Misteri (o no?!?) d'Italia

di Demofilo


Ecco a voi una serie di ucronie da me ideate, ed intitolate "Misteri (o no?!?) d'Italia". I temi di cui tratterò sono: la strage a Portella della Ginestra il 1 maggio 1947 ne "L'evitata strage a Portella della Ginestra"; l'annunciato disastro del Vajont ne "La (smantellata) diga del Vajont"; il colpo di stato estivo del generale Giovanni De Lorenzo ne "La Notte della Repubblica (che poi dura un'estate...)"; la scarcerazione di Aldo Moro ne "La Sindrome di Padre (Aldo Moro) Spiridon"; il secondo colpo di stato, operato questa volta dall'ex-fascista Junio Valerio Borghese ne "Il Golpe dell'Immacolata"; una trattazione particolareggiata di quelli che furono gli Anni di Piombo, gli anni cioè del terrorismo politico di matrice nera e rossa; la morte di Enrico Mattei; il cosiddetto "Golpe Bianco" di Edgardo Sogno ne "Il sogno di Sogno"; la Loggia P2; il Rapimento di Giulio Andreotti da parte delle BR; il Caso Sindona; la vicenda di Telekom Serbia; i fatti del G8 di Genova avvenuti nel luglio 2001. Ad ogni modo vorrei specificare che questa serie di singoli episodi ucronizzati, che prendono naturalmente spunto da fatti storici, non ha un collegamento cronologico. Ogni episodio è stato cioè pensato e scritto singolarmente senza intrecci.

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1) L'evitata strage a Portella della Ginestra

20 aprile 1947: la Sicilia al voto per l'elezione dell'Assemblea Regionale. Lunghe file fuori dai seggi, costituiti in tutti i comuni dell'isola, nelle sedi municipali e nelle aule delle scuole elementari. Si presentano al confronto elettorale la Democrazia Cristiana, il Blocco del Popolo (Partito Socialista e Partito Comunista), il Fronte dell'Uomo Qualunque, il Partito Nazionale Monarchico, il Movimento Sociale Italiano, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano e la lista del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, partito autonomista guidato dall'avvocato Andrea Finocchiaro Aprile. La forte affluenza, soprattutto, da parte di operai e contadini, favorì il Blocco del Popolo mentre era sfumato un tentativo di unificare tutte quelle forze che si opponevano alle sinistre.

22 aprile 1947: gli uffici del Palazzo del Viminale a Roma, sede del governo e del ministero dell'interno, ricevono dalle prefetture sicule i dati delle consultazioni, relatizi all'affluenza e alle preferenza. Nel primo caso si era stata superata quota 97 registrata durante le votazioni del 2 giugno, raggiungendo il 98,7% dei siciliani e delle siciliane, mentre nel secondo caso il risultato era storico: il sorpasso era avvenuto. Il Blocco del Popolo, esperimento voluto dalle segreterie socialista e comunista dell'isola, aveva conquistato la maggioranza relativa con il 45,9% dei voti e 29 seggi mentre la Democrazia Cristiana si fermava al 40,2% con 24 seggi. Terza e unica lista che era riusciva a conquistare i 3 seggi rimanenti era il Movimento Indipendentista con 10, 9%. Grandi festeggiamenti nelle piazze di Palermo dove sventolano le bandiere rosse con la falce, il martello e il "Sole dell'Avvenire".

23 aprile 1947: riunione segreta nello studio del ministro dell'interno Mario Scelba con l'avvocato Finocchiaro Aprile, il colonello Ugo Luca capo delle forze militari antiseparatiste presenti sull'isola ed Ettore Messana, ispettore di polizia di San Giovanni Jato, provincia di Palermo. Il ministro, esponente di rilievo all'interno del partito dello scudo crociato e principale leader democratico cristiano in Sicilia, è rovente per la sconfitta del partito a vantaggio dei socialcomunisti. Le sue accuse sono contro il presidente del consiglio, Alcide De Gasperi, principale ostacolo nella possibile alleanza del partito bianco con le destre monarchiche, qualunquiste e neofasciste e con gli autonomisti di Finocchiaro Aprile. Quest'ultimo dichiarò la sua possibile intesa futura con lo scudo crociato e sottolineo le sue preoccupazioni per la situzione nell'isola in particolare per una possibile rivolta contro i latifondisti da parte dei braccianti, una tensione che poteva sfociare in una vera e propria guerra civile. I due militari confermavano tale stato e ipotizzavano misure speciali per evitare disordidi di vario tipo. Scelba però e furente e continua a sbattere le cartelle in pelle che contengono i risultati delle elezioni in Sicilia sul tavolo del suo studio con veemenza.

25 aprile 1947: Secondo Anniversario della Liberazione. Grande manifestazione del Partito Socialista e del Partito Comunista a Piazza San Giovanni a Roma; circa tre milioni di italiani e di italiane si recano nella capitale per partecipare alla manifestazione che festeggia anche i vittoriosi risultati della tornata elettorale del 20 aprile 1947. Sul palco Pietro Nenni e Palmiro Togliatti ricordano la "grande vittoria del popolo e dei lavoratori siciliani" e annunciano una nuova grande stagione di cambiamenti e di radicale rinnovamento nell'isola. Al termine delle manifestazione Togliatti ricorda che il 1° maggio in ogni piazza della penisola sarebbero scese di nuovo "le forze del popolo" per la Festa del Lavoro: il segretario comunista chiede che in ogni manifestazione popolare venga ricordata la "grande vittoria del 20 aprile" e la "grande manifestazione del popolo siciliano" che il Blocco del Popolo ha deciso di organizzare quel giorno a Portella della Ginestra, località in provincia di Palermo, nei pressi della Piana degli Albanesi.

26 aprile 1947: Scelba convoca nel suo ufficio al Palazzo del Viminale Finocchiaro Aprile per un colloquio riservato su un progetto che da tempo aveva in mente. Il ministro dell'interno infatti già da mesi aveva seri dubbi sulla vittoria del suo partito alle elezioni regionali siciliane ed aveva organizzato un piano contro le sinistre in caso si vittoria, azioni militari mirate che dovevano far capire alla popolazione dell'isola di non poteva essere particolarmente sicura con la nuova amministrazione socialcomunista. In particolare Scelba aveva organizzato un vero e proprio piano eversivo che consisteva in una vera e propria repressione durante la manifestazione per la Festa del Lavoro che il Blocco del Popolo avrebbe organizzato a Portella della Ginestra. Il ministro aveva assicurato che in dotazione avrebbe fornito ai partecipanti all'intervento militare lancia granate Special Weapons e una dotazione di nove mitra Beretta calibro 9; naturalmente l'avvocato Finocchiaro Aprile doveva fornire il materiale umano. Il leader del MIS mise sul piatto della trattativa la successiva autonomia dell'isola con l'appoggio del governo e la successiva insabbiatura dell'inchiesta che sarebbe scaturita dopo i fatti provocati durante la manifestazione delle sinistre; Finocchiaro Aprile chiedeva inoltre la cancellazione di ogni tipo di operazione militare del governo contro l'Esercito dei Volontari per l'Indipendenza. Il patto Scelba-Finocchiaro Aprile era stretto.

28 aprile 1947: Finocchiaro Aprile incontrava in una piccola saletta del Teatro Massimo di Palermo Salvatore Giuliano, leggendaria figura che aveva partecipato alla liberazione della Sicilia durante il recente conflitto e colonnello dell'Esercito Separatista Siciliano. Inizialmente il "bandito Giuliano" si schiera contro questa intesa tra gli autonomisti e Scelba poiché non crede in tale patto e soprattutto nella linea moderata portata avanti da Finocchiaro Aprile; il colonnello siculo cita infatti la morte dell'avvocato Antonio Canepa, capo del MIS e dell'EVIS, ucciso il 17 giugno 1945 a Randazzo da reparti dell'esercito italiano. In secondo luogo viene ricordato che il Movimento aveva persino offerto la corona dell'isola a Umberto II una settimana prima del referedum istituzionale, tenutosi il 2 giugno 1946: per Salvatore Giuliano quindi si andrebbe contro i principi e progetti stessi del MIS compiendo un'alleanza con Scelba in funzione anticomunista e antisocialista. Per Giuliano "non si possono offrire le proprie mani in un agguato senza avere rassicurazioni certe di una successiva possibile copertura da parte del governo". Il segretario del partito autonomista siciliano non batte ciglio e la sera stessa telefona a Scelba per avere nuove assicurazioni sul caso; durante la notte nella sede del MIS a Palermo si incontra nuovamente con Giuliano, con il colonnello Luca e l'ispettore Messana.

29 aprile 1947: nel tardo pomeriggio a Palermo arriva lo stesso ministro dell'interno Mario Scelba e, dopo gli incontri istituzionali e in prefettura, ha cinque ore di discussione con l'avvocato Finocchiaro Aprile, altri responsabili delle forze dell'ordine presenti nella città e nella provincia. Successivamente ha mezz'ora di faccia a faccia con Salvatore Giuliano con il quale firma un vero e proprio contratto che ribadisce l'intesa Scelba-Finocchiaro Aprile. Nella notte alcune casse di legno particolarmente pesanti arrivano nella sede del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia.

1 maggio 1947: Festa del Lavoro. Circa duemila contadini ed operai siciliani, si ritrovano a Portella della Ginestra, provincia di Palermo, situata nei pressi della Piana degli Albanesi, per partecipare alla grande manifestazione organizzata dal Blocco del Popolo vincitore delle elezioni regionali svoltesi undici giorni prima. Dopo i discorsi di Placido Rizzotto e Pio La Torre del sindacato della Confederazione Generale del Lavoro, del Partito Socialista e del Partito Comunista la manifestazione viene interrotta per il malore di un vecchio militante socialista Raffaele Prestigiacomo. I circa duemila partecipanti si spostano sotto Palazzo Orleans, sede del governo regionale siciliano dove vengono terminati gli interventi e tutto termina con le note dell'Internazionale. Intanto a Portella della Ginestra arriva il gruppo dei dieci soldati dell'EVIS guidati da Salvatore Giuliano, equipaggiati di tutto punto con le armi fornite da Scelba, ma non trovano più nessuno: l'azione militare è fallita. Qualcuno ipotizza uno spostamento delle procedure nella città stessa ma tale proposta è bocciata per evitare possibili nuovi testimoni contro i partecipanti all'attentato. Intanto, mentre il gruppo sta lasciando Portella della Ginestra, arriva una pattuglia delle forze armate dell'esercito italiano inviate nell'isola contro il fenomeno del banditismo e dell'illegalità dei gruppi separatisti. A capo della pattuglia c'è un giovane caporale, Carlo Alberto Dalla Chiesa, che ha con questi un piccolo scontro a fuoco e la cattura di un paio di soldati dell'EVIS e del loro stesso capo, Salvatore Giuliano.

2 maggio 1947: nel carcere militare di Palermo iniziano gli interrogatori al "bandito Giuliano" e alla sua banda cattura il giorno precedente a Portella della Ginestra. Il colonello dell'Esercito dei Volontari per l'Indipendenza della Sicilia dopo dieci ore di faccia a faccia con Dalla Chiesa svuota il sacco e porta alla luce una copia del patto con il ministro Scelba che riferiva di un possibile attentato organizzato contro la manifestazione sindacale e del Blocco del Popolo proprio a Portella della Ginestra durante la manifestazione per la Festa del Lavoro. Naturalmente il giovane Dalla Chiesa si trova davanti una patata bollente che rischia di far esplodere un caso nazionale; venuti a sapere di quanto era accaduto il giorno precedente e dell'arresto di Giuliano, il colonnello Luca e l'ispettore Messana intervengono per bloccare la testimonianza del colonnello dell'EVIS e insabbiare tutta la procedura penale. Ma il catturato ha capito che la sua vita terminerà proprio in carcere e non ha più interesse per patti e accordi segreti: fa nomi e cognomi delineando una vera e propria rete eversiva contro l'unità della Sicilia alla giovane Repubblica Italiana e contro la nuova maggioranza presente all'Assemblea Regionale Siciliana. Tutto crolla.

3 maggio 1947: il ministro dell'interno, Mario Scelba, dopo un'affollata e infuocata conferenza stampa al Palazzo del Viminale, si dimette visto il suo coinvolgimento nella vicenda mentre sono degradati ed arrestati il colonello Ugo Luca e l'ispettore Ettore Messana reponsabili della coperatura e della possibile insabbiatura del caso senza dimenticare la loro politica moderata nei confronti dei gruppi terroristici autonomisti siciliani. Lo stesso Andrea Finocchiaro Aprile viene arrestato per coinvolgimento in operazioni legate alla malavita organizzata di stampo separatista.

5 maggio 1947: il presidente del consiglio Alcide De Gasperi parla della vicenda siciliana durante una seduta dell'Assemblea Costituente a Montecitorio. In questa sede, dopo aver condannato l'operato del suo ex-ministro Scelba, sottolinea che "la nuova carta costituzionale della Repubblica avrà le sue autonomie locali garantite e sostenute dal governo nazionale" e condanna "ogni movimento che mette in discussione l'unità della nostra nazione, faticosamente raggiunta con il Risorgimento e con la Guerra di Liberazione". Nuovo ministro dell'interno è il democratico del lavoro Ivanoe Bonomi.

8 maggio 1947: durante una celebrazione che ricorda il terzo anniversario della fine della guerra in Italia, il presidente della repubblica, Enrico De Nicola conferisce la medaglia d'oro al valor militare a giovane caporale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

9 giugni 1947: si apre nel Palazzo di Giustizia di Palermo il processo per direttissima contro il fallito tentativo di attentato a Portella della Ginestra del 1° maggio 1947: sul banco degli imputati Mario Scelba, Ugo Luca, Ettore Messana, Andrea Finocchiaro Aprile e Salvatore Giuliano. La stampa definisce quest'ulltimo il "pentito".

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2) La (smantellata) Diga del Vajont

Guardando il bellissimo film "Vajont, la Diga del Disonore", regia di Renzo Martinelli, ecco che cosa ho pensato.

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Primavera 1959, nella valle del Vajont la Società Adriatica di Elettricità (la SADE) sta costruendo una diga che punta a garantire al paese 150 kiloWatt di energia. A capo della società abbiamo l'ingegner Carlo Semenza, affiancato dall'ingegner Alberico Biadene e dal vecchio professor Giorgio Dal Piaz, geologo e paleontologo massimo conoscitore delle Dolomiti Orientali. Sul campo, cioè a Longarone, paese veneto adagiato sul fondovalle e bagnato dal fiume Piave, il gruppo di operai è coordinato dal ingegner Mario Pancini, aiutato dal geometra Olmo Montaner.

Nella notte tra il 10 e l'11 aprile 1959 una frana è crollata nel lago artificiale prodotto da un'altra diga a Pontesei, poco distante dalla valle del Vajont; le acque quindi a Roma e a Venezia non sono certo calme. Al ministero del lavori pubblici viene costituita una commissione che dovrà valutare il lavoro e la relativa serietà della SADE nella costruzione della diga, e viene nominato l'ingegner Francesco Penta a capo di questo organismo. Nell'autunno dello stesso anno, sul Monte Toc, si forma una crepa che inizialmente è spessa mezzo metro e che con il passare del tempo si allarga sempre di più; tutto questo mentre il Genio Civile di Belluno, diretto dall'ingegner Pietro Desidera, chiede una perizia sui fianchi della valle e la giornalista bellunese Valentina Merlin pubblica continuamente su "L'Unità" articoli che descrivono come ormai la SADE si sia impadronita di una valle per costruirci un lago, arricchendosi a discapito della povera gente.

