L'ostinazione dell'imperatore

scritta per celebrare la Festa di Utopiaucronia il 28 giugno 2021

di feder

La tomba dell'imperatore Francesco Giuseppe nella Cripta dei cappuccini a Vienna

La tomba dell'imperatore Francesco Giuseppe nella Cripta dei cappuccini a Vienna

"Vienna, 1916. La neve inclemente cade a fiotti sulla grande città, come è costume per quel periodo dell'anno. Stranamente però, a differenza degli anni passati non si vede più nessuno scendere nelle larghe piazze per giocare a rincorrersi con quella gragnuola fredda. Se uno ci fa caso, in effetti, è un po' che per le strade non si vedono più le coppiette tenersi a braccetto, gli anziani rievocare le memorie di vecchi valzer stranieri, e i giochi circensi intrattenere i pargoli col sorriso; tutt'al più, si può sperare di imbattersi nelle lagnanze di chi è stato ridotto alla fame dal razionamento bellico. All'angolo dei vicoli meno trafficati, l'ombra di qualche soldato ora in licenza, ma macerato dalla guerra, fa a botte con quello spaventapasseri di straccione che fino a pochi anni prima poteva vivere della generosità dei viennesi, e ora si ritrova ad essere magro come un chiodo. Ecco, si fa avanti un secondo mendicante, da sempre compagno del primo: tenta di parlamentare, cerca di mediare la lite; ma l'altro non lo capisce, si spaventa, spara, scappa e uccide. In effetti, si trattava di un soldato di leva sputato fuori da chissà quale cantuccio remoto della Duplice Monarchia.

Oggi però le cose sono diverse. L'imperatore è morto, si dice. Si dice? Si dice, si dice! Ma non è possibile, rispondono alcuni. L'imperatore c'è sempre stato; c'era quando ho aperto bottega, c'era quando mi sono sposato, c'era quando sono nato. Diavolo, c'era anche quando il nonno è morto, e sulla pensione stava scritto il suo nome! Non può essere morto. Quello campa cent'anni, ti dico io.
E invece, l'imperatore era proprio morto: un grande corteo ne accompagna il feretro fino al luogo di sepoltura. Alla sua testa, staffieri con fiaccole e corpi di cavalleria; sui lati, rappresentanti politici austriaci e ungheresi, dei paesi amici e neutrali, con il Kroneprintz tedesco in testa. Subito dopo, a un basso dalla bara, procedeva a capo chino l'unico erede di sua Maestà, il figlio Carlo. Povero, il figlio Carlo: teneva moglie e prole, ma non erano mica felici, sai. Ci credo, era un funerale, katzelmacher. Ma no, questo è ovvio; intendo dire che non gli piace il posto, non sta bene alla carica. Pare che abbia litigato con qualcuno, non so bene; però il re dei tedeschi, quell'altro che ci combatte affianco, tu l'hai mica visto alla manifestazione? No, se c'eri tu, non c'ero io. Allora credi a me: non c'era nemmeno lui."

"(...) Perché il figlio di Crono ha dato questa legge agli uomini: che i pesci e le bestie selvatiche e gli uccelli alati si scannassero pure l'uno con l'altro, dal momento che non c'è giustizia in loro; ma all'umanità ha dato la Giustizia, che è la cosa migliore."
(Esiodo)

È strano, ma ognuno di noi nella propria vita tocca un apice. Una volta raggiunto, non può che scendere. Che uno ci creda o meno, funziona così anche per i popoli, le nazioni e i grandi della Storia: ogni civiltà si sviluppa fino a un punto di non ritorno, vuoi perché stroncata da una calamità naturale, invasa da un'orda gelida, appestata dalla malattia oppure perché dolcemente si addormenta sotto l'incanto decadente della lussuria. Quest'ultima, a mio giudizio, fu la sorte che toccò al longevo impero asburgico: il suo declino fu l’effetto naturale ed inevitabile della sua grandezza smisurata. Fu la stessa prosperità a far maturare il principio di decadenza; le cause di distruzione si moltiplicarono con l’estendersi delle pretese sociali dei popoli; e non appena il tempo o gli incidenti ebbero rimosso i supporti artificiali (leggasi: il vecchio imperatore, simbolo assoluto di pace e autorità), l'aquila bicipite cedette sotto la pressione del proprio stesso peso.

Ma... era necessario che andasse così? Anzi, poniamoci nella mente di un uomo di quell'epoca. Cos'era più probabile, che l'impero scomparisse o che venisse mantenuto, pur con tutti i suoi acciacchi? Quale sorte potevano i contemporanei prevedere per il dominio di Casa Asburgo? Quanto state per leggere è una possibile risposta al sopracitato trittico di domande. Buona lettura.

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La colpa al Kaiser

Dunque, per iniziare questa storia col piede giusto, dovete sapere che quello che diceva il katzelmacher al suo amico era proprio vero. Pur non potendo mancare di fare una capatina a Vienna per consumare le proprie (sentite?) condoglianze e congratularsi per l'ascensione al trono del principe Carlo (a destra), il re tedesco non aveva sostato che poche ore nella capitale, prima di tornarsene nei militareschi ambienti di Berlino. Ufficiosamente (e questo venne comunicato anche agli ufficiali austriaci di stanza nella città) si trattava di paura per un tentativo di assassinio, dal momento che il Kaiser non si era potuto portare dietro l'interezza della sua scorta scelta. In realtà, le motivazione era tutt'altra: Carlo I e Guglielmo II non si potevano vedere. Questo perché il primo ha ben in mente di uscire dal conflitto, così da risparmiare ai suoi popoli ulteriori orrori derivati dalla guerra, mentre il secondo è deciso a proseguire lo scontro ad oltranza, fino a giungere alla vittoria finale. È così che Carlo inizia ad attuare sin da subito una rivoluzione interna alla corte, sostituendo i belligeranti e filo-tedeschi capo di Stato maggiore ed il ministro degli affari esteri con delle personalità più in linea con l’imperatore. Ma non è tutto. Carlo ha già nel cassetto un piano elaborato da tempo per cercare una pace separata con la Francia e la Gran Bretagna, grazie all'appoggio di Sisto di Borbone-Parma, cognato dell’Imperatore. In effetti, nonostante questi prestasse servizio per l’esercito transalpino di stanza in Belgio, (aveva dichiarato fin dallo scoppio del conflitto che un Borbone sarà sempre in primis un francese) egli resterà legato all’Austria, non soltanto per ragioni familiari, ma soprattutto per quella simpatia e fiducia che provava verso il nuovo monarca. In pratica, l’uomo giusto per riconciliare due nemici ancestrali.

Sin dalla fine di dicembre 1916, dunque, l'imperatore cominciò a comunicare all'amico Sisto delle missive, sia per forma scritta, sia per forma orale, da passare alle più alte cariche dell'Intesa. In una di questa si può leggere chiaramente la proposta di venire incontro alle richieste dei suoi nemici: ricostituzione del Belgio, restituzione di Alsazia e Lorena alla Francia, consegna della flotta e molto altro, seppure non si facesse aperta menzione delle richieste italiane. Di quelle, si sarebbe potuto discutere con calma in seguito, sosteneva l'imperatore. Le proposte di Carlo I destarono un notevole interesse in Francia: sia il presidente della Repubblica Poincaré, sia il primo ministro Briand, che non consideravano l'impero il vero nemico, si dimostrarono accondiscendenti di fronte alla possibilità di addivenire a una pace separata. Perfino re Giorgio V, un po' ansioso di risparmiare sofferenze alla popolazione, ma soprattutto timoroso di vedersi scippare il trono dalle numerose sollevazioni e scioperi a carattere socialista che si andavano diffondendo nel suo Paese, giunse a fare pressioni sul premier Lloyd George, allo scopo di ottenere una vittoria ai punti, quantomeno diplomatica, e calmierare così il turbolento 'fronte interno', evitando in ogni senso lo sbocco violento di una rivoluzione.

Se quindi, fino a febbraio le trattative erano procedute a rilento, la rivoluzione in Russia impose una velocizzazione con efficacia istantanea. Si presagiva infatti il crollo dell'immenso Paese, con il conseguente risultato di ricevere alle porte del Reno l'intero impeto dell'esercito prussiano, rilocato da est a ovest. Nella località francese di St Jean de Maurienne, il giorno 19 aprile del 1917 si incontrarono perciò il principe Sisto, per conto dell'imperatore, con alcuni alti dignitari di Francia, Italia, Inghilterra e Stati Uniti, da poco entrati in guerra. Era presente anche un delegato di Sua Santità, che premeva da tempo perché venisse interrotta l'inutile strage. Soprattutto per l'influenza di quest'ultimo, il segretario di Stato Pietro Gasparri, si giunse a un accordo: egli definì, con parole del Papa, la guerra come suicidio dell'Europa civile e la scintilla che avrebbe permesso al bolscevismo la conquista del mondo.

Di conseguenza, Carlo I iniziò a ritirare una parte sempre più consistente delle sue logore forze dai fronti francese e russo, con la scusa di soffocare la resistenza della Romania (nazione che, comunque, non aveva preso parte ai negoziati con l'Austria da parte dell'Intesa e venne tenuta all'oscuro di tutto per molti mesi. Lo si giudicò un prezzo necessario per mantenere il realismo del teatrino) e venire in aiuto della Bulgaria contro la sempre più probabile discesa in campo della Grecia. Per non destare sospetti, nemmeno i preparativi per la progettata offensiva sul fronte italiano (la stessa che ancora oggi ricordiamo come Caporetto) vennero fermati, anche se lo stato maggiore austriaco aveva improvvisamente iniziato a voler fare tutto da solo, schifandosi delle profferte tedesche di uomini e materiali.

A questo punto, probabilmente il Kaiser aveva già avuto sentore che qualcosa non stava andando come doveva, ma impegnato com'era non su uno, ma su ben due vasti fronti, aveva preferito lasciar correre, volendosi fidare del suo alleato meridionale. Quale orrore dovettero provare allora i prussiani, quando con proclama imperial-regio del 24 maggio 1917 (precisamente due anni dopo lo scoppio del conflitto con Roma!) le autorità italiane e austriache dichiararono congiuntamente la fine delle ostilità e la divulgazione al mondo di un armistizio. Il duca d'Aosta entrò in pompa magna prima a Gorizia, poi a Trento, convenzionalmente abbandonate dalle truppe austriache; poi si arrestò sui primi contrafforti delle Alpi orientali, incerto se proseguire oltre: il gesto, concordato fra il governo austriaco e quello italiano, aveva natura prettamente propagandistica e non voleva essere un trattato di pace vincolante. A Cadorna, comunque, non parve verò: trovandosi terreno spianato, subito diede ordine di proseguire fino a Trieste, giungendo fino alle porte della grande città, principale porto dell'impero austriaco. Centro vitale, dunque ancora difeso: agli ordini di Cadorna, dopo aver intimato una resa che non venne, i soldati italiani spararono su quelli asburgici, asserragliati all'intorno della rocca. Anche la marina, di sentimenti profondamente irredentisti, concorse al blocco del ricco porto; si giunse così a una crisi diplomatica, che venne risolta con la rimozione di Cadorna dal comando, per sostituirlo con il più compiacente Diaz. Lo scontro, almeno per il momento, era stato disinnescato, ma solo per ragioni di causa maggiore.

In effetti, al di fuori degli italiani, in quel momento tutti avevano altro a cui pensare. Com'era prevedibile, il Kaiser e i suoi baffuti sodali non avevano accettato la resa austriaca, cogliendola anzi come una diretta offesa allo spirito di fratellanza nibelungica che doveva unire, in quelle difficili circostanze, tutti i tedeschi. Nel giro di poche settimane, le divisioni spostate da oriente giunsero a meridione, preparandosi per un'offensiva generale. Nonostante il terreno favorevole alla difesa, sui Sudeti come sulle Alpi, la Strafexpedition (spedizione punitiva) germanica si concluse con un completo successo da parte tedesca: Praga, Vienna e Leopoli finirono occupate dall'esercito del Kaiser, che provvide a integrarle all'interno del suo impero, non risparmiando loro la suprema umiliazione di venire annesse alla Prussia. La resistenza iniziò subito, mentre Carlo I, che già premunerava le conseguenze di una possibile pugnalata tedesca, fuggiva a Budapest con la famiglia, il governo e ciò che restava del composito esercito austriaco. Per far fronte all'ardua situazione, l'imperatore (che entrava ora a tutti gli effetti a far parte dell'Intesa) dispose lo sgombero di truppe da Serbia e Romania, condizionando il recupero dell'indipendenza al supporto delle armate di quelle nazioni contro l'arroganza tedesca. Anche la Bulgaria, ormai rimasta completamente isolata, decise di cambiare casacca contro il mantenimento della Macedonia, della Dobrugia e l'arretramento del confine dalle foci del Danubio, e perfino la Grecia, buttato a mare il filotedesco re Costantino I, decise di schierarsi a favore dell'Intesa, nella speranza di guadagnare qualcosa dalle spoglie del decadente impero ottomano.

