Che cosa significa essere italiani?

di Estec

17 dicembre 2007

Come tutti sapranno, il 13 dicembre 2007, mentre il nostro presidente della repubblica Giorgio Napolitano era in visita di stato negli USA e in colloquio con Bush (questo tra la completa indifferenza della stampa americana), il New York Times ha voluto fargli un bel regalo. Infatti, questo noto quotidiano il 13 ha pubblicato un articolo "In a Funk, Italy Sings an Aria of Disappointment" (chi vuole, può leggerlo a questo indirizzo), in cui viene fatta una descrizione molto cruda, ma realistica, della situazione del nostro paese. L'articolo è stato scritto da Ian Fisher, un corrispondente da Roma del quotidiano Usa. Naturalmente Napolitano il giorno dopo ha cercato di smontare da New York questo articolo dicendo che questa è una descrizione falsa, ma con che risultato?

Io sono orgoglioso di essere italiano, ma non voglio essere retorico. La mia domanda è più profonda: che cosa significa essere italiani? O meglio, che ruolo ha avuto la storia e la cultura romana nel nostro essere oggi italiani (cioè: unici, diversi da tutti)? E ancora creativi, accoglienti, aperti, umili (aperti ad imparare), individualisti, pionieri... e grandi cuochi di grande cucina?? E' innegabile che le lugubri cronache quotidiane diffondano nella società una sensazione di frustrazione e di inadeguatezza che mette a dura prova l'autostima collettiva. Questo dubbio, peraltro, è anch'esso una nostra peculiarità, visto che non potrebbe mai sfiorare né i cittadini delle altre grandi nazioni europee, né quelli degli stati minori di più recente costituzione. Ma anche questa stranezza ha un'origine antica. Come possiamo dunque tratteggiare la nostra identità nazionale?

Per dare un giudizio equilibrato occorre necessariamente sgomberare la mente da tutto quel ciarpame che quotidianamente ci viene propinato dai nostri miopi, incolti ed incoscienti "opinion makers", ostinatamente votati ad inculcarci il disprezzo verso ogni genuina espressione di italianità e la beota soggezione nei confronti delle culture altrui. Per nostra fortuna, vi sono dei convincimenti che permangono comunque fermamente radicati nella coscienza collettiva, quali, ad esempio, la bontà della nostra cucina, ovviamente; ma anche il nostro senso della pulizia (quella individuale e quella nelle nostre case), perlomeno se raffrontato agli standard di certi popoli europei ben più spocchiosi; le nostre glorie calcistiche ed in molti altri sport (come dimenticare quello splendido nostro maratoneta, Stefano Baldini, che giunse da solo nello stadio di Atene?); i nostri bolidi vincenti, come quelli con i leggendari marchi Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Ducati, Aprilia, etc.; i nostri vini ed i nostri spumanti, certamente non secondi a quelli d'Oltralpe; la moda italiana, rappresentata dai grandi stilisti di fama mondiale, ma anche dalla naturale eleganza della nostra gente; lo stile italiano nel mondo, nel design industriale, nella carrozzeria delle auto e nella grande architettura, come quella dI Renzo Piano e Massimiliano Fuksas; la bellezza delle nostre donne e la bravura dei nostri artisti dalla celebrità internazionale, come la Fracci, il compianto Pavarotti, Bocelli e la Pausini; i maggiori direttori d'orchestra, come Muti e Abbado; i grandi maestri del cinema, come Fellini, Antonioni, Germi, Monicelli e Visconti; le ripetute imprese dell'alpinismo italiano, sulle più dure cime, fino al K2 ed all'Everest, anche senza ossigeno; l'efficace presenza italiana nelle principali operazioni di pace e nelle postazioni più avanzate della ricerca scientifica, in Antartide e nello spazio. Tutte queste cose - che fanno parte del nostro patrimonio, come Totò, Carosello, la vecchia Cinquecento e la moka express - sono abbastanza conosciute e ci rappresentano in modo più completo dei soliti spaghetti, del cappuccino, della pizza, dei mandolini e della Mafia. Ma questo non è tutto, perché sono ancor più importanti le molteplici aree di eccellenza attivamente presenti nella nostra società, cioè quelle solide e qualificanti realtà di cui si parla poco ma che operano incredibilmente bene; e ce ne accorgiamo solo di tanto in tanto, quando scopriamo, ad esempio, che, con l'imminente invio in orbita del laboratorio europeo "Columbus", più della metà dell'intera Stazione Spaziale Internazionale orbitante intorno alla Terra sarà di costruzione italiana.

Checché se ne dica, quindi, gli Italiani sono tutto questo: gente che sa impegnarsi seriamente e superare ogni difficoltà anche in mezzo a situazioni ambientali di lavoro non ottimali, e che riesce anche a raggiungere dei risultati straordinari, pur lavorando individualmente o nell'ambito di piccoli gruppi, con carenza di risorse e senza la certezza di un appropriato sostegno istituzionale. Questa realtà odierna è perfettamente coerente con quella dei secoli passati, quando la nostra Penisola ha generato quelle straordinarie individualità che hanno regalato all'umanità le note musicali, la commedia dell'arte, l'Umanesimo, il Rinascimento italiano, il Nuovo Mondo, il metodo scientifico galileiano, il melodramma, la pila elettrica, il telefono, la radio e l'energia nucleare. Non vi è dunque alcuna esagerazione retorica nella nota frase incisa a caratteri cubitali sui quattro lati del Palazzo della Civiltà Italiana, all'EUR: "un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori". D'altronde dovrebbe bastarci il conforto autorevole del nostro Presidente della Repubblica che, riferendosi all'infelice valutazione espressa dal New York Times, ha detto:

"Possiamo scommettere sull'Italia, sulle sue tradizioni storiche e sui suoi spiriti animali" ... "Spiriti animali è un riferimento alla vitalità italiana, agli spiriti animali del capitalismo di cui parlava Keynes." [citazione dall'ANSA]

Ed anche: "Esiste capacità di iniziativa, una spinta dal basso che porta ad eccellere e certe cose mi piacerebbe vederle sui giornali." [citazione da RaiNews24]

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Ma torniamo alla mia domanda iniziale: sulla base degli elementi desumibili dalle fonti antiche, risulta abbastanza evidente che, a grandi linee, tutte le virtù e tutti i vizi che ora ravvediamo negli Italiani fossero egualmente esistenti a Roma e nel mondo romano. Questo vale, ovviamente, con tutte le approssimazioni e le semplificazioni che comportano dei giudizi espressi in modo troppo generico e conciso. Non va, infatti, dimenticato che stiamo parlando delle caratteristiche di una popolazione la cui storia è stata ultramillenaria e che ha assorbito in sé buona parte delle culture incontrate nelle province di un impero che abbracciava tre continenti, oltre alle più disparate etnie, filosofie, religioni e superstizioni.

Al fine di circoscrivere l'argomento in esame (perché altrimenti l'esame si estenderebbe oltremisura) mi limito ai soli aspetti specificati nella domanda:

- caratteri prevalentemente positivi: creativi, accoglienti, aperti, pionieri... e grandi cuochi di grande cucina;
- caratteri con possibili risvolti negativi: unici, diversi da tutti; umili (aperti ad imparare), individualisti.

Esaminiamoli in ordine logico.

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Accoglienti ed aperti

Qui vi è una delle peculiarità intrinseche dei Romani; questa fu la loro maggiore forza, ma questa fu anche la maggiore causa della loro vulnerabilità.

Roma è stata fondata da Romolo come una città aperta a chiunque volesse stabilirvisi. Questo concetto rimase sempre in vigore per tutti, a condizione, ovviamente, di sottomettersi alle leggi di Roma e di non costituire un pericolo per la sicurezza del popolo romano. L'accoglienza venne quindi sempre concessa a tutti, prescindendo da località di origine, lingua, etnia e religione. Gli stessi nemici che impegnavano i Romani in un confronto bellico erano destinati ad essere accolti fra gli amici ed alleati del popolo romano, poiché questo era l'epilogo normale di tutti i conflitti dopo la vittoria romana.

Tuttavia, questa connaturata voglia dei Romani di accogliere in amicizia gli ex nemici e di conferire molto presto anche la cittadinanza romana ai loro capi più rappresentativi creò delle situazioni di enorme rischio durante l'Impero, poiché questo neo cittadini non ancora intimamente romanizzati suscitarono alcune gravi sedizioni, determinando anche dei tremendi rovesci come quello - disastroso - di Teutoburgo.

Nel basso impero, poi, l'immissione nelle legioni, in forma sempre più massiccia, di barbari frettolosamente convertiti e virtualmente romanizzati, pose l'Impero stesso alla mercè di personaggi che non avevano assimilato praticamente nulla della civiltà romana. La stessa caduta dell'Impero d'Occidente fu causato da un ammutinamento interno capeggiato da Odoacre, che, pur appartenendo alla guardia del corpo dell'imperatore, privò quest'ultimo dei suoi poteri, senza nemmeno capire la portata del suo gesto.

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Creativi e pionieri

I Romani erano fondamentalmente dei pragmatici. Di fronte a qualsiasi impresa, di guerra o di pace, essi non agivano sulla falsariga di teorie preconfezionate, ma esaminavano la situazione caso per caso, e mettevano a punto delle linee d'azione che consentissero di conseguire lo scopo nel modo migliore, ma con il dispendio di forze strettamente necessario e con il minimo rischio.

Nel campo militare, è proprio questo quello che emerge costantemente dall'analisi delle loro battaglie terrestri e navali. Essi raggiunsero un enorme potere grazie alle loro indiscusse virtù guerriere, ma anche alla loro oculatezza nel non esporsi quando il risultato poteva essere ottenuto in altro modo (non sono infrequenti i casi di accordi sottobanco, di corruzione o di tradimenti fomentati con altri metodi). La cosa non è poi tanto sorprendente se ci si ricorda che Machiavelli diventò "machiavellico" dopo aver studiato le gesta dei Romani.

E gli Italiani? Le capacità militari degli Italiani sono state a lungo molto rinomate in tutta Europa, visto che i nostri condottieri ed i nostri eserciti erano i più gettonati. Più recentemente, superati diversi decenni di dopoguerra condizionati dal trauma della sconfitta e della guerra civile, ora sta ridiventando evidente la robusta stoffa dei nostri, la loro composta professionalità anche in situazioni di grande rischio, nonché la loro capacità di adattamento alle nuove situazioni, senza farsi irretire dagli schematismi. Nel Golfo Persico, nel 1988/89, fummo i primi ad adottare la tattica più efficace per scortare le nostre navi mercantili in presenza di minaccia di mine alla deriva: all'inizio sembrò una soluzione strampalata, poi la adottarono tutte le altre maggiori marine presenti in quelle acque.

Nel campo civile, il pragmatismo romano li portò a acquisire quanto c'era di buone nelle culture delle popolazioni alleate e delle province d'oltremare, perfezionando sensibilmente le soluzioni altrui e creando poi delle soluzioni proprie, assolutamente originali e maggiormente rispondenti alle esigenze. Lo si vede in tutti i campi delle costruzioni civili, terrestri (strade, acquedotti, terme, ponti, cisterne, etc.) e marittime (porti, dighe foranee, moli subacquei, fari, canali navigabili, ville marittime, etc.), nei vari altri prodotti dell'ingegneria (tubazioni, valvole, rubinetti, pompe, cuscinetti a sfera, ascensori, etc), nell'agricoltura, nell'itticoltura, nella medicina, nella geografia (anche attraverso diverse nuove esplorazioni), nel diritto, nella letteratura, negli spettacoli e nell'arte.

Degli Italiani non è nemmeno il caso di parlare, visto che questi sono tutti campi in cui la creatività si è mantenuta.

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Grandi cuochi di grande cucina

Il gusto dei Romani per i buoni cibi e per le ricette elaborate è molto antico, tanto che abbiamo anche dei frammenti di Ennio che ne parlano. Egualmente importante fu per i Romani la selezione dei vini migliori e particolare cura di quelli più pregiati, come il celeberrimo Falerno. In epoca imperiale, con l'aumentare del benessere aumentò ulteriormente la ricerca delle prelibatezze più succulente, di cui ci sono pervenute celebri descrizioni. Da una tale passione per le ricette di alta cucina dell'epoca antica è evidentemente derivata la radicata nostra abitudine alla qualità del cibo e dei vini.

Per la seconda categoria di caratteri, quelli che hanno dei possibili risvolti negativi, direi che li abbiamo anch'essi ereditati tutti dai Romani, ma li abbiamo in parte accentuati proprio per effetto del retaggio di Roma. Esaminiamoli uno per uno.

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Individualisti

Nel concezione romana della società, il principale attore era l'uomo, ovvero l'individuo, e mai le grandi masse. Anche nella politica romana, le famose lotte fra il partito "popolare" e quello aristocratico non era una contesa per dare più potere al popolo nella sua globalità (ovvero come massa), ma per assicurare che dei membri della plebe potessero assurgere individualmente a quelle cariche che erano state per molto tempo prerogativa dei senatori o dei cavalieri. Dopo i Gracchi, i massimi a esponenti dei cosiddetti popolari furono Mario e Cinna, seguiti poi da Cesare ed infine da Ottaviano. Tutte persone che ha ricercato il potere per sé stessi e per i propri sostenitori, sia pure con la dichiarata volontà di andare incontro alle esigenze del popolo calpestate dalle prevaricazioni della classe senatoria.

I Romani erano dunque degli individualisti. Alcuni di essi non esitarono nemmeno a mettersi in contrasto perfino con la propria Patria quando si sentirono offesi nella propria onorabilità individuale: i casi più clamorosi sono quelli di Coriolano, rifugiatosi presso i Volsci, Mario, in Africa, e Sertorio, in Spagna.

