La Grande Avventura


ANNO DEL SIGNORE 2172, anno 5932 dalla Creazione del Mondo, anno 1550 dall'Egira, anno 2925 ab Urbe condita; nell'anno quarto del secondo mandato della serenissima imperatrice Esther Levi, nell'anno sedicesimo del pontificato di Papa Benedetto XX, nel mio trentottesimo anno di vita, io, Franz Maria Kleinwald, nato il 20 maggio 2135 a Mondbrunnen, SudTirol, repubblica di Germania al confine con la repubblica di Italia, inizio il 31 ottobre questo diario della più ardita spedizione che l'uomo abbia mai tentato nella lunga storia dell'esplorazione dell'ignoto.
Per chi comincia la lettura di questo mio diario, su di me non c'è molto da dire. Dopo un'infanzia felice tra le montagne del Tirolo, trascorsa a contemplare quel cielo stellato verso cui ora sono diretto, ho studiato a Innsbruck e poi al Max-Planck Institut di Monaco di Baviera, dove ho conseguito nel 2157 la laurea in Fisica delle Superstringhe. Dopo una seconda laurea conseguita nel 2160 presso il Massachussets Institute of Technology di Boston, repubblica del Massachussets, Nord America, ho conseguito la libera docenza di Fisica presso quell'ateneo ed ho lavorato ad un progetto riguardante la curvatura artificiale dello spazio-tempo-energia sotto la guida del professor Ke Wun Chun, premio Spitzer per la Fisica e luminare a livello imperiale in questo campo. Nel 2165 il ministro imperiale delle scienze mi ha chiamato a far parte del ristretto gruppo di ricerca del progetto Ulysses, del quale si discuteva da decenni, ma che solo allora entrava finalmente nella sua fase operativa. Per sette anni ho lavorato ad esso nella base di Cape Clinton, insieme alla professoressa italiana Annamaria Vandoni, esperta di astrofisica e cartografia stellare, che è intanto divenuta mia moglie.
Il 1 aprile dell'anno scorso la Commissione Astronautica Imperiale ha scelto in via definitiva l'equipaggio di sei membri della Ulysses I, che domani verrà lanciata dalla base spaziale Carl Sagan in orbita terrestre, e sia io che mia moglie Annamaria siamo stati scelti per far parte del suo equipaggio. Assieme a noi verranno lanciati il ghanese Obamori Kenno, in qualità di pilota dell'astronave e comandante della missione; sua moglie, la giapponese Aiko Ishimura, in qualità di secondo pilota e ingegnere capo della spedizione; il peruviano Jeford Santana, in qualità di medico ed esperto di psicologia dello spazio; e la sua compagna Jenny Hawkins, nata sulla colonia marziana di Olympia, geologa ed esperta di xenoecologia. La Commissione ha stabilito infatti, dopo ampia ed articolata discussione, che le coppie uomo-donna sopportano la lunga durata delle missioni spaziali meglio di un astronauta che continua a sospirare e a rimpiangere la sposa rimasta sulla Terra, così come Ulisse, l'eroe omerico che con il suo "folle volo" ha dato il nome alla nostra missione, rimpiangeva l'amata Penelope e il figlio Telemaco. Nessuno di noi lascia figli sulla Terra, e questo contribuisce ulteriormente a renderci più sopportabile l'impresa che andiamo a iniziare.
Confesso che, quando sono stato scelto, il sentimento prevalente in me fu l'orgoglio, anche se so bene che, in caso di scoperta di nuovi mondi, sarà il comandante ad aver diritto di lasciare per primo la sua impronta su di essi. Oggi invece, alla vigilia della partenza, il mio animo è interamente occupato dall'ansia e dal timore. Annamaria dice che è normale, e che anche i grandi navigatori italiani del Cinquecento si sentivano certamente come me, alla vigilia della partenza per le sconosciute Indie Occidentali, ma io non riesco a mettere a tacere questa mia ansia. Sarà il fatto che io, a differenza sua, non ho antenati navigatori, ma tutt'al più capitribù di qualche stirpe germanica che andavano in giro con un elmo cornuto in testa; sarà il fatto che nessuno può sentirsi tranquillo, quando è il primo a mettere piede di persona in una landa fino ad allora totalmente inesplorata; sarà la certezza di dover restare così a lungo lontano dalla rassicurante superficie della Terra; ad ogni modo, mi sento agitato e non riesco a prender sonno. Ho il terrore di essere afferrato da un incubo, e di sognare di finire risucchiato dentro un buco nero o divorato da qualche gigantesco ragno spaziale che ha tessuto la sua tela tra i mondi e le costellazioni. So che non c'è nessuna logica razionale dietro tutto questo, ma ce n'è certamente una irrazionale. E così, invece di godermi il mio letto sulla base Carl Sagan in cui Annamaria sta dormendo beatamente, eccomi qui ad iniziare un diario che pretende di essere l'erede del "Milione" di Marco Polo e della "Relazione" di Antonio Pigafetta, ma che narrerà sicuramente di luoghi sconosciuti ben più lontani del Catai di Qubilay Khan o delle Filippine in cui trovò la morte Magellano.
Ragni spaziali permettendo, si capisce.
(Sto cominciando a diventare paranoico?)