Il momento di massimo pericolo passò così in fretta, sia perché i tedeschi, pur tentando con tutte le loro forze, non riuscirono a oltrepassare il Burgenland, tenacemente difeso dagli ungheresi, sia perché le forze austriache, messesi al riparo oltre le Alpi dalla furia prussiana, unirono le loro forze con quelle degli italiani, aiutandoli a difendere il confine e contribuendo così a quel generale senso di unione che si diffondeva lungo i popoli dell'impero, ora tangibilmente minacciato di scomparire dalla carta geografica dell'Europa. Il fronte venne mantenuto stabile per tutta l'estate, fino a settembre 1917, quando finalmente le forze balcaniche, cooptate dalla flotta anglo-italiana, riuscirono a lanciare un'offensiva dalla Macedonia che spezzò la resistenza dell'impero ottomano, portando all'occupazione di Costantinopoli nel giro di breve tempo. Nelle ultime convulse ore del suo sultanato, Maometto V riprese vigore, probabilmente in ragione degli impreceduti eventi che avevano determinato una svolta nel conflitto. Egli esautorò il governo dei Giovani Turchi, che vennero arrestati e imprigionati, riprese il potere nelle sue mani e aprì a trattative con gli alleati che sarebbero risultate nella pace di Beyoğlu, sobborgo di Istanbul, con la quale la Sublime Porta usciva dal conflitto.

A questo punto la Germania è rimasta sola, seppure in una situazione talmente peculiare e bizzarra da parere assurda. I suoi eserciti spazzano i campi di battaglia dal Reno alla Vistola; la supremazia bellica tedesca è assicurata, ma l'economia del Kaiserreich sta colando a picco, e ci manca poco che la gente muoia di fame per le vie rovinate di Berlino. In più, ci si mette anche la spagnola, a mietere vittime da entrambi i lati delle trincee. I politici tedeschi, più vicini alle istanze della popolazione, cominciano a tentare i primi abboccamenti con i vertici dell'Intesa per provare a conseguire una pace con onore, ma vengono rabboniti in questo dallo stizzoso carattere dell'imperatore, unito coi militari nel tentativo di salvaguardare la reputazione delle forse armate tedesche. Nel corso del 1918 è tentata un'ultima grande offensiva a sud, per prendere Budapest e spezzare definitivamente la resistenza del traditore asburgico. L'improvvisato attacco effettivamente sfonda le linee sui Carpazi, ma grazie al supporto bulgaro l'impero riesce a ricostituire un'efficiente difesa sul Danubio, e ancora una volta i tedeschi sono arrestati. Senza più carburante per i propri mezzi, munizioni per le armi da fuoco e, soprattutto, cibo da mettere sotto i denti, i tedeschi sono costretti a sgomberare i Balcani, restituendo anche Vienna al legittimo proprietario, accolto da un bagno di folla in festa.

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La pace

E in effetti, era proprio arrivato il tempo di deporre le armi, se non altro per evitare che la grande coalizione antitedesca implodesse sotto il suo stesso peso. La conferenza, cui tutti i leader delle grandi potenze (perfino il governo di Kerenskij!) presero parte, tenutasi a Vienna era stata inaugurata sotto gli auspici del compromesso, così da ottenere una pace duratura. Non tutti erano felici della mediazione, però: Guglielmo II, infuriato per l'evolversi della situazione, aveva dapprima manovrato per proseguire la guerra, e poi, quando i segni di una possibile rivoluzione andarono moltiplicandosi, ordinò di sparare sui suoi stessi sudditi in protesta. Sarebbe stato troppo per qualsiasi popolo; lo fu anche per i tedeschi. Il ottobre, accettate le dimissioni del precedente governo, Massimiliano di Baden assunse la carica di cancelliere, di concerto con l'influente stato maggiore tedesco, il quale temeva di non poter reggere a una nuova offensiva.

Massimiliano era un candidato centrista, ma fermo e capace; con risolutezza, impose l'abdicazione di Guglielmo II, al quale vennero imputate tutte le responsabilità della guerra (capro espiatorio). Era un primo segnale, praticamente misero, ma ideologicamente cardinale, per la progressiva democratizzazione del Reich tedesco: la rivoluzione venne scongiurata, mentre sul trono prussiano saliva il Kronprinz Guglielmo III (a destra), che inaugurò un'epoca di liberalizzazione dello Stato su modello britannico. E fu proprio facendo leva sui propri legami con la casata regnante inglese, che il nuovo Kaiser riuscì a ritagliarsi i primi sospiri di pace; inaspettatamente, vuoi perché un po' volevano credere all'idea di una nuova Germania, vuoi perché ormai si desiderava disperatamente la pace, i vertici dell'Intesa corrisposero alle trattative.

Il congresso di pace (che si tenne allo Schönbrunn di Vienna, da poco riconquistato) rappresentò il trionfo della politica di moderazione ed equilibrio inaugurata da Carlo I sul trono d'Austria e benedetta anche da Sua Santità Benedetto XV. Contrariamente alla verve punitiva di Parigi, Austria, Italia, Inghilterra e Giappone cercarono di trovare un compromesso fra gli utopistici 14 punti di Wilson e il ben più ancorato principio dell'uti possidetis, che già tante volte si era dimostrato il metodo migliore per garantire la pace.

Germania:
Realisticamente, Berlino dovette sgomberare dall'occupazione di Francia, Austria, Boemia e Belgio, e inoltre perdeva tutte le colonie a vantaggio dell'Intesa, ma conservava i confini settentrionali e orientali inalterati. In particolare, il protettorato sull'appena liberata Finlandia (il cui sovrano era Federico Carlo I d'Assia-Kassel) e sul Ducato Baltico Unito (vassallo diretto della corona tedesca) venivano ufficializzati dalla congrega delle potenze, restituendo al Kaiserreich quella reputazione aurea di gendarme dell'Europa civile (stavolta contro il bolscevismo) che la guerra aveva parzialmente intaccato.
Sotto gli occhi gaudenti delle nazioni liberali, la Costituzione del 1848 venne emendata, con pochi ritocchi per rendere il Reich una democrazia parlamentare; diversamente da quanto previsto dalla costituzione del 1871, il Cancelliere avrebbe risposto al Parlamento, il Reichstag, e non più al Kaiser. Il piano, sovrainteso dal nuovo primo ministro e capo dell'SPD Ebert, proseguì tutto sommato spedito, mentre il movimento spartachista veniva molto silenziosamente purgato. La Germania riciclò peraltro moltissimi soldati di ritorno dal fronte occidentale in operazioni di "pulizia e pattuglia" nei nuovi Stati satelliti dell'Europa orientali, molti dei quali erano costruzioni più teoriche che pratiche. Guglielmo III, sovrano senza spina dorsale, accettò ben presto il ruolo di rappresentanza che gli spettava; nel timore di perdere anche quello, osò contravvenire agli insulti paterni, che provenivano dai Paesi Bassi, dove il vecchio Guglielmo II si era rifugiato.

Francia:
La reintegrazione di Alsazia e Lorena come province francesi venne salutata da una nazione che aveva sfiorato diverse volte il collasso come manna dal cielo. Anche se l'odio nei confronti dei tedeschi restava forte e l'obiettivo di resa incondizionata dei prussiani restava insoluto, Parigi poteva ben dire di essersi fatta valere, anche per la contigua conquista del Camerun. Grazie ad un'ondata di rinnovato sfruttamento delle colonie e alle riparazioni tedesche, l'economia si riprese. E poi, se la Germania restava forte, allora era facile far notare al Regno Unito i vantaggi di un informale protettorato comune sul Belgio...

Belgio:
Sebbene il Paese sulla carta non subisse amputazioni territoriali di rilievo, Londra e Parigi convennero per ripensare la forma dello Stato, che aveva dimostrato di non essere in grado di assolvere pienamente al suo ruolo strategico di cuscinetto anti-tedesco. Alberto I restò sovrano, ma il Paese venne ripensato per venire incontro alle isteriche istanze difensive dei due cari alleati: la dizione di 'Belgio' sparì dal lessico ufficiale (anche se restò nell'uso comune), per essere sostituita dalla duplice monarchia di Vallonia e Fiandre; la prima era sostanzialmente un'estensione protettiva della Francia sotto autogoverno locale (tant'è vero che la susseguente linea Maginot venne prolungata fin quasi alle foci del Reno), mentre la seconda manteneva al sicuro tutti quei grandi porti che costituivano un'arteria vitale per il commercio inglese. Il Congo subì un destino analogo, finendo per divenire un territorio nominalmente sotto corona di Alberto, ma fattualmente governato dagli interessi delle sorelle che si affacciavano sulla Manica.

Regno Unito:
Oltre a vedere saldamente tutelato il proprio piede fermo sul Continente, Londra si garantì la fetta più lauta di bottino dalle colonie, non soltanto ingerendo buona parte del Congo ex belga, ma annettendo anche Tanzania e Namibia ai suoi possedimenti. Il prezzo di queste conquiste (minori concessioni territoriali all'Italia in Libia e lo scambio dell'improduttiva Somalia) fu tutto sommato lieve. Le industrie inglesi ripresero presto a funzionare a pieno regime, spazzando via i postumi della guerra nello spirito di rinnovata collaborazione europea e mondiale. In ogni caso, sul tavolo il vero pezzo prelibato, come vedremo presto, non era rappresentato dalle colonie tedesche, ma dall'impero ottomano...

Turchia:
Per quanto rosee fossero le aspettative degli ex imperi sulla propria sorte, che il destino dei Turchi avesse a essere greve si capì da subito, perlomeno da quando truppe greche e bulgare fecero a gara per occupare la Città, e prendere in custodia il Sultano (compito nel quale, comunque, furono battute sul tempo dalla Mediterranean Fleet, che aveva interesse a mantenere l'Osmanoglü vivo come elemento di stabilità). Francia e Regno Unito si spartirono le province siriane e irachene del regno come fossero pezzi di una torta, mentre le aspettative arabe sulla creazione di un grande stato nazionale vennero parzialmente disattese. Lo sceriffo della Mecca, al-Husayn ibn Ali, si dichiarò sì Re dei Paesi Arabi, estendendo il proprio predominio a tutte quelle porzioni di Arabia su cui le potenze imperialistiche non avevano ancora messo le grinfie, ma il suo sogno di arrivare fino ai primi contrafforti dell'Anatolia per dar egli stesso manforte all'offensiva contro il signore dei turchi venne crudelmente disatteso. Alla fine, per non trovarsi di fronte un nuovo nemico, Parigi e Londra escogitarono la formula dei mandati, secondo cui Iraq e Siria diventavano dei regni nominalmente autonomi sotto i figli di Husayn, ma de facto controllati dall'estero. Conscio di non poter ottenere di meglio, lo sceriffo della Mecca accettò, deponendo per il momento l'obiettivo di incoronarsi Califfo dell'Umma, di gran lunga superiore ai suoi mezzi, per soffocare la rivolta separatista del Nejd sotto i Sa'ud.
Anche l'Iran, pur non avendo combattuto direttamente nella guerra, ottenne dall'Intesa del territorio in Kurdistan e Azerbaijan a titolo di risarcimento per l'invasione che aveva subito da parte di Turchia e Russia. In realtà il vero scopo, analogamente perseguito ad occidente con la creazione di una Grande Armenia, era quello di puntellare le difese alle frontiere contro la Russia comunista, che minacciava di prendere di peso il mondo intero. A farne le spese fu purtroppo anche il territorio metropolitano della stessa Turchia: la Grecia annessa come provincia propria la zona di Smirne, mentre l'Italia otteneva un mandato nella zona costiera che andava da Adana ad Antalya, ricca di carbone con cui tamponare la cronica mancanza di carburante della penisola. Il sultano dovette perfino rilocare la sua stessa sede, da Istanbul ad Ankara, poiché la prima località, foriera di dispute, era stata eretta a città libera dalla conferenza, edificando un nuovo Stato degli Stretti a sovranità limitata e che doveva fattualmente assolversi il compito di regolare il traffico commerciale nell'importantissimo Mar di Marmara.
A pochi giorni dalla firma del trattato, logicamente, scoppiò una rivolta nazionalista, guidata dal colonnello Mustafa; le potenze occidentali, preoccupate, unirono le forze per rovesciare i sovversivi e rimettere sul trono Maometto VI, figlio dell'anziano sultano, fucilato come collaboratore degli invasori. Ne seguì una decina di anni di dura repressione poliziesca e brutale occupazione militare, che finì per deprimere ulteriormente le speranze di ripresa del popolo turco.

