Il racconto delle Terrebasse

di feder


Fango, zecche, cadaveri. Questo era quanto, almeno per ora, le Terrebasse gli avevano regalato.
Eppure, l'eco delle voci risuonava ancora nella testa di Willem! Imbarcati, gli aveva gentilmente consigliato l'amico prete. La Parola di Dio ha pure ad essere portata ai selvaggi, no?
Al diavolo la missione e i preti e i selvaggi! Si fottessero tutti, stava pensando ora. Specialmente i primi, ben pasciuti sui loro sedili di legno rosso del Nuovo Mondo, predicando di svolgere la Buona Novella. Non sanno niente di fango e zecche e cadaveri, ecco tutto. Però consigliano, eccome se consigliano!

Non sarebbe dovuto partire, questo è il punto. Non voleva e non aveva mai voluto. Il mare era limpido, sereno, pulito... come l'anima di una vergine. Ma quelle terre, le Terrebasse, erano sporche, sozze di umidità dei frutti rari e della malignità degli uomini senza fede e senza legge. A confronto, perfino l'insalubre estuario della Piccola Azzurra, dove quelli del Maas scaricavano i propri liquami, pareva sano. Una vita tranquilla sul Maas, quello ci voleva per uno come lui. E questo perché nemmeno i viaggi precedenti erano andati troppo bene. Le Indie sono ricche, è vero, ma quella ricchezza era per i selvaggi che ci abitavano, e quella pecunia i selvaggi se la tenevano stretta. E il Maas intanto restava abbastanza pescoso. Un uomo onesto poteva tirare avanti ad acciughe e aringhe, e farle bastare anche a mogli e figli, magari con l'aiuto di un po' di scudisciate. Non avrebbe mosso nemmeno un passo in direzione della nave, se non fosse stato presente a Rotterdam quel giorno.

Se lo ricordava bene, quel giorno: vendeva il pescato, e i bambini correvano sulle instabili doghe del vecchio porto, come erano soliti fare per divertirsi. Willem li seguiva con lo sguardo quando, senza nemmeno degnarsi di dare il preavviso, una cedette, piombando un ragazzino con la faccia di cavallo nelle luride acque del porto. Al pescatore sfuggì una risata, che scomodò l'armata a protezione del predicatore del porto. C'era la guerra, quel giorno - ma insomma, quando non c'era? E il prete grasso, il protetto dei soldati, svolgeva l'attività di reclutatore. Ogni quartogenito e scomodo bastardo, ogni vecchio troppo scarno per reggere l'aratro, ogni bocca di troppo si recava da lui nella speranza di rifarsi una vita tra i moschetti e le baionette, ma evidentemente non bastava. I papisti hanno diecimila uomini! Questo era il grido. La puttana di Roma vuole sedurre i bravi uomini del conte! Armate, donne, i vostri uomini! Proteggete l'onore vostro e dei vostri uomini! Questo era l'altro grido.

Erano le prime ore della guerra contro il re di Spagna. Filippo, si chiamava. Quello con una faccia che pareva gli avessero ficcato per gioco un palo nel culo da piccolo, senza rimuoverla mai. E voleva riportare l'Olanda alla Chiesa e alla monarchia.
Questo non era giusto. Nessun brav'uomo d'Olanda l'avrebbe voluto. I padri si ricordavano ancora delle tasse che i messi del re imponevano alla gente, e di come punivano coloro che ascoltavano la vera Parola del Signore. Per non parlare di chi leggeva la Bibbia da solo in casa! Willem strinse la mano al petto, ripensando alla copia del Testamento che leggeva ogni sera in cabina. Era la sua speranza e il suo sostentamento, durante le lunghe notti di mare, quando, senza luce, pareva che il grande oceano, nella sua vastità, avesse inghiottito la luna e le stelle.
Non era giusto che qualcuno provasse a toglierglielo.

Però il re di Spagna questa cosa non la sapeva. Forse i suoi ministri non gliel'avevano detta. O forse era il Papa che lo sobillava a portare la guerra in casa della brava gente, quando invece alle porte dei regni di Cristo stava a battere incessantemente il turco. Fatto sta che da quando era iniziata, i predicatori si erano ben predisposti a reclutare uomini che avevano perso tutto, fuorché il coraggio, pronti a morire nella luce del Signore. E Willem avrebbe dovuto essere uno di questi, se non fosse che l'amico prete era intervenuto nella lite. Aveva intimato al reclutatore di fermarsi, non prendere quell'uomo che conosceva. Sulle prime Willem gli era stato grato. Non era la prima volta che lo aveva salvato, giacché i reclutatori pattugliavano le strade e rastrellevano i figli della gente per prepararli alla santa battaglia. Ma ogni ombra di gratitudine nei suoi occhi si era estinta quando aveva compreso le parole dell'amico: quel reclutatore era un uomo potente, e non avrebbe accettato di mettersi da parte a questo modo. Qualcosa doveva essergli restituito, e allora l'amico gli aveva caldamente consigliato di prendere il largo su quella barca.
O la forca o la barca, insomma. Imbarcati, diceva. La Parola di Dio ha pure ad essere portata ai selvaggi, no?

