Senza il 25 aprile...

di Nadia Vitali (tratto dal sito fanpage.it)


Da questa pagina del sito fanpage.it ho tratto un'interessantissima ucronia che val la pena di mettere in cornice nel nostro sito.

Sulla base di quelle che erano le condizioni dell'Italia mentre si avvicinava la fine della Seconda Guerra Mondiale, come sarebbe potuta evolvere la sorte del nostro Paese se l'occupazione nazifascista non avesse avuto fine? Il racconto di una storia alternativa, in cui il 25 aprile del 1945 non segnò la data della Liberazione.

Non di rado la fantastoria si è ritrovata a confrontarsi con gli scenari relativi al secondo conflitto mondiale, in quanto evento relativamente recente, senza dubbio traumatico e che ha ridisegnato le sorti dei Paesi di tutto il mondo: un esempio su tutti, lo scrittore Philip Dick autore del celebre "La svastica sul Sole" in cui la Germania nazista, dopo aver sconfitto le truppe alleate, si spartisce il destino degli Stati con il suo alleato Giappone. Un genere letterario, noto anche come ucronìa, che in Italia ha spesso preso in analisi il contesto del fascismo e le influenze che il ventennio ha avuto sulla nostra storia contemporanea, traendo spunti per immaginare la storia alternativa di una nazione mai entrata in guerra o di un'Italia ancora guidata dal duce e dai suoi, sopravvissuti alla guerra che li spazzò via. Attorno a quei momenti cruciali che hanno segnato una svolta significativa nel corso degli eventi, la fantasia spesso ricama possibili realtà parallele originate tutte da una domanda impossibile: e se le cose fossero andate diversamente? Partendo dalle condizioni del tempo, proviamo dunque, con il beneficio e la clemenza offerti dall'inventiva, a tratteggiare i caratteri di un Paese in cui il 25 aprile non segnerebbe l'anniversario della Liberazione e la Resistenza sarebbe stata soffocata nel 1945: insomma di un'Italia divisa in due blocchi, di cui uno ancora nazifascista. Da un lato la Repubblica Sociale Italiana con a capo Benito Mussolini, dall'altro gli Alleati sempre più forti ed autorevoli sui territori meridionali; nel mezzo la Linea Gotica.

La Repubblica di Salò era, di fatto, uno stato-fantoccio della Germania nazista, esattamente come la Repubblica di Vichy in Francia. Con la caduta del nazismo, Benito Mussolini non avrebbe più avuto la protezione militare, prima che politica, per mantenere il controllo sul territorio. Ma nell’ipotesi in cui le forze della Resistenza fossero state messe a tacere dai nazifascisti, e gli Alleati avessero preferito non rompere lo status quo lungo la Linea Gotica, chi avrebbe liberato l’Italia il 25 aprile 1945? La priorità degli americani restava quella di mettere fine al regime nazista, e in buona parte ritenevano finito il lavoro con l’Italia dopo la conquista di Roma. Non a caso, come è noto, la risalita della penisola da parte delle forze degli Alleati fu estremamente lenta. Conquistata Berlino e imposta la pace in Giappone, la Repubblica di Salò si sarebbe trasformata nell’ultimo dei problemi. Nel nuovo scenario che si apriva, era l’Unione sovietica, non più il fascismo, il nemico da combattere. Ed è allora probabile che gli Alleati decidessero di tollerare il governo fascista nel Nord Italia, una volta pretesa la sua neutralità, alla stregua dei governi fascisti di Spagna e Portogallo e del successivo governo dei colonnelli in Grecia.

Del resto, la Repubblica Sociale non avrebbe avuto un gran peso politico nel quadro internazionale: anzi, probabilmente, non ne avrebbe avuto affatto. Privata del controllo di mezza Italia e delle colonie, tagliata fuori dall’Europa continentale, avrebbe sì goduto delle grandi risorse del Nord, ma non avrebbe potuto sfruttarle appieno senza gli aiuti del piano Marshall. Come conseguenza, il Nord sarebbe rimasto sottosviluppato, incapace di avviare una nuova fase di crescita, sottoposto a un regime fortemente autoritario, militarizzato nei confronti della costante minaccia interna della Resistenza e della minaccia esterna rappresentata dalle forze americane schierate a Sud.

Ma questa Repubblica Sociale sarebbe sopravvissuta a Mussolini? Così come in Spagna e Portogallo, probabilmente il regime fascista non sarebbe sopravvissuto alla morte del suo leader. La RSI, del resto, era stata amputata dalla defezione di numerosi gerarchi che, il 25 luglio, avevano abbandonato il duce. Le uniche personalità di rilievo che avrebbero potuto ereditare il governo del regime fascista sarebbero stati Alessandro Pavolini, segretario del Partito fascista repubblicano, e Rodolfo Graziani, ex viceré d’Etiopia e a capo del ministero della guerra nella RSI. Probabilmente, il regime fascista, sopravvissuto al 25 aprile, non sarebbe durato oltre la fase di democratizzazione degli anni ’70 che portò alla caduta degli ultimi fascismi mediterranei. Allora, forse, sarebbe iniziata una difficile fase di riunificazione nazionale, un po' come nella Germania post 1989.

Differente la situazione politico-sociale del Sud: la Linea Gotica sarebbe probabilmente diventata il nuovo “muro di Berlino”, dividendo il paese tra Nord e Sud, Stati diversi, con realtà diverse e storie lontane. In Italia meridionale, almeno per una prima fase, con ottime probabilità sarebbe rimasta in piedi la monarchia, protetta dagli Alleati, radicatisi sul territorio centro-meridionale in un’occupazione orientata a difendere il governo dalla minaccia della RSI e a fare dell’Italia meridionale un importante baluardo dell’Occidente nel corso della Guerra fredda. Difficilmente la capitale sarebbe tornata a essere Roma, per la sua eccessiva vicinanza alla linea di confine e per la distanza dal mare, da cui invece gli Alleati potevano garantire la difesa del territorio nazionale. La scelta, forse, sarebbe ricaduta su Brindisi, dove la corte dei Savoia si era ritirata dopo l’8 settembre, o su Salerno, dove il governo si trasferì in seguito nel 1944, o ancora su Napoli, che restava la principale città dopo Roma.

Il Regno del Sud sarebbe stato un governo debole, a stento avviato verso una lenta ricostruzione grazie agli aiuti del piano Marshall, praticamente un protettorato degli Stati Uniti. Senza le risorse del Nord, difficilmente il paese avrebbe goduto del miracolo economico degli anni ’60, restando tra le aree più sottosviluppate d’Europa. Il governo monarchico sarebbe stato guidato dalla Democrazia cristiana, mentre il Partito Comunista difficilmente avrebbe avuto margini di manovra, stante l’occupazione americana, e verosimilmente sarebbe stato messo al bando. L’Italia sarebbe divenuta una nazione divisa e lontana da qualsiasi speranza di vera democratizzazione: quell'Unità tanto sofferta sarebbe stata vanificata e, per sempre spezzato in due tronconi, il Paese cresciuto grazie anche alla propria coesione e alle alleanze sorte sulle ceneri del dopo-conflitto, avrebbe conosciuto una sorte controversa e difficile. I movimenti che hanno cementato la nostra unione, primo tra tutti il '68, avrebbero avuto certamente un significato diverso. O forse no, perché in fondo è solo una fantastoria: ma a noi piace pensare che, senza quel 25 aprile che oggi celebriamo, senza il sacrificio di chi ha creduto in un Paese unito sotto la bandiera della libertà, il nostro destino sarebbe stato di gran lunga più amaro.

