La Provincia di Olonia


Ecco l'idea partita dal nostro Webmaster William Riker:

Negli anni cinquanta vi fu chi propose di fondere le città di Busto Arsizio e Gallarate in un'unica, grande conurbazione chiamata Olonia (dal nome del fiume Olona nella cui valle esse si trovano), che sarebbe divenuta capoluogo di una nuova provincia lombarda, ritagliata sottraendo comuni alle province di Varese e Milano, ed estesa da Magenta a Somma Lombardo e fino a Parabiago. In seguito i forti campanilismi prevalsero e il progetto sfumò.

Ma se va in porto ed Olonia con la sua provincia nascono effettivamente? Quali gli impatti sulla storia e sullo sviluppo urbano e industriale dell'Alto Milanese?

Nota dell'autore: io abito a 3 Km da Busto Arsizio, e della nuova provincia sarei stato cittadino...

Il gonfalone della città di Olonia

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Questa è la risposta di Never75:

Data l'importanza pressoché nulla a livello amministrativo, legislativo e di rapporto con la popolazione che hanno le province oggi in Italia, credo che sarebbe cambiato poco o niente. Tutt'al più ci sarebbe stato l'ennesimo magna-magna... E magari la nuova Provincia avrebbe fatto da apripista per molte altre (sempre nell'area lombrada)

Ad esempio:

- Le province di Lodi, Lecco e Monza-Brianza (sic!) sarebbero state 'inventate" molto prima.

- Ci sarebbe stata un'ennesima provincia che raggruppi Rho (che già oggi ha 60.000 abitanti circa, più o meno come Mantova) ed i paesi limitrofi (e magari anche Bareggio, Pregnana, Settimo Milanese, Cornaredo e Pero ci sarebbero finiti dentro).

- Legnano avrebbe avuto una doppia scelta: od unirsi nella nuova provincia a Rho od a Busto Arsizio.

- Crema si sarebbe staccata da Cremona così come Vigevano lo avrebbe fatto da Pavia, inventandosi la provincia di Lomellina.

- La Valcamonica sarebbe divenuta pure essa una provincia a parte.

- Per il comprensorio di comuni sul Lago di Garda (Sirmione, Desenzano, Gardone ecc.) ci si sarebbe inventati una cosa stile Verbania-Cusio-Ossola.

Come conseguenza ci sarebbero state quasi più province in Lombardia che nel resto d'Italia!

Alternativa: e se si fosse deciso di fare (più seriamente) una seria riforma delle città metropolitane? Milano avrebbe giocoforza dovuto inglobare tutti i comuni immediatamente confinanti (oltre agli altri più grossi) e sarebbe diventata una mega metropoli in grado (forse) di competere con altre città europee come Parigi, Londra o Berlino. Quali le conseguenze?

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Ed ecco la proposta del grande *BhriHskwo-bhlôukstrôy:

Insospettabile entusiasmo (anch'esso ormai pluridecennale) da parte di un mediolano-varesino emigrato, pur tuttavia con la preghiera di inserire il tutto in una radicale trasformazione della geografia amministrativa del bacino padano!

La cosa mi interessa molto anche perché ho in soggiorno una cartina degli Anni Settanta pubblicata dalla Regione e nella quale sono colorati in modo evidente i costituendi Comprensorî (che avrebbero sostituito le Province) sopra la rete dei confini comunali, quindi si vedono benissimo sia il tracciato dei confini dei Comprensorî sia da quali Comuni sarebbero stati formati).

Ecco i comuni appartenenti alla provincia di Varese che avrebbero dovuto entrare nella provincia di Olonia: Albizzate, Solbiate Arno, Carnago, Cairate, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Marnate, Castellanza, Olgiate Olona, Solbiate Olona, Fagnano Olona, Busto Arsizio, Cassano Magnago, Oggiona con Santo Stefano, Jerago con Orago, Cavaria con Premezzo, Besnate, Gallarate, Samarate, Cardano al Campo, Casorate Sempione, Arsago Seprio, Somma Lombardo, Golasecca, Vizzola Ticino, Ferno, Lonate Pozzolo.

