Raccontini natalizi

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La fuga dal presepe

di Never75

Nel mondo non c’erano che furti, rapimenti, delitti e guerre. Era la mattina della Vigilia di Natale e il telegiornale ripeteva, per l’ennesima volta, la stessa sfilza di delitti. Pareva proprio che non ci fosse pace, nel Mondo, neppure nel giorno più Santo dell’anno.

“Domani è il mio compleanno mi toccherà vivere in un mondo ancora più brutto di quello di 2000 anni fa”, pensava il piccolo Gesù Bambino del presepe di casa Fumagalli mentre sollevava il guscio di noce nel quale era stato nascosto fino a poco prima. “Mi sa che quasi quasi domani non nasco”. E, con un balzo, saltò giù dal tavolo.

“Mamma, papà, io non ci voglio stare qui!”

“Ma dove vai?” gli si rivolse Maria che era nella stalla assieme a Giuseppe. “Domani i gemellini ti metteranno nel presepe accanto a noi! Non puoi aspettare?”

“No, mamma”, le rispose Gesù Bambino: “torno in Cielo. Domani non nasco. Il mondo è troppo brutto.”

“E dove vai? Sei ancora piccolo?”

“Mamma, non preoccuparti. Sono andato anche nel Tempio da solo, una volta, ti ricordi? Me la caverò.”

E, aperta la porta del salone, sgattaiolò via.

Maria osservò perplessa la porta dalla quale suo figlio era appena uscito. Dopo aver pensato qualche minuto, decise di fuggire anche lei.

“Giuseppe, mi spiace, ma Gesù è ancora piccolo. Devo stare con lui.”

“Vengo con te”m rispose subito San Giuseppe. E tutti e due seguirono Gesù.

“Adesso, che facciamo?” disse il bue all’asinello. “Rimaniamo solo noi due, dico io.”

“Sì, dici che dovremmo andare con loro?” chiese a sua volta l’asinello. “Io non sono mai stato troppo bravo a prendere decisioni.” E giù un bel raglio.

“Se è per questo, neppure io”, replicò il bue. “Però, dico io, una decisione bisogna prenderla.”

“ Stai dicendo che dobbiamo seguirli?” chiese l’asinello.

“Beh, gli umani, dico io, di solito ragionano meglio degli animali. O così dovrebbe essere.”

E sia il bue che l’asinello seguirono la Sacra Famiglia nel loro viaggio.

Anche il crocifisso appeso in salone prese a mugugnare:

“Insomma, se Gesù Bambino domani non nasce, non ha molto senso che neppure io stia qui!”

E si tolse i chiodi dalle mani e dai piedi. Poi, presa sulle spalle la sua croce, uscì anche lui.

La fuga dei personaggi non fu notata che qualche ora più tardi da Elettra, una bambina di sei anni con le treccine bionde.

“Vieni, Juri, presto!” chiamò il fratello a gran voce: “Dal presepe è sparito Giuseppe!”

“Ma se col papà ci ho appena parlato io!” rispose Juri, il fratello gemello di Elettra, mentre si accarezzava la frangetta.

“No, stupidino! Non il papà nostro! Il papà di Gesù, San Giuseppe, nel presepe manca.”

Juri si alzò sulla punta delle scarpe per vedere meglio. “Hai ragione. Ma non manca solo lui, anche la Madonna non c’è più, e neanche il bue e l’asinello. Sembra che siano rimasti solo i pastori!”

E ben presto questo capitò a tutte le famiglie che avevano fatto il presepe e non solo! Anche i Gesù Bambini degli affreschi, delle statue, dei dipinti scapparono via e con loro tutta la Sacra Famiglia.

“Nella mia chiesa avevo uno stupendo quadro del ‘600 e adesso non c’è più nulla!” si lamentò un parroco col suo sacrestano.

“Come, non c’è più nulla, padre? Lo hanno rubato?”

“No, il quadro c’è ancora,” rispose il prete asciugandosi la fronte. Nonostante fosse fine dicembre, continuava a sudare. “Solo che i personaggi principali non ci sono più. C’è solo la stalla vuota. Incredibile! Mai vista una cosa così!” E uscirono tutti e due dalla chiesa facendosi il segno della croce.

Era da poco passato il mezzogiorno e, in tutti i presepi, quadri, affreschi di tutto il mondo era sparita la Sacra Famiglia. Non ce n'era più traccia, da nessuna parte. E con essa erano spariti tutti i Gesù dai crocifissi.

“Qui urge prendere una decisione immediata.” disse il Capo del Governo al telefono col Papa.

“Sì, per forza” rispose il Papa: “se Gesù è sparito, domani non sarà più Natale.”

E, al telegiornale, il Pontefice confermò che il giorno dopo non sarebbe stato Natale, perché Gesù quell’anno non sarebbe nato.

Un giornalista si avvicinò ad un gruppo di persone coi capelli rosa che avevano dei cartelli bene alzati sui quali c’era scritto: “Abbasso il Natale!”

“Siamo contenti!” commentarono loro che non avevano mai festeggiato il Natale. “Era ora!”

“Sì, ma domani bisognerà lavorare”, fece notare il giornalista.

“Ah, sì? E perché?” domandarono loro abbassando un po’ il cartello.

“Perché se Gesù non nasce, non ci sarà neppure il Natale e quindi domani è un giorno come un altro.”

“Ma non è giusto,” risposero loro all’unisono.

“E non è tutto”, aggiunse il giornalista. “Non avete sentito cosa ha appena detto il Papa in Piazza San Pietro?”

Il gruppo scosse la testa e incrociò le braccia: ormai i cartelli li avevano posati.

“Ha detto che, visto che Gesù non nasce, non può neppure risorgere, e quindi la domenica bisognerà lavorare.”

Il gruppo si disperse, appallottolò il cartello e lo infilò in un cestino, poi ognuno di essi fece ritorno a casa propria perché domani si doveva lavorare.

“Possibile che non si possa fare niente?” si domandò Elettra commentando le notizie del telegiornale delle quattro. “Dove saranno finiti tutti? Non si può andare a cercarli?”

“E tu dove andresti a cercarli, dimmi un po’, intelligentona?”, ribatté Juri, che invece stava sfogliando un libro popup di Star Wars.

“Non so, prima cercherei un po’ in giro. Non possono essere andati troppo lontani, non trovi?”

“Per me è inutile. Se non vogliono farsi trovare, non li trova nessuno.”

“Beh, sai che ti dico? Io vado a cercarli. Domani voglio festeggiarlo, il Natale.”

“Cosa ti cambia?” esclamò Juri, gettando in un angolo il libro, “Alla fine è un giorno come un altro. Noi siamo piccoli, e a scuola non ci andiamo lo stesso!”

“Ma non capisci proprio niente, Juri!” lo rimproverò la sorella. “Natale è l’unico giorno dell’anno che vediamo i nostri nonni, gli zii, i cuginetti. Abitano tutti troppo lontani da noi e vengono apposta per Natale. Tu non hai voglia di vederli i nonni e gli zii? Se domani devono lavorare, non possono neanche venire a trovare noi, non trovi?”

Juri ci pensò su un attimo.

“Mi sa che hai ragione. Anche perché, se domani loro non vengono, non ci arriveranno neppure i regali. Lo zio Franco mi ha promesso il Millennium Falcon fatto con i Lego. Ti darò una mano, ma aspettami un attimo.”

Il bambino frugò un po’ nei suoi cassetti dei vestiti finché non trovò quello che cercava.

“Eccomi, ora sono pronto”, disse alla sorella, mostrandole orgogliosamente la spada laser che gli avevano regalato per il suo compleanno.

“Ma mica serve la spada laser per cercare Gesù Bambino!” esclamò la sorella.

“Cosa ne sai tu, magari l’hanno rapito i Sith.”

E tutti e due, dopo essersi coperti per bene, uscirono di casa.

“Proviamo a cercare verso il mare, magari hanno preso una barca e qualcuno li ha visti”, propose Elettra. Si diressero verso il vecchio porto dove c’era solo un pescatore che, con la berretta in testa, dava la caccia ai pochi pesci rimasti.

“Cosa cercate qui, bambini?” chiese loro senza quasi muovere la testa.

“Stiamo cercando i Gesù Bambini che sono scappati”, replicò Elettra: “Non è che per caso li ha visti passare di qua?”

L’uomo si mise a ridere. “No, bambina. Qui ci sono solo io e non ho visto nessuno,” rispose mentre sentì qualcosa strattonare. Tirò la lenza e tirò su una bella spigola che era caduta nella sua esca. “Ecco il primo e forse unico pesce delle giornata. Mi avete portato fortuna, bambini.”

Elettra sorrise ma, afferrato per i guantini il fratello, lo trascinò via. “A me il pesce non piace, puzza troppo.”

Visto che non aveva preso la via del mare, secondo Elettra, Gesù Bambino e la sua famiglia avevano preso la via dei monti. Poco lontano dal parco dove andavano a giocare i bambini più piccoli, c’era un piccolo sentiero nel verde.

“Ecco, forse sono andati su di qui.” E iniziarono a salire sul piccolo colle. Dopo pochi passi, però, non ce la facevano più tutti e due.

“Mi sa che non sono passati neppure per di qua.” ansimò Juri col fiatone.

“E come fai a saperlo?” gorgogliò la sorella col vapore bianco che le usciva dalla bocca.

“Perché i gradini per salire sono troppo alti, non ci hai fatto caso? Sono quasi troppo grandi per noi, figurati per statuette alte così!”