Nadia Vitali

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Passiamo alla proposta di MorteBianca: le Sei Germanie!

Sono numerose le ucronie post WWII in cui la Germania viene spartita di più o ancora peggio, ma in tutte si nota una costante: una divisione della Germania in "Zone d'influenza TEDESCHE". Nulla è cambiato, la Germania è sempre lì.

In alcuni piani c'è la divisione in una Germania socialista e una capitalista, in altri una germania filo-russa, una filo-francese eccetera, ma è sempre Germania.

L'ucronia è che al Piano di Morgenthau prevale una linea teorica secondo cui la Germania, a partire dall'ascesa della Prussia dopo Napoleone, è stato "il grande errore di tutti i trattati di pace", sempre sottovalutata o trattata nel modo sbagliato. Nel Piano viene deciso che la Germania e il concetto di identità tedesca è troppo pericoloso, e bisogna cancellarlo frammentando lo stato in piccole zone (ognuna sotto sfera d'influenza estera) che sono regionali e non hanno alcun richiamo alla Germania.

Tutto l'ex impero del Reich viene ovviamente smantellato, le nazioni occupate tornano indipendenti (le alleate vengono punite, le nemiche vengono ricompensate). Tolte tutte le concessioni ad Hitler e le sue conquiste, la "zona agli stati tedeschi" non potrà superare quella di Weimar.

Alla ex repubblica di Weimar stessa vengono tolti tutti i territori tipicamente prussiani come nella nostra timeline e dati alla Polonia, tranne Könisberg che diventa la Repubblica Federale Prussiana, sotto orbita sovietica (Stalin ne fa una repubblica sionista per minare ulteriormente il nazionalismo tedesco). La Repubblica Federale Prussiana si richiama a tutta l'ideologia culturale prussiana, molto nazionalistica e bellicosa, protestante e "Nordica". E' qui che i tedeschi della ex prussia possono rifugiarsi.

Sempre all'URSS viene data la "Germania Est" che diventa Repubblica Democratica del Brandeburgo, con capitale Berlino. Anche questa fortemente protestante, nazionalista (con i "fasti" imperiali proprio come l'Austria li aveva per l'Impero Austriaco), ma meno prettamente "Prussiana"e più prettamente tedesca.

La zona occidentale, oltre a perdere territori a vantaggio Belga e Francese, venire de-militarizzata, viene separata dall'Austria (a sua volta spaccata in zone di influenza), vale insomma la nozione "Ogni paese che parla tedesco dovrà sentirsi una nazione autonoma e indipendente".

La porzione Sud diventa la Repubblica Federale Bavarese, con capitale Monaco, a maggioranza cattolica, federalista e democratica, eredita quello che è l'odierno ethos culturale tedesco, sotto il controllo Americano, e dopo il crollo dell'URSS sarà come l'Austria: un tipico paese di lingua simil-tedesca alpino con numerosi trattati con la Svizzera.

Quel che resta viene diviso in due: la parte a Sud (che prende parte del Wuttemberg) diventa la Repubblica di Vestfalia, con Münster capitale. Sotto influenza francese, centralizzata, protestante, diventerà simile a Belgio e Olanda come "Zona franca" (anche perché De Gaulle, per aumentare il senso di punizione, farà trasferire moltissimi cittadini francesi nella zona occupata e molti tedeschi per non subire l'umiliazione di venire occupati dall'eterno rivale emigreranno), molto aperta e culturalmente multietnica.

La parte Nord è la Sassonia (privata di alcuni territori, come la Vestfalia, per ricompensare Belgio e Danimarca), protestante e nordica ma fieramente anti-prussiana, eredita appunto la componente "Sassone" della Germania ed è sotto controllo Inglese, la capitale è Hannover.

Sin da subito Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Polonia e Unione Sovietica si dedicano a tempo pieno per demolire e frammentare la cultura tedesca e dividere gli ex tedeschi nelle loro nuove nazionalità. Nelle scuole viene insegnato specificatamente il dialetto Prussiano a Könisberg e quello Sassone ad Hannover, e di diversa lingua sono gli organi d'informazione e la propaganda (in questo Sovietici e polacchi fanno il lavoro migliore). Di comune accordo alcune Chiese sono favorite rispetto ad altre: in Baviera il cattolicesimo, in Sassonia e in Brandeburgo il Luteranesimo, in Prussia l'URSS favorisce l'ebraismo (sempre per la questione etnica), in Vestfalia c'è convivenza pacifica e numerosi calvinisti si trasferiscono qui.

La propaganda e l'istruzione sono volutamente differenziate: viene insegnata in Prussia una visione della ex Germania "Prusso-centrica" con la Prussia che conquista e sottomette (non unifica) e che impone la propria visione sulle altre regioni. Si parla di Bismarck come di "Cancelliere Prussiano" e di Hitler come "Austriaco". In Baviera viene invece insegnata una storia molto diversa, una storia "vittimista" con la cattolica Baviera che viene annessa dalla Prussia che impone il suo dominio e il suo destino, oltre che la propria cultura, si analizzano le radici più antiche Bavaresi, si parla del nazionalismo bavarese indipendente da Asburgo e Hohenzollern. In Sassonia viene propagato un nazionalismo esacerbante della cultura Sassone come opposta a quella Prussiana e fieramente indipendente, e di "De-Prussianizzazione". La Sassonia sarà delle nazioni tedesche la più nazionalista proprio per questo motivo (la Prussia, "bastonata" dai sovietici, non più di tanto). In Vestfalia ci si concentra molto su cultura e storia locale, quasi come se la parentesi unificatrice sia, appunto, una mera parentesi.

Oggi le "Sei Germanie" hanno avuto destini molto diversi. La Prussia è rimasta legata al destino sovietico e alle sue vicissitudini, e dopo il crollo si è avvicinata ai paesi baltici (fu l'ultima nazione ex tedesca ad unirsi all'Unione Europea). La Vestfalia fu al contrario uno dei membri fondanti (ed è qui che ha sede la Corte Suprema di Giustizia Europea) e tipico "Stato cuscinetto (verso il Brandenburgo!) pacifico e ricchissimo, con una cultura aperta e una grande storia di sperimentazione sociale. Seguì a ruota la Baviera e l'Austria (con l'Austria sono appunto Sei Germanie) e poi la Sassonia, che però rimase euro-scettica e non adottò l'Euro, mantenendo il Marco Sassone (e oggi gli euroscettici sono molto forti, si minaccia Sassonexit o "Grand Verboten" ), il Brandenburgo come nazione post-sovietica entrò dopo essersi stabilizzata economicamente.