Ma la Parola di Dio non era fatta per i selvaggi, niente affatto. E non era né colpa sua, né della brava barca. Questo i preti avrebbero dovuto capirlo, saggi com'erano. Due volte Willem aveva provato a parlarci, incontrando i selvaggi. Una volta aveva perso Frederik, l'altra Karlbert e Hugh. Bravi marinai, uomini timorati di Dio; pessimi soldati. Ma questi che ne potevano sapere, che i selvaggi li avrebbero attaccati? I selvaggi sono tutti neri, hanno i capelli arruffati e si disegnano blasfemie sul corpo. Sono bassi, ma hanno certe donne che mozzano il fiato. Non si può biasimare un marinaio se scende a gettare l'ancora nel porto di qualcuna! E pazienza se era la figlia del capo. Quella ci stava, era palese. Willem stesso l'aveva provato sulla sua pelle, non prendiamoci in giro. Poi suo padre l'aveva scoperta e la principessa dei bruni si era messa a piangere...! Erano dovuti scappare inseguiti da pietre scagliate e bastonate. Mah, al diavolo, al diavolo se ne andassero queste Terrebasse.

Al caldo della cabina nella sua nave, Willem scompigliò per l'ennesima volta i fogli di bordo. A destra, sull'ultimo scaffale, stava la striminzita libreria con le due copie della Bibbia, una nella comune lingua, l'altra in latino. Willem prese quella che conosceva, la prima. L'altra era per il predicatore di bordo, che però ci aveva rimesso la pelle quando aveva fatto intima conoscenza di un paio di selvagge giù al campo, nelle Terrebasse. Chi la leggerà adesso? Chi farà il sermone che sapeva ispirare i marinai la domenica?

Willem aprì il libro senza rifletterci troppo, restando sovrappensiero. Il dito gli cadde su una pagina a caso, un verso qualunque: Proverbi 9; 7-9.

Se correggi un ignorante, ti disprezzerà;
se rimproveri un malvagio, ti insulterà.
Non far rimproveri a un arrogante
se non vuoi farti odiare.
Se fai rimproveri a un saggio,
ti sarà riconoscente.
Dà consigli al saggio e diventerà ancor più
saggio,
istruisci il giusto e imparerà sempre di più.

Willem chiuse il libro. Aveva deciso cosa fare. Dare l'ordine di salpare subito, domani. Casa lo aspettava.

1606: la Duyfken, sotto il comando del capitano Willem Janszoon, esplora la costa occidentale di quella che a noi nota come penisola di Capo York. È l'inverno dello stesso anno quando la nave riparte per l'Olanda: gli olandesi non sanno di aver appena scoperto un altro nuovo mondo e di aver lasciato un bimbo in pancia a molte delle loro conoscenze.

Gran parte delle gravidanze native vengono abortite quando i feti sono ancora in grembo, dal momento che gli aborigeni considerano lo stupro una grave ingiuria. La giovane figlia del capotribù degli Alngith, però, si considera innamorata e sposa prediletta dello straniero venuto dalle onde. In un sogno, considerato sacro dagli aborigeni, riceve una visione per mezzo dei grandi spiriti: suo figlio, il figlio generato dall'unione del domestico col forestiero, il figlio generato dall'unione del vecchio col nuovo, il figlio generato dall'unione della terra col mare, sarà come una fiamma che divorerà il mondo, fondendo gli uomini in una sola razza. Eludendo gli ordini del padre ella si allontana quindi per uccidere il figlio in riva all'oceano, ma in realtà lo espone in mezzo ai flutti.
Se davvero è come dicono gli spiriti, il mare avrà pietà di una sua creatura, pensa.

E in effetti, la piccola aveva ragione. Le leggende del luogo sostengono che il figlio della terra e del mare riceva la compassione del padre, che vedendoselo in grembo ha per la prima volta modo di cullare. Egli resta per quattro giorni e quattro notti a mollo nell'oceano, nutrendosi dell'acqua e del sale, finocché, all'alba del quinto dì, il suo pianto non richiama l'attenzione di alcune fanciulle impegnate a giocare sulla riva. Quelle restano estasiate dalle circostanze del ritrovamento e dalla beltà del bambino: ha pelle scura e mani forti, come il popolo bruno; ma ha anche i primi capelli, incendiati, come il fuoco, e gli occhi di una tinta azzurra accesa che ricorda la bella pioggia e lo sciabordìo del mare. Le donne riportano il fanciullo senza nome al villaggio e qui lo espongono al capo: sono attimi tremanti, attimi di terrore, fino a quando la moglie di quest'ultimo, testa della delegazione, non si sporge avanti, narrando le circostanze straordinarie del ritrovamento. È un evento unico: ha la chioma della terra e lo sguardo del mare. Bisogna salvarlo, in accordo con la spiritualità tribale. Il capo accetta, e da quel momento Capelli di Fiamma (questo il soprannome con cui viene conosciuto il figlio dell'olandese) viene cresciuto come se si trattasse del figlio stesso del signore della tribù. Ha un fratello e una sorella, entrambi prole dei Linngithigh.