1 novembre 2172

La partenza, grazie al Cielo, è andata bene. Alle ore 11.45 in punto ora standard il capitano Kenno ha acceso i motori e sganciato le ganasce elettromagnetiche, e l'Ulysses I si è staccata dal molo di attracco Tre della base spaziale dove è stata pazientemente costruita, ed ha fatto rotta verso la Luna. Il satellite naturale della Terra ci darà la spinta necessaria per portarci nella traiettoria verso Giove, il colosso a strisce dorate, che poi a sua volta ci darà un colpo di frusta sufficiente per l'uscita dal Sistema Solare. Secondo i calcoli del tenente Ishimura, l'accensione dei propulsori ionici ci consentirà di raggiungere il periastro lunare questa sera alle 17.18, e l'orbita gioviana al più tardi a fine gennaio. Solo dopo l'uscita dal Sistema Solare potremo azionare il mio dispositivo per la creazione di un wormhole o tunnel spaziale, che ci consentirà di superare in tempi ragionevoli la distanza che ci separa dalle stelle vicine: è troppo alto il rischio di danneggiare l'ergocronotopo in vicinanza dei mondi abitati dagli uomini, perchè il motore è ancora sperimentale e le sonde automatiche da noi lanciate negli anni scorsi con a bordo il mio macchinario non bastano per assicurarci che anche stavolta andrà tutto liscio. Basta un errore dello 0,001 % nei calcoli, ed anziché un wormhole apriremo un buco nero che potrebbe risucchiare non solo noi, ma l'intero sistema solare in un nulla più insondabile del Grande Abisso di cui parla la Genesi. Ma è inutile essere catastrofici in anticipo. Quello che conta è il fatto che la Grande Avventura è iniziata, e il fatto che sia iniziata il giorno di Tutti i Santi in un certo modo mi dà sicurezza, poiché spero che essi veglino tutti quanti su di noi e sul nostro viaggio.

Ore 17.18, come previsto abbiamo raggiunto il periastro lunare a soli 175 Km di quota sopra il nostro satellite. Sotto di noi abbiamo visto la grande città di Tycho Brahe, che è anche il capoluogo lunare, accendere tutte le sue luci per salutare la nostra partenza. Ora la bianca lampada delle notti terrestri si allontana dietro di noi, ed inizia il tuffo verso l'orbita gioviana. Non saremo festeggiati dai coloni di Marte, perchè il pianeta rosso si trova in congiunzione, e quindi dalla parte opposta al sole rispetto a noi. Il ritardo nelle comunicazioni con il quartier generale della spedizione posto a 55 Km da Mosca, repubblica di Russia, è già superiore al secondo, e diventerà pari ad anni ed anni prima che possiamo iniziare il viaggio di ritorno; ciò renderà impossibili le comunicazioni con la base e ci farà sentire, se possibile, ancora più soli e sperduti nello spazio.