In tutte le Germanie, dopo la Guerra, i partiti "Irredentisti, Nazionalisti e Unificazionisti" erano fuorilegge. Poi vennero lentamente reintrodotti. Prima in Baviera, dove però sopravvivono solo presso i Liberali e più come ricerca di accordi economici particolari fra le ex nazioni tedesche. Poi in Vestfalia, dove non hanno molto seguito dato che i Vestfalesi (?) sono contenti così come sono, poi in Sassonia (dove invece il nazionalismo tedesco stride con quello sassone), poi in Prussia (dove ci sono movimenti extra-parlamentari che rivogliono la Germania unita), ed infine in Brandeburgo. Ultima ma non per importanza l'Austria. C'è chi considera la Svizzera la "Settima Germania".

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Al che Bhrihskwobhloukstroy replica:

Tutte queste soluzioni hanno un effetto molto positivo: fanno scomparire d'incanto il Capro Espiatorio della Coscienza Sporca Europea - i «Tedeschi brutti e cattivi» (su cui scaricare tutte le colpe storicamente molto ben distribuite fra Nazisti e Opportunisti di tutte le provenienze...) - trasferendo i crimini su una misteriosa Razza infernale emersa dalle viscere della Terra (i Nazisti) e poi risprofondatavi nel 1945.

Senza l'alternativa Germania/Europa il processo che storicamente è stato designato come europeo potrebbe avere un nucleo più ampio (non ci sarebbero remore 'nazionali' per i Paesi Scandinavi), invece che «tedesco» si caratterizzerebbe come «germanico» (diventerebbe meno probabile un isolazionismo svizzero, figuriamoci sassone). Anche la Germanità in Cechia e Polonia diventerebbe l'aspetto germanico della Nazione Ceca e Polacca e non una presenza 'straniera'.

In pratica: tolta la Piccola Germania nata nel 1871, si ritornerebbe alla vera Grande Germania (non quella del 1848, ma quella linguistica, dalla Transilvania all'Islanda e oltre in America, Oceania e Sudafrica), rispetto alla quale i Paesi Romanzi e Balto-Slavi (nonché Ugrofinnici) sarebbero come la Svizzera Romanda, Lombarda e Romancia rispetto alla Svizzera Tedesca (Alemannica).

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E ora, un'altra ucronia; questa volta la discussione parte da una proposta ucronica di Francesco Dessolis:

Nel 1949 fu presentata al consiglio di sicurezza dell'ONU che prevedeva di di dare in "amministrazione fiduciaria" all''Inghilterra la Cirenaica, alla Francia il Fezzan e all'Italia la Tripolitania. La mozione fu bocciata solo per un voto. Dicono che il rappresentante di Haiti, ubriaco, abbia votato per sbaglio contro, anche se era stato lautamente pagato per votare a favore. La bocciatura della mozione aprì la strada ad una Libia indipendente, sotto re Idris.

Ora, supponiamo che il rappresentante di Haiti beva un po' meno e voti come gli era stato raccomandato...

Alla fine dell'amministrazione fiduciaria, nel 1960, la Libia potrebbe riunificarsi in un solo stato, (come è successo alla Somalia), ma più probabilmente la divisione rimarrebbe, visto che Tripolitania e Cirenaica hanno sempre avuto una storia separata.

Si può quindi ipotizzare che:

1) Il Fezzan entra nella comunità africana francese, e rimane, (con il suo petrolio), sotto l'influenza francese fino ai giorni nostri. Forse potrebbe unirsi al poverissimo Ciad.

2) la Cireanca vota per l'unione alla Repubblica Araba Unita di Nasser. Il giovane Gheddafi (originario di Sirte) diventa ufficiale dell'esercito Egiziano. Alla morte di Nasser cerca di prendere il potere, ma Sadat ha la meglio, e lo fa fucilare. Il petrolio della Cirenaica aiuta Sadat a risollevare l'economia egiziana. Forse potrebbe salvargli la vita...

3) La Tripolitania diventa una repubblica araba moderata, con forti legami economici con l'Italia. In Tripolitania non c'è molto petrolio, ma quel poco sarebbe ben sfruttato da Enrico Mattei. Gli italiani espulsi da Gheddafi in questa Timeline rimarrebbero, e una buona integrazione tra Arabi e Italiani potrebbe perfino favorire l'ingresso della Tripolitania nell' Unione Europea, (primo, ma forse non ultimo, degli stati nord africani)...

La mia Timeline è forse troppo ottimistica, ma penso che Sadat avrebbe veramente potuto avere la meglio su Gheddafi. Ricordo (purtroppo sono abbastanza "grande" da ricordarlo!) che dopo la morte di Nasser molti avevano sottovalutato Sadat. Lo stesso Nasser, che lo aveva scelto come vice, lo avevo definito "un paio di baffi sul nulla".

Invece in poco tempo ebbe la meglio sui suoi meglio accreditati rivali, compreso il potentissimo capo dell'esercito. In più Gheddafi avrebbe avuto il grosso hadicap di non essere egiziano! Piuttosto Gheddafi avrebbe potuto tentare una scissione della Cirenaica dalla Repubblica Araba Unita. E' presumibile però che Nasser, in questa Timeline, proprio per impedire che si ripetesse quello che era successo in Siria, abbia egizianizzato al massimo la Cirenaica, integrando le sue forze armate nell'esercito egiziano, e prendendo il controllo dei pozzi di petrolio.

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A questo punto,sentiamo il parere di Falecius:

Secondo me, lo scenario più plausibile potrebbe essere del tipo Sahara Occidentale (o Dhofar, se preferisci): Gheddafi alla guida di un movimento di sinistra nazionalista contro il 'colonialismo' egiziano verso la Cirenaica. La guerriglia che ne segue potrebbe portare ad un conflitto prolungato che paralizza le risorse egiziane e forse obbliga Sadat a rinunciare alla guerra del Kippur, o comunque a fare maggiori concessioni ad Israele (che potrebbe sostenere Gheddafi sottobanco). Una conseguenza interessante sarebbe una divisione ancora più netta all'interno delle sinistre antisistema europee sulla questione palestina/israele: cioè, a quelli che sostengono la causa paelstinese ed araba si fa notare l'oppressione imperialistica dell'Egitto sul popolo resistente della Cirenaica e sul suo glorioso esercito di liberazione (immagino che in Italia questo discorso possa essere particolarmente forte). La guerra di liberazione della Cirenaica comincerebbe con ogni probabilità subito dopo la morte di Nasser (seguendo lo shock della sconfitta contro Israele, che possiamo assumere invariante, e l'ostilità verso il nuovo regime di Sadat).

In un caso del genere si pongono diverse eventualità:

1) Sadat, minacciato dall'insorgenza di Gheddafi, scende a patti con Israele in condizioni meno favorevoli (senza guerra del Kippur; rinuncia a rivendicare parte del Sinai in cambio della pace); questo consente a Gheddafi di aggiungere alla lotta indipendentista quella contro il "tradimento della causa araba" saldando la sua causa a quella palestinese; Sadat e Israele sono con l'Arabia Saudita i maggiori alleati degli USA nella regione, ma sono relativamente isolati.

