative, sia dal punto di vista economico sia da quello geostrategico, non solo nell'ambito europeo ma anche per quanto riguarda il bacino mediterraneo. Consigliare di costituire un movimento politico che riuscisse ad imbrigliare "all'italiana" (si chiacchiera, si dibatte, si pontifica, ma non si concretizza poi nulla) può benissimo essere stato una sua mossa.

Tra l'altro, ecco un bel caso di ucronia che nasce come pensiero geopolitico di un influente opinionista (per usare un'espressione probabilmente troppo modesta): non ricordo che sia stata già sviluppata (almeno in questi precisi termini), potremmo avere l'ardore di provarci?

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A questo punto l'amico dDuck ci ha posto una domanda intrigante:

Supponiamo che davvero l'Italia come noi la conosciamo crolli, e si divida in stati come la Jugoslavia. Ecco il punto: come viene riscritta la storia (passata, quella che conosciamo) nei libri di storia padani, romani, meridionali, greci e sardi? La letteratura? L'arte? O persino la scienza?

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Anche Camus Vanz vuol dire la sua in proposito:

Ecco una timeline che si basa su un possibile scenario futuro, ovvero la balcanizzazione dell'Italia in tanti stati indipendenti. Immaginiamo in un futuro non molto lontano, un Italia frammentata in tanti Stati regionali senza nessun peso politico e militare. Gli stati del Nord con una economia capace di navigare con il resto delle nazioni più ricche d'Europa ed un Sud sottosviluppato che nella migliore delle ipotesi, abbia potuto trovare in questa spaccatura la motivazione per una resistenza verso il potere politico-mafioso che l'ha sempre soffocata, mentre nella peggiore e forse la più probabile delle ipotesi, che questa spaccatura porti alla nascita di una repubblica delle banane in preda alla criminalità come il Kosovo o la Colombia.

2028 – La situazione dell'Italia è drammatica. Il paese oramai è al collasso. 
La situazione nel Nord va complicandosi a causa della grave crisi economica che ha coinvolto, chi più chi meno, tutte le vecchie regioni settentrionali Italiane. In tutto il nord Italia la produzione industriale è calata dal 50 al 70 % a seconda del comparto. Il mercato del centro-sud Italia in pratica si è dissolto, mentre l' UE non è interessata ad assorbire il surplus industriale delle regioni del Nord.
Le capacità industriali del Nord Italia si dimezzano, moltissime fabbriche e aziende chiudono e la disoccupazione sfiora il 30 %. Il ridimensionamento drastico del mercato nazionale ( di fatto centro e sud Italia dopo la guerra civile smettono di comprare merci dal Nord ), la contemporanea nuova crisi economica europea e quindi l' impossibilità di trovare altrove dove vendere le merci in surplus, ha causato la chiusura, il fallimento di almeno il 60 % delle fabbriche e delle aziende del Nord Italia.
Nel Sud Italia vi è anarchia in ogni comune, piccolo borgo, paese, gli stipendi non vengono più pagati da mesi, ogni forma di autorità pubblica è scomparsa, la carestia ormai miete vittime e gli sciacalli battono in lungo e in largo le abitazioni private. La popolazione spinta dalla fame causata dal blocco dei rifornimenti di derrate dal Nord Italia e dal blocco delle linee di comunicazione con il resto del continente, saccheggia negozi, ipermercati e grandi magazzini. L'agricoltura locale con la carestia che avanza inizia a mietere vittime, un sacco di grano vale più del suo peso in oro. Per combattere la crisi economica i governi che si sono succeduti non hanno trovato niente di meglio che imporre l' autarchia e l' isolazionismo, causando ulteriore ristagnazione dei mercati.
Vengono messi pesanti dazi, e si crea una forte concorrenza economica con il resto dei paesi europei. Le mafie hanno assunto il controllo di tutto il meridione. I boss della Camorra e della N'drangheta in accordo con gli amministratori locali si mettono d'accordo per spartirsi il potere e amministrare il tutto senza spargimenti di sangue per espandere i loro traffici e mettere le mani su territori e infrastrutture da sfruttare. Il Governo centrale non riesce più a controllare la situazione. Il territorio controllato dalla criminalità viene diviso in feudi e in ogni feudo chiaramente comanda il boss locale, per cui una % delle tasse va allo Stato il resto legalmente nelle tasche dei boss.
La conseguente disoccupazione ha indotto i partiti estremisti etnonazionalisti a fomentare violente campagne di odio verso meridionali e immigrati che sempre più spesso sono sfociate in veri tumulti, atti di pulizia etnica, linciaggi ecc. ecc. I primi a farne le spese sono gli immigrati. I partiti etnonazionalisti e di estrema destra vincono in Lombardia e in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Vaste operazioni di pulizia etnica, perpetrate dalle milizie popolari inducano gli immigrati a trasferirsi nel resto d' Europa, nella neo-Repubblica Italiana e nel sud Italia.