Soldati alleati in Turchia

Soldati alleati in Turchia

Italia:
A differenza delle più tetre aspettative di Giolitti, la guerra, tutto sommato, era stata un buon affare per l'Italia. Dalla resa asburgica aveva incamerato le province di Trento, Gorizia, Pola e Trieste, portando il confine sulla stessa linea che aveva delimitato il non plus ultra dell'Italia augustea; oltremare, Roma aveva arrotondato i propri possessi, con l'acquisto di un ottavo di Turchia (unita al Dodecaneso nel formare un'amministrazione unica) e del Togo, oltre che con cospicui ingrandimenti in Libia e Somalia. Rispetto alla nostra timeline, i nazionalisti e i massimalisti protestano comunque, perché gli incontentabili esisteranno sempre, ma hanno molto meno seguito. La maggior parte della gente è semplicemente sollevata dalla fine del massacro, e tornando a poter riabbracciare i figli partiti per il fronte si congratula l'un l'altro per il coraggio dimostrato nel patire. Roma entra a far parte del club delle grandi potenze con Francia e Inghilterra; e anche se resta l'ultima ruota del carro, la pace sociale generata da un'adeguata compensazione per gli sforzi bellici assicura un cammino tranquillo senza ombre di fascismo.

Romania, Grecia, Serbia e Bulgaria:
Nei convulsi giorni che seguono alla ratifica dei trattati, nei Balcani si presenta il combustibile atto a far scoppiare (come al solito) un nuovo conflitto. La Bulgaria, infatti, pur se pronta a negoziare, non ha nessuna intenzione di farsi umiliare. Oltretutto, in questa TL Atene e Sofia sono nello stesso schieramento, perciò la prima non può legalmente avanzare alcuna pretesa su Tracia e Macedonia, e i quadri dirigenti della nuova repubblica ellenica, succeduta all'eliminazione del monarca filotedesco per mano dell'Intesa, sono più fedeli alle potenze che hanno tollerato e permesso la modifica della forma dello Stato, piuttosto che all'esasperato nazionalismo monarchico di pochi anni prima.
Anche Serbia e Romania, pur essendosi schierate fin dall'inizio dalla parte giusta del conflitto, restano piccate, poiché, ancora all'alba di quel 1918 che vide l'armistizio tedesco, si trovano invase e spezzate a meta fra le truppe d'occupazione asburgiche (in massima parte magiare e croate) e bulgare, dovendo anzitutto chiedere gentilmente ai propri nemici di sgomberare. In accordo con le grandi potenze, Vienna leva le tende dai territori occupati nei Balcani; a questo punto, però, accade il finimondo, giacché le popolazioni slave dell'Illiria insorgono, reclamando a gran voce l'intervento dei rimasugli dell'esercito serbo, in parte salvatosi dal disarmo grazie all'evacuazione italiana. Logicamente, Grecia e Romania saltano subito sul carro, nella speranza di spaccare la fragile alleanza fra l'Intesa e Vienna e pasteggiare sui territori dove ancora accampano pretese irridentistiche (Bucarest giunge addirittura a schierare l'esercito al confine transilvano). A soli quattro anni di distanza dal fatidico sparo che esplose la guerra, a Sarajevo austriaci e serbo-croati sfiorano il conflitto, sfidandosi con aria truce da diversi quartieri della città, subito divisa in zone di guerra.

Austria:
Dopo una serie di inquiete conversazioni con gli alleati, è lo stesso imperatore Carlo I ad accettare di risolvere pacificamente la questione: si opta per il ritiro da Croazia e Transilvania, dove verranno tenuti dei referendum per la risoluzione della controversia slava e quella rumena. Così, con un certo rammarico, l'Asburgo deve salutare con un addio il tributo offertogli dai croati e dai rumeni che sono sudditi della sua dinastia da secoli e vengono oggi ad essere infervorati dalle retoriche nazionaliste. Il passaggio pacifico, però, disegni confini più generosi rispetto alla nostra timeline: Budapest mantiene metà Transilvania e il confine con la Yugoslavia si attesta sulla Drava.
Purtroppo, non sono i soli a decidere per la secessione: l'anno seguente, la Galizia vota per riunirsi alla Polonia, e così Carlo I resta a regnare sui soli austriaci, cechi, magiari, slovacchi e sloveni, che non senza ragione hanno temuto di restar schiacciati in uno Stato egemonizzato dall'ortodossa Belgrado, e conservando la propria sudditanza agli Asburgo hanno indirettamente concesso all'impero di mantenere uno sbocco sul mare, tramite lo strategico porto di Fiume/Rijeka.

Ovviamente, il risentimento in Ungheria per le mutilazioni territoriali è molto forte. Il popolo, arrabbiato, non ascolta più la voce della ragione e smette di dar ascolto al legittimo governo della nazione, effettivamente autonomo dal volere di Carlo I, per dar manforte alle teorie rivoluzionarie dei demagoghi, che propugnano l'indipendenza dal giogo tedesco e la riconquista dei territori perduti. Nel 1919, il comunista Bèla Kun prese il potere, adottò la dittatura del proletariato e mise fuorilegge la proprietà privata, dichiarando l'Ungheria una repubblica sovietica sul modello bolscevico. Il governo degli aristocratici fuggì a Vienna, dove richiese l'intervento dell'imperatore; anche i Paesi dell'intesa, segnatamente Romania e Serbia/Yugoslavia, si proposero di intervenire, con il duplice scopo di sopprimere la pericolosa infezione rivoluzionaria e sgranocchiare ulteriori pezzi di territorio. Ma il saggio Carlo preferì aspettare.

Difatti, i nobili non furono i soli ad evadere molto rapidamente dal Paese, dal momento che il leader ungherese iniziò ben presto a purgare la dirigenza del partito unificato non solo da tutti gli oppositori, ma anche dai semplici critici. Man mano, il consenso che gli tributava la popolazione andò calando, per colare definitivamente a picco quando Kun diede l'ordine di sistemare le truppe nel Burgerland (terra foriera di atroci ricordi dal primo conflitto mondiale) per marciare su Vienna e liberare quelle popolazioni dal dominio imperiale. Le diserzioni, fra i ranghi ungheresi, si contavano nell'ordine di migliaia, fintanto che, al primo attacco austriaco, il tanto decantato esercito popolare di Kun si diede alla fuga, e la stessa popolazione di Budapest assaltò il palazzo presidenziale, aprendo le porte alle armate dell'imperatore.

L'esperienza, per Carlo I, fu cruciale nel distinguere quale fosse la strada da intraprendere, se l'impero doveva sopravvivere. L'Ungheria venne infatti punita, ma non severamente: il Burgerland tedesco passò all'Austria, mentre la Slovacchia venne sottratta all'amministrazione magiara per farne una nazione indipendente nell'ambito dell'impero. Analogo destino toccò alla Cechia, slegata dall'Austria, mentre Slovacchia e Tirolo diventavano regioni autonome della suddetta. Moravia e Transilvania vennero erette a regioni autonome della Boemia (la prima) e dell'Ungheria (la seconda). Ognuna delle quattro nazioni era dotata di un proprio governo e di un proprio parlamento, largamente autosufficienti; ogni otto anni però (il doppio di un tempo d'elezione nazionale) la popolazione era anche chiamata ad eleggere i ministri della federazione imperiale, personificata nell'imperatore, che era nominalmente sovrano di tutte e quattro le porzioni.

Insomma, dopo alcuni fisiologici scossoni, la politica di decentralizzazione di Carlo I riuscì finalmente a dare pace a stabilizzare quella tremebonda area del mondo sotto lo scettro degli Asburgo, anche se l'imperatore non fece in tempo a vederne i risultati. L'avveduto monarca sarebbe infatti morto nel 1922: nelle mani del suo amico e politico, primo ministro dell'impero, nonché filosofo ceco Tomáš Masaryk, eletto con i voti dei socialdemocratici austriaci e dei socialisti ungheresi, lasciava non soltanto i presupposti per l'insorgere di un'era di moderato progresso economico e liberalizzazione politica, ma anche il figlioletto Ottone, di appena dieci anni.

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Guai a Oriente

E la Russia?
Alla fine della guerra, il bolscevismo sembrava portato all'avanzata inarrestabile in tutto il mondo. Prima la Russia, poi la Germania e infine l'Ungheria avevano visto sollevazioni di natura massimalista; dei tre Paesi, però, solo a Mosca il PCUS si era mantenuto in sella, seppure costretto in una sanguinosa guerra civile contro i 'bianchi' controrivoluzionari.

Le cose iniziarono a cambiare a partire dai più recenti sviluppi in Polonia: la nazione, da poco liberata dalla secolare occupazione russa, aveva deciso di legarsi ancora maggiormente al lato vincente, compiendo una scelta obbligata nel valzer delle alleanze per tutelare la propria rinnovata indipendenza. A questo fine, la Polonia s'era data ordinamento monarchico: re di Polonia e granduca di Lituania venne eletto l'arciduca Carlo Stefano d'Asburgo (a destra), che abdicò dai propri titoli in patria per assumere quello di sovrano del restaurato Commonwealth polacco-lituano. Subito, il nuovo governo, di natura reazionaria e militarista, diede origine a una spietata repressione contro i comunisti, i socialisti e generalmente parlando ogni oppositore del trono e dell'altare.

Come c'era da aspettarsi, Lenin reagì a questi soprusi, accogliendo i compagni polacchi in fuga; di tutta risposta, il governo polacco, nella persona dell'eroe di guerra e maresciallo Pilsudski, diede ordine di oltrepassare il confine, occupando larghe fette di territorio russo fino a Minsk. L'obiettivo era approfittare del caos della guerra civile per espandersi al punto di rendere sicuro il possesso della Lituania, unico sbocco sul mare del nuovo Stato. A questo punto i sovietici non poterono esimersi dall'intervenire, sganciando grosse forze dal fronte interno per inviarle a Occidente; ma fu un errore.

Alle prime avvisaglie di sconfitta, infatti, Pilsudski chiamo alle armi gli alleati dell'Intesa, paventando la prospettiva di un'Europa ancora borghese, ma già percorsa da sentimenti socialisti, crollare di schianto di fronte all'avanzata bolscevica. Per prima rispose l'Austria, che inviò truppe sufficienti ad arrestare l'offensiva russa sulla Vistola; poi sopraggiunge l'aiuto dei tedeschi, desiderosi di riaffermare la propria superiorità sull'Oriente, che come in un effetto domino trascinarono con sé le dichiarazioni di guerra di Romania (desiderosa di rivalsa), Baltia e Finlandia.

Complessivamente, l'armata alleata raccolse importanti successi: prima venne spezzato l'assedio di Varsavia, poi iniziò una lenta riconquista dei territori occupati dall'Armata Rossa. Come pochi anni prima, i tedeschi avevano il vantaggio tattico, strategico e qualitativo; ma dalla loro, i russi schieravano valanghe di uomini. Fu anche per questo che l'attacco nelle pianure risultò incredibilmente macchinoso, mentre l'offensiva finlandese si assicurò in breve tempo la Carelia, portando la guerra alle porte di San Pietroburgo, da poco ribattezzata Leningrado.

