Dialogo tra Socrate e Fedone

di Sandro Degiani, immaginato nel 2000


SOCRATE: Salve, Fedone. Come stai, mio buon amico?

FEDONE: Salve, Socrate. Non mi posso lamentare.

SOCRATE: Se la memoria non m'inganna, ieri era un giorno importante per te... ora ricordo! Hai dato l'esame di teoria per la patente di guida, giusto?

FEDONE: Dici bene, o Socrate. Proprio ieri era il giorno fissato, a distanza di circa un mese dalla mia iscrizione all'autoscuola. La sede destinata alla prova era uno squallido oratorio di periferia, dove mi sono recato nel primo pomeriggio. Ho aspettato per un'ora e mezza l'arrivo degli esaminatori, ho ascoltato per venti minuti le loro premurose raccomandazioni, ho atteso ancora mezz'ora per l'identificazione di tutti gli esaminandi, poi finalmente mi hanno dato quella scheda. Ho letto i quesiti, ho risposto con calma, e sette minuti dopo avevo già finito.

SOCRATE: Come è andata? Sei stato promosso?

FEDONE: Sì, o Socrate. Non ho commesso nemmeno un errore: non potevo fare di meglio.

SOCRATE: Bene, immagino che ora ti sentirai sollevato. Ti vedevo un po' teso fino a qualche giorno fa, e immaginavo fosse per questo motivo.

FEDONE: Quel che dici, o Socrate, è vero. Ma qualcosa di diverso ora mi turba.

SOCRATE: Dimmi, di che si tratta?

FEDONE: Nulla di grave, intendiamoci. E' che mi sento un po' vuoto, per così dire.

SOCRATE: Che intendi con codesta parola?

FEDONE: Ora mi spiego. Fino a ieri, avevo qualcosa di importante da fare; dovevo prepararmi ad affrontare un problema, avevo un ostacolo col quale inesorabilmente mi sarei dovuto scontrare nel giorno stabilito; avevo, insomma, una sfida da superare, un esame, che avrebbe messo in dubbio le mie capacità. Ora l'ho brillantemente superato, e senz'altro ne sono felice: tuttavia, adesso, non c'è più in me quella tensione, quello stimolo al miglioramento che aveva caratterizzato quest'ultimo mese della mia vita.

SOCRATE: Non ti capisco...

FEDONE: Chiarirò il mio pensiero. Fino a un istante prima che mi dessero quel pezzo di carta con quelle trenta stupide domande, avevo uno scopo primario al quale subordinare il mio agire. La sera, invece di guardare la televisione o perdere in trastulli inutili il mio tempo, sapevo cosa fare: prendere quell'odioso manualetto e cercare di mandare a memoria cilindrate, limiti di velocità, strade sdrucciolevoli e via di seguito. Ora, non so spiegare come e perché, tutto ciò mi manca. E' incredibile: sento la mancanza di ciò di cui desideravo sbarazzarmi al più presto possibile.

SOCRATE: Consolati, ti rimane ancora l'esame di pratica.

FEDONE: Dici il vero, o Socrate, ma fatto quello? Dovrò continuare in eterno a cercare scopi momentanei della mia esistenza?

SOCRATE: In eterno per modo dire! Prima o poi, stai sicuro, non avrai più di questi problemi! FEDONE: Ti riferisci alla morte?

SOCRATE: Di cos'altro puoi essere sicuro?

FEDONE: Di nulla.

SOCRATE: E non è proprio la morte la strada che ti conduce al nulla?

= || = || =|| =

SOCRATE: Ebbene, dimmi, o Fedone: hai riempito il tuo vuoto? Cosa hai fatto ieri sera?

FEDONE: Ho guardato la televisione. Davano "Brave Heart".

SOCRATE: Anche io ho avuto modo di vedere quel film. E' molto bello, ma è davvero molto violento.

FEDONE: Quel che dici è vero. Il sangue scorre a fiumi su quella pellicola.

Ad ogni modo, la storia di Wallace mi ha dato occasione di riflettere.

SOCRATE: Su cosa?

FEDONE: Sulla nostra epoca.

SOCRATE: E cos'ha la nostra epoca?

FEDONE: Niente.

SOCRATE: E allora?

FEDONE: Appunto: niente. Gli scozzesi, ai tempi di Wallace, avevano l'indipendenza della loro nazione dall'Inghilterra. Noi cosa abbiamo? Per quale causa saremmo disposti a sacrificarci, magari anche a sguainare lo spadone e gettarci sul campo di battaglia?

SOCRATE: Oggi dici cose strane, amico mio! FEDONE: Segui il mio discorso, o Socrate. In passato, gli uomini hanno sempre avuto un ideale forte al quale donarsi, un fine ultimo più grande di loro per il quale battersi, e con il quale dare un senso alla vita. Gli scozzesi avevano la minaccia inglese, gli inglesi hanno dovuto difendere la loro terra e la loro libertà dai tentativi di invasione di Filippo di Spagna, di Napoleone o dei nazisti. Gli stessi nazisti credevano in qualcosa. Per non parlare poi della gloriosa storia d'Italia, della lotta per l'unità, del Risorgimento. Pensa a quanti uomini nel secolo scorso hanno votato la loro vita a questo alto ideale, e pensa a quanti l'hanno persa. Mi vengono in mente Verdi, Mazzini, Garibaldi, i fratelli Bandiera, uomini eccellenti che hanno fatto la storia con il loro coraggio e la loro dedizione. E noi, gente di quest'epoca?

SOCRATE: Comincio a capirti, o Fedone.

FEDONE: Non ci restano altro che surrogati di ideali: la patente, la macchina... Guarda, leggi questo foglio.