2029 – In tutta Italia ci sono decine di gruppi paramilitari organizzati che si sono inquadrati prima in battaglioni poi in reggimenti e più di una volta hanno assaltato caserme dell'Esercito, dei Carabinieri o della Polizia per impossessarsi di armi leggere e pesanti. Essi rivendicano l'indipendenza quanto della Lombardia, quando del Veneto, quando della Sardegna o della Sicilia. Gli scontri oramai si sono spostati dai monti fin dentro i centri urbani. Ogni tentativo di tregua viene meno, al sud la popolazione da vita a delle sommosse nelle città di Napoli, Palermo, Bari, Catania, Reggio Calabria, Brindisi, Potenza, L'aquila, Frosinone. Le forze dell'ordine sparano sulla folla, mentre allo stesso tempo l' esercito regolare è impegnato contro i gruppi paramilitari che si sono dati alla guerriglia. Camorra, Ndrangheta, Mafia si alleano e stringono accordi con le milizie indipendentiste, neo-borboniche e duo-siciliane, per mantenere l'ordine e sedare le rivolte. 
Addirittura la mafia esegue attentati e azioni militari contro vari esponenti del governo nazionale della Neo-repubblica Italiana. 
Nel mese di Settembre infatti, nelle campagne vicino Enna vengono trovati 129 cadaveri di civili e oltre 400 civili vengono trovati trucidati ad Altamura da un raid di truppe Duo-Siciliane coadiuvate da sicari di Cosa Nostra. In seguito, verranno ritrovati cadaveri all'interno di fosse comuni in Campania, Calabria, Sicilia. 
Intanto a Roma, per fronteggiare la situazione un colpo di stato organizzato dai vertici dell'esercito destituisce il governo, dichiara decaduto il parlamento e insedia alla guida della Repubblica un "Presidente" fantoccio sostenuto dalle forze politiche della destra e manovrato dai militari. Nasce così la terza repubblica dei militari. La neo-Repubblica Italiana proclama la pena di morte ( da eseguire sul posto ) per tutti i cittadini che vengono trovati in possesso di armi nelle regioni di Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia. E' la guerra civile. La flotta militare Italiana partita da Taranto ( la neo-repubblica ha ancora gran parte dei mezzi pesanti delle vecchie forze armate italiane ) bombarda la città di Napoli per ritorsione causando più di 700 morti.

2030 - I Trentini di lingua tedesca da fuggono da Trento e si rifugiano in Sud Tirolo e nella provincia di Bolzano, per scappare dalle milizie indipendentiste che stanno facendo "pulizia etnica" delle minoranze tedesche in Trentino Alto Adige. Si costituisce la Repubblica Indipendente del Sudtirol che viene annessa temporaneamente all'Austria per garantirgli protezione.