I postumi della tragica guerra civile russa

I postumi della tragica guerra civile russa

Alla fine, però, l'esito del conflitto venne determinato dal fronte interno che, col proseguirsi della guerra, i bolscevichi avevano trascurato: grazie ai rifornimenti tedeschi, i cosacchi del generale Denikin non furono costretti ad arrestare la propria avanzata a Voronezh, proseguendo fino a Kaluga. Grazie al conseguente riposizionamento dell'Armata Rossa, Wrangel poté sfondare anch'egli il fronte nemico nei pressi di Saratov, tagliando le forze bolsceviche in due tronconi. Per tutto il 1919, l'Armata Bianca si occupò di finire la resistenza bolscevica nei centri industriali che aveva catturato; il terrore bianco, come venne denominato, mieté centinaia di miglia di vittime. Nella sola Leningrado, a fine guerra, si conta che l'esercito reazionario del crudele nobile Iudenich uccise più di 240,000 persone, lasciando la città come un miserabile cimitero.

A febbraio 1920, approfittando dello sciogliersi dei primi ghiacci, da oltre gli Urali giunse la spallata finale: il colpo di Stato bolscevico a Kazan venne smantellato, e coperti dall'aeronautica tedesca l'ammiraglio Kolchak occupò con una corsa Perm, Vyatka e Vologda, ricongiungendosi con Miller e i finlandesi su Mosca, ora circondata da tre lati. La città, infuocata dai discorsi di Lenin, non era però destinata ad arrendersi fintanto che questi fosse vissuto, e si preparò a subire un lungo accerchiamento che l'avrebbe trasformata in un deserto di fame e sangue. Onde evitare un tale deprecabile destino, l'opposizione menscevica si organizzò per mettere in atto l'omicidio dell'Anima del Popolo, così come era chiamato in codice. Il sesto giorno del tredicesimo mese d'assedio, nel dicembre 1921, contro Lenin, che stava tenendo un comizio in Piazza Rossa, fu fatto esplodere un colpo che risultò fatale per la salute già declinante del grande leader. Privi di una guida, gli operai andarono alla deriva: qualcuno, forse gli stessi mandanti dell'assassinio, aprirono le porte della città ai bianchi; pochi mesi dopo, l'ultimo rimasuglio dell'Armata Rossa guidato da Trockij, e asserragliatosi a Penza, venne definitivamente liquidato.
Pioveva, quel giorno; complice sia la calca, sia la tempesta, il colpevole non fu mai ritrovato.

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Un nuovo equilibrio

Dalla sconfitta della Russia comunista guadagnarono tutti. In primis, le nazioni limitrofe, che si espansero a danno del defunto impero: la Finlandia si aggiudicò la Carelia, la Baltia confini più sicuri, la Romania importanti porti sul Mar Nero, la Polonia-Lituania, miccia del conflitto, si affermò in Ucraina e Bielorussia, i popoli altaici, caucasici e turcofoni l'indipendenza. Perfino il lontano Giappone, alieno da tutte queste vicende, ne approfittò per arrotondare i propri domini nell'estremità orientale del continente, assicurandosi, fra le altre cose, l'importante porto di Vladivostok (Urajiosutoku, perla dell'impero del Sol Levante).

Dal momento che l'esito delle trattative fra i comandanti, di anime parecchio diverse, pareva propendere più per una nuova guerra civile che per l'accordo, Kolchak, Denikin e Wrangel, dotati di ben poco fiuto politico, ma desiderosi di salvare la pelle, richiamarono dall'esilio l'ex primo ministro Kerenskij (a destra), richiamandosi alla legittimità pre-rivoluzionaria. Da allora, il vecchio socialista ha tentato di agire come elemento di mediazioni fra i cadetti e i menscevichi sopravvissuti alle purghe e rimasti nel Paese, ottenendo ben poco successo: i tentativi di rafforzare la presa sul territorio, rimasto nelle mani di pochi ricchissimi aristocratici, risultavano vani, mentre anche l'economia, devastata dalla guerra civile, vacillava.

La politica della Repubblica Russa è, in effetti, molto instabile, e tanto obsoleta quanto è lo stato generale delle forze armate e delle infrastrutture del Paese. La scricchiolante coalizione di Kerenskij sembra in ogni frangente sul punto di collassare, mentre i bolscevichi nascosti da un lato, e guidati dal sempreverde Bukharin, sobillano la popolazione urbana, e i contadini sono invece protesi ad ascoltare l'autorevole voce della Chiesa ortodossa, che propugna un ritorno della monarchia zarista. Con il ritorno in patria dei Romanov, il futuro della Russia diventa sempre più incerto?

E il resto del mondo? Meglio, per certi versi; peggio, per altri. Di certo il mondo si risparmia i regimi totalitari di Hitler, Stalin e Mussolini; quando il Fronte Popolare vince democraticamente le elezioni in Francia il Paese, che non è mai stato piagato dal terrore bolscevico, inizia una progressiva transizione verso il socialismo. Analoga sorte tocca a Spagna (dopo la guerra civile), Stati Uniti e Gran Bretagna, a seguito del crollo di Wall Street e in accordo con le teorie di Marx sullo sviluppo del capitalismo industriale. Il socialismo si costruisce sulla scia dei sindacati come comuni decentralizzate di operai che si riconoscono in un governo unico eletto per le sole faccende di politica estera; per reazione, le vecchie monarchie d'Europa (Italia compresa) si coagulano nel vecchio progetto germanico di Mitteleuropa, come difensori ultimi della proprietà privata. Pare proprio che una guerra mondiale sia comunque alle porte.

In Russia, l'instabilità politica fa da concime per l'insorgere di dittature ed autarchie. Prima o poi un leader carismatico (sceglietelo voi; con tutti i rami della dinastia Romanov non ci ho capito niente) emerge, esautora Kerensji e i suoi ammirevoli tentativi di riforma, restaura l'impero e minacciando la guerra contro le province staccatesi dal vecchio dominio della sua famiglia tenta un potenziamento dell'esercito; senza i metodi staliniani, tuttavia, dubito che andrà a buon fine.

Che sorte toccherà alle colonie? Potrebbero ugualmente staccarsi dalla madrepatria (penso soprattutto alle più autonome come Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica ed Egitto), divenire teatro di governi in esilio (e qui l'esempio di de Gaulle insegna), oppure (e questa mi sembra la posizione più interessante) venire coinvolti nel progetto di costruzione di un socialismo veramente mondiale; i leader atti a ricoprire un tale ruolo, da Ho Chi Minh, a Mandela, da Lumumba a Gandhi, certo non mancherebbero.

Il Giappone invece continua certo indisturbato il suo processo di sviluppo, fino a costruire il proprio angolo di mondo prospero e chiuso a ogni influenza esterna. Probabile che se il sistema coloniale europeo collassa in ragione delle rivoluzioni, almeno qualche colonia in Oriente venga catturata da Tokyo, il cui obiettivo primario resterebbe chiaramente la Cina. A proposito: forse, in uno scontro diretto, uno contro uno, il Sol Levante riuscirebbe a domare il Dragone, riorganizzando il Paese di Mezzo sotto un governo fantoccio insediato a Nanchino. Ma in fondo, siamo proprio sicuri che i barbari occidentali vorranno lasciare in pace un tale ingombrante vicino?

Paradossalmente, le nazioni che se la passerebbero meglio in questa timeline sarebbero... quelle del Vicino e Medio Oriente! L'Arabia resterebbe unificata sotto gli Hascemiti, l'Armenia verrebbe risarcita del genocidio, l'Egitto diventa potenza regionale così come l'Iran, e l'Afghanistan pasteggia sul Raj britannico, aprendosi magari uno sbocco al mare sul Baluchistan. Lasciato senza l'ingombrante protezione del fratello maggiore statunitense, anche il Sudamerica potrebbe vivere una stagione di benessere, anche se vedo più probabile un riaccendersi delle tensioni da tempo sopite per la supremazia nell'area.

Così,

il sole tramonta
per l'ennesima volta
sull'umana onta

colpevole cena di miseri corvi
troppo pasciuti per essere morti
troppo spiumati per essere forti.

feder

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Il grande *Bhrg'howidhHô(n-) così commenta:

Mi piace affrontare questi interrogativi, grazie mille! Il primo, anzi, è superato dai secondi o, a rigore, dal fatto che entrambi riteniamo (Tu, immagino, perlomeno con questa ucronia) che comporti una risposta negativa: non era necessario che andasse così. Non so se Tu intendi «non era necessario che andasse proprio così» o lasci aperta la possibilità che non avesse ancora superato il punto di non ritorno per essersi dolcemente addormentato «sotto l’incanto decadente della lussuria»; per quanto mi riguarda, vedo nell’Impero Asburgico la Potenza più sconfitta della Storia e quindi, anziché naturale, mi sento indotto a considerare il suo declino come un caso statisticamente estremo di sistematica sfortuna, il che ovviamente non ha alcuna rilevanza sull’apprezzamento dell’ucronia e anzi porta alla (proposta di) soluzione anche del secondo dilemma: «era più probabile che l'impero scomparisse o che venisse mantenuto, pur con tutti i suoi acciacchi?»: se la Tua ucronia rappresenta (se non altro quello che consideri) il più probabile sviluppo del Punto di Divergenza costituito da una scelta storicamente possibile del pronipote di Francesco Giuseppe) e la pubblichi a preferenza di altre (fra le molte possibili sul destino dell’Impero), inclino a pensare, pur senza averne un indizio certo, che per Te la risposta sia la seconda e in ogni caso lo è per me, dal momento che individuerei le cause decisive per la fine dell’Impero in due fatti successivi al 1916, l’Intervento Statunitense e la Spagnola, il primo solo possibile e il secondo – per quanto inevitabile dal punto di vista della Storia della Natura – assolutamente fuori sistema rispetto alla Geopolitica e quindi per definizione improbabile (rientra nelle fatalità, necessarie ma incalcolabili nelle previsioni).

Solo dalla presentazione, più che dai contenuti, ricavo che l’ucronia risponda anche alla terza domanda, «Quale sorte potevano i contemporanei prevedere per il dominio di Casa Asburgo?». Se così è, nel 1916 potevano prevedere che, con una mossa ‘sabauda’ (per intenderci), l’Impero si sarebbe sottratto a una dissoluzione altrimenti certa, pur al prezzo di perdere metà del territorio (laddove invece perfino la Germania si sarebbe di fatto accresciuta – giacché Baltico e Finlandia erano comunque nel Reich, la Polonia-Lituania qui no – e la Bulgaria, ‘traditrice’ nello stesso momento, avrebbe conservato tutte le conquiste, l’Austria-Ungheria cedendo invece territorî non solo alla Serbia, i cui Servizi Segreti erano pur sempre stati i responsabili della prima aggressione, ma anche agli ex-Alleati il cui ‘tradimento’ era stato di solo pochi mesi prima, ma effettivamente «dalla parte giusta del conflitto» nel senso di ‘imbroccando quali sarebbero stati i Vincitori’). In altre parole: la sorte dell’Austria-Ungheria è qui indubbiamente migliore che nella Storia vera; al contempo, per chi non conoscesse ciò che aveva in... serbo la Storia, sarebbe stato un trattamento così umiliante e offensivo (vengono premiati tutti, l’Aggressore, gli Alleati traditori, l’altro traditore dell’ultima ora e perfino il nuovo Nemico, mentre solo Austria e Turchia perdono) che prevederlo avrebbe implicato un tale pessimismo da far sorgere la domanda di come avesse fatto lo stesso Impero ad accettare, appena due anni e mezzo prima, di accettare la sfida della guerra.

A questa domanda, che mi sono posto tante volte, ho imbastito un’altra risposta, più influenzata dal fatto che Vienna e Berlino hanno continuato a combattere insieme fino al novembre del 1918 e, delle tre Fronti che interessavano i confini austro-ungarici, vincendo definitivamente sulla maggiore (Orientale), precocemente – anche se con cruciale rovesciamento finale dovuto al ritiro della Bulgaria – su quella originaria (Sud-Orientale) e con un equilibrio fino agli ultimi giorni complessivamente favorevole su quella minore (Sud-Occidentale). Sono volentieri disponibile a discuterne.

