UL SAS PASTÛR

(da "La Nona Campana", ottobre 2006)


La passione di Ambrogio Milani e Cesare Barzaghi per tutto ciò che riguarda la storia di Lonate Pozzolo mi ha permesso di aggiungere un'altra pagina al mio sito. Stavolta protagonista delle loro ricerche è una stele di pietra...

 

DUE ANNOTAZIONI NEL REGISTRO DEI MORTI

18 maggio 1771

"Matteo, figlio di Bartolomeo Petroboni di Vione, morse in Stato di Milano colpito da una saetta in campagna di Lonate Pozzolo senza sussidio de sacramenti. Ivi fu sepolto il giorno seguente nel cimiterio o nella chiesa del luogo sudetto, in età sua d'anni 16."

1771, addì 19 del mese di maggio.

"Matteo Pietro Buoni figlio di Bartolomeo, del luogo di Vionne Valcamonica diocesi di Brescia, colpito dal fulmine vicino alla cassina Grasca, membro di questa cura di Lonate Pozzolo, è passato all'istante da questa a vita migliore in età d'anni 16. Fatte le esequie da noi curati coll'intervento dei RR. sacerdoti di questa cura, è stato sepolto il di lui cadavere in questa chiesa parrocchiale di S. Ambrogio nel giorno soprascritto.
In fede prete Pietro Cagnoni, curato porzionario."

Cosi sono annotate nei Registri dei Morti, rispettivamente delle parrocchie di Vione e di Lonate Pozzolo, la morte e la sepoltura di Matteo Petroboni, un pastore sedicenne di Vione, giunto dalla Valcamonica a Lonate con un piccolo gregge e qui ucciso da un fulmine in località Grasca, nei pressi dell'attuale Cascina Caldarona.

Ne rimane a testimonianza una stele di sasso, il cosiddetto Sas Pastûr, cioè la pietra che ricorda la morte di un pastore, posta in un bosco a fianco della strada di Tinella. La stele reca una croce in rilievo e, incisa, la seguente epigrafe:

"1771, anni 16. Il fulmine colpì Pietro Bono con 36 pecore. Pregate".

Domenica 12 ottobre 2008 si è deciso di trasferire la suddetta stele nella Via Crucis, gia cimitero meridionale della chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio, dove molto probabilmente sono stati traslati i resti mortali del sedicenne pastore dì Vione. Ecco una foto del Sas Pastûr nella sua nuova sede e della cerimonia di inaugurazione, alla quale era presente una delegazione di cittadini di Vione, guidati dal sindaco Enrico Ferrari, tra i quali c'erano anche alcuni membri della famiglia Pietroboni, quella dello sfortunato pastorello. Per rendere più realistico il riposizionamento, il Sas Pastûr è stato affiancato da alcuni esemplari di vegetazione tipica della tradizionale brughiera lonatese.

 

La stele (ul Sas Pastûr), a ricordo di Matteo Pietroboni

La stele (ul Sas Pastûr), a ricordo di Matteo Pietroboni

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Un gregge di pecore fotografato di recente presso via de Amicis

Un gregge di pecore fotografato di recente presso via de Amicis

 

VIONE, TERRA DI PECORAI

"Questo paese e simile a quello di Ponte di Legno et li habitanti sono contadini et la maggior parte pegorari... Dalle pecore cavano ogn'anno qualche quanta di denaro, così di lana, come di castrati che vendono et buona parte di loro stanno assenti da questa valle dal principio d'ottobre sino al maggio con le pecore, parte nel territorio Bresciano e parte nel Cremonese et Stato di Milano e poi tornano a casa a maggio dove stanno sino all'ottobrio".

Cosi dichiarava nel 1609 Giovanni da Lezze, podestà di Brescia (cfr. D. Marino Tognali, Attività connesse alla pastorizia: il caso di Vione, "Pastori di Valcamonica", a cura di G. Maculatti e M. Berruti, Brescia, ed. Grafo, 2001). La transumanza delle pecore in pianura era d'obbligo, poiché nelle "contrade di alta montagna è difficile far sussistere il gregge per mancanza di pascoli, senza contare che non vi sono lanifici sufficienti a smerciare la lana".

La morte violenta di Matteo Petroboni non fu un evento isolato, in quanto il "Registro dei Morti" della parrocchia di Vione dal 1634 al 1705 registra 51 morti nel Milanese, 22 nel Bresciano e 21 in altre province lombarde, decessi tutti avvenuti da meta settembre a fine maggio, quindi presumibilmente tutti di pastori transumanti. Tra le cause di morte troviamo: "Morse violentemente nel Milanese", "per ferita alla testa", "annegato nel ramo del fiume Ticino", "punto da animale velenoso".