Il 12 gennaio 1960, durante un consiglio straordinario nella sede a Venezia, l'ingegner Semenza annuncia che ha dato incarico al figlio Edoardo, geologo e discepolo del professor Dal Piaz, di stilare un'attenta relazione sui fianchi della valle del Vajont. Il 10 marzo 1960 la commissione del ministero dei lavori pubblici arriva a Longarone e visita la diga in costruzione: è composta dall'ingegner Penta, dall'ingegner Alessandro Sensidoni, dall'ingegner Marco Frosini e dall'ingegner Pietro Desidera. In questa sede l'ingegner Desidera ricorda a Semenza, a Biandene e a Penta che sta ancora aspettando la relazione del Genio Civile sui fianchi della valle; Semenza assicura l'arrivo di tale relazione. Il 12 aprile 1960, di fronte alla mancata presentazione del documento, l'ingegner Desidera si reca a Roma, al ministero, per chiedere la sospensione dei lavori per la costruzione della strada di circonvallazione che dovrebbe poggiare sui fianchi del Monte Toc e il completamento della diga stessa. Il ministro, il democratico cristiano Giuseppe Togni, dopo una riunione speciale con i sottosegretari Crescenzo Mazza e Tommaso Spasari, decide di chiedere una dettagliata relazione alla commissione in carica e presieduta da Penta.

Il 26 luglio 1960 intanto cade il governo presieduto da Fernando Tambroni-Armaroli e il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi incarica il democratico cristiano Amintore Fanfani, il quale entra in carica il 26 luglio e sceglie Benigno Zaccagnini come nuovo responsabile del dicastero dei lavori pubblici, sottosegretari Domenico Magrì e il confermato Tommaso Spasari. Questi ultimi decidono di bloccare la compilazione della relazione da parte della commissione, destituisce l'ingegner Penta, che era tra l'altro anche consulente della SADE (Zaccagnini disse a riguardo che "il controllore era pagato dal controllato" ), e chiama a Roma sia Pesidera, a capo del Genio Civile di Belluno, sia il geologo Semenza. Quest'ultimo porta con sé la relazione sui fianchi della valle che parla appunto di una spaccatura sul Monte Toc, un'antica frana preistorica con una massa di duecento milioni di metri cubi, che si era bloccata con il passare degli anni ma che aveva ricominciato a farsi sentire con la costruzione del lago artificiale nella valle del Vajont: una valle che la Merlin definiva "ormai un catino".

Zaccaghini decide di recarsi personalmente prima a Venezia, nella sede della SADE, dove ha un'accesa discussione con l'ingegner Semenza (che tra l'altro si sentirà tradito dal figlio Edoardo), e l'ingegner Biadene. Successivamente parte per Longarone dove riceve le preoccupazioni dell'ingegner Pancini e della popolazione tutta per tale costruzione. Il ministro affida allora al professor Giovanni Ghetti, della Centrale di Nove (Vittorio Veneto), la costruzione di una piscina a forma di valle del Vajont (con scala 1:200), e i risultati non sono certo confortanti. A questo punto il governo si pronuncia negando l'acquisto della diga stessa, e il 13 novembre 1960 Fanfani e Zaccaghini avviano le pratiche per lo smantellamento dell'opera mentre la SADE decide di fare causa al ministero, "che nega la luce agli italiani".

Il 2 marzo 1961 il giudice Fabrizio Fabbri, del Tribunale Civile di Milano, respinge le accuse della società veneziana, e dà piena legittimità all'azione dell'esecutivo. Cominciano i lavori per lo smantellamento della diga, che ormai era stata completata. Il 27 ottobre 1961 muore di morte naturale l'ingegner Carlo Semenza e la presidenza della SADE viene assegnata all'ingegner Alberico Biadene, il quale decide di portare in tribunale il governo, nella persona del ministro dei lavori pubblici Benigno Zaccagnini, il Genio Civile di Belluno, nella persona dell'ingegner Pietro Desidera, il dottor Edoardo Semenza e l'odiata giornalista Valentina Merlin. Il 14 giugno 1961 viene confermata la sentenza precedente, anche grazie alle tante testimonianze di contadini, abitanti del Monte Toc. Il 12 novembre 1961 vengono ultimati i lavori di smantellamento della diga mentre Biadene e Penta vengono accusati dal ministero di falso in atto pubblico relativo a documenti che parlavano delle condizioni geologiche della valle del Vajont, presenti nella sede della SADE di Venezia.

Ad ogni modo nel novembre 1962 viene ufficializzata la chiusura per fallimento della SADE: Biadene e Penta erano stati intanto arrestati per diffamazione e falso in atto pubblico, e resteranno in carcere per soli otto mesi, mentre il professor Giorgio Dal Piaz passa a miglior vita nel dicembre 1962. Il 2 dicembre 1962 intanto nasceva l'Ente Nazionale per l'Elettricità (l'ENEL) che nello stesso statuto ha la seguente formula: "fondamentale è la serietà, la trasparenza, il rigore e la verità in ogni azione fatta da questa società". Il 9 novembre 1963 l'ingegner Mario Pancini, il geomentra Olmo Montaner con la moglie Ancilla, la giornalista Valentina Merlin e il marito e l'ingegner Pietro Desidera si ritroveranno al Bar Piave, nella piazza principale di Longarone, gestito dal vulcanico Pietro Corona, per assistere alla partita, valida per le qualificazioni a Coppa Europa, Real Madrid-Glasgow Rangers e mangiare le "sbrighe", biscotti tipici di Longarone.

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3)  La Notte della Repubblica (che poi dura un'estate...)

Leggendo con attenzione l'ucronia "La Notte dei Generali" di Tony ho voluto anch'io affrescare un possibile colpo di stato nell'estate del 1964:

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L'estate del 1964 è bollente.

Il 26 giugno 1964 il presidente del consiglio Aldo Moro sale al Quirinale, dal presidente della repubblica Antonio Segni, per rassegnare le dimissioni da capo del governo viste le forti divisioni all'interno della sua maggioranza di centro-sinistra nata sei mesi prima. La mancata fiducia che l'esecutivo aveva subito alla Camera dei Deputati era il risultato di numerosi contrasti in seno alla coalizioni riguardantti l'aggravarso della situazione economica dopo gli anni del "Boom Economico". Dopo un incontro con il presidente del consiglio, il segretario del Partito Socialista Democratico Italiano Mario Tanassi aveva dichirato che il governo "in questa situzione non poteva stare in piedi". Moro tenta di persuadere il Partito Liberale per evitare la crisi ma non ci riesce.

Il 29 giugno 1964 la direnzione nazionale della Democrazia Cristiana, vista la netta avversione del Partito Socialista, che chiede elezioni anticipate, decide di riproporre al capo dello stato la vecchia coalizione centrista (Dc, Psdi, Pri e Pli) ma i liberali continuano a rifiuatare. Pietro Nenni, leader del Partito Socialista Italiano, capo delegazione durante le interminabili consultazioni dichiara che il Partito Socialista non vuole che la legislatura continui e preme per un ritorno veloce alle urne.

Il 14 luglio 1964 Segni convoca al Quirinale il generale Giovanni De Lorenzo, comandante dei carabinieri, e il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Aldo Rossi. Il giorno dopo al Quirinale vengono ricevuti il capo della polizia, generale Angelo Vicari e il governatore della Banca d'Italia, dottor Guido Carli.

Il 16 luglio 1964 il presidente del consiglio in carica Aldo Moro viene nuovamente convocato d'urgenza dal presidente della repubblica. L'incontro dura cinque ore e Moro esce particolarmente deluso ed amareggiato comunicando solo di aver rassegnato al capo dello stato i propri poteri. La situazione sembra senza una valida soluzione vicina.

Alle 0:30 del 17 luglio 1964 scatta il cosidetto Piano Solo, così denominato perchè soltanto l'arma dei carabinieri ne era a conoscenza e doveva intervenire. Esso era stato redatto a suo tempo dall'ex-ministro dell'interno Mario Scelba e prevedeva la neutralizzazione delle opposizioni, in particolare quelle del Partito Comunista. I carabineri riescono a mettere a ferro e fuoco la penisola e gli italini si svegliano con la notizia che il presidente della repubblica ha firmato lo stato d'assedio e ha dato massimo poteri al generale Giovanni De Lorenzo, nuovo presidente del consiglio dei ministri. Il colpo di stato era stato naturalmente orchestrato non soltanto dai carabinieri: ad appoggiare De Lorenzo avevamo gruppi di estrema destra e del Movimento Sociale Italiano che erano favorevoli ad una giunta militare.

Il 18 luglio 1964 Giovanni De Lorenzo esautora Antonio Segni, che con un comunicato si dimette per motivi di salute, e assume anche la carica di presidente della repubblica: è l'unico in Italia a comandare. E c'è di più: proclama la nascita della Repubblica Militare d'Italia con una giunta formata da generali, marescialli e colonelli ed un vero e proprio stato di polizia permanente. Vengono arrestati non soltanto i principali leader delle sinistre ma ache quelli dei principali partiti di governi: Benigno Zaccagnini, Amintore Fanfani, Giuseppe Saragat, Aldo Moro, ecc... . Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista, si trova a Yalta per le vacanze e lì rimane dichiarando che è ritonato il fascismo. In quelle stesse ore, mentre De Lorenzo chiude i ponti con la Comunità Economica Europea giustificando tale azione per motivi di sicurezza, nascono i primi gruppi della nuova Resistenza. Il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson e il leader del Cremlino Nikita Kruscev, eccezionalmente (e stranamente) in una nota congiuta dichiarano che l'Italia deve ritornare al più presto una democrazia a tutti gli effetti. De Lorenzo non ha le spalle coperte...

L'8 settembre 1964 con un comunicato viene reso noto che di fronte all'isolazionismo nato intorno all'Italia dopo i fatti del 17 luglio, il generale De Lorenzo (contro il quale era stata persino assirata un'esecuzione dal nuovo CLN) decide di scappare in Brasile. Nell giro di un mese l'Italia ritorna alla normalità. Il 26 ottobre 1964 viene eletto presidente della repubblica il democratico cristiano Aldo Moro mentre le elezioni politiche del 2 novembre 1964 assegnano la maggioranza alle forze del centro-sinistra e Moro chiama al governo il vicentino e democratico cristiano Mariano Rumor.

L'autunno si prospetta freddo...

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4)  La Sindrome di Padre (Aldo Moro) Spiridon

Leggendo con particolare interesse le "Ucrone Morotee" del Marziano, mi ha fatto particolarmente riflettere quella denominata "La Sindrome di Padre Spiridon" che richiama al santo vescovo eremita russo, confessore di zar, che rapito da briganti ebrei, li avrebbe convertiti trasformandoli in buoni monaci. Ecco una breve ucronia che appunto prende spunto dal suddetto lavoro.

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Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, è stato sequestrato dalle Brigate Rosse la mattina della presentazione del primo esecutivo di centro-sinistra, guidato da Giulio Andreotti, con l'appoggio diretto del Partito Comunista di Enrico Berlinguer. Durante la prigionia nella cosiddetta "prigione del popolo", Moro oltre a scrivere il suo memoriale e scagliarsi contro il suo stesso partito, la Democrazia Cristiana, contro la classe dirigente della Repubblica e in particolare contro il ministro dell'interno Francesco Cossiga (il quale dichiarerà "Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro"). Contro di loro nelle sue memorie scriverà appunto che "il mio sangue ricadrà su di loro..."

Di fronte ad un uomo ormai diventato ostaggio di sé stesso, i brigatisti Mario Moretti, Adriana Faranda e altri capiscono che si trovano davanti ad un uomo solo. Le parole del Santo Padre Paolo VI "Uomini delle Brigate Rosse..." e le parole dette dallo statista democristiano durante il cosiddetto processo del popolo li toccano. Moro spiega loro che il terrorismo delle Brigate Rosse non serve a "salvare lo stato dalle mire dei gruppi paramiltari neri e neofascisti legati ai servizi segretari deviati e alle gerarchi militari che progettano possibili golpe contro la repubblica democratica" . Se il loro vero obbiettivo è preservare lo stato democratico, il parlamento e le istituzioni nate dalla Resistenza, non devono indebolirle. In questa straordinaria opera di conversione utilizza due testi che riesce a farsi procurare: le "Idee Ricostruttive della Democrazia Cristiana" firmate Demofilo (pseudonimo usato da Alcide De Gasperi) e "Le Confessioni" di Sant'Agostino: durante vere e proprie lezioni Moro spiega loro il vero e proprio progetto riformatore di De Gasperi e l'ingerenza del clima della Guerra Fredda in Italia anche nelle questioni interne.

Il 9 maggio 1978 Moro viene portato in piazza del Gesù, a Roma, nelle sede della Democrazia Cristiana. In una conferenza stampa, particolarmente affollata, il leader democratico cristiano spiega la sua prigionia e invita tutti a sostenere il governo di unità nazionale che stava nascendo con l'appoggio diretto dei comunisti italiani.

Il 15 giugno 1978 lo stesso Aldo Moro si presenta alle camere, dopo la nomina del presidente della repubblica Giovanni Leone, con un esecutivo che per la prima volta ospita i partiti che furono del Comitato di Liberazione Nazionale: il democratico cristiano Giulio Andreotti ministro degli esteri, il socialista Giuliano Amato ministro dell'interno, il socialdemocratico Franco Bruno al tesoro, economia e finanza, il comunista Giorgio Napolitano al lavoro e politiche sociali, il repubblicano Giovanni Spadolini ministro della grazia e della giustizia e il liberale Valerio Zanone alla difesa. Moro si rifiuterà di raccontare la prigionia fino alla fine dei suoi giorni

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5)  Il Golpe dell'Immacolata

Ecco la terza puntata dei "Misteri (o no?!?) d'Italia" dedicata al cosiddetto tentativo di golpe dell'Immacolata Concezione, organizzato nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 contro le istituzioni democratiche della Repubblica Italiana. Ad orchestrare il tentativo di colpo di stato fu Junio Valerio Borghese, ex-combattente nella Repubblica Sociale Italiana nella temibile X Mas e leader del Fronte Nazionale. Ecco cosa sarebbe successo se...

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Nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 gruppi e militanti della destra extraparlamentare, dei servizi segreti deviati, del Movimento Sociale Italiano e del Fronte Nazionale si riuniscono in alcuni punti precisi della capitale: nel quartiere di Montesacro, nei cantieri del costruttore Remo Orlandini, legato a Borghese, in pieno centro storico, nella sede del Movimento Sociale Italiano, attorno alla "Sapienza" e in una palestra non distante dalla stazione di Termini. Alle porte di Roma si è concentrata una colonna di guardie forestali, provenienti dalla Calabria e guidate dal missino Ciccio Franco, dalla Basilicata e dalla Sicilia mentre un gruppo di neofascisti, grazie a documenti falsi, sono riusciti a penetrare nell'armeria del ministero dell'interno e al Viminale. Il quartier generale delle operazioni è una villa romana dove tutto viene coordinato da Borghese, dal generale a riposo dell'aeronautica Giuseppe Casero e dal maggiore della polizia Salvatore Pecorella.

Alle 2.30 avviene l'occupazione della sede centrale della Rai, dove Junio Valerio Borghese legge il cosiddetto "proclama alla nazione", e dei principali impianti telefonici e delle telecomunicazioni e la successiva mobilitazione totale dell'esercito italiano. Tutto quindi è stato predisposto in modo accurato, comprese le liste delle personalità istituzionali, politiche, intellettuali e sindacali da arrestare: dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat (si pensa ad un vero e proprio assalto al Quirinale) al presidente del consiglio Emilio Colombo, ad importanti personalità come Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Sandro Pertini, Giulio Andreotti.

Alle 5.45 viene proclamata ufficialmente la nuova Repubblica Sociale Italiana con a capo lo stesso Borghese affiancato da una giunta militare. I primi prevedimenti sono pesanti limitazioni alle istituzioni repubblicane (in particolare la riduzione del potere decisionale del parlamento), la fine della libera discussione e la chiusura di partiti e sindacati, un presidente della repubblica capo dello stato e del governo, un esercito politico, la costituzione di un tribunale nazionale contro i "reati politici" e il ripristino della pena di morte. Non va poi dimenticato che Borghese fa ufficialmente uscire il paese dalla Comunità Economica Europea, dalla Nato e dall'ONU. Ma quanto durerà tutta questa "messa in scena"? Poco, fortunatamente...

Il 21 dicembre 1970 Borghese viene trovato morto nei giardini del Quirinale e la colpa è addossata al generale Casero: nel giro di poche ore la notizia fa il giro del paese e determina manifestazioni per la restaurazione della democrazia. Lo stesso presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ritiene necessario un ripristino delle istituzioni democratiche, in modo da non favorire il consenso del Partito Comunista Italiano.