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Umili (aperti ad imparare)

Qui si può vedere, da un lato, un altro aspetto di quel pragmatismo di cui si è già parlato, e dall'altro una curiosità intellettuale tale, da attribuire maggiore importanza all'informazione ricercata rispetto alla dubbia soddisfazione di non doversi mostrare bisognoso di spiegazioni. In effetti i Romani non avevano alcuna difficoltà a richiedere l'insegnamento altrui quando questo risultava più produttivo. Se riuscivano ad acquisire sufficienti informazioni per poter fare le cose in proprio e possibilmente migliorarle, lo facevano. Altrimenti continuavano a servirsi di insegnanti non Romani. Questo fece la fortuna dei Greci, che sapevano "vendere" bene le proprie conoscenze teoriche. Nel caso dei Romani, tuttavia, non mi sembra del tutto appropriato parlare di umiltà, poiché questo non era un atteggiamento da essi concepibile. Forse per essi si trattava piuttosto di indifferenza.

Per gli Italiani vi è certamente la stessa apertura ad imparare. Non so se potremmo definirla davvero umiltà (che ha un sapore di remissività e di subordinazione) o di semplice realismo e mancanza di spocchia.

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Unici, diversi da tutti

I Romani lo erano per mentalità. Non si trattava ovviamente né di luogo d'origine, né di etnia, né di filosofia o religione. Chiunque, da qualsiasi parte provenisse, quando diventava romano assumeva quella mentalità. Questa mentalità era fondamentalmente universalista: il Romano si sentiva innanzi tutto cittadino del mondo, anche se privilegiava Roma e l'Italia ed avrebbe dato la vita per esse.

L'Italia, in effetti ebbe fin dall'inizio uno status particolare. Non venne mai considerata una "provincia" di Roma, ma una sorta di estensione dell'area di residenza dei Romani o delle loro gite fuori porta, come diremmo oggi. Questo comportò molto presto (per effetto della guerra Sociale) l'estensione della cittadinanza romana all'intera Penisola. Nel periodo dell'Impero, la distinzione fra Romani ed Italici finì per scomparire.

Dopo la caduta dell'Impero d'Occidente, il relativo territorio divenne preda di vari regni barbarici. Mentre questi regni, lottando fra di loro, iniziarono ad esaltare gli egoismi "nazionali" ed a forgiare in tal modo i primi abbozzi delle identità delle future nazioni europee, gli Italiani rimasero refrattari a tale processo, permanendo influenzati da quell'universalismo che li rendeva indifferenti al colore delle bandiere che transitavano sul loro territorio. Questo atteggiamento di fondo è rimasto in gran parte presente in tutti i secoli di dominazione straniera, ma non è stato nemmeno rimosso dopo l'unità d'Italia. Nonostante il patriottismo, certamente molto forte soprattutto nel periodo risorgimentale, quel radicato universalismo costituisce pur sempre la base della nostra mentalità. Questa unicità non è certamente un demerito, ma rappresenterà pur sempre una pericolosa vulnerabilità fintanto che negli altri paesi europei permarranno forti gli egoismi nazionali.

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W L'ITALIA E LO SPIRITO ANIMALE ITALIANO!!

Estec

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Molto tempo dopo, Dario Carcano ci ha riflettuto su:

18 dicembre 2019

Leggevo l’intervento di Estec riportato qui sopra. Risale al dicembre 2007, dodici anni fa, praticamente un'era geologica. Prodi era presidente del Consiglio con l’Unione, col Partito Democratico nato da appena due mesi; in cui ancora non era di moda accusare l’Europa della rovina economica dell’Italia e i nomi di Salvini, Renzi, Meloni e Di Maio erano sconosciuti al grande pubblico. La crisi economica e finanziaria innescata dai mutui sub-prime cominciava a manifestarsi ma ancora non era esplosa, Facebook esisteva da appena tre anni e gli influencer erano le persone con l’influenza. L’Italia era campione del mondo, la Juventus era appena tornata in Serie A, ed era l’Inter di Mancini la squadra da battere in Serie A. Io ero in quarta elementare.
Un'era geologica fa.

Molto è cambiato da quando Estec scrisse quel saggio, e lo sapete benissimo COSA è cambiato, quindi non sto qui a ripeterlo (anche perché l’ho sintetizzato prima).
Partiamo innanzitutto da quello che dice Estec all’inizio:

« Io sono orgoglioso di essere italiano, ma non voglio essere retorico. La mia domanda è più profonda: che cosa significa essere italiani? O meglio, che ruolo ha avuto la storia e la cultura romana nel nostro essere oggi italiani (cioè: unici, diversi da tutti)? E ancora creativi, accoglienti, aperti, umili (aperti ad imparare), individualisti, pionieri... e grandi cuochi di grande cucina?? E' innegabile che le lugubri cronache quotidiane diffondano nella società una sensazione di frustrazione e di inadeguatezza che mette a dura prova l'autostima collettiva. Questo dubbio, peraltro, è anch'esso una nostra peculiarità, visto che non potrebbe mai sfiorare né i cittadini delle altre grandi nazioni europee, né quelli degli stati minori di più recente costituzione. Ma anche questa stranezza ha un'origine antica. Come possiamo dunque tratteggiare la nostra identità nazionale? »

Che ruolo ha avuto la storia e la cultura romana nel nostro essere oggi italiani (cioè: unici, diversi da tutti)? Dipende da molti fattori, innanzitutto dalla parte di Italia che abbiamo deciso di prendere in esame, perché l’eredità romana (chiamiamola così, intendendo con essa le tradizioni e abitudini romane sopravvissute fino ad oggi) si è preservata in maniera diversa.

Prendiamo la Sicilia per esempio: era il pezzo della moderna Italia che all’epoca dell’Impero Romano era meno romanizzato (assieme alla Sardegna); dire che Siracusa era più vicina (ovviamente culturalmente) ad Atene che non a Roma forse è esagerato, ma comunque la Sicilia all’epoca di Roma aveva ancora una forte componente greca, a cui poi con la conquista araba si aggiungerà una forte componente araba.

All’epoca della conquista normanna queste due componenti (greca e araba) assieme superavano quella latina, e la sarà solo dopo un lungo processo durato secoli di colonizzazione da parte di coloni provenzali, lombardi, piemontesi e toscani, che in Sicilia l’elemento latino diventerà prevalente e quello arabo sparirà e quello greco sopravvivrà nel cognome Greco e nelle sue varianti.

Quindi in Sicilia possiamo affermare che la romanità (in questo caso linguistica) è stata importata dal continente, ma che contemporaneamente la Sicilia è stata uno degli ultimi bastioni della romanità in Italia, essendo uno degli ultimi possedimenti italiani dell’Impero Romano-bizantino assieme al Salento.

Comunque sì, in tutta Italia dalle Alpi a Lampedusa la romanità ha lasciato delle tracce, più o meno evidenti e/o trasformate a seconda della Storia della regione in questione.

Estec proseguendo la sua analisi identifica sei caratteristiche degli italiani:

Ma mi sembrano tutte cose soggettive e a dirla tutta abbastanza generiche, oltre che applicabili a tutti i popoli del mondo in vari momenti storici (Ad esempio Accoglienti ed aperti lo erano anche i prussiani all’epoca di Federico il Grande).

Dunque, cosa significa essere italiani?

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Quello di noi che più è andato vicino in modo completo ed esaustivo a rispondere a questa domanda è stato Bhrihskwobhloukstroy in questo suo intervento:

Il dato di partenza è che l’insieme “Italia” è costituito da individui – la cui diversità reciproca non è rilevante (tutti gli individui di un insieme sono distinti fra loro) – che però in comune fra tutti hanno solo, A PARTE CIÒ CHE DERIVA DALLO STATO (come la Cittadinanza &c.), caratteristiche comuni anche a molti E PIÙ NUMEROSI individui al di fuori dell’insieme. Esempio astratto: non posso chiamare “insieme degli individui blu” un insieme che contenga solo una minoranza degli individui blu (resta sempre un insieme, magari avrà altre caratteristiche che lo contraddistinguono, ma non può essere l’“insieme degli individui blu”, perché è sproporzionatamente incompleto).

Nel caso dell’Italia, i Cittadini Italiani – pur con tutte le reciproche differenze (che, ripeto, sono irrilevanti; noi cerchiamo le somiglianze) – hanno in comune solo ed esclusivamente caratteristiche che derivano dallo Stato. La Nazione in quanto Emanazione dello Stato nega la Libertà (non è detto che ciò sia sgradevole, ma resta pur sempre un’operazione violentemente autoritaria: stabilire prima ancora della nascita a quale insieme apparterrà un individuo, quando questa appartenenza non è fondata né sulla Natura né sulla volontà del diretto Interessato); per questo lo Stato cerca di fondare prima di sé stesso l’origine della Nazione, ma dal momento che lo Stato è dovuto a ragioni geopolitiche e militari del tutto svincolate dalla classificazione ‘scientifica’ delle Nazioni si tratta di un tentativo destinato al fallimento.

Fin qui solo parole; misuriamo i fatti. Le caratteristiche ‘naturali’ della Nazione sono indagate dalla Sociologia, ma erano già state riassunte dal Manzoni a proposito dell’Italia, definita «una d’arme, di lingua, d’altare | di memorie, di sangue, di cor» ossia (un territorio, un’area geografica) “unitaria/uniforme/omogenea sul piano militare, linguistico, religioso, storico, genetico, politico”: verifichiamole.

L’appartenenza militare e politica sono quelle squisitamente statali e ideologiche, quindi rientrano negli effetti dello Stato anziché nelle sue cause, se non per l’ovvio fatto che, prima della nascita di uno Stato, qualche Statista/Politico ne ha concepito il progetto. Che questo progetto non fosse condiviso non può essere mostrato dai Plebisciti ottocenteschi, nei quali il numero dei consensi (98%) era sinistramente identico alla percentuale degli Analfabeti (di solito si definiva “Maggioranza Bulgara” l’80%; al 90% era “Maggioranza Albanese”, qui siamo al 98%...); se si esaminano le opinioni politiche dell’Ottocento, c’erano Asburgici, Bonapartisti, Sabaudi, Neoguelfi, Mazziniani &c., ognuno col suo progetto e solo una parte (non la Maggioranza Assoluta) condivideva l’idea di uno Stato Italiano separato sia dall’Austria sia dalla Francia, quindi l’affermazione manzoniana è, su questo preciso punto, falsa: ma anche se fosse vera, la maggior parte di chi voleva uno Stato Italiano separato sia dall’Austria sia dalla Francia era fuori dallo Stato Italiano, quindi non può essere definita una caratteristica degli Italiani, per l’inaggirabile motivo che i Cittadini (in quel caso Sudditi) Italiani e i promotori del progetto geopolitico dell’Italia non coincidevano né dentro i confini del Regno d’Italia (dove esistevano gli Austriacanti e i “Franciosanti”) né al di fuori (molti dei promotori non erano in Italia, ma erano Decisori di altre Potenze), ossia le due categorie sono reciprocamente sfasate sia per eccesso sia per difetto (la condizione tipica di due criterî che non convergono). Lasciamo naturalmente stare l’aspetto militare, che non solo è cambiato nel tempo, ma oggi come oggi (dal 1948) vede l’Italia totalmente assorbita in una potentissima Alleanza (ineguale) Politico-Militare – la NATO – non certo identificabile con l’Italia stessa (com’è ovvio) e dove anzi (questo è il più) l’Italia rappresenta una parte decisamente piccola.

La Religione, anche se intesa tradizionalmente come adesione di massa a un’ideologia filosofico-politica (anziché più precisamente come insieme delle opinioni personali in materia di Cosmologia &c.), non ha mai identificato l’Italia – come invece, per esempio, lo Shintōismo (che pure non raggruppa tutti i Giapponesi) in Giappone – perché il Cattolicesimo Romano è sì maggioritario in Italia, ma molto più esteso fuori d’Italia (sarebbe come dire che l’Italia è identificata dalla presenza di individui dagli occhi scuri: sarà anche vero, ma anzitutto ci sono anche quelli con gli occhi chiari e soprattutto la maggioranza di quelli con gli occhi scuri non sono in Italia, quindi i due criterî – di nuovo – non sono fra loro compatibili). Si potrà discutere se il Cattolicesimo contribuisce a DESCRIVERE la maggioranza degli “Italiani” tradizionali (ma si noti che l’Italia è uno dei relativamente pochi Stati in cui lo stesso Cattolicesimo si distingue in due Riti, una differenziazione non da poco), ma certo non serve a individuarli, perché i Cattolici sono molti di più che i soli Italiani.

La Genetica (nel Passato chiamata “Razza”, nozione oggi troppo contraddittoria da usare; molto più obiettivo cercare la Parentela Genealogica, ossia materialmente le “famiglie” – in senso molto esteso – da cui sono costituiti i Cittadini Italiani), prima ancora delle grandi Migrazioni degli ultimi decenni, mostrava in Italia tre gruppi di Popolazione: uno presente da epoca più antica (quelli identificati dall’aplogruppo R1b del Cromosoma Y) e identico alla Germania Occidentale, Austria, Svizzera e Francia Orientale, un po’ più alla lontana col resto della Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, parte della Gran Bretagna &c.; un secondo relativamente più recente (I2a1), ma sempre paleolitico, solo in Sardegna, vicino ai Croati, Ungheresi, Rumeni (I2a2) e, più alla lontana, agli Scandinavi (I1); il resto di provenienza neolitica (7000-3500 a.C., quindi comunque ben prima di qualsiasi migrazione antica o tardoantica) e che comprende gli Aplogruppi J (comune con la maggior parte della Grecia e l’assoluta maggioranza della Turchia, oltre che del Vicino Oriente in generale), G (quello dell’Uomo di Similaun; oggi prevalente nel Caucaso) ed E VI 3 (prevalente in Albania e di origine negroafricana). Concretamente, dunque, gli Italiani sono una Maggioranza di Europei Centro-Occidentali, una cospicua Minoranza di Europei Sud-Orientali e in Sardegna un gruppo a sé vicino ai Danubiano-Carpatici e più lontanamente agli Scandinavi. È raro, in tutta Europa, trovare una tale differenziazione genetica in un solo territorio.

