« Shekinah », una favola di Natale

5 gennaio 2004

Cari amici,

ho rielaborato per voi alcuni appunti che avevo preparato anni fa per scrivere una storia complicata, nella quale si fa l'ipotesi che la Fuga in Egitto della Sacra Famiglia non sia durata solo pochi mesi, e non sia stato solo un viaggio in Egitto, o addirittura solo fino a Gaza, come hanno sostenuto alcuni esegeti, bensì abbia costituito una vera odissea attraverso tutto il mondo antico, e sia durato dalla strage degli innocenti, nel 6 a.C., non solo fino alla morte di Erode il Grande nel 4 a.C., ma fino alla deposizione di suo figlio Archelao nel 6 d.C., a costo di finire in disaccordo con il secondo capitolo del vangelo di Matteo. Nel corso di questi dodici anni, la Sacra Famiglia ne avrebbe viste davvero di tutti i colori, e non è solo un modo di dire.

Mentre infatti sta attraversando la via carovaniera per recarsi nel delta del Nilo, presso alcuni parenti colà emigrati, nella mia fantasia San Giuseppe viene catturato con moglie e figlio da alcuni predoni, i quali lo vendono come schiavo sul mercato di Alessandria d'Egitto. L'acquirente è Sesto Cornelio Littore, un ricco intellettuale romano, il quale pensa di utilizzare Giuseppe come carpentiere nella villa che si sta facendo costruire nelle Gallie, e Maria come domestica; quanto al bambino, quando sarà cresciuto due braccia in più non potranno che fare comodo. La Sacra Famiglia è così imbarcata su una nave che fa vela verso il porto di Massilia (oggi Marsiglia); all'altezza di Creta, però, la nave è colta da un fortunale scatenato dal demonio in persona. Si sfascerebbe sugli scogli, se Maria non buttasse in acqua la fascia di Gesù Bambino, che subito fa calmare la tempesta. Il patrizio è molto colpito dall'evento, fa togliere le catene ai due santi genitori e comincia a trattarli come ospiti, non come schiavi, anche se non crede al racconto della nascita divina del fanciullo. La nave sbarca a Massilia e tutti proseguono per Nemausius (oggi Nimes) dove deve sorgere la villa di Sesto, ma non appena vi giungono viene loro incontro un servo che annuncia che il giovane figlio del romano è in punto di morte. Ovviamente tutti si disperano, ma Maria suggerisce di dare da bere al piccolo un poco del latte con cui ella nutre il proprio figliolo. Subito il malato si rimette in forze, al che Sesto comincia a dubitare che il racconto della madre circa il suo concepimento verginale non fosse solo una semplice leggenda. Riconoscente, restituisce subito la libertà ai tre giudei, ed offre loro di restare presso di lui, ma Giuseppe ovviamente rifiuta, e preferisce riprendere subito la strada per il ritorno, sentendo dentro di sé che è in Palestina che dovrà compiersi il destino del piccolo Gesù. Quando i tre si separano da lui, Sesto non immagina certo che suo figlio guarito dal latte miracoloso sarà un giorno il centurione Cornelio, convertito da san Pietro assieme a tutti i suoi familiari!

Chiaramente la strada del ritorno è lunga è piena di pericoli. Alcuni galli ribelli all'autorità di Roma assalgono la Sacra Famiglia e chiedono a Maria che cosa contiene il fagotto che ella tiene stretto in grembo; ella risponde « Il mio sole » e, quando i briganti pretendono che ella lo mostri anche a loro, da esso escono raggi tanto abbaglianti che i predoni battono immediatamente in ritirata, terrorizzati. Giunti a Massilia, i santi genitori scoprono che il porto è in preda alla pestilenza, e che quindi nessuna nave può salpare da esso; anche questo è un evidente intrigo di Satana, che cerca di ostacolare il compiersi della Redenzione. San Giuseppe però non si dà per vinto, e decide di procedere a piedi verso sudest, con l'intento di imbarcarsi a Brindisi per l'oriente.