SOCRATE: Leggo. È inglese. "Results of the questionnaire about E.M.U. in Einstein's Lyceum - given to 37 students of 17 or 18 years of age." Che significa? E cosa sono tutte queste tabelle di seguito?

FEDONE: Il mio insegnante di inglese, che ha molto a cuore l'amicizia tra i popoli, mi ha affidato il compito di raccogliere e mettere in bella forma i risultati di un sondaggio sull'Unione Monetaria Europea.

SOCRATE: Si tratta di questo foglio?

FEDONE: E' come tu dici.

SOCRATE: Per quale motivo il tuo professore aveva bisogno di questo lavoro?

FEDONE: Devi sapere, o Socrate, che partecipiamo al progetto "Giovani Europei", che prevede contatti fra studenti di nazioni diverse nell'ambito della Comunità Europea. Il buon Critone domani spedirà via e-mail questi dati in Finlandia, dove immagino siano attesi con molta ansia.

SOCRATE: Perché hai tirato in causa questo argomento?

FEDONE: Fra poco il mistero ti verrà svelato. Leggi alcune delle domande proposte, come questa...

SOCRATE: "What is good about E.M.U." - significa "cosa c'è di buono nell'E.M.U.?" Che cos'è l'E.M.U.? Ignoro il significato di questa sigla.

FEDONE: "European Monetary Union". Ora leggi quali sono state le risposte più comuni date a questo quesito.

SOCRATE: Dunque, ad alcune persone è stato chiesto di dire cosa c'è di buono nell'Unione Monetaria Europea, ed esse hanno per lo più scritto: "Trade will be quicker and easier - European countries will have stronger economies - Euro will be as worth as dollar". Ebbene?

FEDONE: Ecco, ora arrivo al punto. I nostri compatrioti del Risorgimento cercarono con tutti i mezzi di liberare e unificare l'Italia, perché ritenevano che dovessimo essere "fratelli su libero suol", perché credevano nel reale valore di ciò a cui tendevano. Oggi noi andiamo incontro all'unità dell'Europa. Per quali scopi? Per realizzare poco alla volta un ideale di fratellanza universale? Perché in ultimo i popoli europei sono un popolo solo? No. Per facilitare i commerci, e per avere economie più forti. Per denaro, per egoistico interesse, checché ne dica il nostro ex primo ministro, che ci ha presentato l'entrata in Europa come l'ingresso in Paradiso. Nell'Ottocento combattevamo contro lo straniero oppressore che soffocava il nostro anelito di libertà: oggi i nostri nemici portano i nomi terribili di Dollaro e Inflazione; gli invasori non sono più mercenari boemi e croati, ma capitali esteri.

SOCRATE: Dici bene, amico mio. E' proprio vero.

FEDONE: In quest'epoca ci stiamo rammollendo. Non ci sono più cause grandi per le quali valga la pena di sacrificarsi, non ci sono più obiettivi primari per i quali vivere. Si sopravvive, si vivacchia, ci si "lascia vivere".

SOCRATE: Sei molto pessimista.

FEDONE: E' come dici: d'altronde la realtà è pessima. Prova a dirmi un ideale per il quale ti batteresti, e per il quale migliaia di altre persone si batterebbero con te.

SOCRATE: L'unità europea?

FEDONE: Dai, non scherzare!

SOCRATE: La politica?

FEDONE: Ah, la politica! Una volta forse. Aveva un senso credere in Don Sturzo, Turati, Moro, Che Guevara o forse anche in Mussolini o Hitler, per quanto ciò che dico possa essere discutibile. Ma, pensa alla situazione attuale. La politica ora non è più fatta di slanci ideali; i politici mi sembrano non essere mossi altro che da interesse personale e sete di potere. Parlano, parlano e parlano al momento di chiedere i voti, poi appena hanno la poltrona... chi li vede più? Già è tanto se rimangono in Parlamento a scaldarla.

SOCRATE: Anche io a volte ho questa impressione.

FEDONE: Non è tragico il fatto che Fini sia il tuo Duce? Che D'Alema sia il tuo Che?

SOCRATE: Semmai Bertinotti...

FEDONE: Ciò non è importante. Dimmi, o Socrate, non pensi anche tu che siamo terribilmente sfortunati a vivere in quest'epoca? Ci sarebbe bastato vivere trenta anni fa, e almeno avremmo avuto il '68. Non condividi la mia convinzione? Non pensi che ci manchino dei veri ideali per cui vivere?

SOCRATE: Mi sembra di capire, o Fedone, che avresti voluto nascere in un altro tempo. E quale, per esempio?

FEDONE: Qualunque, non questo.

SOCRATE: La Scozia di Brave Heart si addice al caso nostro?

FEDONE: Certamente.

SOCRATE: Bene, fissiamo dunque questo come punto di partenza per le nostre riflessioni. Come pensi che sarebbe la tua vita se fossi un seguace di Wallace?

FEDONE: Senz'altro diversa, o Socrate. Avrei una ragione per vivere, per lottare. Avrei un atteggiamento diverso nei confronti della mia esistenza, e ritengo che mai e poi mai potrebbe venirmi il dubbio che sia inutile, come l'ho ora.

SOCRATE: Dunque saresti felice?

FEDONE: Non ne sono certo, ma credo di sì.

SOCRATE: E in cosa consisterebbe questa felicità?

FEDONE: Nell'avere qualcosa di indiscutibile in cui credere e per cui battersi.

SOCRATE: Cioè l'indipendenza della Scozia?

FEDONE: Nel nostro caso, sarebbe proprio come dici.

SOCRATE: E cosa sarebbe per te questa indipendenza?

FEDONE: Il mio scopo. Vivrei solo pensando ad essa, e a come conseguirla.

Mi sentirei utile, mi sentirei parte della Storia, un componente essenziale del mio popolo.