Non si possono quindi riconoscere, prima dell’esistenza dello Stato Italiano, “Italiani” sul piano razziale (o genetico), religioso, politico, tantomeno (ovviamente) militare (altrimenti non ci sarebbero mai state “Guerre d’Italia”, che invece ben sappiamo quanto siano state numerose). Esiste una Storia comune d’Italia CHE SIA SOLO o almeno principalmente D’ITALIA? No: qui basta far passare qualsiasi cronologia per rendersi conto che, nei secoli e nei millenni, in Italia si è svolta da un lato una parte importante della Storia Greca (ma anche Fenicia), dall’altro della Storia Celtica (a pieno titolo), oltre ai Popoli solo “d’Italia”, poi che l’Impero Romano non si è certo limitato alla sola Italia (né Roma – ovviamente nata in Italia – si è fermata a lungo allo stadio di possedere la sola Italia, anzi non vi è mai giunta, perché l’“unificazione” dell’Italia da parte di Roma è avvenuta quando Roma aveva già molte importanti conquiste al di fuori dell’Italia), poi ancora che i Regni Romano-Germanici da un lato e l’Impero Bizantino (nonché i Califfati Musulmani) hanno avuto una Storia inscindibilmente legata all’Italia (e anzi non hanno tralasciato – nel complesso – nessuna parte d’Italia), infine che le uniche parti d’Italia rimaste (quasi) sempre al di fuori dei Dominî Asburgici e Borbonici (entrambi estesi soprattutto al di fuori dell’Italia) sono quelle comprese nello Stato Pontificio (che comunque per metà della sua Storia è stato compreso nel Sacro Romano Impero), per non parlare della parentesi napoleonica. Come al solito: ogni parte d’Italia ha più in comune (anche come Storia) con parti – più grandi – al di fuori dell’Italia che col resto d’Italia e in ogni caso ciò che è comune a tutta l’Italia lo è a maggior ragione col resto d’Europa (specialmente Centrale e Occidentale, per molto tempo anche Sud-Orientale).

Tutto ciò è noto e risaputo, ma bisognava ripeterlo perché non ce ne si ricorda quando si dice che gli Italiani sono accomunati dalla Storia, dalla Religione, non si dice dalla Razza ma in compenso si dice “dalla mescolanza di sangue” (non è vero neanche questo: i Discendenti dei Greci e dei Celti sono ben riconoscibili geneticamente ancora oggi; sennò sarebbe come andare sul confine fra due Popolazioni, prenderne le parti sul confine fra le due, isolarle e dire «questa è una Popolazione che come caratteristica ha di essere mista», mentre in verità è solo e semplicemente costituita da due frammenti tolti ai vicini e uniti insieme).

Arriviamo finalmente alla Lingua. Brevissima premessa terminologica: quello che normalmente viene chiamato «dialetto» si definisce, tecnicamente, «basiletto» o «lingua bassa» («bassa» in riferimento alla formalità delle situazioni sociali in cui la si usa: intimità, litigio, vita di famiglia, quotidiana), mentre la cosiddetta «lingua» è «acroletto» o «lingua alta» (ossia soprattutto scritta, altrimenti comunque usata in situazioni formali). Trascuriamo pure le (Pen)isole Alloglotte (territorî cui si parla un basiletto del tutto diverso, come tedesco, sloveno, croato, albanese – ben 60 Comuni, quasi una Provincia! – o greco); i basiletti neolatini d’Italia (e anche in questo caso trascuriamo pure i Provenzali e Francoprovenzali del Sud e i Catalani del Centro di Alghero) si dividono, come abbiamo visto, in tre gruppi, uno sardo (solo in Sardegna Centrale e Meridionale), uno italoromanzo (nel Nord della Sardegna, anche in tutta la Corsica e poi in tutta la Penisola Appenninica a Sud della Linea Massa-Senigallia e fino a tutta la Sicilia) e uno romanzo occidentale (a Nord della Linea Massa-Senigallia) che non solo comprende tutto il resto (quindi il cosiddetto Nord; N.B. anche i Provenzali e Franco-Provenzali delle Alpi Occidentali!) ma anche pressoché tutta la Francia (tranne l’Alsazia-Lorena, le Fiandre Occidentali, la Bretagna, le parti del Paese Basco e la Corsica), la Svizzera Italiana, Ladino-Romancia e Francese o Romanda, la Vallonia in Belgio, tutta la Spagna (tranne il Paese Basco) e il Portogallo nonché l’America Latina (!).

Per quanto riguarda dunque le lingue parlate dal Popolo, l’unica varietà (il basiletto) per il 98% della Popolazione (gli Analfabeti, che non conoscevano l’italiano), l’Italia comprende sì quasi tutta la Nazione Italiana linguisticamente intesa (chiamiamola Italoromània per non fare equivoci), dalla Sicilia alla Toscana e alla Sardegna Settentrionale (le mancherebbe la Corsica), e pure tutto il resto della Sardegna ossia l’intera Nazione Sarda vera e propria (e fin qui niente di male, a parte la Corsica si potrebbe dire che l’Italia comprende le Nazioni Italiana e Sarda, non è detto che ogni Nazione debba avere il proprio Stato, possono benissimo darsi Stati Binazionali, sarebbe meglio dichiararlo esplicitamente, ma in fondo l’Italia è tecnicamente nata dall’espansione del Regno di Sardegna, anche se sappiamo benissimo che la Capitale di quest’ultimo non era in Sardegna ma a Torino); quel che non potrà mai quadrare è però che il resto, normalmente chiamato Nord Italia, è parte della stessa Nazione della Francia, della Spagna e del Portogallo, non dell’Italia. Intorno a questo non c’è niente da fare. Non è che sia un’eccezione relativamente piccola come la Corsica (che poi non è neanche tanto piccola e comunque basti provare a dirlo ai Corsi...), è il 40% della Popolazione dell’Italia (e non è neanche che sia una piccola parte della Romània Occidentale).

Il lombardo occidentale, per esempio (ma vale lo stesso dalla Liguria al Friuli, in quest’ultimo caso perfino con riconoscimento comune, mentre per il resto no), non è un dialetto dell’italiano. Il corso, paradossalmente, può essere considerato un dialetto del toscano, ma il milanese o il comasco no, sono dialetti del gruppo romanzo occidentale. Se misuriamo linguisticamente la distanza fra italiano, lombardo, spagnolo e francese (dove italiano e francese sono i due estremi opposti fra loro), l’italiano è più vicino allo spagnolo, lo spagnolo è più vicino all’italiano che al lombardo (quindi se lo spagnolo non è un dialetto dell’italiano – come insegano tutti i Docenti di Spagnolo – tantomeno il lombardo può essere un dialetto dell’italiano), ma appartiene cionondimeno allo stesso gruppo del lombardo e del francese; il lombardo è più vicino al francese che allo spagnolo (ma tutti e tre rientrano nello stesso gruppo). Graficamente: francese – lombardo – spagnolo – italiano. Questa si chiama Dialettometrica ed è una disciplina rigorosissima, basata su precisi conteggi linguistici (e nelle lingue si può raggiungere la precisione: per esempio, che «dog» significhi ‘cane’ in inglese non è un’opinione, è una verità inconfutabile; la Linguistica non è basata su opinioni, ma su fatti).

Per far stare il “Nord Italia” in Italia come Nazione bisognerebbe che l’Italia si unisse alla Francia, alla Spagna e al Portogallo (quindi anche a tutta l’America Latina): allora avremmo lo Stato delle Tre Nazioni, Italiana Sarda e Romanza Occidentale (una volta quest’ultima si chiamava Nazione Gallesca; la ritroveremo fra poco). Per riassumere, tutto il Nord Italia è come la Val d’Aosta: un pezzo di Francia (eccetera) nei confini italiani (poi per la precisione il valdostano non è neppure francese, è francoprovenzale, ma ancor meno si può dire che il piemontese sia italiano).

Ma allora perché nel Nord Italia si parlava, anche prima del 1859, l’italiano, almeno come acroletto (quindi da parte del 2% della Popolazione)? Il 2% non è molto (ed è pure condiviso dal francese, che gli Alfabetizzati conoscevano come l’italiano o, nel caso per esempio del Manzoni, meglio che l’italiano: lo ha scritto egli stesso), ma è ugualmente significativo, perché non si può certo dire che fosse conseguenza dell’ancora inesistente Regno Sabaudo d’Italia (né dell’Italia Napoleonica, perché tutte le zone annesse direttamente alla Francia potevano usare solo ed esclusivamente il francese).

Il motivo per cui il Nord Italia (chiamiamolo col suo nome: la Cisalpina e la Liguria) aveva adottato come acroletto il fiorentino non tanto a preferenza del francese e del castigliano (perché essi pure, fino al XVIII-XIX secolo, erano altrettanto conosciuti), quanto OLTRE a questi (è tale aggiunta che costituisce la specificità della Cisalpina e della Liguria rispetto al resto della Romània Occidentale), è che faceva parte del Sacro Romano Impero o dei Dominî Asburgici, dove l’italiano era favorito rispetto al francese (e dopo il XVIII secolo anche rispetto allo spagnolo) per ragioni politiche. Detto chiaramente: l’italiano ha la diffusione che ha a motivo degli Asburgo e del Sacro Romano Impero. Ripeto sempre che gli Asburgo usavano, fino a Maria Teresa, l’italiano come lingua di famiglia (i Savoia no!); il più grande Sovrano di lingua italiana e che perlomeno ha iniziato a governare in una città oggi in Italia (Milano) è l’Imperatore Carlo VI d’Asburgo. Il Regno di Napoli ha cominciato ad adottare l’italiano fra gli Angiò (fino ai quali si usava il francese, a parte la parentesi sveva) e gli Aragonesi (che hanno introdotto il catalano), poi è passato al castigliano (con Carlo V e gli Asburgo di Spagna) e solo nel XVIII (insieme alla Sicilia) ha adottato definitivamente l’italiano. La Sardegna ha conservato il castigliano (anche qui sostituitosi al catalano) fino al XIX secolo (ufficialmente fino al XVIII). Lo Stato Pontificio non aveva propriamente l’italiano, ma usava il latino come lingua scritta e i basiletti locali (comunque molto vicini al toscano, almeno a Sud della Linea Massa-Senigallia). Venezia usava il veneziano; ha cominciato ad adottare l’italiano col Bembo (XVI secolo), ma quasi solo come lingua scritta (si è diffusa di più con gli Austriaci, dopo il 1797/1814). Il resto dell’attuale Italia era parte del Sacro Romano Impero fino alla fine (1797 e 1799-1800), in particolare costituiva il Regno Longobardo della Nazione Gallesca (dove «Gallesca» significa “Cisalpino-Franco-Ispano-Portoghese”, ma veniva classicisticamente tradotto con “Italica”, così come al posto di «Tedesca» si diceva «Germanica») che aveva come Sovrano il Regno di Germania (il Regno, come Persona Giuridica), rappresentato dal Re di Germania, che era al contempo Sacro Romano Imperatore; l’Impero si chiamava ufficialmente «Sacro Romano Impero della Nazione Germanica e Italica (= Tedesca e Gallesca, in tedesco «Teutscher und Welscher Nation», dove si noti che «Nation» è singolare, quindi inequivocabilmente vuol dire che si intendeva che esistesse un’unica Nazione Tedesco-Gallesca detta «Germanica e Italica»), il che fra l’altro ci ricorda che l’Italia non solo è esistita come Regno fin dai Longobardi (568 d.C.), ma che per mille anni esatti (800-1800) ha avuto un Impero Nazionale condiviso con la Germania.

Certo, ovviamente si può controbattere che, come oggi non è vero quando si dice che l’Italia è un’unica Nazione, a maggior ragione nei mille anni 800-1800 la presunta Nazione «Germanica e Italica» non era un’unica Nazione, però – a parte il fatto che, come oggi riconosciamo tutti che lo Stato si è fabbricato (con la violenza) la propria Nazione Italiana, così tanto più ha fatto (magari con meno violenza) il Sacro Romano Impero (che si considerava semplicemente la continuazione dell’Impero Romano: se chiedessimo non solo a Dante, ma a Cristoforo Colombo, Leonardo, Machiavelli, Galileo quale fosse il loro Stato risponderebbero anzitutto «l’Impero Romano») – non bisogna dimenticare un fatto imbarazzante: oggi il Nazionalismo Italiano rivendica tutt’al più Malta, la Corsica, Nizza, la Savoia, l’Istria e la Dalmazia, qualcuno la Svizzera Italiana (o più precisamente Lombarda), ma il Sacro Romano Impero si considerava (in quanto Impero Romano) davvero decurtato illegalmente della Francia e dei Paesi Tedeschi (che, fino al XV secolo, comprendevano non solo la Scandinavia – che effettivamente anche oggi, insieme all’Inghilterra e alla Scozia, riconosciamo come germanica, benché non specificamente tedesca – ma anche la Boemia, Polonia, Lituania, Russia, Ungheria e Croazia) e gli Asburgo (la più lunga Dinastia di Imperatori) anche della Spagna (comprese Sardegna e Due Sicilie) e del Portogallo (con i relativi Imperi Iberoamericani): quindi il progetto geopolitico non era incoerente come quello dell’Italia del XX secolo, ma coerentemente cercava l’Unità della Nazione Germanica e Italica nel senso di “Tedesca (come allora intesa) e Gallesca (= Romanza Occidentale)”.