Nel suo lungo viaggio, la Sacra Famiglia passa per Roma lo stesso giorno in cui il Senato decide di erigere un tempio all'imperatore Augusto in Campidoglio. Questi è turbato in sogno dalla visione di un bambino in fasce, ed allora chiede alla Sibilla Tiburtina se sia o no una buona idea costruire il tempio. "Qui ci sarà un tempio", risponde ella, "ma non sarà per te, bensì per il Figlio del Dio del Cielo che ora è in Roma." Augusto crede che il dio del Cielo sia Urano e che suo figlio Saturno, redivivo, si trovi ora sotto spoglie mortali nell'Urbe (Saturno, cacciato dall'Olimpo da suo figlio Giove, si era rifugiato nel Lazio dove aveva regnato nella sua età dell'oro, così fa ricercare un uomo anziano. In una popina (locanda) dove Giuseppe ha preso dimora, degli ubriachi offendono Maria con proposte oscene, e Giuseppe la difende, ma avrebbe la peggio se il Bambino Gesù non alzasse una mano e non rendesse ciechi all'istante gli assalitori, ridando poi loro la vista su preghiera della Vergine. La cosa va all'orecchio di Augusto che però, udito che l'uomo in questione è un Giudeo, manifesta scetticismo: "Che può venire di buono da quella terra dimenticata dai numi? Saturno non può che essersi reincarnato in un romano!" Così la sua ricerca non ha esito ed egli perde l'occasione di conoscere Gesù Bambino, che invece viene portato via frettolosamente dai genitori. Sul Campidoglio, nel luogo indicato dalla Sibilla, sorge ora la basilica dell'Ara Coeli.

Giunti a Pompei, Maria vede il piccolo Gesù piangere a dirotto, come non aveva mai fatto prima di allora: piange sulla città che verrà rasa al suolo dal Vesuvio il 26 agosto del 79 d.C. Le lacrime di Gesù innaffiano il suolo collinoso, ed è da quel suolo che cresceranno le viti dove verrà prodotto un vino famosissimo, chiamato appunto Lacrima Christi.

Giunto a Brindisi, Giuseppe è coinvolto in un incidente causato da un soldato romano che ha combattuto per anni in oriente ed è stato ferito in battaglia dai Parti, che lui nella sua ignoranza non sa distinguere dagli Ebrei e dagli orientali in genere: avendolo riconosciuto come Ebreo, gli si scaglia contro con la daga e lo ucciderebbe, se non fosse che Gesù Bambino, alzato un braccio, gli ottenebra la mente ed egli si scaglia contro una pattuglia di altri soldati scambiandoli per Ebrei, i quali invece gli fanno la pelle in quattro e quattr'otto. Giuseppe però viene accusato di stregoneria, poiché la gente del porto è superstiziosa e crede che sia stato lui ad ottenebrare la mente del veterano, e come Ebreo è guardato con sospetto. E' allora sottoposto ad un'ordalia: deve estrarre con la mano dei carboni ardenti dal braciere del locale tempio di Vesta. Basta però che la Vergine Maria baci la mano dello sposo prima dell'ordalia, perché Giuseppe possa estrarre tranquillamente non uno ma sette pezzi di brace. Anzi, subito dopo un piccolo terremoto squassa Brindisi e la statua
di Vesta si spezza, inchinandosi davanti a lui, alla moglie ed al Bambino. Impaurita, la popolazione prega Giuseppe di andarsene dalla loro città il più in fretta possibile, ma i soldati lì presenti, che credono Giuseppe un grande mago orientale capace di imporre il proprio potere anche agli dei, lo costringono ad arruolarsi nella loro legione, la XXXIII Omnipotens (nomina sunt omina!), se non vuole che lo facciano processare a Roma per stregoneria. Maria si fa assumere allora come vivandiera per stare accanto al marito, che al sommo della costernazione è costretto di nuovo a percorrere una strada opposta a quella che lo riporterebbe in patria.

La legione, dopo una marcia estenuante, raggiunge Tiberio Nerone, genero dell'imperatore Ottaviano Augusto e figlio della sua seconda moglie, che si appresta a conquistare la Germania. Giuseppe è presentato al futuro imperatore come uno che è dotato di poteri eccezionali, e l'incredulo e sprezzante marito della dissolutissima Giulia gli chiede allora di oltrepassare l'Elba per andare in avanscoperta tra i Cimbri, suoi acerrimi nemici. Giuseppe ribatte che non sa nuotare ed il generale romano gli risponde che non è un problema: uno stregone ebreo saprà bene camminare sulle acque. Grazie al Cielo però Maria dà a Giuseppe il suo mantello: egli lo getta sulle acque limacciose del fiume nordico ed esso diventa improvvisamente rigido come una canoa, tanto da sostenerlo, e così, remigando con il famoso bastone che fiorì allorché si dovette scegliere lo sposo della Vergine Maria, arriva facilmente all'altra sponda. Qui cade subito in un'imboscata tesa dai Cimbri e dai Teutoni, ed egli non conosce le tecniche di difesa personale dei legionari, ma non appena lo vedono essi fuggono terrorizzati. Egli non può certo immaginare che il Bambino Gesù, sfiorandogli la fronte prima che partisse per la missione suicida, gliel'ha resa luminescente come quella di Mosè dopo aver parlato con Dio sull'Oreb.