4 novembre 2172

Oggi è mercoledì, giorno dell'Udienza Generale del santo Padre Benedetto XX in piazza San Pietro a Roma, ed il Vicario di Cristo ha voluto inviarci un messaggio di saluto in cui ci augura buon viaggio. Io, Annamaria e Jeford Santana siamo di religione cattolica, mentre Ishimura è shintoista, il comandante Kenno è musulmano e la dottoressa Hawkins è agnostica, ma tutti abbiamo gradito molto l'augurio, così come ci è pervenuto volentieri quello del Dalai Lama, presidente della Repubblica di Tibet, e del Rabbino Capo d'Israele. Come dice un vecchio proverbio, non sono mai abbastanza i Santi che pregano per noi in Paradiso.
Siamo al quarto giorno di viaggio, ed io comincio a prendere confidenza con la mia nuova casa delle stelle. Si tratta di un missile lungo 57 metri nel quale sono alloggiati il reattore quantico, i propulsori, i dispositivi di puntamento, i computer, i pezzi di ricambio e naturalmente il dispositivo di curvatura dello spazio, dal quale si dipartono quattro bracci lunghi 30 metri e disposti ad angolo retto. Essi collegano il corpo centrale alla sezione ad anello, un blocco abitativo largo 7 metri, alto 10 e con 189 metri di circonferenza, dove noi trascorreremo la maggior parte del viaggio. Infatti l'astronave ruota su se medesima con una velocità di 13 metri al secondo, pari ad una rivoluzione completa ogni 14 secondi, sufficiente per assicurarci una gravità artificiale di 6 metri al secondo quadrato, pari al 60 % di quella terrestre; ciò significa che io, che sulla terra peserei 66 chili, qui ne peso solo 40, e di conseguenza mi sento più leggero. Tale gravità tuttavia è il doppio di quella marziana e il quadruplo di quella lunare, ed impedirà ai nostri muscoli di atrofizzarsi. Ad ogni modo io ogni mattina faccio la mia ora di esercizi ginnici nella nostra piccola palestra, indispensabili per mantenere tonica la mia muscolatura; notoriamente io ho la fama del pantofolaio e preferisco stare appiccicato al computer che alla cyclette, ma mi sottopongo a questo sacrificio pur di prendere parte a questa straordinaria missione, e comunque ci pensa Annamaria, molto più atletica e longilinea di me, a pungolarmi e a ricordarmi di sottopormi al rito della palestra.
La palestra non è certo l'unico locale a nostra disposizione. Oltre ai nostri tre spaziosi alloggi matrimoniali vi è una sala di soggiorno e ricreazione, la cucina con la mensa, la sala computer, il laboratorio di analisi, l'osservatorio, il laboratorio di cartografia stellare, l'infermeria, la serra e naturalmente la sala comandi, regno incontrastato del comandante Obamori Kenno. I vari locali comunicano raramente tra di loro ma danno sul corridoio, che corre tutt'attorno alla circonferenza del modulo abitativo, nella direzione di poppa, in modo da lasciare la sala comandi e i laboratori liberi di osservare in direzione di prua. La nostra energia viene dal reattore quantico, che sfrutta la fusione di quark in adroni per generare una quantità illimitata di energia, sufficiente per un'astronave come la nostra per un milione di anni; è stata questa sorgente di energia a permettere all'uomo di svincolarsi dall'uso dei nocivi combustibili fossili e della pericolosa fissione dell'uranio, costruendo una civiltà tecnologicamente tanto avanzata. L'ossigeno viene riprodotto da ampie colonie di alghe verdazzurre installate nel modulo centrale, ma anche la serra con i suoi metri quadrati di verde dà il suo contributo. Ogni rifiuto e residuo organico viene appositamente riciclato, e l'acqua depurata; i resti organici servono da nutrimento alle alghe verdazzurre, dopo essere stati demoliti in molecole semplicissime. Quanto al cibo, nel corpo centrale della Ulysses I sono stipate provviste per anni sotto forma di proteine sintetiche, ma Annamaria, che tra l'altro ha l'hobby del giardinaggio, conta di variare la nostra dieta grazie ai prodotti della serra. Meno male, affermo io, perchè comincio fin d'ora a rimpiangere la cucina italiana cui mia moglie mi aveva abituato sulla Terra. Ho accennato la cosa al dottor Santana, domandandogli:
"Dì, Jeford, credi che questa nostalgia degli spaghetti al pomodoro sia un sintomo preoccupante per me?"
"Oh no", ha risposto il nostro psicologo: "Significa solo che tu sei l'incrocio tra un brontolone cronico ed un golosone inguaribile, con una spiccata tendenza alla repulsione verso quella sbobba sintetica che saremo costretti a sorbirci per anni."
(Secondo voi mi ha dimostrato la sua solidarietà o ha voluto prendermi in giro?)

20 novembre 2172

Ormai sono passate tre settimane dalla nostra partenza, e stiamo per entrare nella fascia degli asteroidi, quella regione del sistema solare dove le interazioni combinate di Marte e Giove impedirono la formazione di un dodicesimo pianeta (ai sei pianeti conosciuti fin dall'antichità si sono aggiunti Urano nel 1781, Nettuno nel 1846, Plutone nel 1930, Eris nel 2009 e Persefone nel 2104). L'altroieri abbiamo già avuto un rendez-vous ravvicinato con l'asteroide Hermes, ed oggi siamo passati nelle vicinanze della base stellare McPherson, intitolata all'astronomo che scoprì il pianeta Persefone e orbitante intorno al Sole per lo studio delle traiettorie degli asteroidi interni. Abbiamo avuto un cordiale colloquio via computer con il comandante della base, che si è detto quasi invidioso della missione verso le stelle da noi intrapresa, ma lui non può certo immaginare che, dopo soli 26 giorni di viaggio, io già invidio lui che resta entro i rassicuranti confini del sistema solare. Naturalmente però mi sono guardato bene dal dirglielo.
Questi mesi non sono certo privi di occupazioni e di preoccupazioni, perché io ed i miei colleghi siamo impegnati a calibrare il motore a curvatura in vista del prossimo balzo verso l'ignoto; per questo, per ben due volte ho percorso uno dei condotti che collegano il modulo abitativo al corpo centrale della Ulysses I in compagnia di Annamaria, trovandomi a lavorare direttamente sul motore in condizione di assoluta mancanza di peso. Una condizione tale da inebriare l'essere umano, divenuto leggero come una piuma e libero dalle catene della gravità, ma che a me provoca sempre un po' di voltastomaco. E dire che mia moglie s'è portata dietro delle caramelle vitaminiche, continuava a sgranocchiarle come una mucca al pascolo mentre lavorava, ed insisteva per volermene offrire... ancora un po' ed i liquidi del mio stomaco avrebbero rischiato di danneggiare i delicatissimi circuiti elettroneurali del motore a curvatura!