“Mi sa che stavolta hai proprio ragione”, concordò la gemella. “Proviamo allora a cercarlo in città.”

Scesero incuranti delle pozzanghere di fango e neve sporca che calpestarono di continuo. Arrivati in centro al paese, provarono a guardare nelle vetrine, ma niente. Non c’era più nessun presepe.

“Proviamo in chiesa, magari Gesù Bambino aveva freddo ed è andato a casa.”

Erano entrati pochissime volte in chiesa, e si meravigliarono di tutte quelle luci di candele che la illuminavano quasi fosse giorno.

Ma l’interno della chiesa, seppure bellissimo, era completamente vuoto. Non c’era più nessuna statua, né mosaico, né affresco. Procedettero fino alla fine della navata e, ai piedi dell’altare, videro una capanna, ovviamente, vuota anch’essa.

“Non è neppure qui!” piagnucolò Elettra avvicinandosi alla costruzione di sughero e muschio.

“E non è neppure nascosto tra i pastorelli”, confermò il fratellino che sollevò le statuine una a una. “Proviamo a chiamarlo, magari ci risponde.”

“Macché! Se è voluto scappare via, mica ti risponde!” rispose Elettra. “Anzi, non dobbiamo farci sentire da lui, magari è qui che ci ascolta.”

Una volta usciti dalla chiesa si guardarono attorno. Le strade erano deserte. I negozianti stavano chiudendo le loro saracinesche perché ormai era inutile anche farsi i regali, se non c’era più il Natale. Guardarono il grosso albero nel mezzo della piazza. L’avevano spento e alcuni operai stavano togliendo le palline colorate. Ormai non aveva più senso tenerlo lì.

“Che triste che è. Mi fa venire il magone”, commentò Elettra tenendo per mano il fratello. “Si sarà fatto tardi, meglio che torniamo indietro.”

Intanto era scesa la nebbia e i due fratellini facevano fatica a trovare la strada di casa. Juri accese la sua spada laser per fare un po’ di luce, ma era difficile lo stesso riconoscere la via giusta.

A un tratto una cosa scura si lanciò giù dal balcone e cadde in piedi a pochi metri dai gemelli.

“Juri, una pantera nera!” gridò Elettra stringendosi al fratellino, che mulinò la spada fosforescente. Gli occhi verdi dell’animale fissarono per un po’ i due fratelli, incuriositi dallo strano colore di quel bastone. Poi, passato lo stupore, con un balzo risalì sul cancello.

“Era solo un gatto, ma che spavento!” sospirò Juri, e anche Elettra si calmò. Non erano molto distanti da casa, adesso distinguevano bene il lampione che illuminava la strada.

“Però, che peccato, non averlo trovato,” si rammaricò Elettra mentre citofonava.

“Ma dove siete stati? Ve l’abbiamo detto tante volte di non allontanarvi da soli di casa. E voi che fate? Andate via senza dirci niente e tornate tutti sporchi di fango! In bagno subito a lavarvi che arrivo.”

I due gemelli stettero in silenzio per tutta la durata del bagnetto. Non dissero alla mamma dove erano andati, perché si sarebbe preoccupata ancora di più.

Quella sera la cena fu ancora più silenziosa delle altre. Il telegiornale della sera ripeteva le solite notizie con la novità che ormai si era deciso che il 25/12 sarebbe scomparso dai calendari di tutti gli anni futuri. Dal 24 dicembre si sarebbe passati direttamente al 26.

Papà Giuseppe salutò la famiglia e andò a dormire presto. Domani avrebbe dovuto alzarsi presto, visto che si doveva lavorare. La mamma lavò i piatti, poi si sdraiò un attimo sul divano e sfogliò un paio di riviste. I gemelli ebbero il permesso di guardare lo stesso un po’ di TV in cameretta, ma non ne avevano voglia. Mentre scorrevano le immagini dei cartoni, tutti e due pensavano soltanto all’occasione mancata di quel pomeriggio.

“Per me, se cercavamo ancora un po’, lo trovavamo,” mugugnò Elettra a bassa voce per non farsi sentire dalla mamma che era in soggiorno. “Alla fine, tutti si lamentano che Gesù e la sua famiglia sono spariti, ma nessuno li va a cercare. Noi, almeno, l’impegno ce lo abbiamo messo.”

“Sì, hai ragione,” approvò Juri. “Peccato, perché il Natale è proprio una bella festa. Forse nessuno dei grandi ci teneva davvero a festeggiarlo.”

“Però abbiamo vissuto una vera avventura, come quelle dei cartoni!” commentò Elettra con un sorriso di pochi dentini. “Meno male che c’eri tu con la spada laser a difendermi!”

Juri sorrise anche lui. “Magari li hanno davvero rapiti i Sith.”

“No, Gesù è più forte dei Sith. Non si sarebbe mai fatto rapire”, osservò la sorella. “Forse sta facendo i capricci, come noi. Alla fine è un bambino anche lui. Speriamo che cambi idea.”

Elettra rivolse una preghierina a Gesù, chiedendogli di ritornare per far contenti tutti i bambini del Mondo, ma non solo per i regali. Lei ci teneva tanto a rivedere i nonni, gli zii e i cuginetti e voleva che la magia del Natale si ripetesse anche per quell’anno.

Dopo le dieci, la mamma li chiamò per andare a letto. Ma Juri ed Elettra non la sentivano: si erano addormentati tutti e due con la bocca aperta.

Era da poco suonata la mezzanotte e in casa si sentì un gran trambusto. La mamma e il papà, stanchi, non sentirono nulla, ma i gemelli si svegliarono tutti e due.

“Juri, hai sentito anche tu?”

“Sì, Elettra! Devono essere i ladri che sono arrivati anche da noi. Aspetta che prendo la mia spada.”

La sorella si era già alzata ed era diretta al salone, dove si vedevano delle luci accese.

“Ma… è il presepe? Chi lo ha acceso stanotte?” esclamò Juri stropicciandosi gli occhi.

Elettra si arrampicò sulla sedia per capirci qualcosa. “Juri! Sono tornati!”

“Chi?”

“Loro! Gesù, Maria e Giuseppe! E ci sono pure il bue e l’asinello! Guarda che belli.”

Anche i genitori si svegliarono e non poterono evitare di constatare il prodigio. Il presepe si era ricomposto. La mamma accese la TV e su tutti i canali non si parlava d’altro. Miracolosamente, in tutto il Mondo, erano riapparsi come dal nulla i Gesù Bambini e le Sacre Famiglie che si erano perse il giorno prima. Il Papa aveva già dichiarato che si poteva, anzi si doveva, festeggiare di nuovo il Natale. La famiglia Fumagalli si sedette tutta assieme ad ascoltare i vari notiziari con una gioia negli occhi che non si vedeva da anni.

“Posso stare sveglio ancora un po’, visto che domani non lavoro”, sorrise papà Giuseppe.

“Sì, tanto ormai, chi riesce ad addormentarsi adesso!” annuì mamma Barbara.

Squillò più volte il telefono. Erano prima i nonni, poi la zia Susanna e infine i cugini: si scusavano per l’orario, ma volevano confermare che sarebbero arrivati tutti per il pranzo. Intanto le campane presero a suonare: la nascita di Gesù si sarebbe ripetuta anche quell’anno.

“Alla fine sapevo che avrebbe preso la decisione giusta, nostro figlio”, sussurrò Maria a Giuseppe, che annuì.

“Non è mai riuscito a essere indifferente alla preghiera di un bambino, specie se è detta con sincerità.”

Giuseppe e Maria osservavano il Bambinello avvolto in fasce e posto in mezzo alla paglia della mangiatoia. Lui, invece, continuava a guardare Elettra e Juri con la gelosia che hanno i bambini. Anche se nessuno dei grandi lo avrebbe saputo, quell’anno, il miracolo del Natale non lo aveva compiuto lui, ma i due gemellini che ora, esausti, dormivano abbracciati l'uno all'altro.

Never75

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Leah e l'angelo

di Paolo Maltagliati

Leah era ad un tempo eccitata e impaurita. Del resto, come biasimarla? Mancavano pochi giorni alle sue nozze! La facevano facile le vecchie del paese...

“Leah, tutte si sposano, prima o poi, è inutile che frigni... Poi avrai ben altre cose che ti faranno andare in ansia, ahahahahah!”

Sarebbe stata curiosa di sapere come erano state loro, quelle vecchie acide sapute, nel momento del loro matrimonio. Se avevano davvero avuto tutta quella tranquilla impassibilità, oppure se avevano trattenuto il fiato per non rompere quella strana aria di sortilegio... Nah, non era possibile che non fossero state anche loro terrorizzate al pensiero di una nuova vita di mogli e madri, anziché figlie.

Il pensiero balenò per un istante al buon Efrem. Non era ricco (altra cosa su cui le comari non facevano che prenderla in giro: 'Brutta non sei, potevi fregarne almeno uno amico dei romani, Leah cara...'), non era uno splendido e affascinante principe siriaco o egiziano, ma andava bene così. Era un gran lavoratore, onesto e sincero e, soprattutto, aveva scelto lei.

Non l'aggraziata Rachele, la dolce Ariele o la fascinosa Ester, ma lei. O era un idiota, o aveva seri problemi di vista di cui non le avevano parlato, o... No, figuriamoci. Era senza dubbio un idiota. Già.