Seguendo coloro che dovevano ucciderlo, Giuseppe arriva al campo trincerato cimbrico; il capo germanico Hermann, noto ai Romani come Arminio, in preda al terrore ordina che gli siano scagliati contro tre giavellotti contemporaneamente, ma tre angeli di Dio li deviano e li fanno tornare indietro, sì che essi feriscono chi li aveva tirati. Per di più, dietro l'ignaro Giuseppe compare una legione di spiriti celesti in assetto da battaglia, ben decisi a difendere il padre putativo del loro Signore, e guidati dall'arcangelo Michele in persona, che sguaina la spada con cui precipitò Satana nell'Inferno prima che le ere del mondo avessero inizio, spada che ha il potere di terrorizzare chi la guarda con il Timore d'Iddio. Subito i Cimbri gettano le armi e si inchinano davanti a Giuseppe, identificandolo con il dio Wotan in persona. Giuseppe però raccoglie la spada di Arminio e gliela restituisce, dicendogli: "Non è con le armi ma con l'amore che sono venuto a conquistarvi." Il capo barbaro si rialza, e vede che tutti gli angeli sono spariti, tranne l'Angelo della Concordia. Allora accetta di varcare in pace l'Elba e di incontrare Tiberio, che si preparava a varcarlo invece in armi con la scusa di vendicare la morte (già data per scontata) del suo esploratore. Su consiglio di Giuseppe, Arminio pianta la spada ai piedi del generale di Roma, e Giuseppe lo incita a fare altrettanto. Tiberio sta invece per dare ordine che inizi il massacro, approfittando dell'apparente arrendevolezza dei cimbri, quando, visibile a lui solo, dietro le spalle del carpentiere di Nazareth gli appare l'arcangelo Michele che con occhi terribili gli impone di obbedire. Subito Tiberio pianta la spada ai piedi di Arminio, e quando si rialza Michele è sparito, sostituito dalla Concordia. Allora il superbo romano capisce ed accetta di stringere la mano di Arminio. Sarà pace tra i Romani ed i Cimbri: l'Elba sarà l nuova frontiera dell'Impero, che non attaccheranno più le genti stanziate al di là, ed i Germani rinunceranno alle scorrerie di là dall'Elba, ma potranno venire nella nuova provincia a commerciare liberamente. E' l'anno 2 a.C.

Ricevuta la notizia, Augusto (cui sono morti prematuramente i figli avuti da Giulia con il suo vecchio amico Agrippa, Caio e Lucio, che dovevano essere i suoi eredi dopo la morte di Marcello) associa al potere Tiberio e lo nomina erede al trono. Giuseppe però impedisce a Tiberio di rivelare il suo ruolo nella vicenda: lui vuole essere solo un falegname del suo villaggio natio, al quale spera di tornare il più presto possibile. Tiberio vorrebbe allora coprirlo d'oro, ma Maria consegna al Bambino Gesù una delle monete d'oro del Cesare, lui la butta nel fuoco, ed essa brucia come stoppia. "Così si ridurranno Roma ed il tuo impero, in cenere, se la tua ricchezza sarà d'oro e non di virtù", commenta la Vergine. Allora lo stupefatto Tiberio ordina di armare subito una nave che ridiscenda l'Elba, costeggi l'Europa, attraversi il Mediterraneo e riporti gli "stregoni" in Palestina, dato che non può sdebitarsi in altro modo. I nostri accettano di buon grado.

All'altezza dell'Armorica (Bretagna), però, una nuova tempesta coglie la nave e la trascina fuori rotta per sette giorni. Quando la tempesta cessa, la nave si ritrova nel mare Artico ed è imprigionata dai ghiacci senza pellicce né altro per difendersi dal freddo. Gesù Bambino, che ha ormai imparato a parlare, suggerisce però a colui che chiama padre di porsi sulla prua della nave con il bastone in mano, come Mosè di fronte al mar Rosso. Il ghiaccio si spacca da solo, aprendo una strada diritta, e la nave può proseguire il viaggio di ritorno. Ma è costretta a sbarcare in Irlanda per fare rifornimento. Qui i giganti che abitano l'isola si scagliano contro i Romani per divorarli, ma Gesù, alto un centesimo di loro, li sgrida parlando misteriosamente in gaelico ed essi prima gli si inginocchiano davanti, contriti, poi fuggono terrorizzati. Il capitano della nave, Ponzio Pilato il Vecchio, è sempre più confuso dagli eventi cui sta assistendo, ma neppure i genitori del Bambino sanno spiegargli il perchè del suo comportamento.