Ed ecco quelli scorporati dalla provincia di Milano: Rescaldina, Cerro Maggiore, San Vittore Olona, Canegrate, San Giorgio su Legnano, Legnano, Villa Cortese, Busto Garolfo, Dairago, Arconate, Buscate, Magnago, Vanzaghello, Nosate, Castano Primo, Turbigo, Robecchetto con Induno, Cuggiono, Inveruno, Mesero, Bernate Ticino, Boffalora sopra Ticino, Marcallo con Casone, Magenta, Robecco sul Naviglio, Corbetta, Vittuone, Santo Stefano Ticino, Ossona, Arluno, Casorezzo, Parabiago, Nerviano.

La provincia di Olonia

Circa il punto della radicale riorganizzazione della geografia amministrativa nel bacino padano, intendevo riferirmi a tre aspetti, tutti legati al fatto che le Regioni come sono oggi - e tanto più se dovessero ricevere nuove competenze - sono ritagliate secondo confini del tutto estemporanei, dovuti a circostanze storiche non solo spesso incongrue con qualunque prospettiva geografica e antropica (che, in geografia amministrativa, dovrebbe per definizione costituire il principale criterio organizzativo), ma anche, in ogni caso, irrazionalmente parziali rispetto alle stesse dinamiche geopolitiche che hanno agito nella storia, come è particolarmente ben noto a tutti coloro che partecipano a discussioni di storia alternativa (una delle cui molte utilità è di analizzare le - verissime ed effettive - cause storiche e di distinguerne, fin dove è possibile, gli effetti):

1) manca un'unità amministrativa del bacino padano; fra l'altro ce ne sarebbe una storicamente formatasi, che è la Lombardia medioevale: il fatto che oggi la Lombardia sia molto più ristretta è dovuto alle note vicende storiche incentrate sugli (= contro gli) Asburgo (Genova, Venezia, Svizzera, Papato, Savoia), ma si tende a dimenticare che gli stessi avversarî degli Asburgo (a parte Genova e forse il Papato)  miravano alla conquista di tutta la Lombardia, non semplicemente alla sua spartizione.

Quindi vera Lombardia = Piemonte + Lombardia (per la Svizzera a Sud delle Alpi v. sotto) + Emilia (senza Romagna?); la Valle d'Aosta evidentemente è destinata all'indipendenza e quindi non può essere inclusa, a meno di non immaginare accordi Euregio come con la Svizzera, v. sotto; per il Trentino occidentale vale lo stesso che per la Val d'Aosta.

2) È chiaro, d'altra parte, che tra una regione così ampia e il livello amministrativo provinciale esiste almeno un piano intermedio, costituito a sua volta da regioni storiche, per esempio appunto l'Emilia o il Piemonte; per quanto riguarda Milano a tale livello, si tratta di quella che ormai convenzionalmente viene chiamata, con tipica espressione neoclassica, "Insubria".

Tale Regione Insubria è abbastanza variabile quanto a confini percepiti, comunque include sempre le seguenti attuali Province: Milano, Monza-Brianza, Varese (spesso anche Verbano-Cusio-Ossola), Como, Lecco, Sondrio e - in prospettiva Euregio - la "Repubblica e Cantone del Ticino" e le tre valli a Sud delle Alpi del Canton Grigioni (Mesolcina-Calanca, Bregaglia, Poschiavo).

3) In relazione alle Province, dalla fine del Settecento tutti tentativi di riforma si sono dibattuti, anche a pochi anni di distanza l'uno dall'altro, tra due livelli: quello corrispondente ai tradizionali Contadi (il corrispettivo civile delle Diocesi) e quello corrispondente ai tradizionali Comitati (so che etimologicamente è lo stesso termine che "Contadi", ma storicamente hanno finito per essere diversi). È inevitabile prendere atto che entrambi hanno ragione di esistere, in quanto insistono su piani diversi.