28 novembre 2172

Verdammt! Quando sono stato selezionato per questa storica missione ho pensato che avrei dovuto affrontare tutti i possibili inconvenienti, dallo scontro con una cometa che avrebbe trasformato la Ulysses I in un colossale fuoco d'artificio cosmico all'invasione della nave da parte di virus alieni che mi avrebbero divorato da dentro dopo avermi fatto coprire di pustole come un trancio di pizza alle verdure. Avevo pensato anche di ammalarmi di peste da radiazioni, una forma di leucemia devastante detta anche "lebbra spaziale" che colpisce gli astronauti a cui si è guastato l'impianto di deflessione dei raggi cosmici. Per fortuna quest'ultima eventualità è scongiurata dal fatto che ben tre impianti tra loro indipendenti generano due campi magnetici sovrapposti, uno toroidale ed uno poloidale, il cui effetto è una serie di linee di forza magnetiche che avvolgono tutta la sezione abitativa ed anche il corpo centrale, deviando ogni particella carica proveniente dalle profondità dello spazio così come un tennista ribatte il servizio dell'avversario, ma lascia il campo all'interno delle suddette strutture sotto il livello degli 0,01 Tesla. Questo schermo magnetico che ci salva dai raggi cosmici, e che ci sarà particolarmente utile per deviare le radiazioni nocive durante il viaggio attraverso il tunnel spaziale da noi stesso aperto (ammesso che si apra... sob), è stato testato così tante volte, che è più probabile che noi moriamo per indigestione da proteine sintetiche, che di lebbra spaziale. Allora, mi direte voi, non devo preoccuparmi di nulla dal punto di vista tecnico? Purtroppo no perchè, come dicevo, da tutto pensavo che avrei dovuto guardarmi, fuorché dai miei stessi... indumenti. Infatti gli abiti che indossiamo, in genere una giubba unisex bianca con una U sopra grande quanto tutto il petto (U come Ulysses) e dei pantaloni anch'essi unisex in parte bianchi e in parte azzurri, sono realizzati con una speciale resina acrilica, che il tenente Ishimura mi ha assicurato essere antitaglio, antifuoco, antigelo, antistrappo, antitutto insomma; eppure, mi sono accorto con rammarico che la mia pelle sopporta assai malvolentieri il contatto con questo tessuto, e comincia a presentare arrossamenti e piccoli brufoli purulenti. Finora non ho detto nulla ai colleghi, eccezion fatta per Annamaria che naturalmente ha scoperto tutto a letto, per timore di essere canzonato come il prode conquistatore dello spazio che si fa mettere K.O. da un tessuto sintetico di qualità scadente; ma presto o tardi dovrò vuotare il sacco almeno con il dottor Santana, se non voglio che il mio viaggio astrale si trasformi prematuramente in un viaggio... disastrale!

30 novembre 2172

Oggi sono entrato nell'alloggio privato del dottor Santana per chiedergli una pomata emolliente contro le irritazioni provocatemi da questi accidenti di abiti sintetici, e stranamente l'ho scoperto armeggiare attorno al ripostiglio dei suoi effetti personali. Aveva in mano quello che sembrava un cilindro di plastoresina lucido come acciaio, lungo circa trenta centimetri e con due emisfere alle estremità; l'ho potuto vedere solo per pochi secondi, ma apparentemente mi sembrava privo di aperture; inoltre ho avuto l'impressione che Jeford lo maneggiasse con estrema attenzione, come se stesse controllando periodicamente che fosse integro. Subito gli ho domandato con aria ilare:
"Ehi, dottore, ti sei portato qualche strano apparecchio segaossa per curarci meglio quassù nello spazio?"
Appena si è reso conto che avevo visto lo strano contenitore, tuttavia, Jeford si è affrettato a ritirarlo dentro il cassetto in cui era alloggiato, lo ha richiuso, ci ha messo la schiena contro ed ha brontolato:
"Oh, nulla, nulla, non farci caso: tu di quegli strumenti non ci capiresti un'acca. Dimmi, qual è il problema?"
Più tardi ho riferito il fatto ad Annamaria, chiedendole cosa ci nasconderà mai il nostro psicologo, ma lei mi ha liquidato con la sua praticità tutta mediterranea:
"Oh, andiamo, dopo la paranoia da spazio e la nostalgia da spaghetti, ora stai diventando pure ficcanaso? Franz, non sappiamo quanto tempo dovremo passare qui dentro, tutti assieme, prima di rivedere altri membri della nostra specie; non cominciare a trovare motivi di sospetto nei confronti dei nostri colleghi dopo soli trenta giorni dalla partenza. Lascia che Jeford faccia ciò che vuole, nel suo alloggio, altrimenti sarò io che inizierò a diventare gelosa, pensando che ci vai non per incontrare lui, ma Jenny!"
"Le marziane non sono le mie preferite", ho provato a risponderle io per stemperare la tensione, ma lei si è messa le mani ai fianchi e mi ha rinfacciato parlando in italiano, come fa solo quando è arrabbiata:
"Che è, ora fai pure il razzista? Da te non me lo sarei aspettato, nei confronti di una stimata collega, e bla bla bla bla..."
E così, il nostro primo litigio dall'inizio del viaggio ha avuto la sua ragione d'essere.