Egli comunque riprende il mare ma, all'altezza della Galizia, quando è già in vista il faro di capo Finis Terrae detto "la torre di Ercole", un vascello non guidato da mano d'uomo va incontro a quello che trasporta la Sacra Famiglia. A bordo di esso c'è solo lo spettro dell'antico eroe greco Filottete che, avendo sfidato gli dei di ritorno da Troia, fu condannato a vagare per sempre sui mari, seminando il terrore fra i naviganti. "Io sono più forte di Zeus che ti condannò", gli urla Gesù Bambino in lingua greca, "e sono anche più clemente. Ti sono rimessi i tuoi peccati!" Subito lo spettro si volatilizza, l'anima di Filottete scende a riposare nel limbo ed il vascello fantasma si inabissa con i demoni che in realtà lo governavano. Il capitano romano si prostra allora di fronte a Gesù: "Allontanati da me, Signore, perchè sono un ubriacone e un donnaiolo!" Gesù però lo aiuta a rialzarsi e gli intima: "Stammi accanto, invece, perchè ho bisogno di te per ritornare nella terra d'Israele cui sono stato mandato. Ed avrò bisogno anche di tuo figlio, un giorno." Noi sappiamo il perché.

La nave varca le colonne d'Ercole e supera la Sicilia, ma un'ondata terrificante, scatenata da Lucifero che tenta di impedire la Redenzione del mondo, scaglia la nave in mezzo al deserto africano, nel letto disseccato del lago Tritonide, visitato anche dagli Argonauti stando a quanto racconta Apollonio Rodio. Subito dei numidi ribelli a Roma attaccano i Romani e li catturano, ma Gesù Bambino non muove un dito per fermarli, anzi sembra contento della loro venuta. Comunque i soldati romani verranno restituiti dietro riscatto ai loro commilitoni, mentre dei tre Giudei il capotribù non sa che farsene. Allora questi interroga Giuseppe, ma Gesù Bambino gli risponde al suo posto in lingua numida.

"Chi sei tu che osi interloquire al posto di tuo padre?" strilla quello, adirato.

"Io sono Colui che è."

"Chi sono tuo padre e tua madre?"

"Ho un Padre e nessuna madre in Cielo, ho una Madre e nessun padre in Terra."

"Perché sei qui?"

"Per dare a tutti la vita e perché l'abbiano in abbondanza."

"Tu ti prendi gioco di me!"

"Se tu sapessi il dono di Dio, e chi è Colui che ti è davanti, non tu vorresti disporre della sua vita, ma avresti paura che egli disponga della tua!"

"Perché, cosa puoi farmi, dannato marmocchio?"

"Se volessi, mio Padre potrebbe darmi dodici legioni di angeli che ti darebbero la caccia da qui fino ai confini meridionali dell'Africa. Ma non sono qui per distruggerti né per essere distrutto, bensì per aiutarti ed essere aiutato da te."

"In cosa potrei aiutarti?"

"A compiere la mia missione."

"Ed in cosa tu potresti aiutarmi?"

"A salvarti l'anima. Ti restano infatti poche ore di vita ma, se tu credi in me, io potrei darti la vita eterna!"

Il capotribù si burla di lui ed ordina che lui ed i genitori siano venduti come schiavi per la seconda volta dall'inizio di questa odissea, ma nella notte un infarto lo stronca. Intanto i tre Giudei sono stati venduti ad un cammelliere Tuaregh che li trasporta verso sud attraverso il deserto del Sudan. Il caldo è terribile ma le palme si chinano di fronte a loro per offrire i loro frutti al Bambino, e dove Giuseppe infigge il bastone in terra, sgorga l'acqua. Anche il cammelliere pensa di avere davanti uno stregone, e pensa di ricavarne un bel gruzzolo. Giunto entro i confini dell'Etiopia, egli li vende al Negus Giovanni in persona, asserendo che si tratta di un mago potente e della sua famiglia. Allora l'imperatore d'Etiopia, che porta una maschera sul volto, gli chiede cosa può fare per dimostrargli di non essere un ciarlatano. Gesù suggerisce a Giuseppe di chiedergli perché porta la maschera, ed egli gli risponde di essere lebbroso. Allora Gesù porge un bacile d'acqua a Giuseppe, nel quale si è sciacquato il viso, e gli dice di porlo all'imperatore perché faccia altrettanto. Giovanni è incredulo perché nessun medico ne' mago ha saputo curarlo, ma si toglie la maschera ed obbedisce: subito la lebbra sparisce ed egli anzi ringiovanisce di dieci anni. "Tu sei il re degli stregoni come il mio antenato Salomone!" gioisce allora lui. "Cosa posso fare per sdebitarmi?" "Convertiti tu e tutto il tuo popolo alla religione del tuo antenato che è anche la nostra", risponde Giuseppe su suggerimento del Fanciullo. "Infatti anch'io sono della casa di Davide e discendo da Salomone come te, ma attraverso suo figlio Roboamo, tu da suo figlio Menelik, avuto dalla regina di Saba." Il re accetta, e Giuseppe e Maria capisce perché Gesù era grato al predone Numida: gli avrebbe permesso di raggiungere l'Etiopia e di ottenerne la conversione.