Nel frattempo, sul finire dell'estate, il navigatore spagnolo Luís Vaz de la Torres ha notizia dell'impresa di Willem Janszoon da un avventore, e decide di ripeterla seguendo la medesima rotta nella speranza che la corona gli accordi un donativo per aver soffiato il primato di scoperta e di colonizzazione agli odiati olandesi. Torres vaga incerto per un periodo di tempo medio-lungo per lo stretto che separa l'Australia dalla Nuova Guinea e che oggi da lui prende il nome, nella convinzione di dover ritrovare un qualche insediamento luterano e dargli fuoco, ma non ha fortuna. Non potendo sapere di aver grandemente sovrastimato la forza della spedizione di Janszoon, Torres lascia una piccola base a far da presidio allo stretto sull'isola che battezza in onore del principe ereditario Filippo, e che teoricamente fa capo al lontanissimo vicereame del Messico.
Di fatto il raccogliticcio forte viene presto abbandonato dagli spagnoli, ma non per questo lasciato disabitato: gli aborigeni locali si dimostrano infatti estremamente amichevoli e ricettivi alla cultura spagnola, tanto che Torres lascia brevemente scritto nelle sue memorie di aver carezzato l'idea di abbandonare tutto e tutti per nominarsi re di quella sparuta isola e delle sue vicinanze. Il sogno ha breve durata, però: di fronte alla carenza di viveri per sostenere sia gli abitanti, sia la sua ciurma (l'isola è poco più di uno scoglio) l'esploratore prende il largo, tornando dal governatore di Manila a fare rapporto. Questi annota il nuovo possesso nei registri della colonia, ma non muove un muscolo per rinforzare il presidio spagnolo nella regione, che per il momento resta di un solo uomo: è un giovanissimo frate, mezzo fedele e mezzo matto, guidato dall'ardore di conversione. Il suo nome è Luís Sotelo, e dal nulla istituisce una missione in loco.

1609: il trattato di Antwerp sancisce la tregua nella guerra degli ottant'anni che contrappone Paesi Bassi e Spagna. La notizia, appresa con qualche ritardo nelle Indie, pone un freno al commercio di contrabbando fra la VOC e il governatorato di Madrid, mentre riprende l'attività esplorativa e di colonizzazione. In Olanda qualcuno ripesca la missione di Willem risalente a tre anni prima, proponendosi di fondare un insediamento su quella terra così remota.

1616: il capitano olandese Dirk Hartog segna il terzo sbarco europeo su terra aborigena, nella costa occidentale del continente. Non è ancora un tentativo di stabilire un insediamento, ma Hartog lascia una placca incisa nel bronzo sulla cima di un monolite per segnare la rivendicazione di quei territori da parte dell'Olanda. Il compito di abitare l'Australia occidentale vero e proprio passerà invece allo stesso Janszoon, che sbarca poco lontano due anni dopo con una piccola spedizione formata da quasi duecento coloni. Alla città verrà dato il nome del capitano Willem, che si ferma in loco ad amministrare il Paese per conto della VOC.

1622: la nave inglese Tryall, in rotta per Giacarta, fa fortunosamente approdo a Willemdorp. Qui gli inglesi scambiano alla pari parte delle loro mercanzie in cambio di viveri, di cui scarseggiavano per effettuare il viaggio, e hanno modo di constatare che la vita dei coloni, seppur frugale, ha consentito a molti di mutare la propria condizione economica. Il loro comandante ha inoltre l'opportunità di conferire con il capitano Willem, ormai signore incontrastato della colonia, in merito alla rotta da seguire per arrivare sani e salvi a destinazione: l'intrepido navigatore li sconsiglia dal toccare di nuovo terra, poiché i nativi, seppur pochi, sono divenuti ostili dacché gli olandesi hanno iniziato ad espropriarli dalle loro terre ancestrali per insediarvi pecore, vacche e cani.

