Raccontini horror

Il prete fantasmaA caccia di fantasmiNumero ZeroLa paura 2 - la vendettaCarne e sangue28 giorni dopo per davveroLa zampa di scimmiaChi ha paura di un'epidemia zombie?

Il prete fantasma

di Filobeche

La vecchia chiesa sorgeva su una collinetta ed era circondata da una bassa siepe ben curata, in complesso l’abitazione sembrava ben tenuta se si eccettuava la cattiva condizione della pittura esterna, in generale si poteva dire che la chiesa aveva senza dubbio visto giorni migliori.

La macchina si fermò sotto un albero di fronte alla chiesa, come la chiesa anche la vecchia buick del blu del ’70 aveva visto giorni migliori.

Il pastore, che stava al cancello, quando vide la macchina si fece incontro con una faccia che aveva dipinto sia l’ansia che il sollievo.

“Buona sera mr Vanpelt”, disse quando ebbe di fronte il guidatore della macchina.

L’uomo, tutto vestito di nero anche se la mattina di maggio non sembrava certo fredda, abbassò gli occhiali quel tanto che bastava per far vedere le pupille verde smeraldo e poi tese la mano al prete.

“Padre Roy vero?”, disse con un tono di voce caldo ma duro “Si, proprio io…vi ho telefonato la scorsa settimana…beh…per…ecco”, Padre Roy balbettò qualcosa ma Vanpelt fece cenno di fare silenzio si aggiustò l’auricolare e poi girandosi verso la macchina fece “Ok Nick, andiamo e vediamo quello che possiamo combinare”, si voltò di nuovo e seguendo il pastore verso la chiesa.

L’interno della chiesa era messo meno bene dell’esterno, alcune scabre panche di legno, un vecchio crocifisso scolorito e qualche tela che raffigurava qualche santo sconosciuto.

“Quale sarebbe il problema?”, chiese un po’ scontroso Vanpelt “dalla telefonata non si capiva bene"

Padre Roy borbottò qualcosa ma senza riuscire a dine nulla di chiaro in quel momento Vanpelt disse “Nick senti nulla?"

“Nulla Vandor “, rispose la voce giovanile ed allegra di Nick “qua dentro per adesso non c’è nulla”.

Il prete fissò Vanpelt che fece cenno all’auricolare “Troppo alto”, sorrise forzatamente “devo abbassarlo, se no”, disse con voce un po’ più alta “si sente tutto!"

“Torniamo a noi padre”, riprese rivolgendosi al sacerdote “si faccia coraggio,mi dica perchè mi ha chiamato, nell’elenco cittadino non sono certo alla voce pizza”.

Il prete incoraggiato dall’ironia di Vanpelt, ingollando un po’ di saliva disse “in questa chiesa…”, la voce gli tremò un poco “c’è uno spettro"

Vanpelt sorrise “Se ci fosse stata una musica trionfale”, pensò “adesso sarebbe saltata la puntina del disco"

Padre Roy vide il sorriso increspare le labbra dell’ospite fece uno strano verso con la testa “ecco lo sapevo, non mi credete neppure voi”.

“Pastore”, il sorriso non era venuto meno sulla faccia di Vanpelt “credere ai fantasmi è il mio lavoro”, fece una lunga pausa studiando l’ambiente e poi rivolto al microfono dell’auricolare “adesso vedi niente Nick?"

Ci furono secondi di attesa poi Nick rispose “Nulla, zero assoluto, niet, nada, una minchia…”, stavolta leggermente più basso.

“Nick!”, urlò Vanpelt “se dici un’altra volta una parolaccia a casa facciamo i conti"

“Ma io…"

“Niente ma, ok?"

“Ok"

“Scusi padre non riesco ad abbassare il volume di questa macchinetta”, e sorrise di un sorriso un po’ forzato, anche il prete sorrise però poi aggiunse “Ma allora mi credete?"

“Naturale”.

“Davvero?...cioè non mi prendete per pazzo?"

“Dovrei forse stupirmi per un…a proposito il vostro fantasma com’è?"

“Uh?”, il pastore strizzò gli occhi facendo segno di non capire.

“Intendo è un apparizione, un poltergaist…lo vedete? E se si quando?”, Vanpelt intanto aveva tirato fuori un blocchetto notes e gettava rapidi sguardi a destra ed a sinistra come a sincerasi che nella stanza non accadesse nulla o come per cercare una persona.

“Ah beh allora credo sia un apparizione…cioè a volte la domenica mentre dico messa la mattina alla sei lui appare dalla porta e cammina con sicurezza verso l’altare, arriva fino alle prime panche e poi sparisce; altre volte invece è seduto in fondo alla navata e legge un breviario”, fece una lunga, molto lunga pausa “questa una volta era una chiesa cattolica”.

“hu-hu”, Vanpelt non aveva alzato la testa dal taccuino ma quando il pastore finì chiese ancora “Vi vede?"

“Come?"

“Intendo, vi riconosce? Capisce che ci siete?"

“No…non credo…"

“Ok apparizione di grado I° non è in grado di interegire con i vivi, forse non ha coscienza”, aveva intanto estratto un piccolo registratore e lo accese.

“Metafonia”, disse al prete che era curioso.

“Abbiamo anche tentato un esorcismo”, fece padre Roy “ma niente…"

“Non è questione di fede”, intanto lo sguardo di Vanpelt vagava alla ricerca di qualcosa “ma di energie…”, s’interruppe.

“Sentito Little Nick?"

“Non mi chiamare Little ok?"

“Ok"

“Comunque ho sentito, si” disse la giovane voce un po’ alterata “ora vedo cosa posso fare”.

La presenza doveva in qualche maniera essersi attivata, il registratore aveva per qualche secondo interrotto il frusciare del nastro.

“Padre”, chiese cortesemente “potreste officiare messa?”, poi visto che Padre Roy lo guardava fisso ripeté “almeno fare finta di dire messa”.

“Ah…si…si…”, rispose agitato il prete.

“Vede padre”, cominciò Vanpelt “quello che la gente chiama comumente fantasma io lo distinguo in tre, diciamo, specie”, aspettò che il prete si fosse preparato e continuò “il primo grado, quello che comunemente chiamiamo fantasma è un residuo di energia spirituale…come credo in questo caso"

“C’è da preoccuparsi?”, domandò trepidante il prete.

“No, sono ricordi o emozioni intrappolate da questo lato del sensibile, sono poco più che Robot, non parlano se interrogati, non spostano oggetti, non vedono il mondo che c’è intorno a loro”, intanto il prete stava apparecchiando l’altare dando a Vanpelt il tempo di continuare.

“Il secondo grado è quello che invece rappresenta il fantasma tipico”, fece una pausa per interrompere un attimo il registratore e far tornare indietro il nastro, poi riprese “Questo tipo di spettri è quello che ha limitate interazioni con l’umanità, parla, ascolta capisce…ma non elabora le informazioni, è come imprigionato in un eterna scena di un film di cui non cambia mai il copione ma solo i comprimari e cioè noi"

“Siamo pronti Nick?”, domandò “No, se il prete non si prepara non vedremo nulla temo”, la voce di Nick stavolta giunse più lontana e distorta e Vanpelt giudicò che l’attività preparatoria di padre Roy stava dando i suoi frutti.

“E l’ultimo tipo?”, chiese curioso il prete “L’ultimo tipo…l’ultimo tipo è come se fosse vivo ed in taluni casi crede davvero che sia cosi, altri invece sanno di essere morti e possono essere positivi, come gli spitriti di famigliari che ci rimangono accanto o spiriti guida, oppure negativi come i poltergeist, alcuni sono solo burloni…e possono apprendere come le persone non è vero Nick?"

“Si”, ripeté semplicemente la vocina “ma mai in cattiva fede”, il volume era tornato alto, l’apparizione non si manifestava, padre Roy si era distratto.

“Ah”, Vanplet fece scioccare le dita “ora ho capito!"

“Si?” disse il pastore.

“Si, a cosa pensate quando preparate l’altare della messa?"

“Dipende”, mugolò il pastore “a volte a nulla…a volte al rito che sto per compiere"

“Bene, probabilmente la nostra visione è attivata dalla concentrazione che mettete nel dire messa, forse lui amava pregare e il vostro desiderio accende la visione"

“Possiamo fare qualcosa?”, il pastore sembrava sul punto di piangere “Si possiamo, posso cercare di spengerlo, ma consideri questo, una presenza nella sua chiesa attirerebbe molti curiosi e potrebbe anche tirare su qualche dollaro”, sebbene l’espressione di Padre Roy fosse incredula, quella di Vanpelt indicava che non aveva assolutamente scherzato, quando il pastore arrivò a quella conclusione scosse la testa e disse “No vi prego toglietemelo di torno"

“Ok”, concluse il cacciatore di fantasmi “ora si concentri"

Passarono alcuni minuti mentre padre Roy si preparava, il registratore iniziò scattare.

“Nick vai bello vedi se riesci a vederlo”, e fece un vacuo gesto nell’aria.

Ci volle quasi cinque minuti d’attesa poi la vocina di Nick giunse distortissima e lontanissima, quasi flebile “l’ho davanti a me, tra pochi secondi dovrebbe…”, non riuscì a finire la frase che l’immagine del prete si materializzò davanti a Vanpelt, seduto nell’ultima panca con un libro in mano, una figura diafana stava leggendo un libro.

“Ora Nick cerca di staccare le connessioni materiali”, la voce era incoraggiante “Pastore non si faccia spaventare”, disse poi rivolto a padre Roy che fissava la figura terrorizzato.

“Dammi una mano”, disse Nick.

“Ok, hmm, ma certo”, Vanpelt estrasse una pietra di ametista e la pose sul pavimento a pochi metri dalla figura diafana.

Poi come se non fosse accaduto nulla la figura svanì nel nulla.

“Fatto?”, chiese Vanpelt “Uh-um…bravo eh?”, rispose allegro Nick.

“Non c’è male”, rispose sorridendo Vanpelt mentre il pastore gli si fece vicino e gli disse “Come posso ringraziarvi?"

“Pagando la parcella padre, fanno cinquanta dollari, tutto sommato non era un gran lavoro”.

“Ma”, disse il pastore “tirando fuori il portafogli tornerà?"

“Non credo”, rispose gentilmente Vanplet “entità come queste sono come messaggi registrati, spento la segreteria telefonica il messaggio non dovrebbe disturbarla più"

“Grazie, grazie”, ripeté l’uomo di chiesa “mi permetta di aggiungere cinquanta dollari per il disturbo”.

“Ah”, aggiunse il pastore “posso chiederle a che cosa è servito l’ametista?"

Il cacciatore rimase alcuni secondi in silenzio e poi rispose “A dare sicurezza e concentrazione”.

Vanpelt prese il denaro aggiuntivo che gli offriva l’altro, dato che un po’ più di soldi non facevano mai male e poi cortesemente salutò.

S’infilò nella Buick, si tolse l’auricolare, che non era agganciato a niente, e partì; dopo qualche chilometro la radio si accese da sola su un pezzo anni ’70 degli Abba –Dancin’ Queen- “Ora puoi manifestarti Nick”, disse Vanpelt superando veloce una fattoria.

“Oh era ora”, disse una vocina allegra e un suono come di campanelli spinti dal vento accompagnato da una ventata calda e dall’odore del pane.

Vanpelt si girò e vide un ragazzino di circa tredici anni, comodamente seduto sulla poltrona dell’auto a guadare il panorama.

“Ciao piccolo”, disse e fece una carezza sulla testa del ragazzino che fu attraversato dalla mano di lui.

Il piccolo spettro si girò e gli sorrise “Andata bene, vero?"

“Bene, ma era piuttosto semplice”, commentò: “non è un lavoro splendido?"

“Beh si”, Nick rideva con gli occhi e l’odore di pane fresco sembrava aumentare, “ma del resto, bisogna riconoscermi una certa abilità con i trapassati”.

Risero insieme per un lungo tratto di strada e poi la macchina svanì oltre la collina mentre il sole raggiungeva lo zenit, promessa di un nuovo giorno per la terra dei vivi.