Però i sacerdoti pagani etiopi mormorano contro Giuseppe e la sua famiglia, ed allora Giuseppe prega il Negus di lasciarlo partire per risalire il Nilo. Il Negus non ne vuole sapere e gli dice che, se proprio vuole stare lontano da Axum, deve continuare a servirlo andando come suo ambasciatore in India. Il povero San Giuseppe non ha altra scelta e deve accettare, per salvare la vita a sua moglie ed al Bambino. Maria è infatti già sfuggita ad un tentativo di avvelenamento: le viene portata in tavola una caraffa di acqua avvelenata, ma prima di bere Lei pronuncia la formula di benedizione che Gesù stesso le ha insegnato (il nucleo del futuro Padre Nostro) e la caraffa si rovescia da sola dal tavolo, fracassandosi sul pavimento.

Mentre la nave che porta la Sacra Famiglia in India si trova all'altezza dell'Oman, una terza tempesta la spinge a sud fino al litorale di un continente sconosciuto, che si rivela essere Lemuria, abitato da una razza di demoni che hanno preso le fattezze dei lemuri del Madagascar. Sospinta dal Figlio, la Madre pronuncia di nuovo la formula di benedizione, ed il continente maledetto si inabissa di colpo con tutti i suoi malefici abitanti. Lo tsunami che ne segue, anziché travolgere la nave etiope, la sospinge senza problemi sino a Calicut, sulle coste indiane.

Giuseppe si mette subito in viaggio via terra verso Palibothra, capitale dell'impero dei Gupta. Lungo la strada un elefante imbizzarrito si precipita contro la Sacra Famiglia, ma Gesù Bambino alza una mano e subito l'elefante si arresta. Una colonna di un tempio vacilla e cade su di loro quando stanno passando sotto di essa, ma il Bambino la ferma a mezz'aria. Un branco di tigri li attacca, ma un angelo compare dal nulla e le mette in fuga. Finalmente arrivano a Palibothra sul Gange e Giuseppe presenta le sue credenziali di ambasciatore; Maria prende a pigione una tipica casa indiana nel quartiere povero della città e lavora come filatrice e tessitrice. I sari che escono dalle sue mani sono di una bellezza prodigiosa. Però un giorno il Bambino Gesù scompare: dopo tre giorni di ricerche i genitori lo trovano nel tempio principale della città, che discetta con i bramini induisti, sostenendo che la Trinità da essi adorata (Brahma, Siva, Visnu) non è quella verace, e con i bonzi buddisti, negando la verità della reincarnazione. La sua sapienza è tale che nessuno riesce a contrastarlo. "Perché sei scappato? Io e tuo padre preoccupati ti cercavamo", lo rimprovera la Madonna, ma Lui ribatte: "Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?"

Purtroppo la sapienza del Bimbo suscita invidie tra i brahmini, che pagano dei sicari perché rapiscano la Vergine Maria. Un angelo appare però a Giuseppe e gli indica la strada da seguire, verso nord. Giuseppe prende con sé Gesù, che ora ha dieci anni, ed insegue i rapitori della moglie fin nel lontano Nepal, dove perde le loro tracce tra le montagne. Allora Gesù prega il Padre Celeste di aiutare suo padre terrestre, e subito dal Cielo scende un Cherubino, un angelo con l'aspetto di toro alato dal volto umano. Giuseppe e Gesù gli montano in groppa e piombano dall'alto sui rapitori nascosti tra le montagne, liberando facilmente Maria. Un demonio con la forma di cane a due teste della stazza di un rinoceronte attacca però la Sacra Famiglia, ed incomincia una lotta furibonda tra il demone ed il cherubino; la lotta è tanto violenta che entrambi sprofondano nelle viscere della Terra (non è difficile credere che il primo è tornato all'inferno, il secondo presso il trono d'Iddio). I tre Ebrei si trovano soli in mezzo alle montagne, ma li salvano i monaci di un monastero tibetano che li accolgono in pace. Gesù passa molto tempo a discutere con loro delle cose di Dio, come dice lui, concludendo: "non siete lontani dal Regno dei Cieli". Alla fine Giuseppe impone la partenza. Mentre attraversano una valle diretti a sud, però, i nostri scoprono che l'impero Gupta è sceso in guerra contro la Cina degli Han, ed un esercito cinese di invasione cattura tutti e tre i membri della Sacra Famiglia.