2) Israele appoggia Gheddafi, e Sadat è costretto a porsi come campione della causa dell'unità araba e a combattere comunque la guerra del Kippur, a cui potrebbe convincere gli iracheni a partecipare (hanno un problema analogo coi kurdi di Barzani); posta la continuazione della guerra in Cirenaica e dell'occupazione del Sinai, probabilmente Begin, sentendosi più forte, NON accetterebbe Camp David restituendo TUTTO il Sinai; due eventualità: - Sadat cede comunque parte della penisola, fa la pace, si concentra sulla Cirenaica, cambia campo nella guerra fredda e finisce quasi sicuramente assassinato lo stesso, con l'Egitto isolato da tutto il mondo arabo anche più che nella nostra linea. - Sadat rimane legato all'URSS e si schiera col "fronte del rifiuto", mentre il primo paese a far la pace con Israele potrebbe essere addirittura la Siria, in cambio ovviamente del Golan (questo eviterebbe anche l'invasione israeliana del Libano, forse?). La resistenza in Cirenaica assumerebbe un colore islamico e filo-americano/israeliano.

L'insorgenza di Gheddafi potrebbe:

a) essere schiacciata come in Dhofar e Sahara occidentale dopo alcuni anni (Sadat dovrebbe probabilmente scendere a patti con Israele per poterlo fare; Gheddafi, assieme ai palestinesi, sarebbe sacrificato a Camp David, esattamente come qualche anno prima il blocco occidentale aveva abbandonato Barzani dopo averlo sostenuto contro l'Iraq).

b) Se Sadat rimane nel "fronte del rifiuto" e nel blocco orientale, il suo regime resta almeno in parte di sinistra, e l'opposizione prevalentemente islamista. Gheddafi potrebbe ricoprire negli anni Ottanta un ruolo da "freedom fighter" come i combattenti afghani e riceve re sostegno USA ed israeliano. Col crollo dell'URSS crolla anche il regime egiziano. La Cirenaica segue il paradigma dell'Eritrea, ma è inizialmente alleata degli USA (al punto di entrare nella NATO con gli allargamenti?) L'Islam politico sunnita resta prevalentemente filo-USA più a lungo, e un regime islamista filoamericano potrebbe affermarsi nello stesso Egitto (Israele commetterà comunque l'errore di sostenere Hamas? Se sì, probabilmente gli americani si troveranno a pentirsi amaramente dei loro ex-alleati, quasi quanto nella nostra Timeline... A meno che Rabin non sopravviva e riesca a convincere il suo popolo a concedere ai palestinesi uno stato VERO, o la parità di diritti entro uno Stato binazionale - questa è meno probabile, ma non so se in questo scenario potrebbe esserci un equivalente degli accordi di Oslo; i palestinesi non avrebbero nessuna sponda esterna tranne un Iran stremato)..

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Così riprende il filo Francesco Dessolis:

Interessante. Da una ucronia ne hai fatte nascere tante altre!

In tutte le tue alternative la guerra d'indipendenza cirenaica avrebbe sicuramente impatto sulla Tripolitania filoitaliana. Anche se l'integrazione tra italiani e arabi fosse perfetta (ipotesi molto ottimistica!) molti tripolitani appoggerebbero sicuramente Gheddafi. L'esercito italiano sarebbe probabilmente costretto a intervenire, e non solo in missioni di pace...

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Falecius non manca di precisare:

Beh, sicuramente sì. Ho tralasciato le ripercussioni, che sicuramente si avrebbero, non solo sulla Tripolitania ma anche su Ciad e Fezzan (specie se questi ultimi fossero uniti; mi aspetterei una secessione del Ciad del Nord + Fezzan dal Sud cattolico e francofono, col sostegno della Lega Araba, su modello eritreo; in fondo il FROLINAT è stato una forza militare anche nella nostra linea, sebbene con appoggio libico), solo per non aggiungere troppe variabili.

Però, se la resistenza di Gheddafi fosse appoggiata dal blocco occidentale, fino alla caduta dell'URSS l'Italia lascerebbe i tripolini liberi di fare quel che vogliono in aiuto ad un movimento amico. Dopo, si porrebbe il problema che hanno avuto vari paesi musulmani al ritorno dei mujahidin dall'Afghanistan: i volontari tripolini tornati dalla Cirenaica tenterebbero di creare un repubblica islamica in patria? Potrebbe scatenarsi una guerra civile di tipo algerino (in lagreia, il ritorno dei volontari dalla guerra afghana contro i russi ebbe un ruolo nei sanguinosi eventi successivi) ? O invece le autorità tripoline sostenute dall'italia avrebbero governato così bene da impedire all'islam politico di formare una base sociale ?(improbabile; l'Occidente avrebbe tutte le ragioni di breve termine ad appoggiare il tipo di regimi fallimentari che ha effettivamente appoggiato, inoltre la Tripolitania avrebbe poco petrolio, e parte di questo sarebbe usato a beneficio dell'Italia; mi aspetterei sufficiente risentimento verso i "colonialisti", misto a insoddosfazione sociale da causare guai).

Inoltre, uno scenario di spartizione della Libia toglierebbe a Reagan il suo peggior capro espiatorio; probabilmente il risultato sarebbe un maggior focus americano contro o il Nicaragua sandinista o l'Iran di Khomeyni (do per scontato che nessun evento di questa linea possa modificare la rivoluzione iraniana). 
Da valutare le diverse ripercussioni possibili sulla collocazione strategica dell'Iraq e sulle speranze kurdo-irachene di ottenere l'indipendenza (quasi impossibile, dato che si avrebbe comunque la Turchia nella NATO).

Come si vede l'esistenza di una Libia unitaria o divisa può influenzare profondamente le dinamiche di equilibrio regionale, anche se stiamo parlando di un paese relativamente poco importante sullo scenario globale (ovviamente, anche nella nostra linea, durante il confronto con Israele l'Egitto ha dovuto in qualche misura guardarsi le spalle dalla Libia, filo-occidentale e quindi ostile a Nasser prima del 1969, e poi nemica di Sadat con Gheddafi sia per questioni di confine che, dopo Camp David, per la scelta di campo libica nel "fronte del rifiuto" assieme a Siria, Libano, OLP, Iraq e Sudan).

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L'Italia federale sul modello americano

Massimo Berto ha poi avanzato un'altra proposta:

Influenzato dagli Stati Uniti d'America, i Padri Costituenti fanno nascere un'Italia su base federale, due camere e un Presidente eletto sul modello americano. Cosa ne pensate?

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Tonmmaso Mazzoni è il primo a rispondergli:

Ecco la mia lista dei Presidenti dal 1946:

Alcide de Gasperi (1946-1954)
Amintore Fanfani (1954-1962)
Pietro Nenni (1962-1970)
Aldo Moro (1970-1978)
Enrico Berlinguer (1978-1982)
Bettino Craxi (1982-1990)
Silvio Berlusconi I (1990-1994)
Giulio Andreotti (1994-1998)
Romano Prodi (1998-2006)
Silvio Berlusconi II (2006-2014)
Matteo Renzi (2014-2018)
Giuseppe Conte (2018-in carica)

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Interviene Dario Carcano:

Io propongo che il sistema politico della Repubblica Italiana creato nel dopoguerra sia ricalcato sul sistema politico americano:

Presidente della Repubblica Italiana: eletto ogni quattro anni a suffragio universale (l’assenza del Collegio Elettorale è l’unica differenza rispetto agli USA), esercita il potere esecutivo assieme al gabinetto presidenziale e al Vicepresidente ed ha poteri molto forti: oltre ad essere a capo del governo federale ed essere sia il comandante supremo delle forze armate che il capo della diplomazia, il Presidente possiede il potere di veto sulle leggi federali emanate dal Congresso (potere superabile soltanto quando la legge viene approvata con una maggioranza dei due terzi in entrambi i rami del Congresso).