Filobeche

Tramonto sullo stagno, di Acqua di Luce

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A caccia di fantasmi

di Frulina

Sammy Scarlet correva a perdifiato per il polveroso viale che lo avrebbe portato alla casa abbandonata. Tutti in paese dicevano che vi abitasse un fantasma e Sammy voleva verificarlo di persona. Aveva scelto quel momento con cura: non era né troppo tardi, in modo che sua madre non si preoccupasse, ma né troppo presto.

“I fantasmi non escono prima di sera” pensò Sammy, ed ebbe per un momento l’impressione di sentire un soffio freddo sul collo.

Alla fine del viale la casa infestata lo stava aspettando. Man mano che si avvicinava gli sembrò che accanto al cancello ci fosse un’ombra ma, con suo grande sollievo, scoprì che si trattava di una bambina che giocava con una palla nel giardino dell’abitazione.

“Ciao”, disse la bambina, “mi chiamo Belinda. Pensavo che nessuno sarebbe venuto qui, di sera.“

“Ho intenzione di vedere il fantasma” disse ansimando Sammy.

“Un fantasma vero?” chiese lei stupita.

“Sì proprio così” rispose Sammy, orgoglioso.

“Posso venire con te? Io non ne ho mai visto uno.”

Detto ciò, Belinda si avviò verso la porta della casa seguita da Sammy attraverso il giardino pieno di cardi ed erbacce.

“Entriamo, Sammy”, disse la bambina.

“Ma la porta non sarà chiusa a chiave?” chiese Sammy; poi chiese ancora, dubbioso. “E tu, come conosci il mio nome?”

“Beh, hai l’aria di uno che si chiama così”, rispose semplicemente Belinda.

La bambina spinse la porta ed entrarono, anche se Sammy era piuttosto spaventato. Si trovava in una stanza talmente buia che non riusciva a vedere nulla, tranne una figura scura e polverosa che si avvicinava a lui dall’altro lato della stanza.

“Il fantasma!” gridò Sammy. Belinda si girò a guardarlo.

Lui non riuscì a vederla bene, ma gli sembrò che stesse ridendo si lui.

“Non è un fantasma”, gli disse la bambina: “è solo la tua immagine riflessa in uno specchio che si trova laggiù.”

Sammy avanzò di qualche passo e si rese conto che Belinda aveva ragione.

La bambina proseguì per una scalinata che portava al piano di sopra e Sammy la seguì.

Dal buio sbucò una mano, morbida e silenziosa come le ombre, che gli accarezzò la faccia con le dita di seta.

“Il fantasma!” gridò nuovamente Sammy.

“Ragnatele, semplici ragnatele!” replicò Belinda.

Sammy si toccò la faccia e constatò che Belinda aveva ragione ancora una volta.

Arrivati al piano di sopra, i due bambini aprirono una porta ed entrarono in una piccola stanza. La luce della sera filtrava attraverso le finestre illuminando il soffitto. Al centro della stanza c’era una sedia a dondolo mezza rotta su cui era appoggiata una bambola molto vecchia. Sammy si guardò intorno e poi guardò fuori dalla finestra.

“Qui non c’è nessun fantasma”, soggiunse, “e si sta facendo tardi. Devo andare.”

Scesero le scale e Sammy non si spaventò più delle ragnatele, né del suo riflesso che sembrava seguirlo.

Uscirono dalla casa e si avviarono verso il cancello.

“Tornerai a cercare il fantasma?” chiese Belinda.

“No, credo di no” rispose Sammy deluso. “Niente fantasmi, qui!” concluse Sammy, poi si girò e corse via senza salutare.

Belinda attese che fosse andato via.

“Il problema”, disse a se stessa, “è se lui sarebbe capace di riconoscere un fantasma, se per caso ne vedesse uno.”

Oltrepassò il cancello e lo chiuse a chiave. Nella tarda sera Belinda era già evanescente e lontana, e appena mise il chiavistello alla porta di casa scomparve completamente.

Frulina

(ispirato a “In cerca di un fastasma”, di Margaret Mahy, e tratto da questo sito)

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Numero Zero

di Dario Carcano

“Bene, signor von Arnauld, cominci a raccontare la sua Storia dall’inizio.”

“Per inizio cosa intende?”

“Quali sono i suoi primi ricordi? La sua infanzia?”

“Ah, intende così dall’inizio! Bene, sono nato il 22 novembre 1884, a Berlino, secondo di quattro fratelli, in una famiglia che, come avrà capito dal nome, è di origine ugonotta. Ma di francese abbiamo solo il cognome, perché mio padre ha sempre rifiutato di impararlo e quando gli serviva nei suoi affari si affidava all’interprete. Io ho provato a studiarlo, ma con scarso successo. I miei genitori li vedevo pochissimo, mio padre lo vedevo cinque minuti a settimana, la domenica quando la tata ci faceva entrare nel suo studio, e devo dire che non abbiamo mai avuto un vero rapporto. Quando è morto molti anni dopo, per un colpo apoplettico, ricordo che non ero né felice né triste, semplicemente la cosa mi lasciò indifferente.”

“E sua madre?”

“Mia madre la vedevo più spesso, certo, ma nonostante questo i rapporti con lei sono sempre stati freddi. Come penso la maggior parte dei bambini di famiglia borghese, sono stato cresciuto non dai miei genitori ma dai domestici. Fritz, il nostro maggiordomo, e Martha, la mia tata, sono stati i miei genitori, e lo stesso vale per i miei fratelli. Poi sono anche stato sfortunato: mio padre è morto quando avevo quindici anni, quando aveva appena iniziato a spiegare a me e a mio fratello più grande come portare avanti le attività della nostra famiglia.”

“In quel periodo ha avuto interessi amorosi di qualche genere?”

“No, di interessi amorosi ho iniziato ad averne dopo, così come le esperienze sessuali. Il mio primo amore era una giovane domestica, Sophie, più o meno mia coetanea (all’epoca avevo diciannove anni), con cui ebbi una breve ma intensa relazione. La mia prima volta è stata con lei. La amavo sinceramente, ma quando mia madre capì quello che provavo per lei, la cacciò di casa e da allora non ho più saputo niente di lei.”

“Ha amato altre donne?”

“Amato no. Ho frequentato spesso le case di tolleranza e avuto relazioni con donne conosciute nei miei viaggi d’affari, ma dopo Sophie non ho più amato nessuna donna.”

“Mi ha parlato dei suoi viaggi d’affari. Potrebbe dirmi di più?”

“Non c’è molto da dire, viaggiavo spesso tra Berlino, Amburgo, Colonia, Monaco, Stoccarda e Francoforte per concludere affari, firmare contratti, incontrare fornitori, ispezionare stabilimenti, eccetera. Poi mio fratello mi incaricò di seguire la costruzione di uno stabilimento in Italia, a Milano, e dal 1909 al 1913 ho alternato l’Italia alla Germania, un mese ero a Milano e il mese dopo a Berlino. Milano però aveva un vantaggio non da poco: era vicina ai laghi. Così mi ero comprato una casa a Sesto Calende, sul Lago Maggiore, dove trascorrevo alcuni periodi di riposo. Nell’estate del 1914, tre anni fa, ero lì con la mia compagna di allora, una certa…”

“Perché sta schioccando le mani? Non si ricorda il suo nome?”

“E secondo lei? Anna? Alberta? Ada? Augusta? Mi ricordo che iniziava per “A”! Ad ogni modo, non è importante. Dicevo, era estate, l’estate del 1914. Stavo leggendo in un parco un articolo che parlava dell’assassinio dell’Arciduca Franz Ferdinand. Ero seduto su una panchina ed indossavo il completo chiaro con la cravatta azzurra, avevo appoggiato alla mia destra il bastone da passeggio e il cappello, che non mi serviva perché ero all’ombra degli alberi. Mentre sto leggendo mi arriva di fianco un uomo che… mi arriva di fianco questo qua che, me lo ricorderò sempre, aveva capelli brizzolati, pizzetto senza baffi o altra barba, completo così scuro che l’unica cosa chiara era la camicia, cravatta viola.”

“Mefistofelico?”

“Sì, esatto! Quella è la parola giusta. Dicevo, mi siede accanto, alla mia sinistra, e inizia a dirmi in tedesco ma con un lieve accento straniero:

‘Brutto affare!’

‘Vuole aggiungere un argomento o restiamo nel vago?’

‘Intendevo, l’assassinio di Franz Ferdinand.’

‘È solo l’assassinio di un Arciduca. Non fa più nemmeno notizia che nei Balcani un fanatico ha ammazzato un Arciduca, anzi, sarebbe cosa gradita se talvolta succedesse il contrario.’

‘Già, sarebbe fantastico! Ma purtroppo queste cose non succedono.’

‘Purtroppo. Lei di cosa si occupa?’

‘Mi chiamo W. e sono un consulente finanziario. Nel mio lavoro sono talmente bravo che mi chiamano ‘Il Mago’. Dicono addirittura che riesco a far apparire i soldi dal nulla.’

‘Interessante.’

‘Però non alza lo sguardo da quel suo giornale.’

‘Lo so.’

‘È inutile che lei legga i giornali.’

‘Perché?’

‘Perché quelli che scrivono quei giornali non saprebbero vedere una corazzata in una tazzina da caffè.’

‘In che senso?’

‘Nel senso che siamo alla vigilia di un evento epocale e nessuno se ne rende conto.’

‘Quale evento epocale? Una guerra, forse?’

‘Sì, esatto!’

‘Bah, una guerra tra l’Austria e la Serbia non mi sembra così epocale. Un anno fa hanno finito di farsi la guerra prima contro i turchi e poi contro i bulgari.’

‘Ma stavolta è diverso.’

‘Diverso come?’

‘Che la Russia non accetterà l’attacco alla Serbia, e Vienna porterà con sé la Germania, che attaccherà la Francia e innescherà l’intervento degli inglesi.’

‘Tutto questo per un Arciduca austriaco?’

‘Sì esatto. Un ottimo investimento, no? Un solo morto provocherà milioni di altri morti!’

‘Come nei suoi affari, no?’

‘Sì e no. Perché questi sono i miei affari!’

‘È nel settore bellico? Conosco molte persone che lavorano in quel settore.’

‘Sì e no, mi occupo delle guerre ma non produco armi. Quella è una cosa che lascio agli altri.’

‘E allora di cosa si occupa? Non venderà mica i cadaveri!’

‘Ci è andato molto vicino!’

‘Produce bare per caso?’

‘Stava per dirmi che conosce dei fabbricanti di bare?’

‘Sì, ma come fa a saperlo?’

Non mi rispose, ma sorrise e cambiò argomento dicendomi:

‘Non vendo bare, né cadaveri perché non sono i corpi ciò che mi interessa. A me interessano le anime.’

‘Le anime? Ma si rende conto di quello che dice? E soprattutto in che anno siamo? Non mi dirà che crede a queste superstizioni!’

‘Perché, lei non crede? È ateo? Eppure i suoi antenati sono stati perseguitati per il loro credo.’

‘Lei come fa a… Ad ogni modo, quello in cui credevano i miei antenati è affare loro, non mio. E comunque sì, sono ateo! E mi stupisce la sua ignoranza in materia. Lei non ha letto Nietzsche?’

‘Ah, Nietzsche. Dopo che è morto ha cambiato idea su molte cose. Pensi, gli stavo parlando proprio l’altro giorno…’

‘Mi scusi, lei parlava a Nietzsche?’

‘Sì esatto!’

‘Ma è morto dieci anni fa!’

‘Quattordici!’

‘Era ad una seduta spiritica?’

‘No, eravamo a pranzo.’

‘Ah, e cosa le diceva Nietzsche?’

‘Che su Dio e sulla religione si era sbagliato.’

‘Interessante, se solo fosse vero!’

‘Cosa intende dire? Lei non crede che abbia parlato con Nietzsche?’

‘Non solo a quello. Non credo a nulla di quello che lei mi ha detto!’

‘E perché?’

‘Lei mi ha detto che vende le anime, che ha pranzato con una persona morta quattordici anni fa, che presto scoppierà una guerra europea…’

‘Non mi sorprende che lei non creda, ma presto si ricrederà.’

‘Mi fa piacere che lei lo pensi.’