Per questa ricomincia l'odissea che li porta sino alla città di Ch'ang-An, allora capitale dell'impero degli Han occidentali perché il nord è malsicuro, esposto agli attacchi degli Unni Hsiung-nu. Quando il carceriere gli domanda chi è, su consiglio di Gesù il buon Giuseppe risponde che è un falegname e sa costruire delle macchine volanti che all'imperatore farebbero molto comodo per vincere la guerra contro i Gupta. Il carceriere ride ma Gesù gli fa volare sotto gli occhi un aeroplanino di carta costruito da lui stesso con la carta scoperta in Cina. L'imperatore Wang Mang, informato della cosa,  ordina che Giuseppe costruisca un prototipo di aliante e vi voli lui stesso; Giuseppe porta con sé il bambino Gesù durante la dimostrazione, e tutto va a gonfie vele.  Il Figlio del Cielo gongola: "Bravo! Con questa macchina volante potrò piombare dall'alto sugli eserciti nemici e conquistare l'India, la Partia, l'Etiopia e l'Impero Romano. Sarò il padrone del mondo! Come premio per la tua abilità..." "...Ci lascerai andare?" "No, ma ti darò il privilegio di essere ucciso prima di tua moglie e di tuo figlio, così da non vederli soffrire." Quando però il malvagio imperatore vuole provare lui stesso l'aliante, un colpo d'aria lo fa piombare a terra ed egli si sfracella al suolo. I venti figli dell'imperatore scatenano una guerra furibonda e fratricida per la successione, l'impero cinese si sfascia in molti tronconi, e comincia l'era detta dei Regni Combattenti. Giuseppe, Maria e Gesù approfittano della confusione per aggregarsi ad una carovana di mercanti persiani in fuga dalla guerra, percorrono la via della seta e raggiungono Samarcanda. Qui, mentre i genitori si riposano in un albergo, il Ragazzo Gesù gioca con alcuni coetanei sul terrazzo dell'albergo. Uno però spinge un altro giù dal bordo, questi cade e muore. Fuggono tutti tranne Gesù. Il padre del ragazzo, subito accorso, accusa Gesù di essere stato lui ad ucciderlo, ma Gesù si rivolge al morto chiedendogli: "Rispondi a tuo padre: sono stato io a spingerti giù?" Subito egli torna in vita, si rialza e risponde al padre: "No, non è stato lui!" L'accaduto passa di bocca in bocca e Giuseppe è costretto di nuovo ad una fuga precipitosa. Stavolta però va almeno nella direzione giusta.

Da Samarcanda i tre arrivano infatti a Persepoli, poi ad Ecbatana, quindi a Babilonia dove incontrano di nuovo Gaspare, uno dei tre re Magi. Raggiungono quindi Carre, teatro della morte tragica di Crasso, ed infine Damasco. È il 6 d.C. Stanno per rimettere piede in Giudea, da dove Augusto ha appena fatto rimuovere il re, il loro nemico Archelao figlio di Erode il Grande, accusato di inenarrabili atrocità, quando una legione immensa di demoni si schiera contro di loro per impedire loro il ritorno in patria.

"Ed ora come facciamo?" domanda la Madonna.

"Così", sorride Gesù. Schiocca le dita ed i mostri svaniscono.

"Perché siete stupiti? Non lo sapete che mi è stato dato ogni potere in Cielo e in Terra, in cambio della morte atroce che mi sono scelto liberamente?"

San Giuseppe è sconvolto: "Vuoi dire che tu... che fin dall'inizio..."