Congresso della Repubblica Italiana: composto da due Camere, la Camera dei Deputati e il Senato. La Camera dei Deputati è composta da 435 membri, ognuno dei quali rimane in carica due anni e viene eletto in rappresentanza di un distretto elettorale; il Senato è formato da 72 membri (tre per ogni Stato) che rimangono in carica per sei anni. Le elezioni per il Congresso si svolgono ogni due anni, con le quali si rinnova completamente la composizione della Camera dei Deputati e un terzo dei senatori.
Le due camere esercitano congiuntamente il potere esecutivo, nei limiti delle competenze del governo federale, ognuna con competenze esclusive: i membri della Camera dei Deputati sono gli unici a poter presentare leggi tributarie, mentre il Senato ratifica i trattati internazionali e conferma le nomine di funzionari e membri del Gabinetto presidenziale.
Ciascuna proposta, per divenire legge, deve essere esaminata e approvata da entrambe le camere. Se le due camere approvano versioni diverse della stessa proposta, viene nominata una commissione congiunta che elabora un testo di compromesso, da sottoporre nuovamente alle due camere per l'approvazione definitiva.
Nel procedimento di messa in stato d’accusa (cioè la rimozione dalla carica del Presidente, di un funzionario o di un giudice federale) alla Camera spetta la formulazione dei capi di accusa nei confronti dell'imputato, che poi viene eventualmente rimosso dal suo incarico da parte del Senato in caso di assenso della maggioranza dei due terzi (mentre per la formulazione dei capi d'accusa è sufficiente la maggioranza assoluta). Se l'accusato è il Presidente della Repubblica Italiana, il processo è presieduto dal Giudice Capo della Corte Suprema.

Potere giudiziario: Il potere giudiziario, a livello federale, è diviso secondo una struttura piramidale fra la Corte Suprema della Repubblica Italiana, le Corti d'Appello e le diverse Corti Distrettuali sparse sul territorio.
La Corte Suprema è competente a giudicare nei casi in cui è coinvolto il governo federale, nelle dispute giudiziarie fra Stati ed è abilitata ad interpretare la Costituzione degli Stati Uniti, ovvero è in grado di poter giudicare incostituzionale qualsiasi norma o atto amministrativo di qualunque livello (anche statale o locale). È composta da nove membri nominati dal Presidente con l’approvazione del Senato e in carica a vita.
Le Corti d'Appello (ognuna competente territorialmente nel suo circondario) sono organi giurisdizionali di secondo grado per appellarsi contro le sentenze delle corti federali, oltre ad essere anche competenti per l'appello contro le decisioni di alcune agenzie amministrative.
Le varie Corti Distrettuali federali sono l'organo giurisdizionale di primo grado, competenti sia in materia civile che penale. Ad ogni Corte distrettuale si affianca una Corte specializzata nella giurisdizione dei casi di bancarotta. Sparse su tutto il territorio nazionale sono competenti territorialmente ognuna per il proprio distretto.

Gli Stati: hanno poteri legislativi molto ampi, in quanto la Costituzione afferma esplicitamente che “I poteri che la costituzione non attribuisce alla Repubblica Italiana né inibisce agli Stati, sono riservati ai singoli Stati o al popolo”; tipiche competenze statali sono quelle relative alle comunicazioni interne, le norme che regolano la proprietà, l'industria, gli affari e i servizi pubblici, gran parte degli illeciti penali, oppure le condizioni di lavoro all'interno dello Stato. Il governo federale richiede che i vari stati non promulghino norme che siano in contrasto con la Costituzione o con le leggi federali, oppure con i trattati internazionali firmati dalla Repubblica Italiana.
Attualmente la Repubblica Italiana è composta dai seguenti Stati (tra parentesi la data d’ingresso della Repubblica se successiva all’entrata in vigore della Costituzione):

Abruzzo, con capoluogo L’Aquila
Basilicata, con capoluogo Potenza
Calabria, con capoluogo Catanzaro
Campania, con capoluogo Napoli
Ciociaria, con capoluogo Latina, include le province di Frosinone e Latina dell’HL e parte della provincia di Roma
Distretto di Roma Capitale (D.R.C.)
Emilia, con capoluogo Bologna
Etruria, con capoluogo Firenze, comprende la Toscana, la provincia di Viterbo e parte della provincia di Roma
Friuli-Venezia Giulia, con capoluogo Udine
Liguria, con capoluogo Genova
Lombardia, con capoluogo Milano
Marche, con capoluogo Ancona
Molise (1963), con capoluogo Campobasso; parte dell’Abruzzo fino al 1963
Piemonte, con capoluogo Torino
Puglia, con capoluogo Bari
Romagna, con capoluogo Ravenna
Sardegna, con capoluogo Cagliari
Sicilia, con capoluogo Palermo
Sudtirolo, con capoluogo Bolzano; separato dal Trentino per venire incontro alle richieste degli autonomisti sudtirolesi
Trentino, con capoluogo Trento
Trieste (1977)
Umbria, con capoluogo Perugia, include anche la provincia di Rieti
Valle d'Aosta, con capoluogo Aosta
Veneto, con capoluogo Venezia

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Ma MattoMatteo non è d'accordo:

Voto per la divisione in 11 regioni, sul modello di Augusto.
Magari le città più grandi (sicuramente Roma; poi Napoli, Firenze, Milano... e magari anche Torino) potrebbero essere delle "mini-regioni" (scusate, non ricordo il termine esatto).

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A questo punto nessuno è più indicato a parlare del grande Bhrihskwobhloukstroy:

A rigore, le Regioni linguistico-geografiche nell'attuale Italia sono 24: Sardegna, Sicilia, Italìa, Grecìa, Arbërìa, Basilicata, Salento, Langobardìa Adriatica, Slavonia, Langobardìa Tirrenica, Lazio-Sabellia-Umbria, Marche, Toscana, Romagna, Venezia e Carso, Slovenia, Friuli, Ladinia, Bavaria, Lombardia, Liguria, Occitania, Arpitania, Alemannia.

Dal punto di vista strettamente linguistico (dialettologico, con motivazioni storico-sociolinguistiche) si possono ridurre a diciassette: Sardegna, Sicilia-Italìa-Salento (“Meridione Bizantino”), Langobardìa (“Meridione Longobardo”), Suburbicaria, Toscana, Romagna, Venezia (e Carso), Friuli, Ladinia, Lombardia, Occitania, Arpitania, (sei alloglotte) Arbërìa, Grecìa, Slavonia, Slovenia, Bavaria, Alemannia.

Geograficamente (se non si considerano le variazioni di altitudine(, se ne possono individuare sette: Sardegna, Sicilia, Ionia, Tirrenia, Adriatica, Padania, Liguria.

La Genetica presenta tre Popolazioni: Sardi, Italo-Greci, Italo-Celti.

