IL DOTTOR CAMILLO PICCINELLI

(da "La Nona Campana", dicembre 1986)

Frugando nella mia raccolta di "Nona Campana" dei tempi andati, ho trovato quest'articolo che commemorava i 25 anni dalla morte del Dottor Camillo Piccinelli, un personaggio del quale ho molto sentito parlare in casa, poiché ha curato anche mia mamma quand'era bambina. Ho pensato di rendergli un doveroso tributo pubblicando in rete questo suo ricordo.

 

Camillo Piccinelli (1877-1951)

Camillo Piccinelli (1877-1951)

« E noi vogliamo Camillo Piccinelli, / noi lo vogliamo per nostro dottor. / Se non si otterrà, / rivoluzione si farà, / e tutto Lonate unito sarà!... Al' vorum, al' vorum, al' vorum!... »

Queste erano le parole di un canto « rivoluzionario », inventato e cantato per le contrade del nostro paese dalla popolazione di allora a favore del Dottor Piccinelli, quando la Giunta Comunale, non si sa per quale motivo, aveva deciso di sostituirlo con un altro medico condotto.

II Dott. Camillo Piccinelli era nato, pare a Somma Lombardo, il 7/2/1877 ed esercitò la sua professione nel nostro paese dal 1904 al 1943.

« UI dutur Picinelli, quel che sa da dì, se da dì, l'ea un dottore » (« II Dott. Piccinelli, quello che c'e da dire, è da dire, era un vero dottore »): questo e il comune giudizio di quanti abbiamo intervistato.

I lonatesi più anziani lo ricordano come una persona colta ed appassionata della sua professione (correvano voci che se non fosse stato per la sua vista deficitaria, avrebbe senz'altro fatto carriera all'Ospedale Maggiore di Milano dove aveva svolto il suo tirocinio).

Imparziale con tutti, non faceva distinzione tra ricco e povero e, se mai avesse delle attenzioni particolari, erano riservate ai più bisognosi.

Umiltà e carità (« quello che faceva la destra non doveva sapere la sinistra ») sono gli attributi che ancor oggi gli vengono riconosciuti da quanti l'hanno potuto conoscere. Tuttavia puntiglioso nell'esigere che si facesse quello che prescriveva: « T'ean da fa quel c'al disea e vurea lu! » (« Dovevi fare quello che diceva e voleva lui! »). Se qualcuno lo disobbediva, lui non si faceva più vedere.

Seguiva i malati più gravi scrupolosamente, visitandoli anche due o tre volte al giorno. Andava ad assisterli anche in stalla, allorquando, durante la stagione invernale, venivano lì trasferiti in mancanza del riscaldamento nelle stanze.

D'inverno, col ghiaccio e con la neve, si trasferiva da una contrada all'altra, fosse pure a S. Antonino o Tornavento, « cul caval da San Francesco » («col cavallo di San Francesco »), ossia a piedi.

Conosceva e chiamava tutti per nome. Sapeva il fatto suo e « s'al batizea von » (« se battezzava uno »), ossia se diceva che uno aveva poco da vivere, non sbagliava mai.

Uomo dapprima profondamente religioso, lo si vedeva la domenica a messa con la moglie e la figlia sulla sua panca privata (una delle prime file dalla parte delle donne, ossia a sinistra della navata guardando l'altare), « le si distacö dal ben » (« si è distaccato dal bene »), ossia si è allontanato dalle pratiche religiose dopo che ebbe distrutta la sua famiglia.

Dapprima perse la figlioletta unigenita Diana, che non aveva ancora compiuto i nove anni. Era il 15 di maggio del 1919 ed era nata l'1/6/1910. Una bellissima bambina, pacioccona, con capelli lunghi fino alla schiena. I più attribuiscono la sua morte alla « spagnola », anzi pare sia stata l'ultima vittima di questa epidemia, nel nostro paese.

Due anni dopo, precisamente il 28/4/1921, fu la volta della moglie, una fiorentina nata il 26/9/1878.

Nonostante ciò, se una persona era sul punto di morire, non esitava a dire ai familiari: « Andè a ciamä ul pred, nè! » (« Andate a chiamare il prete, mi raccomando! »).

Le sue ricette per i malati erano: vitamine (non c'era altro) e un « pan tridin, lali, lali » (« un pan cot, rari, rari »), ossia del pane cotto, molto brodoso (in tale occasione si comperava « ul quatar co », un pane bianco).

Se il Dott. Piccinelli aveva un difetto, era la sua poca vista; dovendo cucire delle ferite, pare fosse proprio un disastro.

Per tale difetto, si raccontano anche degli aneddoti, come quello che una volta nell'andarsene dall'abitazione di una sua paziente, scambiò il suo cappello (Piccinelli portava sempre guanti bianchi e cappello) con quello piumato della donna, appeso accanto. Da allora quando lo si vedeva arrivare per strada si diceva: « È arrivato l'ambasciatore con la piuma sul cappello ». In passato, quando lo si chiamava in una casa, gli si spalancava il portone del cortile in segno di attenzione e rispetto.