‘Non lo penso, ne sono sicuro!’

‘E in che modo mi ricrederò?’

‘Quando le porterò la testa del Kaiser.’

‘La testa del Kaiser?’

‘Sì, le porterò la testa del Kaiser. Apposta per lei farò un altro piccolo investimento.’

‘Faccia pure, ma i suoi “investimenti” la ripagano sempre?’

Ed era sparito. Non aveva lasciato alcuna traccia. Come se non fosse mai stato lì. Poi successe quello che lei sa, scoppiò la guerra, la Grande Guerra, e vidi quanto aveva avuto ragione W. Ma quello era solo l’inizio. Essendo un dirigente d’azienda ero stato esentato dal servizio militare, dunque ero ancora a Berlino a gestire gli affari della ditta assieme a mio fratello. Una mattina, mentre ero a passeggio nel parco, mi ricordo che c’era la nebbia, dalla nebbia viene fuori un individuo mefistofelico, vestito scuro con una cravatta viola…”

“Era lui?”

“Sì, era lui, lo riconobbi subito. Aveva in mano un pacco, una scatola. La lasciò a terra e se ne andò. Mi avvicinai, la aprii e quello che c’era dentro era…”

“Cos’era?”

“Era… era… era la testa del Kaiser Wilhelm. Scappai a casa e lì venni a sapere che dell’omicidio del Kaiser e del fatto che la testa non era stata ritrovata. Ma ora lei deve ascoltarmi, dottore, lei mi deve ascoltare. Aveva ragione lui, lui lo ha fatto per me, solo per me lo ha fatto! Capisce, dottore? Io ho provocato la rivoluzione in Germania, i morti nel terrore, li ho provocati io! Capisce dottore! Dottore, lei deve assicurarmi che farà tutto il possibile perché W. sia trovato, perché sì, bisogna trovarlo e sono sicuro che salterà fuori…”

“Certo signor von Arnauld, ora però abbiamo finito. Mi dispiace ma devo andare”

Il dottore si alzò, e uscì dalla stanza. Andò nel suo studio, aprì un quaderno ed iniziò a scrivere:

« Friedrich Albrecht von Arnauld.
33 anni, cresciuto in una famiglia borghese. Manifesta i primi sintomi della schizofrenia a diciannove anni, quando si innamora perdutamente di “Sophie”, una ragazza inesistente e frutto esclusivamente della sua immaginazione. Per volontà della madre e del fratello subisce un primo ricovero ospedaliero, che si conclude meno di un anno dopo, quando il paziente manifesta i segni di un’apparente guarigione.
In seguito, però, il nuovo manifestarsi della malattia fa sì che tra gli anni 1909 e 1913 alterni i ricoveri ospedalieri alla vita assieme alla sua famiglia. Lui parla – e tuttora parla dei ricoveri in manicomio – come de ‘i miei viaggi in Italia’.
Dal 1915 egli è ricoverato definitivamente, dopo che ha tentato di uccidere la madre in preda ad un delirio allucinatorio.
Allo stato attuale è affetto da schizofrenia paranoide-depressiva: non ha perso del tutto il contatto con la realtà, ma confonde questa e le sue fantasie. Ritiene di essere il responsabile della morte del Kaiser Wilhelm II e della rivoluzione comunista avvenuta in reazione alla dittatura dei generali, e per questo è affetto da forti sensi di colpa.
Dall’estate del 1914 è ossessionato da W. una figura mefistofelica che gli avrebbe anticipato la guerra e la rivoluzione e che le avrebbe provocate solo per lui. Probabilmente una figura reale che ha suggestionato la sua mente malata. »

Dario Carcano

N.B. avete immaginato giusto, W. sta per Woland.

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Questo è il commento in proposito di Bhrihskwobhloukstroy:

«Numero Zero» mi lasciava nel dubbio che seguissero un «Numero Uno», «Numero Due» &c., che non sapevo se fossero continuazioni della storia o nuove opere, ma «1921» mi ha fatto pensare che questa sia conclusa e quindi comincio con le elucubrazioni.

Siamo fra il 22. novembre 1917 e il 21. novembre 1918, altrimenti von Arnauld avrebbe più di 33 anni. Si parla della morte del «Kaiser», senza specificarne il nome o il numero, quindi sembrerebbe che venga così chiamato per antonomasia e che quindi sia stato l’ultimo. Risulta esplicitamente che la la vittima fosse Guglielmo II. La Rivoluzione viene specificata come «Comunista», quindi si può inferire che i suoi effetti non siano stati duraturi, dato che von Arnauld parla senza reticenze del «Terrore» (che perciò dev’essere terminato); non ce n’è comunque stata un’altra, perché viene anche chiamata «la Rivoluzione» senz’altro. La menzione della «Dittatura dei Generali» lascia pensare che non sia poi più tornata dopo la Rivoluzione.

Se prendiamo come media i cinque mesi della Rivoluzione Bavarese e di quella Ungherese, li possiamo proiettare sulla Germania intera, ma non ne sappiamo l’inizio; tuttavia, dato che l’impopolarità dei Generali è salita esponenzialmente dall’estate del 1918, un quadro plausibile potrebbe essere che tutto è andato come nella Storia reale fino ad allora, poi è il malcontento è esploso, forse fatalmente dopo il Giorno Nero dell’8. agosto (in tal caso bisogna ridurre da cinque a max. tre i mesi della Rivoluzione e del Terrore).

Non si parla mai di Pace, ma neppure di Guerra civile; all’epoca l’iniziativa militare era ormai stabilmente dell’Intesa, quindi il 22. novembre è sommamente improbabile che la Guerra sia ancora in corso. Inoltre, la Rivoluzione Comunista avrebbe con ogni verosimiglianza proclamato la Fusione con la Russia, ma se non c’è Guerra CIvile (che in Russia non potrebbe essere già terminata) e non si parla di miseria o iperinflazione fra i mali intervenuti, l’unico scenario concepibile mi pare quello di un ĭntĕrmărĭŭm repubblicano perlomeno dalla Finlandia alla Croazia e che comprende anche la Germania (forse anche l’Austria, di conseguenza).

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La parola torna a Dario Carcano:

La paura 2 - la vendetta

Interno notte.

Sei a letto che cerchi inutilmente di prendere sonno, passando il tempo a rigirarti tra le lenzuola. Realizzi che ti cola il naso, e allunghi il braccio sul comodino solo per accorgerti che sono finiti i fazzoletti. Ti alzi e vai in bagno a prenderli, e mentre sei in bagno ti accorgi di una cosa a cui non avevi fatto caso.

Che non hai acceso la luce e sei al buio.

E sei preso dal terrore. Hai visto troppe creepypasta di MorteBianca, sai cosa si può nascondere nel buio.

Sei paralizzato dalla paura, non riesci a muovere nemmeno un muscolo, e ogni volta che senti un rumore, una goccia d’acqua che cade dal lavandino o un mobile che scricchiola, un brivido gelido ti percorre la schiena.

Da un momento all’altro ti aspetti di sentire un respiro alle tue spalle, o una mano che si appoggia sulla tua scapola. Un mostro, certo, lo sappiamo tutti che restano nascosti fino a quando non gli capita un malcapitato… devi stare fermo, loro si accorgono se tu ti muovi. Quindi se stai fermo li freghi.

Ma se sto fermo… poi lui mi può aprire il ventre. No, devi fare qualcosa, non puoi stare fermo in attesa di farti ammazzare.

Che fare? Potresti chiamare aiuto. I tuoi genitori sono nella stanza accanto, se urli sicuramente arrivano.

Ma poi ti ricordi che domani mattina dovranno alzarsi alle cinque e mezza per uscire di casa alle sei e dieci e andare a lavorare. E se tu li svegli e poi non è niente? Poi come glielo spieghi? Quindi tra svegliare i tuoi genitori e morire squartato da solo scegli quest’ultima opzione.

Quindi cosa fare? Non puoi star lì a continuare a perdere tempo. Oltretutto, la paura è un odore, e i mostri lo sentono.

Sono peggio delle bestie questi mostri…

Alla fine decidi di correre verso il letto. Sì, è deciso, al tre inizi a correre e ti fermi solo quando sei tornato nel letto.

Uno
Due
Due e mezzo
Due e tre quarti
Due e nove decimi
…tre

Inizi a correre, ma lui ti raggiunge, ti prende per una caviglia e cadi per terra nel corridoio. Lo senti sopra di te, e soprattutto senti un braccio freddo e metallico con cui l’orrenda cosa sta cercando di bloccarti impedendoti di fuggire. Ti dimeni, cerchi di liberarti, senti la rigidità del suo esoscheletro e le zampe grosse e piatte. Continui a lottare contro l’orrida creatura e riesci ad accendere la luce.

E improvvisamente l’orrida cosa assume un aspetto familiare.

Era l’aspirapolvere.

Ti è sempre stato sul ##### quell’aspirapolvere! Che hai sempre detto a tua madre di non lasciarlo nel corridoio in mezzo alle scatole, e lei imperterrita continua a lasciarlo lì, in mezzo al corridoio.

Recuperi il pacchetto di fazzoletti, controlli che i tuoi genitori non si siano svegliati, spegni la luce e torni a letto.

Sperando di riuscire a prendere sonno.

Dario Carcano

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Il nostro amico non ha ancora finito:

Carne e sangue

Nell’802 Carlo Magno iniziò a ricevere dai suoi conti molte lettere e emissari che riportavano notizie ai limiti dell’incredibile: in molte zone dell’Impero, bestie e sempre più spesso anche uomini, venivano ritrovati morti dissanguati. Come se ciò non bastasse, in alcuni casi i cadaveri delle vittime di questo misterioso fenomeno sparivano prima che potessero essere sepolti. L’Imperatore mandò sul posto emissari a esaminare il fenomeno, e in alcuni casi vi si recò lui personalmente; parlò coi suoi conti, coi parroci e coi contadini, visitò le zone dove era avvenuto il fenomeno ed esaminò assieme ai suoi dotti di corte i cadaveri dissanguati delle vittime, constatando personalmente delle misteriose sparizioni. L’ipotesi che le salme fossero state rubate fu scartata: cosa c’è da rubare dal cadavere di un contadino?

Dunque Carlo ordinò che i cadaveri fossero chiusi in bare inchiodate non appena ritrovati, e le sparizioni cessarono. Allora uno dei dotti di corte azzardò un ipotesi: i cadaveri per qualche ragione stavano tornando in vita.

Da alcune delle bare in cui per ordine di Carlo erano stati chiusi i cadaveri uscivano delle urla; l’Imperatore decise di provare ad aprirne una, e assistette personalmente all’apertura.

Appena fu tolto il coperchio della bara, il cadavere saltò addosso ad uno dei becchini che l’avevano riaperta; fu salvato dall’intervento di uno dei cavalieri che assieme all’Imperatore assisteva alla scena: il cavaliere prontamente estrasse la spada e con un fendente tagliò la testa del cadavere.

E fu allora che Carlo e i suoi dotti capirono con cosa avevano a che fare: le leggende narravano che prima di Carlo, prima di suo padre, prima del padre di suo padre, al tempo in cui la Francia era ancora governata dai romani, una spaventosa peste aveva flagellato l’Impero; una malattia tanto devastante che intere città erano rimaste spopolate, e che arrivò persino ad uccidere un Imperatore. Ma ciò che rendeva tanto devastante quella peste era che i morti risorgevano per succhiare il sangue dei vivi; e l’Imperatore Marco Aurelio secondo le cronache aveva lottato duramente per sconfiggere le numerose legioni di non morti.

Carlo aveva sempre ritenuto quelle leggende delle storie che si dicono per spaventare i bambini e farli stare buoni, ma ora si rendeva conto che era tutto vero.

Iniziò allora una lunga guerra tra i Franchi e i non morti, che iniziarono ad essere chiamati vampiri, termine che i dotti carolingi avevano ripreso dagli slavi; fu una guerra sanguinosa, la più dura delle numerose guerre combattute da Carlo; i longobardi, i sassoni, i mori e gli avari erano nulla a confronto coi vampiri, un nemico invisibile, che agisce solo di notte, e che si ingrossa con le perdite del proprio esercito.