Infine, se volessimo un'Italia di due Macroregioni e quattro “Euroregioni” (di confine), potremmo avere (fra parentesi quadre i capoluoghi):

1) Italia [Roma] = Italia [Roma] (Toscana [Firenze], Italia Centrale [Roma], Normandia [Napoli], Slavonia [Montemitro], Arbërìa, Grecìa), Sicilia, Sardegna
2) Cisalpina [Milano] = Lombardia [Monza] (Liguria [Genova], Piemonte [Torino], Neustria [Pavia], Insubria [Como], Austria [Brescia], Emilia [Bologna]), Venezia (+ Friuli), Romagna [Ravenna]
3) Carso (+ Venezia Giulia? [Trieste])
4) Austrobaviera (Mediotirolo-Ladinia-Trentino, Cimbria / Baviera Veneta)
5) Arpitania [Aosta]
6) Occitania.

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Riprende la parola Dario:

Ecco la mia lista dei presidenti della Repubblica Italiana dal 1949 ad oggi:

Alcide De Gasperi (1949-1954): Democristiano, già Capo provvisorio dello Stato dal 1946. Secondo mandato dal 1952, muore in carica.
Attilio Piccioni (1954-1957): Democristiano, già vicepresidente di De Gasperi. Non si ricandida per un ulteriore mandato per il coinvolgimento del figlio nello scandalo Montesi.
Mario Scelba (1957-1961): Democristiano, la sua candidatura è dovuta al prevalere dell’ala conservatrice della DC su quella progressista, ma è costretto a concedere la vicepresidenza al progressista Fanfani; nel 1960 non riesce ad ottenere il sostegno del partito alla sua rielezione, e rinuncia ad un secondo mandato.
Amintore Fanfani (1961-1973): Democristiano, Fernando Tambroni come Vicepresidente. Resta in carica per tre mandati e nel 1972 perde clamorosamente le elezioni contro il socialista Saragat.
Giuseppe Saragat (1973-1977): Socialista, Pietro Nenni come Vicepresidente. Primo non democristiano a occupare il Quirinale; viene sconfitto da Aldo Moro alle elezioni del 1976.
Aldo Moro (1977-1978): Democristiano, Giovanni Leone come Vicepresidente. Viene assassinato dalla Brigate Rosse il 16 marzo 1978, primo presidente a venire assassinato durante il mandato.
Giovanni Leone (1978-1985): Democristiano, X come Vicepresidente. Succede ad Aldo Moro dopo il suo assassinio, nel 1980 si ricandida per un secondo mandato dopo aver vinto le primarie di partito per assenza di avversari, e alle elezioni ottiene la rielezione con un margine strettissimo. Quattro anni dopo viene sconfitto alle elezioni dal socialista Bettino Craxi.
Bettino Craxi (1985-1993): Socialista, Gianni De Michelis come Vicepresidente. Viene rieletto nel 1988. Nel 1992 non si ricandida perché coinvolto in uno scandalo giudiziario su dei finanziamenti illeciti al Partito Socialista.
Arnaldo Forlani (1993-1997): Democristiano, Mino Martinazzoli come Vicepresidente. Nel 1996 viene sconfitto alle elezioni da Massimo D’Alema.
Massimo D'Alema (1997-2005): Socialista, Giuliano Amato come Vicepresidente. Ex comunista, si trasferisce nel PSI dopo la dissoluzione del PCI seguita al crollo dell’URSS. Viene rieletto per un secondo mandato nel 2000, nel 2004 rinuncia a correre per un terzo mandato.
Pier Ferdinando Casini (2005-2013): Democristiano, Dario Franceschini come Vicepresidente. Secondo mandato dal 2008, nel 2012 a sorpresa viene sconfitto nelle primarie di partito dal giovane Matteo Renzi.
Matteo Renzi (2013-2017): Democristiano, Marco Follini come Vicepresidente. Eletto con un ampio consenso, diventa in breve uno dei presidenti più odiati nella storia della Repubblica.
Beppe Grillo (2017-in carica): Socialista, Pier Luigi Bersani come Vicepresidente. Candidatosi come outsider alle primarie socialiste del 2016, riesce sorprendentemente a vincerle. I suoi discorsi, in cui attacca sia il presidente Renzi che l’establishment socialista che ritiene complice dei democristiani, hanno un ampia risonanza mediatica e lo portano a essere eletto con un ampio consenso e contro molti pronostici che davano per scontata la rielezione di Renzi. L’unica concessione che fa all’establishment del PSI è Pier Luigi Bersani candidato alla vicepresidenza, nome gradito ai vertici del partito ma che non dispiace a Grillo per le sue posizioni progressiste.

Come si può notare, Moro non viene rapito e ucciso ma “solo” ucciso; per quanto riguarda la scelta dei vicepresidenti, nel caso dei presidenti democristiani ho cercato di affiancare a presidenti conservatori dei presidenti più progressisti e viceversa. Sul vice di Leone ero indeciso, avevo preso in considerazione Zaccagnini ma era troppo anziano, quindi non sapevo chi mettere…
Ovviamente, siccome la costituzione entra in vigore nel 1948 e la prima elezione presidenziale avviene a novembre dello stesso anno, con l’insediamento a gennaio dell’anno successivo, gli anni elettorali corrispondono a quelli degli Stati Uniti.
Al contrario degli USA però non c’è il limite dei due mandati (che del resto anche negli USA fu emendato nella costituzione solo dopo la morte di F. D. Roosevelt)

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Alessio Mammarella dice la sua:

Forse un PoD "tardivo" potrebbe scaturire dalla salvezza di Aldo Moro. Una volta tornato dalla prigionia (non importa se rilasciato dai terroristi o liberato in qualche modo) Moro avrebbe avuto intorno una tale aura di affetto che avrebbe potuto permettersi di proporre una riforma costituzionale così drastica. Era già uno dei massimi leader della DC, era apprezzato a sinistra (almeno a parole) la riforma costituzionale sarebbe stata approvata con ampia maggioranza e non sarebbe servito neppure il referendum. A quel punto, però, sarebbe stato da vedere come si sarebbero adeguati i partiti ed i loro esponenti a un nuovo sistema così diverso dal precedente.

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Chiudiamo per ora con il contributo di Federico Sangalli:

Temo sarebbe inutile: a quello stadio della Prima Repubblica dominavano i partiti, le cui posizioni erano a loro volta decise da un equilibrio delle fazioni interne, non da un singolo leader. Per fare un esempio Pertini era popolarissimo e avrebbe voluto correre per un secondo mandato (tentò di convincere Scalfari a scrivere un articolo in favore, ma il direttore declinò) perché sapeva che i partiti si preparavano ad eleggere uno dei loro (poi Cossiga) che li avrebbe tenuti molto meno in riga rispetto al partigiano Sandro, però per l'appunto l'idea di rieleggere Pertini non passò neanche per l'anticamera del cervello ai partiti dell'epoca. A ciò si aggiunge che Moro personalmente non era un gran fan del Presidenzialismo, anche rispetto ad altri leader suoi contemporanei (come Craxi) era un politico da sistema parlamentare, uno statista ed un intellettuale che cercava il dibattito e il compromesso politico, non il centralismo e il decisionismo dell'uomo solo al comando tipico del Presidenzialismo all'Americana.