Prima di morire il Dott. Piccinelli ebbe il merito di essere insignito di medaglia d'oro al valor civile (12 novembre 1950). Moriva di vecchiaia il 5 dicembre 1961 all'età di 84 anni.

A lui, quale benefattore di Lonate, è stata dedicata una via del paese, la stessa che fiancheggia la sua abitazione.

In occasione del 25° anniversario della morte del Dott. Camillo Piccinelli oltre al giudizio di alcuni anziani lonatesi, abbiamo voluto sentire anche quello di un medico a lui legato, oltre che dalla professione, anche da amicizia: il Dott. Adolfo Sgro.

Vi riportiamo qui sotto quanto ha scritto in merito, ringraziandolo per la sua cortese e sollecita collaborazione.

« Il ricordo del compianto Dott. Camillo Piccinelli, medico condotto di Lonate Pozzolo, si rivolge principalmente alla sua alta e qualificata pratica professionale.

Dopo una profonda e rigorosa preparazione sia Universitaria che presso 1'Ospedale Maggiore di Milano, ha profuso la sua attività medica agli abitanti di questo paese con una assidua, sapiente e premurosa cura.

Tutti i Lonatesi che hanno vissuto in quel periodo lo ricordano come l'autentico "medico di famiglia":

La sua completa dedizione alla professione, e i suoi umani rapporti con i cittadini sono da ricordane come l'espletamento di una missione, in tempi in cui il medico del paese doveva intervenire anche in tutte le branche specialistiche della medicina, ed anche apportando la sua consapevole opera nelle difficoltà familiari di quanti chiedevano a lui un consiglio, una comprensione.

È stata encomiabile la dedizione dell'Amministrazione Comunale del tempo di intestare al suo nome la via della sua abitazione. »

La targa della via dedicata a Camillo Piccinelli

La targa della via dedicata a Camillo Piccinelli

 


IN RICORDO DI PAOLINA ZARO

 

Dopo aver citato il dottor Piccinelli, mi sembra giusto citare un'altra personalità lonatese del "Secolo Breve", ricordata tuttora da molti compaesani. Il 20 marzo del 2009 è ricorso infatti il 20° anniversario dalla morte della maestra Paolina Zaro (1905-1989), una personalità che ha lasciato un ricordo indelebile nella comunità di Lonate Pozzolo. La sua figura è ancora oggi esempio, nella comunità lonatese, di una grande passione educativa, espressa innanzitutto attraverso il suo amore per la cultura e coltivata attraverso una poliedricità di espressioni.

Nata il 3 novembre 1905, è stata maestra elementare per circa quarant'anni; viene ricordata come una persona dalla spiccata personalità, dedita all'insegnamento con grande generosità e spirito d'iniziativa. Agli alunni incuteva rispetto riverenziale, sia per il suo rigore che per la passione per gli esperimenti scientifici. Insieme alla missione educativa, che ha praticato con passione crescendo intere generazioni di lonatesi, la maestra Zaro coltivava una vastità di interessi: dai lavori di decorazione su ceramica e rame alla raccolta di erbe: ricordiamo il suo Erbario, attualmente sito presso la Biblioteca di Samarate, che arrivò a comprendere 3000 esemplari, taluni dei quali risalgono alla seconda metà dell'Ottocento: una collezione davvero invidiabile. Gran parte degli esemplari provengono dal territorio varesino, dal Campo dei Fiori, dalla brughiera e dalle zone dell'attuale Parco del Ticino, ma vi sono comprese molte specie colte in orti botanici, sulle montagne dell'arco alpino e perfino in California, in occasione di un viaggio a San Rafael, dove si recò per prendere contatti con gli emigranti lonatesi. I fogli recano tracce di contatti con collezionisti, tra i quali quella singolare figura di don Carlo Cozzi, vissuto a San Macario. Altri esemplari, segnalati in rosso, le furono donati da don Carlo Gnocchi, aggiungendo forse un aspetto non del tutto noto alla personalità di questo benefico sacerdote; vi figurano inoltre quelle inviati dal dott. Carlo Stucchi di Cuggiono, applicati su fogli con l'intestazione a stampa.

La pensione, dopo quarant'anni di insegnamento, le diede ulteriore tempo per le sue ricerche e la consacrò definitivamente net suo ruolo di eclettica e originale intellettuale autodidatta. Il Comune di Lonate Pozzolo, il 24 marzo 1968, la volle madrina all'inaugurazione della Biblioteca Comunale, della quale fece anche parte all'interno del Comitato di gestione. Ancora oggi Paolina Zaro viene ricordata per la generosità con la quale incoraggia allo studio gli studenti. Grazie alla sua generosità, infatti, e stato costituito un Comitato apposito per la gestione dei fondi da lei lasciati in eredità e che, per sua espressa decisione, sono serviti e servono tuttora per aiutare nella prosecuzione degli studi i ragazzi in difficoltà. La brava maestra continuerà così ad insegnare.