Dopo nove anni di guerra, nell’811, Carlo ormai era vecchio e stanco; la guerra non sembrava avere vie d’uscita, e come se non bastasse il figlio primogenito dell’Imperatore, Carlo il Giovane, aveva trovato la morte lottando contro i vampiri, provocando a Carlo una grave depressione da cui, secondo il suo biografo Eginardo, l’Imperatore non sarebbe mai uscito. Una notte venne alla corte di Aquisgrana un messo del re dei vampiri; Carlo lo ricevette e venne a sapere che i suoi nemici erano disposti a negoziare. Affidò al messo una risposta in cui si diceva disposto a cercare un compromesso con il re dei Vampiri.

Iniziò uno scambio di lettere tra Carlo e il re dei Vampiri, che culminò in un incontro tra i due. Il re dei Vampiri si presentò a Carlo come legittimo Imperatore Romano, e quando Carlo protestò egli si rivelò essere l’imperatore Lucio Vero, che non era morto a causa della peste come scrivevano le cronache. O meglio, era morto, ma poi era risorto come vampiro.

Carlo e Lucio Vero iniziarono a negoziare, e si giunse ad un accordo: gli uomini avrebbero governato il giorno, i Vampiri la notte; i Vampiri si sarebbero astenuti dall’attaccare gli uomini, ma questi li avrebbero riforniti regolarmente di sangue di maiale, affinché non morissero di fame (la carne ai vivi, il sangue ai morti).

L’accordo fu firmato da Carlo e Lucio Vero al crepuscolo del sabato santo dell’812, e infatti fu noto come Accordo del Sabato Santo. Carlo morì due anni dopo, e il suo successore Ludovico il Pio rinnovò l’accordo, così come fecero i suoi successori e i successori dei suoi successori.

Dario Carcano

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Così commenta MorteBianca:

Bella questa. Cristianizzazione rapida dei Vampiri come avvenne per i barbari (e il parallelismo c'è tutto), la loro violenza da calanizzarsi a fin di bene, la Chiesa che fornisce una via d'uscita filosofica al loro problema e il loro timore della luce e della morte, praticando funerali per i vampiri (che prima o poi, per una causa o l'altra, muoiono).

In questa sorta di Impero Romano ci sono dunque due poteri, uno diurno e uno notturno. Quello diurno è determinato dalle politiche del SRI, mentre quello notturno ha una mappa diversa e domini diversi. Si verrà a creare ovviamente un problema giudiziario (che succede se un vampiro viola la tregua? Chi lo persegue, il tribunale dei diurni che ha ucciso o dei notturni a cui appartiene?) che sarà risolto dalla Chiesa come arbitrato neutro (il Papa diventa l'astro del mattino e della sera). All'interno di questo mondo le cose funzionano così, ma fuori no.

Fuori ci potrebbero essere umani vampirofobi e vampiri che depredano gli umani. Possibilmente le orde di Mongoli e Unni potrebbero conglomerarsi in una sorta di Vampirato che invade la Cina, creando un potente impero basato sul dominio dei vampiri e gli umani usati o come carne da macello o come servitori premiati per merito. Di contro l'Islam potrebbe presentarsi come garante anti-Ghoul (vampiri) ed umanista fino in fondo. Non è possibile una società esclusiva di vampiri a meno che questi non apprendano rapidamente l'allevamento in quantità bastevoli ad alimentarli e proteggersi, forse su qualche isola (il Regno Unito? Thule?)

Si susseguono lotte e dinastie ma chiaramente i due mondi non restano separati a lungo, nascono matrimoni, contratti e trattati che creano potentati di tutti e due i mondi, le politiche si intrecciano.

La Prima Guerra Mondiale vedrà umani e vampiri lottare fianco a fianco in ambo le fazioni, con il crollo di storici imperi basato su potentati umano-vampireschi. La Seconda Guerra Mondiale sarà un tentativo di rivalsa dei Vampiri e dei sostenitori della supremazia Vampirica, l'Asse Roma-Berlino-Pechino contro gli Alleati (Francia, Impero Vampiresco inglese, Unione delle Repubbliche Mannare Sovietiche, Stati Uniti, Giappone Umanista).

La Cina crolla (e finisce il millenario sistema vampiresco), così come l'Asse in generale. Il mondo viene spartito in due tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.

Ci sono principalmente tre approcci residui alla questione vampiresca: il modello americano (umani comandano, vampiri segregati e ritenuti pericolosi), il modello britannico (madrepatria vampiresca e colonie umane) e il modello sovietico (Società libera e multispecista).

Il modello americano collassa, con la fine dell'Apartheid e la liberazione dei ghetti vampireschi, anche se la ghettizzazione non è mai finita. I vampiri, nonostante da secoli si cibino solo di sangue animale, sono ancora vittime di stereotipi per via della loro grande forza e dei miti sulla violenza.

Il Regno Unito perde man mano tutte le sue colonie, gli umani si ribellano sempre di più, e di contro finisce per subire una immigrazione importante dalle stesse di umani, tanto che la minoranza umana supera il record del 30%.

Il Regno Unito si unisce all'Unione Europea ma, in nome delle radici vampiresche (sono ancora adesso l'unico stato che, pur egalitario legalmente, è composto in larga parte da vampiri, visto che in Cina gli umani si stanno riproducendo enormemente) decide per il Brexit.

Mentre nel Regno Unito e negli Stati Uniti si consumano lotte tra umani e vampiri e mentre la Russia post-Sovietica è in mano al lupo mannaro, il Duca Vladimirovic Putin, in Cina sorge il Coronavirus, che colpisce solo gli umani, e non i vampiri. L'Umanista Donald Trump accusa la Cina (dove moltissimi sono i vampiri, specie al potere) di aver orchestrato la cosa per sterminare l'umanità.

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Dario allora rincara la dose:

I teologi cattolici potrebbero giustificare l’esistenza dei vampiri ritenendoli anime che Dio ha ritenuto troppo pie per l’Inferno ma non abbastanza per entrare in Paradiso, e scontano i loro peccati vagando sulla Terra a nutrirsi del sangue dei vivi; quindi non nascerebbe mai l’idea del Purgatorio e la Divina Commedia sarebbe molto diversa.

Un ostacolo alla cristianizzazione dei vampiri potrebbe essere il sangue: la liturgia dell’epoca lo riteneva un elemento estremamente impuro, tanto che le donne col ciclo non potevano entrare in chiesa. Dunque il fatto che i vampiri si nutrono di un elemento impuro potrebbe porre delle resistenze alla loro cristianizzazione, che però non escludo possano essere superate col tempo.

I problemi giudiziari sarebbero forse meno di quelli che pensi: nell’Impero Franco all’epoca di Carlo Magno vigeva ancora il principio della personalità della legge, dunque ogni gruppo etnico (Franchi salii, Franchi ripuari, Romani, Visigoti, Burgundi, Longobardi, Sassoni, ecc.) viveva ed era giudicato secondo le proprie leggi; non so esattamente come funzionasse nel caso di una causa tra (ad esempio) un salico e un romano, ma se veniva applicata la legge del gruppo dominante (i Franchi salii) allora ci sarebbe un problema; se invece ognuno era giudicato secondo le leggi della propria stirpe, allora semplicemente ai codici legali dell’Impero si aggiungerebbe una Lex Vampirica, secondo cui sarebbero giudicati i vampiri. Ovviamente anche il tribunale notturno dei vampiri dovrebbe giudicare gli umani secondo il diritto della loro stirpe.

Non credo che le isole britanniche possano diventare patria di una nazione vampirica, proprio perché sono isole e dunque difficilmente raggiungibili dal continente se non si hanno le necessarie conoscenze navali. Anzi, credo che esse possano ospitare uno dei regni più vampirofobi.

L’Impero Franco non sarebbe l’unico territorio in cui sarebbero presenti i vampiri, ci sarebbero in tutto il mondo (escluse le Americhe, l’Oceania e l’Africa Subsahariana); credo che anche i musulmani potrebbero arrivare ad una pacifica convivenza coi vampiri (del resto, convivevano senza troppi problemi con cristiani ed ebrei) purché si convertissero all’Islam. Piuttosto, secondo me il ruolo di nazione ultra-umanista potrebbe ricoprirlo l’Impero Romeo, coi vampiri che potrebbero aizzare la quarta crociata contro Costantinopoli per vendetta contro le persecuzioni subite dai romei.

Se i mongoli e gli unni sono vampiri, non escludo che in Cina si possa realizzarsi il tuo scenario (io mi ero concentrato sull’Europa).

Tornando in Europa, la crescita demografica dei secoli XI, XII e XIII aumenterebbe gli umani rispetto ai vampiri, ma nuove ondate di Peste vampirica dal XIV secolo in poi aumenterebbero il numero di vampiri, magari in qualche caso rischiando di ribaltare i rapporti di forza.

Questo, unito allo zelo religioso provocato dalla Riforma e dalla Controriforma, potrebbe causare ondate di intolleranza verso i vampiri (con l’accusa di non essere sinceramente credenti), con espulsioni, persecuzioni e magari in qualche caso roghi pubblici...

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Interviene Federico Sangalli:

Però c'è un controsenso: i vampiri dovrebbero scontare i loro peccati mordendo altre persone, magari innocenti? Se un Santo è vampirizzato come si può sostenere che sia tornato sulla terra perché non era abbastanza pio? Penso sia più probabile un atteggiamento di chiusura: i vampiri sono sempre stati associati al Male, a forze oscure e maligne che succhiano la vita dei vivi e vivono nelle tenebre, sarebbero associati a demoni e combattuti. L'Europa sarebbe divisa tra territori vampirizzati o coesistenti coi vampiri (Mitteleuropa, Francia, Scandinavia, Europa centro-orientale) e una parte vampire-free, protetta da ordini monastici guerrieri istituiti appositamente dalla Chiesa (Isole Britanniche, Penisola Iberica, Italia, Mediterraneo). I Bizantini, riconosciuti come gli unici Imperatori, metteranno a disposizione il Fuoco Greco, che diventerà simbolo della guerra purificatrice contro i vampiri. I Mongoli non hanno le strutture statali per opporvisi, almeno non prima di Gengis, il che espone la Cina e forse l'India. I musulmani potrebbero definirli Dijin e lanciare una Jihad contro di essi, con apposita Fatwa. Potrebbe persino esserci lo spesso ipotizzato riavvicinamento tra Cristianesimo e Islam delle origini in campo politico e dottrinario per contrastare la minaccia demoniaca. Tale alleanza potrebbe essere inevitabile se le masse dell'Asia verranno vampirizzate e schierate contro i regni umani.

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E Tommaso Mazzoni aggiunge:

Però avrebbe senso se solo il 50% dei morsicati si trasformasse. Chi non si trasforma é innocente.

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Questo è il parere di Perchè No?:

Mi ricorda un po' la serie "Kingdom", con i vampiri al posto degli zombi. La serie si svolge nell'antica Corea e mescola perfettamente il filone horror e quello storico. È un superbo lavoro coreano che vi consiglio (ne sono state prodotte due statgioni), ma l'ho iniziato a marzo 2020 e non era il momento migliore per storie di epidemie...