Sicuramente all'inizio l'aveva scambiata per una delle sue sorelle, quello è certo. E altrettanto sicuramente non aveva avuto il coraggio di dire ad abba che si tirava indietro dall'accordo matrimoniale. Ancora adesso ricordava il tragicomico momento in cui le avevano concesso di parlare con il suo promesso in privato... In effetti si era comportata in maniera veramente imbarazzante, a ripensarci...

'Guarda che non so ricamare molto bene, eh.'

'Me l'hanno detto che quella brava è tua sorella Ariel.'

'Anche sul cucinare mi sa che ti devi accontentare...'

'Mi so adattare.'

'Efrem, sei un mercante, giusto? Mica posso farti dare brutte figure quando inviti clienti a casa per concludere qualche affare...'

'Non mi farai fare brutta figura, figuriamoci.'

'Ti avverto che parlo troppo.'

'QUELLO l'avevo intuito. Ma non importa...'

'Sicuro?'

'Sicuro.'

'Più sicuro come “domani sorgerà il sole” o più sicuro come “Dio manderà degli angeli con le spade a scacciare i romani?” No, perché...'

'Leah, la prima. E NO, sollevando altre obiezioni stupide non mi convincerai a non sposarti, sappilo.'

'Te l'hanno mai detto che sei strano?'

'Il bue che dice cornuto all'asino...'

'Ma...'

'NO. Per la dodicesima volta, NON ti ho scambiato per Ariel, o Rebecca, o tutte le tue cugine, biscugine, o parenti varie di quarantesimo grado. Ti sposo. Punto. Fine. Sempre che tu lo voglia.'

'Non pensavo che me lo chiedessi. Sei strano davvero.'

'Allora?'

'Ok, ti sposo.'

No, decisamente non una gran figura. Ancora adesso sentiva una vampa che le arrossava le guance a ricordare quel surreale battibecco prematrimoniale. E ora si stava davvero per sposare. Con un membro della casa di Davide, niente di meno. 'Efrem figlio di Giosia, figlio di Mattan, figlio di Eleazar'. Non che la cosa le cambiasse granché.

Certo, era motivo d'onore poter dire di discendere direttamente dal gran re d'Israele, ma dopo circa mille anni non significava poi molto dal punto di vista dello status sociale... Efrem era un mercante di Tolemaide, ma addirittura aveva un cugino che era un semplice carpentiere, a Nazareth.

All'improvviso, uno strano rumore la distolse dai suoi pensieri e ondivaghi sentimenti. Sembrava vento, ma non proveniva dall'esterno della casa.

Poi la vide.

Una piccola tromba d'aria frusciava davanti a lei.

Leah sbatté gli occhi una, due volte. L'immagine non se ne andava. Il rumore neanche. Era tutto reale!

Lentamente, da quel vorticoso turbine emerse una figura umana. O meglio, sarebbe stata umana se non avesse avuto una bellezza e una purezza disumana. C'era troppa perfezione nella creatura che aveva davanti. A tal punto da trasmetterle un certo qual senso di disagio.

Ti saluto, o piena di grazia.

La figura parlò. Anche la voce era cristallina, come acqua di fonte.

Leah sapeva che in casi come questi avrebbe dovuto prendere la scopa all'angolo della e iniziare a picchiarla in testa all'intruso, per cacciarlo via.

Ma... Qualcosa di indefinibile la bloccava. Quello che aveva davanti era qualcosa di strano, divino, magico... Demoniaco? No, non avvertiva alcun segno di malignità.

Ti saluto, o piena di grazia.

La creatura ribadì il saluto e Leah non riuscì a pensare ad altro che replicare a tono.

'Buongiorno a te... Essere. Cosa cerca uno come te da Leah figlia di Beniamino?'

Il Signore è con te.

'AAAAH. Chiaro. No, Aspetta. Col cavolo che è chiaro! Scusa... 'Coso', ma sono una stupida ragazza della Galilea. Cioè, riesco a capire che tu sia una creatura divina e tutto, eh, ma devi essere un po' più esplicito.'

Innanzitutto non mi chiamo Coso.

'Bene, facciamo progressi. Con chi ho l'onore di parlare dunque?' Leah faticava a capire se 'Coso' fosse più divertito o più irritato.

Gabriele. Sono un arcangelo dell'esercito celeste dell'unico e solo Dio.

'Ebbene, Gabriele. Capirai che avere un uomo in casa non sia il massimo per una ragazza che sta per sposarsi, per cui se non ti spiace -'

'Di quello volevo parlare, appunto. Dio ti sceglie per portare in grembo suo figlio, Leah figlia di Beniamino.'

'Dio vuole che abbia un figlio da lui? Mmmh. Non è una roba da quel porco di Giove che tanto piace ai nostri amici romani?'

A Leah Gabriele sembrò massaggiarsi per un istante le tempie, come per un accenno di mal di testa.

Un momento. Non penserai mica che...

'Se sei una creatura divina, l'hai capito benissimo cosa mi è passato per la mente, caro Gabriele.' Fece Leah, sbuffando e incrociando le braccia.

'Ok, da capo. Non è che Dio ha in mente di prendere forma carnale e avere un rapporto con una donna promessa sposa ad un altro mortale! Per quanto sia in effetti vero che vuole incarnare suo figlio su questa terra... E vuole che una mortale porti questo fardello. In altre parole, tu.'

'Mmh. Prima di rispondere, una domanda. Perché io?'

'Non conosco la profondità della mente del mio Signore, Leah figlia di Beniamino, se non quello che lui vuole che io sappia.'

'In altre parole, non ne hai idea, eh?'

'In effetti no... So solo che è così perché si compiano le scritture. Sei promessa sposa di un uomo della casa di Davide e, miracolosamente, né hai peccato nella tua vita, né, per grazia speciale del nostro Signore, sei stata concepita con esso.'

'Ma faccio sempre un sacco di casini! Non è possibile che sia senza peccato, su!'

'Peccato e Difetto sono due cose diverse, Leah figlia di Beniamino. Dio non ti vuole senza difetti, altrimenti ti avrebbe creato tale, no?'

'E vuole che io porti suo figlio anche se sono piena di difetti?'

Gabriele fece spallucce. Azione molto poco angelica, osservò nella sua mente la ragazza.

Leah a quel punto guardò fisso e lungamente negli occhi dell'angelo. Sembravano brillare di una saggezza non sua. Inspirò. E poi proferì solo una parola di due lettere.

'No.'

Gabriele la guardò sbigottito. E fu capace soltanto di esalare un 'Eh?' di sorpresa. Poi si schiarì la voce e aggiunse: 'Dunque tu, essere inferiore, rifiuti il grande onore che il Dio degli eserciti concede?'

Leah si morse le labbra, in un impeto di paura di fronte alla voce stentorea dell'angelo, ma trovò il coraggio per rispondere, quasi con un sussurro: ' E' così.'

Perché? Chiese a quel punto Gabriele, più curioso che irato.

'Dai, Gabriele, sono una mortale. E i mortali hanno paura di Dio, di solito, quando viene a visitarli direttamente a casa!' Rise amaramente lei scuotendo la testa, come per scrollarsi di dosso sensazioni spiacevoli.

Poi aggiunse: ' Dio mi vuole anche coi miei difetti, prima mi dicesti. Ebbene, sono piuttosto io, che non mi sento degna, con essi, di essere tabernacolo del figlio di Dio. Guardami, senti come parlo!Cavolo, sono troppo imperfetta! Ok, forse questo non è un problema, per Jahweh, ma per me sì. Non sono coraggiosa e, anche se tu mi assicuri che sono stata concepita senza peccato per un momento come questo, ciò non vuol dire che non possa macchiarmi di peccato più avanti nella mia via.

No, non sopporterei il fatto di tradire la fiducia del mio Dio, Gabriele. Credo in lui con tutto il mio cuore, davvero, ma mi si spezzerebbe in mille frammenti se mi rivelassi incapace di allevare il figlio del Signore.'

Non hai bisogno di avere forza, ma fede, Leah figlia di Beniamino. Dio non assegna compiti che non possono essere portati a termine. Chiedi e ti elargirà i doni dello spirito di cui avrai necessità.

'Di nuovo, no. So che hai ragione, ma conosco la mia fede e so che è troppo piccola. Ci saranno momenti in cui maledirei il figlio che mi porrebbe in grembo, se accettassi. E non voglio compiere questa blasfemia. Non voglio essere una madre che non sa amare. E poi...'

Efrem, giusto?

'So che sembra stupido e ingiurioso nei confronti di Dio, ma mentre parlavo con te, ahem, ecco... Mi sono resa conto di una cosa. Lo amo troppo, per porre la sua dignità in pericolo in cambio dell'onore di dare alla luce il figlio di Dio. Non mi importa molto di sentirmi dare della prostituta, sia chiaro, ma non vorrei costringerlo a perdere la sua rispettabilità … O tirarmi delle pietre in faccia. Sai, non fanno bene alla pelle. Scusa, scherzi a parte... Che Dio mi perdoni, ma sono una umana troppo misera per accettare il dono che mi vuole fare.'

Per un istante gli occhi di Gabriele fiammeggiarono di una luce ultraterrena. Fissandoli, Leah si sentiva accecare, oltre che essere avvolta da un calore insopportabile. Per un istante pensò che sarebbe morta. 'La mia giusta punizione per la mia linguaccia infinita, anche davanti ad un inviato del Signore...'

Poi, però, il bagliore svanì. L'angelo rise.