SOCRATE: Ammettiamo ora che un bel giorno la tua amata Scozia venga liberata. Prova a immaginare la scena. Stai ferrando un cavallo nella tua bottega di maniscalco, quando un messaggero giunge al galoppo dal sud. La gente si raduna attorno a quell'uomo misterioso, visibilmente provato e sporco di fango. Ti fai strada verso la piazza del mercato, e arrivi anche tu a intravederlo di lontano. Nonostante la fatica, sul suo volto c'è un sorriso luminoso, e la sua bocca si apre per lanciare un grido di gioia: "Siamo liberi! Gli Inglesi se sono andati!". E tutto il popolo esplode in un fragoroso "Viva la libertà!".

FEDONE: Sarebbe bellissimo!

SOCRATE: Ne sei sicuro? Non pensi che forse ciò che tanto brami non è il raggiungimento dello scopo, ma l'avere la possibilità di cercare di raggiungerlo? Io credo sia così. Non è il tuo obiettivo che conta, ma lo sforzo verso di esso. Una volta liberata la Scozia, ti sentiresti nuovamente vuoto e disperato. E' paradossale, ma è proprio così. E per dimostrarti che a te lo scopo proprio non interessa, ti ricordo che tu stesso alla mia richiesta non hai indicato un'epoca precisa, ma hai detto "una qualunque", e i nomi che prima hai fatto includevano tutte le gamme possibili di pensiero politico, da Mazzini al Che. Non è vero, amico mio?

FEDONE: E' vero, ma penso che ad ogni modo il raggiungimento del mio scopo renderebbe definitiva la mia felicità.

SOCRATE: O mio buon Fedone, ieri mi hai detto tu stesso che aver superato l'esame ti aveva lasciato vuoto! Lo stesso avverrebbe con l'indipendenza della Scozia, o qualsiasi altra cosa.

FEDONE: Qui sbagli, o Socrate. L'esame di guida è una stupidaggine in confronto a un alto ideale come la volontà di liberare della propria terra.

La mia vita sarebbe così assorbita da questo impegno, che anche in seguito non potrei dimenticarlo. E comunque, la libertà, una volta conquistata, dovrà essere anche tutelata e difesa.

SOCRATE: In questo caso la libertà non sarebbe vera. E' vera libertà quella su cui incombe una minaccia? Direi di no. E quindi ci sarebbe ancora da lavorare. Ma mettiamo che non so come, sprofondi l'Inghilterra assieme a tutti gli altri ipotetici nemici nella tua patria: non ci sono più minacce in vista per la Scozia, la libertà è compiuta. Pensaci, o Fedone, non credi che sentiresti la nostalgia della minaccia che tu hai cercato in ogni modo di annullare?

FEDONE: Penso di no.

SOCRATE: Ma non puoi esserne sicuro. E se liberi la mente dai pregiudizi che ti sei costruito, vedrai chiaramente che l'esito più probabile del raggiungimento del tuo scopo corrisponderebbe con una perdita della tua identità. La tua esistenza consisteva nell'opporti ai tuoi nemici, nel resistere a ciò che voleva annullarti. Ma cessata ogni minaccia, ogni tentativo di annullare la tua volontà, anche la tua volontà sarà cessata.

Tu esistevi, ti distinguevi, soltanto grazie al conflitto che ti opponeva a quello che era assolutamente incompatibile con te. Terminato il conflitto, la tua identità resterà indeterminata, incerta.

FEDONE: Mi confondi, o Socrate.

SOCRATE: Potrebbe esistere la luce senza l'oscurità? No. Chi sarebbe stato Wellington se non ci fosse stato anche Napoleone? Uno dei tanti nobiluomini sconosciuti del passato. Si potrebbe organizzare una partita di calcio con una squadra sola? Senza il proprio opposto, ogni entità resta qualcosa di vago, di indeterminato: è come se non esistesse. Infatti, spesso non ci si rende conto del reale valore delle cose che si possiedono finché non le si perde, cioè finché non si conosce il loro opposto, la loro assenza. Tu, o Fedone, cercando un ideale al quale donarti, stai semplicemente cercando qualcosa a cui opporti per affermare te stesso, come se volessi urlare a squarciagola a tutto il mondo: "Ci sono! Servo a qualcosa!". Quello che credevi un atto di sommo sacrificio, in realtà è atto di orgoglio, di egoismo.

FEDONE: Sono sempre più confuso, o Socrate. Perché un atto di egoismo?

SOCRATE: Perché in fondo, tu desideri un ideale al quale sacrificarti non per il valore dell'ideale in sé, ma per l'effetto benefico o consolatorio che potrebbe avere su di te. Non è egoismo questo? Non è egoismo piegare qualcosa di estraneo al proprio bene personale?

FEDONE: Ragioni bene, o Socrate. Ora comprendo il reale significato della mia brama di alti ideali.

SOCRATE: Questo tuo desiderio di ideali indiscutibili ai quali donarti altro non è che il desiderio di giustificare il tuo agire. Questo mi porta a dire che in ultimo è l'agire il vero scopo a cui tendi, e che tu temi che esso possa essere vano.

FEDONE: Nulla di più vero.

SOCRATE: Non ti scoraggiare Fedone. Ora che sei libero dalle false credenze che ti eri costruito, puoi meglio comprendere il senso della nostra epoca.

FEDONE: E quale può essere? L'unica risposta possibile è che, se le altre avevano un senso sbagliato, questa proprio non l'ha. Si pensa solo alla vita pratica, e non si ha più la forza o la voglia di esprimere giudizi sulla realtà, di ragionare, di riflettere sul significato dell'esistenza.