Il 23 dicembre 1970 le stesse forze armate utilizzate contro le manifestazioni si uniscono alla protesta e la sera stessa è ripristinata la "repubblica democratica fondata sul lavoro". Saragat e Colombo ritornano ai loro posti e la democrazia viene completamente ripristinata. Il ministro dell'interno Franco Restivo avvia un feroce giro di vite contro la destra extraparlamentare (le Brigate Nere, i Gruppi Mussolini, Ordine Nuovo, ecc...), sradica i servizi segreti deviati e un'apposita legge garantisce l'illegalità del Fronte Nazionale e di altri gruppi. Ma le sorprese non sono finite: un anno dopo questi fatti sono trovati dei faldoni a Montevideo, in Uruguay, dove era stato progettato di assassinare il Santo Padre Paolo VI e altre personalità come il cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, il Patriarca di Venezia Albino Luciani e don Giuseppe Dossetti...

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6)  Gli (evitati) Anni di Piombo

Dopo il 1968 e la "rivoluzione culturale" che esso porta nella società italiana, si rafforzano quelle che sono le posizioni delle aree conservatrici e reazionarie del paese: andiamo ad esempio da un ritorno del Partito Liberale nell'esecutivo ed un'interruzione temporanea delle riforme del centro-sinistra di Amintore Fanfani e di Aldo Moro al rafforzarsi del Movimento Sociale Italiano, che si rafforza soprattutto al sud, anche in relazione alla rivolta di Reggio Calabria guidata da Ciccio Franco. In questi anni nascono vere e proprie organizzazioni paramilitari ed extraparlamentari. Ad sinistra nascono le Brigate Rosse, ben presto sconfitte grazie soprattutto ad una forte reazione nella coscienza popolare e al mancato appoggio delle organizzazioni politiche della sinistra italiana (il Partito Comunista Italiano in primo luogo) e della triade sindacale CGIL, CISL e UIL. I terroristi rossi avevano tentato di organizzare il sequestro di importanti personalità della politica e delle istituzioni ma i loro progetti non erano riusciti soprattutto grazie a quella rete di "terroristi dissociati" che garantirono alla polizia e alla magistratura gli indizi per colpire e sconfiggere le organizzazioni terroristiche. Per quanto riguarda invece il terrorismo nero, esso per circa un decennio riuscirà a pochi obbiettivi, ma nei primi anni ottanta del XX secolo tutto verrà sradicato. Ma andiamo per ordine. Ecco una vera e propria cronologia dei fatti relativi alle mancate stragi...

25 aprile 1973: proprio durante l'anniversario della Guerra di Liberazione dell'Italia dall'occupazione nazifascista, all'interno della Fiera Campionaria e alla Stazione Centrale di Milano scoppiano odigni che fortunatamente non provocano morti o feriti. Dell'attentato vengono accusati alcuni giovani anarchici incensurati, risultati poi innocenti al processi, che verrà celebrato mesi più tardi, in un clima di grande tensione.

9 agosto 1973: nella notte tra l'8 e il 9 agosto esplodono su tre vagoni degli ordigni artigianali. Fortunatamente questi vagoni erano stati messi in un deposito nella Stazione di Milano.

2 dicembre 1973. Ore 13.30, nella Banca Commerciale in Piazza della Scala, a Milano, viene scoperta una borsa nera che contiene una piccola cassaforte con dieci chilogrammi di esplosivo. Vengono fatte evaquare in quelle ore numerosi luoghi pubblici. Alle 16.00, nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, in Piazza Fontana, viene trovata analoga bomba e disinnescata. Avrebbe potuto provocare un bagno di sangue. Alle 17.00, a Roma, esplode nel sottopassaggio della sede centrale della Banca Nazionale del Lavoro un ordigno che provoca fortunatamente solo il ferimento di due persone. Alle 17.30, sempre nella capitale esplode un ordigno su una terrazza dell'Altare della Patria e nella sede del Museo del Risorgimento. Tre persone rimangono ferite.

10 aprile 1974: una bomba viene fatta esplodere nella sede della facoltà di sociologia dell'Università di Trento. L'ordigno era stato posizionato davanti ad un busto di Alcide De Gasperi, distrutto dall'esplosione. Nessun ferito. 

11 e 14 aprile 1974: in Valtellina, dove opera un gruppo eversivo di destra, vengono fatti saltare in aria due tralicci dell'alta tensione.

22 luglio 1974: viene sbullonata una traversina della rotaie presso Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Il treno, carico di passeggeri, deraglia: sei morti e centoventinove feriti. L'attentato viene rivendicato da un gruppo di estrema destra, le Brigate Nere, le quali rivendicano anche Piazza Fontana e gli ordigni del 12 dicembre 1973. 10 settembre 1974. Viene sabotata la linea ferroviaria sul Brennero: strage evitata per miracolo. Il fallito attentato viene nuovamente rivendicato dalle Brigate Nere.

3 ottobre 1974. Esplodono tre bombe in altrettanti locali cinematografici di Trento, causando danni e feriti
17 gennaio 1975. Vengono compiuti attentati dinamitardi ai danni della sede della sede della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici, a Roma.

15 marzo 1976. Sotto un traliccio dell'alta tensione a Segrate, in provincia di Milano, viene trovato il corpo dell'editore Giangiacomo Feltrinelli, di notorie idee socialiste, dilaniato dall'esplosione di un ordigno. Con un volantino, le Brigate Nere rivendicano l'uccisione.

17 maggio 1976. Viene assassinato davanti alla sua abitazione il commissario Luigi Calabresi, responsabile delle indagini sulla strage di Piazza Fontana.

23 agosto 1976. Minati i binari della ferrovia presso Sondrio.

7 aprile 1977. Un giovane di estrema destra rimane ferito nel gabinetto del treno Torino-Roma mentre sta innescando un congegno a tempo in una bomba ad alto potenziale che avrebbe potuto provocare un'altra strage. Viene alla luce l'esistenza di una rete terroristica, la Fenice, di ispirazione fascista responsabile di attentati passati. A un mese dalle elezioni politiche, indette per l'8 maggio, i partiti di maggioranza ed opposizione organizzano una fiaccolata al Capidoglio, il 12 aprile a Roma, contro tutti i terrorismi.

15 aprile 1977. A Milano, durante una manifestazione elettorale del Partito Radicale, alcuni giovani estremisti lanciano delle bombe a mano di tipo militare verso il palco. Una di queste ferisce moralmente un agente di polizia, Antonio Marino, responsabile della sicurezza per la manifestazione. Ferito il leader radicale Pannella.

17 maggio 1977. Durante una cerimonia in onore del commissario Calabresi, nel primo anniversario della sua morte, davanti alla questura di Milano viene lanciata una bomba che provoca sei morti e numerosi feriti . L'attentatore, Gianfranco Bertoli, è il capo della rete delle Brigate Nere nel Nord Italia.

10 febbraio 1978. Una bomba firmata dalle Squadre d'Azione Mussolini devasta la sede dell'Associazione Nazionale Partigiani Italiani a Torino.

28 maggio 1978. A Brescia una bomba ad alto potenziale esplode in Piazza della Loggia gremita di folla accorsa per partecipare ad un comizio indetto dai sindacati. Nell'esplosione perdono la vita otto persone e ci sono novantacinque feriti.

4 agosto 1978. Una bomba incendiaria esplode nella notte sul treno "Italicus" nel tratto tra Firenze e Bologna. Muoiono dodici persone e decine di passeggeri. Le Brigate Nere rivendicano.

Durante il biennio 1979-1980 le indagini garantiranno l'arresto dei responsabili e il completo smantellamento della rete terroristica nera presente in Italia.

P.S.: un decennio di piombo dimezzato e rappresentato soltanto dalle organizzazioni del terrorismo di matrice di destra ed estrema destra è un fattore determinante per gli sviluppi futuri. Le indagini infatti faranno evidenziare come alcuni "pezzi dello stato" (servizi segreti deviati, infiltrati CIA, ecc...) abbiano danneggiato la situzione politica e sociale italiana con anni di forte insicurezza. Ad ogni modo ci sarebbe la consapevolezza di aver sradicato ogni tipo di possibile rischio reazionario.

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7) Enrico Mattei e le Sette Sorelle

Giorgio Bocca disse: "Chi era Enrico Mattei? Un avventuriero? Un grande patriota? Uno di quegli italiani imprendibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti, capaci di grandissimo charme come di grandissimo furore, generosi ma con una memoria di elefante per le offese subite, abili nell'usare il denaro ma quasi senza toccarlo, sopra le parti ma capaci di usarle, cinici ma per un grande disegno". Ecco che cosa era Enrico Mattei.

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Nel 1952 Enrico Mattei, ex-partigiano delle brigate bianche di ispirazione cattolica e noto imprenditore, divenne presidente dell'Ente Nazionale Idrocarburi, nato dall'Agip. L'Eni era Mattei e Mattei era l'Eni. Stabilizzò la linea operativa dell'Agip, per la quale ammodernò la struttura organizzativa e quella commerciale, perché la qualità del servizio potesse primeggiare a livello internazionale (e anche in questo alimentando l'aneddotica: come Giulio Cesare ispezionava personalmente le sentinelle, così Mattei personalmente andava a far benzina in incognito, premiando o licenziando, secondo quanto riscontrato). Importò dagli Stati Uniti il concetto di motel ideando i Motel Agip. Costituì la Liquigas, azienda che avrebbe rivoluzionato la distribuzione del gas, operando anche una campagna di prezzi che gli garantì brevemente una quota di mercato rapidamente rilevante e sfruttando la capillarità della rete distributiva dell'Agip per poter agire con una politica d'impresa nazionale e non locale, come in genere era per i concorrenti. Riesumò una linea produttiva della chimica per l'agricoltura che da tempo era passata in second'ordine negli interessi dell'ente, usando il metano nella produzione degli idrogenati usati nei fertilizzanti, anche per questi applicando prezzi di assoluta concorrenzialità. Della chimica "ordinaria", si sarebbe occupata un'altra azienda, l'Anic. Su partecipate sollecitazioni (che avrebbe definito «commoventi») di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, Mattei rilevò la fabbrica Pignone, il cui fallimento aveva inginocchiato mezza Toscana, e la mise a servizio delle esigenze meccaniche del gruppo con il nome di Nuovo Pignone. Le aziende principali del gruppo erano quindi sei: Agip, Snam, Anic, Liquigas, Nuovo Pignone, Romsa. La fiamma, pareva dire il logo, era Mattei.

Mattei, che non amava sottostare a limiti imposti e dunque non se ne imponeva egli medesimo, studiò a fondo i comportamenti commerciali delle principali compagnie del settore e decise che in fondo non gli mancava nulla per gettarsi nella competizione sul mercato dell'approvvigionamento. Se le concorrenti si erano riunite in un cartello detto delle "sette sorelle", l'Eni poteva ben muoversi da indipendente, cercando nuovi accordi e nuove alleanze commerciali per svincolare l'Italia dal ricatto commerciale straniero. I primi tentativi furono contorti e fallimentari: tentò di insinuarsi in una crisi di rapporti fra una compagnia inglese e la Persia , ma nonostante l'offerta di condizioni economiche migliorative, e stranamente fu accettato, soprattutto grazie alla sua amicizia con il giovane scià Mohammad Reza Pahlavi, occidentalizzato quanto bastava per aprire all'antichissimo impero le porte della comunicazione internazionale. Erano le prime concessioni che venivano assegnate ad un ente non allineato con le sette sorelle e, più che rompere il ghiaccio, si era trattato di infrangere un tabù. Sarà lo stesso Mattei a riavvicinare la prinicipessa Soraya, la quale l'anno successivo avrebbe dato alla luce un bambino, Mohammd II, di cui Mattei era padrino. Di fronte ad una possibile crisi diplomatica tra la Gran Bretagna, grande sconfitta della trattaiva, e l'Italia intervenne Alcide De Gasperi, presidente del consiglio, e amico di Mattei. Da un lato fu ribadito l'accordo stretto con Teheran, dall'altro si rispetta il ruolo delle sette sorelle. Ad ogni modo fu una vittoria di Mattei che per un decennio fu a capo della compagnia, facendola diventare una delle più importanti del continente.

Lasciando la moglie per partire per la Sicilia, per un colloquio riservato di lavoro, il 26 ottobre 1962, Mattei la salutò e le disse che sarebbe ritornato con una grande sopresa. La sera del giorno dopo, il 27 ottobre l'aereo Morane Saulnier M.S.760 Paris su cui stava tornando da Catania a Milano, L'aereo decise di atterrare a Pavia, a causa di un temporale che sia stava avvicinando all'aeroporto di Linate. Alla moglie disse che Mariano Rumor e Aldo Moro lo avevano proposto al Presidente della Repubblica Antonio Segni come possibile nuovo Presidente del Consiglio, vista la sua fama di grande combattente.

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8) Il sogno di Sogno

I due più famosi tentativi, fortunatamente falliti, di colpo di stato furono quello organizzato dal generale Giovanni De Lorenzo nell'estate del 1964 e quello ordito dall'ex-fascista Junio Valerio Borghese nella notte dell'Immacolata Concezione del 1970. Esiste però un terzo tentativo fallito, il cosiddetto "Golpe Bianco" ideato da un personaggio oscuro e misterioso, poco conosciuto al grande pubblico degli storici, Edgardo Sogno.

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Eroe della Resistenza, Medaglia d'oro al Valore Militare, diplomatico di indiscusso prestigio, quella di Edgardo Sogno è una biografia singolare e controversa che tuttora suscita dibattito e valutazioni discordi. Discendente da una famiglia di antica nobiltà sabauda, dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1933 entrò nell'esercito e venne nominato sottotenente nel Reggimento "Nizza Cavalleria". Dopo la laurea in giurisprudenza e in scienze politiche entrò nel 1940 in diplomazia dopo la partecipazione alla Guerra Civile Spagnola, nella quale prese parte per il suo viscerale anticomunismo. In questi anni frequenta comunque alcuni circoli antifascisti gestiti da Benedetto Croce e Giaime Pintor: la sua è una posizione conservatrice, non fascista, ma liberal-nazionale. Nel 1942 viene richiamato alle armi e successivamente prese parte alla Resistenza nelle fila dell'Organizzazione Franchi, brigata di matrice monarchica e vicina al Partito Liberale Italiano. La sua impresa più brillante fu la tentata liberazione di Ferruccio Parri, detenuto a Milano dalle SS: fu però arrestato e deportato nel lager di Bolzano dove restò fino alla liberazione e alla fine del conflitto. Eletto deputato nella Costituente con i liberali e sostenitore della causa monarchica, con il passare degli anni passò da posizioni politiche moderate ad un attivismo anticomunista reazionario quasi filofascista. Successivamente abbandonò la politica attiva e lavorò nella diplomazia internazionale.

