Efestione,
l'amico più caro di Alessandro ed il suo compagno più fidato nella grande
spedizione asiatica, non muore affatto nel novembre
del 324, ma ascende al rango di viceré e di luogotenente dell'Impero, dal
momento che il grande Macedone nell'estate del 323 lascia Babilonia per tentare
nuove imprese: a ciò pare che sia stato convinto da un saggio ebreo, Gesù
ben Sirac, da lui incontrato al suo rientro in Mesopotamia, il quale (in linea del resto con la lunga tradizione di
profetismo del suo popolo) gli ha preconizzato che avrà una vita assai breve se
resterà a gozzovigliare a Babilonia. Alessandro gliene è grato e lo nomina suo
consigliere, anche se tende a burlarsi, come tutti i greci, dei precetti della
sua religione; egli lo chiama con il nome greco di Siracide.
Egli ci ha lasciato una grande raccolta di riflessioni teologiche e di
attualizzazioni della storia del Popolo Eletto, vera summa del giudaismo
postesilico, che oggi fa parte della Bibbia con il titolo di Libro del Siracide.
A stimolare la decisione di lasciare l'infida Babilonia, capitale dell'intrigo, è anche la congiura ordita dal generale Perdicca, già favorito reale, il quale non ha gradito il fatto che, al momento del matrimonio collettivo tra greci e persiane voluto da Alessandro nel quadro di una generale pacificazione del suo impero, gli è stata assegnata "solo" la figlia di Atropate, satrapo di Media, mentre Dripetide, la figlia minore di Dario cui l'ambizioso favorito aspirava nella speranza di divenire il cognato e poi il successore di Alessandro, è andata in sposa ad Efestione. Quest' ultimo, l'altro generale Cratero ed il Siracide scoprono la congiura, che mirava ad avvelenare l'imperatore il 10 giugno del 323 a.C., e Perdicca finisce crocifisso, come già Aman nell'epopea di Ester ben nota al figlio di Sirac. La sorte dei dittatori è sempre la stessa sotto tutti i cieli.
Lasciata Babilonia in compagnia di Cratero e Siracide, su consiglio di quest'ultimo Alessandro si sposta sulla costa del Golfo Persico dove risiede nell'estate del 323, preparando la grande offensiva verso l'Arabia che rappresenta il chiodo fisso delle sue aspirazioni egemoniche sull'ecumene. Ciò per due ragioni: verso oriente cercava i confini del mondo, ma non li ha trovati ed ha dovuto ritirarsi per le insistenze dei suoi soldati che minacciavano di rivoltarsi contro di lui; ora spera di trovare almeno i confini meridionali della Terra. In secondo luogo, nei progetti del Re c'era da sempre la rotta commerciale tra India ed Egitto, le due estremità dell'impero. Per crearla egli ha bisogno di costruire porti, tanto nell'area della bassa Mesopotamia che sulle sponde orientali del Golfo Persico; pertanto fonda Carace sul golfo Persico ed inizia a prepararvi una flotta di mille navi per la circumnavigazione dell'Arabia.