SOCRATE: Appunto. Proprio perché in quest'epoca la Storia, o il Fato, non ti impongono di credere all'indipendenza della Scozia o alla rivoluzione bolscevica, è atto meritorio andare alla ricerca delle risposte alle nostre tante domande sul tutto. Il tuo agire deve consistere proprio in questo, nella ricerca, e allora sarai sicuro che esso non sarà mai vano, come non è vano ciò a cui tendi; forse non lo raggiungerai mai, ma se ci dovessi arrivare, certamente non rimarrai vuoto come dopo aver liberato la Scozia.
Diceva un tale, di cui non ricordo il nome, che "una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta"; ed è questo quello che io dico a te, o Fedone.

FEDONE: Seguirò il tuo consiglio o Socrate. Spero che possa essermi utile.

SOCRATE: Ma certo che lo sarà, mio buon Fedone. Tu avevi dentro di te il desiderio della Verità, o meglio, avevi il desiderio di andare alla ricerca di questa. Tuttavia non sapevi di averlo, e così indirizzavi le tue attenzioni verso palliativi, briciole di quello che andavi cercando, evitando di mirare dritto al centro del problema.

FEDONE: Ora so in che direzione mi devo muovere.

SOCRATE: Tu cercavi le risposte che volevi avere dalla vita fuori di te, nell'indipendenza della Scozia, o in altro, non avvedendoti che potrai trovarle soltanto in te stesso. La verità abita all'interno dell'uomo, ed è lì che bisogna indagare.

Sandro Degiani

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A questo proposito, Generalissimus ha aggiunto:

Nel 529 d.C. l'Imperatore Giustiniano decretò la chiusura dell'Accademia di Atene in seguito alle proteste di alcuni gruppi Cristiani, che la vedevano come un pericolo rispetto alla supremazia morale e politica della loro religione: insegnanti e studenti erano infatti ancora in larghissima parte pagani.
Un gruppo di sette filosofi, capeggiato dall'ultimo scolarca Damascio, venne invitato dall'Imperatore sasanide Kavad I a riaprire l'Accademia a Ctesifonte e continuare lì le loro attività.
Riapertura che non avvenne, perché il gruppo di Neoplatonici non ritennero l'Impero Sasanide corrispondente al loro ideale, e nel 532 Cosroe I e Giustiniano si accordarono sul loro rientro in patria.
I sette riportarono in patria testi greci andati perduti, come l'opera di Ipparco sulla gravità e quella di Posidonio sulle maree, ma da quel momento in poi la cultura greca, fino al Rinascimento, sarebbe stata tramandata solo dai monaci.
Ma cosa accadrebbe se l'Accademia di Atene si stabilisse definitivamente in Persia e continuasse ad operare da lì? Il Neoplatonismo raggiungerà la Cina e l'India? E cosa altro?

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E il grande Bhrihskwobhloukstroy ha commentato:

Non è solo importazione, il Platonismo raccoglieva in Grecia ciò che in India e Īrān era la Tradizione Ariana. Anche per questo Platone è considerato īrānico nella Tradizione Persiana, e comunque Ēr dell'omonimo mito platonico non è altro che la forma medioīrānica del nome *Ārya- “Ariano, Īrānico”!

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Pubblichiamo ora il testo scritto dagli studenti di 16 anni Emanuele Nazzareno Piovesan e Riccardo Guarnieri, come se fosse un dialogo platonico:

De Divinitatis Existentia

Socrate: Tu, per primo, ispirato dai pensieri del Retore ed agostiniani, osasti definire e argomentare l’esistenza e la natura di Dio. Scrivesti il Proslogion, opera in cui esponesti l’unum argumentum volto a dimostrare quanto appena detto. Corretto?

Anselmo: Corretto, Socrate.

Socrate: Orbene, inizialmente non definisti Dio come ciò di cui non si può pensare nulla di più grande?

Anselmo: Lo feci.

Socrate: Successivamente, non obbiettasti forse la posizione dell’insipiens, il quale, secondo tuo parere, al contempo nega l’esistenza di Dio ma ne accetta la definizione e quindi l’esistenza nel pensiero?

Anselmo: Certamente. Facendo questo, infatti, egli si contraddice da solo. Ergo, accettando la definizione che nulla si possa pensare maggiore di Dio, essendo qualcosa di esistente maggiore a qualcosa di solo pensato, segue obbligatoriamente che Dio debba esistere oltre che poter essere concepito nel solo intelletto.

Socrate: Ottimo. Non affermasti, inoltre, che non fosse neanche possibile pensare che Dio non esistesse perchè, altrimenti, andrebbe contro la sua definizione, essendo ciò che non si possa pensare non esistente maggiore di ciò che si possa pensare non esistente?

Anselmo: Lo affermai, chiaramente.

Socrate: Bene. Dunque ciò che non si può pensare è maggiore di ciò che si può pensare.

Anselmo: Trasparente, Socrate.

Socrate: Tuttavia, se così fosse, vorrebbe dire che un Dio non pensabile sarebbe maggiore di un dio pensabile.

Anselmo: Come non potrebbe. A ogni modo tu, definendo Dio come qualcosa di non pensabile, hai pensato alla sua definizione.

Socrate: Dici bene, non avrei potuto fare altrimenti. Infatti, ciò che non è pensabile, non è esprimibile in alcun modo, e tantomeno indagabile. Quindi la definizione di Dio come ciò di cui non si può pensare nulla di più grande è a sé stessa contraddittoria. Se il non intelligibile è superiore all’intelligibile e, affermando questo, si constata che, con l’intelletto, possiamo presupporre che possa esistere qualcosa di non pensabile, seppure non possiamo pensarlo, allora Dio deve essere estraneo al pensato, perchè, se così fosse, ci sarebbe qualcosa che si possa pensare esistere più grande di Lui.
Forse sbaglio, Anselmo?