"Certo, potevo schioccare le dita e far sparire ogni tranello del demonio, o addirittura ordinare che tre angeli ci prendessero in braccio e ci riportassero difilati a Nazareth. Ma così operano gli dei pagani, non il Signore degli Eserciti. Solo accettando di viaggiare così tanto potevo benedire ogni contrada con la Shekinah, la mia presenza, che d'ora in poi non sarà più confinata nel Santo dei Santi del Tempio di Gerusalemme. Ora tutta la Terra è il Tempio dell'Altissimo! E poi, io ho voluto rivivere la storia di tutto il mio popolo perseguitato e fuggiasco, perché il profeta Osea ha scritto, riferendosi a tutto quanto Israele: « Dall'Egitto ho chiamato mio figlio »... Ora sono pronto. Ora ho accumulato sapienza e forza sufficiente per iniziare la mia missione. E voi, popoli della Terra, non temete se d'ora in poi parlerò solo più al Popolo Eletto: verrà anche la vostra ora. Io sono con voi ogni giorno, per sempre, fino all'agonia dei millenni."

Fine.

William Riker

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Già che siamo in tema, ecco un'altra invenzione natalizia dello stesso autore:

Quella di Babbo Natale è solo un'invenzione commerciale senza alcun fondamento, una creazione della Coca Cola per vendere più bottiglie di bibita sotto Natale.

Tutti sanno invece che a portare i doni non è alcun vecchio panciuto e vestito di rosso, bensì Gesù Bambino.

Gesù Bambino ogni 24 dicembre sale sulla sua slitta d'argento e si prepara a volare sopra la Terra. Ha 3 anni, 3 mesi e 3 giorni, ma come dice il Corano ha il discernimento di un adulto. La Slitta porta una lanterna dentro cui brilla l'astro che indicò ai Magi la via verso Betlemme, ed è tirata da quattro esseri viventi, coperti d'occhi davanti e dietro: il primo ha l'aspetto di un uomo, il secondo di un leone, il terzo di un torello, il quarto di un'aquila. Essi rappresentano i quattro elementi, ed anche i quattro regni della Natura (dei minerali, dei vegetali, degli animali, degli unicellulari) su cui Gesù ha il completo dominio. I finimenti dei quattro esseri viventi sono d'oro, come pure le briglie che Egli tiene in mano. Egli regge anche una torcia, simbolo della Luce della Fede che squarcia le tenebre del mondo. È fatta con un ramo del roveto ardente di Mosè, e brucia in eterno senza mai consumarsi.

Non porta sacchi o sporte con sé: Egli è il Creatore, dunque Gli basta volerlo per far comparire i doni nelle case dei bambini. I doni più grandi che Egli distribuisce sono però la Pace, la Giustizia, l'Amicizia, la Cordialità, l'Amore.

Lo accompagnano sulla slitta Maria sua Madre, Santa Lucia e San Nicola. La presenza di Maria si spiega tenendo presente che Gesù Bambino non va da nessuna parte senza di Lei. Inoltre spesse volte, giunto sopra una casa, Gesù Bambino tirerebbe diritto adducendo motivazioni tipo: "Il papà di questo bambino bestemmia spesso", ma la Sua Santissima Madre lo convince a fermarsi lo stesso: "Suvvia, Figlio, fermati: ho visto io questo bambino dire una preghiera in Chiesa davanti al mio altare..." Gesù Bambino non sa mai dire di no a Sua Madre, così si ferma sempre. Invece Santa Lucia e San Nicola Lo accompagnano perchè tradizionali dispensatori di doni. San Giuseppe il Falegname resta invece in Paradiso, durante l'assenza del Figlio adottivo, a sbrigare al Suo posto gli affari più urgenti.

Se, di ritorno dalla Messa di Natale di Mezzanotte, solleverete gli occhi ad osservare il cielo stellato, vedrete in esso una scia di fuoco: è la scia della slitta di Gesù Bambino, che alla velocità della luce varca gli spazi infiniti per distribuire a tutti i Suoi doni e il Suo messaggio: Pace agli Uomini di Buona Volontà.

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Nota dell'Autore: Se per coincidenza avete letto questi raccontini nel periodo d'Avvento, vi invio carissimi auguri ucronici di Buon Natale con Gesù Bambino nato in India, in Sud America o in Giappone, come mostrano i presepi sottostanti (tratto il primo da questo sito e il secondo da quest'altro)!

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E ora,quanto ci ha scritto Never75:

Sistemando casa ho trovato in un libretto natalizio questa ucronia umoristica (che poi ho scoperto essere inglese). In allegato c'è anche un'immagine. Su internet ne ho trovato alcune varianti. Ho provato a metterle assieme aggiungendo qualcosa di mio. Spero che nessuno si offenda, visto il carattere giocoso della cosa...

E se il giorno dell’Epifania fossero state tre Regine Maghe ad arrivare al posto degli omologhi uomini?