Perché nel Sacro Romano Impero della Nazione Germanica e Italica si è scelto il fiorentino come lingua ufficiosa (quella ufficiale era il latino, come in Polonia, in Ungheria fino al XIX secolo &c.) del Regno Longobardo della Nazione Gallesca (o, come era chiamato informalmente, Regno d’Italia)? La questione si è posta al culmine della potenza dell’Impero, con gli Svevi (in particolare Federico II, che coerentemente risiedeva a Palermo e, indifferentemente, in Germania): i tre principali candidati erano i volgari delle massime Città Imperiali (più ricche e potenti), Milano Genova e Firenze (Venezia ha fatto parte del Regno d’Italia solo all’inizio del IX secolo d.C.; ricordiamoci che, per la Storiografia Veneziana, Venezia non faceva parte dell’Impero Romano neppure nell’Antichità! Chi difendeva la verità storica erano gli scritti ispanofili come il famoso Squitinio del XVII secolo). Fra antico milanese, genovese e fiorentino, era quest’ultimo il più vicino alla lingua veicolare interregionale che fino ad allora (dai tempi dell’Impero Romano d’Occidente) era rimasta in uso, il cosiddetto «Volgare Longobardo» (nome molto fuorviante, dovuto al fatto che lo si usava nel Regno dei Longobardi, mentre nei Dominî Bizantini, territorialmente separati fra loro, bastavano il latino dell’Impero da un lato e il volgare locale dall’altro), che noi ben conosciamo dai famosi Placiti Cassinesi («Sao ko kelle terre...»: non è antico campano, perché in campano “so” si dice «saccio» dal latino «sapiō», non si è mai usato «sao» in dialetto).

Dunque, non solo la diffusione dell’italiano come acroletto è dovuta al Sacro Romano Impero, ma la stessa scelta dell’italiano è stata fatta e ha avuto un senso solo nel contesto del Regno d’Italia (o Longobardo) nel Sacro Romano Impero della Nazione Germanica e Italica. In Spagna e in Francia, il castigliano (fino al XVIII secolo anche il catalano) e il francese (fino al XIV secolo anche il provenzale) si sono imposti a spese del volgare latino poi chiamato «Volgare Longobardo» perché la diversità linguistica interna era relativamente minore che in Italia e quindi non c’era bisogno di un volgare interregionale, bastava già il volgare illustre locale (appunto castigliano, catalano, provenzale, francese; in Portogallo il portoghese), mentre in Italia, dove come ormai sappiamo confinano ben tre gruppi neolatini (romanzo occidentale, italoromanzo, sardo), bisognava mantenere il «Volgare Longobardo» che altro non era se non il latino interregionale dell’Impero d’Occidente (come l’Impero d’Occidente alla fine si è ridotto all’Italia di Romolo Augustolo, poi più o meno coincidente – al prezzo di ulteriori perdite – con l’Italia Longobarda, così il latino dell’Impero d’Occidente si è ridotto a lingua interregionale del solo Regno dei Longobardi e quindi poi del Regno d’Italia nel Sacro Romano Impero).

Senza il Sacro Romano Impero, la Cisalpina e la Liguria sarebbero confluite nell’uso del francese come acroletto (così è avvenuto perfino nelle parti occidentali del Regno medioevale e moderno di Germania, oggi la Francia Orientale dalla Provenza alla Lorena più la Vallonia in Belgio e la Svizzera Francese o Romanda), la Sardegna sicuramente e la Sicilia e Napoli molto probabilmente avrebbero conservato il castigliano (l’unica alternativa per le Due Sicilie sarebbe stata lo stesso francese); perfino in Toscana, il vernacolo sarebbe semplicemente un dialetto, come oggi è il corso (molto simile al toscano) in Corsica accanto all’acroletto francese. Venezia avrebbe conservato il veneziano oppure adottato (come Ginevra) il francese (cfr. gli Autori Franco-Veneti medioevali, Veneti – all’epoca Lombardi – che scrivevano in francese); nello Stato Pontificio si sarebbe continuato a usare il latino e, informalmente, i basiletti italoromanzi centro-meridionali (alla caduta del Papato il latino sarebbe stato sostituito dal romanesco, che a sua volta è in realtà fiorentino importato a Roma dopo il Sacco del 1527; in precedenza, l’antico romanesco era una specie di campano, come si capisce dal nome «Cola di Rienzo» dove «Rienzo» = “Renzo”, con dittongazione di -e- in -ie- tipicamente napoletana).

Il riconoscimento internazionale delle conquiste violente da parte dei Savoia nel 1859-1860 è stato conseguito grazie a un’interpretazione (che, a un esame più approfondito, risulta scorretta) di un Diploma Imperiale del XIV secolo: perfino la giustificazione giuridica dello Stato Italiano è dovuta al Sacro Romano Impero (sia pure con un’interpretazione sbilanciata a favore dei Savoia e contro gli Asburgo).

Non è rimasto più niente dell’Italia Manzoniana:

«una d’arme» è la NATO,
«di lingua» l’intera Romània (altrimenti, alla prima suddivisione della Romània è l’Italia a spaccarsi in tre) come basiletti e il Sacro Romano Impero (in particolare il Regno Longobardo della Nazione Gallesca) come acroletti,
«d’altare» il Cattolicesimo Romano (proprio in Italia diviso fra Rito Romano – quasi tutto il Mondo tranne Milano – e Ambrosiano),
«di memorie» l’Europa Centrale e Occidentale (Austria-Germania, Francia, Spagna),
«di sangue» l’Europa (da un lato l’Europa Centro-Occidentale, dall’altro l’Europa Sud-Orientale),
«di cor» è sempre stata divisa fra Rōmānī (Penisola, Emilia-Romagna) e Peregrīnī (Puglia, Toscana, poi Liguria e resto della Cisalpina, fino all’ultimo le Alpi e le Isole Maggiori) poi fra Chrīstiānī (Romani) e Pāgānī (Germani), poi fra Cattolici (Bizantini) e Ariani (Longobardi), poi fra Pontifìci e Imperiali, poi fra Guelfi e Ghibellini, Franciosanti e Austriacanti, Occidentalisti e Triplicisti &c., dopo la Seconda Guerra Mondiale fra Atlantisti ed Eurasisti, oggi fra Sovranisti (Filoamericani e Germanofobi) ed Europeisti (Germanofili e tendenzialmente Eurasisti).

Di comune a tutti gli Italiani e soltanto a loro c’è ‘solo’ tutto ciò che promana dallo Stato; la questione politica sono quindi i confini e la Capitale. Sovranisti sono in realtà tutti: alcuni – quelli che si chiamano così – vogliono l’Italia nei confini attuali, con Capitale Roma e in rapporto diretto con Washington (finché c’è un ‘Impero’ Americano l’Italia è probabilmente destinata a farne comunque parte), i loro Avversarî preferiscono uno Stato più vasto dell’Italia e con Capitale Bruxelles (o Berlino) invece che Roma, più o meno come ai tempi del Sacro Romano Impero e degli Asburgo, ma anche in questo caso alla fine Alleato di Minoranza degli Stati Uniti d’America, con la differenza che la volontà di Washington passerebbe per la mediazione di Berlino/Bruxelles invece che di Roma. Alla fine la dipendenza da Washington – nel bene e nel male – non cambia: varia solo se essere un grosso Stato con Capitale Bruxelles/Berlino o un piccolo Stato con Capitale Roma. Ogni Indipendenza è al contempo, se vista dalla parte opposta, una Secessione; quindi, a parità di dipendenza (gradita o no) dagli Stati Uniti e dalla NATO, l’Italia con Roma Capitale si configura come Secessione dall’Europa. Quale Stato c’era prima, l’Italia di Roma o l’Europa del Sacro Romano Impero e, prima, dei Celti? Ognuno sceglie la risposta che corrisponde ai suoi progetti (geo)politici, purtroppo dimenticando che, prima dei Latini e dei Germani, dei Greci e dei Celti, tutti e quattro – insieme a tanti altri – erano Indoeuropei e lo sono stati per la maggior parte della (Prei)storia (quaranta millenni, contro i due dall’antica Roma a oggi): è paradossale che proprio la più sanguinaria delle Ideologie, il Nazismo, ci debba ricordare questa verità di maggior Umanità...

Bhrihskwobhloukstroy

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Alessio Mammarella aggiunge:

Sulla completissima spiegazione di Bhrihskwobhloukstroy poco da dire, certamente l'italianità non può essere spiegata efficacemente da fattori etico-linguistici oppure storici. C'è di mezzo la politica, ma allora possiamo parlare di "rivoluzione"? Cerco di chiarire il concetto: molti stati odierni sono stati fondati in tempi relativamente recenti, attraverso una rivoluzione pacifica (ad esempio, le colonie che hanno ottenuto l'indipendenza per vie legali) oppure sanguinosa (pensiamo all'Algeria o alla Croazia). Ecco in tutti quei paesi, al di là dei fattori etnico-linguistici e storici che dovremmo studiare caso per caso, sono accomunati dal fenomeno di una rivoluzione che è stata fondativa rispetto alle istituzioni locali e "di rottura" per quanto riguarda la memoria collettiva. A livello di memoria collettiva il paese che ha vissuto una rivoluzione considera l'epoca pre-rivoluzionaria come un periodo di divisione (se il paese era diviso in entità più piccole) oppure di dominazione straniera (pensiamo all'Ucraina) o ancora di oscurità e declino (Turchia ottomana). L'Italia potremmo comprenderla in questa casistica?

In Italia ne abbiamo avute addirittura due: il Risorgimento (che forse fu una rivoluzione incompleta perché non si fondarono istituzioni e leggi completamente nuove, ma ci fu solo una estensione di quelle del Regno di Sardegna); e la Resistenza. Ecco, forse un problema che esiste in Italia è che queste due rivoluzioni per quanto messe in relazione sui libri di storia (definizione della Resistenza come "Secondo Risorgimento") non sembrano mettere d'accordo gli italiani, spesso le due rivoluzioni vengono interpretate come se fossero l'una in contraddizione all'altra e fazioni politiche opposte ne strumentalizzano i simboli e la memoria.

Tema complesso, certamente...

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Tommaso Mazzoni gli replica:

Il problema del Risorgimento e della Resistenza è che entrambi i momenti non hanno visto nessuna forma di pacificazione nazionale; Il Risorgimento ha visto i Cattolici rimanere corpo estraneo per decadi la Resistenza ha visto i Comunisti esclusi a priori dal governo nazionale e il paese non ha mai fatto i conti con il Fascismo. Ora, nessun paese è esente da conflitti e nessuna memoria è totalmente condivisa, i nodi vengono al pettine prima o poi, ma noi abbiamo cominciato a tirarci i capelli molto prima. In Sudafrica c'è stato il processo di pacificazione nazionale, anche se adesso ci sono delle discutibili decisioni che stanno emarginando e discriminando la popolazione bianca. In Italia no.

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MorteBianca obietta:

Alessio dice una cosa parecchio interessante, facendo mente locale moltissime identità nazionali sono nate con rivoluzioni. Non per forza violente: il Giappone Nazionale nasce con la Restaurazione Meji, la Francia nasce con la Rivoluzione Francese. Gli USA nascono sia con la guerra d'indipendenza, sia con la Guerra Civile (questi due eventi solidificano la loro identità come nazione, e non come pugno di stati coalizzati, e qua faccio un parallelismo proprio con gli esempi anti-austriaci di Alessio).
Penso che siamo "su qualcosa". Un punto "storico-rivoluzionario" potrebbe essere un buon determinante per la nascita di una nazione. E quindi di cosa ne faccia parte.
La Polonia ha preso parte alla rivoluzione russa? No. Ed infatti non è Russia.

Passiamo all'intervento di Tommaso. La resistenza è un fenomeno rivoluzionario a partecipazione comunista, il cui esito è stata la Costituzione (di matrice cattolica e comunista tra le altre cose), quindi la Sintesi c'è stata, non lo si può negare. La sintesi deve essere perenne per valere? Si può argomentare allora che nessun paese esista, perché in tutti i paesi almeno una volta in un qualche periodo qualche fazione civile è esclusa.
Idem per il Risorgimento: non ci sono stati movimenti politici cattolici, ma questo significa che l'identità cattolica è stata estranea al risorgimento? Giammai.
Tra Neoguelfismo, il ruolo del Papato nei primi moti liberali, le formazioni ed ispirazioni cattoliche in vari partiti. Diceva Croce "Non possiamo non dirci cristiani". L'anima cattolica nel bene (Gramsci) e nel malissimo (Salvini) è sempre stata partecipe dello spirito politico italiano. Non è che prima dei Patti Lateranensi il Vaticano fosse ininfluente.