Anselmo: No, tu dici il vero. Provvederò a revisionare la mia opera.

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Così gli risponde MorteBianca:

Lo studente è intelligentissimo, e mi complimento per l'arguzia, un perfetto dialogo in stile Socratico.
Se volete la mia opinione, sapete già che io non sono un fan della Prova Ontologica (cui preferisco la ben superiore Prova Cosmologica, che essendo a posteriori e ricevendo continue conferme dalla fisica è molto più dura da contestare). Di essa esistono varie formulazioni. La mia preferita è questa.

"Tutto quello che comincia ad esistere ha una causa (universo e spaziotempo compreso)"
"La causa a sua volta può o aver bisogno di una causa, o essere necessaria e dunque esistere eternamente senza inizio"
"La concatenazione delle cause non può andare all'infinito"
"Serve una prima causa incausata, che dunque deve essere necessaria e quindi eterna (vivendo fuori da spazio e tempo) e capace di agire e creare. Tale è la definizione di Dio"

Con questo non sto dicendo che non si salva nulla di quest'ultima, sicuramente il principio Parmenideo è logicamente vero.
L'Essere è, e deve essere.

Ora, il dialogo socratico si articola in maniera abbastanza incontestabile fino a questa frase:

"Non affermasti, inoltre, che non fosse neanche possibile pensare che Dio non esistesse perchè, altrimenti, andrebbe contro la sua definizione, essendo ciò che non si possa pensare non esistente maggiore di ciò che si possa pensare non esistente?"

Questa frase è (nella logica Anselmiana*) vera. Però ne fa seguire questo:

"Dunque ciò che non si può pensare è maggiore di ciò che si può pensare."

Questo è un esempio di falsa deduzione. Ossia parto da una premessa e ne traggo come conseguenza qualcosa che non è in realtà implicato o dimostrato dalla premessa stessa. In particolare:

"Ciò che non si possa pensare non esistente è maggiore"

non è equivalente a "Ciò che non si può pensare è maggiore". Si sta prendendo un particolare e ne si trae una regola universale. Qui si è solo detto che questo particolare caso di "Non possibile pensare (esistente, in questo caso)" è maggiore.
Non che tutta la categoria (non è possibile pensare)" è maggiore.

Socrate è un uomo.
Alcuni uomini sono biondi.
Socrate è biondo.

Si tratta di una Induzione (indebita).

E' possibile dimostrarlo con un esempio molto semplice:
"E' chiaro Socrate che il numero pari ottanta sia superiore al numero dispari trentatré"
"Certo Anselmo"
"Dunque è chiaro che il numero pari è superiore al numero dispari"

In tal modo tutta la catena di ragionamento che viene dopo è invalida.

Possiamo anche dedurre ciò dalla conseguenza ultima che ne viene tratta, ovverosia:
"Ciò che non è pensabile è superiore a ciò che è pensabile, ma Dio è per definizione colui di cui non si può pensare nulla di più superiore. Ma l'ho appena fatto. Ergo siamo in contraddizione".

Ma in effetti non è corretto. Perché non lo hai pensato.
Non è possibile pensare ad un sasso inamovibile che si muove. Ad uno scapolo sposato. Ad un unicorno invisibile rosa (senza usare sotterfugi eh, capiamoci).

Non è che combinando le parole che compongono un nonsenso io sto effettivamente pensando il nonsenso.
Nella mia testa non posso figurarlo, poiché contraddittorio. Sarebbe facile dimostrarmi in torto, chiunque può pensare queste cose a smentirmi. Ma nessuno lo farà mai.

Ergo, in realtà la frase è ancora vera. "di Dio non è pensabile nulla di superiore". Ed in effetti non è stato pensato realmente.

Inoltre, volendo lui stesso offre una scappatoia ad Anselmo:
"Dio dovrebbe essere estraneo al pensato"
E' proprio il contrario. Questo è un presupposto nascosto di Socrate.
Sta presupponendo che l'ente pensato "Dio" e l'ente esistente "Dio" siano separati ed ergo non corrispondano ergo si violi l'essenza di Dio che per definizione è superiore a tutto.
Ma Anselmo se ne sarebbe potuto uscire (come fece nella storia reale, ndr) dicendo che le due cose coincidono.
Lo fece con il monaco che ipotizzò l'Isola Perfetta (dicendo che tale isola esiste, nella mente di Dio che tutto pensa) e lo farebbe qua ipotizzando ad esempio il fatto che, essendo Dio l'ente supremo, è ovunque ed è tutt'uno (o avrebbe delle lacune), ergo ogni volta che lo si immagina lui è anche tale pensiero. Ergo ogni pensiero di Dio (anche di dei alternativi) fa parte di Dio.
E' un classico insieme infinito matematico.

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Lord Wilmore però non si mostra d'accordo:

Mi permetto di obiettare che la prova cosmologica non dimostra che la causa incausata esista, ma solo che E' RAGIONEVOLE che esista. Poi occorrerebbero prove "scientifiche" per verificare il passaggio dall'"esse in mente" all'"esse in re". Ma, come si sa, tante prove "scientifiche" si possono portare a favore dell'esistenza di Dio quante contro. La Ragion Pura, cioè la Scienza, non può arrivare a Dio, così come Virgilio era escluso per sempre dal Paradiso dantesco, e così come la famosa "Inchiesta" dell'omonimo film di Damiano Damiani (Valerio Tauro, inviato da Tiberio, indaga se Cristo è davvero risorto) si conclude con il più fitto "Mistero" che Tauro con la ragione non è riuscito a penetrare.