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E feder gli replica:

Posso capire le tue rimostranze sulla sorte dell'Austria se paragonata ai suoi alleati: qui l'impero deve effettivamente cedere grosse porzioni di terreno, specie se paragonato con la Germania; ma la situazione geopolitica delle due potenze è irrimediabilmente diversa. Se Carlo I vuole far sopravvivere il suo impero, deve cercare di salvare il salvabile, venendo a patti con le piccole e bellicose potenze che avevano compiuto l'Accerchiamento tramite delle concessioni così da disinnescare l'ingarbugliatissima questione. Se noti, in effetti, prevenendo, nel limite del possibile, simili mosse ostili da parte di Serbia, Romania, Italia, l'impero può uscirsene relativamente a buon mercato, mantenendo metà Transilvania, l'interezza della medievale contea del Tirolo, oltre che lo strategica sbocco al mare su Rijeka/Fiume per mezzo della Slovenia. Non stento a immaginare poi che, con sviluppi successivi, l'impero potrebbe addirittura riprendersi e arrivare a proiettare la sua influenza sui Balcani (es. se la Jugoslavia si dissolve, è praticamente certo che la Croazia 'tornerà all'ovile'); ma per il momento, ho voluto essere realistico e costringere l'aquila bicefala ad ingollare un (duplice!) boccone amaro, pur di lasciarle modo e tempo di rattopparsi le ferite, così da potere, un giorno, ricominciare a volare.

Come dicevo, peraltro: vero è che la Germania esce dalla guerra meglio che dalla nostra TL, ma considera anche che a) la Turchia ne esce molto peggio b) c'è del realismo nelle mie considerazioni. Dubito infatti che il reich avrebbe mai accettato condizioni di pace diverse da quelle da me descritte nella Storia reale; in effetti si sa, dai documenti dei diplomatici, che gli ambasciatori tedeschi avevano malinteso i 14 punti di WIlson come una misura cautelativa dei propri confini e bonaria verso le nuove nazioni che Berlino aveva c.d. 'liberato' nell'est. Non per dar adito alla retorica aristocratica e militaresca su cui poi fiorì il bulbo marcescente del nazismo, ma bisogna tener conto che è pure vero, in fin dei conti, quanto dicevano i colonnelli e gli junker alto-prussiani: il loro esercito non aveva mai subito una seria (o per meglio dire, irreparabile) sconfitta in guerra, e il collasso storico della Germania è dovuto principalmente al disfacimento del fronte interno: la gente aveva appena osservato due (tre con l'Austria) imperi storici andare a gambe all'aria, e non avrebbe aspettato ancora molto per levare di mezzo anche il Kaiser, nel tentativo di saziare gli appetiti della fame. Nota a parte: ho sempre trovato il più forte elemento di convincimento a proposito della capacità propagandistica di un regime totalitario la nozione storica che, a differenza di quanto accaduto nella I, nella II guerra mondiale i cittadini tedeschi non si ribellarono mai all'ordine costituito, anche trovandosi in situazioni indiscutibilmente più gravose e insperabili di salvezza.

Cosa permette il cambiamento rispetto alla timeline 'reale'? è il tradimento nibelungico a scuotere le menti dell'aristocrazia, e permettere un cambio di rotta al fine di non affondare l'ormai traballante edificio della nave costruita da Bismarck e indirizzata da Guglielmo II su mari burrascosi. Così, ai primi acchiti di serie sedizioni, il sistema si presenta responsivo e rottama il Kaiser, cercando di presentare la propria faccia migliore all'Intesa. Dico che la cosa potrebbe funzionare perché, strategicamente parlando, l'esercito tedesco era imbattuto e avrebbe potuto difendere la madrepatria, o sul Reno o sulle Alpi, ancora a lungo; mentre negoziando un'armistizio, i Paesi dell'Occidente avrebbero ottenuto l'obiettivo di ridimensionare la Germania (ragione per cui è fondamentalmente stata combattuta la guerra) senza annichilirla e anzi usando strumentalmente il suo peso in funzione anti-russa (e anti-rossa). Quando ancora scrivevo l'ucronia mi ero difatti detto che sarebbe stato intelligente evitare il disgregamento dell'URSS, così da lasciare in mano agli europei un nemico comune da temere e in ragione del quale avvicinarsi diplomaticamente; una diversa formulazione dello scenario ucronico da me presentato potrebbe essere un Mondo dei Quattro Poliziotti, permutato in costante guerra fredda: Europa (potenze europee + colonie) ricca, ma in piena decadenza e minacciata dall'indipendentismo dei territori extracontinentali, Unione Sovietica (Asia continentale) fortezza industriale e geostrategica ma rinchiusa nei suoi confini storici pre-patto Molotov-Ribbentrop, USA (Americhe) generalmente pacifici, e Giappone (Asia orientale e pacifica) fortemente militarista e desideroso di espandersi a danno di Cina, americani ed europei. Punti di collisione fra i diversi imperialismi sarebbero stati sicuramente la Cina, il Vicino e Medio Oriente, oltre che ovviamente l'importantissima questione indiana. Possibile che in questo mondo gli imperi extracontinentali si riescano a salvare, federalizzandosi così come desiderato da Churchill, o crolleranno sotto l'impeto delle rivoluzioni dei popoli schiavi?

Anche per la Bulgaria vale un discorso simile a quello tedesco: nessun nemico avrebbe potuto battere l'esercito bulgaro sul campo (Serbia e Romania sono sconfitte e occupate, la Grecia neutrale e poi forzata a diventare amica ed alleata) e non era certo negli obiettivi geostrategici di Parigi, Roma, Washington e Londra (forse di Mosca sì) smantellare il Terzo Tsarato. In sintesi: l'Austria perde? Certo, come la Turchia, la Russia, la Germania e la Bulgaria (poste in quest'ordine crescente di disfatta), ma credo di aver dipinto uno scenario dove una potenza ormai arrivata al lumicino (beninteso: parlo dell'anno 1916 e seguenti, non del 1914) riesce fortuitamente a salvaguardare la propria esistenza in maniera apprezzabile, se non accurata. Dopotutto, gli Asburgo non hanno mai puntato le loro fiches sulla costruzione e mantenimento di una grossa forza coercitiva (come, tanto per dirne una, gli Hohenzollern); ma piuttosto hanno scelto, se mi si consente una lettura piuttosto romanzesca, la via dell'Amore. Bella gerant alii, tu felix Austria, nube! Cosa avrebbe comportato mantenere quei territori contesi, qui ceduti? Solo più occasioni per determinare ulteriori scontri e minacciare quel clima di pace e calma coesistenza fra i popoli che sempre era stato l'obiettivo dell'Imperatore (inteso qui non soltanto come Carlo I, ma anche come figura simbolica, depositaria di tutta quella tradizione lunga millenni che aveva voluto fare, per un caso fortuito o abilità, di Gaio Giulio Cesare restitutor Orbis e, soprattutto, pater populorum).

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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:

La Seconda Guerra Mondiale senza la Prima?

Una "Seconda Guerra Mondiale" avrebbe potuto esserci senza la Prima? A dirlo sembra illogico, in quanto una seconda deve essere fisiologicamente conseguenza di una prima. Proprio per questo, nelle ucronie in cui la Grande Guerra viene evitata, sembra che tutta la storia mondiale si evolva in modo piuttosto pacifico e virtuoso. Ma sarebbe stato quello l'unico possibile sviluppo? Oppure le tensioni sociali in Russia, le idee razziste, il progetto giapponese della “grande Asia” avrebbero determinato comunque dei conflitti, ivi compreso uno "generale"?
Per provare a rispondere tracciato una timeline alternativa in cui il 1914 passa (quasi) liscio ma in cui vari eventi successivi si verificano ugualmente. Per il momento la timeline arriva fino al 1949 (idealmente vorrei proseguire fino ai giorni nostri, magari con i vostri graditi suggerimenti).
Avvertenza: non mi sono risparmiato con la fantasia, quindi potreste trovare qualche punto controverso se non addirittura "blasfemo". Trattandosi di un esperimento, ho voluto mettere da parte ogni pudore e spero di ricevere tante osservazioni da parte vostra.

30-31 luglio 1914
Lo Zar Nicola II, in contrasto con il parere dei suoi generali, decide di non autorizzare la mobilitazione generale. Il Capo di Stato Maggiore, generale Aleseev, ritiene che la mossa sia disonorevole e decide di dimettersi. Molti alti ufficiali la pensano come lui, e comincia a montare segretamente una corrente d'opinione ostile allo Zar.
La scelta dello Zar allenta la tensione con la Germania, impedendo al bellicoso Capo di Stato maggiore Moltke di prevaricare il più ragionevole Cancelliere Bethmann-Hollweg e dare inizio alla marcia del sistema militare tedesco verso la guerra. L'Austria-Ungheria, pur ferma nell'intenzione di proseguire la sua azione contro la Serbia, rinuncia infine alla mobilitazione generale, che non più considera necessaria. All'inizio di Agosto la retromarcia della Russia viene completata con l'interruzione anche della mobilitazione parziale.

Agosto-Dicembre 1914
Superato il momento più pericoloso della crisi, la Gran Bretagna riesce a organizzare una conferenza europea. La Germania ottiene infine la neutralità delle altre potenze nel conflitto tra Austria e Serbia, ma l'Austria deve impegnarsi a non attuare la mobilitazione generale e non beneficiare di aiuti da altri paesi. In questo modo il conflitto dovrebbe restare circoscritto. In Russia, la scelta di abbandonare la Serbia al suo destino suscita vigorose manifestazioni popolari. I sudditi inferociti insultano Nicola II chiamandolo vigliacco, e la zarina accusandola di essere una spia tedesca.
Sul campo, l'esercito austro-ungarico tenta più volte di sconfiggere la Serbia ma subisce gravi rovesci e deve ritirarsi. A metà di dicembre viene stipulato un armistizio e l'esercito austro-ungarico abbandona il territorio serbo ripristinando il confine prebellico. Avverata la previsione del Kaiser tedesco Guglielmo II ("a casa per Natale") ma con un esito diverso da quello che tutti si aspettavano.

1915
La crisi serba è stata superata, ma a prezzo di gravi tensioni. In Austria-Ungheria, l'onta della sconfitta provoca una profonda riorganizzazione delle forze armate, con pensionamento di tutto il vertice militare e sostituzione con ufficiali più giovani.
In Russia le proteste popolari non si placano dopo la fine della guerra nei Balcani, perché ormai sono venute allo scoperto tensioni politiche e sociali. La Duma protesta per le sanguinose repressioni, e Nicola II irritato decide di sospenderla, ma questa volta i deputati si ribellano, riuniti in una maggioranza trasversale formata da esponenti della destra e della sinistra.
In Germania, il Cancelliere Bethmann-Hollweg viene accusato di aver provocato un grave scacco diplomatico al paese per non aver sostenuto adeguatamente l'alleato austro-ungarico. Dopo le sue dimissioni, il Kaiser affida il compito di Cancelliere al noto e carismatico Alfred von Tirpitz, già ministro della marina.

1916
Muore a Vienna Francesco Giuseppe e gli succede Carlo I che annuncia l'intenzione di attuare il progetto degli Stati Uniti della Grande Austria. Il governo ungherese però non è d'accordo e pur di ostacolare il progetto proclama l'indipendenza. La mossa di Budapest porta slavi e romeni a ribellarsi a loro volta alle autorità di Budapest.
In Russia, la crisi costituzionale paralizza l'amministrazione, mentre i continui scioperi causano carenze di beni e interruzione di lavori. Particolarmente dura l'attività dei bolscevichi, guidati dal carismatico rivoluzionario Lenin appena rientrato dalla Svizzera. Esponenti del cosiddetto partito dei cadetti e della destra nazionalista propongono al generale Alekseev, in pensione, di attuare un colpo di Stato. Nicola II viene forzato a lasciare il paese con la famiglia e a nominare Alekseev come Reggente per un tempo indeterminato.

1917
La breve e quasi incruenta guerra civile in Ungheria si conclude con le province ungheresi di lingua slava che si riuniscono all'Austria per partecipare al progetto di stato federale proposto da Carlo I, e con la Transilvania che viene annessa alla Romania. L'Ungheria indipendente si riduce a una entità decisamente più piccola rispetto al regno di Ungheria asburgico.
Alekseev organizza le elezioni per la nuova Duma. Ne esce una maggioranza piuttosto risicata a sostegno del nuovo ordine: i monarchici considerano Alekseev un criminale, i bolscevichi ormai sono convinti di potere e anzi dovere attuare una rivoluzione popolare; i rappresentanti dei popoli non russi sono ostili al centralismo e chiedono insistentemente autonomie.
Si forma un governo retto dal socialista riformista Kerenskij.