Nuova bandiera del SudTirol Austriaco

Nasce il governo provvisorio delle Due Sicilie con lo scopo di ottenere l'indipendenza del meridione dal Stato Italiano. I vari gruppi paramilitari costituiscono l'armata sanfedista di liberazione in memoria della prima.
Gli organismi internazionali tra cui L'ONU attraverso una risoluzione condannano la Repubblica Italiana per i crimini contro l'Umanità applicando un embargo economico inasprendo una situazione alimentare, già critica negli ultimi anni. 
Le truppe Sanfediste aiutate anche dalle continue rivolte popolari riescono a cacciare i militari italiani dalla Sicilia. 
Dopo 15 mesi di combattimento le truppe indipendentiste di del Meridione cacciano i militari italiani anche da Calabria, Campania, Basilicata, Puglia, Molise, Abruzzo. Il bilancio dei morti e di 50.000 vittime tra civili e militari. 
L'ONU si affretta a varare un piano umanitario per la ricostruzione del sud sotto l'egida degli USA che invieranno parte dei contributi. I movimenti indipendentisti indicono un elezione costituente, che dovrà dare una nuova carta costituzionale alla nuova nazione e decidere sulla forma di governo. 
Al sud stravince il referendum indetto a favore della monarchia. Viene proclamata il Regno delle Due Sicilie con l' ascesa al trono di Carlo di Borbone discendente dei Borboni di Napoli. Il sud si riprende le sue antiche istituzioni. Le organizzazioni criminali e malavitose infiltrano massicciamente le amministrazioni locali, esercito e governo. Ovunque in Sicilia e Napoli e nel resto del meridione vengono abbattuto le statue dedicate a Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele II. Il nuovo stato ottiene il riconoscimento da tutti gli organismi internazionali, le organizzazioni umanitarie, l'ONU e l'UE.
Sull'onda dell'emozione suscitata dall'indipendenza del meridione in Sardegna hanno luogo sommosse. Viene inviato l'esercito a ristabilire l'ordine ma tre giorni e costretto ad abbandonare l'isola perché tutti i contatti con la Sardegna sono stati tagliati. Più di quattrocento militari della Brigata Sassari vengono massacrati dalle milizie indipendentiste sarde. La cacciata dei militari italiani dall'isola ha portato alla proclamazione della Repubblica Sarda. Stesso esempio lo seguirà la Corsica. Nascerà in seguito la federazione Sardo-Corsa.
In Liguria la situazione è molto più incerta in quanto i militari hanno abbandonato la regione per timore di possibili pressioni da parte della comunità internazionale, si arriva perciò ad una tregua concedendo un referendum per l' indipendenza, che porterà alla creazione di uno stato Ligure indipendente dalle altre regioni del nord. 
Il sud Tirolo resta definitivamente all'Austria. 
Nel Centro-Sud la situazione fra la Neo-Repubblica Italiana e la "Padania" è ormai è prossima alla guerra aperta. La popolazione al nord si riversa tutta nelle città ha causa della mancanza di viveri e si organizza in bande militari. La lega dei popoli padani (ora si chiama così il partito della lega nord dopo lo scoppio della guerra civile) istituisce l'Armata di Liberazione Padana e nasce il governo provvisorio Padano.