Il 3 marzo 1971, rientrato in Italia dopo essersi dimesso da ambasciatore presso la Birmania, diede vita ai Comitati di Resistenza Nazionale, una serie di gruppi di lavoro che avevano l'obbiettivo di formulare proposte adeguate per la formazione di una nuova struttura istituzionale per l'Italia. Edgardo Sogno puntava prima di tutto ad un semplice e chiaro passaggio: da una repubblica di matrice parlamentare ad un'altra di stampo presidenziale. Il modello che Sogno aveva in mente era naturalmente quello francese, creato da presidente maresciallo Charles De Gaulle, dove il capo dello stato coincideva con il capo dell'esecutivo e veniva eletto direttamente dal popolo. Questo progetto, denominato "Piano Torino", poichè elaborato durante un soggiorno nel capoluogo piemontese, tra il 14 e il 20 novembre 1972, doveva prevedere delle modifiche alla Costituzione utilizzando dei mezzi poco idonei e non consentiti democraticamente parlando. Il progetto fu sottoscritto anche Radolfo Pacciardi, ex-ministro della difesa ed ex-esponente del Partito Repubblicano Italiano, il quale grazie alle sue conoscenze relative ad azioni che avrebbero favorito l'influenza sul presidente della repubblica, il democratico cristiano Giovanni Leone. Il 15 aprile 1973 al Palazzo del Viminale Sogno e Pacciardi avrebbero incontrato sia il ministro dell'interno Paolo Emilio Taviani che il ministro della difesa Giulio Andreotti: in questa sede essi presentarono il progetto con le relative "nuove strade che il paese avrebbe intrapreso verso lo sviluppo" visto che le opposizioni sarebbero state isolate, "in particolare i comunisti". I due ministri, appartenenti alla Democrazia Cristiana si dissero particolarmente ostili al progetto ma Sogno e Pacciardi, il quale era stato espulso dal Partito Repubblicano e aveva fondato l'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, avrebbero incontrato a Palazzo Chigi, il 30 giugno 1973, lo stesso presidente del consiglio, il democratico cristiano Aldo Moro, il quale sottoscrisse le perplessità già citate. A questo punto Pacciardi elaborò il piano segreto denominato "Golpe Bianco": il Partito Liberale Italiano, guidato da Giovanni Malagodi avrebbe presentato un progetto di riforma in parlamento in senso presidenzialista simile alla linea gollista della V Repubblica Francese. A questo punto entrava in gioco il presidente Leone che doveva favorire l'iter della legge nella discussione dei due rami del parlamento influenzando il voto favorevole con la corruzione e azioni illegittime. Pacciardi aveva infatti come abbiamo già detto grandi contatti all'interno delle fila dell'esercito. In particolare il vecchio generale De Lorenzo, già inquisito per i fatti dell'estate 1964, aveva creato con il generale a riposo dell'aeronautica Giuseppe Casero e il maggiore della polizia Salvatore Pecorella un drappello di militari con simpatie autoritarie e favorevoli ad una svolta reazionaria. Al progetto aveva dato il suo beneplacito lo stesso Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, e il "principe nero" Junio Valerio Borghese capo del Fronte Nazionale già coinvolto in un altro tentativo di golpe nel dicembre 1970. Edgardo Sogno era riuscito di ad avere l'appoggio di anime conservatrici e della destra italiana per una terza possibile ipotesi di radicale virata a destra grazie alle vecchie maniere della corruzione.

Il 27 giugno 1974 Edgardo Sogno e Radolfo Pacciardi sarebbero stati ricevuti nello "studio della vetrata" al Palazzo del Quirinale dal presidente della repubblica al quale avrebbero proposto un sostegno per il loro progetto; Leone informato da Moro e da Andreotti rifiutò categoricamente. A questo punto entrano in azione il comandante Eugenio De Marchi, caporeparto della divisione "Verona" dei corazzieri e il suo gregario, il caporale Girolamo Virzi che, dopo la fine del colloquio entrarono nello studio presidenziale e, dopo averlo legato ed imbavagliato, prelevarono Leone e uscirono dal Quirinale utilizzando un vecchio passaggio segreto vicino alle mura dei giardini. Dopo un paio d'ore di frenesia e di rincorrenti notizie frammentate con una nota il Quirinale comunicava il rapimento del presidente. Aldo Moro convocava un Consiglio di Stato d'emergenza con le massicce cariche militari e politiche a Palazzo Chigi mentre ancora non si conoscono i motivi del sequestro di Leone che non viene rivendicato né dalle Brigate Rosse né da altre sigle terroristiche, nere o rosse. Il presidente del senato, il repubblicano Giovanni Spadolini, giura come provvisorio capo dello stato e con un discorso alla nazione a reti unificate la sera del 28 giugno 1974 comunica l'inizio di una "nuova guerra tra lo Stato e chi è contro di esso, tra la Democrazia e chi è contro di essa". Dopo una settimana di indagini e di controlli che coinvolgono tutta la capitale e in particolare il Quirinale, teatro del rapimento, il direttore del quotidiano "La Repubblica", diretto da Eugenio Scalfari, pubblica in prima pagina un carteggio segreto tra De Lorenzo (al quale il quotidiano aveva già riservato un'inchiesta nel 1970 per i fatti dell'estate 1964) e e l'ambasciatore Edgardo Sogno avvenuto nella primavera del 1973 quando venivano gettate le basi per una serie di cambiamenti radicali "al fine di mutare la Costituzione dello Stato e la forma di governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale". In particolare Scalfari sottolinea come proprio il giorno del rapimento Leone era in agenda un colloquio con Sogno, segnato nel registro ufficiale degli incontri del presidente della repubblica, e con l'ex-ministro Radolfo Pacciardi che da anni puntava ad un superamento del parlamentarismo italiano. Naturalmente l'ennesima inchiesta di "Repubblica" sconvolge le stesse inchieste che fino a quel momento avevano puntato ad una pista terrorista di matrice rossa.

Dopo dodici ore di interrogatorio al carcere militare di Roma Pacciardi confessa il "Piano Torino" e a sostegno delle dichiarazioni che coinvolgono lo stesso Sogno, De Lorenzo, Casero, Pecorella, Borghese, Almirante e Malagodi intervengono il presidente Moro e i ministri Taviani e Andreotti. Il presidente Giovanni Leone sarebbe stato ritrovato sano e salvo in una Uno rossa in via Caetani a Roma, a metà strada tra piazza del Gesù e Botteghe Oscure, la sera del 15 luglio 1974. I due autori del sequestro, De Marchi e Virzi, si sarebbero consegnati alla giustizia e avrebbero fatto cadere tutta quella rete di collegamenti creata in particolare da De Lorenzo. Quelle torride settimane dell'estate 1974 avrebbero quindi fatto luce su un decennio di piano e di possibili golpe organizzati da settori dello stato contro la democrazia e la libertà: ecco perchè gli avvenimenti tra il 27 giugno e il 15 luglio 1974 furono chiamati del "Golpe Bianco", poiché tutto andò realmente "in bianco"!!!

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9) La P2 a Palazzo Chigi (solo per due mesi...)

La loggia Propaganda, così si chiamava in origine, fu istituita nel 1877 dal Gran maestro Giuseppe Mazzoni, ma fu Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895) a darne prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri del Regno d' Italia. Nel 1893 scoppiò lo scandalo della Banca Romana che mise alla luce gravi irregolarità amministrative commesse da numerosi banchieri italiani, molti dei quali legati alla loggia Propaganda. In conseguenza a questo scandalo venne ridimensionata e marginalizzata. Dalla Prima Guerra Mondiale la massoneria italiana sosterrà il fascismo, tanto che lo stesso Gran Consiglio del Fascismo nel 1923 li definì compatibili. Durante il ventennio il Gran maestro della loggia Propaganda Domizio Torrigiani si legò con importanti membri della politica, della magistratura e dell'esercito. La Liberazione sancì una nuova stagione per la rinascita della loggia Propaganda: prese il nome di "Propaganda 2", per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte dal Grande Oriente d'Italia e venne riorganizzata sotto l'influenza della massoneria americana. Nel 1969 fu chiesto all'allora sconosciuto Licio Gelli (entrato nella massoneria solo nel 1965) di operare per la unificazione delle varie comunità massoniche, secondo l'indirizzo ecumenico proprio della gran maestranza di Gamberini e un anno dopo Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia) gli delegava la gestione della Loggia P2, conferendogli altresì la facoltà di iniziare nuovi iscritti (funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa solo del Gran Maestro e dei Maestri Venerabili o di chi aveva in passato ricoperto tali cariche). Durante l'ultimo periodo alla guida del GOI Gamberini fece entrare nell'ordine numerosi militari, che gli furono segnalati da Gelli. Gelli era un piccolo imprenditore toscano con un passato in cui si era schierato alternativamente sia col fascismo (tanto da andare a combattere come volontario nella Guerra civile spagnola e da essere poi agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia) sia con l'antifascismo (in particolare organizzò la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi), attivo negli ambienti dei servizi segreti e del quale si è detto che fosse vicino alla CIA e ad ambienti conservatori statunitensi e sudamericani. Circa i contatti di Gelli e le sue asserite amicizie, egli stesso, del resto, vantava profonde aderenze presso la "corte" del generale argentino Juan Domingo Perón. Per ragioni sconosciute la carriera di Licio Gelli all'interno della loggia P2 fu rapidissima. Gelli, una volta preso il potere al vertice della Loggia, la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari.Il 19 giugno del 1971 Salvini pose di fatto Gelli a capo della loggia P2, inizialmente con la nomina a "segretario organizzativo". Sempre nel 1971 Salvini decise la fondazione di un'altra loggia coperta, la loggia P1, che doveva essere più elitaria e selettiva della loggia P2 e limitata a persone che fossero impiegate nella gestione dello stato, in cui Gelli dopo poco tempo ricoprirà il ruolo di Primo Sorvegliante. Nel 1973, come nei progetti del precedente Gran Maestro Gamberini, si riunificarono le due famiglie massoniche di "Piazza Giustiniani" e quella di "Piazza del Gesu'" (quest'ultima nata da una scissione negli anni 60 avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d'Italia), guidata da Francesco Bellantonio, un ex funzionario dell'ENI e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo 2 anni) la loggia Giustizia e Libertà, loggia "coperta" e quindi anch'essa segreta facente parte del gruppo massonico di "Piazza del Gesù", che contava tra i suoi iscritti politici di tutti gli schieramenti, militari, banchieri (per un breve periodo ne avevano fatto parte personaggi legati al Piano Solo, come il generale Giovanni De Lorenzo e il senatore Cesare Merzagora), vide molti dei suoi iscritti passare alla P2. Ad ogni modo la scalata ai vertici dello stato non sarebbe finita soltanto con l'adesione delle singole personalità. Era lo stato che diventava proprietà della P2, tanto che Licio Gelli aveva preparato, nella primavera del 1974, un "programma per la ricostruzione nazionale" nel quale si faceva cenno ad una riforma della costituzione in senso conservatore: ampi poteri nelle mani di un presidente della repubblica, capo dello stato e del governo, riduzione dei poteri del parlamento e uscita di scena di un organo di garanzia come la Corte Costituzionale, senza poi dimenticare provvedimenti per controllare la magistratura dall'alto. Questo programma era stato vagheggiato da alcune forze politiche, ma mai preso in considerazione. La prima fase operativa della P2 poteva quindi dirsi fallita: la loggia sarebbe intervenuta direttamente della gestione dello stato. Ecco la cronologia dell'assalto alla repubblica da parte della P2:

10 agosto 1975: il Presidente della Repubblica, il democratico cristiano Giovanni Leone, con una lettera inviata al Presidente del Senato, il repubblicano Giovanni Spadolini, rassegnava le dimissioni dalla carica di capo dello stato per motivi personali: in verità esponenti importanti del Quirinale, legati alla loggia, erano riusciti a farlo dimettere. Spadolini diventa capo provvisorio dello stato e convoca l'elezioni del nuovo presidente per il 20 agosto 1975, anticipando l'apertura dei lavori parlamentari.

20 agosto 1975: a Montecitorio iniziano le votazioni per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il candidato ufficiale della Democrazia Cristiana, il segretario Amintore Fanfani, viene tagliato fuori per la seconda volta. Lo stesso Aldo Moro, che era riuscito nel 1964 a far convergere i voti per il socialdemocratico Giuseppe Saragat, non trova soluzioni adottabili. Tutto sembra perduto.

25 agosto 1975: quinto giorno di votazioni. Giulio Andreotti, esponente di primo piano della Democrazia Cristiana, dichiara che alla presidenza della repubblica potrebbe andare un tecnino. Adesioni da destra, con monarchici, missini, e liberali mentre il centro-sinistra e il Partito Comunista sono contrari.

26 agosto 1975: Andreotti, di fronte all'insistenza delle domande dei cronisti, dichiara "Conoscete Licio Gelli?" Il Presidente del Senato, Spadolini, sospende le votazioni per un "pomeriggio di riflessione".

27 agosto 1975: riprendono le votazioni: alle 19:30 Licio Gelli, imprenditore e cavaliere del lavoro, viene eletto Presidente della Repubblica con i voti della Democrazia Cristiana, del Partito Socialdemocratico, del Partito Repubblicano, del Partito Liberale, del Movimento Sociale, del Partito Monarchico e l'astensione di socialisti e il vosto contrario di comunisti e radicali.

29 agosto 1975: il Presidente della Repubblica, Licio Gelli, giura a Montecitorio, e dichiara "E' giunta l'ora del cambiamento!". Il Presidente del Consiglio, il democratico cristiano Aldo Moro, la sera stessa sale al Colle e rassegna le dimissioni.

1 settembre 1975: iniziano le consultazioni per la risoluzione della crisi di governo. La situazione è caotica: Mariano Rumor, Amintore Fanfani e lo stesso Aldo Moro si rifiutano di presiedere altri governi. Andreotti si dice disponibile, ma la grande maggioranza della Democrazia Cristiana è contraria.

3 settembre 1975: Giulio Andreotti viene incaricato da Licio Gelli nel formare il suo secondo esecutivo. Esso era la prima volta un vero e proprio governo conservatore di destra: Adreotti a Palazzo Chigi, suo vice-Giovanni Malagodi (come nel biennio 1972-1973) con delega al bilancio, Antonio Bisaglia al ministero degli affari esteri, il generale Vito Miceli al dicastero della difesa, il vecchio Roberto Lucifero al ministero dell'interno, il monarchico Arturo Michelini all'economia e finanza, il missino Alfredo Covelli alla giustizia e l'imprenditore Silvio Berlusconi al lavoro e industria. Mentre il governo stà giurando nella mani grandi manifestazioni stanno sconvolgendo la capitale e le grandi città della penisola. A piazza San Giovanni, a Roma, una manifestazione delle organizzazioni giovanili di tutti i partiti politici si schierano contro il governo Andreotti: intervengono sul palco Marco Follini per la Democrazia Cristiana, Massimo D'Alema per il Partito Comunista, Giorgio Benvenuto per il Partito Socialista e Francesco Rutelli per il Partito Radicale.

4 settembre 1975: continua il dissenso per il governo. Nella tarda mattinata, i presidenti di Senato e Camera, Giovanni Spadolini e Pietro Ingrao, danno le dimissioni, nel tentativo di non portare il governo al dibattito parlamentare. Licio Gelli decide di sciogleire il parlamento.

5 settembre 1975: direttivo notturno della Democrazia Cristiana decide all'unanimità la radiazione dal partito dello scudocrociato di Giulio Andreotti, reo di aver offeso i valori del cattolicesimo democratico, del popolarismo e del cristianesimo sociale e riformatore. Con una lettera a Licio Gelli, Zaccaghini e Moro chiedono una colloquio al capo dello stato. Il quale però viene negato.

6 settembre 1975: il comitato centrale del Partito Comunista dichiara che "la repubblica italiana è finita". Enrico Berlinguer lancia la nascita di una grande alleanza democratica contro i reazionari e i neofascisti. Adesione immediata del Partito Socialista di Francesco De Martino e del Partito Repubblicano di Ugo La Malfa. Zaccaghini telefona a Berlinguer e convoca un vertice del centro-sinistra "di unità nazionale" per il giorno successivo.

7 settembre 1975: vertice a Piazza del Gesù tra Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano, Francesco De Martino, Bettino Craxi, Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini e Valerio Zanone del Partito Liberale Italiano. Decisione di creare una vera e propria opposizione di piazza e di proposta contro il governo Andreotti e appello all'ONU.

10 settembre 1975: vengono arrestati all'alba Enrico Berlinguer, Luigi Longo, Pietro Ingrao, Alessandro Natta, Francesco De Martino e Giacomo Mancini. Il ministro dell'interno Lucifero annuncia provvedimenti speciali per la sicurezza dello stato. Manifestazioni antigovernative a San Giovanni.

15 settembre 1975: Moro e Zaccagnini vengono fermati mentre a Ciampino stavano prendendo un aereo per Washington.

23 settembre 1975: Andreotti e Lucifero varano le "leggi speciali" con una drastica riduzione della libertà personale e designano il generale Giovanni De Lorenzo al capo dei servizi segreti italiani. Altre manifestazioni. Sandro Pertini dichiara: "le mie povere orecchie continuano a sentire rumori di sciabole!"

28 settembre 1975: apertura dei lavori al Palazzo di Vetro, a New York, per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Andreotti e Bisaglia non vengono fatti entrare.

29 settembre 1975: il Presidente degli Stati Uniti d'America Gerald Ford, dopo numerose domande da parte dei giornalisti, dichiara che l'Italia presto ritornerà una democrazia. Lo stesso giorno vengono richiamati negli States i diplomatici italiani. E' una vera e propria sconfessione.