Entro la metà di maggio la Tryall ha quindi modo di ripartire, ma l'imprevedibile errore occidentale è che si tratta di un pessimo momento per navigare, in quella zona del mondo (siamo infatti nel pieno dell'inverno). Una tempesta di inaudite proporzioni spinge gli inglesi sempre più oriente, decisamente fuori rotta. La nave resta perennemente in vista delle coste, dal momento che la navigazione in mare aperto con un tale clima pare troppo perigliosa, ma ciononostante il comandante proibisce di tentare uno sbarco, poiché le parole di Janszoon lo fanno temere per la sua vita. Dopo quasi tre settimane di viaggio in condizioni così miserevoli, finalmente l'equipaggio, allo stremo, trova modo di imporsi sul capitano, ingiungendogli di trovare un porto sicuro prima che le scorte rinvenute da Willemdorp si esaurissero. Il comandante tenta allora di correggere la rotta verso nord, sperando che il suo legno possa resistere fino a garantire a lui e alla ciurma un approdo presso la Nuova Guinea, dove se non altro ha notizia di abitazioni, ma le sue funeste previsioni si rivelano esatte: circa a metà dello stretto di Torres, la furia della tempesta ha ragione del suo scafo e l'equipaggio della Tryall al completo viene scaraventato fuori bordo. È il 6 giugno 1622.

Fortuna vuole che la burrasca dopo poche ore si plachi. Molti sono morti, altri sono sopravvissuti nascondendosi in un barile o, alla peggio, aggrappandosi a una trave galleggiante. Grande è la meraviglia degli inglesi rimasti vivi quando scoprono che ad essere ripescati non sono soltanto loro, ma anche i cadaveri dei compagni. L'attore della loro salvezza è un uomo bruno, che si muove con una certa agilità a bordo di una scialuppa che ha più le fattezze di una zattera. Si sa, il bisogno aguzza l'ingegno, e a gesti gli uomini di Sua Maestà (non ancora britannica) riescono a farsi intendere dal loro salvatore, che spiega di essere un pescatore e di starli portando alla sua città. Gli inglesi si guardano stupefatti: città? Esiste civiltà in quel territorio scomparso dagli occhi di Cristo?

Ebbene sì, come spiega fra' Sotelo. Il religioso non parla inglese, ma qualcuno dei compagni della Tryall mastica un po' di latino dalle scuole canoniche, e così i due gruppi hanno finalmente modo di comprendersi. Lui e alcuni sparuti compagni, giunti fin lì per vocazione missionaria da Manila, si sono occupati di fare attività di conversione dei nativi, erigendo la più sperduta delle missioni cristiane sull'isola che, a suo tempo, Torres aveva scoperto. Col tempo Sotelo era perfino riuscito a venire a capo di quell'enigma che era la lingua degli aborigeni, riuscendo a farsi intendere quanto bastava per spiegare l'unità di Dio e impartire semplici ordini. Sotto il suo comando, la comunità di nativi si era organizzata come una sorta di comune anarco-teocratica, con a capo i frati gesuiti. I nativi cacciavano, abbattevano gli alberi, lavoravano la terra, pescavano nell'oceano, e così, nel complesso, la comunità aveva di che sostentarsi per vivere. In cambio, Sotelo e i suoi spiegavano ai selvaggi i misteri della Fede e, soprattutto, condividevano le loro preziose conoscenze sull'agricoltura e la lavorazione dei metalli. In particolare i nativi erano rimasti meravigliati dalla possibilità di navigare l'oceano, per quanto i francescani raccomandassero di non allontanarsi troppo dalla costa, per paura che i poveri indigeni finissero divorati dall'impeto di qualche fortunale. Cosa che, in effetti, era accaduta a quei folli inglesi.

Anche se dobbiamo immaginare come Sotelo non impazzisse certo di gioia all'idea di aiutare un pugno di straccioni eretici, alla fine lo spirito caritatevole di Cristo ha modo di vincerla anche in quel remotissimo angolo di mondo, e così il frate acconsente alla richiesta di usare i suoi nativi per ricostruire la nave degli inglesi. In realtà, anche il frate ha da guadagnarne: predicando ai marinai che il Signore ha voluto salvarli per farli restare in loco, riesce a reclutare quelli di loro che hanno visto la luce. Gli altri ripartono a bordo della nuova Faithful Friar (o più semplicemente, Faithful): quelli di loro che hanno deciso di restare sull'isola di Filippo (dove il principe non è mai stato) sono rimpinguati da congrui membri della popolazione nativa, introdotti da Sotelo allo spagnolo e alla religione cattolica. La Faithful ha infatti una missione: ricordare a Manila dell'esistenza di un avamposto spagnolo in Australia, cosicché si possa dare inizio a un traffico di merci e coloni perlopiù regolare, assicurando la persistenza della riduzione.
L'ultima cosa che fra' Sotelo vede prima di morire è la partenza della Faithful: spira come ha vissuto, benedicendo, e con la convinzione di aver assicurato un intero continente alla conversione.
Non sa che i marinai inglesi, per paura, sono stati poco onesti, tacendogli l'esistenza di una colonia molto meglio avviata dall'altro lato del continente.