6 dicembre 2172

Festa di San Nicola. Secondo le tradizioni del mio paese natio, oggi ai bambini buoni San Nicola, alias Santa Claus, porta i suoi doni in tutto il mondo (in altre culture la munifica distribuzione avviene la notte di Santa Lucia o la notte di Natale o la notte dell'Epifania). In questa lieta ricorrenza si registrano alcuni fatti decisamente positivi e degni di essere scritti in caratteri rossi nel mio diario informatico.
Tanto per cominciare il dottor Santana, naturalmente dopo aver smesso di sganasciarsi alle mie spalle per la mia allergia agli indumenti spaziali, mi ha prescritto una terapia a base di immunopotenziatori che hanno fatto scemare il bruciore fin quasi a cessare. In secondo luogo, l'arrabbiatura che in questi giorni ha guastato i miei rapporti con mia moglie è svaporata come ghiaccio sul rovente suolo di Mercurio. Infatti, per tener fede alla tradizione di San Nicola cui ho accennato sopra, stamattina Annamaria mi ha consegnato un regalino incartato, rivelatosi poi una statuetta raffigurante Galileo Galilei intento ad osservare il cielo con il suo cannocchiale, intagliato a colpi di laser in una pietra particolarmente dura.
"È vera diorite di Ganimede", mi ha spiegato lei giochicchiando con una ciocca dei suoi lunghi capelli. "Non è facile trovarla sul mercato, ma me la sono procurata in rete prima della nostra partenza."
"Apposta per regalarmela oggi?" ho chiesto io.
"Apposta per regalartela oggi", ha risposto lei.
"Ti sarà costato un occhio della testa. Devo intenderla come una chiara volontà di seppellire l'ascia di guerra?"
"Finché viviamo in questo condominio spaziale, metterci a litigare tra di noi è controproducente", l'ha presa alla larga mia moglie, cercando di menare il can per l'aia. "Credo invece che mostrarsi il reciproco affetto in occasione di importanti ricorrenze civili, religiose e personali sia il modo migliore per cementare lo spirito di gruppo, rafforzare la coesione della squadra e..."
A questo punto non ha più potuto continuare a blaterare sciocchezze perchè l'ho baciata.
Ma non è finita qui, perchè durante il suo turno al bagno Annamaria si è attardata in esso più del solito, e quando ne è uscita ci siamo accorti che si era tinta i capelli di un rosso da far invidia alle montagne di Marte. Inoltre,  al posto dei pantaloni che costituiscono la nostra divisa solita, da stamattina la nostra astrofisica ha cominciato ad indossare una minigonna bianca e azzurra che si è fatta confezionare su misura con lo stesso materiale delle tute.
"Soffri di anossia che ti provoca euforia ed eccitazione, o semplicemente trovi anche tu irritante sulla pelle il tessuto delle tute, per solidarietà con tuo marito, e hai deciso di ridurre la sua superficie?" le ha chiesto divertito il comandante Kenno. Tuttavia Annamaria si è fatta seria ed ha risposto con convinzione dichiarando che così si sente molto più sexy, che per me vuol continuare ad essere una moglie e non solo una collega scienziata, e soprattutto che non vuole cessare di essere una donna solo perchè presto si troverà a qualche anno luce da casa sua. Credo che il tenente Ishimura la invidi un po', e che forse si sarebbe già fatta prestare una minigonna, se l'educazione militare non la facesse sentire a suo agio solo con i pantaloni. Invece Jenny Hawkins ha dichiarato che non indosserà mai una gonna in vita sua: "La gonna è terrestre, i pantaloni marziani", ha dichiarato con quella sua spocchia tipica dei coloni del Pianeta Rosso (noi terrestri diciamo che chi vi abita ci vede rosso come i tori).
"Ora chi è il razzista?" mi sono immediatamente premurato di far notare io alla mia dolce metà, la quale si è morsa un labbro ed è diventata di tutti i colori degli anelli di Saturno, ma non ha spiaccicato parola per non darmi soddisfazione. Semplicemente, si è rivolta alla nostra xenoecologa arricciando il naso con una studiata aria schifata:
"Quanto a me, non terrei mai appiccicato all'orecchio quel volgare orecchino marziano che voi tutte di Olympia esibite come un trofeo di guerra", ha garrito, riferendosi al vistoso e pesante orecchino che tutti gli abitanti delle colonie marziane, uomini e donne, portano agganciato al lobo dell'orecchio destro, e che tramite catenine si riaggancia poi verso l'alto sulla parte superiore del padiglione.
"Addosso a te, sembrerebbe una pelle di tigre addosso ad un asino", ha reagito con stizza  la dottoressa Hawkins, come probabilmente Annamaria si aspettava. La reazione di quest'ultima potete immaginarla, e così io e Santana abbiamo dovuto afferrarle e dividerle prima che cominciassero a strapparsi i capelli e i vestiti come due scolarette che litigano per lo stesso ragazzino. Risultato: per qualche giorno Annamaria e la sua "stimata collega" lavoreranno alle estremità diametralmente opposte dell'unità abitativa; ora l'eventuale irritazione di mia moglie dovuta all'inconfessabile timore per il salto nel wormhole si è trasferita da una reazione irosa contro di me ad una contro la collega di Marte; e così, grazie a Dio, sul nostro litigio di una settimana fa è stata definitivamente messa una pietra grande come l'asteroide Cerere.
Devo ringraziare San Nicola, il dottor Santana o la dottoressa Hawkins? :-)