Dato che poi non stiamo facendo riforme, ma proponendo una griglia di lettura del territorio, penso che saremo tutti (e due?) d'accordo che nella Regione Insubria come sopra delineata esistono due grandi centri urbani tradizionali, Sedi vescovili per quanto riguarda l'aspetto storico, centri di reti stradali per quanto riguarda il tessuto territoriale, evidentemente Milano e Como; invece, per quanto concerne le Province 'locali' (= Comprensorî della Riforma mancata) e che, data la scelta concreta dei loro singoli nomi (quasi sempre con riferimento a fiumi), potrebbero essere chiamate "Dipartimenti", se ne distinguono almeno dieci:

Ognuno di questi sarebbe poi suddiviso in un congruo numero di Cantoni, corrispondenti alle tradizionali Pievi (per l'Olona-Seveso-Lambro sarebbero: Milano, Bruzzano, Bollate, Trenno, Nerviano, Parabiago, Dairago, Corbetta, Rosate, Casorate, Gaggiano, Decimo, Locate, S. Giuliano, S. Donato, Mezzate, Segrate, Settala, Gorgonzola, anche se non mi sfugge l'implicita differenza con i progettati Comprensorî, visto che Dairago, Corbetta, Parabiago e Nerviano erano inclusi nel Comprensorio n° 10 Busto Arsizio - Legnano - Gallarate).

*BhriHskwo-bhlôukstrôy

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E ora, l'ipotesi di MattoMatteo:

L'idea mi è venuta leggendo questo articolo. Dopo la Liberazione, l'Italia viene divisa non in 20 regioni e 110 province, ma in 40-60 distretti, ognuno con un grado di autonomia maggiore di quella attuale, quasi come i 50 stati Usa. Salento, Langhe, Alto Tirreno, Capitanata, Terre di Bari, Romagna sarebbero alcune delle nuove divisioni amministrative. La Puglia verrebbe divisa in tre distretti, la Lombardia addirittura in quattro, così come la Sicilia. Resterebbero uniti invece Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Che accade?

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Gli risponde fi nuovo *BhriHskwo-bhlôukstrôy:

Di fatto le province italiane erano 70 nel 1870. Ecco l'elenco:

Torino Cuneo Alessandria Vercelli Novara
Porto Maurizio, Genova
Pavia Milano Como Sondrio Bergamo Brescia Cremona Mantova
Verona Vicenza Padova Rovigo Venezia Treviso Belluno Udine
Piacenza Parma Reggio Modena Bologna Ferrara Ravenna Forlì
Pesaro Ancona Macerata Ascoli
Perugia
Massa Lucca Pisa Livorno Firenze Arezzo Siena Grosseto
Roma
Aquila Teramo Chieti Campobasso
Caserta Napoli Benevento Avellino Salerno
Foggia Bari Lecce
Potenza
Cosenza Catanzaro Reggio
Messina Catania Siracusa Caltanisetta Girgenti Palermo Trapani
Cagliari Sassari

Per ridurle a 40 si sarebbero dovute ripristinare le divisioni feudali nel Regno di Sicilia (in Trinacria solo Al di qua del Salso e Al di là del Salso; Al di là del Faro: Capua, Napoli, Principato, Calabria, Basilicata, Terra d'Otranto, Terra di Bari, Capitanata, Molise, Abruzzi), le Legazioni dello Stato Pontificio (Comarca, Perugia, Marca Anconetana, Romagna, Ferrara, Bologna), le antiche Repubbliche toscane (Siena, Firenze, Pisa, Lucca), i Ducati Padani (Modena-Reggio con Massa; Parma-Piacenza-Guastalla), le Signorie venete (Verona, Vicenza, Padova, Treviso, la Patria del Friuli e naturalmente Venezia) e lombarde (Mantova, Brescia, Bergamo, Cremona, Pavia, Como, Milano con Crema e Lodi) e i tre residui Stati Sardi (Piemonte, Genova, Sardegna), con forte squilibrio soprattutto per Piemonte e Sardegna, vistosamente più grandi del resto; vi si potrebbe parzialmente ovviare unendo Como e Milano (coerentemente con la già inevitabile incorporazione di Crema e Lodi) e aggiungendovi Novara e Vercelli in una riproposizione quasi esatta (eccettuate Valli svizzere) della prima Signoria Viscontea e restaurando il Marchesato del Monferrato nonché i quattro Giudicati Sardi (per un totale di 44).