1623: la nave inviata come rifornimento dal governatore di Manila, a dispetto delle raccomandazioni dei frati, molto poco bardata contro il lunatismo del clima incappa in un naufragio e si schianta contro le coste della penisola di Capo York. Della sorte dei coloni, che comprendevano donne e bambini, non si sa più nulla (molto probabilmente finiscono morti di inedia o uccisi dagli indigeni) e a Manila si dà per scomparso l'antico avamposto di Torres. Il problema è che molto presto lo diventa davvero: raggiunta una certa età, i frati al seguito di Sotelo, che mantenevano la popolazione fedele al seguito di un re che non sapeva nemmeno della loro esistenza, gradualmente si estinguono, senza lasciare discendenti. L'ultimo a spegnersi è un frate napoletano, certo Martin de Rada, che in spregio a un monarca che non si è mai adoperato al seguito del Verbo di Cristo decide di prendersi la sua vendetta. In punto di morte, fa chiamare il suo attendente prediletto, che chiama Luís (come il suo mentore): a mo' di giudice dell'Antico Testamento, lo unge con un poco di acqua di mare e gli cinge il capo con una corona di foglie tropicali.
Luìs è il primo monarca delle isole di Torres: sarà insieme capo politico, militare e religioso, occupandosi di estendere il suo dominio a tutto l'arcipelago, costituendo il primo Stato aborigeno del Continente nel senso moderno del termine.
Con questa data si indica pertanto, convenzionalmente, la separazione fra storia e preistoria in Australia.

1623-1639: regno di Luis I il Rinato (così detto per la cerimonia di unzione) sulle isole di Torres. Egli si fa anche chiamare il Signore delle Cento Onde, per la sua attitudine a navigare. In effetti, per sedici anni Luis incrementa notevolmente quantità e qualità delle imbarcazioni a disposizione del suo popolo, in onore con la missione che crede di aver ereditato da Dio in persona per mezzo dei suoi emissari sulla Terra. I frati venuti dal mare hanno istruito la gente bruna, ma sono venuti a mancare; così adesso è il turno della gente bruna di viaggiare per gli ocenai, così da propagare la tecnologia spagnola e la buona novella.

Così il primitivo regno delle isole di Torres si espande a un ritmo lento, ma sostenuto. è Luis stesso, per nulla intimorito dagli instancabili moti delle onde, a viaggiare di isola in isola, porgendo la propria benedizione agli insediamenti che via via si vanno fondando. Egli rifonda la sua stessa capitale, Badu (di etimologia incerta; forse corruzione del latino badius, baio, ma sembra che i vecchi del popolo di Torres gli attribuiscano piuttosto il significato di dono). La capitale non è ingente, però conserva un certo senso di maestà: presto, Luis si rende conto di non poter gestire una gente in così vasta crescita senza l'aiuto di nessuno, e così vi costituisce un assemblea a suo scopo consultivo. Ne fanno parte, inizialmente, i soli anziani, differenziati non per censo, ma per estrazione sociale; così, da un lato sedono i coltivatori di banane, dall'altro i coltivatori di cocco. Di mezzo sedono i capi dei minatori, mentre in cima signoreggiano i figli del mare, gli abili pescatori. Da subito, le discussioni sono furibonde, ma Luis, tutto preso nella sua attività colonial-missionaria, non se ne cura; e di certo, il lavoro non manca.

Il regno delle isole di Torres sotto Luis II, il Re-di-Legno

Già, perché, fatte salve le isole dello stretto, dalla popolazione contenuta e perciò semplice da sottomettere, il Signore delle Cento Onde ha un bel grattarsi il capo nel tentativo di sottomettere le genti del continente, peraltro aliene al ristretto mondo degli uomini di Torres. La prima ad essere raggiunta, seguendo la corrente del Mare-Oceano, è la grande isola a settentrione. Questa, agli occhi dei torretiti, sembra inizialmente un autentico paradiso: le foreste sono rigogliose e fitte, la selvaggina è ricca e i frutti calano maturi dagli alberi in fiore: c'è n'è abbastanza per sostenere gli appetiti in crescita degli abitanti di Badu e delle loro colonie, per un periodo di tempo. Però i locali non sono d'accordo, e così inizia una tenace guerra di logoramento con la quale i torretiti ricacciano lentamente indietro gli abitanti ancestrali di quella terra, fondando avamposti sulla costa che facciano da empori per le risorse che vengono estratte dalla terra. È nel corso di uno di questi furibondi scontri che re Luís muore improvvisamente, colpito al cranio da un'asta appuntita che gli trapasserà il cervello. Lascia un regno ricco e fiorente, anche se giace insoluto il problema della successione.

La Lega della Frutta
In effetti, Luís aveva lasciato un figlio il quale era di temperamento focoso e di indole intraprendente. Luís II, così si fa chiamare, assume presto il comando delle truppe di stanza sulla grande isola. Presto lancia qualche attacco qua e là, contro le tribù della giungla, così da farsi acclamare quale degno successore del padre.