A quanto pare Dio mette alla prova sia i mortali, sia i suoi angeli. Non temere Leah, figlia di Beniamino. Il tuo nome non sarà ricordato mai, in nessuna grande storia, forse, ma sappi che Dio non si dimenticherà di te. Non c'è onta nel tuo no, se non accrescere la gloria del sì che poi giungerà. Non è peccato la tua paura, solo... beh, un difetto. E al mio Signore la gente con un sacco di difetti a quanto pare piace molto... Solo, sappi scorgere il volto del figlio di Dio e sappilo riconoscere, quando egli giungerà in questi luoghi. Perché Egli ti farà visita, stanne certa.

Con un mezzo sorriso Leah replicò: 'Pregherò per la colei che sarà la vera e più degna madre del mio Signore tutti i giorni della mia vita... E quando sarà il momento, cercherò di imprimere la sua faccia per bene nella mia mente, se potrò.'

Non solo nella tua mente, Leah... Ma non aggiungerò altro.

Detto ciò, così come era venuto, in un turbinio di vento, l'angelo svanì, lasciando Leah senza fiato.

La ragazza si sposò, ma non disse mai al marito di quell'incontro. Del resto, avrebbe potuto benissimo essere un sogno della sua mente in ansia, no?

Andarono ad abitare a Cesarea di Filippo ed ebbero una figlia, a cui, per una strana bizza, diedero un nome semi-greco, che significava 'portatrice di vittoria': Veronica.

Paolo Maltagliati

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Tommaso ha commentato divertito:

Stavo cominciando a pensare che Gabriele avesse preso una botta in testa...   :D

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La tavola apparecchiata

di Giovannino Guareschi

"L’anno venturo non voglio che succeda come quest'anno», si dice ogni volta. «L’anno venturo prepareremo ogni cosa in tempo».
Ma, ogni volta, il Natale ci coglie di sorpresa e noi dobbiamo rimediare a tutto in fretta e furia e alla bell'e meglio. Ma, ogni volta, il Natale ci porta una nuova favola da raccontare a noi stessi per consolarci del Natale che ci è sfuggito ed è caduto nell’abisso del tempo assieme a un altro degli anni che Dio ci ha concesso.

«Sparecchia» disse Margherita alla Giacometta.
Ma la Pasionaria intervenne:
«No» affermò «non si deve sparecchiare.»
Margherita la guardò perplessa: «Che novità sono queste?» domandò.
«Non sono novità» spiegò la Pasionaria. «Qui usa che, la sera della Vigilia di Natale, non si sparecchia. Nessuno sparecchia in casa delle mie compagne. Lasciano sulla tavola la tovaglia con una micca di pane.»
«E a che cosa serve questo?» si stupì Margherita.
«Serve che, di notte, quando tutti dormono, vengono i morti e si siedono a tavola.»
Margherita scosse il capo: «I morti non hanno bisogno di mangiare.»
«Non ho mica detto che i morti mangiano il pane!» replicò risentita la Pasionaria. «Lo toccano soltanto, il pane. E allora il pane lo si mette via e dura un anno intero perché non ammuffisce più.»
«Sciocchezze!» commentò Margherita.
«Non sono sciocchezze» le rispose la Pasionaria gravemente.
Margherita si spazientì: «È mai possibile» esclamò «che i bambini debbano prestar fede soltanto a queste favole sui morti che poi li impressionano?»
«Me non mi impressiono» precisò la Pasionaria. «Non vengono mica dei morti forestieri. Vengono i nonni. Anche loro devono fare festa per Natale.»
La Giacometta, intanto, aveva ripulito la tovaglia dalle briciole assestandola con cura. Poi aveva posto al centro della tavola un piatto con una micca di pane.
Passammo in tinello dove era l’Albero di Natale e ci sedemmo davanti al fuoco del caminetto.
I bambini davano gli ultimi tocchi al loro Presepe, in attesa della mezzanotte. Allora avrebbero accese le lampadine e avrebbero messo nella capanna il Bambinello.
Si sentì scoccare la mezzanotte all’orologio del campanile e il Presepe si illuminò e si accesero le cento lampadine dell’albero, mentre Albertino, appressatosi al radiogrammofono, dava il via al disco d’una “pastorale”,
I bambini rimasero lì a rimirarsi incantati il loro Presepe, poi, quando non ne poterono più, andarono a letto a sognarselo.
Margherita ruppe alfine il silenzio: «Strana usanza» osservò «questa di lasciare la tavola apparecchiata.»
«Più che strana è gentile e piena di poesia» replicai. «Che poi i morti vengano o non vengano non ha importanza: importantissimo è, invece, il fatto di ricordarsi di loro particolarmente nelle ricorrenze più liete.»
Margherita alzò il capo: «Giovannino, dicendo “vengano o non vengano” tu intendi ammettere che i morti possano venire?»
«No, Margherita, non solo non lo ammetto, ma lo escludo. Però mi fa piacere pensare che essi possano venire.»
Margherita rabbrividì: «Giovannino, ho paura.»
«E perché? Tua figlia te l’ha spiegato chiaramente: si tratta dei nonni, non di morti estranei.»
Entrò la Giacometta e domandò se avevamo bisogno di qualcosa.
«No, vai pure a letto» le rispose Margherita.
Rimanemmo soli e io spensi la luce perché, quando si è davanti al fuoco, la luce dà fastidio. Spensi anche le luci dell’albero e lasciai soltanto quelle del Presepe.
«La storia del pane che poi non ammuffisce più» disse a un tratto Margherita «è inverosimile.»
«Lo vedremo» risposi. «Comunque, è un particolare che serve per dare ancora maggiore poesia alla faccenda.»
Quante cose straordinarie si possono vedere guardando con occhio attento le fiamme del caminetto.
Suonò l’una all’orologio del campanile. E, poco dopo, Amleto abbaiò.
Amleto, come tutti i bravi cani da guardia, abbaia solo quando è opportuno abbaiare e abbaia nel modo più adatto alla circostanza.
Sì che è assai agevole distinguere la segnalazione di eventuale pericolo lontano fatta per dovere d’ufficio, dalla segnalazione di probabile pericolo vicino e dall’abbaiare minaccioso e perentorio in fun­zione di “alto là!”. Amleto stava dando l’alto là a qualcuno che s’era avvicinato troppo al cancello dell’aia: Margherita sbarrò gli occhi:
«Giovannino» ansimò «che siano loro?»
«Ma no, Margherita. Non senti in che modo abbaia? Si tratta di estranei.»
«Non li ha mai visti: sono estranei per lui.
«E cosa vuoi che possa vedere?»
Sentimmo passare per la strada gente che chiacchierava e Amleto smise di abbaiare.
«Si vede che s’erano fermati un momentino davanti al cancello» spiegai.
Margherita si tranquillizzò.
«Ho sete» disse Margherita. E io mi alzai per andare a prendere un po’ d’acqua in cucina ma le dita di Margherita si aggrapparono alla mia giacca e mi tirarono giù.
«Resta» esclamò Margherita. «Non ho più sete.»
«Il fatto è che adesso ho sete io.»
«Da sola non ci rimango neanche un minuto, qui» affermò Margherita.
«In questo caso non ci resta che andare in cucina assieme.»
Titubò parecchio e, se la paura la teneva inchiodata alla poltrona, la curiosità la stiracchiava per indurla ad alzarsi.
Si alzò e mi si affiancò.
Uscimmo dal tinello semibuio, traversammo il piccolo corridoio buio e ci arrestammo davanti all’uscio di cucina. Dopo qualche istante d’esitazione, spalancai l’uscio. La cucina era illuminata soltanto dalla minuscola lampadina-spia del bruciatore di nafta che ronzava in cantina, e vedemmo il grande rettangolo candido della tovaglia, col piatto del pane nel bel mezzo.
Accendemmo la luce grossa ed entrammo.
Mentre io aprivo la credenza per procurarmi i bicchieri, Margherita studiava attentamente la tovaglia e il piatto del pane.
Quando tornai dalla dispensa con la bottiglia dell’acqua minerale, trovai Margherita a capo della tavola. Presi posto vicino a lei.
«Spegni la lampada grossa e lascia solo il lumino della spia» sussurrò Margherita.
Rimanemmo lì, seduti nella penombra, e Margherita s’era aggrappata al mio braccio come se stesse per annegare.
«Pensa» sussurrò d’un tratto Margherita. «Pensa, Giovannino se adesso ce li trovassimo lì davanti!»
«Va bene» le risposi. «Io ci penserò: però devi pensarci anche tu.»
Margherita ci pensò tanto intensamente che, dopo cinque minuti, abbandonato il mio braccio reclinò il capo sulla tovaglia e si addormentò.
Mi addormentai anche io e dormii esattamente fino a quando la pendola scoccò le ore due.
Allora alzai il capo e c’erano tutti, seduti attorno alla tavola.
Stavano guardandoci dormire e sorridevano.
Allungai una mano per svegliare Margherita ed essi mi fecero cenno che la lasciassi dormire.
Levarono gli occhi da noi e si guardarono attorno: mio padre mi indicò le due grosse travi di rovere del soffitto e fece segno di sì con la testa. Roba solida, massiccia: aveva sempre seguito quel concetto, nel fabbricare.
Anche il padre di Margherita, che da vivo era falegname, fece segno di sì con la testa: si trattava di due travi veramente in gamba.
Suonò il quarto d’ora, all’orologio della torre: allora tutti e quattro toccarono il pane, si alzarono e se ne andarono.
Mi rimisi a dormire con la testa appoggiata sulla tavola.
Ci svegliò, alle otto del mattino, la Giacometta: io, subito, presi il piatto col pane e lo riposi nella cristalliera del buffet.
« Adesso puoi sparecchiare» dissi alla Giacometta.
«Che strani sogni si fanno quando ci si addormenta così spiegazzati» osservò Margherita.
«Puoi andare a farne dei normali a letto» le risposi.
Margherita scosse il capo: «Cosa c’è di più triste e malinconico della normalità?» «disse con voce lontana alzandosi per aiutare la Giacometta a ripiegare la tovaglia.
Non era il caso di risponderle e guardai compiaciuto le travi di rovere del soffitto che io avevo voluto così grosse e massicce.