1918
Kerenskij presenta alla Duma un ambizioso programma di riforme che gli consente anche di convincere alcuni esponenti dell'opposizione, rendendo il governo più stabile. Tra le grandi riforme previste, quella per concedere maggiore autonomia ai popoli diversi dai grandi russi, consentendo a tutti di usare come lingua scolastica ed amministrativa quella natia, in aggiunta al russo.
L'annuncio della riforma aiuta a spegnere sul nascere alcune insurrezioni secessioniste: a Helsinki, il generale Mannerheim tenta di proclamare l'indipendenza della Finlandia, ma fallisce e si salva dal carcere solo grazie alla fuga su un u-boot tedesco. L’intromissione tedesca determina una crisi diplomatica tra Pietrogrado e Berlino. Francia e Gran Bretagna intervengono per mediare e tamponare la tensione tra i due paesi.

1919
Si ribellano, per ragioni diverse, i latifondisti tedeschi del Baltico, colpiti nei loro privilegi economici dalle riforme sociali del nuovo governo, e gli anarchici ucraini. In Polonia, nel frattempo, si infiltrano i guerriglieri di Pilsudski, che l'Austria ha ospitato per anni sul proprio territorio e rifornito di armi. In Estremo Oriente si ribella l'ammiraglio Kolcak, che millanta di essere incaricato dall’ex Zar Nicola II.
In Germania, Tirpitz presenta al Reichstag un nuovo programma di potenziamento della marina. Tra le nuove navi in progetto ce n'è una particolarmente innovativa, in grado di trasportare aeroplani.
Gli Stati Uniti della Grande Austria adottano una nuova bandiera disegnata da Carlo I: dodici stelle bianche, una per ciascuno degli stati della federazione, disposte in cerchio su uno sfondo rosso.

1920
Il governo russo è assediato da ogni parte e anche i bolscevichi insorgono a Mosca, erigendo la città a capitale di un loro stato basato sugli ideali socialisti. Alekseev e Kerenskij ottengono rassicurazioni di fedeltà dai reparti militari presenti a Pietrogrado, e decidono di restare in città e resistere all’incombente assedio dei bolscevichi.
Le milizie bolsceviche, battezzate col nome di “Armata Rossa” si espandono in tutte le direzioni. La loro prima campagna è quella contro i tedeschi del Baltico, che vengono repressi con estrema durezza. Successivamente l’Armata Rossa si concentra sul fronte meridionale contro i ribelli ucraini divisi in varie fazioni che si combattono e si indeboliscono vicendevolmente.
Nel frattempo, in Siberia, Kolcak rafforza la sua supremazia e nonostante la sconfessione da parte del decaduto Zar, che nega di avergli impartito alcun ordine, ottiene il sostegno del Giappone.

1921
Dopo aver ottenuto il controllo dell'Ucraina, i bolscevichi concentrano le loro forze in Polonia, contro i guerriglieri di Pilsudski. Alekseev e Kerenskij, ancora assediati a Pietrogrado, decidono, anche su consiglio britannico, di riconoscere l'indipendenza della Polonia in cambio di un'alleanza con gli indipendentisti polacchi. Le truppe bolsceviche sono sconfitte nei pressi di Varsavia, e nel frattempo il generale Wrangel, supportato da navi britanniche, sbarca a Riga con un esercito di volontari internazionali. Le fortune dei rivoluzionari rossi declinano repentinamente e l'Armata Rossa deve abbandonare l’assedio di Pietrogrado. Nel frattempo, altre truppe fedeli al governo Kerenskij arrivano dalla Siberia. Truppe da ogni direzione convergono su Mosca, ma nel frattempo la posizione di Kolcak nell'estremo oriente russo si fa inevitabilmente più solida.

1922
La mediazione del britannico Lord Curzon stabilisce il confine tra la nuova Polonia indipendente e il resto della Russia. In Siberia, Kolcak viene assassinato, e il suo posto viene preso dall’atamano cosacco Samenov e dal generale Ungern-Sternberg. Samenov proclama la nascita dello stato della Transbajkalia e propone al governo russo un accordo di pace che contempla il corso del fiume Lena e il lago Bajkal come confine. Il governo russo, in cambio del sostegno economico delle altre potenze e della conferma della sua sovranità sulle province baltiche e sulla Finlandia, dove covano ancora focolai di insurrezione, decide di accettare.
Entro l’autunno, Mosca è stata riconquistata, ed è possibile, in un paese finalmente pacificato, votare per l'elezione della nuova Duma. Lenin, salvato da spie tedesche, viene portato in Germania. Trotsky fugge autonomamente attraverso vari paesi. Stalin resta a Mosca, viene arrestato, processato e condannato a 30 anni di carcere.

1923
Chiuso l'ultimo contenzioso siglando il trattato di pace con la Transbajkalia, Alekseev ritiene ormai impossibile fare ritornare Nicola II a esercitare i suoi poteri sovrani, quindi proclama la repubblica, indicendo l’elezione del primo Presidente. A vincere le elezioni è Kerenskij, a cui gli elettori riconoscono di aver saputo gestire il paese durante le fasi delicate della guerra civile.
In Germania, l’opinione pubblica è spaventata dall’arrivo del rivoluzionario Lenin. Per quanto il rivoluzionario sia ormai molto malato, la paranoia anticomunista arma la mano di uno sbandato che vive di espedienti, Adolf Hitler. L’assassino, non potendo colpire Lenin, che è ricoverato presso un importante ospedale e vigilato dalla polizia, rivolge la sua violenza contro Rosa Luxemburg, considerata mente tra le più brillanti del socialismo tedesco. Infiltrato a un'assemblea operaia, Hitler avvicina la donna dopo un discorso e l’accoltella a morte.

1924
In Germania si celebra il processo ad Adolf Hitler, che lo trasforma in una sorta di conferenza sulle proprie idee deliranti. Alcuni giornali nazionalisti iniziano a riportare le sue affermazioni, che sorprendentemente diventano popolari ma in ogni caso l’assassino viene condannato a 20 anni di prigione.
Nel frattempo la Transbajkalia inizia a caratterizzarsi come un vero stato, anche se dopo l'indipendenza diventa più palese il supporto giapponese, precedentemente molto discreto. Quella governata da Samenov può essere quasi considerata una colonia giapponese. L'altro leader della Transbajkalia, il generale Ungern Sternberg, decide di abbandonare la sua posizione istituzionale per cercare altre avventure. Con un piccolo reparto di fedelissimi attraversa il confine con la Cina, e inizia a condurre razzie nella porzione settentrionale della Mongolia, che il malmesso governo cinese non è in grado di controllare.

1925
Dopo le azioni di Ungern-Sternberg nasce il nuovo stato della Mongolia, che la Cina è costretta a riconoscere a causa delle pressioni giapponesi. Anche la Mongolia, infatti, si avvia a essere una sorta di colonia giapponese.
Queste manovre sono ignorate dalla Russia, che ormai ha rinunciato ad avere degli interessi in Estremo Oriente, ma irritano profondamente la Germania, che ritiene eccessiva l'espansione del Giappone, e troppo accomodante anche l'atteggiamento della Gran Bretagna, da tempo alleata della potenza asiatica.
La Germania decide di riorganizzare la sua marina, dislocando un numero maggiore di navi nell’Oceano Pacifico. Tra le navi destinate a trasferirsi in oriente, anche la nuovissima Bremen, appena entrata in servizio. Inoltre, i tedeschi si interessano al governo nazionalista che si trova nel sud della Cina. A quest'ultimo vengono forniti denaro e armi.

1926
Chiang Kai-Shek, nuovo leader dei nazionalisti cinesi, intraprende una vigorosa offensiva verso nord. Le sue truppe, grazie ai consigli di un gruppo di ufficiali tedeschi, guidati da Erwin Rommel, ottengono successi notevoli, avanzando per centinaia di km in poco tempo. Il Giappone, allarmato, si propone di sostenere militarmente il governo cinese di Pechino, sul quale esercita da tempo una notevole influenza. La Germania tuttavia reagisce in modo veemente, ingiungendo al Giappone di non interferire nelle vicende politiche interne della Cina, pena la guerra. A Tokyo le dichiarazioni tedesche vengono accolte molto male. La casta militare nipponica ritiene di dover affrontare la Germania e sconfiggerla come già la Russia vent'anni prima.
Con un attacco deciso alla base dei tedeschi a Tsingtao, in Cina, i giapponesi tentano di colpire in anticipo la flotta nemica. Alcune navi tedesche sono effettivamente affondate, ma la flotta è in buona parte salva. In ogni caso, nelle prime fasi del conflitto i giapponesi collezionano le Marianne e le Caroline.

1927
Una flotta tedesca di rinforzo arriva nell'Oceano Pacifico, dividendosi in due parti. La prima attraversa lo stretto di Formosa e si dirige verso Tsingtao, per liberare la base dall’assedio. Un'altra parte della flotta, dopo essersi rifornita in Nuova Guinea, troppo remota per essere soggetta ad attacchi giapponesi, passa ad ovest delle Filippine e si dispone alla caccia del traffico mercantile verso il Giappone, per isolare il paese dai rifornimenti.
I giapponesi adottano una tattica prudente, conducendo piccole puntate offensive senza accettare grandi battaglie. Grazie alla Transbajkalia, i giapponesi riescono a sostituire almeno in parte le merci che dovrebbero altrimenti sfuggire alla caccia tedesca.
Nel frattempo le truppe di Chiang Kai-Shek avanzano verso Pechino, e i giapponesi assumono il controllo della Manciuria.

1928
I nazionalisti cinesi e le truppe imperiali giapponesi che si confrontano al confine meridionale della Manciuria, dove è iniziata una imprevista e anomala guerra di posizione. I primi contingenti tedeschi, coadiuvati da austriaci e italiani secondo gli obblighi di assistenza reciproca previsti dalla Triplice Alleanza, si trovano a combattere nelle trincee in condizioni assai difficili.
Sul mare nel frattempo, il Giappone comincia a avvertire difficoltà negli approvvigionamenti di importanti risorse, ma ormai anche l’efficienza della flotta tedesca sta declinando. Per i tedeschi, in particolare, è molto difficile mantenere in efficienza gli u-boot, i sommergibili che sono tanto insidiosi per i mercantili quanto complicati da fabbricare e riparare. Alcuni degli u-boot vanno già persi durante la lunga traversata oceanica per raggiungere il Pacifico dalla Germania.

1929
I tedeschi, pur di sfondare il fronte in Manciuria, decidono di utilizzare alcune armi speciali: il gas cloro e il cosiddetto gas mostarda. I giapponesi, totalmente impreparati contro quel genere di armi, subiscono perdite elevatissime. Lo stato maggiore giapponese decide di stabilire una linea difensiva più arretrata, tra il fiume Yalu e le montagne che dividono la Corea dalla Manciuria. Ritengono di poter così resistere maggiormente ai feroci attacchi tedeschi.
Nel frattempo sul mare, gli ammiragli giapponesi ritengono che la flotta nemica si sia indebolita a sufficienza per affrontarla in uno scontro aperto. Presso Saipan, una grossa porzione della flotta tedesca viene affrontata e subisce l’affondamento di numerose navi, tra le quali anche la famosa Bremen.
Negli Stati Uniti, il crollo della borsa di Wall Street determina una improvvisa e violenta crisi economica. Il Presidente Hoover, che non intende prendere provvedimenti a favore dei disoccupati, pronuncia invece un discorso molto duro contro la Germania, che affondando il traffico mercantile verso il Giappone sarebbe responsabile della crisi economica.

1930
Nel Pacifico l'equilibrio navale si è spostato definitivamente a favore del Giappone, e la Germania ha sempre più difficoltà a rifornire i suoi soldati lontanissimo dalla madrepatria. I timori di un possibile ingresso in guerra anche degli Stati Uniti spingono il governo tedesco a chiedere la pace. La Germania accetta di evacuare le sue truppe dalla Cina, e di cedere al Giappone tutti possedimenti tedeschi effettivamente conquistati, compresa Tsingtao, caduta proprio pochi giorni prima dell'armistizio.
Pochi mesi dopo la Germania vende all'Impero Britannico i suoi ultimi possedimenti nel Pacifico, la Nuova Guinea e le Samoa, per recuperare almeno in parte gli enormi costi della guerra.
La guerra persa contro il Giappone lascia alla Germania un pesante strascico: l'effetto combinato della guerra e della crisi americana determina una forte ondata di inflazione, mentre il grande numero di reduci, profondamente turbati dalla dura vita di trincea, diventa un problema sociale notevole.