Però all'interno del regno non tutti sono d'accordo con l'affermare il diritto all'eredità di Luìs. Infatti, il Rinato aveva lasciato un autentico stuolo di figli, che nel disordine generale ne approfittano per dichiararsi comandanti e gettare il guanto della sfida contro Luìs. Così, i primi anni del regno di quest'ultimo sono trascorsi nel costante tentativo di fugare le ribellioni e sedare gli animi dei turretiti più impertinenti, potenziando le guarnigioni e militarizzando la società. La cosa non va a genio a tutti: nel tentativo di irregimentare il proprio controllo sulla società, il re ha infatti arrestato l'ondata di espansione che aveva caratterizzato il regno di suo padre, così che i profitti dei coltivatori di cocco e quelli dei coltivatori di banane, per la prima volta uniti, vedono calare il proprio tasso di crescita, poiché, senza colonizzazione, l'aumento della richiesta di cibo diminuisce di intensità.

Al fine di preservare i propri guadagni allora, i coltivatori stringono alleanza, costituendo la Lega della Frutta. Trovano un placido figlio di re Luís I, tale Martiño, e lo coinvolgono nella cospirazione, così da farne un proprio pupazzo. All'alba dell'anno 1643, simbolicamente nel ventesimo anniversario dell'unzione di Luís, la Lega acquista il controllo di Badu senza grossi spargimenti di sangue, profittando della lontananza del re. La famiglia di quest'ultimo è però passata per le armi quando tenta di scappare per raggiungerlo. La Lega invia una profferta di pace al re: frutta e pace in cambio della sua abdicazione.

Ma Luís II sdegnosamente rifiuta. Da Samari, nel golfo del grande Mare-Oceano, dove si trova, dá ordine di preparare il contrattacco. È in quell'occasione che il Re-di-Legno si guadagna il suo soprannome, quando i suoi uomini abbattono centinaia di alberi al fine di trasformarle in imbarcazioni da mare. Per fortuna, l'operazione è resa possibile dal fatto che pescatori (ormai più marinai, linfa vitale di un impero marittimo) e minatori (principali fornitori dell'esercito) gli sono rimasti fedeli. Nel frattempo la Lega non resta inerte: decine di insediamenti sono saccheggiati e dati alle fiamme, mentre il principe Martiño non riesce a fermare gli uomini che sostengono di agire in favore di tutti i turretiti, ma in realtà lavorano solo a vantaggio delle proprie tasche, dato che più distruzione equivale a maggior dipendenza delle colonie dai rifornimenti di cibo della capitale.

Alla fine, però, la sproporzione di abilità guerresca tra gli uomini del Re-di-legno, induriti da decenni di conflitti con gli indigeni del settentrione, e gli agricoltori della capitale, ben pasciuti sui loro alti seggi intarsiati, è troppo vasta per non farsi sentire. Luìs II punta direttamente su Badu, prendendo di sorpresa gli esponenti della Lega (a quell'epoca, la città era ancora scoperta). Per i coltivatori, è l'inizio della fine: i realisti danno fuoco agli alberi da cocco e ai campi di banani, decretando la fine della base di potere dei primi; Luìs II si occupa personalmente di stanare i baroni della frutta casa per casa. I ribelli sono cancellati dalla storia in un'orgia di fiamme.

A un Re-di-Legno abbruttito dalla truce esperienza della Rivolta resta il difficile compito della ricostruzione. Innanzitutto, egli abolisce le caste dei coltivatori, ritenute dannose per il potere regio, sostituendole con una nuova porzione di mercanti, figli e fratelli di coloro che hanno sostenuto e alimentato i viaggi di Luìs II e suo padre. Questa nuova classe, reputa il re, resterà a lungo dinamica, evitando il processo di inurbazione che era toccato agli agricoltori, e cioè rendendo più difficile la costruzione di una base di potere alternativa a quella del sovrano. I mercanti, che nei secoli diverranno de facto nuova nobiltà, con i proventi delle esplorazioni e dei saccheggi, finanziano la ricostruzione di Badu e degli altri insediamenti andati perduti durante il conflitto.

Perfino l'assemblea è riformata: dalla spartizione dei seggi attribuiti ai coltivatori, presenti in maniera preponderante, profittano tutti i sostenitori del re; e anche se i mercanti se ne ritagliano la fetta principale, l'equilibrio è mantenuto dalla sovrintendenza sovrana. All'assemblea è assegnato il compito di coadiuvare il re nell'operato di governo, e confermare la successione dinastica indicata dal precedente monarca all'interno delle proprie volontà testamentarie. Gli anziani dell'assemblea sono anche chiamati a risolvere le dispute fra torretiti, quando occorrono.