1 ottobre 1975: Con un comunicato, Gelli e Andreotti dichiarano che l'Italia esce da Onu, Patto Atlantico e Comunità Economica Europea. Ipotizzano quindi una nuova grande associazione di paesi non allineati. Sdegno internazionale.

5 ottobre 1975: il Santo Padre Paolo VI, senza un preavviso, decide di andare in viaggio in Gran Bretagna e lascia la Città del Vaticano. I giornali titolano "Pure il Papa contro Andreotti".

7 ottobre 1975: a Roma e a Milano si tengono azioni dimostrative contro le autorità dello stato. In alcuni casi i polizionitti e l'arma dei carabinieri solidarizza con gli oppositori.

 ottobre 1975: un commando militare a stelle e strisce, con reparti italiani, entra al Quirinale e rapisce il Presidente della Repubblica Licio Gelli. Poi devia su Palazzo Chigi e viene preso il governo al completo, durante una riunione notturna del Consiglio dei Ministri straordinario.

10 ottobre 1975: l'Italia si sveglia libera. Gelli, Andreotti e alti verranno infatti processati e condannati all'ergastolo mentre al Quirinale verrà eletto il democratico cristiano Aldo Moro, a Palazzo Chigi Enrico Berlinguer con un governo di centro-sinistra con il socialista Giuliano Amato all'interno, Fanfani ministro degli esteri, Andreatta all'economia, Zanone alla cultura, Longo al lavoro, Tina Anselmi ai servizi sociali e La Malfa al bilancio e programmazione economica. L'Italia ritorna una democrazia a tutti gli effetti e il ministro Amato procede ad estirpare tutti i collegamenti con organizzazioni sovversive. Il 20 ottobre sarebbe stato trovato un elenco con i nomi degli appartenenti alla Loggia Massonica P2: Licio Gelli, Giovanni Malagodi, Antonio Bisaglia, Vito Micheli, Roberto Lucifero, Arturo Michelini, Alfredo Covelli, Silvio Belrusconi e Giovanni De Lorenzo.

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10) Il rapimento Andreotti

Ed ecco una puntata dedicata ai fatti del marzo 1978: come sapete le Brigate Rosse in più occasioni dichiararono che con il rapimento di Aldo Moro non intendevano colpire l'uomo politico in sé, ma il sistema. Infatti dissero che Moro fu semplicemente scelto tra i tanti esponenti della Repubblica e della Democrazia Cristiana. Ecco cosa sarebbe successo se...

16 marzo 1978, ore 6,19: il presidente del consiglio, il democratico cristiano Giulio Andreotti, mentre si sta recando da solo e a piedi nella Chiesa del Gesù di fronte alla sede della Democrazia Cristiana a piazza del Gesù a Roma, viene rapito da un commando delle Brigate Rosse. In prossimità di via Michelangelo Caetani, circa a metà strada tra la sede della Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, due Fiat 128 con targa falsa del Corpo Diplomatico si posizionarono vicino ad una lunga fila di bacheche in metallo parallele alla lunga siepe che delimita per un tratto il marciapiede. L'agguato scattò non appena il presidente Andreotti entrò a passo spedito in via Caetani; arrivato in prossimità delle bacheche metalliche la brigatista Rita Algranati, travestita da vecchia con fazzoletto e occhiali spessi, si avvicina ad Andreotti per stringergli la mano e con lui scambia alcune parole portandolo lungo il tragitto del marciapiede separato dalla strada dalle bacheche sopracitate. Dalla prima auto, guidata dal brigatista Mario Moretti, uscirono Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, con tanto di vecchia divisa dell'arma dei carabinieri e due mitragliette automatiche e riuscirono a bloccare Andreotti che intanto veniva imbavagliato, bendato e immobilizzato utilizzando una camicia di forza, aiutato dalla Algranati. Intanto dalla seconda auto, guidata dalla brigatista Barbara Balzerani, uscirono Valerio Morucci e Prospero Gallinari e con dei teli neri coprirono i primi tre che portarono Andreotti nella seconda auto, parcheggiata subito dopo la fila dei cartelli metallici. Dopo pochi minuti via Caetani era vuota, l'operazione poteva dirsi compiuta.

Ore 7,45: una telefonata anonima al centralino della segreteria della Democrazia Cristiana informa e rivendica il rapimento del presidente Andreotti. Dopo un primo scetticismo la voce. anonima, forse il brigatista Casimirri, informa di aver portato nella cassetta delle offerte nella Chiesa del Gesù a Roma la rivendicazione scritta, quello che sarà definito il primo comunicato "Chi è Giulio Andreotti è presto detto: è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...] ha avuto in Andreotti il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste". Obbiettivo delle Brigate Rosse era quindi colpire il partito della Democrazia Cristiana, "pilastro" del cosiddetto "regime democristiano" cardine in Italia dello Stato Imperialista delle Multinazionali, rapendo il primo presidente del consiglio che quello stesso giorno avrebbe presentato a Montecitorio un governo monocolore democratico cristiano sostenuto da Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Socialista Democratico, Partito Repubblicano, Partito Liberale e lo stesso Partito Comunista. Nel giro di poche ore la notizia fa il giro del paese intero che piomba nel caos più assoluto: il presidente della repubblica, il democratico cristiano Giovanni Leone, interviene con un discorso alla nazione, trasmesso a reti unificate alle 11,45, nel quale conferma il rapimento del presidente Andreotti e la rivendicazione da parte delle Brigate Rosse. Mentre il ministro dell'interno in carica, il democratico cristiano Francesco Cossiga, pianifica al Viminale con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la Lotta contro il Terrorismo, una grande manifestazione di piazza che coinvolge i principali partiti e movimento politici si svolge a piazza San Giovanni, a Roma. Sul palco parlano i responsabili dei movimento politici giovanili: Marco Follini per la Democrazia Cristiana, Massimo D'Alema per il Partito Comunista, Giorgio Benvenuto per il Partito Socialista e Francesco Rutelli per il Partito Radicale. Il segretario della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Luciano Lama, decide di organizzare uno sciopero generale per tutto il giorno successivo contro ogni tipo di terrorismo e per la liberazione di Andreotti.

17 marzo 1978: sciopero generale indetto dalla CGIL ed appoggiato dalle altre sigle confederali (CISL, UIL, ecc...) e dalle organizzazioni imprenditoriali e del commercio. Piazza San Giovanni si riempie di nuovo e dal palco parlano Luciano Lama per il CGIL, Luigi Macario per la CISL e altri esponenti del sindacalismo e del mondo del lavoro, un unico grido: liberate Andreotti, basta con il terrorismo. Intanto a Montecitorio si presenta quello che doveva essere il governo guidato da Giulio Andreotti, sostituito dal presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, che durante la presentazione chiede un "voto di fiducia compatto per il bene del paese, della Repubblica e dell'onorevole Giulio Andreotti". Danno la fiducia al governo Moro tutto il centro-sinistra, il Partito Comunista e il Partito Liberale, con l'astenzione di Democrazia Nazionale, Democrazia Proletaria e del Movimento Sociale Italiano.

Ore 14,56: una studentessa di lettere antiche nel bagno femminile del Dipartimento di Filosofia all'Università La Sapienza di Roma trova un pacco di fogli intestati "Brigate Rosse" con la croce a cinque punte: è il cosiddetto secondo comunicato nel quale i brigatisti richiedono il rilascio di tredici terroristi rossi arrestati e detenuti. Indignazione da parte sia del presidente del consiglio Moro, sia da parte del ministro dell'interno Cossiga; le stesse reazioni vengono registrate anche dal mondo politico. Nell'edizione serale de La Stampa di Torino il direttore, Arrigo Levi, titola il suo editoriale "Con i terroristi non si tratta". Vertice serale dei partiti della maggioranza a Botteghe Oscure, organizzata dal segretario comunista Enrico Berlinguer.

18 marzo 1978: continuano le ricerche da parte delle forze dell'ordine, mentre si fa strada l'ipotesi di emanazione di un decreto legge tendente a rafforzare i poteri della polizia. I partiti si dichiarano concordi nel rifiutare l'emanazione di leggi speciali. Si riunisce la Direzione della Democrazia Cristiana e viene deciso che in questa situazione di emergenza il segretario Benigno Zaccagnini, oltre che dai vice-segretari, venga affiancato dai capi-gruppo parlamentari, con la benedizione del presidente Moro. Lotta Continua lancia intanto la parola d'ordine "né con lo Stato, né con le BR" mentre La Repubblica nell'editoriale del suo direttore Eugenio Scalfari ripropone il problema di uno scambio tra Andreotti e Curcio, ribadendo la tesi della necessaria fermezza. Il Partito Socialista, per voce del suo segretario Bettino Craxi, conferma che il congresso nazionale si svolgerà regolarmente a Torino.

19 marzo 1978: altre manifestazioni contro il terrorismo a Roma e nelle principali città italiane. Il presidente della repubblica Leone si reca dalla famglia Andreotti per esprimere la vicinanza dello stato in questo momento difficile. Con un comunicato il presidente degli Stati Uniti, il democratico Jimmy Carter, invia la sua più vicina solidarietà per il sequestro Andreotti.

20 marzo 1978: riprende a Torino il processo alle Brigate Rosse. Le indagini sul rapimento Moro sono ferme: sono giunti a Roma esperti della polizia tedesca, esattamente trentadue: collaboreranno nelle indagini. Viene installato un collegamento diretto tra il centro elettronico del Viminale e quello tedesco di Wjesbviesbaden. Collaborano alle indagini anche specialisti inglesi e israeliani. Papa Paolo VI nel suo discorso in piazza San Pietro lancia un appello affinché Andreotti sia restituito ai suoi cari: il cardinale Giovanni Benelli, vicario di Roma, dichiara che "l'eversione ha colpito lo Stato". Su La Stampa di Torino il giurista Giovanni Conso afferma che lo scambio di Moro con detenuti delle Brigate Rosse è un non senso giuridico. Leonid Il'ic Breznev, segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, con un comunicato dal Cremlino chiede la liberazione di Andreotti. Il comunista Giancarlo Pajetta continua ad indicare il pericolo che può nascere dall'eccessivo spazio dato al fenomeno del terrorismo da parte della stampa.

21 marzo 1978:, vengono varate al governo, con l'appoggio di tutti i partiti della maggioranza, le leggi di emergenza per fronteggiare il fenomeno terroristico: d'ora in poi per le intercettazioni telefoniche basterà l'autorizzazione orale del magistrato: viene istituito il fermo di identificazione; arresto provvisorio per chi e sospettato di preparare delitti; ammesso l'interrogatorio in questura senza la presenza dell'avvocato; modificato il segreto istruttorio e la figura del giudice naturale per creare una banca delle notizie. I brigatisti sotto processo a Torino rivendicano il sequestro Andreotti. Sulla Repubblica e il Giorno si dà notizia che la Democrazia Cristiana sta discutendo sulla validità del silenzio stampa. Eugenio Montale sul Corriere della Sera afferma che la pubblicazione o meno dei documenti e un caso di coscienza. Vittorio Foa sul Quotidiano dei Lavoratori afferma che il pericolo maggiore rispetto al caso Andreotti è l'emergere della fredda ragion di Stato.

22 marzo 1978: prosegue il dibattito su Brigate rosse e mass media. Il Corriere della Sera apre un'inchiesla tra tutti i direttori dei principali giornali internazionali. Vengono intervistati giornalisti della televisione, mentre da parte della Democrazia Cristiana vengono escluse iniziative per bloccare la libertà di stampa; interviene anche il quotidiano della Confindustria, il Sole 24 Ore, che prende posizione con un articolo di Luigi Pedrazzi dal titolo «Informazione come dovere». In questi giorni viene smentita l'esistenza di un piano per rapire Berlinguer diffusa dalla stampa nei giorni precedenti. È firmato l'accordo ltalsider e i sindacati dichiarano: «abbiamo contribuito ad allentare la tensione».

23 marzo 1978: tutti i partiti decidono di non rinviare le elezioni di maggio. A Torino, la corte respinge le proposte sull'autodifesa; a Novara e arrestata Brunhilde Pertramer: inserita nell'elenco dei ricercati ha più volte smentito la sua partecipazione ai fatti di Torino e Roma. Il Giorno titola a tutta pagina: «Dopo una settimana, nulla», alla polizia servono altri diecimila uomini. Di fronte alle numerose critiche espresse dalla stampa il responsabile della sicurezza e dell'ordine Cossiga organizza un'infuocata conferenza stampa nella quale "piccona" la stampa che "critica e non aiuta la ricerca del presidente Andreotti".

24 marzo 1978: il ministro Cossiga è il responsabile unico del Coordinamento tra la Pubblica Sicurezza, i carabinieri e la Guardia di finanza. Questo per decisione unanime fra i cinque partiti che approvano i miglioramenti per le forze di polizia. I sindacati accettano le leggi antiterrorismo, purché sia fissata una scadenza precisa.

25-26-27 marzo 1978: sul caso Andreotti continuano le indagini e altrettante polemiche tra stampa e partiti.

28 marzo 1978: il direttore della Stampa, Arrigo Levi, su suggerimento del repubblicano Ugo La Malfa lancia alcune proposte per l'emergenza. Esse sono:
1) Costituzione di un comitato formato dai capi partito del centro-sinistra, inclusi liberali e comunisti. Sul modello di quello formato in Germania per il caso Schleyer.
2) Il governo e il comitato dei capi partito devono indire manifestazioni in tutta Italia di solidarietà con Andreotti in concomitanza con una sospensione nazionale del lavoro.
3) Chiedere la convocazione del Consiglio d'Europa da tenersi a Roma che esamini la minaccia dei terrorismo in Europa: questa seduta dovrebbe tenersi nominando presidente Giulio Andreotti e attorno ad una sedia vuota.
4) Chiedere alle Nazioni Unite e alle massime potenze una dichiarazione di solidarietà e di appoggio al governo.
5) I sindacati e le organizzazioni degli imprenditori dovrebbero dichiarare una tregua per tutte le vertenze.
6) Viene sottoposta a discussione una proposta sulla presidenza della Repubblica: si dimetta Leone per rendere possibile l'elezione a capo dello stato l'on. Andreotti. La proposta Levi-La Malfa viene però condannata da tutto l'arco costituzionale poiché viene considerata contro la stessa stabilità dello Stato; il presidente Moro interviene nel dibattito e dichiara che "mai come in questo momento bisogna rimanere saldi intorno alle istituzioni repubblicane".

29 marzo 1978: si apre a Torino il quarantunesimo congresso del Partito Socialista Italiano con la relazione del segretario Bettino Craxi che lancia un ennesimo messaggio per la liberazione di Andreotti. Riprende nella città piemontese il processo alle Br con lo scoglio dell'autodifesa. Secondo i computer tedeschi la prigione di Andreotti si trova vicino a Roma.

30 marzo 1978: viene data la notizia che è giunto un terzo comunicato delle BR che annuncia una lettera di Andreotti a Francesco Cossiga. Andreotti invita il presidente del consiglio e il presidente della repubblica a « riflettere opportunamente sul da farsi per evitare guai peggiori, pensare dunque fino in fondo per evitare una situazione emotiva ed irrazionale. In queste circostanze entra in gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può ignorare la ragione di Stato ».

31 marzo 1978: discussioni sul terzo comunicato da parte dei giornali. Qualcuno ipotizza che le lettere di Andreotti siano scritte dagli stessi brigatisti.

1 aprile 1978: Pajetta al congresso del Partito Socialista a Torino portando il saluto del Partito Comunista afferma: «La risposta data dal governo e dalla Democrazia Cristiana all'attacco alla democrazia ci trova e spero trovi anche voi consenzienti». Il Valicano conferma ufficialmente che è pronto ad intervenire per Andreotti, precisando comunque che ciò sarebbe possibile se non ci fossero richieste inique. Vengono anche rievocati dal giornale valicano i precedenti casi di intervento da parte della Santa Sede. La testata de Il Giornale apre in prima pagina con l'ennesima polemica contro il ministro dell'interno Cossiga considerato "inadatto a svolgere tale carica".

2 aprile 1978: continuano le indagini da parte del Coordinamento della Pubblica Sicurezza con alcune importanti perquisizioni nella zona periferica della capitale. Dalla Chiesa, dopo un vertice a Palazzo Chigi con Moro e Cossiga, si dice "fiducioso".