L'impresa
araba inizia nella primavera del 322. Alessandro, che porta con sé i suoi più
valenti generali, tranne Efestione rimasto a
Babilonia ad amministrare l'impero, comincia con il conquistare il Barhein,
che egli chiama Dailmon, dal nome sumerico (Dilmun) dell'antica magione dei
morti dove l'eroe Gilgamesh cercò di conquistare l'immortalità (secondo alcuni
l'antica Dilmun è da identificare proprio con il Barhein). Da questa base parte
per la conquista dei regni dell'Arabia Felice. Nell'agosto 322 conquista lo Zufar,
oggi Oman,
dove fonda la città di Eleuteria, poi si spinge nello
nell'Hadramaut, importante centro di produzione
dell'incenso, conquistato
dopo la vittoria di Sabwa. Riprende poi il mare,
attracca ad Aden ed
assalisce l'Himyar (oggi Yemen),
e da
qui penetra nell'interno verso il regno di Saba. La sua flotta
al comando di Nearco intanto attraversa il mar
Rosso e conquista le colonie arabe sulle coste di Somalia ed Eritrea. Alessandro
e Cratero espugnano Marib, la capitale del regno sabeo (gennaio 321), poi si spingono
verso nord. A Cratero e ad Antipatro viene dato il
compito di risalire la penisola araba lungo la "via dell'incenso",
mentre il Macedone attraversa a sua volta il mar Rosso insieme a Tolomeo figlio di Lago
e raggiunge Axum, nell'Etiopia settentrionale, che
gli si arrende quasi senza combattere. Egli arruola allora una gran quantità di
valorosi soldati etiopi tra le proprie schiere, finora perlopiù formate da
persiani, e punta sul grande regno di Meroe: dopo
aver vinto una prima battaglia a Kassala (2-3 maggio 321), dove fonda la città
di Olimpia (in onore del nome di sua madre), cinge d'assedio la
capitale, che gli resiste sei mesi. Tolomeo nel frattempo occupa Napata,
nel nord del regno, che cercava di portare aiuti alla capitale. Alla fine la
città capitola ma Alessandro la risparmia e la rinomina Nicea, città della
vittoria. Risale quindi il Mar Rosso rientrando in Egitto. Ad Alessandria, dove
giunge nel marzo 320, lo attende un trionfo degno di un dio, con tutta la
coreografia tipica della teocrazia egizia.
Intanto Cratero ed Antipatro hanno faticato parecchio per aver ragione del regno dei Nabatei, che controllano da secoli la via dell'incenso, ma infine sono riusciti ad espugnarne la capitale Petra, scavata nella roccia. Il fedelissimo Cratero muore nell'assalto alla città (dicembre 321), mentre Antipatro raggiunge Alessandro nella grande città sul delta del Nilo, ma alcuni cortigiani hanno insinuato nella mente dell'imperatore che Antipatro potrebbe aver ucciso Cratero (perlomeno esponendolo nel corso della battaglia) per restare l'unico trionfatore sui Nabatei. Alessandro in un impeto d'ira lo ucciderebbe come ha fatto con l'amico Clito nel 327, ma Siracide, che lo ha seguito in qualità di storico nella spedizione africana, lo dissuade e permette ad Antipatro di discolparsi. Placato, Alessandro perdona il valoroso generale e lo nomina viceré d'Arabia, mentre Tolomeo viene compensato del suo valore con il titolo di viceré d'Egitto. Nearco resta deluso per non aver ricevuto cariche, ma Alessandro gli rivela che ha ancora bisogno di lui in qualità di ammiraglio, perché vuole conquistare anche l'Occidente. Ad Alessandria infatti gli è giunta notizia che i Cartaginesi hanno affondato delle navi greche che cercavano di varcare lo stretto di Gibilterra, onde preservare il monopolio sulle rotte atlantiche. Alessandro il Grande non può sopportare che alcuno limiti anche solo indirettamente il suo potere, e così fin dal suo ritorno ad Alessandria medita la conquista dell'Occidente, di cui conosce ancora poco o nulla. Per questo spedisce l'ebreo Siracide a Cartagine in qualità di suo ambasciatore, ma in realtà per spiare la situazione e riferirgli quale sia il modo migliore per attaccare. Anche Cambise figlio di Ciro, nel 522, aveva infatti tentato la conquista di Cartagine, ma il suo esercito era andato smarrito nel deserto, e non se n'era più saputo nulla.
Del resto, le notizie che giungono da Babilonia sono buone. Efestione governa in modo equilibrato a suo nome, ed anzi ha spedito Seleuco, il capo degli argiraspidi e sposo della figlia del satrapo battriano Spitamene, a conquistare l'Armenia, conquista portata a termine con successo alla fine del 321, mentre al segretario reale Eumene ha assegnato il compito di rappresentare il potere nella Pentapotamia (in hindi Penjab, la terra dei cinque fiumi affluenti dell'Indo), conquistata da Alessandro dal 327 al 325. In tal modo il vasto impero di Alessandro è diviso in zone di influenza, ciascuna delle quali è controllata da uno dei suoi generali. Poichè ciascuno di essi governa quasi come un monarca, i popoli soggetti cominciano a vederli come i successori di Alessandro, e per questo essi vengono chiamati i Diadochi, cioè "i successori". Ma in realtà Alessandro è vivo e vegeto, e si prepara a nuove avventurose campagne di conquista...