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Anche William Riker dice la sua:

Io cerco sempre una spiegazione scientifica ai fenomeni, vista la laurea che ho e il mestiere che faccio, e credo di averla individuata nel famoso germe ideato da Richard Matheson (1926-2013) nel suo romanzo "Io sono Leggenda" del 1954, che ha avuto ben tre trasposizioni cinematografiche, tutte con attori protagonisti di primo piano: Vincent Price nel 1964, Charlton Heston nel 1971 e Will Smith nel 2007. In esso un'epidemia causata dallo spillover (salto di specie) di un microbo dai pipistrelli all'uomo, che ricorda sinistramente la pandemia di Covid-19, ha trasformato l'umanità e le creature viventi di tutto il pianeta Terra in vampiri. L'unico non infetto è Robert Neville, che in gioventù era stato morso da un pipistrello e quindi è immune: egli si è creato un rifugio sicuro nella sua villetta, barricandosi durante la notte ed uscendo solo di giorno, e riesce a sopravvivere raccogliendo per la città quello di cui ha bisogno e mantenendo funzionanti la macchina e il generatore. Ogni notte alcuni vampiri cercano di stanarlo senza successo dalle pareti di casa protette dall'aglio, per potersi nutrire del suo sangue. Durante il giorno Robert si sposta in città, scovando alcuni dei vampiri che sono immersi nel sonno per ucciderli con il più classico dei sistemi: un paletto di frassino nel cuore. La voglia di trovare una soluzione gli suggerisce tuttavia di usare un approccio scientifico: Robert si reca nelle biblioteche ed università per procurarsi libri e attrezzature di laboratorio, e capisce che quello che ha reso gli uomini dei vampiri è un batterio (non un virus H1N1, dunque), il quale si è diffuso così velocemente in poco tempo grazie alle tempeste di polvere che affliggono il pianeta (e non a causa di viaggi aerei di asintomatici, come accaduto con il Covid-19). Sia il romanzo che le tre trasposizioni cinematografiche si concludono tutte con la morte del protagonista; infatti ora è lui l'ultima anomalia genetica sul pianeta Terra, e sarà ricordato come tale nelle leggende future. Nel romanzo le ultime parole di Neville sono: « Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte. Una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Io sono leggenda. »

Ecco, credo che lo spillover di questo batterio nel Medio Oriente del II secolo dopo Cristo, anziché nel XX o nel XXI secolo, sarebbe il PoD ideale per giustificare l'ucronia di Dario.

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Ainelif ha voluto scrivere la sua distopia in merito:

28 giorni dopo per davvero

1° novembre 2002: tre attivisti per gli animali liberano inconsapevolmente degli scimpanzè infettati da un virus della rabbia modificato in un laboratorio di ricerca nel Cambridgeshire, nel Regno Unito. Gli individui infettati si tramutano in idrofobi sanguinari.

3 novembre 2002: si diffonde un'infezione nel sud-ovest dell'Inghilterra. La BBC riporta episodi di quelle che sembrano considerate, inizialmente, delle "rivolte" in Inghilterra e Galles.

8 novembre 2002: il primo ministro britannico Tony Blair viene condotto in un luogo sicuro fuori Londra e viene informato su quella che è un'emergenza sanitaria nazionale, mentre l'infezione continua a diffondersi. La regina Elisabetta II e la sua famiglia vengono trasferiti al castello di Balmoral, in Scozia. Gli scienziati del governo tentano di approntare piani per fermare l'epidemia, mentre vengono inviati i primi reparti dell'esercito. Il governo francese chiude al trasporto l'Eurotunnel.

14 novembre 2002: i casi di rabbia arrivano a Liverpool, Manchester e Londra. La famiglia reale britannica abbandona la Scozia e si rifugia prima in Irlanda del Nord e poi in Canada. Blair informa il presidente USA George W. Bush che la situazione in Gran Bretagna è ormai fuori controllo. Bush ipotizza un'arma batteriologica di al-Qaeda per l'intervento NATO in Medio Oriente.

15 novembre 2002: il primo ministro Blair ordina di evacuare la Gran Bretagna e l'ONU emette una quarantena dell'isola. Il presidente Bush si rivolge al popolo americano e giura di aiutare la Gran Bretagna in questo tragico momento. Spagna, Francia, Portogallo e Irlanda accettano con riluttanza di essere i punti di sbarco per i britannici dalla terraferma e anche i cittadini britannici che si trovano all'estero vengono accolti in USA e Canada e in altri territori del Commonwealth.

17 novembre 2002: l'Evening Standard esce col suo ultimo titolo rimasto celebre: "EVACUAZIONE! L'esodo di massa del popolo britannico provoca il caos globale! I primi casi di rabbia raggiungo Edimburgo e la Scozia. Il Regno Unito piomba ufficialmente nell'anarchia. Le offensive militari portano a successi, però effimeri.

20 novembre 2002: milioni di britannici vengono infettati dal virus della rabbia, migliaia di persone si sono suicidate nelle loro case piuttosto che cadere vittime dell'orribile destino di essere infettate o uccise nella violenza e negli incidenti legati all'epidemia. Fortunatamente, milioni di persone sono riuscite a raggiungere le aree a sud-ovest, est e nord dove si è verificata una sorta di massiccia evacuazione inversa verso l'Irlanda e l'Europa.

29 novembre 2002: la Gran Bretagna è distrutta dal virus della rabbia. Quasi 25 milioni di persone non sono riuscite a salvarsi in tutta l'isola, mentre quasi 30 milioni di persone sono riuscite a fuggire grazie al coordinamento della Royal Navy, delle flotte della NATO e USA. Si stima che qualche milione sia ancora vivo in tutta l'isola, ma c'è poca speranza per costoro, poiché migliaia di persone vengono infettate o uccise ogni ora. La regina Elisabetta II e Blair pronunciano dei discorsi in televisione a tutto il mondo e pieni di lacrime, piangendo la devastazione della loro madrepatria.

7 dicembre 2002: la città di Manchester viene rasa al suolo da una tremenda deflagrazione, mentre Londra è intatta.

25 dicembre 2002: Elisabetta II invia il suo messaggio di Natale da Ottawa. La regina fa appello ai britannici fuggiti che "la nostra terra sarà sempre nei nostri cuori" e vi ritorneranno presto.

5 gennaio 2003: gli aerei della Royal Air Force sorvolano continuamente i territori britannici, notando che finalmente la maggioranza degli infetti sembra morente o già morta di fame e di sete. Vengono trovati anche alcuni sopravvissuti, come il "trio di Manchester".

20 gennaio 2003: i team scientifici euro-americani concludono lo studio di campioni di virus della rabbia che ha effetto solo sui primati e che apparentemente non è mutato o è andato in volo. È possibile una ripopolazione su larga scala della Gran Bretagna.

2 febbraio 2003: Bush si rivolge ad una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti alla presenza del formale Parlamento britannico a Washington, alla presenza di Elisabetta II e del governo Blair in esilio. Sono presenti anche delegazioni di Stati dell'Unione europea e della Commissione di Bruxelles. Il presidente statunitense ha deciso che gli USA guideranno un piano di pace e di ripopolamento della Gran Bretagna con la NATO e gli eserciti europei. Bush avverte Saddam Hussein e altri "tiranni" sparsi per il pianeta che "sebbene la loro attenzione ora sia su un amico, non rimarranno a guardare".

19 febbraio 2003: la prima forza NATO guidata da statunitensi, ma composta anche da truppe britanniche, canadesi, francesi, tedesche, olandesi entra a Londra.

15 marzo 2003: le condizioni dei campi profughi per britannici in Francia e Spagna si deteriorano e crescono episodi di malcontento. Anche l'Italia e la Grecia accolgono alcune migliaia di britannici esuli in campi profughi.

19 marzo 2003: Blair rimpatria le truppe britanniche in Afghanistan nei punti d'accoglienza sparsi in tutto il globo, in particolare in Irlanda del Nord e sull'Isola di Man. La mobilitazione internazionale a favore degli inglesi esuli è duramente criticata da alcune nazioni del Terzo e Quarto mondo.

12 aprile 2003: nonostante il diffuso scetticismo, un rapporto NATO dichiara libera la Gran Bretagna dall'infezione.

30 aprile 2003: le Nazioni Unite annunciano una lotteria globale per quali britannici rimpatriare per primi, inizialmente sono scelti tutti quelli senza figli o con figli maggiorenni.

2 maggio 2003: il governo e il Parlamento britannici e la famiglia Windsor dichiarano di rimanere in Canada per il momento. Un giornalista progressista inglese causa una piccola polemica mediatica con questa affermazione: "Sono stati i primi ad uscire, quindi è giusto che siano gli ultimi a tornare".

26 maggio 2003: viene creato il Distretto 1 a Isle of Dogs, una penisola nell'East End di Londra, circondata su tre lati est, sud e ovest dal Tamigi, che disegna un arco a forma di ferro di cavallo e governata dalla NATO. Qui arriva il primo gruppo di rifugiati con un treno speciale, si prevede di ripopolare le aree di Birmingham ed Edimburgo nei mesi successivi.

29 giugno 2003: un gruppo di giornalisti pubblica la notizia che due individui sotto i diciotto anni sono partiti dalla Spagna verso il Distretto 1 a Isle of Dogs.

4 luglio 2003: massacro di Isle of Dogs. Le forze NATO uccidono centinaia di persone nel tentativo di sedare una nuova infezione di virus della rabbia, portato nel Distretto 1 da una sopravvissuta inglese asintomatica.

4 agosto 2003: gli ultimi infetti fuggiti dallo sterminio a Isle of Dogs passano sotto l'Eurotunnel e raggiungono Parigi, diffondendo l'epidemia nella regione di Calais. Cosa succederà dopo?

Ainelif

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E ora, una piccola boutade di Lord Wilmore:

Ecco lo screenshot del video di uno youtuber che dice di aver avvertito la presenza di un fantasma in casa sua:

Brrr! Ne sono convinto anch'io...

C'ERA UN APOSTROFO DI TROPPO!

(Ogni tanto vado a vedere questi cavoli di video per cercare di capire dove sia l'imbroglio. In genere sono tizi che cercano visibilità su Youtube e organizzano con gli amici messinscene horror; il resto sono abbagli o pareidolie)

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É il turno di questo racconto di William Wimark Jacobs, apparso per la prima volta su "Terrore Sansoni" n° 3 dell'agosto 1963, tradotto da Bruno Tasso (purtroppo questo è l'unico racconto di Jacobs tradotto in Italia):