Bandiera dell'Armata di Liberazione Padana

Il governo di Roma, forte di un gran numero di unità militari, specialmente navali ed aeree occupa alcune regioni del Nord stufa della continua situazione di guerriglia e anarchia che si è sviluppata lungo i suoi confini. Il corpo degli Alpini di conseguenza invade da Ovest e occupa a sua volta alcune province Lombarde. 
Ignorata ogni minaccia le forze militari "Padane" invadano le province Lombarde occupando quelle più vicine. 
Al nord le truppe l'Armata di Liberazione Padana si abbandona a crimini ed efferatezze. Nella sola Milano vengono trucidate a sangue freddo più di 1000 persone accusate di essere collaborazionisti al servizio dell'esercito italiano. A Verona vengono fucilate 800 persone. Fatti analoghi accadranno in tutto le regioni del nord.
Finalmente le truppe Padane entrano per prime a Milano occupandola. Milano e il suo territorio entrano a far parte della Repubblica Padana come provincia autonoma. Le regioni più a ovest, e cioè Piemonte e Valle d'Aosta vengono occupate definitivamente dalle truppe della Repubblica Padana. Si svolge il Congresso della Lega Padana durante la quale i delegati della Padani dal Veneto in disaccordo con i vertici del partito proclamano la secessione del Veneto dalla Padania. Stessa cosa faranno i delegati Milanesi accorsi al congresso. In Veneto si svolge un referendum che sancisce la ricostituzione della Repubblica di San Marco o Repubblica Veneta. Rinasce così la Serenissima. I delegati Lombardi Proclamano la nascita ufficiale della Repubblica dell'Insubria che comprende Milano e i dintorni. In Piemonte si costituisce un governo provvisorio. A Torino vengono massacrati per errore 500 persone a seguito di raid aereo sulla città. Gli organismi internazionali e l'ONU inviano i caschi blu per risolvere la controversia. Gli americani intervengono contro La Repubblica Italiana bombardando Roma, Perugia, Orvieto, Ancona. Intanto il Piemonte chiede aiuto alla Francia che interviene inviando l'esercito che nel giro di un mese riesce a cacciare gli Italiani. Viene indetto un referendum sotto l'egida dell'ONU e dei vari organismi internazionali. Il referendum sancisce la vittoria della monarchia. Rinasce l'antico ducato Ducato della Savoia guidato dai Discendenti dei Savoia Emanuele Filiberto. 
Roma non ha più molte risorse militari per potersi opporre, e quindi è costretta a lasciare il Nord al suo destino. Preferisce concentrarsi su quello che è rimasto. Il centro Italia è rimasto fedele alla Repubblica Italiana: i Territori sotto il controllo della Repubblica Italiana pertanto sono rimasti Toscana, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio. 
Toscana e Emilia Romagna provate fra l'altro dalla guerra civile, hanno paura che nel futuro toccherà a loro finanziare tutta l' arretratezza economica del Lazio, dell'Umbria e delle Marche, quindi l'Emilia Romagna chiede l'annessione alla Repubblica Padana e la ottiene.
La Toscana riesce a cacciare i militari della Repubblica Italiana. Una sommossa a Firenze ha portato alla proclamazione del governo provvisorio dell'Etruria. In Toscana viene indetta un elezione costituente, che dovrà dare una nuova carta costituzionale alla nuova nazione e decidere sulla forma di governo. Stravince il referendum a favore della monarchia, con il ritorno dei Lorena.
La Romagna, le Marche, l'Umbria e il Lazio sono completamente abbandonati a se stessi. L'esercito non riesce più a controllare questi territori. Intanto i soldati americani sbarcano sulle coste laziali ma non intervengono per non seminare altre vittime tra la popolazione civile già tragicamente provata dalla guerra.
Le province di Como e Varese chiedono l'annessione alla Confederazione Svizzera e la ottengono. 
Un golpe organizzato dai militari depone il governo militare. L'altare della Patria viene distrutto dai bombardamenti. A Roma si insedia il nuovo governo.
Il Nuovo governo ordina lo smobilitamento di tutte le truppe dislocate nei territori rimasti sotto il controllo di ciò che rimane della Repubblica Italiana. Viene firmato l'armistizio con gli Americani.
E' la fine della guerra civile. Il nuovo governo riconosce gli Stati indipendenti della penisola. Un referendum indetto da Opus Dei e dalle organizzazioni cattoliche, sancirà la ricostituzione dello Stato Pontificio o della Chiesa, che comprenderà la tutta la regione la Lazio. Alla Repubblica Italiana verranno riconosciuti i territori di Marche e Umbria. La nuova capitale della repubblica sarà Perugia. Gli organismi internazionali varano piani per la ricostruzione. 

E poi?

Camus Vanz

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Degno di nota è il contributo di Specialistatelevisivo:

Vi propongo un'altra possibilità. Per capirla, consiglio a tutti quelli che leggeranno di vedere questo documentario.
Ora, se nel 2012 la Lombardia fosse stata annessa realmente alla Svizzera, come sarebbe cambiato il Paese alpino, Berlusconi l'avrebbe fatta franca?
A livello economico, la Svizzera sarebbe diventata una potenza economica europea. La Lombardia avrebbe dovuto iniziare un difficile corso di elvetizzazione. I lombardi cambierebbero forma mentis, i politici sarebbero molto più responsabili. In Lombardia ci sarebbe molta più autonomia e molta meno burocrazia, e i cittadini avrebbero il controllo diretto della politica. Le TV italiane però, dovrebbero spegnere i trasmettitori e trasmettere solo via satellite o via cavo, e per questo Mediaset prima di spegnere i trasmettitori dovrà ampiamente pubblicizzare le principali piattaforme tv via cavo.
Ma ci saranno dei problemi; le infrastrutture lombarde dovranno essere ricostruite, come anche le strade, e gli svizzeri italiani, dall'essere il 4%, diventerebbero il 57%.