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Tommaso insiste:

Intendiamoci, non voglio dire che non c'è stata una sintesi, ma quello che intendo è che, in qualche modo c'è sempre stata una ferita non sanata che ha sempre suppurato, impedendo la costruzione di una memoria pienamente condivisa; certo che i Cattolici contano anche prima dei Patti lateranensi; ma son una situazione anomala, che ferisce la vita politica dello Stato Italiano, e rende la memoria condivisa solo parzialmente; stessa cosa per la resistenza, il clima di sospetto della Guerra Fredda in cui esiste la convinzione (almeno in buona parte sbagliata, intendiamoci) ma diffusa nel paese, che dei Comunisti non ci si possa fidare almeno a livello nazionale, unito al mancato processo di chiarificazione nazionale sul fascismo, con il quale ripeto, non si è fatto i conti (e ora lo si vede) ha creato quella suppurazione della ferita che ha impedito che quella della Resistenza diventasse memoria condivisa. In sintesi, e scusate la ripetizione, la sintesi c'è stata ma sempre parziale. Per esempio, negli Stati Uniti la ferita della Guerra Civile è tornata a fare male di recente, ma aveva avuto una sua cicatrizzazione, e a sua volta la Guerra Civile è il frutto delle ferite suppuranti della Guerra d'Indipendenza, che pure aveva avuto la sua sintesi nella nascita deli Stati Uniti. Tutti i processi di creazione nazionale che hanno una componente violenta portano con se alcune problematiche se queste problematiche sono affrontate, la ferita guarisce,può ricomincare a fare male se stuzzicata, ma è guarita; se invece le problematiche sono trscurate, le ferite suppurano, e questo causerà nuove crisi...

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MorteBianca conferma:

Ogni rivoluzione è sia ferita, sia coagulazione.
Per unire bisogna separare.

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Restituiamo allora la parola a Bhrihskwobhloukstroy:

Tutto ciò, fra l’altro, riguarda la sola Parte vincente; nel Risorgimento e nella Resistenza c’è stata anche una Parte perdente, che in parte coincide ed è stata non solo espunta dalla Nazione, ma dallo stesso riconoscimento di esistenza. La “Riconciliazione Nazionale” ha riguardato solo quella parte di Fascisti che si richiamavano comunque al Risorgimento; gli Austriacanti (che dei Nazisti erano stati fra le prime vittime) ne rimanevano esclusi se non nel caso che rinnegassero sé stessi come Nazione.

In pratica, quindi, il Risorgimento è stato la Vittoria della Parte (sconfitta a San Martino) alleata della Francia (vincitrice a Solferino) e del Regno Unito e la Resistenza quella della Parte alleata agli Anglo(-Franco)-Americani (senza i quali non avrebbe resistito molti anni; questa è una considerazione militare del tutto asettica e non contiene alcun retropensiero politico), senonché la Parte sconfitta (i Ghibellini Austriacanti) non ha avuto neppure le Riserve degli Amerindî o i Bantustān, ha fatto la fine dei Nestoriani in Asia quando non quella dei Gebusei, Gergesei &c. in Palestina.

Dunque aggiungerei che, se una Nazione si fonda su un Mito originario, spesso violento (in questo caso il Risorgimento + la Resistenza), l’altra Parte finisce – quando va bene – nell’Etnocidio (annientamento della Cultura). Nella Storiografia Ucronica dell’ucronia senza Federico II. avevo scritto che Dante, Petrarca, Boccaccio, Leonardo, Michelangelo, Machiavelli, Lutero, Zwingli, Keplero, Galileo, Leibniz, Bach, Mozart, Kant, Goethe, Schiller, Beethoven, Hegel, Schopenhauer, Manzoni, Marx, Engels, Nietzsche, Freud sono stati genî della stessa Nazione (il Presidente Supremo di Marx, Engels e Nietzsche era il Sovrano di Manzoni e Freud, ossia Francesco Giuseppe).

Penso che questo illustri abbondantemente la parte di «separazione» menzionata da Valerio, anche se capisco bene che nel suo messaggio si fa riferimento (come ho specificato all’inizio, a scanso di equivoci) a due componenti della medesima Parte (quella vincente), tant’è vero che invece in quest’altra più grande separazione – quella entro la preesistente Nazione Germanica e Italica – non c’è stata alcuna ulteriori unificazione: la (duplice) Rivoluzione ha diviso una Nazione e poi ha ricoagulato il moncone tagliato, espellendo come uno spurgo ciò che non vi rientrava.

Per me, «né Patria né Padrone» significa Sussidiarietà dal Basso per quanto concerne la seconda negazione e Patriottismo dell’Universo – in pratica del Mondo – quanto alla prima (a livello umano, l’Internazionalismo, ovviamente non inteso come quello dei Gerarchi); dunque, se dovessi muovere una contestazione alla (storicamente reale) Nazione Tedesca e Gallesca, sarebbe nella prospettiva di estenderla casomai all’Europa Romano-Germanica, di conseguenza ancor più vastamente all’Indoeuropa, dopodiché all’Eurasia e infine al Globo, mentre le Grandi Rivoluzioni di cui stiamo discutendo sono andate esattamente nella direzione opposta (e questo è oggettivo, non c’è controargomentazione che tenga).

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Interviene ancora MorteBianca:

Dico la mia sulla questione, commentando di punto in punto ciò che condivido e ciò che sento di interpretare in maniera diversa. Io avevo già espresso l’idea del danno enorme che ha prodotto l’idea di Stato-Nazione, nel fondere lo Stato (Strumento politico pratico) e nazione (unità culturale). Uno Stato può comprendere più nazioni (o neanche una al suo interno), Una nazione può risiedere in più stati (Tribù Africane, Curdi) o essere posta a capo di uno stato multi-nazionale (Sparta era questo, i nobili spartano erano tecnicamente gli “Unici” veri spartani) e che vedere il pianeta come una sfumatura infinita di grigi sia profondamente sbagliato, dove ogni villaggio è quasi identico a quello a destra e quello a sinistra, e le differenze si notano solo su lunghissime distanze, rendendo ogni demarcazione impossibile: nella realtà invece abbiamo salti molto “ripidi” e trasformazioni radicali in certe zone, e in altre no, permettendoci di formare degli Insiemi abbastanza definiti da essere funzionali. Il mondo non è equamente distribuito. Dunque adesso esprimerò i punti che oggi caratterizzano maggiormente gli italiani: io da Estec prendo solo queste caratteristiche:

-Grandi artisti: questa è stata una costante nel passato e nel presente. Importantissimi artisti sono stati italiani, in ogni campo dal Cinema alla Letteratura, la Filosofia, la pittura, la scultura e l’architettura. Siamo ancora adesso regnanti in questo campo, ricordiamo che il monopolio mondiale dell’ottica ce l’ha un’azienda italiana, la Luxotica, e ricordiamo i brand Armani. Quando si parla di Made in Italy, nel 70% dei casi si parla di vestiti o comunque stile. Abbiamo da tempo perso primati di natura scientifica, ma in Filosofia rimaniamo estremamente rilevanti (cercate le pagine Wiki nelle varie lingue dei filosofi: dopo quella inglese, la pagina italiana è quasi sempre la più approfondita, merito della cultura Classica, si veda il mio video sul classico).

-Ottima Cucina: Italia, pizza spaghetti mandolino mafia Colosseo. E’ un po’ uno stereotipo, ma come ho detto tante volte la cucina italiana è la più sana del mondo insieme a quella giapponese (che è attualmente identica come composizione: tanto pesce, poca carne bianca, pochissima carne rossa, frutta e verdura, commistione di crudo e cotto). I dolci italiani sono estremamente ben curati (si pensi allo stradominio della Ferrero). La versione italiana della Pasta è la più famosa al mondo, e la Pizza è il cibo universalmente più apprezzato. Esistono diete sane ma disgustose, esistono diete saporite ma insalubri. L’Italia riesce a primeggiare in entrambe le cose.

-Cosmopolitismo: gli Italiani sono storicamente stati viaggiatori-esploratori (Vespucci, Colombo, Polo, MorteBianca) ed emigranti (si pensi alle minoranze italiane negli Stati Uniti, Argentina, Africa, Cina, Russia, Regno Unito, Svizzera, le quattro potenze mercantili) e sono stati al tempo stesso dominati da diversi popoli (Galli, Romani, Arabi, Catalani, Spagnoli, Francesi, Austriaci, Tedeschi, Greci) e hanno subito importanti immigrazioni (Slavi di ogni tipo). Questo ha reso la cultura italiana estremamente aperta e multiculturale.

-Provincialismo: può sembrare una contraddizione, e invece è una diretta conseguenza del punto precedente: gli Italiani sono bravissimi ad integrarsi con gli altri, non tra di loro. Siamo stati a lungo dominati da altri popoli quindi abbiamo sviluppato un senso di de-responsabilizzazione. Tanto ci pensano gli austriaci, i francesi, i normanni, gli spagnoli. Tanto ci pensa la nobiltà, il Re, tanto ci pensa il Duce (e la tendenza degli italiani a cadere per l’uomo forte). Questo fenomeno spiega l’enorme livello di corruzione politica, di elitarismo della finanza, di potere mafioso indiscusso. E spiega anche la difficoltà della nascita di una identità culturale unificata. Una zona era austriaca, una zona francese, una spagnola. In Italia esistono rivalità Nord-Sud, Nord-Est e Nord-Ovest, esistono rivalità tra le regioni (Veneto-Friuli), esistono rivalità tra province (Catania-Palermo), esistono rivalità tra città della stessa provincia. Nella mia città ci sono rivalità persino tra QUARTIERI. Una cosa che troverei ammissibile a Los Angeles, non in Italia. E questo permette di spiegare anche la buona dose di razzismo recente.

Ora, stante che definire lo Stato Italiano è facilissimo (basta indicarlo), definire la Nazione Italiana è ben più difficile. Io qua però ho visto un po’ di semplificazione nelle obiezioni presentate (non me ne voglia l’autore ma dovrò storpiarlo) perché il chiaro intento della frase Manzoniana era che l’Italia è definita come quei fattori MESSI INSIEME. Ben poco senso ha prenderli singolarmente, dire “Non si applicano solo agli italiani” e dire “bene quindi chiusa la questione, non so cosa sia un italiano”. Perché facendo questo ragionamento dimentichiamo la più basilare logica aristotelica ed insiemistica. Chi è Tommaso Mazzoni? Un essere umano di cittadinanza italiana cattolico e monarchico con questo gene qua.

Eh ma esistono altri umani non Mazzoni. Esistono italiani non umani, esistono cattolici non italiani. Allora Tommaso Mazzoni non è definibile. No, è che se li metti insieme il pool di enti a cui puoi riferirti diventa uno solo.

Quindi se noi prendiamo la definizione Manzoniana di Italia (NAZIONE) come definita da unità di Armi, Lingua, Altare, Memorie, Sangue e Cuore, e traduciamo come quella nazione unita militarmente, linguisticamente, religiosamente, culturalmente, geneticamente e come volountas hegeliana, otteniamo un insieme che di certo non includerà gli Aztechi.

Dunque, Militarmente siamo d’accordo che è qualcosa di definito dallo stato, quindi poco utile (lo Stato può non riunire tutta una nazione, o includerne altre), anche se sarebbe sciocco dire che del moto militare italiano se ne sia occupato solo lo stato italiano. Non solo perché gli italiani hanno banalmente servito sotto altre nazioni, ma in un senso più profondo: ci sono stati moti spontanei militari da parte di italiani che sono stati spontanei (il che non significa scoordinati. Ogni movimenti ha una sua direzione, influenzabile o meno). Quando gli italiani sono insorti nel risorgimento c’era il popolino e c’erano le elites, non c’erano entità statali a comandarglielo. Nel Risorgimento di fatto si è sollevato militarmente un popolo. Non tutto, certo, ma in Guerra non conta la democrazia. A vincere la guerra è chi vince la guerra, non chi aveva più supporto popolare. Possiamo quindi dire che l’Italia ha un’unità d’armi? Sì. Sia nel senso di Stato, sia nel senso che storicamente c’è stata una sollevazione diffusa (tecnicamente nessuna regione attualmente in Italia non ha partecipato al risorgimento).

Religiosamente c’è il Cattolicesimo Romano. Come abbiamo detto, esiste anche fuori d’italia? Sicuro. Ma i cattolici argentini non hanno cultura italiana e non si sono sollevati en masse nel risorgimento e così via. Esistono italiani non cattolici? Senza dubbio, la definizione di Nazione così come di Etnia non è mai un assoluto, non si ragiona per 100%. Quindi se noi identifichiamo quei cattolici con certe caratteristiche, otteniamo la definizione di Italiano. Quindi anche qua andiamo bene.

Passiamo al prossimo punto, ossia la Lingua. Questa può essere intesa in due modi: la lingua attualmente parlata ed ufficiale o quella/e storicamente parlata/e. Nel primo senso la questione ha già una risposta chiara (Italiano), quindi sì. Ma non è sempre stato così, andiamo quindi alla storia. In Italia si è detto che ci sono stati tre gruppi: quello Sardo, quello italo-romanzo (Sud), quello romanzo-occidentale (Nord, condiviso con Tedeschi e francesi). E’ sicuramente vero quindi che un membro del primo gruppo è più vicino ad un non “italiano” che non ad un italiano dell’altro gruppo, linguisticamente, ma questa analisi deve non solo essere integrata con i dati che abbiamo detto prima (persone che parlano quelle lingue che però sono anche a stragrande maggioranza cattolica, e già esclusi un buon numero di germanici ad esempio, e che hanno quel tipo di genetica, e ne escludi altri), ma bisogna anche contestualizzare tali scelte linguistiche, non analizzarle nel vuoto. Nessuno stato nasce dal nulla (neanche quelli ribelli), esiste una genealogia burocratica. Nessuna nazione è esente da influenze statali (e viceversa). Analizzare la storia politica ci insegna anche ad inserire le lingue nel giusto frame di competenza. Perché è stato scelto l’Italiano moderno, derivato dal fiorentino? A caso? No. Il motivo è che la cosa più simile ad uno stato italiano era il Regnum Italiae (Longobardia). In quel paese non si impose il tedesco (nonostante la vicinanza, ovvia, linguisticamente) ma si voleva imporre un dialetto locale, ragionevolmente diffuso (ragioni demografiche). Le tre maggiori città erano Genova, Milano, Venezia e Firenze. Venezia non faceva parte dell’Impero, restano dunque tre dialetti, e tra questi il Fiorentino venne scelto perché era il più vicino al dialetto longobardo volgare utilizzato interregionalmente. Questo è il punto. Dire “esistevano tante lingue distanti, fine della discussione l’Italia non esiste” non basta. Perché esistevano tante lingue sì, ma nel momento in cui ne nasce una che viene usata come lingua franca, ecco che si crea un’identità comune. Sine dubio Francia e Inghilterra sono vicine, ma per parecchi motivi il Canada, pur essendo molto lontano, è più vicino causa quella Lingua franca inglese rispetto alla Francia. Quindi l’esistenza di quel dialetto, quell’unico dialetto così usato tra gli italiani (non così tanto tra i francesi), tanto da essere comprensibile tra italo-romanzi e romanzi-occidentali (ma non tra romanzi occidentali molto più in là) è uno dei collanti che ci permette di unire e delimitare, da un lato e dall’altro. Quindi sì, in Italia non c’è la stessa unità linguistica che c’è in Francia, ma questo non basta a dire che non vi fosse una coesione linguistica superiore di quella che c’è tra, mettiamo, India e Cina.