La zampa di scimmia

Fuori, la notte era fredda e umida, ma nel salottino di Lakesman Ville le persiane erano chiuse e il fuoco ardeva allegro nel camino. Padre e figlio stavano giocando a scacchi, e il primo, il quale aveva a proposito del gioco idee che comportavano innovazioni radicali, metteva spesso il suo re in situazioni così inutilmente pericolose da suscitare persino i commenti della vecchia signora dai capelli bianchi che se ne stava seduta tranquillamente accanto al camino a lavorare a maglia.
- Senti il vento, - disse White, che, dopo essersi accorto troppo tardi di aver commesso un errore fatale, cercava di escogitare il sistema migliore perché il figlio non lo notasse.
- Lo sto ascoltando, - rispose il figlio, ma continuava a osservare con la massima attenzione la scacchiera, e allungò una mano. - Scacco.
- Credo proprio che non verrà questa sera, - brontolò il padre, una mano appoggiata sul bordo del tavolo.
- Scacco, - ripeté il figlio.
- Ecco il guaio di vivere fuori mano, - blaterò White, con improvvisa e imprevista violenza; - e, fra tutti i peggiori, i più infami posti fuori mano dove vivere questo è il peggiore. Il sentiero è un pantano e la strada è un torrente. Non so che cosa ne pensino gli altri. Probabilmente, dato che ci sono due case soltanto su questa strada, sono convinti che la cosa non conti più di tanto.
- Non preoccuparti, caro, - intervenne la moglie, conciliante; - forse 1a prossima volta vincerai.
White alzò la testa di scatto, appena in tempo per cogliere una occhiata di intesa fra madre e figlio. Le parole gli morirono sulle labbra, e egli nascose nella barbetta grigia un sorriso colpevole.
- Eccolo! - esclamò Herbert White, mentre il cancello sbatteva forte e un pesante scalpiccío si avvicinava alla porta.
II vecchio si alzò, desideroso di fare una buona accoglienza all'ospite, si affrettò verso la porta, e lo sentirono lamentarsi con il nuovo arrivato. Anche il nuovo arrivato si lamentava, ed allora la signora White fece: - Ssst, ssst! - e tossì adagio mentre il marito entrava nella stanza, seguito da un uomo alto e massiccio, dagli occhi piccoli e tondi e dal viso rubicondo.
- Sergente maggiore Morris, - disse il nuovo venuto, presentandosi.
II sergente maggiore strinse la mano ai presenti, accettò la poltrona che gli veniva offerta accanto al fuoco e assunse un'aria soddisfatta mentre il padrone di casa andava a prendere whisky e bicchieri e metteva sulla fiamma un piccolo bricco di rame.
Al terzo bicchiere i suoi occhi si fecero più lucidi ed egli cominciò a parlare; il piccolo circolo familiare guardava con interesse questo visitatore che arrivava da lontano mentre squadrava le larghe spalle nella poltrona e narrava di scene strane e di imprese epiche, di guerre e di pestilenze e di popolazioni curiose.
- Ventun anni di questa vita, - disse White, rivolgendosi alla moglie e al figlio. - Quando è partito era un ragazzino tutto pelle e ossa che lavorava nell'arsenale. E guardatelo un po' adesso.
- Sembra che non se la sia passata molto male, - osservò cortesemente la signora White.
- Anche a me piacerebbe andare in India, - disse White, - non fosse altro che per vedere come è fatto il mondo.
- State molto meglio qui dove siete, - fece il sergente maggiore, scuotendo la testa. E la scosse ancora dopo aver appoggiato al tavolo, con un sospiro, il bicchiere vuoto.
- Mi piacerebbe vedere quei vecchi templi, e i fachiri, e i giocolieri, - insistette il vecchio. - Che cosa avevate incominciato a raccontarmi l'altro giorno a proposito di una zampa di scimmia o simili, Morris?
- Niente, - si affrettò a rispondere il soldato. - O almeno, niente che valga la pena di ascoltare.
- Una zampa di scimmia? - chiese la signora White, incuriosita.
- Bene, è solo un esempio di quella che si potrebbe chiamare magia, forse, - disse il sergente maggiore, con aria disinvolta.
I tre ascoltatori si chinarono in avanti, più interessati che mai. Il visitatore si portò distrattamente alle labbra il bicchiere vuoto, poi tornò ad appoggiarlo sul tavolo. Il padrone di casa si affrettò a riempirglielo.
- A guardarla, - disse il sergente maggiore, frugandosi in tasca, - è una zampetta come tutte le altre, essiccata come una mummia.
Aveva preso di tasca qualcosa, e lo mostrò. La signora White si fece indietro con una smorfia, ma suo figlio invece lo prese e lo esaminò con curiosità.
- E che cosa ha di particolare? - chiese White che, dopo averla presa a sua volta dalle mani del figlio e dopo averla osservata, la mise sul tavolo.
- Ha un incantesimo che le è stato gettato da un vecchio fachiro, - spiegò il sergente, - un santone. Voleva mostrare che il destino domina la vita della gente e che coloro i quali vogliono interferire con il destino lo fanno a proprio rischio e pericolo. Ha messo su questa zampa un incantesimo in modo che tre uomini diversi potessero esigere da essa l'adempimento di tre desideri.
Parlava con una serietà così profonda che i suoi ascoltatori si resero conto come le loro risate apparivano un poco fuori luogo.
- Bene, perché non avete espresso i vostri tre desideri, signore? - domandò Herbert, molto a proposito.
Il soldato lo guardò come, in genere, la mezza età guarda la giovinezza presuntuosa. - Li ho espressi, - disse, adagio, mentre il suo viso segnato si sbiancava.
- E questi vostri tre desideri sono stati realmente esauditi? - volle sapere la signora White.
- Sì, - rispose il sergente maggiore, e il bicchiere gli picchiò contro i denti robusti.
- E qualcun altro ha visto soddisfatti i suoi tre desideri? - insistette la vecchia signora.
- Il primo li ha visti esaudire, sì, - fu la risposta. - Non so quali fossero i primi due, ma il terzo era morto. E' così che sono venuto in possesso della zampa.
Il suo tono era così grave che un profondo silenzio cadde sul gruppetto.
- Se voi avete già visto soddisfatti i vostri tre desideri, è inutile che la teniate allora, - disse alla fine il vecchio. - Per che cosa la conservate ancora?
Il soldato scosse la testa. - Una fantasia mia, immagino. Una volta mi ero messo in testa di venderla, ma credo che non farò mai una cosa del genere. Ha già provocato guai a sufficienza, questa zampa. E poi, nessuno la comprerebbe. Alcuni pensano che si tratti di una favola, e chi ci crede vuole prima metterla alla prova e poi pagarmi.
- Se poteste esprimere altri tre desideri, - chiese il vecchio, guardandolo fissamente, - lo fareste?
- Non lo so, - fece l'altro. - Non lo so.
Prese la zampa, la fece dondolare fra il pollice e l'indice, poi, con un movimento brusco, la buttò nel fuoco. Con un grido soffocato, White si chinò e la recuperò dalle fiamme.
- Meglio lasciarla bruciare, - proclamò il soldato con tono solenne.
- Se non la volete più, Morris, - disse il vecchio, - datela a me.
- No, - replicò l'amico, ostinato. - L'ho buttata nel fuoco. Se la tenete, non date a me la colpa di quello che può succedere. Se siete un uomo di buon senso, fareste meglio a rimetterla fra le fiamme.
L'altro scosse la testa ed esaminò con attenzione l'oggetto di cui era appena entrato in possesso.
- Come si fa? - domandò.
- Tenetela nella destra ed esprimete il desiderio ad alta voce, - spiegò il sergente maggiore. - Ma ci tengo a mettervi in guardia contro le conseguenze del vostro atto.
- Sembrano le Mille e una notte, - commentò la signora White, mentre si alzava e cominciava a preparare la cena. - Non vi pare che, per ciò che mi riguarda, potrei esprimere il desiderio di avere quattro mani?
Suo marito prese il talismano di tasca e poi tutti e tre scoppiarono in una risata, ma il sergente maggiore, il viso atteggiato ad una espressione di profondo allarme, lo afferrò per un braccio.
- Se proprio volete esprimere i vostri desideri, - disse, cupo, - chiedete almeno qualcosa di sensato.
White tornò a mettere in tasca la zampa, poi, sistemate le sedie, fece cenno all'amico di prendere posto a tavola. Durante la cena il talismano fu quasi completamente dimenticato, e più tardi i tre ascoltarono con profonda attenzione una seconda puntata delle avventure del soldato in India.
- Se la storia della zampa di scimmia non è più degna di fede di quelle che ci ha raccontato, - disse Herbert quando la porta si fu chiusa alle spalle del loro ospite, appena in tempo perché arrivasse a prendere l'ultimo treno, - credo proprio che non riusciremo a ricavarne molto.
- Gli hai dato qualcosa in pagamento, papà? - chiese la signora White, guardando attentamente il marito.
- Oh, una sciocchezza, - egli rispose, arrossendo un poco. - Non voleva accettare niente, ma ce l'ho costretto. Ed ha ancora insistito perché la buttassi via.
- Già, - fece Herbert, con ben simulato orrore. - Oh, saremo ricchi e famosi e felici. Esprimi il desiderio di diventare imperatore, papà, tanto per cominciare; in questo modo non sarai più agli ordini di tua moglie.
Poi cominciò a correre attorno al tavolo, inseguito dalla furibonda signora White armata di un copridivano.
White prese la zampa di tasca e la osservò, dubbioso.
- Non so quale desiderio esprimere, e questo è un fatto, - disse lentamente. - Mi sembra di avere tutto quello che voglio.
- Se solo potessi far rimettere in ordine la casa, saresti più felice, non è vero? - fece Herbert, appoggiandogli una mano su una spalla. - Bene, chiedi duecento sterline allora; saranno più che sufficienti.
Il padre, sorridendo un poco vergognoso della propria credulità, levò alto il talismano mentre il figlio, con un'aria solenne guastata però da un allegro ammiccamento alla madre si mise a sedere al piano e faceva echeggiare tutta una serie di lugubri accordi.
- Desidero duecento sterline, - disse il vecchio, scandendo le parole.
Il suono del pianoforte coronò la frase, ma fu subito interrotto da un grido di terrore del vecchio. La moglie e il figlio si precipitarono verso di lui.
- Si è mosso! - egli esclamò, con una occhiata di disgusto all'oggetto che giaceva sul pavimento. - Mentre esprimevo il desiderio, mi si è contorto in mano come un serpente.
- Bene, non vedo il danaro, - disse il figlio, raccogliendo la zampa e mettendola sul tavolo, - e scommetto che non lo vedrò mai.
- Deve essere stata la tua immaginazione, papà, - mormorò la moglie, guardandolo con espressione ansiosa.
- Egli scosse la testa, adagio. - Non importa, comunque; non è successo niente di male, ma è una cosa che mi ha dato lo stesso un brutto colpo.
Tornarono a mettersi a sedere accanto al fuoco mentre i due uomini terminavano di fumare la pipa. Fuori, il vento era più forte che mai, e il vecchio sussultò, nervoso, al rumore di una porta che sbatteva al piano di sopra. I tre rimasero immersi in un silenzio insolito e deprimente che durò fino a quando la vecchia coppia si alzò per andarsi a coricare.
- Probabilmente troverai i soldi avvolti in un grosso pacco in mezzo al tuo letto, disse Herbert, dopo aver augurato la buona notte, - e in cima all'armadio ci sarà accasciato qualcosa di orribile che ti spierà mentre metti in tasca quel danaro mal guadagnato.
Il mattino seguente, alla luce del sole invernale che pioveva sul tavolo della prima colazione, Herbert rise dei propri timori. Nella stanza c'era un'aria di sana allegria che era mancata completamente la sera precedente, e la sudicia e raggrinzita zampetta giaceva abbandonata sulla credenza con una noncuranza che lasciava intendere una ben scarsa fiducia nelle sue virtù.
- Credo che tutti i vecchi soldati siano eguali, - disse la signora White. - Bella idea la nostra di starcene a ascoltare tutte quelle sciocchezze. Come è possibile che i desideri siano esauditi al giorno d'oggi? E, ammesso che fosse possibile, che male ti farebbero duecento sterline, papà?
- Può darsi che gli cadano sulla testa dal cielo, - commentò il frivolo Herbert.
- Morris ha detto che tutto accadeva nel più naturale dei modi, - replicò il padre, - tanto che tu, volendo, avresti potuto attribuire la cosa a una coincidenza pura e semplice.
- Bene, non capitare sul danaro prima del mio ritorno, - disse Herbert, alzandosi da tavola. - Temo che ti trasformerebbe in un uomo meschino e avaro, e in tal caso noi saremmo costretti a sconfessarti.
La madre rise, lo seguì fino alla porta, lo guardò mentre si avviava giù per la strada e, quando tornò alla tavola, si prese allegramente gioco della credulità del marito. Il che non le impedì di precipitarsi alla porta quando il postino bussò, e non le impedì di accennare, sia pure brevemente, alle abitudini alcoliche di un sergente maggiore in ritiro quando risultò che la posta le aveva recapitato soltanto un conto del sarto.
- Credo che, quando tornerà a casa, Herbert pescherà fuori qualcun'altra delle sue osservazioni ironiche, - osservò, mentre sedevano a pranzo.
- Temo di sì, - convenne White, versandosi un poco di birra; ma, con tutto ciò, quella cosa mi si è mossa in mano, sarei pronto a giurarlo.
- Ti è sembrato così, certo, - disse la vecchia, conciliante.
- Ti dico che è così, - replicò lui. - Non ci pensavo nemmeno; ho avuto semplicemente... Che c'è?
La moglie non gli rispose. Era intenta a seguire con gli occhi i misteriosi movimenti di un uomo che, fuori, stava guardando con aria indecisa la casa, quasi cercasse di decidersi a entrare. Il pensiero fisso alle duecento sterline, ella notò che lo sconosciuto era ben vestito e portava in testa un cappello a cilindro di seta, nuovo di zecca. Tre volte l'uomo indugiò con la mano sulla maniglia, poi, proseguì. La quarta volta indugiò con la mano sulla maniglia, poi, con subitanea decisione, spinse e si avviò su per il sentiero. Nello stesso istante la signora White si portava in fretta le mani dietro la schiena, slacciava in fretta le fettucce del grembiale e nascondeva questo utile articolo di uso domestico sotto il cuscino della sedia.
Ella fece accomodare nella stanza lo sconosciuto, che appariva a disagio. L'uomo guardava furtivamente la signora White, ed ascoltò con espressione preoccupata la vecchia signora mentre si scusava per il disordine della stanza e per la giacca del marito, un indumento che di solito veniva riservato per i lavori in giardino. Poi ella attese, nei limiti della pazienza del suo sesso, che l'altro entrasse in argomento, ma sulle prime lo sconosciuto si tenne stranamente silenzioso.
- Mi... mi hanno chiesto di passare da voi, - disse alla fine, e si chinò per togliere un filo dal risvolto dei calzoni. - Vengo da parte della Maw & Meggins.
La vecchia sussultò. - Qualcosa di grave? - chiese ansante. - È successo qualcosa a Herbert? Che cosa? Che cosa?
Intervenne il marito. - Via, via, mamma, - disse in fretta. - Siediti e non arrivare a conclusioni avventate. Sono sicuro che non venite a portarci cattive notizie, signore, - e guardò l'altro con espressione ansiosa.
- Sono dolente... - cominciò il visitatore.
- È ferito? - domandò la madre.
Il visitatore annuì con un cenno. - Ferito gravemente, - disse, adagio, - ma non soffre più.
- Oh, sia ringraziato Iddio, - esclamò la vecchia, giungendo le mani.
- Sia ringraziato Iddio! Sia ringra...
Si interruppe bruscamente mentre il sinistro significato di quella frase cominciava a farsi chiaro per lei, e sul viso che l'uomo teneva rivolto verso terra lesse la peggiore conferma dei propri timori. Trattenne il fiato allora e, voltandosi verso il marito che non era riuscito ancora a capire gli appoggiò una mano tremante su una spalla. Seguì un lungo silenzio.
- È finito fra gli ingranaggi di una macchina, - disse alla fine il visitatore, a voce bassa.
- Finito fra gli ingranaggi di una macchina, - ripeté White, con tono atono, - sì.
Si mise a sedere, gli occhi che non vedevano fissi fuori dalla finestra, e prese fra le sue la mano della moglie, e la strinse forte, come aveva fatto nei giorni ormai lontani in cui l'aveva corteggiata, circa quaranta anni prima.
- Era il solo che ci fosse rimasto, - disse poi, girando la testa verso il visitatore. - E' dura.
L'altro tossì e, alzandosi, si diresse lentamente verso la finestra.
- La ditta desiderava che vi presentassi le mie più sincere condoglianze per la vostra grave perdita, - disse, senza voltarsi. - Capirete, spero, che io sono un semplice funzionario e che obbedisco soltanto a ordini ricevuti.
Nessuna risposta; la vecchia aveva il viso cereo, gli occhi sbarrati e fissi, e quasi non respirava; il viso del marito aveva l'espressione che aveva dovuto avere quello del suo amico sergente impegnato nella prima azione di guerra.
- Sono venuto qui per dire che la Maw & Meggins respinge ogni e qualsiasi responsabilità, - continuò l'altro. - Non vanno debitori di nulla nei vostri confronti, ma, in considerazione dei servizi di vostro figlio, desiderano offrirvi quale compenso una certa somma.
White lasciò andare la mano della moglie e, alzandosi in piedi, guardò con una espressione inorridita il suo visitatore. Le sue labbra aride formularono la parola: - Quanto?
- Duecento sterline, - fu la risposta.
Senza neppure udire il grido della moglie, il vecchio abbozzò un debole sorriso, allungò le mani in avanti, come un cieco, e si afflosciò, svenuto, sul pavimento.