Il PoD della sconfitta più pesante nella WWII non sta in piedi, perché gli USA, quando hanno avuto la possibilità di suggerire Costituzioni ai paesi sconfitti (Germania e Giappone), hanno esplicitamente remato contro il governo accentratore, nel timore che divenisse strumento di un nuovo nazionalismo aggressivo: in Germania, abituata al comando di un Capo di Stato forte (dal Kaiser a Hindenburg a Hitler), il Presidente della Repubblica è stato reso una figura cerimoniale, mentre il potere politico è stato spostato in favore del Cancelliere, delle due camere e dei molto autonomi Landër; in Giappone la Costituzione stessa ha vietato il militarismo e le forze armate, l'Imperatore è divenuto una figura culturale e il Primo Ministro basa il suo potere solo sul fatto che il Partito LiberalDemocratico governa praticamente sempre stile DC, per il resto è un primus inter pares.

In generale i Padri Costituenti degli USA venivano da un'esperienza troppo oppressiva, tant'è che rigettarono non solo il Presenzialismo Americano Lussu ma anche il Premierato Britannico di Calamandrei. Dopo la WWII appare estremamente improbabile far approvare un Presidenzialismo, per le ragioni ideologiche sopra citate ma anche per motivi contingenti (le Regioni sarebbero nate solo nel 1970, passare bruscamente dai prefetti agli States su modello USA come strumento di controllo territoriale sarebbe stato impossibile non solo per mancanza di strutture amministrative ma proprio per mentalità).

Come POD, per quanto io aborra la prospettiva del Presidenzialismo in Italia, propongo la storia, mai confermata, che Aldo Moro da giovane avesse chiesto l'iscrizione al Partito Socialista ma che fosse stato rifiutato perché cattolico, approdando poi alla DC, non solo risulta vera ma Moro viene accettato nel partito. Fattosi nome di giovane e pacato leader riformista, diventa il braccio destro di Nenni durante le sue aperture alla DC, che dopo il disastro del Governo Tambroni cerca di riallacciare i legami a Sinistra sotto la spinta del Presidente del Consiglio Fanfani e del nuovo Segretario Mariano Rumor (in alternativa, al posto di Moro, anche Paolo Emilio Taviani). Diventa una delle figure chiave nei Governi di Centrosinistra degli Anni Sessanta e succede a Nenni alla guida del Partito Socialista, portandolo alla riunificazione con i socialdemocratici nel nuovo Partito Socialista Unificato (PSU). Con la svolta conservatrice post-68 inizia una fase difficile: il PSU perde molti voti a sinistra in favore del PCI di Berlinguer, abbastanza riformista da attirare consensi trasversali ma abbastanza marxista da conquistare socialisti delusi dalla svolta di Moro di porre i socialisti saldamente nel campo dei partiti moderati di governo; sia Rumor sia Taviani escono di scena perché giudicati troppo sbilanciati a Sinistra da parte della nuova dirigenza democristiana di fede andreottiana. Isolato e senza sbocchi politici Moro inizia ad essere messo sotto pressione affinché lasci la Segreteria.

Il 3 ottobre 1973 Enrico Berlinguer rimane ucciso in un misterioso incidente automobilistico a Sofia, Bulgaria, probabilmente organizzato dai servizi sovietici e bulgari per togliere di mezzo questo giovane e intraprendente segretario riformista che va cianciando di compatibilità tra comunismo e democrazia. Giorgio Napolitano, con l'alleanza di Giorgio Amendola, sarebbe il successore designato (era già stato l'alternativa a Berlinguer al momento della sua elezione) ma dobbiamo immaginare che i sovietici avessero non solo organizzato l'omicidio di Berlinguer ma preso i dovuti contattati per assicurare una transizione che riportasse il PCI sui binari auspicati da Mosca: così a sorpresa, nel conclave del Comitato Centrale, Napolitano, il cui "migliorismo" è accusato di eccessiva convivenza con il mondo atlantista e capitalista, perde contro Pietro Ingrao, rispettato leader della Sinistra Interna, a cui viene affiancato il quarantasettenne Armando Cossuta, segretario della sezione lombarda e capofila dell'ala dura e filo-sovietica. Il PCI non può contare sulla morte di Berlinguer per mobilitare le folle, poiché molti accusano gli stessi comunisti di averla progettata e perché le elezioni si sono già tenute nel 1972 (non a caso, visto che la sopra citata transizione non avrebbe potuto avvenire a ridosso del voto). Moro è nella posizione perfetta per riprendersi i voti dei comunisti moderati che hanno visto il loro idolo assassinato e che auspicano una via italiana al socialismo. La DC nel mentre arriva ammorbata dal malaffare della cricca andreottiana, che è stata estromessa in favore dell'uomo nuovo, Benigno Zaccagnini, ma non può contare sul montanelliano "Turatevi il naso e votate DC". Così le elezioni del 1976 sono una vera scossa: DC 33% (-5%), PSU 33% (+23%), PCI 21 (-5%), MSI 6% (+3%), Partito Repubblicano 3%. Il PSU ha interamente assorbito i voti che in HL Berlinguer fece guadagnare al PCI (7%), a cui si aggiungono i tre punti del socialdemocratici e un dieci-dodici punti sottratti ai due partiti principali. I socialisti sono a pochi decimali dalla DC, per la prima volta secondo partito dalle elezioni per la Costituente nel 1946. A questo punto è chiaro che senza le Sinistre il governo non si può fare, Aldo Moro non trova interlocutori per il Compromesso Storico e una nuova stagione di centrosinistra PSU-DC sembra l'unica strada possibile, ma stavolta coi socialisti in posizione di parità se non di comando. Ma i franchi tiratori di Andreotti remano contro: tra il 1976 e il 1978 i vari Rumor, Taviani e Donat-Catten si susseguono nel tentativo di formare un governo stabile, intralciato dall'opposizione della Destra democristiana da un lato e dalla sinistra socialista dall'altro. Moro sa che sarà necessaria un'altra fase di transizione, come nel 1960-1963, per far nascere il nuovo centrosinistra e cerca di lavoravici. Alla fine Andreotti ottiene l'incarico per rassicurare la DC come in HL ma il governo sembra già morto in anticipo per l'opposizione tra i ranghi socialisti, sembra chiaro che nominare Moro, che può contare sull'eventuale soccorso esterno nei voti segreti dei miglioristi comunisti, sia l'unica opzione rimasta sul tavolo. Poi Moro viene rapito dalle BR, che lo accusano di aver tradito il proletariato preferendo fare un governo con la DC piuttosto che con il PCI ora che le Sinistre hanno la maggioranza, proprio mentre andava alla Camera per la sfiducia di Andreotti, il quale testa in carica per gli affari correnti durante la crisi e anzi ottiene la fiducia per ragioni di unità nazionale: lui e Cossiga gestiscono la crisi come in HL e Moro viene ucciso, tra lo shock generale. Il giovane vicesegretario socialista Bettino Craxi, che durante la crisi si era prodigato per la trattativa, gli succede alla guida del PSU. Il governo Andreotti regge fino al 1979, gli succede poi per un anno Cossiga, che cade a sua volta. Le incomprensioni tra socialisti e democristiani dettate dalla rivalità di governo portano all'accoglimento della proposta del leader repubblicano Bruno Visentini di formare un governo tecnico, che possa essere sostenuti di volta in volta da tutti i partiti, fino alle elezioni del 1981. Dopo la Marcia dei Quarantamila e l'Assassinio di Guido Rossa il distacco tra la classe operaia e il Partito Comunista si è aggravato e il PSU ne è il primo beneficiario: i socialisti, per la prima volta dopo sessant'anni anni, sono il primo partito e la loro maggioranza relativa gli permette di negoziare una coalizione stabile con il nuovo leader democristiano De Mita, succeduto al rivale Andreotti. Pertini è ben felice di nominare il primo governo a guida socialista della Storia d'Italia, insediando Craxi a Palazzo Chigi.