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Gli risponde il solito Bhrghowidhon:

Il documentario l'avevo visto direttamente in televisione quando l'hanno trasmesso; l'ultima difficoltà è facilmente aggirabile in due modi:

1) gli «Svizzeri Italiani» non sono «Italiani», sono anzitutto «Svizzeri», dopodiché ricevono una specificazione che può essere «Italiani» o «Lombardi», entrambe traduzioni approssimative del tedescho «Welsche(n)»; in ogni caso in Svizzera è evidentissima la differenza fra un Ticinese - per esempio - e un Lavoratore Immigrato nato in Italia (anche se con Cittadinanza svizzera), a nessuno - nemmeno negli angoli remoti del Paese - verrebbe mai in mente di considerarli entrambi «Italiani» (né entrambi «Svizzeri Italiani»). Per tutto ciò, sarebbe la Lombardia (attualmente) italiana a cambiare percezione di appartenenza;

2) fin qui la questione sarebbe solo spostata, perché comunque gli Svizzeri Lombardi sarebbero una Maggioranza schiacciante, tuttavia la proporzione verrebbe agevolmente riportata ai valori attuali attraverso altre tre o quattro annessioni (Val d'Aosta, Savoia, Vorarlberg e una parte del Land Baden-Württemberg).

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C'è pure la strana proposta di Andrea Wolf:

E se fosse la Sardegna, come si vede qui sopra, ad aderire alla Confederazione Svizzera come Canton Marittimo?

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E ora, sulla scia dei fatti di Catalogna dell'autunno 2017, ecco quanto ci ha inviato Enrica S.:

Referendum indipendentista in...

Il Veneto è una delle regioni più ricche d'Italia: ha conosciuto una fortissima espansione economica sin dal secondo dopoguerra, e oggi è sede di importanti attività industriali e terziarie. Complessivamente il PIL della regione Veneto registrato nel 2003 è stato di 116.148,4 milioni di Euro, e contribuisce ad un decimo dell'economia del Paese. La regione ha proprie tradizioni e lingua locale, e la spinta indipendentista è stata sempre più forte negli ultimi anni. Il governo regionale ha pieni poteri in molti settori, dalla sanità all'educazione, ma non in ambito fiscale, economico o nella gestione degli hub commerciali.

Il percorso di indipendenza è iniziato nel 2010, ai tempi del Governo Berlusconi III, con una sentenza della Corte costituzionale che ha stralciato parti dello statuto autonomo che avrebbe garantito alla regione maggiori poteri e riconosciuto il ruolo di "nazione" al popolo veneto. Nel 2014 una consultazione non vincolante è stata bloccata dalla Corte Suprema. Dopo le ripetute vittorie elettorali del governatore Luca Zaia, forte sostenitore dell'indipendenza, un primo sondaggio non ufficiale ha raccolto 2,3 milioni di voti e l'80 % di sì. Fu così che la linea indipendentista conquistò la maggioranza nella popolazione veneta, e il 9 giugno 2017 è stato indetto un referendum per l'indipendenza da tenersi il 22 ottobre 2017. Il quesito referendario, secondo l'articolo 4 della legge regionale istitutiva del referendum, era: « Vuoi che il Veneto sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica? » Gli elettori potevano votare Sì o No. La legge regionale veneta prevedeva che, in caso di vittoria del Sì, l'Assemblea Regionale Veneta procedesse con la dichiarazione formale di indipendenza, e che invece, in caso di vittoria del No, venissero convocate elezioni anticipate per rinnovare l'Assemblea stessa.

Le regole definite dalla Costituzione post-fascista del 1948 per un'Italia "indissolubile" sono superiori a qualsiasi decisione presa da un'assemblea regionale, e così il 20 settembre 2017 la Corte costituzionale italiana ha bocciato all'unanimità la decisione dell'Assemblea Regionale di Venezia di indire un referendum per l'indipendenza del Veneto il 22 ottobre 2017. La Costituzione del 1978 afferma che "la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento." Di conseguenza la Corte Costituzionale ha bocciato all'unanimità, dichiarandolo nullo e incostituzionale, il referendum in quanto l'assemblea regionale veneta "si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall'autonomia riconosciuta dalla Costituzione, insistendo per introdurre nell'ordinamento giuridico con apparente validità un oggetto specifico": il presunto "processo costituente" in Veneto, la cui incostituzionalità è stata dichiarata numerose volte dallo stesso tribunale. La Costituzione, ha ricordato infine la Corte, non permette di "contrapporre la legittimità democratica e la legalità costituzionale" privilegiando la prima. Quindi "la legittimità democratica dell'assemblea regionale del Veneto non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione".