19 dicembre 2172

Grazie al Cielo Annamaria e Jenny hanno fatto la pace, con la mediazione determinante del sottoscritto. Invero si tratta di una pace armata, perchè mia moglie ha promesso solennemente, come proposito natalizio, di non insultare mai più l'ingombrante orecchino marziano della sua rivale, ma in segno di aperta sfida ha cominciato ad indossare due vistosi e terrestrissimi pendenti d'oro, affermando spudoratamente di farlo solo perchè le ricordano sua mamma che glieli ha regalati; dal canto suo la geologa del gruppo ha a sua volta giurato che si asterrà da punzecchiature nei confronti di noi terrestri, ma nel suo laboratorio ha esposto in bella evidenza la bandiera della repubblica marziana, costituita da tre bande verticali rossa, verde e blu, suggerita dalla trilogia di fantascienza "Red Mars", "Green Mars" e "Blue Mars" dello scrittore Kim Stanley Robinson: i tre colori vogliono simboleggiare il sogno, cullato dai coloni marziani, di trasformare Marte da un pianeta arido (rosso) ad uno che possa sostenere la vita (verde), e finalmente ad un pianeta completamente terraformato con specchi d'acqua ad aria aperta sotto un cielo azzurro (blu).
Tutti noi abbiamo capito che la convivenza delle due scienziate sulla Ulysses I sarà un po' burrascosa, ma personalmente io credo che questa affermazione valga per tutti noi sei membri dell'eterogeneo equipaggio della prima nave interstellare della storia umana, poiché ho sentito il comandante Kenno litigare più volte con sua moglie Aiko da quando ci siamo staccati dalla base Carl Sagan. È stupefacente quanto quei due siano affiatati e solidali allorché si trovano ai comandi della nave o allorché studiano con precisione l'andamento della rotta tracciato dai radiofari in orbita marziana e gioviana, eppure quanto siano litigiosi e imprevedibili allorché vivono insieme come marito e moglie. Mi sono spinto addirittura a credere che, se non fossero stati designati a pilotare la medesima nave, avrebbero già divorziato da un pezzo. Un vecchio luogo comune dice che un africano e un'orientale costituiscono un'accoppiata molto arrischiata, ma io so di casi simili che non hanno mai palesato alcun problema di convivenza: non sono più i tempi della guerra nel Vietnam, ed oggi il sistema solare è un villaggio globale in cui genti appartenenti a razze diversissime contraggono matrimonio e danno vita a generazioni di sangue misto: alcuni si sono spinti ad ipotizzare che ciò provocherà, nel corso dell'evoluzione, la nascita di un'unica razza umana con tratti intermedi. Si pensa anche che ciò inaugurerà un'era di pace universale, cui saranno sconosciute le guerre tribali e di religione; ma, se anche sarà così, certo Obamori e Aiko non rappresentano il prototipo di quella stirpe. Forse aveva ragione Annamaria quando mi diceva, una di queste sere prima di addormentarsi tra le mie braccia, che la nostra, più che una nave, è una polveriera.
"Possibile che i test psicoattitudinali cui ci hanno sottoposti prima della partenza non abbiano rivelato questo aspetto conflittuale delle nostre personalità? Dopotutto per una missione come la nostra è di vitale importanza la perfetta coesione dei membri del gruppo."
"Non sono un medico, ma credo di conoscere la risposta, tesoro", le ho spiegato io. "Quei test hanno investigato solo il nostro affiatamento quando si tratta di lavorare insieme, ma si sono scordati che noi quassù, oltre che lavorare, dobbiamo anche VIVERE assieme. La Ulysses I è come un condominio spaziale nel quale si scontrano le nostre diverse estrazioni, caratteri, inclinazioni, sensibilità. Ma forse proprio l'aspetto più litigarello delle nostre individualità sarà utile alla buona riuscita della nostra missione."
"Cosa vuoi dire?"
"Che proprio la rivalità esistente tra di noi ci potrà spingere a dare il meglio di noi, per mostrare a tutti gli altri ciò che siamo capaci di fare. Qual è una delle molle principali che spingono la condotta umana? La volontà di affermare se stessi nella società. Ma presto l'unica società che noi conosceremo sarà formata da noi sei abitanti di questa modernissima astronave, unico avamposto della civiltà umana oltre i confini del sistema solare. E così, noi vorremo affermarci gli uni sugli altri, non già prevaricandoci a vicenda, ma piuttosto sforzandoci di fare il possibile per mostrare chi è il più bravo nella sua professione. Se sapremo incanalare la nostra rissosità in questa direzione, la spedizione è destinata a sicuro successo."
"Se non sarà così", ha risposto Annamaria abbracciandomi, "possiamo sempre cercarci sei sistemi planetari distinti sui quali installarci permanentemente, senza più avere a che fare gli uni con gli altri. Di una cosa però puoi star sicuro, Franz: anche se litighiamo spesso come due fidanzatini, voglio che tu sappia che io mi stabilirei sullo stesso pianeta scelto da te."
A quel punto abbiamo fatto l'amore e non c'è più stato spazio per discussioni sociologiche di sorta.