Paolina Zaro (1905-1989)

 


I RICORDI DI RICCARDO SIMONTACCHI

(da "La Nona Campana", settembre 2022)

 

Vita lunga, vita attiva, ricca di ricordi, quella di Riccardo Simontacchi, classe 1931. Intervistato, egli ha raccontato molto di sé, del nostro paese, del Varesotto...

Riccardo abitava in via Novara nel cortile del Bazulín (Locati) a pochi passi dalla piazza di Valletta. I genitori lo iscrissero da bambino all'asilo Sormani, che era gestito dalle suore, e visitato in occasioni particolari dagli eredi Sormaní di Milano. Dell'asilo Riccardo ricorda i locali: l'aula, la cucina, la sala grande a vetrate... Ricorda il cestino della merenda che ogni bambino si portava da casa, perché l'asilo forniva solo il primo piatto, di solito la minestra. I giochi erano fatti di niente e di molta fantasia. Mario, suo amico fin da allora, portava spesso una statuina di metallo: la mettevano in cima ad ogni composizione di oggettini di legno tipo Lego. Ricorda una piccola carriola, il suo giocattolo preferito, sulla quale caricava sassolini del cortile. Ricorda quando la ditta di Emilio Bollazzi (Milö) costruì nel cortile dell'asilo la grotta di Lourdes: era l'anno 1935 o 1936.

Poi Riccardo passò alla scuola elementare di via Dante. Quattro anni con la maestra Ida Cavestri (la Barnòrd), la quinta classe con il maestro Lo Cascio, al quale pochi anni dopo avrebbero amputato le gambe per cancrena. La scuola cominciava il 1° ottobre, finiva a giugno, mattino e pomeriggio, con il giovedì libero. Le classi comprendevano fino a 50 scolari ciascuna! La classe terza, perché troppo numerosa, venne sdoppiata e una parte venne assegnata alla maestra Piccoli di Ferno. Delle cose imparate a memoria, Riccardo ripete senza incertezze la poesia dei mesi:

Gennaio mette ai monti la parrucca
Febbraio piccoli e grandi imbacucca
Marzo libera il sol di prigionia
Aprile di bei colori orna la via
Maggio vive tra musiche ed uccelli
Giugno pone i frutti ai ramoscelli
Luglio taglia le messi al solleone
Agosto avaro tosto le ripone
Settembre i dolci grappoli arrubína
Ottobre di bei profumi empie la tina
Novembre ammucchia aride foglie in terra
Dicembre ammazza l'anno e lo sotterra.

Erano quelli i tristi anni del Fascismo. Si dava importanza alla divisa, agli slogan, allo sport, ai premi. E almeno un premio, un libro, lo vinse anche Riccardo. La divisa dei maschi comprendeva la camicia nera con una M sul petto, foulard al collo, berretto con fiocco pendente, calzoncini. Sui muri trionfavano a caratteri cubitali le pompose frasi di Benito Mussolini. D'estate, vicino alla scuola, funzionava la colonia elioterapica. Una larga striscia di sabbia era stesa in fondo al campo di calcio: dava l'illusione di essere al mare. Si facevano esercizi di ginnastica sotto la guida delle vigilatrici.

Ma i ragazzi preferivano i giochi liberi nella piazza di Valletta, che in quegli anni venne "rizzata" (selciata) e vide la sistemazione della colonna con la croce. I giochi praticati erano quelli della tradizione: lipa, baia, bandera, nascondino. La baia, cioè la palla, era di pezza: simulava il pallone di calcio, e si giocava a piedi nudi. Con la lippa si rischiava di fare danni alle persone: Riccardo colpì al capo un vecchietto con la scheggia volante, e da allora decise di non praticare più quel gioco. Dalla piazza si passava facilmente ai vicini campi della Mariàna per cogliere more e funghi, mentre per raccogliere castagne o rottami di aerei caduti si raggiungevano i boschi più lontani del Muriàn dove c'era il cippo in ricordo del general Beltrame. I gelsi della Mariàna purtroppo diventavano insufficienti protezioni quando sopraggiungevano improvvisi bombardamenti in tempo di guerra.

Appena finita la scuola, Riccardo fu preso come garzone dalla ditta Locati: aiuto imbianchino per 15 giorni. Ma quello diventò il mestiere di tutta la sua vita: imbiancare, tinteggiare, colorare, dipingere (la sua casa è piena di quadretti). Il lavoro io obbligava a fare uso frequente della bicicletta, il che lo portò naturalmente all'ambiente del ciclismo sportivo: a 17 anni lo tesserò la Ciclistica Crennese per la categoria Allievi.

 

Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.

 

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