Fonte: Corrierino delle Famiglie, da "Candido" n. 52, 27 dicembre 1953, pag. 15, per gentile concessione di Alberto e Carlotta Guareschi.

Giovannino Guareschi

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Un gioioso angelo di Natale

di Rosa Jane Shalott

Nella cucina di casa Molletta ferve un'insolita attività. Di solito i signori Molletta si servono dalla migliore sartoria del paese; tutti i loro abiti hanno un'etichetta personale e sono su misura. Stavolta però a cimentarsi con l'arte del cucito è la servitù femminile di casa Molletta al completo insieme alla signora Molletta.

Il parroco Don Smolla, infatti, ha deciso di organizzare una grande rappresentazione vivente della Natività: tutti i parrocchiani avranno un ruolo, compresa la piccola Gioia, che interpreterà il Gioioso Angioletto.

Mamma e papà Molletta veglieranno su di lei in veste di Maria e Giuseppe e il bimbo sarà generosamente "prestato" dalla pastorella Harriet, figlia della perpetua del parroco.

La signora Molletta ha già preso le misure al marito e con l'aiuto di Fifì sta preparando i costumi mentre sorveglia di tanto in tanto Mollettina che, compresa già nel suo ruolo, canta a squarciagola "Gloiaaaaaaaaa, Gloiaaaaaaa! Bendetto è Signooooo!”" e fa prove di volo cercando di lanciarsi dal tavolo sul quale è stata issata per le ultime misurazioni.

Dopo un intenso taglia e cuci, finalmente gli abiti vengono sapientemente inamidati e stirati, pronti per la grande serata.

La sera del 24, ecco la neve che imbianca a sorpresa il sagrato. Impossibile pensare di rappresentare qualcosa in mezzo a questa bufera. Don Smolla non si perde d'animo: tutti i baldi uomini già nei loro costumi sono invitati a riarredare il grande salone del catechismo.

Il presepe vivente si tiene al chiuso, e dagli altri quartieri la folla arriva per assistere all'evento prima della Messa di Mezzanotte.

Per niente intimidita, la piccola Gioia catalizza sin dall'inizio l'attenzione di tutti: accarezza le pecorelle vere (riuscendo a farsi seguire da quelle per tutto lo spazio disponibile come se le avesse ipnotizzate) e non paga si cimenta nei doveri della brava pastorella e trascina con sé tutte quelle di cartapesta (non sia mai che una resti indietro).

Chiede alla pastorella di assaggiare il finto latte e all' uomo delle castagne domanda un cartoccio da sgranocchiare con due occhi così grandi e innocenti che la pentola, prima piena, si svuota delle sue rappresentanti.

L'angioletto corre all' impazzata masticando castagne rubate, seguita da pecorelle vere e finte: un successo.

Il meglio però arriva con la dimostrazione che gli angeli possono camminare sull' acqua. Attratta dal grande specchio-lago al centro della sala, la piccola prima cerca di affogarci una pecora di cartapesta "per farla bere", poi, dal momento che la bestiola è chiaramente refrattaria al bagno, le dimostra che non c'è niente da temere scivolando ella stessa sulla superficie con eleganti passi di danza.

Ma ora, ecco: è arrivato il grande momento di Gioia, finora solo comparsa. Su una piccola seggiola dietro la culla del bambino, il piccolo angioletto deve cantare il "Gloria" che ha riecheggiato per tutta casa Molletta nell'ultimo mese.

È un momento di grande attesa. La folla guarda incoraggiante verso la bimba… ma niente. Intimidita, la piccola siede sullo sgabello e immusonita e con le braccia conserte urla "No catto!"

Nonostante tutto è un'esplosione di allegria: tutti ridono davanti a quell'angioletto ribelle, compreso Don Smolla, proprio lui che ci tiene perché ogni cosa sia sempre perfetta.

Il momento magico è passato, tutti gli attori riprendono la loro consueta attività, quando dalla capanna si alza un canto allegro è un po' stonato. "Gioooooia, no… Goiaaaaaaaa, Bendetto è Signoooooo!"

Si sa, per i bambini i tempi tecnici non esistono, ma va bene così: tutto è più bello così che altrimenti. Stupiti dal canto, pastorelli e pastorelle si voltano verso la capanna con la naturalezza che prima avrebbero solo simulato.

Infine, estenuata dalle intense emozioni, Gioia riesce a ottenere di essere presa in braccio dal papà e lì si addormenta di un sonno ora davvero angelico, con il respiro che le muove le piumette sulla schiena. È davvero un Gioioso Natale.

Rosa Jane Shalott

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Stefania, la lavandaia del presepe

di Federico Caruggi

Tra i personaggi del presepe napoletano vi è anche Stefania, una lavandaia alla quale, essendo vergine, era vietato recarsi da una puerpera. Ovviamente, Stefania si incamminò lo stesso verso la Natività per adorare il Redentore. E l’Angelo, altrettanto ovviamente, le impedì di entrare dalla Madonna appena partorita.

Ma Stefania, spinta dall’ardente desiderio di visitare il Bambino, simulò di avere in braccio un neonato che in realtà era un sasso celato tra le fasce; entrata là dove era Maria udì, all’improvviso uno starnuto, che non era, come ella istintivamente pensò, quello del Divino Bambino, ma, come le annunciò la Madonna stessa, era il suo bambino, il suo Stefano, natole tra le braccia dal sasso.

Stefano, appunto, sarebbe il primo bimbo, nato dopo il Bambinello. Sarà lui, Santo Stefano, a diventare il primo martire cristiano. Per questo la ricorrenza di Santo Stefano sarebbe stata fissata nel giorno successivo al Natale.

Ci pare che, ancora una volta, anche in questa ingenua storiella di pietà popolare risuoni l’invito a cercare il concreto bene possibile nella situazione che abbiamo davanti, anche abbandonando regole che possono dare false sicurezze. E, poi, il centuplo quaggiù, ce lo garantirà il Padre...

I più sinceri Auguri di Buon Natale e di felice Anno Nuovo.

Federico Caruggi

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Il lupo di Natale

di aNoNimo

C'era una volta un lupo che viveva nei dintorni di Betlemme. I pastori lo temevano tantissimo e vegliavano l'intera notte per salvare le loro greggi. C'era sempre qualcuno di sentinella, così il lupo era ogni volta più affamato, scaltro e arrabbiato.

Una strana notte, piena di suoni e luci, mise in subbuglio i campi dei pastori. L'eco di un meraviglioso canto di angeli era appena svanito nell'aria. Era nato un bambino, un piccino, un batuffolo rosa, roba da niente.

Il lupo si meravigliò che quei rozzi pastori fossero corsi tutti a vedere un bambino. "Quante smancerie per un cucciolo d'uomo" pensò il lupo. Ma, incuriosito e soprattutto affamato com'era, li seguì nell'ombra a passi felpati.

Quando li vide entrare in una stalla si fermò nell'ombra e attese. I pastori portarono dei doni, salutarono l'uomo e la donna, si inchinarono deferenti verso il bambino e poi se ne andarono. Poi l'uomo e la donna, stanchi per le fatiche e le incredibili sorprese della giornata, si addormentarono.

Furtivo come sempre, il lupo scivolò nella stalla. Nessuno avverti la sua presenza, tranne il bambino. Spalancò gli occhioni e guardò l'affilato muso che, passo dopo passo, guardingo ma inesorabile, si avvicinava sempre più. Il lupo aveva le fauci socchiuse e la lingua fiammeggiante. Gli occhi erano due fessure crudeli. Il bambino però non sembrava spaventato.

"Un vero bocconcino" pensò il lupo. Il suo fiato caldo sfiorò il bambino. Contrasse i muscoli e si preparò ad azzannare la tenera preda.

In quel momento una mano del bambino, come un piccolo fiore delicato, sfiorò il suo muso in una affettuosa carezza. Per la prima volta nella vita, qualcuno accarezzò il suo ispido e arruffato pelo e con una voce, che il lupo non aveva mai udito, il bambino disse:

"Ti voglio bene, lupo."

Allora accadde qualcosa di incredibile nella buia stalla di Betlemme. La pelle del lupo si lacerò e cadde a terra come un vestito vecchio. Sotto, apparve un uomo. Un uomo vero, in carne ed ossa. L'uomo cadde in ginocchio, baciò le mani del bambino e silenziosamente lo pregò.

Poi l'uomo che era stato un lupo uscì dalla stalla a testa alta, e andò per il mondo ad annunciare a tutti:

"E nato il Bambino Divino che può donarvi la vera libertà! Il Messia è arrivato! Egli vi salverà!"

Salvare le creature semplicemente amandole. Questo era il piano di Dio. Forse funziona con le belve... Per gli uomini devi cominciare tu!

aNoNimo

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La storia di Bambino

di Enrico Pizzo

Voglio raccontarvi un fumetto letto da me tanti, tanti anni fa...

L'anime raccontava la storia di un ragazzino che viveva in Giudea 2000 anni fa.