Tutto questo processo trova sulla Legge Fondamentale emanata dal sovrano, simile, per certi versi alla nostra legge del taglione. La società, costituita come clanica non in rapporto al sangue, ma alle professioni, si concepisce come compartimentata: qualora il gruppo, come intero, subisca una perdita razionalmente attribuibile ad un altro (solitamente, l'omicidio), quello è tenuto a risarcirla fornendo il corrispettivo (di regola, un uomo sostitutivo, integrato dal gruppo d'origine). Il re viene considerato custode del sacro equilibrio, che ha la necessità di venire conservato.

Infine, Luìs II fa anche cingere la sua capitale di una cinta di mura: è alta e costituita da pali di legno trafitti nel suolo, intervallati da magnifiche porte in pietra dipinta con i motivi della conquista e della religione rivelata.
Eppure, non è più solo una bella città, quella di Badu: è ormai chiaro a tutti che il Re-di-Legno ha lasciato in eredità al figlio non un insediamento tribale, ma la capitale di un impero centralizzato; il seme di una nuova civiltà.

L'esilio del principe spiaggiato
Ma intanto, qual è stata la sorte del povero principe Martiño, prima marionetta e poi tacciato di collaborazionismo dal fratello? All'approcciarsi della flotta del Re-di-legno, Martiño, vistosi finito, decise di darsi alla fuga (a conti fatti, l'unica sua autentica decisione, in una vita spesa sempre in secondo piano, come pupazzo). Martiño, alle strette, fugge a nord, disperando di poter ottenere qualche supporto dagli spagnoli di Manila, da cui, dopotutto, erano provenuti i maestri del popolo delle isole di Torres, quasi cinquant'anni prima. Luìs II, una volta appurata la rotta intrapresa dal fratello, rinuncia a dar seguito al fratello, considerando un'impresa del genere come impossibile sulle imbarcazioni di cui dispongono i nativi.

E in effetti, in materia di navi, il Re-di-Legno non poteva che avere ragione. Martiño, che non è certo un ottimo navigatore, viene catturato da una burrasca appena più in là dell'alto mare, costringendolo a trovare riparo sulla costa. Ma le sventure non sono affatto finite, perché, durante la loro sciagurata permanenza sul continente, il torretita e la sua ciurma incappano in una pattuglia dell'interno, che li fa prigionieri.
Gli aborigeni li scortano presso un accampamento semi-stanziali, dove sono accolti nella comunità e messi al lavoro.
La gente dell'Australia, difatti, non conosce proprio l'agricoltura; ma nelle società del nord-est, laddove la vegetazione è più fitta e assume le connotazioni di una vera foresta tropicale, gli aborigeni possono permettersi di sostare per lunghi periodi di tempo nella stessa zona, approfittando della selvaggina e dei frutti che crescono generosi.

Fortunamente, gli aborigeni non sono crudeli di natura, ma la comunicazione è resa difficile dalla distanza culturale. Martiño cerca di spiegarsi, ma l'adattamento è un processo lungo, e così per qualche anno non gli resta che lavorare. Almeno, in scapito ad una sorte che pareva segnata, ha la vita salva: il regime di vita dei continentali è certo più spartano di quello dei progrediti torretiti, ma le donne si dimostrano curiose degli stranieri, e il tempo così trascorre in maniera più piacevole di quanto pronosticato. Martiño così mette su famiglia, e si amalgama nella vita di tribù, abbandonando le speranze di tornare a reclamare, o anche solo visitare, le isole di Torres.

Eppure, in tutto questo tempo, il principe spiaggiato continua a praticare la religione dei suoi antenati, quella specie di cristianesimo impregnato di animismo che il Sotelo aveva insegnato ai torretiti. E le onde del mare, che ad ogni attimo si infrangono sulla costa, costituiscono un richiamo inarrestabile per Martiño: quello di ritornare fieramente alle proprie origini. Così, quando per caso la tribù di Martiño incappa in un'altra amichevole tribù durante uno spostamento, al principe, che ha ormai appreso la via del continente, capita di raccontare la propria storia, commista agli altri racconti che gli uomini si scambiano intorno al fuoco sotto al cielo di una notte stellata.

È qui che si disvela (semmai ce ne fosse bisogno) la vera portata di una storia. Difatti, a quel raccordo di cantastorie siede anche Capelli di Fiamma, divenuto con l'età il più autorevole guerriero del suo clan. Il racconto della civiltà del mare risveglia qualcosa nella spiritualità dell'uomo: Capelli di Fiamma racconta del suo concepimento, come figlio delle acque e della terra, destinato alla grandezza. Il seme del monarchismo, inconsapevolmente gettato dal principe spiaggiato, attecchisce rapidamente. Capelli di Fiamma, in ragione del portato mistico che circonda la sua figura, è presto riconosciuto come unico capotribù da tutti i convenuti: nel buio di quella notte, si stipula il sacro patto che darà vita all'unione di tutte le tribù nel grembo di un nuovo popolo, il solo aborigeno.