3 aprile 1978: Papa Paolo VI da piazza San Pietro rivolge un ennesimo appello ai rapitori per scongiurarli di restituire la libertà al prigioniero. Craxi, nella replica al congresso di Torino si distacca dai sostenitori più intransigenti della ragion di Stato, affermando che essendo in gioco una vita umana non dovrebbero essere lasciali cadere alcuni margini ragionevoli di trattativa. Il segretario socialista respinge anche polemicamente le richieste avanzate da La Malfa di dimissioni del presidente della repubblica e ricorda al segretario repubblicano di essere stato uno dei grandi elettori di Leone. In un'intervista su l'Unità il segretario CGIL Lama dichiara che il "movimento sindacale italiano è stato, è e sarà contro ogni tipo di terrorismo politico".

4 aprile 1978: Il congresso del Partito Socialista si conclude con la vittoria della linea Craxi-Signorile con circa i due terzi dei rappresentanti nel consiglio nazionale, mentre i restanti posti vanno a De Martino, Mancini e alla "sinistra interna". L'assise dei socialisti termina con un messaggio del presidente della repubblica Leone che rinnova l'appello per la liberazione di Andreotti.

5 aprile 1978, ore 4,49: reparti speciali dei Servizi Segreti Militari irrompono nell'appartamento di via Montalcini 8, a Roma e qui liberano dalla cosiddetta "prigione del popolo" Giulio Andreotti, ritrovato stremato dopo venti giorni di sequestro. Le forze speciali, coordinate sul campo dallo stesso generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, arrestano sul posto Corrado Alunni, Marina Zoni, Valerio Morucci, Barbara Balzerani, Mario Moretti, Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri, Rita Algranati, Adriana Faranda e Prospero Gallinari. Festeggiamenti in tutta Italia: i giornali escono con edizioni straordinarie e titolano a tutta pagina "Andreotti Libero". Alle 10,45 a Palazzo Chigi affollata conferenza stampa con il presidente del consiglio Aldo Moro, il ministro dell'interno Francesco Cossiga e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per la spiegazione delle operazioni di salvataggio. Alle 18,45 Giulio Andreotti, accompagnato da Moro, da Cossiga e dalla famiglia sale al Colle dal presidente della repubblica Giovanni Leone. Nella tarda serata di un giorno eccezionale con un nota, Andreotti ringrazia tutti, in particolari "due grandi uomini della Repubblica come il presidente Aldo Moro e il ministro Francesco Cossiga" e il "servitore dello Stato Carlo Alberto Dalla Chiesa" e annuncia di abbandonare la politica. Da tutti arrivano note di compianto e di ringraziamento per i tanti anni in politica, in particolare al dicastero della difesa.

Domanda: Cosa produce tutto questo? L'esperienza di centro-sinistra con i comunisti continua mentre prima Moro e successivamente Cossiga (come nella nostra timeline) diventano presidenti della repubblica mentre Dalla Chiesa continuerà a svolgere la sua opera contro il terrorismo e la mafia, con grandi vittorie. E il "Divo Giulio", quello che nella nostra timeline è l'uomo politico più lungimirante della storia italiana si ritira completamente dalla vita politica italiana, rifiutando persino uno scranno a Palazzo Madama come senatore a vita, e rimane fino alla fine dei suoi giorni nella casa di campagna a Rocca di Papa dove, insieme alla moglie, coltiva e vende gli amati carciofi.

Cliccando qui, potrete leggere un finale alternativo di questa ucronia.

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11) Sindona vs Luciani

Ulteriore puntata dei "Misteri (o no ?!?) d'Italia" dedicata a quella canaglia di Michele Sindona, il "banchiere di Dio".

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Notte tra il 27 e il 28 settembre 1978. Ore 21.30: Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, si ritira nei suoi appartamenti dopo una duplice discussione. Ha infatti incontrato dopo cena monsignor Paul Casimir Marcinkus, arcivescovo e direttore dell'Istituto delle Opere Religiose, con il quale ha avuto un duro scontro per il coinvolgimento di operazioni di speculazione finanziaria. In seguito ha incontrato Giovanni Benelli, cardinale di Firenze. Durante questo colloquio Luciani annuncia al prossimo Segretario di Stato la radiazione di Marcinkus da ogni incarico in Vaticano e la sua successiva assegnazione in una diocesi statunitense.

Ore 23.35: Papa Giovanni Paolo I termina la lettura di alcune vecchie omelie del periodo veneziano e spegne la luce.

Ore 2.30 Michele Sindona, noto banchiere coinvolto in affari con lo IOR, entra negli appartamenti del papa grazie a Marcinkus, travestito da sacerdote. Si avvicina al letto del pontefice e ... lo trova vuoto. Giovanni Paolo I infatti si era alzato poiché non stava particolarmente bene e si era recato dalle suore, nelle cucine del Vaticano. Ritornando ai suoi appartamenti aveva seguito il consiglio delle suore e si era fatto accompagnare da un gruppo di guardie svizzere. Arrivato alla porta principale, l'aveva trovata chiusa, mentre lui l'aveva lasciata aperta e aveva notato la luce accesa dalla toppa della porta. Dopo pochi minuti le guardie svizzere avrebbero arrestato uno sconvolto Michele Sindona, nei panni di un povero reverendo, con un laccio di quelli utilizzati per strozzare la gente. E Sindona, convertitosi, viene perdonato e confessato dal Papa, il quale ordina l'arresto dello stesso Marcinkus. Il giorno seguente vengono arrestati anche il banchiere Giovanni Calvi e Licio Gelli, con l'accusa di aver progettato l'assassinio del pontefice. Durante il processo l'ex-arcivescovo Marcinkus dichiarerà "You can't run the Church on Hail Marys!"

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12) Telekom Serbia

Ricordate la strampalata e falsa vicenda di Telekom Serbia? ricordate tutta quella rete di faccendieri, trafficanti, ex-spie e burattinari giudicati come "super testimoni"? ricordate tutto il fango che la costosissima commissione parlamentare lanciò su Romano Prodi, su Lamberto Dini e su Piero Fassino? ricordate l'indecente e vergognosa campagna diffamatoria fatta da "Il Giornale" e da "Libero"?. La dodicesima puntata de "I Misteri (o no ?!?) d'Italia" parte proprio da questa grande bufala che però tutti hanno dimenticato: ecco come io ve la ripropongo...

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30 aprile 1997: il ministro dell'economia e delle finanze Carlo Azeglio Ciampi, durante il consiglio di amministrazione di Telecom Italia, approva l'acquisto del 29% della società di telefonia serba Telekom Serbia, ad un prezzo pattuito di 893 milioni di marchi, 453 milioni di euro circa. Il ministro, titolare all'epoca del 61% delle azioni della società di telefonia italiana, dichiara che l'apprezzabile operazione è in linea con il progetto di investimenti che gli Stati Uniti avevano sostenuto ed incoraggiato in Serbia e nella regione balcanica dopo la fine della guerra.

16 febbraio 2001: il quotidiano Il Giornale titola in prima pagina "Le tangenti di Milosevic" nel quale accusa il governo di centro-sinistra di aver comperato circa un terzo delle azioni dell'operatore nazionale serbo con l'intento di finanziare il regime socialista, poi caduto, del dittatore serbo. Naturalmente tutto questo fa scoppiare una serie di polemiche vista la vicinanza della scadenza elettorale per l'elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica: la Casa delle Libertà e Silvio Berlusconi accusano "la sinistra di aver pagato Milosevic" mentre il presidente del consiglio Giuliano Amato e il leader dell'Ulivo Francesco Rutelli difendono l'operato del governo Prodi e decidono di querelare il direttore de Il Giornale, Maurizio Belpietro. Ricordiamo che il quotidiano è finanziato dall'imprenditore Paolo Berlusconi, fratello del leader della destra.

13 maggio 2001: elezioni politiche in Italia. La destra conquista la maggioranza relativa dei voti e torna al governo con Berlusconi.

21 maggio 2002: con il decreto legge n° 99 viene a costituirsi la commissione parlamentare d'inchiesta su "Telekom Serbia". Ne diventa presidente il senatore di Alleanza Nazionale, Enzo Trantino, già vecchio esponente del movimento monarchico italiano. Polemiche da parte dell'opposizione: il leader dell'Ulivo Rutelli con un'intervista dichiara che la commissione parlamentare è "un'arma di propaganda nelle mani della destra".

20 maggio 2003: in seguito alla riapertura del processo SME nel quale è coinvolto come imputato il presidente del consiglio in carica, Silvio Berlusconi, la commissione parlamentare d'inchiesta su "Telekom Serbia" decide di riaprire le danze dopo un anno circa di inattività con una lunga intervista rilasciata dal presidente della commissione Trantino al quotidiano Il Giornale nella quale cita un supertestimone, un certo faccendiere svizzero Igor Marino, il quale parlava di "tangenti che sarebbero state versate in tre conti correnti da parte della Banca Nazionale Serba per sbloccare la trattativa tra l'Italia e la Serbia nell'acquisto della quota di Telekom Serbia". Trantino dichiarò di essere venuto in possesso di documenti autentici che attestano tutto questo e indicò i nomi dei tre conti correnti: "mortadella", "ranocchio" e "cicogna".

22 maggio 2003: due deputati della destra facenti parte la commissione d'inchiesta "Telekom Serbia", due funzionari di polizia, un magistrato-consulente e lo stesso Marini si recano a Lugano, in Svizzera, per verificare l'esistenza dei documenti di cui aveva parlato il teste, che però non furono trovati. le autorità elvetiche non erano state opportunamente informate di quel viaggio, tanto che la delegazione fu fermata dalla polizia e trattenuta con l'accusa di «atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero» e per «spionaggio economico» secondo gli articoli 271 e 273 del codice penale elvetico. Dopo cinque ore di interrogatorio furono tutti rilasciati ad eccezione del solo Marini. La stessa sera a "Porta a Porta", trasmissione d'approfondimento diretta da Bruno Vespa, il presidente Berlusconi definisce la vicenda una "grande tangente" e "la sinistra corresponsabile delle violenze di Milosevic". Di fronte alla notizia dell'arresto di Marini il capo del governo stigmatizza.

Luglio-agosto 2003: mentre da una parte la commissione parlamentare d'inchiesta, la destra e i quotidiani Il Giornale e Libero gettano regolarmente fango nei confronti dei tre possibili e fantomatici possessori dei tre conti correnti, rintracciandoli in Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino, all'epoca dei fatti rispettivamente presidente del consiglio, ministro degli affari esteri e sottosegretario alla Farnesina con delega agli Affari Comunitari e all'Europa centro-orientale, l'Ulivo accusa pubblicamente la campagna diffamatoria e chiede l'intervento del presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi e lo scioglimento della commissione visto l'arresto del "supertestimone" e il mancato ritrovamento delle carte citate da Trantino.

15 settembre 2003: durante la Festa dell'Unità di Bologna il segretario dei Democratici di Sinistra Piero Fassino, intervistato da Gianpaolo Pansa, dichiara che "Igor Marini è un burattino e che il burattinaio sta a Palazzo Chigi". Di fronte alle gravi accuse di Fassino risponde il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, che annuncia una querela nei confronti del leader della quercia, richiedendo un risarcimento di 15 milioni di euro per calunnia.

20 ottobre 2003: la procura di Torino e il gup Francesco Gianfrotta chiedono il rinvio a giudizio per Igor Marini, per la falsificazione di due ordini di versamenti, rivelatisi in seguito falsi. Lo stesso fu fatto nei confronti di Maurizio De Simone, Giovanni Romanazzi e Antonio Volpe, altri tre fantomatici testimoni chiave che avevano procurato alla commissione di inchiesta alcuni documenti relativi, tra le altre cose, ad una supposta tangente di 125 mila dollari versata a Prodi e Dini, rinviati a giudizio per calunnia aggravata con l'accusa di aver fabbricato delle prove false.

23 novembre 2003: i legali del presidente della commissione europea Romano Prodi, del vice-presidente del Senato della Repubblica Lamberto Dini e del segretario dei Democratici di Sinistra Piero Fassino annunciano un esposto alla procura di Torino contro il senatore Enzo Trantino per "calunnia e produzione di prove false".

15 gennaio 2004: durante una perquisizione nell'abitazione romana di Trantino viene ritrovato materiale eversivo legato ad una fantomatica loggia massonica "Corona Sabauda" che aveva l'obbiettivo di organizzare un colpo di stato contro le istituzioni repubblicane e il ritorno della monarchia con la dinastia sabauda. Tra gli iscritti alla loggia anche il senatore di Alleanza Nazionale e vice-presidente del Senato della Repubblica professor Domenico Fisichella.

27 gennaio 2004: mentre al palasport di Milano ci sono i "festeggiamenti" per il decennale di Forza Italia, vengono pubblicate su La Repubblica i registri delle intercettazioni tra il presidente Berlusconi con Trantino, Marini e i giornalisti Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri. Si scopre così che era stato proprio Berlusconi a manovrare tutta l'operazione contro i leader del centro-sinistra: contro Romano Prodi che lo aveva sconfitto alle elezioni politiche del 21 aprile 1996, contro Lamberto Dini artefice del "ribaltone" del 1995, contro Piero Fassino segretario del maggiore partito dell'Ulivo. Si scopre come erano state falsificate tutte le carte che Trantino e Marini in più occasioni avevano citato e che erano in progetto la fabbricazione di altre carte false contro Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Clemente Mastella. Nelle intercettazioni si scopre che Marini aveva proposto di accusare anche la signora Donatella Dini e persino il cardinale Camillo Ruini e il cardinale Carlo Maria Martini. Lo stesso giorno il gup di Torino Gianfrotta archivia l'indagine nei confronti dei dirigenti di Telecom Italia del 1997, Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi, rivelando che le trattative furono corrette e non coinvolsero Prodi, Dini e Fassino.

27 marzo 2004: la procura di Torino, ormai impegnata da più di tre anni con la questione Telekom Serbia, chiede il rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi, Enzo Trantino, Igor Marini, Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri.

Domanda: Quanti soldi ha dovuto sborsare Silvio Berlusconi per comperare il voto del senatore Lamberto Dini facendogli dimenticare tutto il fango che i suoi giornali gli avevano gettato durante l'estate del 2003?

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13) La Linea di Genova

Un'altra pagina oscura e fosca della nostra storia recente è quella relativa ai fatti del G8 di Genova, avvenuti tragicamente nel luglio 2001. Quegli avvenimenti furono una delle pagine più dolorose della storia della città di Genova, medaglia d'oro della Resistenza. Preciso subito la mia posizione: io sono un sostenitore di una "globalizzazione sostenibile", mi identifico nel movimento dei New Global poichè lo ritengo un processo irreversibile ma necessario di dovute importanti correzioni per evitare i conosciuti squilibri tra Nord e Sud. Ad ogni modo non mi ritrovo nè sulle posizioni del movimento No Global nè sulle posizioni estremiste di quesi movimenti violenti e spacca vetrine, allo stesso tempo credo che siano state fatte delle gravi violazioni nei confronti dei partecipanti. Come sempre ci sono diversi POD che deviano gli avvenimenti rispetto alla nostra timeline.

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30 novembre 1999: A Seattle, negli Stati Uniti, si riunisce l'annuale Conferenza dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Durante lo svolgimento dei lavori numerose sono le manifestazioni contro la sua politica, definita "neoliberista e imperialista" da parte di organizzazioni non governative, gruppi spontanei di protesta contro le misure in politica economica che sarebbero state prese nei primi anni del XXI secolo. Nasce il "Popolo di Seattle", movimento contro ogni tipo di globalizzazione; per la prima volta di parla di movimento No Global.

5 novembre 2000: Al Gore, vice dell'amministrazione uscente democratica guidata da Bill Clinton, vince le elezioni presidenziali battendo il candidato del Partito Repubblicano George W. Bush, e diventa presidente degli Stati Uniti d'America. Nel discorso che tiene sugli scalini del Campidoglio, a Washington, dopo il giuramento nelle mani del presidente della Corte Suprema, il 1° gennaio 2001, Gore sottolinea che il suo impegno è per "una lotta contro tutti i tipi di squilibri, politici, economici, sociali ed ambientali presenti nel mondo". Plauso delle organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo.