I suoi genitori erano contadini ed avevano un somarello di nome Bambino che li aiutava nel lavoro dei campi, somarello che era il migliore amico del ragazzo.

Un brutto giorno, però, il papà del ragazzo disse che il somarello era troppo vecchio per continuare a lavorare nei campi e che loro erano troppo poveri per mantenerlo, quindi chiese al figlio di portarlo a Gerusalemme e venderlo al macellaio per una moneta.

Il ragazzo era triste ma obbedì al babbo. Tuttavia, giunto in città non ebbe il coraggio di vendere il suo amico al macellaio, e cercò di trovare una casa per Bambino.

Purtroppo nessuno lo voleva. Sconsolato, il ragazzo alla fine decise di scappare di casa e di occuparsi lui del somarello.

Sennonché egli viene avvicinato da un uomo, il quale gli spiegò che sua moglie era incinta, tuttavia entrambi dovevano recarsi nella loro città natale di Betlemme in occasione del Censimento bandito dall'Imperatore Cesare Augusto ed aveva bisogno di una cavalcatura per lei, ma era troppo povero.

Chiese al ragazzo se era disposto a vendergli il somarello, anche se poteva pagarlo solo una moneta.

Il ragazzo era triste all'idea di separarsi dal suo amico, ma felice all'idea che sarebbe vissuto con persone che non lo avrebbero abbattuto.

Il ragazzo salì su una collina per guardare di lontano l'uomo che si allontanava nel tramonto con la moglie seduta sul somarello. A un certo punto non lo vide più, ma ecco una luce nel cielo e una voce di angeli che cantava: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che Egli ama."

E il ragazzo commentò, soddisfatto: "Ora che so che Bambino è felice."

Buon Natale a tutti!

Enrico Pizzo

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Il pastore scorbutico

del Marziano

C'era una volta un pastore che aveva un gran brutto carattere e due cagnacci anche peggiori di lui. Viveva da solo con le sue pecore e i suoi cani, perché anche gli altri pastori lo temevano. Era un uomo ringhioso e vendicativo, perennemente arrabbiato contro qualcuno o qualcosa. I suoi occhi erano solitamente accesi d'ira e la sua barba incolta e irsuta. Le sue parole erano sempre amare e nessuno lo aveva mai visto sorridere. I mendicanti che bussavano alla sua porta dovevano scappare di corsa, inseguiti dai cani e dalle minacce del pastore.

Quando, nella notte santa, agli altri pastori apparve l'angelo che annunciava la nascita del Santo Bambino, il pastore burbero brontolò: « Uno stupido trucco per i gonzi », e si avvolse con rabbia nel suo mantello, nero come il suo cuore. Ma proprio quella notte avvenne qualcosa di straordinario.

Poco lontano di là, un uomo camminava nella notte per cercare del fuoco. Bussava a tutte le porte. « Aiutatemi, brava gente », diceva, « mia moglie ha appena avuto un bambino e io devo accendere un fuoco per riscaldarli, lei e il piccolo ». Ma era notte fonda, tutti dormivano e nessuno gli rispondeva. L'uomo cercava e cercava.

Il buio lo avvolgeva da tutte le parti, ma ad un tratto vide il bagliore di un fuoco. Si avvicinò quasi correndo. Era il fuoco del pastore scontroso e iracondo che faceva la guardia al suo gregge. I cani dormivano accucciati ai suoi piedi e tutt'intorno le pecore dormivano una addossata all'altra. Quando l'uomo arrivò, i cani si destarono. Aprirono le fauci per abbaiare, ma non ne uscì nessun suono. Il pastore li incitò ad attaccare l'intruso. Con il pelo ritto e le zanne appuntite che luccicavano ai bagliori del fuoco, i cani si scagliarono sull'estraneo, ma quando gli arrivarono vicino, come costretti da una mano invisibile, si accucciarono uggiolando ai suoi piedi.

Il pastore, sorpreso e contrariato, strinse più forte il suo nodoso bastone, e poi, con un impulso improvviso, lo lanciò con tutta la sua forza contro lo straniero. Ma il bastone, arrivato davanti allo sconosciuto, deviò dalla sua traiettoria e sibilando finì lontano nel campo.

Il nuovo arrivato aveva l'aria mite e inoffensiva e si avvicinò al pastore camminando tranquillamente sulle pecore addormentate, sfiorandole appena, senza svegliarle. « Amico, dammi un po' di fuoco per scaldare il mio bambino e la sua mamma », chiese cortesemente. Il pastore stava per rispondere malamente, quando si ricordò che i cani non avevano morso, il bastone non aveva colpito e le pecore non si erano svegliate. Un po' inquieto, non osò rifiutare. « Prendine quanto ne vuoi! », fece brusco.

Non c'erano quasi più fiamme, rami e tizzoni erano completamente consumati. C'era solo un mucchio di braci e lo straniero non aveva né secchio né pala per portarle via. Il vecchio pastore se ne accorse e malignamente ripeté: « Prendine quanto ne vuoi... Se puoi! »

Lo straniero allora si chinò, prese con le mani un po' di braci ardenti, le avvolse in un lembo del suo mantello e, dopo aver ringraziato, se ne andò. E il fuoco non bruciò né le sue mani né il suo mantello. Se lo portò via come fosse una manciata di mele rosse. Il pastore era rimasto di sasso. « Ma che notte è mai questa », pensava fra sé e sé, « in cui i cani non mordono, i bastoni non colpiscono, le pecore non si spaventano e il fuoco non brucia?». Richiamò lo straniero, a voce alta: « Che notte è questa? Perché sono tutti buoni? » L'uomo rispose con la sua voce gentile: « Lo devi capire da solo. Con il cuore. Io non posso dirtelo ». E se ne andò.

Il vecchio pastore decise di non perdere di vista lo straniero e incominciò a seguirlo da lontano. Così scoprì che quell'uomo non aveva neppure una baracca per ripararsi, e che sua moglie e il bambino stavano in una specie di grotta, senza difesa per il freddo. Quando il pastore vide il bambino, il suo cuore freddo e inacidito si riscaldò un po'. Il buio, cupo e scontroso, che abitava la sua anima improvvisamente cominciò ad illuminarsi. Aprì la sua bisaccia ed estrasse un vello di pecora, bianco e morbido, e lo porse alla donna perché avvolgesse il bambino. Poi prese pane e formaggio e li offrì ai due sposi.

In quel momento i suoi occhi si aprirono, e vide ciò che prima non aveva potuto vedere e udì ciò che prima non aveva potuto udire. Si accorse di essere circondato da schiere di angeli che cantavano in coro che il Messia era nato in quella notte, il Messia che avrebbe liberato il mondo intero dal male. Allora comprese perché in quella notte di gioia niente e nessuno poteva fare del male. E gli angeli non erano soltanto intorno a lui, ma dappertutto, nella grotta e sulle rocce, nel cielo e sulle colline: avanzavano in processione per contemplare il Divino Bambino. Dappertutto si respirava felicità, gioia, canti e danze. E il pastore vide tutto questo in quella notte che gli era sembrata nera e vuota prima che i suoi occhi fossero davvero aperti.

Allora un'ondata di felicità lo travolse e una gioia incontenibile vibrò in tutto il suo essere, fibra per fibra. Come se tutto in lui si fosse trasformato in una di quelle arpe che suonavano gli angeli. Si buttò in ginocchio e ringraziò il Signore. E per la prima volta nella sua vita, i suoi occhi si riempirono di lacrime di felicità.

Buon Natale anche da parte mia!

Marziano

La lettera che vedete qui sopra è un po' speciale, perchè fu scritta dal piccolo Joseph Ratzinger, bambino di sette anni, nel Natale 1934: « Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia. Vorrei il Volks-Schott, un vestito per la messa verde e un Cuore di Gesù. Sarò sempre bravo. Cari saluti da Joseph Ratzinger. » (grazie a Carlazzurro!)

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Tom il giocoliere e le palline di Natale

di Veronica Maya

C'era un artista molto speciale:
palline di vetro faceva volare.
Sempre più in alto, senza mai cadere:
si chiamava Tom. Lui era un giocoliere.
La notte che nacque il Bambinello,
Tom da donare aveva solo quello.
Uno spettacolo di colori, ed un sorriso
che di Gesù illuminò il dolce viso.
Da quel momento palline brillanti
decorano gli alberi di tutti quanti.
Portano in casa molta allegria,
sono del Natale la gioia, la magia.