24 dicembre 2172

Vigilia di Natale. Per festeggiare la ritrovata armonia tra di noi (almeno fino all'esplosione della prossima bomba ai neutroni), io ed Annamaria abbiamo estratto dalla serra un giovane esemplare di Pinus silvestris, lo abbiamo installato in una cultura idroponica in un angolo della mensa e lo abbiamo decorato con nastri rossi e materiale d'imballaggio la cui consistenza ricorda vagamente la bambagia. Mia moglie ha poi fabbricato nell'officina una serie di stelline di polimero dal colore dorato, che abbiamo appeso ai rami, ed una più grossa che abbiamo collocato sulla sommità, ottenendo un albero di Natale spaziale in piena regola.
"Cos'è quella caricatura di stella che avete messo in cima a quel povero albero?" ha subito voluto ficcanasare Jenny Hawkins.
"Rappresenta la stella cometa che apparve su Betlemme per annunciare ai Magi la nascita di Gesù Bambino", ha spiegato pazientemente Annamaria Vandoni, che è di origini venete e dunque attaccatissima alle sue radici cristiane. Jenny ha però inclinato la testa di lato, come per guardare l'albero da una diversa prospettiva, ed ha commentato con la sua alterigia tutta marziana:
"Lo sai, vero, che se una cometa si fosse avvicinata così tanto alla città di Betlemme, essa avrebbe fatto la fine di Tunguska, colpita da un nucleo cometario ed annientata nel 1908, e ai Magi non sarebbe rimasto nessuno cui regalare oro, incenso e mirra?"
Il volto di Annamaria si è rabbuiato come una tempesta nell'atmosfera venusiana, ed io ho capito che stava per ficcare la marziana in cima a quell'albero; così le ho pestato un piede, lei è riuscita a trattenersi e ci ha pensato Santana a disinnescare la bomba:
"Suvvia, amore, non troverai appigli per litigare anche la notte di Natale? Lo sai quanto me che quello della cometa è solo un racconto popolare, e che la storicità dell'episodio dei re Magi per noi è irraggiungibile. Ciò che conta è il fatto che Gesù è nato ed ha attirato a sé tutti gli uomini, rappresentati dai tre sapienti provenienti dalla Persia, dall'India e dall'Arabia, per annunciare loro il proprio messaggio d'amore: pace in terra agli uomini di buona volontà."
"Molto bello: peccato che poi sono venute le Crociate, l'Inquisizione e le guerre di religione", ha bofonchiato la Hawkins, tormentandosi l'orecchino marziano. Subito dopo però lei stessa ha cambiato registro:
"Ma, dopotutto, tutto questo è finito da anni e anni, ed oggi le religioni convivono in pace tra di loro e con i non credenti come me. Credete che il messaggio si possa anche tradurre: Pace su Marte a tutti i coloni di buona volontà?"
Non solo la nostra collaboratrice marziana, ma anche il comandante e il suo numero due sembrano essere stati contagiati dallo spirito natalizio, perchè da giorni non li sento litigare quando sono fuori della sala comandi: se non si tratta solo della quiete che precede la tempesta, lo spirito del Natale ha raggiunto anche l'astronave più moderna e meglio equipaggiata mai costruita dall'uomo; e questo è certamente da imputare alla straordinaria attualità del messaggio evangelico, anche a ventidue secoli di distanza dalla prima volta in cui risuonò, cantato dagli angeli, nei cieli di Giudea.