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MorteBianca ribatte:

A me basta che razionalmente sia dimostrato che l'esistenza di Dio è necessaria a posteriori. Ho sempre dissentito con Kant sulla netta separazione tra la Ragione e la struttura del mondo, e che i ragionamento siano solo "flatus vocis". Credo che le deduzioni corrette abbiano potere predittivo sul mondo. Ma questa si che è lunga da dimostrare :D

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Milord ritorna alla carica:

Io invece sono un kantiano di ferro: der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir.
Certo che i ragionamenti hanno potere predittivo sul mondo, se no la deduzione matematica - che svolgo ogni anno in terza - della legge di gravitazione universale di Newton dalla Terza Legge di Kepler non avrebbe alcuna utilità. Il fatto è che la dimostrazione matematica in sé non basta: la legge F = G M m / R^2 deve essere confermata sperimentalmente in modo indipendente entro un'incertezza statistica di cinque sigma, cioè di tre parti su dieci milioni, se no non vale una cicca. Prendi la Teoria della Supersimmetria: dal punto di vista matematico è elegantissima, dal punto di vista fisico ci toglierebbe tutte le castagne dal fuoco, dal punto di vista cosmologico spiegherebbe perfettamente la Materia Oscura, dal punto di vista filosofico sarebbe di una completezza epistemologica disarmante... Peccato che il grande LHC di Ginevra abbia finora sempre escluso l'esistenza di particelle supersimmetriche. La teoria più bella del mondo resta un castello in aria, con lo stesso valore del Necronomicon o del Manoscritto Voynich, se non è corroborata da solide evidenze sperimentali, e tu lo sai meglio di me.

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E ora, il contributo di Paolo Meneghin:

Nell'antica Grecia, Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:

- Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

- Un momento - rispose Socrate. - Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.

- I tre setacci?

- Ma sì, - continuò Socrate. - Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?

- No... ne ho solo sentito parlare...

- Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?

- Ah no! Al contrario

- Dunque, - continuò Socrate, - vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell'utilità. E' utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico?

- No, davvero.

- Allora, - concluse Socrate, - quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?

Se ciascuno di noi potesse meditare e metter in pratica questo piccolo test... forse il mondo sarebbe migliore.

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Diamo adesso la parola a feder:

Il sogno di Alessandro

Ieri sera il dio è stato generoso con me, non so per quali meriti nascosti; affermo ciò con potenza poiché per la primissima volta da molto tempo questa notte ho sognato, e non di un incubo che dà affanni. Mi ero appena chiuso fra il talamo e le pelli, raggomitolandomi a dovere per fronteggiare il muro e non rischiare di sfiorare con gli occhi o la mente il pensiero del destino che mi fronteggerà domani, nel giorno della mia partenza per l'impresa persiana, quando, senza sudate incitazioni, la luce nei mie occhi si è affievolita e sono stato rapito ai vivi. Il sequestro operato da Morfeo è però stato gradito, al contrario dell’uso, e, ciò che più mi stupisce, contraccambiato da un sincero piacere: mi sono ritrovato in un’oasi di acque perfettamente circolari, al perfetto centro delle quali v’ero io, dolcemente deposto su un giaciglio di frutti prelibati e boccioli in festa, che m’inondavano le narici di un amabile profumo. Lungi dal concludersi con uno scatto repentino, l’idillio è stato notevolmente ampliato dal tocco che accusavano i miei capelli. In poco tempo ho colto l’impronta di una soffice mano di donna, che mi scompigliava la chioma con onde tanto gentili quanto accurate. Solo allora ho capito che il profumo che riconducevo ai frutti era in realtà il suo ambrato, e solo allora mi sopraggiunse il pensiero che quelle corolle che avevo immaginato rappresentavano invero il fiore della sua verginità; solo allora compresi che il mio giaciglio era davvero formato dalle sue candide gambe, e solo allora mi resi conto, cosa più straordinaria che mai, di avere il pieno possesso delle mie facoltà anche in quel meraviglioso sogno. Aprii gli occhi, che vennero subito invasi da una pura luce diffusa, emanata da una stella che caldeggiava nel nucleo sfolgorante del mio campo visivo; e così potei vedere che, oltre l’acqua, ero circondato da una spessa e verdeggiante muraglia di cedri immortali, dolci datteri, e felice erba, capigliatura della terra. Rivolsi allora lo sguardo alla mia ignota compagna, che era nel frattempo rimasta muta; e tale disposizione venne, con grande qualità stoica, da lei mantenuta, anche quando mi accorsi che stava serbando il riso nel cuore. Con un moto timido, feci per schiudere le labbra, ma lei fu più lesta: tacitandomi con l’indice, scosse la testa con lentezza per tre volte di fila. Poi, quando fu sicura che avevo capito (a conferma, volle che manifestassi il mio assenso), estrasse dal suo abito color dell’avorio una mandorla; si assicurò che la vedessi, mostrandomela campeggiare al centro del suo palmo bianco, e in seguito chiuse la mano a pugno, negandomela agli occhi. Io dovevo allora avere lo sguardo più beota del mondo, poiché la sua reazione fu quantomai inaspettata: rise, e a quel suono potevo sentire il mio animo, che danzava di gioia al solo sentirla, dimenarsi furiosamente all’interno di quest’involucro che i folli chiamano corpo, figurandosi una metafora per indicare quella che è, a conti fatti, la prigione dello spirito.