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L'angelo del dopo-Natale

di Don Angelo Saporiti

Ancora un poco e sarà già tempo di disfare il nostro presepe e di buttare via l'albero di Natale che abbiamo messo su all'inizio dell'avvento.
Solo qualche patacca qua le là o qualche luccichio d'argento ci ricorderanno i giorni di festa trascorsi.
Ogni angioletto, ogni luce dorata so che li ritroverò intatti al prossimo Natale.
C'è una cosa che però rimarrà con me e non metterò nello scatolone...
Quando l'anno scorso misi via il presepe e i cinque angioletti, tenni l'ultimo tra le mie mani...
"Tu resti", gli dissi, "ho bisogno di un po' della gioia di Natale per tutto questo nuovo anno".
"Hai avuto fortuna!" mi rispose.
"Come?" gli chiesi.
"Ehm, io sono l'unico angelo che può parlare...".
"È vero! Ma guarda un po'! Un angelo che parla? Non l'ho mai visto. Non può esistere!".
"Certo che può esistere. Succede soltanto quando qualcuno, dopo che il Natale è passato, vuole tenere con sé un angioletto, non per errore, ma perché desidera rivivere un po' della gioia di Natale, come succede adesso con te. Solo in questi casi noi angeli possiamo parlare. Ma capita abbastanza raramente... A proposito, mi chiamo Enrico".
Da allora Enrico è sulla libreria nella mia stanza.
Nelle sue mani regge stranamente un cestino della spazzatura. Abitualmente sta in silenzio, fermo al suo posto. Ma quando mi arrabbio per qualcosa, mi porge il suo cestino e mi dice: "Getta qua!".
Io gecestino.pngtto dentro la mia rabbia. E la rabbia non c'è più. Qualche volta è un piccolo nervosismo, o un stress, altre volte è una preoccupazione, a volte un bisogno, altre volte un dolore o una ferita che io da solo non posso chiudere, né riparare...
Un giorno notai con più attenzione, che il cestino di Enrico era sempre vuoto.
Gli chiesi: "Scusa ma dove porti tutto quello che ci getto dentro?".
"Nel presepe", mi risponde.
"E c'è così tanto posto nel piccolo presepe?".
Enrico, sorrise.
"Stai attento: nel presepe c'è un bambino, che è ancora più piccolo dello stesso presepe. E il suo cuore è ancora più piccolo. Le tue difficoltà, non le metto proprio nel presepe, ma nel cuore del bambino. Capisci adesso?".
Stetti un po' a pensare.
"Questo che mi dici è veramente complicato da comprendere. Ma, nonostante ciò, sento che mi fa felice. Strano, vero?".
Enrico, aggrottò la fronte e poi aggiunse: "Non è per niente strano, ma è la gioia del Natale. Capisci?".
Avrei voluto chiedere ad Enrico molte cose. Ma lui mise il suo dito sulla sua bocca: "Pssst", mi fece in tono garbato. "Non parlare. Semplicemente, gioisci!"

Don Angelo Saporiti

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Natale è morto

di Andrea Villa

Natale è morto. Non può esserci una frase più perfetta ed esatta di questa.

Natale è morto. Il povero signor Dickens ha contribuito a farlo nascere, ma la sua fama e i suoi libri non sono bastati a renderlo immortale.

Natale è morto. Ucciso dalle ambizioni senza freno di scellerati industriali e profittatori, che hanno trasformato un grande esempio di comunione e pace con il prossimo, in una gara al consumo e alla frenesia.

Seduto su un tavolino, guardo con occhiate velenose la gente che passa e bevo il mio whisky. È per causa loro…che Natale è morto.

Un tempo credevo che, nei loro cuori, si potesse ancora trovare del bene, ma l’avidità e il materialismo hanno da molto tempo spento ogni luce al loro interno. Sono come sassi dentro un fiume: vivono in mezzo ai valori e agli esempi di solidarietà, di pace, di progresso e aiuto reciproco, eppure ciò non entra nei loro cuori. Sono esseri infidi, incapaci di provare qualsiasi sentimento positivo.

Io adesso avrei un lavoro da fare, ma me ne frego. Che senso ha lavorare ancora se…

All’improvviso, vedo qualcosa che credevo non avrei visto mai più. Un padre e una bambina, forse sua figlia. Vedo dentro di loro: lui ha rinunciato a un grosso aumento di stipendio e probabilmente sarà licenziato al prossimo downsizing aziendale. Ma è felice lo stesso, perché se avesse accettato non avrebbe potuto vedere sua figlia oggi. Ha pensato a lei prima di sé stesso, e ha sacrificato tutto per la felicità di lei.

Mi sbagliavo. Natale non è morto.

E questo significa… che ho ancora un lavoro da fare.

A me Cometa, Fulmine, Donnola, Freccia, Ballerina, saltarello, Donato e Cupido! Anche te, giovane Rudolph. Non siamo ancora in cassa integrazione!

Andrea Villa

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La Pace di Natale, ovvero quando Babbo Natale fermò la Grande Guerra

di Tommaso Mazzoni

Ispirata al bellissimo fumetto "Santa Claus vs Nazi"

Lapponia, Valle del Natale, 23 Dicembre 1915, ore 21.30.

Pietro lesse:

"Anderson Claire: Vuole che suo padre torni a casa dalla guerra; è stata molto buona."

Babbo Natale sospirò. "Vai avanti"

"Anicetti Claudio; vuole che torni a casa suo fratello, anche lui è stato molto buono."

Nuovo sospiro: "Vai avanti."

"Argrunn Franz, padre, fratello e zio, molto buono."

Babbo Natale si portò una mano alla fronte: "Avanti!"

"Avagzy Maria, le vorrebbe una bambola... e il ritorno di suo padre; davvero molto buona."

Una candela divampò prima di placarsi. "Sono tutte così, e siamo ancora alla A!"

"Babbo...." Samuel Klaus detto Babbo Natale, Santa Claus, San Nicola, Nonno Inverno e numerose altre denominazioni alcune perfino precedenti al cristianesimo, si alzò: una decisione si stava formando nel suo cuore.

"Ho violato la mia regola di non interferenza poche volte nella storia, generalmente quando l'istituzione stessa del Natale è stata in pericolo", spiegò poi a Pietro. "Qualche volta, per aiutare bambini che nel mondo non avrebbero avuto un futuro", aggiunse con un sorriso scompigliando i capelli del giovane nero; "questa sarà la prima volta che interverrò nella politica del mondo degli uomini in maniera così diretta; e l'Onnipotente rispetterà la mia decisione come ha sempre fatto; se sarà una scelta saggia, solo il tempo ce lo potrà dire!"

Ma ormai aveva deciso; avrebbe avuto bisogno di un aiuto, però, e quindi prese una grossa chiave di ferro e si diresse verso una caverna la cui porta era serrata da una grata di metallo massiccio; dall'altra parte una figura nell'ombra attendeva.

"Deve esserci un problema molto grosso, se ti accingi a liberarmi di persona: di solito devo ingegnarmi a fuggire", muggì la figura con voce cavernosa.

"Non approvo i tuoi metodi", mise in chiaro Babbo Natale con tono fermo. "Non li ho mai approvati", aggiunse, "e non penso che funzionino sui bambini."

La figura sogghignò "Ma?"

Babbo Natale sospirò: "Ma per alcuni adulti è un'altra storia, loro non sono ragionevoli come i bambini, e io avrò bisogno di un rinforzo d'autorità, con alcuni." Guardò il prigioniero. "Patti chiari, Krampus! Dal momento in cui esci da quella cella sarai al mio servizio; ti troverò cose da fare per sfogare la tua propensione alla violenza, ma senza il mio permesso tu non alzerai ferula, artiglio o zoccolo, d'accordo?"

Il mostruoso spirito del Solstizio d'Inverno ci rifletté su. "D'accordo, ma voglio poter punire i bambini cattivi in sogno, almeno quelli che sono finiti sulla tua lista dei cattivi tre volte di fila!"

Babbo Natale scrutò il peloso essere e annuì: "D'accordo, ma niente traumi permanenti, ne danni visibili, e solo come estrema ratio", concesse alla fine, "solo perché non posso eliminarti e non riesco ad imprigionarti per sempre, sappilo."

Krampus ghignò mentre il cancello si apriva: "Al tuo servizio, Babbo Natale", disse uscendo dalla grotta, ed ergendosi in tutta la sua altezza, oltre due metri e mezzo; in mano, la sua terribile ferula di rami spinosi.

Babbo Natale sospirò; il suo personalissimo patto col diavolo gli costava molto, ma doveva essere fatto. Peraltro, una volta, il Signore in persona gli aveva detto che in Krampus c'era una scintilla di bontà, e visto che non aveva mai ucciso nessun bambino, e li aveva sempre difesi, Babbo Natale era propenso a credervi e avrebbe cercato di coltivarla.

Palazzo Reale di Berlino, camera del Kaiser. ore 23,59 del 23 Dicembre.

 

Guglielmo II aprì gli occhi e vide una figura che non lo visitava da quando aveva otto anni.

"Ciao, Wilhelm" gli disse in tono paterno.

"Oggi non è Natale!" puntualizzò il Kaiser.

"No, non lo è", concordò il vecchio Weihnachtsmann, "ma dobbiamo parlare. Seguimi, per favore"

Guglielmo non amava essere comandato: "E se non volessi?"

Il vecchio lo guardò sorridendo: "Allora dovresti parlare con lui", disse puntando il dito verso l'altro angolo della stanza.

"Ciao, Willy" disse il Krampus sogghignando, mentre l'imperatore di Germania impallidiva.

"K-krampus!" Guglielmo urlò: "Guardieeee!" ma nessuno lo sentì. A quel puntò, pallido come un lenzuolo tolto dalla candeggina, il Kaiser seguì le due figure, e con suo grande stupore, su una slitta insolitamente spaziosa trovò un sacco di persone che conosceva, inclusi i suoi cugini George e Nikki; notò anche la presenza di svariate persone che non potevano stare sedute, fra cui suo genero Costantino di Grecia, il Feldmaresciallo Austriaco Conrad e il Ministro Francese Clemenceau, Mr Krupp e quel terrorista di Vladimir Il'ic, i quali, evidentemente, avevano scelto di discutere con Krampus.

Il volo, nonostante le circostanze risvegliò il bambino interiore di tutti i passeggeri che si divertirono molto; il più entusiasta era il vecchio Francesco Giuseppe.