Passiamo alla Genetica. In Italia sono presenti tre gruppi: uno al solito “tedesco”, uno Sardo (Danubiano-Carpatico) e uno da uomo (di razza bianca caucasica e pelato). Ora, di nuovo, usando un solo criterio si direbbe che l’Italia non deve esistere….e si direbbe che Hitler tanto torto non aveva. Esistono diverse teorie su come fondare la cittadinanza: Ius Sanguinis (criterio etnico. A sua volta divisibile per gradi di supposita purezza: è italiano il partner? Il figlio non adottato? Il figlio di una unione non regolare? E se l’unione irregolare fosse nei nonni? Nei bisnonni? Quanta purezza serve? La razza è dominante o recessiva?). Secondo questa concezione è italiano solo colui che è figlio di italiano. Tesi che ha qualche vantaggio (il sangue è il legame più forte), ma parecchi svantaggi (siamo al paradosso che è italiano un discendente lontanissimo da italiani in Argentina, ma non è italiano qualcuno che vive qua da generazioni, ma non ci è “nato”), ed ultimamente contraddittoria (siamo tutti migranti. L’italia non è stata “creata” per un popolo, era una zolla di terra su cui scimmie africane hanno messo piede, poi altre scimmie sempre africane si sono mescolate, e poi la mescolanza ha continuato in eterno). Poi c’è lo Ius Culturae (criterio intellettuale. E’ italiano chi parla la lingua e conosce la cultura. Ha i suoi vantaggi in quanto permette una giusta plasticità ed una selettività per i migliori. Ha lo svantaggio che tecnicamente nessun minorenne è italiano, nessun malato di mente, parecchi ignoranti, tutti gli elettori di Salvini ed invece uno studioso di Oxford che magari l’Italia la odia però la conosce benissimo sarebbe suo malgrado italiano). E poi c’è lo Ius Innominabile. Criterio geografico. Chi nasce qua è italiano. Ha il vantaggio di evitare situazioni umanitariamente disastrose, e di rendere ufficiale ciò che è ufficioso (se qualcuno vive qua da tutta la vita, parla la lingua, ha le sue radici socio-economiche, lavora qua e paga le tasse e rispetta le leggi, è italiano), ha lo svantaggio di creare paradossi (se sei in viaggio e c’è un incidente non sarai mai italiano in caso di parto fuori. Di contro si rischia di creare turismo immigrazionale). La soluzione? Mescolare i tre criteri. La cittadinanza deve essere di sangue ET di cultura ET di geografia. In questo modo di evitano ingiuste esclusioni (figlio di italiani non nato in italia, persona più integrata di un italiano che è esclusa per sempre), ma al tempo stesso si evitano eccessivi “regali” di cittadinanza (Per essere cittadino devi avere uno di questi tre criteri. La cittadinanza può venire eliminata non essendo legata indissolubilmente ad uno dei tre criteri, a seconda delle condizioni cambia). A coloro che oppongono all’idea stessa di cittadinanza un cosmopolitismo assoluto si risponde che ad occuparsi di ciò dovrebbe essere un eventuale sovra-stato globale. Non la singola italia. Chiedere invece “un mondo con frontiere, ma in cui tutti sono cittadini di tutto” è ridondante, ridicolo ed essendo poco regolato anche dannoso ed asimmetrico.

Come avete notato i criteri manzoniani riprendono i tre criteri di cittadinanza: Sangue (Sanguinis), Cultura (lingua, cultura, altare) e geografia (ci torniamo).

Infatti Manzoni aveva fornito tanti criteri, ma non sono stati esaminati tutti. Dov’è la volontà e la cultura? Analizziamole.

Cultura: non c’è solo lingua e religione, c’è anche una cultura tipicamente nazionale.

Dante Alighieri ha “qualcosa” che lo avvicina a Petrarca e Calvino più di quanto non lo avvicini a Go Nagai, anche se Go Nagai indubbiamente ricorda esplicitamente Alighieri più di quanto lo faccia Calvino. E cos’è? Una semplice definizione arbitraria? No. E’ un humus culturale unificato. E’ il motivo per cui, anche quando ci sono traduttori perfetti e si parla su internet (annullate la barriera linguistica e geografica), italiani e italiane sono più compatibili tra loro che non italiani e tedeschi. Perché c’è qualcosa in più a legarli: parlare di quel politico, di quel comico, di quella roba “italiana”. Le relazioni sono fatte da legami, da motivi per legarsi, mica da aria.

Esiste una cultura italiana. Le culture hanno scambi e comunicazioni continue, ma negarle è insensato. Ed esiste una cultura italiana, chiamata con quel nome peraltro, da ben prima che esistessero i Savoia. Paradossalmente si può avere cultura italiana in lingua non italiana (la traduzione non rende improvvisamente quel libro un parto della cultura di Washington).

Ed infine volontà. E qua mi ricollego al discorso che ho fatto prima con Alessio, e porto un esempio storico: L’India. In India si dibatteva se avere un paese unito come lo era la colonia, o diviso tra musulmani e indiani. Gandhi cercò di avere la prima opzione, e per questo motivo si tennero elezioni generali. Ora, se tutto fosse andato come previsto, la gente avrebbe dovuto votare trasversalmente: indiani di sinistra e musulmani di sinistra votare insieme un partito “a-culturale” di sinistra, contro un partito di destra votato da musulmani e indiani. Invece è avvenuto il contrario: il Partito del Congresso fu il partito attorno a cui si coagularono tutti gli indiani, i musulmani “per reazione” si coagularono attorno all’opposizione, marcatamente musulmana, cosa che ha prodotto lo scisma. Il motivo è semplice: esistono persone oneste e persone disoneste. Le persone oneste tendono a perdere, perché si fanno regole e limiti che le disoneste non hanno. Ecco, nel contesto di un paese in cui si “dovrebbe” votare non in senso identitario, se tu voti non identitariamente sei svantaggiato, perché il tuo avversario potrebbe non farlo. Lui voterà il partito che favorisce solo la sua tribù. Tu voterai il partito che favorisce tutti e due. E’ quello che è successo, fateci caso, ogni singola volta che si è tentato di forzare una simile unione. Un popolo è più grosso degli altri e con la sua forza demografica si impone. Gli altri popoli per evitare di venire schiacciati si chiudono a riccio in posizioni identitarie. A volte una mescolanza forzata produce un rafforzamento dell’identità. Vedasi colonialismo. Vedasi, paradossalmente, Germania e Italia (il sentimento tedesco prima di Napoleone era molto meno forte). E in Palestina-Israele succede la stessa cosa: quel partito fa schifo ed è cattivo, però se non lo voto vincono “quegli altri là”.

Esiste una volontà popolare che in certi momenti si manifesta in maniera chiara, riprendendo gli studi di Hegel è una emanazione attiva di una certa cultura. Nel caso dei paesi è spesso una rivoluzione. Un evento in cui il popolo crea una propria identità difendendola da un attacco interno o esterno. E’ un evento per definizione traumatico, quindi demarca, separa, ma in questo modo unisce. Quindi io in “volontà” inserisco il criterio rivoluzionario.

Russi: rivoluzione bolscevica. Francesi: Riv francese. Italiani: risorgimento. USA:Indipendenza e guerra civile. Tutte le ex colonie: guerra d’indipendenza o secessione. Giappone: Meiji, Spagna: guerra civile oppure rivolta a Napoleone (ne puoi avere più di una), rivolta Gandhiana per l’India.

Ma c’è un ultimo criterio. Un criterio che è estremamente ovvio e banale (paradossalmente il più ovvio dopo l’esistenza di uno Stato), ma che è stato il meno nominato e discusso. Eppure è anche il più oggettivo. La geografia.

Ricordate cosa ho scritto all’inizio? Il mondo non è una scacchiera tutta uguale ed equamente distribuita, che geometricamente va dal nero al bianco attraverso sfumature di grigio. Il mondo non è così perché il pianeta non è così. Ci sono isole e chi ci abita sarà più separato rispetto a chi vive nella mainland. Ci sono penisole, e chi ci abita più è lontano dalla mainland più si differenzia. Ci sono zone circondate da montagne, separate da fiumi, con risorse preziose. L’umanità non si sparge mai a caso, ma tende a concentrarsi (e poi ad avere successo, parola chiave) attorno a tutti questi eventi, e lo Stato tende a sorgere ed evolversi sulla base di questi. Per questo motivo se guardate a qualsiasi stato che non sia nato da una ridicola spartizione neo-coloniale vi accorgerete che i confini sono SEMPRE rigorosamente fatti sulla base di confini geografici. Il motivo è triplice: perché questi tendono a rappresentare le posizioni difendibili (vuoi prenderti la Lombardia? Vieni, attraversa le alpi e poi ne parliamo), sia perché rappresentano i confini della “vasca” culturale, etnica e popolare, sia perché gli stati si accomodano naturalmente su questi. Ed infatti quando si crea un paese usando il righello per trattati post-bellici poi nascono solo casini.

Ed ecco che quindi nasce l’ultimo criterio: LA GEOGRAFIA.

E l’Italia è definibile geograficamente: le Alpi sono una barriera naturale, entro la quale si crea “una roba” chiamata italia. Sotto c’è una penisola, interamente circondata da acqua. Di nuovo, il problema non sembra porsi. Qualcuno potrebbe obiettare “e le isole? E le alpi di preciso dove si fermano?” ma di nuovo: nessuno di questi principi da solo è perfetto e crea delle ambiguità. E’ solo con gli altri principi che possiamo dire “Nizza sì, Savoia no, per motivi culturali”. E quando ci sono ancora delle ambiguità, ecco che interviene lo stato. Perché noi possiamo fare tutte le discussioni culturali che vogliamo, ma gli stati la scacchiera se la sono spartita. L’ambiguità è terminata secoli fa. Quindi l’Italia è quella penisola (così come è sempre stata definita) delimitata dalle Alpi. Ma alpi fino a dove? E quali Isole comprende? Come è messa ad Est? A queste domande rispondono un mix di altri fattori, e di semplice contingenza statale (abbiamo perso Fiume, stop).

Quindi, esiste una nazione italiana?

Secondo i criteri genetici, linguistici, culturali, di spirito, religiosi e geografici la risposta è un chiaro Sì. Esiste una nazione italiana. Significa che non esistano possibili sotto-livelli regionali? No. Significa che bisogna scadere nel nazionalismo e l’eterna divisione? No. Significa che lo Stato corrisponde idealmente a questi criteri? No. E questi tre no Nulla cambiano.

Questo è il motivo per cui anche il più scettico sull’esistenza dell’Italia sa però tranquillamente indicare sempre i suoi connazionali.

Ultime riflessioni: uno può anche essere globalista, o alter-globalista e volere che tutta l’umanità sia unita in un solo paese, una sola bandiera e una macchina statale democratica che coordina l’intero pianeta. Ciò è giusto e condivisibile. Meno giusto è che in virtù di questo si neghi l’esistenza di identità nazionali (negare perché non è comodo politicamente è fallace), che si ignorino le conseguenze dell’ignorarli (uno può anche disegnare la mappa a cazzo di cane, poi però le pulizie etniche dei partiti xenofobi non sorgeranno a caso. Uno può anche fare la Federazione terrestre, ma le divisioni amministrative dovranno essere su un qualche criterio, mica a caso (o sarà sbilanciata, la popolazione non è mai omogenea). E il criterio migliore non è quello economico, ma quello nazionale. Provate a convivere con una persona ricca che odiate, o con una del vostro livello ma che amate, poi mi farete sapere se è meglio dividere la Terra per “risorse” o per “Popoli”). Né è giusto scadere in un etno-regionalismo estremo negando le realtà emergenti (perché il Milanese non è ugualmente distante dal veronese rispetto al Vietnamita). Anche perché se si dovesse ragionare in questo modo dovremmo subito cadere in un provincialismo (perché il catanese non è assolutamente il palermitano ed è più vicino all’Agrigentino che non al Siracusano), che poi diventerà una divisione in città-stato tipo poleis, che poi diventerà una divisione in quartieri tipo GTA San Andreas, fino ad avere la Confederazione di Via Sergio Sportelli, composta da diversi Condomini Federali, ogni condominio è una federazione composta dai vari piani (stati), e dove ogni stato è diviso in regioni autonome (i singoli appartamenti).