Quando infine si concluse quel celeste suono, mi sembrò che il mondo si rabbuiasse un poco. Ella non se ne curò, e spalancò ancora una volta il suo palmo, graziandomi nuovamente con quella buona visione; e su quel bel campo che invitava al bacio, pareva ai miei sensi inebriati dalla fanciulla, incastonata una gemma marrone. Tale infatti mi appariva a primo sguardo la mandorla, di cui, per il troppo sfolgorare della mia compagna, mi ero ormai dimenticato. La guardai in volto, incerto, e lei ricambiò con occhi decisi, quasi crudeli, senza spiccicare parola. Quaranta secondi che mi sembrarono anni, difettosi però di quaglia e manna, furono subiti da entrambi prima che mi risolvessi a cogliere quello stranissimo frutto. Con cura, rompetti il guscio e infilai la mandorla in bocca, masticando quella prole che sapeva di conoscenza ed evocava alla mente la candida immagine della verità. Lei sorrise di una mezzaluna ampia, ed il suo calore si trasmise subito al suo corpo; e fu in quel momento, penetrato dal suo sostrato, che mi amalgamai nella forma alla sua prima sostanza. Accecato dal momento, non me n’ero reso conto, ma prima non potevo che scorgere i vaghi confini della sua presenza ed il suo amorevole tocco, scrutandola in quelle pupille infisse come chiodi sul suo volto, vasti e profondi come il mare di smeraldo di Lesbo. L’apparizione, quindi, si delineò a guisa di ninfa dei boschi, e rivolgendomi la parola disse: “Hai accettato il frutto! Dal giorno in cui ne hai mangiato, i tuoi occhi saranno aperti e sarai come un dio, conoscendo il bene e il male!” Allora i mie occhi si aprirono del tutto, e s’accorsero ch’ero nudo; coperto di vergogna dalle testa ai piedi fuggii via, gettandomi nel fiume. “Dove vai?!” gridò spaurita la splendida ninfa. Ma era troppo tardi, poiché l’oasi per me si era già tinta di rosso e blu. D’un tratto, mi sentii mozzare il fiato e affogai in quelle torbide acque, svegliandomi fra coperte razziate dalla lotta che avevo affrontato per tenermi a galla, e madide del mio sudore, quasi fosse ancora quella pura acqua di fiume ond’ero annegato. Dove andavo? Prima del giornaliero supplizio, desidero rispondere alla ninfa: per la prima volta ho udito la tua fine voce nel meraviglioso giardino di piante eterne, e ho avuto paura, perché non ero pronto al sogno, e mi sono nascosto.

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C'è spazio per il contributo di aNoNimo, tratto da questa pagina:

Corsia 1, Plotino: non tutti forse hanno letto il Silmarillion di Tolkien ma, per chi lo ha fatto, siete già a buon punto per la comprensione della filosofia del suddetto (no, non è un nomignolo carino per Platone). Plotino parlò dell'Uno come dell'unica entità suprema dalla quale, per *emanazione*, deriva tutto il resto. Esso, l'Uno, viene prima di ogni altra cosa, anche prima dell'essere di Parmenide. Un po' come Eru nel Silmarillion, appunto.

Corsia 2, Eraclito: con la sua dottrina degli opposti (il caldo esiste perché esiste il freddo, la luce esiste perché esiste il buio, eccetera), Eraclito sarà per sempre collegato al numero 2, il minimo numero affinché ci sia opposizione. D'altronde, lol, si litiga sempre in due, no? A onor del vero, Eraclito è anche collegato alla famosissima espressione "panta rei" (cioè "tutto scorre"), ma questa è un'altra storia, sulla quale non sono nemmeno tutti d'accordo, vedi "Cratilo".

Corsia 3, Hegel: tesi, antitesi, sintesi. Hegel riprese Eraclito e aggiunse un terzo momento dialettico, la cosiddetta "unione (dialettica) degli opposti". Oltre al fatto che il tre è il numero più simbolico di tutta la cristianità, tradizione alla quale Hegel aderiva fieramente.

Corsia 4, Empedocle: dato che abbiamo già tirato in mezzo il fantasy, continuiamo su quella via (Epicuro ci perdonerà, sempre se "aponia" e "atarassia" significano ancora qualcosa...). Avete presente i quattro elementi fuoco, acqua, terra e aria? Beh, ben prima di Martin (e Dio solo sa quanti altri autori fantasy) fu Empedocle il primo a pensare che alla base di tutto il cosmo si trovassero questi quattro elementi e che tutto fosse, in ultima analisi, riconducibile ad essi (più precisamente, alle loro diverse combinazioni).

Corsia 5, Euclide: quello della famosa geometria piana, o euclidea, che fino al 1800 venne considerata anche come l'unica possibile geometria, finché qualcuno si accorse che dei 5 postulati su cui essa si basava solo i primi 4 sembravano irrinunciabili, mentre il quinto (il quinto postulato di Euclide!) poteva essere modificato per ottenere nuove geometrie, del tutto coerenti: la geometria iperbolica e quella ellittica, per esempio.

Corsia 6, Agostino: questa è sottile, ma copio e incollo il passaggio da "La città di Dio". « Sei è un numero perfetto di per sé, e non perché Dio ha creato il mondo in sei giorni; piuttosto è vero il contrario. Dio ha creato il mondo in sei giorni perché questo numero è perfetto, e rimarrebbe perfetto anche se l'opera dei sei giorni non fosse esistita. »

Corsia 7, Pitagora: forse non tutti sanno che i pitagorici erano divisi in "sette segrete", basate sulla condivisione della conoscenza della vera struttura della natura, costituita essenzialmente di numeri. Un esempio di tale conoscenza è la famosa stella a cinque punte con le sue proprietà ricorsive (che tutti conoscono almeno da "Paperino e il mondo della matemagica", vero capolavoro), così come le proporzioni della famosa sezione aurea (tanto per dirne una, qualunque carta di credito è di fatto un rettangolo aureo, riprendendo proprio questo rapporto), o la proporzione delle armoniche fondamentali per la musica occidentale, o la ben più problematica irrazionalità della diagonale del quadrato di lato unitario. E fu proprio la scoperta dell'incommensurabilità di queste due misure (il fatto cioè che non potessero venire rappresentate una come frazione dell'altra) che convinse i pitagorici di aver scoperto il primo "bug" vero e proprio del cosmo, come una sorta di *errore di Dio* (segreto, questo, che prevedeva la pena di morte per chiunque ne avesse divulgato la conoscenza al di fuori dalla ristretta cerchia dei pitagorici, fra le altre cose).