1931
Lev Trotsky, dopo anni trascorsi in diversi paesi del mondo a propagandare le proprie idee rivoluzionarie, appare ad Amburgo durante uno sciopero contro le misure di austerità economica imposte dal governo per combattere l’inflazione. Il suo carisma e prestigio si rivelano decisivi nell’aiutare lo sviluppo di una rivoluzione socialista. Il Kaiser cerca di contrastare i rivoluzionari con la massima durezza, esautorando il governo civile e lasciando pieni poteri ai militari. Questa scelta tuttavia non fa che rendere tutto più brutale. Ne paga egli stesso le conseguenze, catturato e brutalmente assassinato come molti suoi parenti.
La Repubblica del Turkestan Orientale, ultimo territorio cinese ancora non conquistato dai nazionalisti cinesi, chiedere di essere annesso dalla Russia. Chiang Kai-Shek, ancora impegnato nel conflitto contro i giapponesi per la Manciuria, è costretto ad accettare il fatto compiuto.

1932
La rivoluzione socialista ha ormai avuto successo. La Repubblica Democratica Tedesca, il nuovo stato uscito che sostituisce l’Impero Tedesco, stralcia il trattato della Triplice Alleanza, dichiarando di voler costruire una sua politica mondiale volta alla rivoluzione proletaria. Ernst Thalmann, storico leader dei comunisti tedeschi, viene confermato Segretario Generale del Partito e con questa carica esercita di fatto anche il potere di Cancelliere.
Serbia e Montenegro si uniscono per formare un nuovo stato chiamato Jugoslavia.
Termina definitivamente la guerra tra Cina e Giappone, con la riconquista della Manciuria da parte di quest'ultimo. Nasce uno stato formalmente indipendente, il Manchukuo, sotto protettorato giapponese.

1933
Anche l'Italia ha patito gli effetti della sconfitta contro il Giappone e soprattutto la grande crisi economica americana. Il PSI si divide, con una parte dei suoi esponenti, già simpatizzanti dell'approccio rivoluzionario bolscevico, che formano il Partito Comunista d'Italia, per proporre una rivoluzione sul modello tedesco. Il resto del partito scarsamente coeso e deciso sulla linea da intraprendere, viene "scalato" da Benito Mussolini. Il giornalista, ormai il più famoso del paese e considerato in grado di poter promuovere o affossare qualsiasi idea con la sua potente retorica, riesce a diventare segretario. Al grido di “Vincere, e vinceremo!” Mussolini trascina il partito socialista alla vittoria delle elezioni politiche e forma un governo di coalizione con i cattolici, ricacciando all’opposizione i liberali, profondamente screditati dall’incapacità di gestire la crisi economica, nonché i comunisti, che ottengono risultati tutto sommato modesti.

1934
In Austria le elezioni vengono vinte dal partito socialdemocratico, portatore di un programma di riforme molto ampie. Nonostante i socialdemocratici austriaci siano più moderati dei comunisti tedeschi, la vittoria di questi ultimi incoraggia anche in Austria l'adozione di riforme radicali. I socialdemocratici sarebbero inoltre favorevoli a una unificazione tra Austria e Germania, da taluni definita “mitteleuropa socialista”.
A Washington, negli Stati Uniti, viene tenuta una conferenza sulla riduzione degli armamenti navali, dopo aver constatato i terribili danni al commercio causati dalla guerra tedesco-giapponese. La conferenza si conclude con una trattato che impegna le maggiori potenze mondiali a precisi limiti di tonnellaggio per le loro flotte e le singole navi, nonché limiti specifici per navi particolari quali i sommergibili.

1935
Franz Rainer e Odilo Globocnik, due seguaci del pensiero di Adolf Hitler, fondano il Partito Nazionalsocialista e iniziano a formare una milizia clandestina per prepararsi alla lotta violenta contro il governo del Cancelliere socialdemocratico Karl Renner.
In Italia, Mussolini ottiene un grande successo d'immagine sottoscrivendo i Patti Lateranensi e ne approfitta per aprire il PSI ai cattolici e proporlo come partito unico del popolo. Per sottolineare la trasformazione, Mussolini adotta l'antico simbolo del fascio littorio, per rappresentare valori di unione e lavoro. Pertini, alla guida di un gruppo minoritario di socialisti, lascia il partito dicendo: "Sono socialista, non fascista". La defezione è sufficiente a far cadere il governo e si rendono necessarie elezioni anticipate perché né i comunisti né i liberali sono disposti ad astenersi in aula per non ostacolare un governo di minoranza.

1936
Il nuovo governo Mussolini scaturito dalle elezioni è sostenuto da una valida maggioranza. Mussolini, indispettito contro l'opposizione costante di comunisti e liberali adotta provvedimenti per limitare la libertà di stampa (legge contro le notizie fasulle) e di sciopero (legge contro l'anarchia sindacale) e contro le società segrete.
In Austria, il governo Renner cade a causa di dissensi interni al fronte socialista tra i più radicali, che vorrebbero mettere in discussione l’assetto monarchico del paese, e coloro che invece tollerano la presenza del giovane sovrano Otto, che a differenza dei suoi predecessori interferisce molto meno nella politica nazionale. Le nuove elezioni vengono però vinte da una vasta coalizione di partiti tradizionalisti, ai quali si somma, in modo decisivo, il nuovo partito nazionalsocialista.
In Spagna, dopo la vittoria della sinistra alle elezioni e il tentativo di golpe, scoppia la guerra civile.

1937
Nel Vicino Oriente termina la guerra quasi ventennale condotta dalle dinastie arabe dei sauditi e degli hashemiti contro l'Impero Ottomano. Si formano due nuovi stati: il Regno della Grande Siria, che si estende dalla costa mediterranea al confine con la Persia, e l’Arabia Saudita, retta dall’omonima dinastia. I due paesi sono formalmente indipendenti, ma sono comunque soggetti fortemente all'influenza di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti che hanno sostenuto le tribù locali nella loro lotta contro il potere centrale ottomano. L'appoggio delle potenze è stato concesso a patto che una piccola porzione di territorio viene riservata alla futura costituzione di uno stato ebraico.
A Istanbul si verifica inevitabilmente una crisi politica. Il sultano viene detronizzato da un colpo di stato militare guidato dal generale Kemal Pascià. Il nuovo signore del paese proclama la repubblica, abolisce il califfato e inizia una profonda opera di riforma, basata soprattutto sulla laicizzazione della legislazione e sulla modernizzazione dei costumi. In seguito Kemal modifica ambiziosamente il suo cognome in Ataturk (“padre dei turchi”).

1938
Il governo francese di Léon Blum, che simpatizza per la fazione spagnola di sinistra, decide di intervenire per mettere fine al conflitto. Grazie all'intervento francese i nazionalisti vengono sconfitti. Questo però causa contrasti con la Gran Bretagna, che avrebbe preferito una Francia con atteggiamento neutrale. S’incrina l’Intesa, l'alleanza politica e militare che ha caratterizzato la politica estera dei due paesi negli ultimi trent’anni.
In Austria anche il governo conservatore va in crisi, soprattutto perché il partito liberale non intende accettare alcune proposte dei nazisti sull'economia e ciò provoca l'uscita di questi ultimi dalla maggioranza. Il Cancelliere Dollfuss si dimette e vengono indette nuove elezioni per la primavera successiva.

1939
Le elezioni in Austria sono vinte nuovamente dai socialdemocratici, ma l'esercito si ribella e insorge in più punti del paese, determinando l'accensione di una guerra civile. Di fronte al rischio di una occupazione di Vienna da parte dei militari, i socialdemocratici proclamano la repubblica e l'annessione alla Repubblica Democratica Tedesca. Il governo tedesco decide di intervenire per supportare i socialdemocratici contro i militari.
Mussolini si dichiara favorevole all'unione tra Austria e Germania, purché le “terre irredente” siano finalmente cedute all’Italia. In cambio della partecipazione alla lotta contro i militari ribelli, l’Italia ottiene i territori che rivendica da sempre.
Il governo britannico di Winston Churchill è invece timoroso per lo stravolgimento degli equilibri europei che l'unione potrebbe comportare. Churchill istiga quindi Polonia e Ungheria a sostenere i nazionalisti austriaci.

1940
Anche in Francia si verifica un colpo di stato, a opera di esponenti della Action Francaise e della Legione Straniera. Il proposito dei golpisti è quello di attaccare la Germania per costringerla a desistere dall’intervento nella vicina Austria, e possibilmente ottenere anche una vittoria e la restituzione dell'Alsazia-Lorena. I tedeschi tuttavia ricorrono a vecchi piani ereditati dalla Germania imperiale e lanciano un'offensiva che sorprende totalmente l'esercito francese. I tedeschi avanzano per centinaia di km attraverso il Belgio e la parte settentrionale della Francia. Parigi si ritrova addirittura dietro la linea del fronte. Léon Blum, che era agli arresti, viene liberato da agenti tedeschi e forma un nuovo governo rivoluzionario nella cittadina di Vichy.
La Gran Bretagna entra in guerra contro la Germania, ma non riesce a far nulla per difendere la Francia.

1941
Le truppe tedesche completano la loro missione contro i ribelli austriaci, ma decidono di proseguire la lotta per la diffusione del socialismo in tutta Europa. La Polonia viene attaccata direttamente e sconfitta, poi è il turno dell’Ungheria. In Jugoslavia, Romania e Bulgaria sorgono prontamente governi di sinistra devoti alla Germania, temendo il potere militare tedesco. Il nuovo governo romeno accetta una revisione dei confini con l'Ungheria occupata.
In Italia, Mussolini tende la mano ai comunisti, dichiarandosi pronto a sostenere la Germania nella sua azione di espansione del socialismo, seppure senza scendere in guerra contro nessuno perché le forze armate non sono pronte. Alcuni generali dei carabinieri, spaventati che l'Italia possa diventare completamente comunista e devota alla Germania tentano un colpo di stato che però viene prontamente sventato. Mussolini approfitta del complotto per trasformarsi in un dittatore. Fa arrestare tutti i vertici militari, interrompendo le catene di comando. Vittorio Emanuele III che teme di poter essere arrestato o addirittura assassinato, fugge con la famiglia reale chiedendo ospitalità alla Santa Sede.

1942
Thalmann proclama la nascita dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Europee, che comprende Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Austria, Polonia. La Russia reagisce militarmente, entrando in guerra. Nel frattempo la Gran Bretagna riesce a convincere gli Stati Uniti a entrare in guerra direttamente e non solo a sostenere la guerra contro la Germania dal punto di vista finanziario e logistico.
Il Partito Comunista d'Italia, soddisfatto dagli ultimi sviluppi della politica italiana, decide di dare fiducia a Mussolini. Togliatti, leader del partito, scrive un libro destinato a diventare una sorta di manifesto: "Essere comunista in Italia: il Mussolinianesimo".
In India, le interferenze dei giapponesi e quelle dei comunisti filotedeschi trovano un punto d'incontro e riescono a provocare un grande sommovimento per l'indipendenza che mette in grande difficoltà il potere britannico.

1943
Mentre prosegue la guerra sul fronte orientale contro i russi, l'URSE si amplia con l'adesione di tre nuovi paesi, Ungheria, Romania e Jugoslavia.
Truppe britanniche e americane sbarcano in Marocco. Mentre una piccola parte del contingente prosegue verso Algeria e Tunisia per metterle sotto il controllo della coalizione, la maggior parte dei soldati sbarcano in Spagna, dove iniziano la riconquista del paese. Le truppe comuniste reagiscono occupando il Portogallo, violando la sua neutralità. Entro la fine dell'anno le truppe angloamericane liberano tutto il territorio a sud del fiume Tago. Dietro il fronte, ribelli di varia origine tentano di logorare le truppe occupanti, come al tempo dell'invasione napoleonica. Ci sono i nazionalisti sconfitti nella precedente guerra civile spagnola, indipendentisti baschi e catalani non comunisti e perfino gruppi monarchici.