Questo sarebbe quanto di più simile al progetto cattaneano (non proprio uguale, a causa della restrizione numerica a più o meno 40 in questa ucronia) e anche la relativamente maggiore estensione di Milano ne suggerirebbe un ruolo da Capitale.

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A questo punto Lord Wilmore ha aggiunto:

Ricordo che anni fa un esponente leghista propose una riforma assolutamente incoerente delle regioni italiane: ricostruire stati preunitari come il Regno di Sardegna (accorpando Piemonte, Liguria e Val d'Aosta) o lo Stato Pontificio (accorpando Lazio, Umbria, Marche e Romagna) oppure creare unioni assurde ad es. accorpando Campania e Calabria, che non hanno neppure un confine diretto. Per fortuna la proposta finì nella spazzatura della storia.

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Enrica S. commenta:

La mia esperienza dimostra che i tentativi di riportare indietro l'orologio della storia sono tutti utopistici e destinati al fallimento.

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Generalissimus si mostra d'accordo:

Infatti. Tanto per fare un esempio: quali "stati preunitari" dovrebbero essere ripristinati? Quelli esistenti nel 774? Quelli esistenti all'epoca della Pace di Lodi? Quelli risultanti dal Congresso di Vienna? Alla fine ci sarebbe sempre qualcuno scontento, e non sia mai che poi in ognuno degli "stati" nasca un leader populista che, con la restituzione dell'antica dignità "statale" al suo territorio, cominci a dire "Il Ducato di Napoli ce la può fare da solo" e altre cose simili...

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A questo punto non possiamo che affidarci al parere di *BhriHskwo-bhlôukstrôy:

Per sgomberare sùbito il campo da possibili equivoci, preciso sùbito che stiamo riflettendo sull'andamento dei confini regionali; non è l'ucronia della divisione dell'attuale Repubblica Italiana in Stati indipendenti e neppure in una Confederazione di Stati, ma una questione di Geografia Amministrativa entro l'ipotesi di una trasformazione federale dello Stato (non discutiamo quindi né di sostituire uno Stato con tanti né se sia preferibile uno Stato Centralizzato o uno Federale, ma solo se i confini delle attuali Regioni – risalenti in grande maggioranza a schemi geostatistici del Secondo Ottocento, a loro volta di impronta fortemente storicistica – siano passibili di essere opportunamente ridisegnati sempre con un criterio storicistico; sottolineo quest'ultima caratteristica). È quindi un'ucronia molto delimitata e di impatto politico certo significativo, ma in ogni caso minore di qualunque altra discussione su questi temi.

Le ipotesi di partenza sono quindi:

- trasformazione federale della Repubblica Italiana;
- sua articolazione in Regioni;
- ridefinizione del tracciato dei confini regionali;
- mantenimento del criterio storicistico.