* * *

I due vecchi seppellirono il loro morto nel grande cimitero nuovo, a due miglia circa di distanza, e fecero ritorno a una casa immersa nelle ombre e nel silenzio. Tutto si era svolto così in fretta che da principio quasi non riuscivano a rendersene conto, e rimasero in uno stato di attesa, come se dovesse succedere qualcosa d'altro, qualcosa che valesse ad alleggerire quel carico, troppo pesante per i loro stanchi cuori. Ma i giorni passavano, e l'attesa cedette alla rassegnazione, quella rassegnazione senza speranza dei vecchi che viene spesso scambiata per apatia. Qualche volta quasi nemmeno si parlavano, perché non avevano nulla da dirsi, e le loro giornate erano lunghe e tediose.
Fu circa una settimana dopo che il vecchio, svegliandosi all'improvviso nel cuore della notte, allungò una mano e si accorse di essere solo. La stanza era immersa nelle tenebre, e dalla finestra giungeva il suono di un pianto sommesso. Si sollevò sul letto e tese l'orecchio.
- Torna qui, - disse, teneramente. - Prenderai freddo.
- Fa ancora più freddo per mio figlio, - rispose la vecchia, scoppiando di nuovo in lacrime.
La eco dei singhiozzi svanì alle sue orecchie. Il letto era tiepido, ed egli aveva gli occhi pesanti di sonno. Finì per appisolarsi, poi si addormentò, fino a quando un grido alto, selvaggio della moglie non lo fece risvegliare con un sussulto.
- La zampa di scimmia! - ella urlava, frenetica. - La zampa di scimmia!
Si drizzò, allarmato. - Dove? Dov'è? Che c'è?
Ella avanzò con passo incerto verso di lui, attraverso la stanza. - La voglio, - mormorò. - Non l'hai distrutta, vero?
- È in salotto, sulla mensola, - rispose, meravigliato. - Perché?
Ella urlò e rise a un tempo, poi, chinandosi su di lui, lo baciò su una guancia.
- Ci ho pensato solo adesso, - gli disse, istericamente. - Perché non ci ho pensato prima? Perché non ci hai pensato tu?
- Pensato a che cosa? - chiese.
- Gli altri due desideri, - rispose, in fretta. - Ne abbiamo espresso solo uno.
- E non è stato forse abbastanza?
- No, - esclamò ella, trionfante, - ne esprimeremo un altro ancora. Va' a prenderla subito ed esprimi il desiderio che il nostro ragazzo torni in vita.
L'uomo si mise a sedere sul letto e scostò le lenzuola dalle membra tremanti. - Mio Dio, sei pazza! - gridò, sbalordito.
-Va' a prenderla, - fece lei, ansante, - va' a prenderla.
- Torna a letto, - mormorò, con voce incerta. - Non sai quello che stai dicendo.
- Il primo desiderio è stato esaudito, - replicò la vecchia, febbrilmente.
- Perché non dovrebbe esserlo anche il secondo?
- Una coincidenza, - balbettò White.
- Va' a prenderla ed esprimi il desiderio, - urlò la vecchia, e lo trascinò verso la porta.
Egli scese nelle tenebre, raggiunse a tentoni il salotto e trovò la mensola. Il talismano era al suo posto, ed egli si senti invadere dall'orribile paura che il desiderio ancora inespresso potesse portargli lì il figlio mutilato senza lasciargli il tempo di uscire dalla stanza, e trattenne il respiro allora, mentre si accorgeva di non sapere più da che parte fosse la porta. La fronte madida di gelido sudore, fece il giro del tavolo, poi continuò, guidandosi sul muro, fino a quando non si trovò nel piccolo corridoio, quella strana e misteriosa cosa stretta in una mano.
Persino il viso pallido di sua moglie appariva cambiato quando entrò nella stanza. Era bianco e ansioso, e ai suoi timori parve che avesse una espressione insolita. In quel momento ebbe paura di lei.
- Il desiderio! - ella gridò, con voce energica.
- È una cosa folle e malvagia, - balbettò.
- Il desiderio! - ripeté la moglie.
Sollevò la mano. - Voglio che mio figlio torni in vita.
Il talismano cadde per terra, ed egli lo guardò, rabbrividendo. Poi si abbandonò, tremante, su una sedia mentre la vecchia, gli occhi accesi, andava alla finestra ed apriva le persiane.
Rimase seduto lì fino a quando il freddo non gli penetrò nelle ossa, e ogni tanto dava una rapida occhiata alla figura della vecchia che guardava fuori. Il mozzicone, che era arrivato sotto il bordo dei portacenere di ceramica, allungava ombre pulsanti sul soffitto e sulle pareti, poi, dopo un ultimo guizzo più forte, si spense. Sollevato oltre ogni dire all'idea che il talismano si era rivelato inefficace, il vecchio si trascinò di nuovo fino al letto, e un paio di minuti dopo la moglie lo raggiunse e si distese stancamente al suo fianco.
Nessuno parlava, ma se ne stavano tutti e due in silenzio ad ascoltare il ticchettio del pendolo. La scala scricchiolò e un topo corse precipitosamente e rumorosamente nel muro. Il buio era opprimente, e, dopo essere rimasto immobile per qualche tempo per raccogliere tutto il suo coraggio, il marito prese la scatola dei fiammiferi, ne accese uno e scese al piano terreno per andare a cercare una candela.
Ai piedi delle scale, il fiammifero si spense, ed egli si fermò per accenderne un altro; proprio in quel momento, un colpo, così leggero e furtivo da essere appena percepibile, venne bussato alla porta.
I fiammiferi gli caddero di mano. Rimase immobile, senza respiro, fino a quando il colpo si ripeté. Allora si voltò e risalì di corsa nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. Un terzo colpo echeggiò nella casa.
- Che cosa è? - esclamò la vecchia, sollevandosi.
- Un topo, - le rispose, con voce incerta, - un topo. - Mi è passato davanti sulle scale.
La moglie si mise a sedere sul letto, l'orecchio teso. Un colpo energico rimbombò per tutta la casa.
- E' Herbert! - ella gridò. - È Herbert!
Si precipitò alla porta, ma il marito le si parò dinanzi e, prendendola per un braccio, la tenne saldamente.
- Che cosa intendi fare? - le bisbigliò, roco.
-E' il mio ragazzo... è Herbert! - urlò ella, dibattendosi meccanicamente.
- Avevo dimenticato che c'erano due miglia da percorrere. Perché mi trattieni? Lasciami andare! Devo aprirgli la porta!
- Per l'amor di Dio, non lasciarlo entrare! - esclamò il vecchio, tremante.
- Hai paura di tuo figlio! - strillò la vecchia, lottando per liberarsi. - Lasciami andare. Vengo, Herbert, vengo!
Un altro colpo, un altro ancora. Con una mossa improvvisa la vecchia si divincolò e si precipitò fuori dalla stanza.
Il marito la seguì sul pianerottolo e la chiamò con voce straziante mentre correva giù per le scale. Udì il tintinnio della catena che veniva tolta, il rumore del catenaccio che scivolava adagio dalla sua piastra. Poi, ecco la voce della vecchia, forzata e ansante.
- Il catenaccio in alto, - gridò, a voce altissima. - Scendi. Non ci arrivo.
Ma il marito era con le mani e con le ginocchia sul pavimento e cercava disperatamente la zampa. Se solo fosse riuscito a trovarla prima che quello che c'era fuori entrasse...
Un tambureggiare di colpi echeggiò per la casa, ed egli udì il rumore di una sedia che veniva trascinata, che la moglie appoggiava alla porta, nel corridoio. Udì il cigolio del catenaccio che veniva spinto indietro, adagio, e nello stesso istante trovò la zampa di scimmia, e mormorò freneticamente, ansando, il suo ultimo desiderio.
I colpi cessarono bruscamente, anche se la loro eco indugiava ancora nella casa. Udì lo scricchiolio della sedia che veniva spinta indietro, il rumore della porta che si apriva.
Una ventata gelida si infilò su per le scale, ed un lungo ed alto gemito di delusione e di scoraggiamento della moglie gli diede il coraggio di correrle accanto e poi di spingersi fino al cancello. Il lampione che sorgeva proprio lì di fronte illuminava una strada silenziosa e deserta.

William Wimark Jacobs

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Per finire, eccovi un'interessante dissertazione di David Dietle, tradotta dalla ScimmiaIstruita e tratta da questo sito:

Facciamo finta per un attimo che gli zombie siano reali. Avete notato come molti film di zombie siano ambientati solo dopo che l’invasione fosse ben avviata? Nel tempo che ci si mette a riunire i superstiti, l’esercito e il governo sono già stati spazzati via e le strade non sono più sicure.
C’è una ragione se il film inizia a questo punto e non prima, ed è perché la prima parte, quella dove si va da uno zombie a milioni, non ha nessun senso. Se lasciaste entrare un pizzico di logica nelle storie di zombie, capireste che gli zombie sarebbero tutti ri-morti molto prima che possiate accendere il veicolo con motosega che avevate preparato. Perché?