18 gennaio 2173

Oramai il viaggio verso Giove sta volgendo al termine: il gigante del sistema solare è ormai visibile dritto di poppa, e già ci hanno dato il benvenuto gli scienziati della base Jupiter su Himalia, uno dei satelliti esterni del grande pianeta, che ci hanno inquadrato sui loro radar. Purtroppo non potremo fermarci in quella base scientifica perchè la nostra permanenza presso Giove durerà solo poche ore, il tempo necessario a ricevere la spinta che ci porterà fuori dai confini del sistema solare. Là, verrà il momento di provare la propulsione a wormhole; ed è per questo che, fin da Capodanno, abbiamo intensificato la messa a punto del gingillo che, se tutto andrà bene, ci porterà a battere il record assoluto di distanza dal Sole raggiunta da un equipaggio umano, sinora detenuto dal colonnello Kadomsev che nel 2145 è giunto, con due compagni, oltre l'orbita di Plutone per studiare gli oggetti della cintura di Kuiper.
Dato che probabilmente chi legge ha poca dimestichezza con le ardite speculazioni fisiche con cui ha invece familiarità il sottoscritto, vale la pena illustrare brevemente il funzionamento di questo motore.
Fin dall'alba dei viaggi spaziali si è pensato ad una spedizione interstellare fino alle stelle più vicine, ma questo richiede di superare distanze inimmaginabili per i nostri standard terrestri. Alpha Centauri, la stella più vicina al Sole, dista da esso 5.000 volte più di Persefone, il pianeta più remoto, 8.000 volte più di Plutone e 270.000 volte più della Terra. Alla massima propulsione ionica occorrerebbero oltre duemila anni per raggiungere quell'astro; perciò per esplorare i sistemi planetari finitimi occorre un tipo di propulsione transluce. Assodato che i propulsori convenzionali non possono sfondare la barriera della luce imposta da Einstein quasi 270 anni fa, occorreva un vettore di tipo nuovo. Le possibilità sono tre:
a) sfruttare l'iperspazio, cioè le sette dimensioni "arrotolate" richieste dalle teorie di Unificazione delle forze elaborate a metà del XXI secolo, secondo cui il nostro universo deve possedere 11 dimensioni. Tre sono quelle spaziali ordinarie, una è quella temporale ordinaria, le altre sette sono racchiuse in ipersfere eptadimensionali associate ad ogni punto del cronotopo e grandi come la lunghezza di Planck (10 alla meno 43 metri). Vari sono stati i tentativi finora per "infilarsi" dentro questa vera e propria cruna dell'ago, ma nessun esperimento ha mai dato gli esiti sperati, e l'iperspazio a 7 dimensioni resta per noi off limits.
b) un motore a curvatura, cioè capace di distorcere lo spazio davanti a sé per far apparire più corte le distanze; o, se preferite, di "allungare" la nave a dismisura per ottenere lo stesso risultato. Si tratta del sogno della famosa serie di fantascienza "Star Trek", nata alla fine del XX secolo ed entrata nella storia della fantasia umana. Purtroppo anche in questo caso gli esperimenti condotti non hanno dato alcun esito: una navicella basata su un prototipo di motore a curvatura battezzata "Phoenix" come la corrispettiva nella saga di Star Trek è stata lanciata nel 2055 senza equipaggio, ma è stata subito disintegrata da forze mareali fuori controllo. Da allora si è deciso di abbandonare questo filone e di tentare con...
c) un motore a wormhole ("galleria di verme"), capace di aprire un tunnel spaziale tra due punti assai lontani dello spazio-tempo-energia, in cui la nave può infilarsi come in un "passaggio segreto" tra i mondi. La convinzione è che tali wormhole siano comuni, ma troppo piccoli ed instabili per poterli sfruttare. Lo scopo del motore cui io ed Annamaria abbiamo dato il nostro contributo è quello di individuare uno di questi tunnel, curvare lo spazio (usando parte della tecnologia della "Phoenix") ed allargarlo fino a poterci entrare. Naturalmente una distorsione spazio-temporale di solito richiede un campo gravitazionale colossale, che manderebbe in pezzi la Ulysses I com'è accaduto alla Phoenix, ma la mia idea è stata quella di usare non gravitoni ordinari, bensì gravitini, esotiche particelle supersimmetriche costituenti la materia oscura, che distorcono lo spazio in presenza di campi assai meno intensi. I gravitini purtroppo hanno corto raggio e non possono essere usati per un motore a curvatura; ma, focalizzando opportuni fasci di gravitini in un punto posto circa 500 metri a prua della Ulysses, dovremmo riuscire ad aprire un tunnel nel quale infilarsi dopo essere stati protetti da una "bolla" anch'essa fatta di neutrini. Una volta entrati il pericolo cessa, a meno di urtare le "pareti" del tunnel, cosa scongiurata dai giroscopi al plasma e dai puntatori interferometrici; si ripresenta al momento di uscire, ed ecco perchè è necessario ricorrere ad una nuova "bolla" di neutrini. Grazie al Cielo i neutrini possono essere prodotti in quantità da una reazione secondaria del motore quantico, per cui non dovremmo avere problemi ad ottenere questa bolla. Tuttavia è da mesi che eseguo calcoli per l'esatta calibratura dei focalizzatori gravitinici, perchè come ho detto basta un errore piccolissimo, e saremo disintegrati come un guscio d'uovo colpito da un micrometeorite. Il rischio è alto ma valeva la pena di correrlo, pur di tentare il "folle volo", come Dante Alighieri chiamò il viaggio del suo Ulisse al di là di quella "foce stretta / dov'Ercule segnò li suoi riguardi, / acciò che l'uom più oltre non si metta", come mi recita spesso la mia bellissima moglie italiana. Ce la faremo? In ogni caso, prima di tentare l'apertura del wormhole lancerò una sonda automatica contenente i miei calcoli e una copia di questo diario: gli amici della base Jupiter di Himalia saranno pronti a raccoglierla e ad inviarla sulla Terra, cosicchè, se la nostra missione si rivelerà un fiasco e noi saremo stritolati dallo stesso giocattolo cosmico con cui abbiamo avuto l'ardire di giocare, almeno altri potranno giovarsi del mio lavoro, e conoscere le mie speranze e le mie paure.
(Mentre scrivo questo sto facendo i debiti scongiuri, ma per fortuna il diario informatico non li registra)

[Nota dell'Autore: Il contenitore misterioso in plastoresina di cui il dottore è particolarmente geloso ed attento nel maneggio in realtà non è privo di aperture. Contiene, in atmosfera controllata e sigillata, una bottiglia di vino con cui brindare allo sbarco sul  primo pianeta abitabile. Sarà stappata invece alla nascita del figlio di Franz e Annamaria]

[continua]

William Riker


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