Il giorno del referendum il muro contro muro tra Roma e Venezia è stato durissimo, in una vera e propria guerra surreale. Un'ondata di violenza a senso unico ha attraversato tutto il Veneto, nel giorno che doveva essere nelle intenzioni del "governatore" del Veneto quello di una "gioiosa celebrazione elettorale". La polizia italiana è intervenuta con la forza in centinaia di seggi elettorali per impedire lo svolgimento del referendum. La mossa del governo presieduto da Paolo Gentiloni non ha permesso di impedire il voto, come aveva promesso il premier italiano, che aveva dichiarato "illegale" il referendum. La maggior parte delle 4739 sezioni elettorali, distribuite in 575 comuni, dove erano chiamati al voto 4.019.628 veneti, ha potuto aprire e migliaia di persone hanno fatto la coda tutto il giorno davanti ai seggi.

A fine giornata, oltre 800 persone sono rimaste ferite negli scontri con la polizia italiana, come ha denunciato il governo locale. Il Ministro dell'Interno Marco Minniti ha invece parlato di 12 agenti di polizia feriti e di tre persone arrestate. Un totale di 92 seggi sono stati chiusi, ha reso noto il governo italiano, mentre le autorità venete denunciano che sono stati chiusi 319 seggi. A Conegliano la polizia ha fatto irruzione nel seggio in cui avrebbe dovuto votare Luca Zaia, che ha poi votato in un altro seggio.

"Oggi non c'è stato alcun referendum, è chiaro a tutti", ha dichiarato il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in diretta tv. "Il nostro stato di diritto mantiene la sua forza e resta in vigore, reagendo di fronte a chi vuole sovvertirlo", ha aggiunto. "Ringrazio le forze di sicurezza dello Stato che hanno tenuto fede agli obblighi e rispettato il mandato della Giustizia davanti ad un attacco così grave alla nostra legalità". Il referendum in Veneto "è stato un ricatto di pochi" e "una sceneggiata" degli indipendentisti, ha ribadito Gentiloni, sottolineando come "la maggioranza del popolo veneto non vi abbia preso parte". "Queste persone hanno dato prova di senso civico e grande rispetto per i principi che sono alla base della nostra convivenza: oggi abbiamo constatato la forza della democrazia italiana".

La violenza della reazione di Roma "è una vergogna che accompagnerà per sempre l'immagine dello Stato italiano", ha tuonato il Segretario Generale della Lega Nord Matteo Salvini, che ha poi lanciato un appello all'Europa (da lui sempre ferocemente combattuta) perché cessi di ignorare la crisi in Veneto e le violazioni dei diritti umani di cui si è reso responsabile il governo italiano: "L'UE non può continuare a guardare dall'altra parte", ha detto, "abbiamo guadagnato il diritto di essere rispettati in Europa". "Dai tempi del Fascismo non si vedeva una tale violenza di stato", ha accusato il portavoce leghista Mario Borghezio, minacciando di portare Roma "davanti ai tribunali internazionali". Il governo italiano invece ha definito "esemplare" l'operato della polizia in difesa dello stato: "Hanno agito in forma professionale e proporzionale", ha detto la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. "Abbiamo dovuto fare quello che non volevamo", ha aggiunto il Prefetto di Venezia Carlo Boffi.

Bruxelles è rimasta neutrale di fronte agli sforzi della polizia italiana per impedire il referendum del Veneto. I leader delle istituzioni UE hanno evitato dichiarazioni ufficiali, e solo l'indomani è arrivata la dichiarazione ufficiale della Commissione Europea: "In base alla Costituzione Italiana, il voto di ieri in Veneto non è stato legale. Per la Commissione europea, come il Presidente Juncker ha ribadito più volte, questa è un affare interno dell'Italia che deve essere affrontato in linea con l'ordine costituzionale italiano". Bruxelles quindi ricorda "la posizione legale tenuta da questa Commissione così come dai suoi predecessori" in base a cui se fosse organizzato un referendum legale "significherebbe che il territorio che si stacca si troverebbe al di fuori dell'Unione Europea", e dovrebbe presentare regolare domanda di adesione. Infine l'invito a dialogo e unità: "Al di là dell'aspetto puramente legale della questione, la Commissione crede che questi siano tempi per l'unità e la stabilità, non per la divisione e la frammentazione. Facciamo appello a tutti gli attori rilevanti di muoversi ora rapidamente dal confronto al dialogo", perché, sottolinea Bruxelles, "la violenza non può mai essere uno strumento in politica". Per questo "abbiamo fiducia nella leadership del premier Paolo Gentiloni per la gestione di questo difficile processo nel pieno rispetto della Costituzione Italiana e dei diritti fondamentali dei cittadini in questa sanciti".