La prima legislatura a guida Craxi vede almeno tre governi, con De Mita che cerca di sgambettare il leader socialista per raggiungere Palazzo Chigi, ma Craxi si riprende con la Crisi di Sigonella e rivince le elezioni nel 1986. È proprio durante il secondo periodo del cosiddetto Decennio Craxiano che si compie la più grande riforma del leader socialista: il completamento della riforma costituzionale per la transizione ad un regime presidenzialista alla francese, in vigore a partire dal 1992. Ovviamene prende a malapena la maggioranza in Parlamento ma Craxi poi riesce a vincere il successivo referendum. Andreotti, contrarissimo, si mette l'animo in pace e stringe un accordo con Craxi: lui lascerà Craxi correre alla Presidenza e in cambio Andreotti e Forlani avranno mano libera in Parlamento. Nasce così il CAF. Il piano, dopo l'estromissione di De Mita, procede facilmente: dopo il collasso del Partito Comunista, Craxi viene eletto facilmente, battendo lo stesso De Mita usato come agnello sacrificale, e nomina Forlani Primo Ministro, con Andreotti agli Esteri. Il vecchio leader, inizialmente favorito per Palazzo Chigi, è stato degradato dopo che l'assassinio di Falcone ha iniziato a far parlare dei suoi contatti con la Mafia. Ma Craxi si è appena insediato che scoppia Tangentopoli: il Presidente finisce rapidamente sotto accusa e invece di negare ammette tutto come in HL dicendo che così facevan tutti. Forlani cade subito, con Andreotti ormai impegnato nei suoi processi di mafia Craxi nomina Amato, rompendo così il patto coi democristiani, che in capo a sei mesi è impallinato per l'indignazione suscitata dal Decreto Conso, detto Salva Ladri. De Michelis è il prossimo e cade a sua volta quando pensa bene di sottoscrivere le grazie presidenziali varate da Craxi per "fermare il golpe della magistratura". Ciampi forma il secondo governo tecnico della Storia repubblicana e traghetta il paese verso le elezioni parlamentari, che vedono la seconda rivoluzione dopo il 1976: una eterogenea coalizione di post comunisti e ex socialisti guidati da Occhetto (Alleanza Progressista) arriva prima, prevalendo in buona parte dei collegi del Centro e del Nord-ovest, più Sardegna; il patto elettorale tra Alleanza Nazionale e democristiani di destra coalizzati attorno a Buttiglione e Patto Segni trionfano nei collegi meridionali; la neonata Lega Nord, entrata in Parlamejto alle ultime elezioni e distintasi per le forti prese di posizione contro i partiti tradizionali, stravince tra i collegi lombardi e del Nord-est. I socialisti rimasti fedeli a Craxi, nonostante la campagna mediatica di sostegno guidata dal Ministro delle Telecomunicazioni Silvio Berlusconi, sono decimati e quasi annientati. Anche i democristiani, rinominatisi Partito Popolare e riuniti in una lista esterna con Prodi e Martinazzoli a sostegno della coalizione progressista, subiscono una forte flessione, anche se sopravvivono perché al Centro vincono diversi collegi a causa della divisione dei voti delle Sinistre tra craxisti e anti-craxisti, in un contesto dove né missini né leghisti costituiscono una credibile opposizione. Data la feroce ostilità tra AN e Lega per ragioni storiche e di orientamento sulla questione federalista, Umberto Bossi stringe un accordo con Occhetto, che diventa il nuovo Primo Ministro, in cambio di una riforma veramente federalista. Subito dopo parte l'impeachment: Craxi si difende in Senato personalmente ma viene sventrato dalle arringhe di DiPietro. Alla fine viene rimosso con voto palese e maggioranza dei due terzi ampiamente superata, all'uscita di Palazzo Madama è fatto oggetto di lancio di monetine, l'evento segna la fine di un'epoca (Craxi verrà poi arrestato, ma morirà nel 1999 prima della fine del processo). Il Presidente del Senato Nicola Mancino assume la supplenza della Presidenza in attesa di nuove elezioni, come su modello francese (e in continuità col modello italiano). Romano Prodi, candidato dall'Alleanza Progressista, prevale facilmente su Cossiga (AN e alleati), Gianfranco Miglio (Lega) e Berlusconi (campo craxista).

Inizia così la seconda grande riforma costituzionale della Repubblica, che verrà completata e approvata per via referendaria in occasione delle elezioni del 2001: le regioni sono riorganizzate e rese degli autentici enti autonomi su modello USA e tedesco, il Senato diventa camera federale. Per evitare la non sincronia tra le camere e accontentare AN che fa un'opposizione di fuoco sulla difesa dello stato centrale, viene eliminata la figura del Primo Ministro in favore del Presidente, il cui monopolio del potere esecutivo è a sua volta limitato con taglio del mandato da sette a quattro anni e vincolo dei due mandati. Il limite d'età è abbassato a 35 anni. È anche introdotta la figura del vicepresidente Per favorire una maggior sovrapposizione tra mandati parlamentari e presidenziali anche il termine del Parlamento è tagliato (non credo si arriverebbe mai a due anni, semmai quattro, ma è un particolare secondario). Nasce così la Terza Repubblica. Il resto è storia.

Primi Ministri della Seconda Repubblica Italiana:
Arnaldo Forlani 1992-1993 DC
Giuliano Amato 1993 PSU
Gianni De Michelis 1993-1994 PSU
Carlo Azeglio Ciampi 1994-1996 Tecnico
Achille Occhetto 1996-2001 Alleanza Progressista/ PDS

Presidenti della Repubblica Italiana:
(II Repubblica)
9 Bettino Craxi 1992-1996 PSU
Supplente Nicola Mancino PPI 1996-1997
10 Romano Prodi 1997-2004 Alleanza Progressista
(III Repubblica)
11 Gianfranco Fini 2004-2008 AN
(Vice: Pierferdinando Casini)
12 Walter Veltroni 2008-2012 PD
(Vice: Dario Franceschini)
13 Gianfranco Fini 2012-2016 PdL
(Vice: Giorgia Meloni)
14 Roberto Fico 2016-... M5S
(Vice: Danilo Toninelli)

Elezioni 2020: Roberto Fico (M5S-Campania)/ Danilo Toninelli (M5S-Lombardia) vs Giorgia Meloni (PdL-Roma)/ Giulio Tremonti (PdL-Lombardia) vs Luca Zaia (Lega/Veneto)/ Marco Bucci (Lega/Liguria) vs Matteo Renzi (IV/Etruria)/ Mara Carfagna (IV/Campania)

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