Arrivati in Lapponia, dove Nikki ebbe la sfacciataggine di presentarsi come padrone di casa, quando tutti sanno che la Valle del Natale è indipendente, i passeggeri, che erano tutti i capi di stato, di governo , di religione, di partito, di azienda multinazionale e di stato maggiore del mondo, si accomodarono nella vasta sala, dove fu offerto loro un rinfresco a base di latte caldo e biscotti.

"Babbo Natale, con il Krampus in piedi al suo fianco si sedette di fronte a loro e spiegò che la guerra doveva finire, al più tardi il giorno di Natale. Inoltre, già che c'era, propose una serie di misure per impedire che in futuro ce ne fossero di nuove.

"Le aree contese vanno poste sotto sovranità congiunta; tutti gli eserciti devono ridursi in numero e armamento, e le condizioni di vita di tutti i popoli devono migliorare; inoltre, basta con l'imperialismo, con il razzismo e con lo sfruttamento, ma anche con il terrorismo, il secessionismo violento e la rivoluzione armata."

Ci vollero parecchie ore e parecchi sorrisi del Krampus mentre accarezzava la Ferula, ma alla fine anche risolvendo alcuni problemi con la magia (fertilità di alcune aree, carenza di risorse minerarie in altre, forniture extra di liquidità per ammortizzare le perdite ecc, ecc), tutti i convenuti accettarono le clausole della Pace di Natale che fu proclamata la mattina successiva.

Il grido di giubilo dei coinvolti, riportati magicamente nelle loro case, fu udito in tutto il mondo.

Babbo Natale accettò di presiedere la Società delle Nazioni e dei Popoli, il primo organo internazionale che univa tutti gli stati del mondo, ruolo che ricopre tuttora; Krampus, capo della forza multinazionale di intervento, negli anni ha praticamente smesso di frustare i bambini monelli anche nei loro sogni, anche se non disdegna di visitare alcuni adulti di persona, per persuaderli nell'interrompere attività pericolose per la pace e la prosperità del mondo; l'attuale Presidente degli Stati Uniti e numerosi ministri Italiani vengono visitati ogni Natale. Di solito tengono i discorsi nel mese successivo in piedi.

Forse è stato solo un sogno, ma... Buon Natale e felice anno nuovo a tutti.

Tommaso Mazzoni

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Il racconto di Natale dell’ateo Jean Paul Sartre

da questo sito

Una delle pagine più mistiche ma anche più umane sulla Madonna è rappresentata da "Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti", del famoso scrittore e filosofo esistenzialista Jean Paul Sartre. La scrisse per il Natale del 1940, a Treviri, mentre era prigioniero dei tedeschi in seguito alla disfatta dell'esercito francese. Lì conobbe alcuni sacerdoti francesi, tra cui l’abbè Marius Perrin, del quale divenne amico. Ed ecco il suo testo:

“Ciò che bisognerebbe dipingere sul viso di Maria è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne e il frutto del suo ventre. L’ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. (...) Nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, poiché egli è Dio ed oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo, che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride”

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I Magi: un viaggio lungo un sogno

di Giuseppe Coppola

“La notte di Natale, dell’Epifania, si sa… è una notte magica… può succedere di tutto… e allora chi sono, davvero, quei tre?... perché quei doni?... e cosa c’entrano con noi?”

Non aspettatevi chissà quali lezioni teologiche o esegetiche. Franchini propone una moderna rivisitazione della storia dei magi, invitandoci ad un viaggio che ognuno può intraprendere, seguendo la “cometa”, per arrivare a trovare se stessi.

Tutto parte da un sogno, paradossalmente per colpa dell’insonnia. Un sogno che porta il protagonista a rivedere sé bambino giocare nel cortile del casello ferroviario dove aveva trascorso la sua infanzia in semplicità e innocenza. All’improvviso si rende conto di avere accanto un signore anziano nel quale riconosce un’altra età della sua vita. È qui che il protagonista comprende di aver iniziato il viaggio alla ricerca di se stesso.

Ancora, nel sogno si trova in un grande centro commerciale, rappresentante Erode, che offre una moltitudine di beni materiali; tuttavia, per quanto si sforzi di cercare, il protagonista non riesce a trovare nulla che possa essere gustato veramente. 

È proprio questa ricchezza materiale a nascondere la povertà spirituale e a diffonderla in questa società malata che predilige l’apparenza e non la sostanza. Nel sogno si rende conto altresì che, nella propria incapacità di vivere con semplicità il dono della vita, l’uomo tende ad attribuire agli altri i propri errori e fallimenti. 
Comprende poi che la pedissequa osservanza delle Sacre Scritture porta talvolta il Cristiano ad allontanarsi da quelli che sono i reali doveri verso il prossimo.

Il sogno termina in un ospizio, luogo in cui gli anziani sono deboli e necessitano degli altri, con i bisogni elementari dei bambini. Non a caso il protagonista si accorge di aver accanto sé anziano e sé bambino: il cerchio della vita si chiude.

Questo è il viaggio… il sogno… che ciascuno di noi dovrebbe intraprendere per trovare se stesso ed accorgersi di non essere più solo, ma di avere conservato il sé bambino, che porta in dono l’oro della sua fanciullezza e di contenere il sé anziano, che porta in dono la mirra, la sua sofferenza. Quindi anche noi che non abbiamo l’oro e la mirra possiamo portare i piccoli grani di incenso: “piccoli sussurri di preghiera per dire grazie… per chiedere pietà… per affidare tutto a Gesù”.

La notte di Natale… si sa… è una notte magica… può succedere di tutto… Anche di trovare se stessi.

Giuseppe Coppola

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Così ha aggiunto aNoNimo:

L'ateo Jean Paul Sartre, prigioniero dei tedeschi a Treviri, durante la seconda guerra mondiale, ci ha lasciato incredibilmente una pagina tra le più belle, su Maria e sul suo travaglio umano di fronte a quel Dio fatto uomo, sul bimbo che ella aveva partorito. Nel giugno 1940 Sartre, a causa della disfatta dell’esercito francese, viene fatto prigioniero dai tedeschi. In agosto viene trasferito in Germania, nel campo di prigionia di Treviri, dove rimarrà fino all’aprile del 1941. L’esperienza della solidarietà tra prigionieri lo toglierà dalla sua solitudine, dal disprezzo del mondo. Vivrà in quell’esperienza, la luce nelle tenebre. In quel campo di priogionia, conosce alcuni sacerdoti, tra cui l’abate Marius Perrin, con cui si lega d’amicizia. Proprio in questo contesto, nasce l’idea di un lavoro teatrale che Sartre scrive in occasione del Natale 1940:

« Ciò che bisognerebbe dipingere sul viso di Maria è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne e il frutto del suo ventre. L’ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. (...) Nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, poiché egli è Dio ed oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo, che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. »

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La vera storia della Befana

di don Giampaolo Perugini

parroco della parrocchia di Santa Gemma Galgani (da questo sito)

In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti.. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.
Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta.
Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa.
Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio. Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione.
Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica.
Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare.
Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona.
Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi.
Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”.
E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù.
Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni.
È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

don Giampaolo Perugini

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Tommaso Mazzoni in proposito ha aggiunto:

Io conosco un'altra versione, il nome della vecchietta era Epzibah, ed era molto buona e generosa; quando vennero i Re Magi sarebbe andata volentieri con loro, ma non avendo nulla da portare rimase indietro a fare dolci, e ne fece veramente tanti; Quando partì per Betlemme, fra l'età e il peso dei dolci, arrivò veramente tardi, e Gesù era gia partito con i genitori per l'Egitto, e così da allora, la notte del 6 Gennaio, entra in ogni casa dove ci sia un bambino, e gli lascia dei dolci.

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Chiudiamo questa pagina con il breve ma bellissimo epilogo di Federico Caruggi:

Guardate con attenzione il Bambino Gesù, raffigurato nella tela del Mantegna (o di un suo seguace) riprodotta qui sotto. È un bambino con qualche peculiare caratteristica. Le pieghe degli occhi e l'obliquità e la strettezza delle fessure palpebrali, ad esempio. E poi il naso piccolo, con il setto molto basso. La lingua è prominente e la bocca aperta; l'espressione adeinodale è causata dal respiro nasale ostruito. Le mani sono tipicamente "quadrate" e il mignolo è curvo. E' presente anche l'anomalia delle prime due dita del piede distanziate tra loro. Sono caratteristiche che sembrano mostrare chiaramente un handicap preciso: la Trisomia 21, ovvero la Sindrome di Down. E anche la mamma del bambino pare avere qualche problema: il gozzo della Madonna indica una malattia tiroidea e solleva l'ipotesi che la modella fosse la madre naturale del bambino.

Ma cosa pensava Mantegna (o il suo seguace) quando scelse questi modelli? Naturalmente ci saranno state schiere di benpensanti che avranno gridato allo scandalo per l'identificazione di Gesù con un bambino Down. Ma il Mantegna (o il committente) avrà risposto duro: Cristo è il volto di ognuno di noi, per cui: muti e fatevi interrogare dal mio capolavoro!!!

E così mentre il nostro evoluto Terzo Millennio corre dietro a teorie eugenetiche, il retrogrado Cinquecento non aveva timore a far posare un bimbo così per ritrarre Cristo stesso. L'arte cristiana non ha esitato a vedere in questi stessi figli il segno stesso della più grande misericordia divina: Gesù Cristo.

E anche noi ci abbandoniamo in questa misericordia che ci sovrasta, insieme agli amici a cui fare i nostri auguri di Buon Natale. Buone feste a tutti in tutto il mondo!!


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