2 febbraio 2001: Ehud Barak, primo ministro israeliano in carica e candidato del Partito Laburista, vince le elezioni e batte la destra di Ariel Sharon. Durante una conferenza stampa Barak saluta il trionfo elettorale come "nuova linfa per il dialogo tra Israele e la Palestina"; felicitazioni dalla comunità internazionale.

15 marzo 2001: a Göteborg, in Svezia, durante il Consiglio Europeo il movimento dei No Global organizza una dimostrazione non violenta durante i lavori dei capi dello stato e del governo dei quindici paesi facenti parte l'Unione Europea. Una delegazione dei manifestanti viene ricevuta da Romano Prodi, presidente della commissione europea, e da Tony Blair, primo ministro laburista inglese e presidente di turno dell'Unione Europea.

13 maggio 2001: elezioni politiche in Italia. Dopo un'infuocata campagna elettorale vince in rimonta il candidato della coalizione di centro-sinistra, Francesco Rutelli, leader dell'Ulivo e sindaco uscente di Roma. Dopo il giuramento al Palazzo del Quirinale, nelle mani del presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il 19 giugno 2001, il nuovo ministro degli affari interni, Giovanna Melandri parte subito con lo staff del Viminale a Genova dove incontra il presidente della regione Liguria, il presidente della provincia e il sindaco di Genova. Nella città portuale si sarebbe tenuto l'incontro, tra il 19 e il 22 luglio, l'incontro dei maggiori paesi industrializzati del mondo. Dopo un'iniziale preoccupazione per la scelta fatta in precedenza nei confronti della città come teatro di possibili nuovi scontri da parte dei No Global, la Melandri trasferisce tutto la sede del ministero per i successivi due mesi a Palazzo Ducale della città ligure per gestire direttamente l'organizzazione dei lavori di preparazione.

25 giugno 2001: a Bruxelles, in Belgio, durante il Consiglio d'Europa il presidente del consiglio Francesco Rutelli assicura che massime saranno le protezioni durante il G8 di Genova. Lo stesso giorno il ministro dell'Interno Melandri, in un'affollata conferenza stampa al Palazzo Ducale di Genova presenta il piano elaborato per la prevenzione e la protezione: una "zona gialla", ad accesso limitato, ed una zona rossa, assolutamente riservata accessibile solo per i residenti e pochi altri. Controllo serrato per strade e autostrade, chiusi il porto, le stazioni ferroviarie e l'aeroporto di Genova-Sestri Ponete, dove furono installate batterie di missili terra-aria in seguito alla segnalazione da parte dei servizi segreti del rischio di attentati per via aerea. Adottate apparecchiature capaci di disabilitare temporaneamente i telefoni cellulari sigillati i tombini delle fognature nelle adiacenze della "zona rossa". Il ministro Melandri assicura che ci saranno "gli spazi per chi vuole manifestare la propria opinione, da dovrà essere pacifica e non violenta".

30 giugno 2001: visita ufficiale nel capoluogo ligure del presidente Ciampi che augura buon lavoro alle forze di polizia e ad alcune pattuglie dell'esercito che sono state predisposte dal ministro della difesa Arturo Parisi per eventuali attacchi terroristici. Durante il sopraluogo visita-lampo nella città del segretario alla difesa John Kerry che incontra il sindaco Giuseppe Pericu e i responsabili dell'interno e della difesa, Melandri e Parisi.

2 luglio 2001: la rete televisiva araba Al Jazeera trasmette un video-messaggio del terrorista saudita, Osama Bin Laden, capo di una organizzazione terroristica responsabile di una serie di attentati contro le ambasciate degli Stati Uniti. Nel video-messaggio Bin Laden "minaccia sangue all'occidente e al patto tra sionisti e neocrociati contro la grande riscossa dell'Islam"; proteste da parte del primo ministro Barak per gli attacchi ad Israele e il mancato riconoscimento dello stato israeliano e dell'Olocausto. Le accuse vengono rivolte soprattutto verso l'Afganista, il cui governo, retto dal regime dei talebani del mullah Mohammed Omar, ospita e protegge il terrorista sopra citato.

3 luglio 2001: manifestazione del Genova Social Forum davanti al Palazzo del Viminale, sede del ministero dell'interno. Vittorio Agnoletto e Luca Casarini, il primo portavoce del comitato che riunisce circa settecento sigle di movimenti contro il G8 e il secondo capo dei centri sociali del nord-est, chiedono l'annullamento della manifestazione in Italia ed una serie di iniziative contro lo squilibrio tra nord e sud del mondo. Il ministro Melandri non riceve una delegazione del Forum ma manda una lettera ai due responsabili nella quale spiega come siano stati garantiti "spazi adeguati per lo svolgimento delle manifestazioni da parte di movimenti e organizzazioni per la libera espressione della propria idea". La Melandri in particolare sottolineava che tutto questo doveva svolgersi nel massimo della legalità e dell'ordine pubblico. Proteste da parte del Partito della Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti.

4 luglio 2001: festa nazionale negli Stati Uniti in ricordo della Dichiarazione d'Indipendenza del 4 luglio 1776. Il presidente degli Stati Uniti Al Gore propone un "patto tra i popoli e le nazioni per la pace e lo sviluppo" che illustrerà durante i lavori del G8 di Genova mettendo al centro gli squilibri economici e sociali e la questione ambientale.

10 luglio 2001: il ministro dell'interno Giovanna Melandri e il ministro della difesa Arturo Parisi riferiscono alle commissioni interni e sicurezza del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati relativamente alle misure adottate per la sicurezza e la salvaguardia dei lavori. Proteste da parte della sinistra comunista.

16 luglio 2001: cominciano ad affluire a Genova gli aderenti e simpatizzanti delle settecento sigle che fanno parte del forum No Global e vengono sistemati allo stadio Carlini, sotto la stretta sorveglianza delle forze di polizia. Durante le perquisizioni vengono fermati e arrestati alcuni gruppi di giovani olandesi facenti parte un'organizzazione, i cosiddetti Black Bloc, che avevano portato una serie di pali, spranghe e altro materiale pericoloso. Su segnalazione del presidente della provincia di Genova, Marta Vincenzi, le forze dell'ordine fanno irruzione in un edificio scolastico di proprietà provinciale, nella zona di Quarto, e vi ritrovano gruppi non legati alle organizzazioni del Genova Social Forum ma vicini ai cosiddetti Black Bloc; questi ultimi erano riusciti ad entrare nell'edificio ed avevano impedito l'accesso alle altre sigle che partecipavano alla manifestazione, in particolare i Cobas i quali avevano segnalato irregolarità nell'assegnazione dei locali. Seguono arresti ed espatrii.

19 luglio 2001: alle 15,35 a Palazzo Ducale viene ufficialmente inaugurato l'incontro dei "grandi della terra". Il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il presidente del consiglio Francesco Rutelli accolgono il presidente della commissione europea Romano Prodi, il presidente di turno dell'Unione Europa e primo ministro britannico Tony Blair, il presidente della repubblica francese Jacques Chirac, il cancelliere tedesco Gerhard Schroder, il presidente degli Stati Uniti Al Gore, il primo ministro canadese Jean Crètien, presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi. Foto inaugurale del G8 davanti al colonnato del Palazzo Ducale e breve conferenza stampa nella quale Ciampi augura buon lavoro ai partecipanti. La prima sessione viene aperta da Prodi e Blair che illustrano alcune tematiche che l'Unione Europa ritiene necessarie: in primis politiche per l'integrazione che possano portare ad una veloce apertura ad Est, misure finanzierie ed economiche di controllo vista l'adozione dell'Euro a partire dal 1° gennaio 2002 e lotta contro ogni tipo di inquinamento con la sottoscrizione del "protocollo di Kyoto". Apprezzamento da parte di Chirac, Rutelli, Schroder, Crhètien e Koizumi. Gore rilancia sull'ambientalismo mentre Putin sottolinea una certa distanza per quanto riguarda l'apertura ad Est per l'Europa Unita. Sul lungomare intanto sfila una manifestazione organizzata dalla Rete Lilliput in difesa dei diritti degli extracomunitari e dei migranti, circa 50.000 persone sfilano fino ad arrivare alla "zona gialla" in modo pacifico, simbolicamente tenedo le mani in alto colorate di bianco. Durante il termine della manifestazione le forze dell'ordine bloccano un piccolo gruppo di anarchici che vengono portati in questura per l'identificazione e il successivo arresto visto alcuni atti compiuti contro alcuni lampioni e alcune vetrine. I tredici arrestati vengono condannati per direttissima e portati sui luoghi dei disordini perpetrati nel tardo pomeriggio dove riparano parte dei danni: il ministro di grazia e giustizia Anna Finocchiaro si complimenta per la velocità di esecuzione dell'ordinanza e per la stessa sentenza.

20 luglio 2001: la seconda giornata dei lavori al G8 è aperta dall'attesa relazione che il presidente Gore aveva annunciato già durante il discorso di insediamento a Washington. Propone innanzi tutto un grande patto tra le nazioni del Nord e del Sud denunciando la costruzione appunto di un secondo muro tra i paesi ricchi e i paesi poveri; "dopo la caduta del muro di Berlino abbiamo purtroppo scoperto l'esistenza di un'ennesima barriera tra i popoli e le nazioni. Non più tra Est e Ovest, ma ora tra Nord e Sud del mondo". La ricetta è una "nuova globalizzazione, governata e non lasciata allo sbando. Solo in questo modo eviteremo quelli squilibri così pesanti che tanto provocano in termini di povertà". Apprezzamenti generali e impegno comune vista la sottoscrizione del progetto statunitense. Nel pomeriggio incontro con rappresentanti di alcune nazioni dei paesi in via di sviluppo dell'Africa e dell'Asia con successiva cena di gala al Palazzo Ducale. Viene letto dall'arcivescovo di Genova Dionigi Tettamanzi un messaggio inviato da Sua Santità Papa Giovanni Paolo II che invita tutti a "non dimenticare gli ultimi del mondo". Previste una serie di manifestazioni. La prima, organizzata da alcuni lavoratori in occasione di uno sciopero, tra piazza Montano a Sampierdarena e piazza Di Negro, non provoca incidenti degni di nota. Un corteo della Rete Lilliput, di Rete contro il G8, Legambiente e Movimento Femminista, tra piazza Manin e piazza Goffredo Villa in prossimità del quartiere del Castelletto fino alla fantomatica "zona gialla". La terza organizzata da Rifondazione Comunista, dall'Arci e dalla Fiom Cgil a piazza Carignano ed infine una quarta, delle Tute Bianche di Luca Casarini bloccati mentre a piazza Corvetto cercano nella "zona gialla". La polizia, dopo alcune cariche per allontanare i resistenti, arresta una ventina di componenti facenti parte gruppi del centri sociali. Durante i controlli vengono segnalati alcuni attivisti dei già citati Black Bloc, francesi e spagnoli in questo caso, arrestati. Nel tardo pomeriggio si vivono momenti tensione piuttosto forte a piazza Alimonda, piccola centro del quartiere della Foce dove un gruppo di Black Bloc con manganelli e molotov assalta due camionette Land Rover Defender, della compagnia del CCIR "Echo" dei Carabinieri sotto il comando del capitano Claudio Cappello e la direzione del vicequestore Adriano Lauro. Un giovane, Carlo Giuliani, legato al movimento dei Black Bloc recupera un estintore per lanciarlo al Filippo Cavatario, autista del secondo Land Rover, ma viene fermato da carabiniere ausiliario Mario Placanica, arrestato ed identificato. Viene alla luce quindi una serie di piano organizzati per sfondare le due linee di resistenza e seguono una ventina di arresti tra attivisti con il ritrovamento di materiale pericoloso e armi; in tarda serata arrivano i complimenti del ministro Melandri.

21 luglio 2001: il primo ministro giapponese Koizumi presenta una successiva ratifica del "protocollo di Kyoto" con un ulteriore abbassamento delle emissioni di gas da parte delle maggiori industrie un maggiore incoraggiamento per la salvaguardia dell'ambiente. Gore si dice "entusiasta" e propone di stilare la cosiddetta "linea di Genova", una serie di punti programmatici stabiliti da rispettare e promuovere durante l'anno per poi essere verificati durante l'incontro annuale l'anno successivo. Blair propone innanzi tutti una centralità dell'azione dell'Organizzazione Internazionale delle Nazioni Unite; Chirac a tal proposito invita all'organizzazione di un vero e proprio Piano Marshall per l'Africa puntando alla gravosa lotta contro l'AIDS. Mentre Schroder inserisce nei punti una politica "di ordine e di solidarietà" nei confronti degli immigrati citando il caso tedesco e la nascita di una società multietnica, Rutelli mette sul tavolo una moratoria contro la pena di morte. L'iniziativa, ideata dal ministro degli affari esteri italiano Massimo D'Alema, riceve il plauso generale. Crètien e Putin, i più defilati durante l'incontro, insieme presentano in piano per il rispetto delle minoranze linguistiche; questo fa naturalmente scalpore soprattutto per la Cecenia. Il presidente russo, durante una conferenza stampa, annuncia una serie di misure per l'autonomia della regione da Mosca; il presidente Prodi dichiara "non avevo mai partecipato ad un G8 così pieno di idee e di colpi di scena". Vanno annotati alcuni disordini a piazza Rossetti e alcune manifestazioni di protesta contro l'arresto di Giuliani, soprattutto da parte di Agnoletto e di Casarini che decidono di incatenarsi nei pressi della "zona gialla".

22 luglio 2001: firmata la "linea di Genova" e foto di gruppo nella sala delle cerimonie del municipio di Genova con il sindaco Giuseppe Pericu.

Demofilo

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A proposito di Misteri Italiani, c'è anche questa ulteriore proposta di Ainelif:

14) "I Mostri" di Firenze

È conosciuto come "Mostro di Firenze" (definizione coniata dai media italiani) l'autore o gli autori di una serie di otto duplici omicidi avvenuti fra il 1968 e il 1985 nella provincia di Firenze. Per essi sono stati condannati in via definitiva Mario Vanni e Giancarlo Lotti, riconosciuti autori materiali di almeno quattro dei suddetti delitti, mentre un terzo, Pietro Pacciani, è morto in circostanze poco chiare prima di subire una condanna definitiva (per indicare i tre è nata la celeberrima espressione " compagni di merende", poi largamente utilizzata anche in politica). Più di uno pensa tuttavia che i veri mandanti degli otto efferati crimini siano tuttora a piede libero. Ora, che accade se il "Mostro di Firenze", chiunque esso sia (o essi siano), non viene catturato dalle forze di polizia, ma raduna attorno a sé un vero e proprio clan delinquenziale e continua a spadroneggiare nel capoluogo toscano e nella regione, compiendo efferati delitti d'ogni sorta senza che la polizia riesca a mettere a nessuno dei colpevoli il sale sulla coda? E se il "Mostro" avesse anche finalità politiche? Come andrà a finire?

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Questo è il parere in proposito di Dorian Gray:

In Italia potrebbe accadere qualcosa di simile a ciò che forse accade a Londra con Jack lo Squartatore. Secondo il noto film "La vera storia di Jack lo Squartatore", con protagonista Johnny Depp, le indagini sarebbero state affidate a corpi di polizia specializzati e segreti, con l'obbligo di mantenere il silenzio sul risultato dell'investigazione, qualora si dovesse scoprire che vi sono implicati personaggi della Massoneria, tra cui il medico personale di Sua Maestà la regina Vittoria, incaricato di curare l'emofilia del Duca di Clarence, figlio del Principe di Galles, a sua volta associato alla Massoneria. Nel film veniva addirittura ipotizzato che il Duca di Clarence si fosse segretamente sposato con una prostituta irlandese dalla quale avrebbe avuto una figlia, che, data la primogenitura del Duca e la legittimità del matrimonio, sarebbe stata la terza nella successione al trono del Regno Unito e dell'Impero Britannico.

Proviamo a trasferire tutto ciò nell'Italia degli anni '60 e '70. I compagni di merende sono dei killer prezzolati dalla Massoneria per conto di alcuni uomini politici insospettabili, legati anche ad ambienti mafiosi, come la Banda della Magliana, e ad ambienti dell'alta finanza, sia laica che cattolica... Cosa potrebbe emergere? Classica "Teoria del complotto"!!