Il criterio storicistico ridimensiona, per esempio, il ricorso a:

- considerazioni fisico-geografiche (idrografiche), che dividerebbero l'Italia in due (Adriatica e Tirreno-Ligure, con pochissimi Comuni nel Bacino Pontico) o in quattro (Sardegna, Sicilia, Penisola, Cisalpina, con un unico Comune transalpino, Livigno);
- generalizzazioni genetiche (DNA monoparentali, in particolare del Cromosoma Y, perché il DNA mitocondriale non individuerebbe Regioni, ma una frammentazione a livello individuale, sia pure riassumibile in Aplogruppi senza però appunto prevalenze territoriali), che dividerebbero l'Italia in quattro (parte europea occidentale paleolitica, dalle Alpi alla Basilicata più la Sicilia Occidentale, con prevalenza dell'Aplogruppo R1b-U152; Sardegna mesolitica, Aplogruppo I2a1; parte vicino-orientale neolitica, Puglia Calabria e Sicilia Orientale, Aplogruppi J; parte balcanica neolitica di origine africana, Puglia Centrale, Aplogruppo E VI3);
- stratificazioni linguistiche, che dividerebbero l'Italia in undici Comunità (Celto-germano-romanzi [tutti i Cisalpini a parte Trentini e Veneti], Veneto-germano-romanzi [Lombardi della Marca], Veneto-greco-romanzi [Veneziani], Tirreno-germano-romanzi [Trentini, Toscani], Italo-germano-romanzi [Appenninici], Italo-greco-romanzi [Romani-Laziali], Apulo-germano-romanzi [Pugliesi Centro-Settentrionali], Apulo-greco-romanzi [Tarentini, Salentini], Siculo-arabo-romanzi, Greco-arabo-romanzi, Sardo-greco-romanzi);
- affinità dialettometriche, che dividerebbero l'Italia (a parte le Comunità non romanze di Alemanni, Austro-Bavaresi, Sloveni, Croati, Arbëresh e Grichi) in tre (Romanzi Occidentali, in grandissima maggioranza Reto-Cisalpini più Galloromanzi francoprovenzali e provenzali e Catalani di Alghero; Italoromanzi nella Penisola e in Sicilia nonché in Sardegna Settentrionale – Sassari e Gallura; Sardoromani nel resto della Sardegna).

Il criterio storico può quindi basarsi su:

- Comunità Preromane (coincidenti in ultima analisi con le stratificazioni linguistiche, limitatamente a quando si riferiscono ai sostrati preromani: Celti e Liguri, Reti ed Etruschi, Veneti e Latini, Italici e Siculi, Dauni-Peucezi-Messapî, Sicani, Elimi, Paleosardi, Greci, Punici), durate dal Primo Popolamento (45˙000 anni fa) alle Colonizzazioni Protostoriche (I Millennio a.C.);
- Regioni e Provinc(i)e Romane (Sardegna, Sicilia, le Regioni Augustee d'Italia e Cisalpina, Alpi Marittime, Cozie, Graie e Pennine, Rezia, in fase tardoantica raggruppate nelle due Diocesi dell'Ītălĭă Ănnōnārĭă e Sŭbŭrbĭcārĭă, il cui confine ha dato origine alla Linea Massa-Senigallia che divide l'Italoromània dalla Romània Occidentale), sviluppàtesi per circa otto secoli;
- i Regni e Imperi Altomedioevali (Impero Bizantino e Regno Longobardo, poi inglobato nel Sacro Romano Impero; tarde e temporanee presenze musulmane in molte aree marginali del settore considerato), contrappòsti per circa sette secoli;
- gli «Stati Preunitarî», formàtisi in nove secoli.