7 Ragioni scientifiche per cui un’epidemia zombie fallirebbe (velocemente)

#1: Hanno troppi predatori naturali

Sapete perché noi umani siamo in cima all’attuale catena alimentare? Non perchè siamo difficili da uccidere (be’, a parte Steven Seagal). Non lo siamo; siamo poco più che succulente sacche di carne in attesa che un corno errante o un artiglio ci sbudelli come una pinata di carne.
No, siamo in cima semplicemente per il fatto che siamo assurdamente bravi a uccidere cose. Un buon attacco, come dicono, è la miglior difesa.
Siamo semplicemente troppo intelligenti e ben armati da cacciare per un animale selvaggio. Ora considerate il povero zombie. Gli manca ogni singolo vantaggio che ha permesso all’umanità di non farsi divorare fino ad estinguersi. Vaga all’aperto, non può usare armi, non può pensare o avere strategie. Non ha nemmeno l’istinto di sopravvivenza che gli dica di correre e nascondersi quand’è in pericolo. Ed è interamente fatto di cibo. E’ una preda facile per ogni animale che lo volesse.
Se state pensando “ok, ma non è che la mia città sia piena di orsi che possano arrivare e mangiare tutti gli zombie”, dovete pensare più in piccolo. Gli insetti sono un’enorme rottura di palle per gli umani, e in alcuni casi, essere in grado di scacciare una mosca e avere un sistema immunitario è l’unica cosa che ci impedisce di avere occhi e lingua divorati da larve. In ogni parte del mondo con problemi di mosche, gli zombie si ritroveranno presto coperti da sciami di mosche, ogni loro tessuto sarà infestato e gli occhi saranno presto fuori uso.
Tornando ad animali grossi, solo in America ci sono orsi, lupi, coyote e puma, ognuno di questi può mettere sul proprio menù un uomo ben armato, pensante e veloce, se le condizioni sono buone. Per molti predatori le “giuste condizioni” sono quando la preda è debole o ferita, o in generale incapace di difendersi, come un cadavere ambulante. Pensate anche solo alle migliaia di cani randagi là fuori, che imparerebbero in fretta che gli zombie sono un pasto facile.

#2: Non possono resistere al caldo

È in genere accettato da tutti gli esperti di zombie che questi continuino a marcire, anche mentre vagano nelle strade. Quello che però i film non mostrano è il raccapricciante ed allo stesso tempo stranamente divertente effetto che ha il calore del sole su un cadavere in decomposizione.
Il primo problema è la putrefazione. Grazie alla flora intestinale, i nostri corpi sono pronti per la decomposizione nel momento esatto in cui il cuore smette di battere. Dato che il calore favorisce la crescita dei batteri (che sono molto contenti di iniziare a divorare il tuo corpo non appena il tuo sistema immunitario non è più un problema) lo zombie ha una data di scadenza molto breve dal momento in cui risveglia.
I corpi morti si gonfiano a causa dei gas creati dai batteri, e ciò significa che qualsiasi ipotetico tipo di zombie diventerà grasso nei primi giorni. Questo gonfiarsi andrà avanti un paio di settimane, finché il grasso e putrido esercito di zombie inizierà a fare una cosa che è allo stesso tempo la più fantastica e la più disgustosa cosa che uno zombie possa fare: inizieranno ad esplodere. I caldi e umidi climi nelle zone tropicali e subtropicali (o anche solo l’estate nelle zone temperate) favoriscono questa condizione, quindi un’epidemia zombie a luglio più o meno in ogni parte del mondo sarebbe finita in qualche settimana, solo in virtù degli scatenati mostri che esploderanno come sacchi di carne rancida.
Dall’altra estremità dello spettro di calore c’è il caldo secco. Se siete a Phoenix o nel Sahara quando esplode l’apocalisse, gli zombie potrebbero iniziare a mummificarsi nel caldo del sole cocente. Se i normali sintomi di disidratazione non sono un problema per uno zombie, c’è però un problema di essiccazione. Non avendo alcuna ragione per reidratarsi, degli zombie che vagano nel caldo del Texas tutto il giorno avranno danni alle cellule per la diretta esposizione della pelle al sole, e grazie all’effetto essiccante del vento, continueranno a inciampare in giro sempre più inutilmente finché, ad un certo punto, si seccheranno definitivamente e crolleranno a terra inermi.
Quindi farebbero meglio a sperare che l’invasione avvenga d’inverno, no? In realtà...

#3: Non resistono neanche al freddo

Gli zombie sono carne morta. Non si può discutere, è una delle caratteristiche che li definisce. Ma mentre tutti si concentrano su “morta” come se fosse chissachè, ci si dimentica spesso di “carne”. Cos’altro è carne morta? Bistecche, Hamburger, salsicce e tutta la carne che si trova nei nostri piatti.
Quando la carne è viva, ha diversi sistemi di difesa per mantenerla tale. Quando è morta, devi buttarla via entro circa una settimana anche se la sigilli e la tieni ad una temperatura moderatamente fredda. Ora, il primo pensiero potrebbe essere che il freddo è amico della carne morta, dopotutto, il modo migliore per sconfiggere quella settimana di scadenza è di congelare la bistecca, tenendola fresca per mesi.
Ma non dimentichiamo: freddo non controllato provoca brutte conseguenze a cose precedentemente in vita. Se sei abbastanza a nord, l’apocalisse zombie probabilmente si sistemerà da sola la prima volta che proveranno ad uscire all’aperto. Gli zombie, avendo dei corpi composti principalmente d’acqua, semplicemente si raffredderanno fino ad irrigidirsi e a congelarsi definitivamente.

#4: Mordere è un pessimo modo per diffondere una malattia

Vi ricordate quando quel cane ha preso la rabbia, e qualche giorno dopo, ogni altro cane sul continente ce l’aveva, a parte un piccolo gruppo di sopravvissuti nascosti in cantina? no? non è mai successo?
Quasi tutti i film di zombie sono d’accordo su una cosa: si riproducono come una malattia, una di quelle che si diffondono via morso dall’infetto. Ma significa anche che questa diffusione dovrebbe essere soggetta alle stesse regole delle normali epidemie, e mordere è un modo sfigato di far iniziare un’epidemia.
Le malattie di successo hanno dei modi davvero intelligenti di diffondersi da vittima a vittima. Il Covid19 ha ucciso decine di milioni di persone perché galleggia nell’aria, la peste nera era diffusa dalle pulci, ecc. Nessuna di queste richiede che l’infettato si avvicini ad una distanza-morso perchè si propaghi. Certo, malattie sessualmente trasmissibili come l’AIDS funzionano in questo modo, ma solo perchè l’infetto può passare per sano. Nessuno farebbe sesso con uno zombie.
Ma diciamo che esplode l’epidemia, se uno zombie fosse in grado di mordere 30 persone nella folla ad un concerto degli Insane Clown Posse prima che capiscano che non fa parte dello show. Non è che l’umanità non sappia cosa fare quando si diffonde un’infezione. Ricordate con la SARS? Appena hanno scoperto che si sarebbe diffusa in Nord America hanno bloccato tutto, e sono morte solo 43 persone. Con lo zombismo non dovrebbero nemmeno risolvere il mistero di come si diffonda. It’s that guy biting people. Shoot him in the head.

#5: Non possono guarire dalle ferite quotidiane

Uno dei vantaggi di avere un sistema nervoso perfettamente funzionante è che fa un ottimo lavoro nel farti sapere quando ti sei fatto dei danni. Lo fa tramite il dolore. Basta pensare a tutte le ferite che ci si fanno nel corso della vita, se non fossero mai guarite, ognuna si sarebbe trasformata in un’amputazione. Una cosa che sappiamo degli zombie è che sono molto goffi, entrano nelle porte e nelle pale degli elicotteri senza pensare per un attimo quale danno potrebbero causarsi.
Mentre l’essere insensibile al dolore sembra essere un superpotere fantastico nella teoria, nella vita vera potreste finire più come Mr.Burns che come Wolverine. L’insensibilità al dolore congenita è una condizione neurologica con la quale nascono alcune persone, che appunto non possono sentire il dolore. Questo significa che accusano danni ma non ne sono consapevoli, e questo può portare a conseguenze pessime, tipo parti del corpo infette e parti di lingua staccate.
Tutto quello sbattere e inciampare in giro li lascerebbe presto senza arti, senza denti e con tutte le ossa rotte. Davvero, in caso di un’apocalisse zombie basta stare in casa, guardarsi tutti gli episodi di Star Trek dall’inizio alla fine, poi uscite con il vostro rastrello per zombie e ripulite tutto (dovrete comprare un rastrello per zombie, se per qualche motivo non l’avete già fatto)

#6: Il paesaggio è pieno di barriere anti-zombie

La mancanza di coordinazione degli zombie, insieme all’incapacità di vedere al buio, segnerà il destino di innumerevoli zombie che si avventureranno oltre un area di parcheggio. Non sanno come trovare strade o ponti, vagano semplicemente senza meta. Montagne, fiumi e canyon si riempirebbero presto di zombie spaccati e puzzolenti. Anche se di giorno avessero la capacità di fermarsi davanti ad un precipizio o ad un fiume, di notte di sicuro ci finirebbero dentro, diminuendo le loro fila.
Ma anche in una città piana e asfaltata, dove sembra che la gente sarebbe fottuta, il paesaggio è sempre a favore dei vivi. La storia ha mostrato come nelle peggiori situazioni la gente non si comporta sempre come gli idioti impanicati dei film. Nelle città la gente tenderebbe a riunirsi nei piani alti degli edifici, dove l’invasione può essere fermata dalle porte di sicurezza al piano terra.
Inoltre le strade stesse terrebbero i non morti tutti in fila rendendoli facili bersagli per dei cecchini, o per impiegati d’ufficio annoiati che aspettano la fine della quarantena tirando oggetti da ufficio dai piani alti.

#7: Le armi e chi le usa

Come è stato detto prima, se c’è una cosa in cui è bravo l’Homo sapiens, è ad uccidere altri esseri viventi. Siamo così bravi che siamo riusciti a far estinguere altre specie senza nemmeno provarci. Aggiungi al mix il numero di bifolchi armati e cacciatori in tutto il mondo e gli zombie non hanno nessuna chance. Nel 2004 solo negli USA c’erano oltre 14 milioni di persone con una licenza di caccia. E ricordiamoci che il motivo per cui esistono le licenze da caccia è per limitare il numero di animali che ti è permesso uccidere, perchè se dessi libertà a tutti quelli con una pistola, everything in the forest would be dead by sundown. Sicuramente quando la preda passa da “cervo di montagna” a “gente morta che prova a mangiarci”, non ci sarà carenza di volontari.
In più, se guardiamo agli zombie come specie, sono semplicemente progettati per il fallimento. La principale forma di riproduzione è anche la loro unica fonte di sostentamento ed il loro maggior predatore. Se vogliono mangiare o riprodursi devono per forza trovarsi faccia a faccia con il loro predatore numero uno ogni singola volta. È come dover combattere contro un leone ogni volta che vuoi fare sesso o farti un panino. Anzi, è ancora peggio: la maggior parte dei grossi predatori sono armati di denti e artigli, il che significa che loro stessi dovrebbero mettersi in pericolo per uccidere. Gli umani hanno i fucili.
Gli zombie non hanno altra scelta che prendersi i proiettili. E tutto questo senza contare tutte le altre armi da fuoco, o il fatto che dovrebbero vedersela anche con ordigni esplosivi improvvisati, bombe Molotov, mazze da baseball, piedi di porco e macchine, che la gente non esiterebbe a usare per eliminarli.
E questo solo considerando i civili; contando anche militari e polizia, abbiamo qualche altro milione di persone armate, e invece di pistole e fucili hanno mitragliatrici, lanciagranate, shotgun da combattimento, fucili da cecchino, fucili d’assalto, e sono pure addestrati per usarli. Ma perchè dovrebbero disturbarsi? Quando potrebbero semplicemente schiacciarli con carrarmati, farli esplodere con bombe a grappolo e farli falciare dai minigun dell’aeronautica, che ogni film sembra dimenticarsi.

Ecco perchè, anche se gli zombie esistessero, l’intero concetto di apocalisse zombie sarebbe ridicolo.

David Dietle


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