Questa è la fallacia che avviene negando le realtà emergenti: si nega poi la realtà stessa su cui si poggiano i piedi. Non esiste la lingua italiana? Allora non esiste neanche la lingua romanza, è solo una astrazione. Poco importa parlare di humus comune letterario, di scambi o vicinanza. Esistono solo i singoli dialetti. I quali sono solo approssimazioni di galassie di dialetti cittadini. I quali sono a loro volta semplici insiemi di dialetti di quartiere. Alla fine ogni essere umano ha una testa diversa, quello che io penso quando dico “cavallo” non è quello che pensa Alessio o Tommaso. Quindi esiste una lingua Mortebianchesca, che è diversa ed indissolubilmente incomunicabile con quella Tommasiana. Dico di più. Esiste una lingua Tommasiana intrinsecamente diversa da quella del Tommaso di otto secondi fa perché sono due persone diverse, e così via.

Quindi occhio a negare che esista una identità italiana rifugiandosi nelle “Più sicure” identità regionali, perché con altrettanta facilità (ma molto più divertimento) si può arrivare alla Repubblica Sovrana Occipitale del Cervello di Tommaso.

E’ quello che dissi ad un amico che negava l’esistenza del Siciliano, dicendo che esistono “solo” tanti Siciliani. Ignorando la cultura comune, la letteratura, l’humus, le espressioni usate come mediazione e riconosciute internazionalmente. Se davvero non esiste Siciliano ma solo Palermitano o Catanese, allora non esiste il Palermitano. Esiste solo il tiziese che è diverso dal caiese.

“Ripeto sempre che gli Asburgo usavano, fino a Maria Teresa, l’italiano come lingua di famiglia (I savoia no)” Il che la dice lunga su quanto i Savoia fossero pessimi regnanti, inadatti e opportunisti e a come l’unificazione d’Italia sia condotta male. Ben poco dice che fosse da non farsi oppure che non esistesse una italianità. Gli Asburgo magari lo parlavano l’Italiano, ma le fucilazioni di massa di italiani le hanno ordinate loro.

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Bhrihskwobhloukstroy torna alla carica:

Come spesso avviene, bisognerebbe avere tutto il proprio tempo a disposizione per poter discutere adeguatamente di questi argomenti, il che purtroppo non avviene. Cerco quindi di replicare per singoli insiemi di argomentazioni.

In generale, comunque, il principio è che il Mondo evidentemente è diversificato, anche secondo linee lungo le quali si addensano variazioni particolarmente nette, solo che questi grandi raggruppamenti – pur obiettivi e incontestabili se presi ciascuno per sé – non si sommano fra loro, perché i confini geografici sono troppo inconciliabili con quelli della distribuzione genealogica (la Genetica) ed entrambi con quelli linguistici, laddove poi gli equilibrî militari sono in continua trasformazione (e mai coincidenti, se non per caso e comunque temporaneamente, con quelli geografici o genetici o linguistici) e le affinità ideologiche sono notoriamente le più mutevoli e in ogni caso impossibili da mappare, perché divergenti da individuo a individuo.

Risultato: il Mondo si divide geograficamente al meglio per Continenti, mentre la parentela genealogica degli Uomini distingue chiarissimamente cinque Aplogruppi (1 - i cosiddetti Boscimani/Ottentotti; 2 - gli Aborigeni Australiani e i loro parenti prossimi dispersi lungo tutte le coste pacifiche dalla Cina e Giappone al Nordamerica; 3 - gli Andamanesi e i loro parenti prossimi addensati in Tibet e – di nuovo – in Giappone; 4 - i Neri Africani con la loro propaggine diffusasi minoritariamente in Europa e della quale faceva parte Hitler; 5 - tutto il resto dell’Umanità, dal Nordafrica attraverso l’Eurasia fino all’America anche del Sud, compresi pure qui i Giapponesi, in tal caso anzi la loro maggior parte), che fino al Colonialismo coincidevano più o meno con le parentele linguistiche (eccettuato il Giappone, dove ha avuto luogo una triplice stratificazione e lo strato più recente è a sua volta duplice), ma dopo si sono confusi a causa dell’espansione non genetica di quattro lingue dell’estremità occidentale dell’Eurasia.

Queste sono le diversità oggettive del Mondo e dell’Umanità. Sul piano politico-militare, la divisione del Mondo è un danno per l’Umanità (potenzialmente per il Mondo stesso) e l’obiettivo politico di “noi Internazionalisti” (se mi è permessa questa qualifica) è un unico Stato Globale in cui la distribuzione geografica del Monopolio della Violenza sia puramente funzionale alla Difesa della Vita di Tutti e non abbia alcuna rilevanza per i sentimenti di appartenenza locale più o meno vasta dei singoli uomini; quanto all’Ideologia (positivamente intesa come insieme di convinzioni politiche, filosofiche, religiose &c. dei singoli), è talmente diffratta che i suoi riflessi politici si esprimono al meglio nelle periodiche consultazioni (per esempio parlamentari o referendarie), idealmente in un unico Collegio Elettorale Mondiale, anche qui senza rilevanza (perché sarebbe continuamente mutevole) sui confini delle comunità locali più o meno vaste in cui la Società si deve articolare per meri motivi organizzativi della vita in comune.

Naturalmente, nella Storia sia le concentrazioni di Potere (quindi dominazioni) politico-militari sia le comunità di pensiero (ideologiche in quanto “religiose” – in tutte le possibili accezioni del termine – o simili) hanno concretamente informato di sé gli Stati, fino alla condizione attuale, che come tutte le precedenti è transeunte e riveste valore pratico al momento per la distribuzione amministrativa delle risorse con cui gli Stati semplificano (o, nelle intenzioni, dovrebbero) la Complessità del Reale: in quanto transeunte, è riformabile in qualsiasi punto e periodo (per l’Internazionalismo fino al punto in cui si formerà lo Stato Globale, che si articolerà secondo le convenienze di quel momento, illimitatamente adattabili anche in séguito) e ai fini della descrizione delle Nazioni ci interessa solo in quanto ha contribuito a influenzare i caratteri oggettivi sopra citati (essenzialmente la diffusione degli Uomini - raggruppabili in quanto articolati in famiglie – e delle loro lingue, anche e soprattutto quando si sono trasmesse in forme che superavano la trasmissione generazionale attraverso le famiglie).

Cerco di chiarire quest’ultimo punto con un esempio che a noi può interessare perché siamo ucronisti: in questa discussione stiamo esaminando le Nazioni come realtà che determinano sensi di appartenenza i quali a loro volta possono innescare movimenti politici che si esprimono perfino in forme militari o rivoluzionarie, quindi cerchiamo di vedere le Nazioni per come continuerebbero a esistere (almeno per un lasso considerevole di tempo) addirittura nel caso che, per esempio, il Terzo Reich avesse alla fine conquistato il Mondo intero (Impero Giapponese incluso). In uno scenario ucronico del genere, il Potere politico avrebbe avuto a disposizione molti mezzi per imporre modifiche alla distribuzione delle lingue, alla loro stessa esistenza (come pure a quella di molti uomini e “razze”, secondo la sua definizione): tutto ciò che, nonostante tali manifestazioni di forza, fosse rimasto riconoscibile come senso di appartenenza nazionale (perciò a prescindere dai sentimenti politici di opposizione al Nazismo, che per definizione possono accomunare l’intera Umanità) risalterebbe in modo chiarissimo come elemento oggettivo resistente al Potere – anche nel caso che fosse stato plasmato da precedenti rapporti di Potere (l’Impero Romano o il Califfato, per dire) – e dunque potenzialmente rivoluzionario. In breve: una Nazione – per esempio, l’Italia – è indubbiamente oggettiva se è riconoscibile anche dopo un paio di secoli di annessione al Terzo Reich (non dico che, se non lo è, non esiste; dico solo che, se ci riesce, esiste sicuramente).
Ho fatto questo esempio ucronico perché il Mondo prodotto dal Secolo Americano è paragonabile al Terzo Reich Globale quanto a influenza del Potere sui sensi di appartenenza nazionali. Non sto sostenendo che il Mondo attuale sia identico all’ucronico Reich Nazionalsocialista Mondiale; sto soltanto affermando che il Potere di oggi è almeno altrettanto forte, anche in questo campo (l’influenza sulle percezioni di identità comunitaria), di quanto lo sarebbe quello nazista se avesse stabilmente conquistato tutta la Terra. Per questo, dobbiamo essere in grado di distinguere il senso di appartenenza nazionale direttamente o indirettamente determinato dal Potere attuale dai sensi di appartenenza nazionale che gli preesistevano.

Quanto ai singoli punti, parto dal fondo del messaggio di MorteBianca perché intendo che sia più importante (o, se non lo è, rappresenta la novità maggiore rispetto a quanto scritto finora in questa discussione; ne abbiamo molto trattato in altre discussioni, ma qui no). In generale, il Mondo si articola geograficamente secondo l’idrografia e l’orografia. I mari dividono i dirimpettai (per esempio Sicilia e Nordafrica), al contempo uniscono in lunghe serie continue le popolazioni costiere (per esempio, tutti i Mediterranei, intesi nel senso più generico); i monti dividono una valle da un’altra (per esempio, la Valle del Po dalla Valle del Rodano), al contempo uniscono chi vi abita (tutti gli Alpini rispetto, per esempio, alle popolazioni costiere; in questo caso, tuttavia, non esiste una linea divisoria, c’è davvero la continuità: una comunità prossima allo Spartiacque Alpino è equidistante dal proprio vicino sullo stesso versante e da quello appena al di là dello spartiacque, questo vicino è equidistante dalla comunità donde siamo partiti e dal proprio vicino sullo stesso versante, il quale vicino è a sua volta equidistante da tutti i proprî vicini e così via fino ad arrivare al mare, dove ogni comunità è equidistante dal proprio vicino a monte e dai due vicini costieri, uno da una parte e uno nella direzione opposta &c.).

In questo quadro, gli unici confini precisi che si possono disegnare sono quelli dei bacini idrografici, che però in prossimità della costa si restringono vertiginosamente e sono intervallati dai tanti minuscoli bacini idrografici dei brevissimi corsi d’acqua che non hanno un retroterra altrettanto ampio. Tutto ciò è il prodotto dei movimenti delle Zolle Tettoniche (orografia), che determinano gli spartiacque, insieme alla quantità totale di acqua nel Mondo e alla percentuale in cui questa, a seconda delle temperature, è allo stato liquido (ossia alla fine si accumula fino a un determinato Livello del Mare) anziché solido (ghiacciai) o gassoso (nuvole). Inevitabilmente, i bacini idrografici dividono le penisole e perfino le isole: la Penisola Italica (o Appenninica) è divisa fra Bacino Tirrenico e Bacino Adriatico (anche Ionio) ed è unita solo dalla superiore inclusione nel Bacino Mediterraneo, che a sua volta divide in due la Penisola Iberica (o Pirenaica) rispetto al Bacino dell’Atlantico, nel quale lo stesso Mediterraneo rientra a patto che si includano anche tutta l’Africa Occidentale, i Bacini del Mare del Nord e del Baltico, l’Islanda, la Groenlandia e la metà orientale delle Americhe (le Americhe sono una grande isola – un Continente – ma idrograficamente divise fra Atlantico e Pacifico; mi scuso per la banalità, serve a esemplificare il concetto). La divisione dell’Europa fra Mediterraneo, Atlantico (in senso stretto ed esclusivo), Mare del Nord, Baltico &c. ha senso se consideriamo l’Europa e basta, ma divide il Bacino Mediterraneo.

Siamo già arrivati al punto di impasse: è più importante, ai nostri fini, la relativa unità del Mediterraneo (compreso il Nordafrica) o dell’Europa? Per quanto riguarda l’Italia, è più importante la relativa unità dell’Adriatico o della Penisola Italica? Non sono domande oziose, perché ne va dell’inclusione o meno del terzo lato: nel caso del Mediterraneo l’Asia (in particolare quella Anteriore: fa parte del Bacino Mediterraneo, ma non è né Europa né Africa, anche se prima della costruzione del Canale di Suways [Suez] non c’era altro possibile confine che il Nilo o il Deserto del Sinai), nel caso dell’Adriatico la Cisalpina, che non è né Liburnia-Dalmazia (tantomeno Istria) né Penisola Italica (una penisola ha per definizione come limite l’ultimo istmo oltre il quale la distanza fra i due opposti mari aumenta sempre di più e questo istmo, per quanto riguarda la Penisola Appenninica, è incontrovertibilmente quello fra la Versilia e la Romagna), anche se è in continuità ininterrotta con entrambe (né in Romagna né in Venezia Giulia c’è alcun confine geografico). Similmente sull’altro versante: la Liguria non è certo parte della Penisola Italica (è geograficamente la Sponda Nord del Mar Ligure, la quale si estende fino alla Linguadoca) e per il resto non ha confini geografici riconoscibili né verso Est (a parte appunto la convenzione dell’Istmo che delimita la Penisola Italica) né verso Ovest (l’unico punto analogo è l’altrettanto convenzionale Istmo che individua la Penisola Iberica, che a sua volta sul versante mediterraneo non coincide con la linea dei Pirenei, essendone più a Sud).