Il nostro tema in questa sede sono gli «Stati Preunitarî». I più recenti sono quelli del Congresso di Vienna, vigenti nel periodo fra il 1814-1815 e il 1859-1870. Immediatamente prima si colloca la Fase Napoleonica (1797-1814), che nell'ultimo Quinquennio si è assestata sulla divisione fra Impero Francese (con le Provincie Illiriche) e Regno d'Italia, Regno di Napoli, Regno di Sicilia, Regno di Sardegna. Gli otto secoli precedenti hanno visto tre processi:
- lo sfaldamento della contrapposizione fra Impero Bizantino e Sacro Romano Impero (con la variabile musulmana nelle regioni marginali) in quella a cinque fra Sardegna, Sicilia (poi Due Sicilie), Papato, Venezia, Sacro Romano Impero;
- il progressivo raggruppamento della settantina di Comuni, Signorie, Feudi ecc. del Regno Longobardo (nel Sacro Romano Impero) in sette principali Feudi Imperiali (Milano e Mantova in unione diretta – per tramite degli Asburgo d'Austria – con i Feudi Germanici del Tirolo, di Gorizia e della Città Imperiale di Trieste; Ducato di Modena e Reggio col Principato di Massa; Granducato di Toscana; Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla; Dominî Sabaudi di Terraferma; Repubblica di Genova; Repubblica di Lucca), a parte 73 Feudi Minori (13 lombardi, 19 liguri, 20 bobbiesi, 11 lunigiani, 10 toscani) tutti mediatizzati nel 1797;
- la spartizione della massima parte di questi Stati fra Borboni (di Francia, Spagna e Due Sicilie) e Imperatori (Asburgo di Spagna e d'Austria; questi ultimi, fra il 1706 e il 1800, hanno regnato – in taluni casi a fasi alterne – su tutte le attuali Regioni Italiane fuorché il Lazio), coi Savoia e il Papato in posizione intermedia.

Da questi tre processi, attraverso la cesura della Fase Napoleonica, si è arrivati agli Stati del Congresso di Vienna.

Quale rapporto può sussistere fra le attuali Regioni e questa successione diacronica di raggruppamenti geopolitici? Anzitutto, è improponibile che le Regioni a Statuto Speciale o le Provinc(i)e Autonome perdano, in uno Stato Federale, la propria condizione particolare. È quindi d'obbligo mantenere le Provinc(i)e di Trento e Bolzano, la Valle d'Aosta, il Friuli-Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna come Stati Federati. La Tradizione Politica del Secondo Millennio richiede ugualmente che Napoli, Roma e Venezia siano Capitali di Stato; la medesima Tradizione impone altresì, per un minimo di coerenza logica e politica, che gli antichi Feudi Imperiali siano collegati da un vincolo più stretto rispetto a tutte le altre Entità.

A questo punto, a parte la brevissima sistemazione napoleonica (che, significativamente, tendeva ad avvicinarsi alla divisione secondo i criterî geografici Isole ÷ Penisola e Tirreno ÷ Adriatico, con ovvie eccezioni presso il preesistente confine con la Transalpina), le opzioni sono fondamentalmente due:

1) se si vuole sottolineare, accentuare e favorire la divisione dell'Italia (in parti più o meno comparabili), si può ricorrere al compromesso più duraturo fra Borboni e Asburgo, quindi (a parte le sei Provinc[i]e o Regioni Autonome attuali) con Macroregioni corrispondenti al Regno di Napoli, allo Stato Pontificio, alla Repubblica di Venezia e ai Feudi Imperiali nei confini del 1748-1797;

2) se invece si ambisce a unire il soddisfacimento dei sentimenti di appartenenza locale più circoscritta con l'esigenza di una struttura politica di estensione medio-grande, bisogna operare su un duplice piano, da un lato valorizzando tutte le Tradizioni municipali (dai Comuni ai Feudi Imperiali anche piccolissimi) come Provinc(i)e o addirittura Comuni Autonomi, dall'altro ricomprendendo tutti questi (tranne ovviamente le intangibili Capitali Napoli, Roma e Venezia, ciascuna con la propria Provincia come Stato Autonomo) in un'unica Macroregione che per forza potrà essere solo la «Lombardia» nel senso etimologico del coronimo, la Longobardia dal Friuli (che avrebbe la possibilità di optare fra l'associazione alla Venezia Giulia o alla Lombardia) alla Liguria e dalla Tuscia alla Puglia e alla Calabria (si noti che anche questi confini sono stati realtà per alcuni anni, fra il 1047 e il 1059, meno del Cinquantennio asburgo-borbonico, ma più del Quinquennio tardonapoleonico).