L'ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, pur rimarcando il carattere di illegalità del "non-referendum", ha definito quello di domenica un "giorno triste per l'Italia e per l'intera Europa", attaccando frontalmente Gentiloni, accusato di "non aver fatto niente per evitare" le violenze. Berlusconi ha infatti giudicato "scandaloso che il governo a guida PD non abbia aperto un dialogo prima". Berlusconi, dal canto suo, ha invitato a "una soluzione negoziata nella quale siano coinvolte tutte le parti politiche, inclusa l'opposizione all'Assemblea Regionale del Veneto". Dure condanne sono arrivate anche da esponenti del Movimento Cinque Stelle, mentre il Segretario PD Matteo Renzi ha parlato di "risposta necessaria all'illegalità della condotta degli indipendentisti veneti". In Europa la prima ad insorgere davanti alle violenze è stata la scozzese Nicola Sturgeon, che ha parlato di scene "alquanto scioccanti e sicuramente non necessarie", mentre sono arrivate anche le nette parole di condanna delle violenze da parte del leader russo Vladimir Putin, che ha sempre finanziato con sospetta generosità il movimento indipendentista veneto.

In tutto al Referendum veneto hanno partecipato 2.328.947 elettori (il 57,9 % del totale), e il Sì ha prevalso con il 98,1 % delle preferenze. Il giorno successivo al referendum la giunta regionale del Veneto si è riunita in seduta straordinaria per deliberare un disegno di legge da sottoporre al Consiglio regionale del Veneto Questo risultato ha innescato un conflitto istituzionale di vaste proporzioni tra il governo regionale veneto e quello nazionale. La maggioranza indipendentista dell'assemblea regionale veneta ha sottoscritto il 25 ottobre 2017 una dichiarazione che dichiara la costituzione della nuova Serenissima Repubblica di Venezia come Stato indipendente e sovrano, con la storica Lira Veneziana come moneta. Subito istituti bancari come Veneto Banca, Banca Antonveneta, la Banca Popolare di Vicenza e aziende come la Antonio Carraro Trattori e la De'Longhi S.p.a. hanno spostato la ragione sociale in Lombardia per non restare tagliate fuori dall'Unione Europea e dall'area Euro. Da parte sua il governo Gentiloni ha attivato il 26 ottobre l'iter per esautorare il governo veneto e procedere a nuove elezioni regionali, con la forte opposizione della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle, ma con l'appoggio di Fratelli d'Italia – AN di Giorgia Meloni e delle assemblee regionali autonome di Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.

Come andrà a finire?

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Enrico Pellerito gli risponde:

Come andrà a finire? Dipende, se si tirasse troppo la corda.
In Catalogna pare che la ragionevolezza non produca più di manifestazioni che restano pacifiche.
La stessa cosa accadrebbe in Veneto ma può anche darsi che qualche testa calda decide di passare a vie di fatto: non azioni tipo quella accaduta a Venezia 20 anni fa, ma addirittura attentati dinamitardi a strutture statali, come siti delle Forze dell'Ordine, Prefetture e via dicendo.
Che scoppi davvero una guerra civile non credo, ma che a prescindere dal comportamento delle suddette teste calde si aprirebbe un solco davvero profondo fra i veneti e l'Italia è altamente possibile.

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E Bhrghowidhon soggiunge:

Se gli Stati trasferissero la propria Sovranità all'Unione Europea queste sarebbero questioni amministrative minori; finché non lo si fa, il problema è irresolubile (nessuna delle due Parti può essere convinta e non c'è Legalità che tenga contro la Volontà Politica).

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