Avrebbero chiesto indicazioni prima di perdersi un paio di volte...
sarebbero arrivate puntuali…
avrebbero aiutato il bambino a nascere…
pulito la stalla…
portato regali utili (come pannolini, biancheria e un ciuccetto)…
e fatto una torta...

Ma, una volta uscite, cosa avrebbero detto?

"Avete visto i sandali che portava Maria con quella gonna? Che colore assurdo! Senza neppure un filo di trucco! E dal parrucchiere non ci va mai?"
"Chissà gli altri cosa gli avranno regalato?"
"Ho sentito che Giuseppe non ha nemmeno un lavoro!"
"Vuoi scommettere su quanto ci vorrà prima che ti restituiscano il piatto della torta?"
"E l’asinello che cavalcano ha visto giorni migliori!"
"Il bimbo non assomiglia per niente a Giuseppe!"
"Maria dice di essere vergine! E sì che la conosco fin da bambina…”
"Qualcuna di voi adesso se la ricorda la strada per tornare a casa? Io mi devo fermare prima a fare la spesa dal droghiere e poi passo dall’estetista.”
"Ah, volete sapere anche voi dove si trova quella grotta? Dunque, dovete andare qua in fondo a destra, vicino al negozio che fa angolo col profumiere, quello con l’insegna color écru …
"Ma perché vi interessa così tanto? E perché poi portate delle spade?! Ma che regalo è?”

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Diamo la parola a Paolo Maltagliati:

"A Natale puoi fare quello non puoi fare mai", dice la nota e finanche insistentemente fastidiosa, pubblicità.
Forse è stupido fermarsi a ragionare anche solo per un istante per 'colpa' delle parole di un jingle.
Eppure... capita.
Cos'è che posso fare a Natale che non faccio gli altri giorni? Di per sé, niente. Nulla mi impone di essere 'buono' 365 giorni all'anno, nulla mi impedisce di essere allegro, di ringraziare per la compagnia che mi è data per affrontare la vita, a tratti sommamente faticosa.
E allora perché devo essere così proprio a Natale?
È una sorta di imperativo morale kantiano imposto dalla società?
No.
Quest'anno l'ho capito o, meglio, intuito con una forza a me solitamente sconosciuta.
È per la venuta di Cristo.
Beh, facile, penserete voi...
Però è proprio LUI il perché uno può essere felice. È proprio grazie a LUI che io mi posso accorgere di tanti, tanti miracoli che diventano un momento di educazione per me.
(Una collega che piange, degli studenti di una classe che si commuovono per un canto irlandese, degli studenti di una classe nemmeno tua che, mentre tu te ne stai lì a chiacchierare con loro, ti travolgono con una intensità di ricerca di senso inaspettata e bellissima, per dirne solo alcuni)
E domani è l'anniversario della nascita di questo LUI.
È per questo che posso fare una cosa che 'non faccio mai', ricordarmi che LUI c'è e che se mi succedono queste cose è perché LUI c'è.
Grazie a tutti.

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Questo invece è il contributo di Enrico Pizzo:

Nella Bassa Padovana esiste una leggenda che spiega il motivo per cui i Rom sono un popolo nomade.
Si racconta infatti che Maria, giunta al confine con l'Egitto durante la Fuga, si sia spaventata alla vista delle guardie del Re Erode che controllavano i viaggiatori, e chiese ad una Rom di nascondere sotto i suoi vestiti il Bambinello dato che le Rom non erano perquisite.
La risposta della Rom fu negativa, e così Maria lanciò questa maledizione su di lei: "Síngana te sí, síngana te restarè, e pí de tre dí par paese no te te fermarè!"
La traduzione dall'antico Aramaico è: "Zingara sei, zingara resterai, e più di tre giorni per paese non ti fermerai!"
Una leggenda analoga spiega il motivo per cui le streghe non possono essere viste. Si racconta infatti che dopo l'incontro con la Zingara descritto sopra, Maria abbia visto una strega ed anche a questa ha chiesto aiuto pregandola di nascondere il Bambinello "Sóto e'a traversa", cioè sotto il grembiule, e qualora le guardie glielo avessero chiesto, rispondere che trasportava un agnello.
Effettivamente le guardie chiesero alla strega cosa trasportasse e questa rispose "Cossa volío ca gàbia, gò on agnè'o".
Le guardie lasciarono passare la strega e come ringraziamento Maria la benedisse dicendo: "Striga te sí, striga te restarè ma mai panta te sirè ".
Che tradotto dall'antico Aramaico è: "Strega sei, strega resterai, ma scoperta non sarai mai".

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Buone feste a tutti in tutto il mondo!!


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