In entrambi i casi si avrebbero dieci Entità Federate; nel primo due (di fatto tre) Provinc(i)e, quattro (o tre) Regioni e quattro Macroregioni, nel secondo cinque o sei Provinc(i)e, tre o quattro Regioni (di cui una – la Venezia Giulia – eventualmente di dimensioni microregionali) e una Macroregione prossima alle dimensioni dell'attuale Stato, ma crucialmente senza un'unica Capitale, bensì con Amministrazione Decentrata secondo quanto discusso sopra.

Sempre in entrambi i casi, la nuova articolazione federale risveglierebbe sentimenti di appartenenza o addirittura miti nazionali diversi da quello italiano tornato da un Venticinquennio a essere utilizzato come dogma politico; sia nel primo sia nel secondo caso, i ‘centri’ simbolici sarebbero gli stessi, ma il secondo caso presenta il recupero di una Tradizione di estensione maggiore che macroregionale, di fatto un vero e proprio Regno (Longobardo) durato 1291 anni e assurto a Impero ‘Parziale’ («Teilreich») per 1000 anni esatti (800-1800), esteso dalle Alpi alla Calabria, con profonde ricadute linguistiche (anzitutto la diffusione del toscano come lingua sovraregionale anche curiale) e continuità dell'Istituzione Monarchica attraverso sette Dinastie etniche (Carolingi, Ottoni, Salii, Svevi, Bavari, Lussemburgo, Asburgo).

Tutto ciò è stato letteralmente censurato da 116 anni di Storiografia Sabauda e poi Repubblicana (Romana); è inevitabile che in futuro i rapporti fra le due Scuole Storiche si riequilibrino. In ciò consiste la competizione fra questi criterî storicistici – in particolare quello degli «Stati Preunitarî» – e i confini statistici tardoottocenteschi delle Regioni; è evidente che nessuno si basa su valutazioni demografiche o economiche (quello statistico, in origine, sulla comparabilità dell'estensione territoriale, ma con le modifiche postbelliche e repubblicane anche questa coerenza è venuta meno).

L'ultima considerazione riguarda le prospettive dei due criterî storicistici “preunitarî”. Un Sistema Politico è raramente del tutto statico; anche una Riforma Federalistica implica possibili evoluzioni. È abbastanza intuibile che i confini “asburgo-borbonici” del 1748-1797 si prestano a costituire la premessa per una Secessione completa, specialmente da parte delle due Macroregioni settentrionali (ex-Impero ed ex-Repubblica Veneta); è invece altrettanto facile capire che una divisione ‘squilibrata’ fra Grande Lombardia (in senso etimologico) e Stati di dimensioni provinciali o al massimo regionali (insulari) rappresenta la base meno favorevole per progetti di smembramento dello Stato Federale (la Macroregione egemone non ne avrebbe alcun interesse e gli altri Stati Federati non ne avrebbero il potere o comunque la loro eventuale Secessione non costituirebbe una diminuzione fatale).

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A proposito di ucronie sulla provincia italiana, c'è anche questa proposta di Ainelif:

Nel 1951 si verificò la catastrofica alluvione del Polesine devastando le province di Venezia e Rovigo, causando 84 vittime e sfollando più di 180.000 persone con conseguenti danni economici e sociali.

Si dice che ogni seicento anni si verifichi una piena fluviale "apocalittica" e che nessuna barriera riesca a fermarla. Ora, supponiamo che tale inondazione disastrosa si verifichi in questa epoca...

Il caldo soffocante di un'estate porta molti ghiacci sulle Alpi Marittime a sciogliersi facendo confluire molte portate idriche alla sorgente del Po sul monte Monviso, e quindi ha uno scorrimento maggiore ed impetuoso sebbene in pianura rallenterà il suo spostamento, ma nell'arrivato autunno le polveri sottili e le nubi di inquinamento dei centri industriali della Pianura Padana creano le basi per giganteschi temporali e nubifragi che riempiono spaventosamente il corso del fiume che sfonda molti argini e barriere, relativamente molto deboli per contenere una portata di questo genere.