Le ventiquattro stagioni di Capelli di Fiamma
Da buon tribale, Capelli di Fiamma fonda il suo potere sull'ardore guerresco, e presto organizza i suoi compagni in un'inarrestabile milizia. Non passa molto tempo prima che il suo nome diventi rinomato presso tutti i Linngithigh e gli Alginth e gli altri figli della terra rossa: in molti accettano di sottomettersi spontaneamente al predominio dell'uomo che porta i capelli del suolo, inviando un simbolico pegno di sabbia presso la sua tenda.

Ma contro i capitribù insolenti, che non vogliono condividere i privilegi della propria terra con il resto del popolo aborigeno, Capelli di Fiamma muove guerra, lanciando la sua asta e gridando al punto di squarciare il volto di chi gli si oppone (tale è la sua forza, se bisogna dare adito alla leggenda). Per ventiquattro anni, con la bella stagione, gli uomini della tribù si armano, lasciando indietro le giovani mogli e dandosi alla razzia dei vicini. Capelli di Fiamma non è un capo clemente: egli uccide gli uomini che si frappongono fra lui e il trionfo, ma rapisce le donne, lasciandole in vita. Quello che segue è un ordine semplice, per una società semplice: distribuitele ai suoi uomini, egli dà ordine di inseminarle, con lo scopo di ingrossare le sue fila.

In breve tempo, la tribù, che raccoglie esuli e profughi da ogni dove, diventa la più grossa della costa, con ramificazioni sino alla grande foresta. Capelli di Fiamma amministra la guerra con piglio spietato, ma per tutti gli affari che competono al di fuori di quest'ambito, che lo annoiano, lascia fare ai suoi collaboratori: suo fratello, sua sorella (nonché, da un certo punto in avanti, de facto moglie) e, ovviamente, il principe Martiño, che come artefice indiretto del risveglio del suo spirito, occupa un posto speciale nelle preferenze tribali.

Ovviamente, come è logico supporre, Capelli di Fiamma non fonda alcun insediamento che funga da capitale; dalle basi temporanee dei suoi spostamenti, perlopiù tramandateci per via orale, possiamo supporre di tracciare i confini del suo regno fino alle propaggini meridionali della penisola di Capo York, ma non oltre. Ma nell'anno diciannovesimo delle sue campagne di espansione, il figlio della terra e del mare s'imbatte in un conflitto particolare: sulle sponde del mare, egli ritrova i primi accenni di costruzioni erette col legno, abitate da gente che non conosce la Via del Continente. Interrogato a proposito, il principe Martiño conferma i sospetti di Capelli di Fiamma: si tratta di torretiti, consegnati alla terra dalle onde. È sempre Martiño a intercedere per questi: chiedendo, in nome dell'amicizia che li lega, che i torretiti abbiano salva la vita. Contro il parere del fratello, Martiño ottiene che questi facciano ritorno presso Badu, sotto la sua supervisione.

È dalla loro interrogazione che Martiño ha infatti scoperto della morte del Re-di-Legno: il nuovo sovrano, Luìs III, è un tipo placido che accetta di seppellire l'ascia di guerra con lo zio, in ragione dei tempi di nuova prosperità. Grazie all'ambasciata di Martiño, i torretiti accettano di aprirsi a scambi con il popolo della terraferma, che loro chiamano i Figli del Fuoco (per ovvie ragioni). Emissari di Badu costruiscono la città di Injinoo come avamposto commerciale sulle rovine rinvenute da Capelli di Fiamma. Qui è dove s'insedia il principe Mariño, con la funziona di intermediario per gli scambi fra le due genti.

Purtroppo, proprio Capelli di Fiamma non vivrà ancora per molto dopo questo evento. Col senno di poi (ma su questi eventi, persi nel tempo, non abbiamo molto se non resoconti mitici) era probabile che le sue straordinarie caratteristiche fisiche fossero dovute ad una compresenza in numero maggiorato o minorato dei suoi cromosomi. Forse, la sindrome di Down spiegherebbe anche il complesso del Messia, e altre indiscrezioni di carattere medico spiegherebbero la sua infertilità. Il re guerriero infatti, dopo tante fatiche nel concepire (è pur vero che stava con la sorella) riuscirà a lasciarle solo un figlio, che non vedrà prima di nascere.

Eppure, in spregio alle moderne velleità scientifiche, in qualche modo egli fu davvero il fondatore della stirpe aborigena, tanro da spegnersi nel lamento dei suoi compagni, compianto da tutti come un eroe di leggenda. La sua eredità, con sommo dispiacere, verrà disputata tra il fratello, esponente degli interessi della tribù, e il principe Mariño, quasi un inviato dei torretiti presso la terraferma.

Né Willem Janszoon, né alcuno dei suoi figli, governatori di Willemdorp nel lontano sud, possono a questo punto sapere di aver alterato la storia dell'Australia per sempre.

feder

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