Corsia 8, o meglio ∞, Bruno: col suo "De infinitu", argomentò in maniera piuttosto convincente che l'Universo doveva essere infinito, esistente da sempre (posizione che cozzava leggermente con il concetto di creazione, tanto per dire, e che gli valse tra le altre cose la condanna per eresia e il rogo in Campo de' Fiori, a Roma, nel 1600).

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C'è anche la curiosa idea di Tommaso Mazzoni:

Anacronie: 15 episodi della storia greca e romana decisi per via elettorale!

1) 510 a.C.
Referendum Repubblica vs Monarchia ad Atene; Il Fronte Repubblicano vince con il 54% dei voti, Re Ippia va in Esilio a Persepoli e Clistene diventa Presidente della Repubblica Ateniese.

2) 509 a.C.
Referendum Repubblica vs Monarchia a Roma, vinto dai Repubblicani con oltre l'80%; Anche Re Lucio Tarquinio II deve andare in esilio (a Chiusi) e a Roma viene proclamata la Repubblica, con Marco Bruto Collatino Presidente e Manlio Torquato Primo Ministro.

3) 338 a.C.
Vittoria del Si all'annessione delle Poleis Greche al Regno di Macedonia.

4) 331 a.C.
Il Partito Liberale Persiano vince le elezioni, e depone la reazionaria famiglia Imperiale Achemenide; La corona è offerta a Re Alessandro III di Macedonia, Genero del capo dei Liberali, Oxyarte.

5) 146 a.C.
La Repubblica Cartaginese vota per entrare nella Repubblica Romana.

6) 44 a.C.
Il Partito dei Popolari perde le elezioni e il Presidente Caio Giulio Cesare e il suo Primo Ministro Marco Antonio sono costretti a lasciare il potere agli Ottimati di Marco Giunio Bruto, nuovo Primo Ministro, e di Gaio Cassio Longino, nuovo Presidente.

7) 42 a.C.
Crisi di Filippi, alle elezioni anticipate i Popolari tornano al governo, con Marco Antonio Presidente e Caio Ottavio Primo Ministro.

8) 27 a.C.
Referendum Istituzionale,la Repubblica Romana è abolita, nonostante molte accuse di brogli; Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto diventa Princeps Imperator, e nomina Clivio Mecenate Primo Ministro.

9) 41 d.C.
Dopo il fallimento di una cospirazione contro di lui, l'Imperatore Caio Giulio Cesare Germanico riforma la costituzione, che è approvata con maggioranza schiacciante da un referendum, diminuisce i privilegi dei Patrizi e toglie loto il monopolio del Senato.

10) 68 d.C.
Dopo il fallimento del Colpo di Stato Militare contro l'Imperatore Nerone le elezioni sono vinte dal Partito Popolare; Marco Cocceio Nerva e, dopo di lui, Marco Ulpio Traiano, nuovi Primi Ministri dell'Impero, istituiscono le prime leggi per la protezione dei Cristiani.

11) 212 d.C.
Approvata per referendum la Riforma Costituzionale voluta dall'Imperatore Marco Aurelio Severo Antonino Augusto, che estende i diritti di cittadinanza a tutti i sudditi dell'Impero.

12) 293 d.C.
Respinta per Referendum la riforma federalista voluta dal Primo Ministro Valerio Diocleziano.

13) 325 d.C.
Approvata per Referendum la Riforma voluta dall'Imperatore Flavio Costantino I , che istituisce la piena libertà religiosa.

14) 381 d.C.
La legge voluta dal Partito dei Devoti, che fa capo al Vescovo di Milano Aurelio Ambrogio, detta Legge di Tessalonica, perchè firmata in quella città dall'Imperatore Teodosio I, che fa del Cristianesimo la Religione di Stato dell'Impero Romano, è abolita da un referendum con un sorprendente 52% a favore del sì all'abolizione.

15) 395 d.C.
Con un 67% di no, il popolo Romano respinge la proposta di divisione dell'Impero, che resta unito nella persona di Onorio I.

Un'idea bizzarra avuta qualche tempo fa... Si noti che questa è un'anacronia, ovvero un'ucronia con elementi volutamente anacronistici: ho immaginato la Repubblica/ Impero Romano come una moderna democrazia con una forte opinione pubblica e stampa libera, che fa fallire colpi di stato et similia.

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Chiudiamo per ora con quanto ci ha trasmesso Liutprand:

La Verità e la Menzogna

La Menzogna disse alla Verità:
"Facciamo un bagno insieme,
l'acqua del pozzo è molto fresca."

La Verità, naturalmente sospettosa, provò l'acqua
e scoprì che era davvero fresca.
A quel punto si spogliarono e fecero il bagno

Ma improvvisamente
la Menzogna uscì dall'acqua e fuggì,
indossando i vestiti della Verità.

La Verità, furiosa, uscì dal pozzo per riprendersi i vestiti.
Ma il Mondo, vedendo la Verità nuda,
distolse lo sguardo, con rabbia e disprezzo.

La povera Verità tornò al pozzo
e scomparve per sempre,
nascondendo la sua vergogna.

Da allora, la Menzogna gira per il Mondo,
vestita come la Verità,
soddisfacendo i bisogni della società.
Poiché il Mondo non nutre alcun desiderio
di incontrare la Verità nuda.

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Per fornirci il vostro parere in proposito, scriveteci a questo indirizzo.


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