Le continue piogge alzano continuamente il livello del bacino fluviale, le autorità sospendono il traffico navale e qualunque barca civile o militare vi ci navighi.

Il livello dell'acqua raggiunge ponti ferroviari e stradali fino all'inizio del drammatico cataclisma chiamato inondazione che si scatena sommergendo dapprima le numerose isolette presenti sul suo corso come la celebre Isola Serafini.

A Torino gli effetti non sono poi così devastanti essendo in un punto in cui il Po non è letale, la rete fognaria della città e il centro storico in parte sono allagati completamente, ma la popolazione sfollata reagisce con la costruzione di depuratori in grado di filtrare tutta l'acqua presente e di nuovi argini giganteschi per respingerla nei suoi confini naturali.

L'ondata catastrofica si manifesta attorno alla provincia di Piacenza, la zona lodigiana è completamente sommersa e l'acqua arriva perfino tra le strade della città omonima; mentre l'acqua travolge il centro industriale, la stazione, si scontra con le campagne circostanti toccando frazioni e zone periferiche ma invadendo completamente quasi tutto il centro storico in una sola giornata.

Il governo dichiara lo stato d'emergenza e provvede a prepararsi a Cremona per frenare l'ondata che riesce a fermarsi momentaneamente, ma l'acqua si infiltra sulla terraferma attraverso canali d'irrigazione e torrenti invadendo i campi coltivati e boscaglie dunque superando la barriera cremonese; se il Po è ad un livello esasperante di piena, i suoi affluenti Adda e Lambro riversano megalitri di muri idrici sulle proprie rive distruggendo altrettanti centri abitati e sconvolgendo le regioni contadine, stessa identica sorte per il Trebbia.

Parma e Modena subiscono effetti disastrosi per la totale distruzione delle loro reti fognarie, le migliaia di sfollati trovano rifugio sull'Appennino o a Reggio Emilia, l'unica città emiliana a malapena sfiorata dalla furia del Po; paesini come Guastalla o Luzzara sono solo un vago ricordo e le morti si contano a decine di migliaia.
Il mitico paese di Don Camillo e Peppone, Brescello, viene distrutto da una portata di fango e acqua in una sola notte, la mattina dopo si vedrà svettare tra i detriti solo il campanile della chiesa.

Nella Romagna le saline, canali e quant'altro contribuiscono ad una portata d'acqua maggiore e più frenetica che sommerge i tre laghi mantovani e la stessa Mantova colta di sorpresa sul suo Mincio, Ferrara invece è evacuata in tempo e sebbene i danni siano enormi gli abitanti riusciranno in parte a salvarsi, mentre un'ondata riesce a raggiungere perfino la periferia bolognese attraverso il letto del fiume Reno senza danni gravi.

La costiera romagnola corre quindi un grave pericolo, si trova ad essere schiacciata tra la furia del Padus e il mare Adriatico, senza grandi quantità di turisti come il ferragosto, gli abitanti vengono accolti in massa a Ravenna e a Forlì, successivamente in altri tre giorni il peso dei detriti rallenta il fiume che incamera le intere Valli di Comacchio creando un immenso lago di acqua dolce-salata che travolge strade, ponti, autostrade e ferrovie sommergendo per qualche tempo pure il Delta e molte spiagge e località costiere ed infine immettendosi in mare e addirittura alzando il livello dell'Adriatico intero di qualche metro con non poche ripercussioni sulla costa balcanica.

La Pianura Padana ritorna ad essere una sorta di palude, dove infuriano malattie come la malaria e il colera...

Quando si dice: piove sul bagnato!!!

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Per contribuire alle discussioni in corso, scriveteci a questo indirizzo.


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