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Chiudiamo per ora con la trovata di Alessandro Cerminara:

Nel 1981 fu scoperta la loggia massonica P2. Fu trovato l'elenco dei suoi iscritti, Gelli fu denunciato, le sue trame furono tutte scoperte. Fu il termine di quella vicenda. Tutta italiana.

Nell'ucronia non è tutto così semplice.

La lista non era completa. C'era una parte dell'elenco di nomi che non furono ritrovati. I fogli mancanti erano stati sottratti. Furono poi recuperati dopo una rapina, con l'intervento di taluni noti criminali romani su cui, anni dopo, furono scritti romanzi e girati film e serie tv.

Le persone di cui non si seppe nulla, continuarono, così, le attività. Più indisturbati di prima, dato che tutto il Paese era ormai convinto che la questione "P2" fosse archiviata. Inoltre, pochi lo sapevano, ma la loggia era legata anche a gruppi massonici internazionali, ben più antichi e più potenti, con progetti di cui questo Paese era solo una piccola pedina, come il gruppo che era stato guidato da Albert Pike in passato.

In ogni caso, una volta ripresa l'autonomia di movimento, fu ripreso, in collaborazione con quei pezzi di politica a loro legati, il progetto delineato nel "Piano di Rinascita Democratica". Furono attuate numerose riforme, riguardanti il lavoro, la scuola, le questioni etiche, la vita economica, che trasformarono il Paese sempre più nella direzione che negli anni '70 era stata immaginata.

A livello istituzionale, per le riforme immaginate su Governo, Magistratura e Parlamento, le cose andavano più a rilento, ma le riforme immaginate venivano spesso riproposte, e l'obiettivo di realizzarle sembrava raggiungibile con la giusta occasione.

Anche il ruolo delle forze sociali andò sempre più nella direzione che Gelli aveva immaginato. I Sindacati sempre più deboli ed ininfluenti, nonostante qualche momento di reazione in cui sembravano riguadagnare terreno. I corpi intermedi sempre più ectoplasmizzati. La società sempre più secolarizzata, e, quindi, impenetrabile da altri condizionamenti diversi dalle logiche da loro propagandate.

La piccola stampa e le Tv private, salvo qualche eccezione, si erano uniformate, come programmato. La Rai non era dissolta, come si era immaginato, ma il suo ruolo, certamente, era radicalmente mutato, ed il monopolio era stato cancellato ormai da decenni.

Ma c'era un punto del piano, da cui molto dipendeva, che aveva richiesto molto tempo. Era stato programmato di verificare se il sistema dei partiti allora presente, selezionando soltanto determinati uomini al loro interno (Craxi nel PSI, Andreotti e Forlani nella DC, ecc.), e "spingendoli" perché ne prendessero il controllo, fosse adatto alla realizzazione dei piani.

Il tentativo era stato espletato. Ma ad inizio anni '90, con il nuovo contesto internazionale, e con una serie di questioni che stavano ormai venendo a galla, faceva sì che ormai quel sistema avesse le ore contate.

Si decise, quindi, di passare al piano B.

Il vecchio sistema andava spazzato completamente via. Ai risultati delle inchieste andava data la più ampia pubblicità, perché nell'opinione pubblica nascesse il desiderio di una novità totale, e non, magari, di un semplice cambio di maggioranza parlamentare.

Le Tv di proprietà di un vecchio iscritto alla loggia fecero quindi da megafono.

Dopodichè, gradualmente ma inesorabilmente, bisognava prendere direttamente il controllo della politica italiana, nella maniera in cui si era immaginato: due nuovi partiti, che occupassero lo spazio politico sul centro-sinistra e sul centro-destra dello schieramento politico, riducendo gli altri ad un ruolo marginale, facendo totalmente sparire (o inglobando) le forze che occupavano gli stessi spazi, e spingendo le altre a ritagliarsi un piccolo spazio marginale sulle ali estreme o al centro, di modo da essere più ininfluenti possibile (se poi si pongono da sole su posizioni isolazioniste ed irrilevanti, meglio).

Questi due partiti dovevano essere così caratterizzati: assenza di una vera e propria identità ed ideologia di fondo, per non essere comunque legati a precise posizioni, e, quindi, meno controllabili dall'esterno, e sostanziale "novità" rispetto al passato, se non in qualche riferimento puramente simbolico.

Sul centro-destra la missione sembrava più facile. C'era una prateria da conquistare. Il vecchio iscritto della loggia lanciò a metà anni '90 un suo partito personale, pubblicizzandolo tramite le sue Tv, e raggiunse già un buon numero di consensi, che rappresentavano già una buona base di riferimento. Bisognava gradualmente "cannibalizzare" le altre forze presenti, provenienti dal centro o dalla destra, che avevano raccolto anch'esse un po' di consensi, ed emarginarne gradualmente i leader, annettendo o distruggendo gli altri partiti dell'area. Nel giro di una decina d'anni tutto sarebbe stato, prevedibilmente, pronto.

Sul centro-sinistra la cosa era più complicata. I maggiori eredi di PCI e DC si erano entrambi piazzati su quell'area. Sarebbe stato necessario smantellarli, e la cosa non sarebbe stata facile. La strada immaginata era una loro fusione in una nuova forza che teoricamente doveva rappresentare l'unione dei loro valori, richiamandosi agli incontri Moro-Berlinguer degli anni '70, ma in realtà doveva archiviarli entrambi, trovando il leader giusto per compiere, alla fine, questa trasformazione. L'operazione successiva sarebbe stata una rottura delle alleanze con una chiamata al "voto utile", per "togliere l'acqua" a chi diceva di non partecipare all'operazione. Se qualcuno fosse rimasto, sarebbe stato gradualmente logorato e spinto ad auto-emarginarsi, come da programma.

Nel 2007 tutto sembrava pronto a questa duplice operazione. Il nuovo partito sul centro-sinistra stava per nascere. Aveva nome, simbolo e collocazione internazionale che non richiamavano più nessuna idea precisa. Il leader giusto sarebbe stato costruito col tempo. Alcuni giovani promettenti erano stati individuati. Al momento giusto sarebbero stati lanciati, ed avrebbero avuto la strada spianata. Sul centro-destra, imprevedibilmente l'annessione degli altri partiti sembrava cosa un po più lunga. Ma la leadership era saldamente in mano al vecchio iscritto della loggia. Presto si sarebbe potuta tentare l'operazione, spacciandola per una cosa "necessaria" per reagire a quanto stava accadendo nell'altro schieramento. Agli altri partiti la scelta se partecipare o spaccarsi e perdere spazio.

Ma c'era un problema che negli anni si era individuato: tutta l'operazione poteva fallire perché, col tempo, una politica così cambiata poteva essere "non più riconoscibile" dall'elettorato, che sarebbe stato magari spinto a gonfiare quelle forze che si era programmato di distruggere o emarginare, rendendo inutile il tutto.

Era quindi necessario "incanalare il dissenso".

Chi non si riconosceva in quella politica bicefala e senza riferimenti, doveva essere raggruppato in una terza formazione. Che avrebbe avuto le stesse caratteristiche delle altre due (nessuna ideologia riconoscibile, nessun riferimento preciso, nessun legame vero con il passato), ma ulteriormente acuite. Nemmeno doveva essere collocabile sul centro-sinistra o sul centro- destra. E doveva essere "contro tutti". E "contro tutti" dovevano sentirsi quei cittadini che non si volevano collocare in uno dei due altri contenitori. Mai sia che si fossero riconosciuti in altre formazioni più "caratterizzate".

Quindi, proprio nel 2007, nel momento più delicato, fu lanciata l'operazione "anti-casta". Due giornalisti del quotidiano di proprietà dei maggiori gruppi economici italiani (con cui gli uomini della loggia avevano stabili rapporti da tempo immemorabile) lanciarono il libro che, grazie alla grande pubblicità ricevuta, fu il best-seller dell'estate. "La casta" era il titolo, e descriveva i politici, tutti, senza distinzioni, come, semplicemente, dei privilegiati, spingendo i cittadini ad un dissenso ancor più forte verso "i partiti" in generale, ed a giudicare secondarie le loro idee.

La seconda mossa giunse l'8 settembre di quello stesso anno. Furono lanciate, tramite il blog del comico più seguito nel Paese (le cui attività erano gestite da una società guidata da persone di idee molto vicine a quelle degli uomini della loggia. L'anno dopo diffusero online dei video in cui immaginavano il futuro del mondo, ed assomigliava tanto a come l'aveva immaginato Albert Pike 150 anni prima), delle manifestazioni, in tutto il Paese, dove, con toni anche molto duri, si attaccava l'intera classe politica del Paese, e quasi tutti i partiti presenti in Parlamento.

Nell'organizzazione di quella manifestazione furono "messi in campo", per la prima volta, dei gruppi locali di "sostegno". Essi, dopo una prima fase in cui sarebbero stati utilizzati per propagandare prima l'astensione alle politiche del 2008, e poi il sostegno, alle Europee del 2009, ad uno dei pochi partiti rimasti in piedi al di la dei due maxi-contenitori, l'unico che nelle manifestazioni, in quanto guidato da un ex-magistrato, non era stato attaccato (partito che sarebbe stato usato, "gonfiato", e poi silurato pochi anni dopo, quando non serviva più), limitandosi, come attività autonoma, al solo lancio di liste civiche, si sarebbero poi "federati", a fine 2009, per costituire, nel 2010, il vero e proprio movimento politico da tempo programmato, che avrebbe "raccolto", ed ulteriormente alimentato, tutto il sentimento "anti-casta" presente, evitando che il dissenso verso i due maxi-contenitori venisse raccolto da altre forze, e stabilizzando il sistema progettato, fingendo di combatterlo. Il movimento politico doveva essere attentamente controllato. Tutte le attività dovevano svolgersi su piattaforme online controllate dall'azienda. Ed il dissenso doveva essere represso. Gli eletti dovevano rispondere all'azienda. E nessun organismo doveva costituirsi, che non fosse nominato dall'alto. Il simbolo stesso era di proprietà dell'azienda stessa.

Il sistema ideato era così salvo.

Sul centro-sinistra, il nuovo partito pigliatutto aveva ormai il monopolio. E negli ultimi anni era stato lanciato quello che si riteneva essere il "leader giusto", un giovane quarantenne che diceva pubblicamente che le vecchie distinzioni ideali tra destra e sinistra erano "novecentesche", e la distinzione era solo tra "cambiamento e conservazione". Il movimento legato all'ex magistrato era stato silurato, come da programma, a fine 2012, dopo essere stato spinto a "sposare" battaglie suicide. Mentre il partito che aveva tentato di ricostituire una presenza di sinistra si era ormai auto-ghettizzato su posizioni isolazioniste e marginali, con il suo leader storico ormai visto dall'opinione pubblica come un ex-politico ormai dedito a questioni più personali che altro.

Sul centro-destra, c'era stato un passo indietro, con l'archiviazione del progetto del maxi-contenitore ed il ritorno al partito personale del vecchio iscritto della loggia. I consensi perduti, però, si erano diretti non su formazioni molto più "caratterizzate", ma su un altro partito che aveva poche idee di riferimento, nato come forza territoriale ed anch'essa "contro tutti" a fine anni '80 (contribuendo, ad inizio anni '90, ad evitare che il calo di consensi del vecchio sistema si traducesse in una semplice affermazione dell'opposizione. Qualcuno anche dietro la sua nascita vedeva operazioni simili a quelle qui raccontate), ed ora famoso più per gli strali contro gli immigrati che per progetti politici precisi per l'Italia. A destra, anche lì, c'era un piccolo partito, con qualche dirigente lungimirante, ma condizionato da una base troppo nostalgica del fascismo per poter puntare a progetti troppo seri.

Al centro, c'erano due partiti, a volte federati, a volte no, che si arrabattavano, insieme, per superare gli sbarramenti elettorali. Erano visti dalla popolazione più come strumenti di conservazione di singole carriere che come portatori di idee. Anche se alcuni loro esponenti tentavano di portare avanti una certa coerenza di contenuti. Ma erano condizionati da tanti altri vogliosi più di appiattirsi sull'uno o sull'altro contenitore, che di crescere davvero. Ed anch'essi erano comunque "infiltrati" da vari uomini della loggia che li condizionavano.

Tutto il dissenso verso un sistema così impostato era raccolto da questo "movimento" lanciato nel 2010. Dove ogni iscritto era "indottrinato" fino all'estremo. Ad ogni dissenso si lanciava l'accusa di essere legati al partito pigliatutto del centro-sinistra, in quel momento al potere assieme ai due partiti di centro. E non si permetteva nemmeno l'ipotesi di una trasformazione interna. Tutti dovevano procedere per "mandarli tutti a casa". E quando scoppiava qualche scandalo, immancabile era la risposta "è un complotto degli altri, che loro si che fanno questo e altro".

Costituivano, in realtà, l'assicurazione sulla vita del sistema. Che in questo modo non aveva nessuna possibilità di riforma interna. A chi ci avesse provato, avrebbero pensato loro a "togliere l'acqua".

Gli uomini della loggia dormivano sonni tranquilli. In un modo o nell'altro il potere era gestito da gente che, volontariamente (perché a loro direttamente legata) o involontariamente (perché seguiva le loro idee senza saperlo), portava avanti i loro programmi. La politica era ormai quasi interamente slegata da idee-base. E tutto era legato al "fare le cose efficientemente". Cosa questo significasse, ci avrebbero pensato le loro campagne - stampa, o taluni politici da loro lanciati o controllati, a dirlo. E tutti avrebbero ripetuto in coro, che significava fare le riforme programmate, a suo tempo, dalla loggia.

Licio Gelli intanto era morto. Ma il suo programma era vivo e vegeto. E tante riforme da lui programmate venivano attuate o erano, ormai, messe in "rampa di lancio". Rendendo l'Italia sempre più funzionale ai progetti dei gruppi massonici mondiali a cui lui era legato.

...

...tranquilli, è un'ucronia! La P2 è morta! Il suo piano lo potete leggere a questo indirizzo. E come potete vedere NESSUN punto è stato attuato!

I principali partiti italiani sono il PD, forza di solidi valori guidata da un grande innovatore come Matteo Renzi, il Movimento 5 Stelle, gruppo di ragazzi liberi che vogliono una politica libera, e la Lega Nord, partito che difende i valori del Paese! Sinistra e destra sono vive e vegete, con un partito di grande avvenire come Fratelli d'Italia ed un progetto promettente come Sinistra Italiana, che ha saputo slegarsi da vecchie logiche coalizionali che sapevano, irrimediabilmente, di vecchia politica!

La stampa è fatta di uomini liberi! Il Jobs Act, come le riforme di Monti e quelle, precedenti, del Pacchetto Treu e della Legge Biagi (che qualcuno ingiustamente chiama "Legge 30", disconoscendo il lavoro del giuslavorista ucciso dalle Br, dicendo che non può essere sua visto che era già morto), hanno aiutato i lavoratori a trovare un lavoro e renderlo più stabile! Le riforme economiche succedutesi dagli anni '80 in poi hanno liberato il mercato da lacci e lacciuoli! Le riforme Moratti, Gelmini e "Buona Scuola" hanno reso la scuola più moderna! Le nuove leggi sui temi etici hanno fatto avanzare i diritti civili! L'Italicum darà una legge elettorale stabile al Paese! Le riforme Costituzionali sbloccheranno finalmente il Parlamento!

L'unico problema è che ci sono ancora persone legate ad una vecchia idea di Paese e di politica. Un Paese bloccato dalla burocrazia dei corpi intermedi, con la scusa di dare rappresentanza alle forze sociali, da vecchi moralismi confessionali, da burocrazie locali scambiate per Democrazia.

Ed una politica vecchia bacucca, non "libera dalle consuete e fruste chiavi ideologiche" (ehi, dove stava scritta questa cosa?), in cui ci siano ancora partiti di vecchio tipo con idee definite, radici storiche, e quant'altro.

Ben vengano, quindi, i rottamatori alla Matteo Renzi, i ragazzi forti e determinati a dar battaglia alla Matteo Salvini, e la grande innovazione del Movimento 5 Stelle, che hanno svecchiato la politica e il Paese!

Avanti così!

...o no?

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Per partecipare alla discussione, scriveteci a questo indirizzo.


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