1944
In Spagna, le truppe angloamericane avanzano ancora raggiungendo il fiume Ebro. I Paesi Bassi aderiscono all’URSE.
In India la rivolta indipendentista ha preso piede e costretto i militari britannici a ritirarsi in poche località, ma scoppia una ulteriore lotta tra gli indù, che vorrebbero l'indipendenza dell’Impero d’India così com'è, e musulmani che vorrebbero invece l'istituzione di due stati separati.
In Cina, Chiang Kai-Shek sconfigge definitivamente i nuclei comunisti che contestano la sua leadership. L'ultimo grande leader comunista, Mao Tse-Tung, viene catturato e giustiziato.

1945
Svezia e Danimarca aderiscono all’URSE, mentre Mussolini prende tempo sull’adesione italiana, che resta sospesa. Il dittatore italiano in realtà è in contatto anche con Churchill e negozia con quest'ultimo una posizione per l’Italia che sia autonoma rispetto a quella dell'URSE tanto dal punto di vista ideologico, quanto da quello geopolitico.
Gli angloamericani sfondano le difese comuniste sull'Ebro e raggiungono i Pirenei, ma sono gli sviluppi sul fronte orientale che determinano la fine della guerra. Gli scienziati europei infatti hanno messo a punto una nuova terribile arma: la bomba atomica I primi due esemplari vengono lanciati sulle città di Kaunas e di Minsk, provocando enormi devastazioni.
La Russia decide di arrendersi, non avendo modo di contrastare quel genere di armi. Gran Bretagna e Stati Uniti, di fronte alla chiusura del fronte orientale, accettano negoziati per una pace generale.

1946
Bulgaria, Grecia e Albania entrano nell’URSE, nel frattempo si svolge la conferenza di pace.
Il confine tra URSE e Russia viene ridisegnato in modo vantaggioso per la prima, che incorpora anche il territorio dell'Ucraina, ma la Russia viene compensata con qualche piccola rettifica nell’area della costa baltica.
L’URSE rinuncia alle colonie francesi, tedesche, belghe e olandesi che sono state occupate dagli anglo-americani nel corso del conflitto. Nelle colonie dell’Estremo Oriente, soprattutto in Indonesia e Indocina, scoppiano insurrezioni indipendentiste patrocinate dal Giappone. L'Italia da parte sua deve rinunciare a tutte le colonie africane e al Dodecaneso ma si vede riconosciuta come piccola compensazione Malta, visto che non si può considerare un paese sconfitto.
Come previsto da un protocollo allegato al trattato di pace, nasce la Società delle Nazioni. A guidarla sono le potenze emerse dalla guerra, Stati Uniti, URSE, Gran Bretagna, Russia e il Giappone, sempre più egemone in Asia.

1947
Mussolini, irritato per la mancata inclusione dell'Italia tra le potenze della Società delle Nazioni, annuncia che l'Italia non farà mai parte dell'URSE, pur mantenendo un regime politico ed una economia simili.
Stati Uniti e Gran Bretagna., che già avevano stipulato un patto politico-militare durante la guerra, basano su quello una nuova organizzazione, la NATO. Alla nuova organizzazione aderisce anche la Russia e stati meno potenti militarmente come Spagna, Portogallo, Irlanda, Norvegia e Islanda.
Nasce lo Stato di Israele, nella regione autonoma creata circa dieci anni prima. L'URSE, che ha una cospicua popolazione ebraica, decide di costituire uno stato ebraico anche all'interno della sua struttura federale. Lo stato ebraico europeo viene costituito in Crimea.
Nel Regno della Grande Siria si verifica un colpo di stato militare: i ribelli proclamano la nascita della Repubblica Araba Unita.

1948
La Turchia, spaventata dal colpo di stato a Damasco e incoraggiata dalla promessa britannica di restituire Cipro, decide di aderire a sua volta alla NATO.
L’Indonesia diventa indipendente così come le nazioni derivanti dallo scioglimento dell’Impero d’India, tra le quali India e Pakistan, divise secondo il volere dei mussulmani.
Nel territorio di quella che era l’Africa Equatoriale Francese, l’ex ufficiale francese anticomunista Charles De Gaulle fonda l’Unione Africana, che si estende anche alle confinanti ex colonie del Belgio.
Gli Stati Uniti e il Giappone fanno esplodere, rispettivamente nel deserto del Nevada e su un atollo del Pacifico, le loro prime bombe atomiche.

1949
Mussolini lancia il movimento dei paesi “non allineati” , rivolgendosi soprattutto alla Cina e agli altri grandi paesi asiatici di recente indipendenza. Ai paesi usciti dal colonialismo, Mussolini propone di restare fuori dai giochi tra le grandi potenze e di accettare l'aiuto degli italiani per costruire infrastrutture e impianti industriali. L’Agip, società pubblica italiana specializzata in petrolio, cerca di instaurare rapporti con quei paesi assicurando condizioni decisamente più vantaggiose rispetto alle compagnie angloamericane.
In Algeria la popolazione si ribella contro gli ex coloni francesi, che tentano di dominare la vita del paese, con la benevola indifferenza delle autorità provvisorie che gli angloamericani hanno istituito per gestire la colonizzazione. Gli insorti proclamano la Repubblica Islamica del Maghreb.

Alessio Mammarella

L'Europa nel 1949

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Questo è il pensiero in proposito di feder:

A Guglielmo II andrebbe benissimo continuare indefinitamente lo stato di autocrazia militare già sperimentati durante la Grande Guerra. Forse l'idea iniziale potrebbe essere quella di fare qualche concessione ai civili, ma dopo le insurrezioni socialiste e repubblicane della fine del conflitto, esasperate dalla divorante crisi economica tedesca, credo che il Kaiser si convincerebbe definitivamente della necessità di utilizzare il pugno di ferro. In questa situazione, il candidato migliore per l'amministrazione delle faccende quotidiane sarebbe von Hindeburg, conservatore, junker e artefice del grande trionfo sul fronte orientale. Von Hindeburg manterrebbe le redini della Germania (e dell'Europa) per quasi un ventennio in una diarchia simile a quella tra Mussolini e VEIII in Italia. Il fidato collaboratore Ludendorff gli subentrerebbe come reichskanzler per un breve periodo, mantenendo sostanzialmente intatta la linea politica tedesca per un ventennio, fino al 1937.

A questo punto si aprirebbe lo spazio per un vuoto di potere, se non altro perché (quasi) tutti i feldmarescialli della Grande Guerra di cui Guglielmo II si fida sono morti e non possono essere riportati in vita. Testardo com'era, il Kaiser potrebbe pensare di forzare la mano incaricando l'ultimo ussaro, von Mackensen, di formare un nuovo governo, ma questo tentativo di nomina verrebbe verosimilmente contestato a tutti i livelli della società, che per questo momento dovrebbe essersi adeguatamente ripresa dagli ultimi scampoli del conflitto. Vedo come probabile un onorato rifiuto di von Mackensen, sotto spinta anche della stessa classe nobiliare, che a questo punto è piena di giovani rampolli che non hanno potuto combattere al fronte, eppure desiderosi di farsi le ossa. Incalzato dagli sviluppi, Guglielmo II, vecchio e stanco, gettarebbe la spugna e acconsentirebbe alle prime vere elezioni tedesche nell'epoca dei partiti di massa (nel vent'ennio di dittatura, votazioni farlocche si sono sempre tenute per acquiescere la popolazione).

Penso che le condizioni socio-economiche di questa Germania spingerebbero per l'elezione di un profilo molto moderato. Tale persona potrebbe essere Franz von Papen, già aristocratico, uso agli ambiti di governo e combattente sul fronte occidentale. Primo cattolico e non prussiano a guidare il popolo tedesco dai tempi dell'unificazione, il governo di von Papen compierebbe quello che mi sento di definire come "una rivoluzione quieta" per il Reich di questa timeline, ricucendo lo storico strappo tra la monarchia e il popolo ricostruendo lo stato sociale di Bismarck e ripristinando, man mano, il principio di rappresentatività dei governanti (ma non ancora la democrazia). A questo processo contribuirebbe anche la successione al trono tedesco, siccome Guglielmo III sarebbe persona minuta e di poco polso, cresciuta all'ombra delle vittorie del padre. Profilo diplomatico, von Papen si spenderebbe anche all'estero per cercare di riabilitare il prestigio diplomatico della Germania agli occhi degli ex nemici occidentali, proponendosi come argine al bolscevismo.

Negli anni '40 c'è una buona possibilità di assistere a uno scontro finale tra le potenze capitaliste, strette in una coalizione in cui l'unico ruolo attivo è svolto dalla Germania insieme con alcuni comprimari minori (sicuramente la Finlandia, poi Polonia, Paesi baltici, Romania, Ungheria e Italia in ottica decrescente di probabilità), e l'Unione Sovietica, il cui risultato finale è piuttosto aperto. A questo riguardo la mia personale provisione è che Mosca vinca ma non stravinca, riassorbendo buona parte dell'ex impero russo, ma fermandosi all'incirca sull'Oder. Una pace di compromesso tea Russia e Germania verrebbe officiata da un ipotetico governo socialista francese.

Senza la Seconda Guerra Mondiale, la decolonizzazione è molto più lenta. L'India guadagna l'indipendenza alla fine degli anni '30, seguita nei decenni successivi dai Paesi africani, ma le colonie bianche e protestanti potrebbero restare legate alla Gran Bretagna in una forma più forte di quella della HL. La Francia tenta il suo progetto di unione con l'Oltremare con maggiori tempo e risorse, ma fallisce ugualmente. Olanda e Belgio accettano l'indipendenza dei propri imperi con nen poco spazio di manovra. L'Italia, il Portogallo e la Spagna si aggrappano con le unghie e con i denti ai propri possedimenti coloniali, combattendo dispendiose e inutili guerre in terra d'altri che insanguinano l'Africa e portano al collasso dei rispettivi regimi. Il Giappone combatte la sua guerra con la Cina, ma viene annichilito dall'intervento statunitense. In tutto il mondo il fronte comunista è molto più debole: senza gli aiuti sovietici, impegnati in un longevo scontro con la Germania foraggiata dagli occidentali, Mao non vince la guerra civile e la Cina resta governata dai nazionalisti, ottenendo una zona di occupazione nel Kyushu. Nel 1950 sono Paesi socialisti la Russia, la Mongolia, il Sinkiang, la Corea, il Vietnam e Paesi limitrofi. C'è spazio per l'emersione dei socialisti ba'th, ma non c'è lo Stato di Israele, quindi è verosimile l'unificazione degli arabi. Si assisterebbe a qualche insurrezione socialista nelle Americhe e in Africa. La guerra fredda non inizia perché Stalin non reputa di essere alla pari con Truman; l'ONU regola i conflitti secondo il modello dei quattro (forse cinque, con la Germania?) poliziotti.

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Perchè No? commenta:

La ricostruzione di feder è avvincente, ma mi sembra che non tenga conto della crisi economica seguita al crollo di Wall Street. Non avrebbe portato turbolenze socio-economiche (anche se in tono minore)? Poi credo che si dovrebbe pensare alle disillusioni della vittoria (restrizioni alimentari ancora in vigore per anni, disoccupazione, pensioni dei veterani insufficienti, ecc.) Questi problemi la Francia vittoriosa li ha affrontati con una situazione politica ben più tesa all'inizio degli anni '30. E Adolf? Che fine fa? Io credo che potrebbe finire in un movimento estremista di veterani che poi evolverebbe verso l'estrema destra, anche se non avrebbe l'occasione di salire al potere.

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feder gli replica:

Se la Germania è vittoriosa, dubito che il suo governo isolazionista si presterà a ripagare il debito con gli Stati Uniti. Le economie del Continente sono associate a quella tedesca, meno la francese, l'inglese e in parte quella italiana, quindi dubito che i suoi effetti sarebbero così disastrosi come nella storia reale. Più probabile invece un severo rallentamento economico nel primo decennio dopo la conclusione della guerra, per le oggettive difficoltà materiali di riconversione delle industrie belliche in industrie di consumo (conversione, questa, che potrebbe anche non avvenire mai).
Su Adolf, sinceramente la soluzione più realistica in una Germania autoritaria e militaristica è che venga fucilato sul posto in reazione al fallito putsch di Monaco (è ancora in vigore la legge marziale). Altrimenti, se proprio lo vuoi vivo, può fare il demagogo in Austria e agitare le masse per chiedere l'annessione al Reich.

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Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.


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