Le isole sono chiaramente identificabili dal punto di vista geografico e, quando non sono Continenti, non ha senso una loro divisione – del resto difficilmente completabile – per bacini idrografici; solo in quanto isole intere possono a loro volta essere raggruppate col vicino Continente, che però ahiloro non è altrettanto segmentabile. La Sicilia è un esempio splendido di unità geografica; è prossima soprattutto a un Continente, in condizioni ideali perché il punto di massima vicinanza è l’estremità di una penisola – la Calabria – a sua volta punta di una penisola, l’Italia, che per definizione è su tre lati delimitata dai mari, mentre sul quarto lato finisce convenzionalmente a un istmo (quello fra Versilia e Romagna), dopodiché non c’è più alcun confine geografico paragonabile: dal lato della Liguria, si continua illimitatamente fino alla Penisola Iberica e poi oltre fino allo Stretto di Gibilterra per poi completare il periplo della Penisola Iberica e proseguire lungo le coste altantiche fino al Mare del Nord e al Bacino del Baltico &c. (senza MAI un confine!), mentre dal lato della Romagna si arriva al Bacino Padano e poi lo si supera presto continuando lungo le coste venete e giuliane, istriane, liburniche, dalmatiche &c. fino all’Albania, alla Grecia, all’Egeo, alla Tracia, al Bacino del Mar Nero, all’Anatolia (e siamo ormai in Asia), il Levante, l’Egitto, l’Africa del Nord, lo Stretto di Gibilterra, la costa atlantica dell’Africa e così via (sempre senza mai un confine geografico). Se ragioniamo per penisole, avremo l’Africa (dal XIX. secolo delimitata dal Canale di Suways), l’Anatolia, la Grecia, più vagamente la Penisola Balcanica (indefinibile a Nord se non del tutto convenzionalmente dall’istmo fra il Montenegro e la Dobrugia), l’Istria, la Penisola Italica (al cui interno il Salento e la Calabria, ulteriori penisole), la Penisola Iberica, la Bretagna (indefinibile a Est), lo Jütland, la Scandinavia, la Penisola di Kola &c.; se ragioniamo per bacini idrografici, avremo il Mediterraneo (a sua volta parte del grande Bacino Atlantico), al cui interno i Bacini dell’Egeo, dell’Adriatico, del Tirreno (convenzionalmente distinto dal Mar Ligure) &c.: lo Spartiacque Alpino è a Nord confine col Bacino del Mar Nero (che si può considerare un sottoinsieme del Mediterraneo, a sua volta sottoinsieme dell’Atlantico), a Ovest confine col Bacino del Rodano (che pertiene al Mar Ligure, dunque al Mediterraneo senza se e senza ma), mentre solo nel brevissimo tratto di Alpi Lepontine fra il Furka e il Gottardo (tutto in Svizzera; sono pochi chilometri, come da Roma a Civitavecchia) è confine con un bacino idrografico esterno al Mediterraneo (quello del Reno, parte del Bacino del Mare del Nord). Dal punto di vista geografico, l’Italia è solo la Penisola Italica (al massimo, se proprio vogliamo, con l’accostamento di due o, per la proprietà transitiva, tre Isole Maggiori), ma né la Liguria né la Cisalpina (regioni altrettanto mediterranee) le appartengono: la Liguria e la Cisalpina sono parti di Europa (Mediterranea) non peninsulari, quindi geograficamente unite alla Penisola Italica solo nella comune cornice del Bacino Mediterraneo (in particolare della sua parte europea). Controbattere a questo dato di fatto sarebbe una deformazione prospettica: capisco che, da Catania, Genova o Milano siano difficili da distinguere rispetto alla vicina Penisola Italica, ma dal punto di vista di Genova o Milano la Penisola Italica è un promontorio come tanti altri, vicina tanto quanto il Versante Nord delle Alpi (ma non di più) o l’Istria, di certo meno vicina che la Provenza. L’appartenenza geografica della Liguria o della Cisalpina all’Italia è come quella della Manciuria all’Europa: sicuramente c’è continuità geografica (non ci sono confini geografici riconoscibili in mezzo) e pure storica (più di recente attraverso l’Imperialismo Russo), ma affermare che la Liguria e la Cisalpina sono parte dell’Italia in senso geografico è, nel caso della Cisalpina, limitante (ne esclude l’Istria, la Liburnia, la Dalmazia &c.), nel caso della Liguria addirittura erroneo (la Liguria è l’estrema propaggine orientale dell’Europa Mediterranea compresa fra le Penisole Iberica e Italica; non è né Penisola Iberica – ovviamente – né Italia), come lo sarebbe pretendere che la Manciuria sia parte dell’Europa anziché del versante pacifico dell’Asia (o, nel probabile caso che si volesse argomentare a favore di un “versante pacifico dell’Europa”, pretendere che la Manciuria sia europea e la Cina invece no).

Per tutto ciò, il Mondo si divide in Continenti, fra i quali l’Euroafroasia; in questa possiamo individuare l’Africa e (con molte più difficoltà) una Penisola costituita dal Subcontinente Europeo, ma il tutto al prezzo di rompere l’unità del Bacino Mediterraneo, altrimenti possiamo ragionare per Bacini Idrografici e distinguere con precisione (tranne che in Sudafrica) un’Euroafroasia Atlantica, al cui interno salviamo la relativa unità del Mediterraneo. La contraddizione non è risolubile. Possiamo però lasciarla irrisolta e proseguire riconoscendo, nell’uno o nell’altro caso, comunque una Penisola Italica, che a Nord ha come unico possibile confine – del tutto convenzionale e privo di senso dal punto di vista antropogeografico – nell’istmo fra la Versilia e la Romagna, ma non certo nelle Alpi e meno che mai a Ovest della Liguria. Distinguere geograficamente l’Italia dal resto dell’Europa (o del Mediterraneo, fa lo stesso) è come distinguere la Calabria o il Salento dal resto dell’Italia: ha un fondamento geografico, ma non si può annettere la Basilicata alla Calabria separando la Basilicata dal resto dell’Italia, per cui non si può annettere la Cisalpina o la Liguria all’Italia (geograficamente) separandole dal resto dell’Europa, è un errore da qualsiasi punto di vista (geografico).

In questo preesistente ambiente geografico (per qualche aspetto ancora in corso di modificazione, anche se il grosso è stabile dalla fine della più recente Glaciazione), l’Uomo si è diffuso (sia prima sia dopo l’ultima Glaciazione) nell’unico modo complessivo possibile: distribuendosi – nel settore terrestre che stiamo esaminando più da vicino – lungo tutte le coste del Mediterraneo di allora e risalendone le valli fluviali, comprese ovviamente quelle più grandi, e di qui unendosi al popolamento venuto dall’Asia Centrale attraverso le Steppe fino ai limiti dei Ghiacciai Scandinavo e Britannico nonché all’Atlantico. Nel Paleolitico sono arrivati il progenitore dell’assoluta maggioranza degli Europei (la cui discendenza si è poi divisa fra Europei Centro-Occidentali ed Europei Nordorientali) e quello della grande maggioranza degli Scandinavi e dei Sardi (e anche dei Croati); nel Neolitico quelli dei Greci, dei Balcanici in generale (tranne quello della maggior parte degli Albanesi, che era l’unico discendente di un ceppo negro-africano) e di circa metà degli Italiani Meridionali (con un po’ di Siciliani). Fine; dopo di ciò, ci sono stati solo rimescolamenti regionali, mentre le grandi Migrazioni hanno avuto un impatto molto ridotto e riconoscibile solo a livello di spostamenti da una regione a quella vicina (per esempio, da Nord a Sud del Basso Danubio oppure dallo Jütland alla Gran Bretagna; riconoscibilissimo invece quello dalla Norvegia centro-settentrionale all’Islanda).

Precisazione importante (ma ne avevamo già discusso anni orsono): la mia non è l’idea legittima ma balzana di un singolo, è l’ultima eco di un’antica e duratura posizione molto condivisa (quella che ha diffuso l’italiano; non è poco...)

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Chiudiamo per ora con il parere di Alessio Mammarella:

Alla luce degli ultimi interventi, sembra che sia appropriata la suddivisione che talvolta si fa fra:

- Italia del nord: dal punto di vista geografico non appartiene alla Penisola Italiana; dal punto di vista storico-culturale è "italiana" ma è anche inscindibile dall'Europa continentale;

- Italia del centro (dall'inizio della parte peninsulare fino a tutti i territori di quello che era lo Stato Pontificio): sicuramente parte dell'Italia dal punto di vista geografico; dal punto di vista storico e culturale risente di legami di lungo corso con il resto del continente (è una zona di transizione, si potrebbe dire);

- Italia del sud (pressappoco corrispondente all'antico Regno di Napoli): la parte d'Italia "più mediterranea che europea" che nella sua storia ha avuto forti legami con la civiltà greca e che potrebbe forse costituire una nazione anche a prescindere dal concetto di "Italia".

Questo ci fa capire come governare il paese sia un delicato equilibrismo, che può facilmente scontentare il nord oppure il sud.

Oltre a queste parti vi sono poi ovviamente da considerare le tre isole vicine alla Penisola (Corsica, Sardegna, Sicilia) ciascuna con le caratteristiche storiche e culturali tali da poter costituire uno stato-nazione a sé stante, ma comunque caratterizzate da forti legami con l'Italia continentale (ecco forse potremmo dire che la Sicilia sta all'Italia come il Veneto sta alla Mitteleuropa?)

Un aspetto tanto paradossale quanto interessante è che andando da nord verso sud aumenta l'originalità e la distanza rispetto all'Europa continentale, ma non aumenta il sentimento di "italianità":

- il regno con capitale Napoli fu chiamato in molti modi (Regno di Sicilia, di Napoli, delle Due Sicilie) ma mai "d'Italia" malgrado, nella remota antichità, il nome "Italia" fosse nato proprio per indicare il sud, e non certo altre parti della penisola che avevano nomi diversi (Gallia, Etruria, Liguria...);

- il processo di unificazione del paese non partì da lì, anzi quel regno fu sostanzialmente oggetto di conquista da parte del Regno di Sardegna, dopo che quest'ultimo si era già apertamente qualificato come polo di aggregazione;
- Nell'ipotesi in cui la l'Italia del nord ed eventualmente del centro si fossero trovate inglobate nel grande stato imperiale descritto da Guido, il sud, residuo rispetto a quel processo, non sarebbe stato una "Italia" per quanto ridotta ai minimi termini, ma qualcosa di diverso.

Gran paradosso, allora: l'Italia potrebbe avere, entro un territorio più ristretto e periferico rispetto alla Valle del Reno, una identità più forte, ma non si chiamerebbe neppure "Italia"; nella sua dimensione attuale contiene invece dei territori con una storia ed una cultura fortemente intrecciate con quelle del resto del continente, e quindi è "condannata" a una identità nazionale relativamente debole (se paragonata per esempio a quella dei francesi o dei norvegesi tanto per citare un paio di esempi).

Penso allora che nella ricostruzione di storia politica presentata da Guido manchi un pezzo: quella suddivisione tra "imperiali e secessionisti" considera solo il nord ed il centro, così come d'altronde si considerano Milano e Firenze ma mai Napoli come capitali alternative d'Italia. A sud di Roma probabilmente la questione politica era rovesciata: da una parte i sostenitori dello stato "meridionale" come impostato secoli prima dai normanni (ma per volontà del papato), pienamente compatibile con l'eventuale entità imperiale descritta da Guido (ma con la massima aspirazione di essere un piccolo stato europeo con impostazione "scandinava" e il rischio di essere semplicemente oggetto di palleggio fra le grandi potenze) e dall'altra i fautori di una "Italia".

Forse tutto il processo di gestazione di quella che oggi chiamiamo Italia sarebbe stato più lineare ed efficace se qualcosa fosse andato diversamente fra il 1814 ed il 1821: se Gioacchino Murat fosse rimasto come Re di Napoli, oppure se Ferdinando I di Borbone avesse accettato di diventare un sovrano liberale. Il processo sarebbe iniziato prima, sarebbe iniziato dal sud, e sarebbe stato più simile all'azione della Prussia, partita appunto dalla periferia dell'Impero e portatrice di un modello del tutto separato ed alternativo rispetto a quello asburgico. Forse, partendo dal sud, tale processo non avrebbe coperto tutto il territorio dell'Italia attuale, altri territori sarebbero stati inglobati dall'Austria o dalla Francia, ciò però avrebbe comportato anche una delimitazione più chiara e netta fra Italia e altro, italiani ed altri.

Poco fa ho parlato di una volontà papale a ispirare i normanni: è noto che i pontefici del medioevo desideravano che le due metà di quella che è oggi l'Italia restassero distinte: ciò sia per evitare che i domini ecclesiastici si trovassero circondati, e che Roma perdesse la sua indipendenza (ma malgrado questo accorgimento, molti sovrani mandarono i loro soldati a occupare Roma ed a forzare con la spada le scelte dei pontefici). Un possibile altro motivo, certamente secondario rispetto al primo (ma non trascurabile per comprendere la società del meridione e il progressivo impoverimento della sua economia) sta nella volontà di fare del mezzogiorno d'Italia una sorta di "riserva di caccia" della chiesa, con il sovrano napoletano in veste di "feudatario" della S. Sede. Moltissime terre meridionali erano d'altronde attribuite alle famiglie patrizie romane, che vi tenevano enormi latifondi (situazione non diversa da quella dell'epoca romana antica, peraltro).

Insomma, il Regno di Sicilia/di Napoli/delle Due Sicilie era forse nato "costituzionalmente" con l'idea di essere una sorta di colonia, prima della chiesa (attraverso i normanni) poi delle varie potenze europee con le loro dinastie cadette (Angioini, Aragonesi, Borboni).

Altro paradosso: secondo questa ricostruzione, chi era per l'indipendenza del sud come stato sovrano, era di fatto per una politica conservatrice, per il sottosviluppo economico, per la sudditanza rispetto alle grandi potenze; tuttavia, chi era per l'idea di "Italia unita" come idea di risollevare il sud facendolo partecipare a un progetto più grande, era anche per la "conquista" del medesimo da parte di un altro sovrano, e per la sua condanna a essere anche dentro l'Italia, una periferia trascurata e problematica.

Forse una causa profonda dell'arretratezza del sud è questa: il sud aveva bisogno, per il ritardo accumulato nei secoli precedenti, di avere dei sovrani diversi e di essere soggetto, non oggetto, del Risorgimento.

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Per farci conoscere il vostro parere in proposito, scriveteci a questo indirizzo.


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