Dopo le "grandi transumanze pastorali delle pecore lanate di Vione del '600 e del '700", gia sul finire del Settecento la transumanza trovò ostacoli nelle restrizioni imposte al loro passaggio dallo Stato Veneto alla Lombardia, creando così (è detto in un documento del 1795) difficoltà alla "sussistenza per una gran parte della popolazione locale, che non sa come vivere, anzi sopravvivere, con altra attività. Cosi sì danneggiano anche gli altri abitanti, che restano privi del denaro che dall'estero viene portato in paese dagli stessi pastori".

La transumanza dalla Val Camonica andò bruscamente diminuendo agli inizi dell'Ottocento, in quanto i giovani e gli uomini trovarono dapprima occupazione come boscaioli e carbonai, su richiesta dell'industria del ferro in rapido sviluppo, ed anche come scalpellini e, più tardi, nella costruzione delle strade ferrate e nello scavo dei trafori alpini. Come risulta dall'inchiesta agraria del 1884, le poche pecore ancora allevate a Vione venivano ricoverate nei mesi più freddi nelle stalle, assieme ai bovini.

Oggi Vione (Viù in dialetto camuno) è un comune di 740 abitanti della provincia di Brescia, in alta Val Camonica. È posto a ben 1250 metri sul livello del mare, e ha due frazioni: Canè (150 abitanti) e Stadolina (200 abitanti). L'economia del comune è basata sull'agricoltura, sul mercato dell'edilizia (in relazione all'attività turistica) e sul turismo estivo, grazie alla ricchezza naturalistica del territorio. La Val di Canè è ora parte del Parco Nazionale dello Stelvio, mentre Vione fa parte dell'Unione dei Comuni dell'Alta Valle Camonica, assieme ai comuni di Ponte di Legno, Temù, Vezza d'Oglio, Incudine e Monno. Per andare al sito ufficiale del comune di Vione, cliccate qui.

LA STRÁÄ DI BÊR

Del passaggio delle greggi sul nostro territorio rimane come testimone la Stráä di Bêr (ora Via del Gregge), ossia la strada provinciale fra Somma Lombardo e Tornavento. Che essa fosse scelta per la transumanza delle greggi lo giustifica la sua linearità, la lontananza dai centri abitati e, soprattutto, l'essere attorniata da boschi e brughiere, propizie al pascolo delle pecore. Va ricordato che l'utilizzo delle brughiere per il pascolo è attestato anche dagli Statuti Comunali lonatesi del 1496-98.

 


LA COLONIA PENALE DELLA BELLARIA

(da "La Nona Campana", settembre 2019)

 

La "Casa di lavoro all'aperto Bellaria" sorgeva in territorio di Lonate al quarto chilometro della strada da Tornavento a Somma, quella che fino a pochi anni fa si denominava Stráä di Bêr, sul bordo della valle del Ticino. Essa comprendeva il nome del vicino cascinale, appartenente però al comune di Ferno. Nel 1966 ospitava 70 detenuti, che vi godevano una libertà insolita. Essi erano impegnati nelle colture di foraggio su 135 ettari di terreno sottratto alla brughiera, nell'allevamento di 250 capi di bestiame e di 500 polli, nella produzione industriale di apparecchiature elettriche.

I detenuti in questa casa penale provenivano dal carcere milanese di San Vittore e dovevano possedere alcuni requisiti: dovevano scontare ancora una pena non superiore ai tre anni, sopportare lavori pesanti e non avere più di 40 anni di età. Di solito ogni detenuto passava i primi due anni di permanenza nel settore agricolo, il terzo anno nello stabilimento ove si produceva materiale elettrico. Questa casa penale sperimentale e d'avanguardia era dotata di due ambulatori medici e di locali di ricreazione per le ore libere dopo le otto ore di lavoro giornaliero, per le quali i detenuti percepivano una simbolica paga di poche centinaia di lire.

Padiglione dei detenuti, lato posteriore

L'avventura ebbe inizio a dicembre del 1951, la fine a giugno del 1989. In tutti questi anni il complesso ospitò circa 8.000 carcerati. La capienza massima di Bellaria era di 160 persone, oltre naturalmente agli addetti ai vari servizi, militari e civili, alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia. C'era in progetto di costruire altri sette edifici per dar posto ad attività lavorative diverse dall'agricoltura, ma purtroppo come tutte le cose buone in Italia non fu mai realizzato.

Ebbero cura dei carcerati e dell'esperienza di Bellaria il primo direttore dott. Guglielmo De Luca, i successori dott. Pagliericcio, Sarlo, Ferrari, Rocca, l'agronomo dott. Guaitoli, nonché il cappellano don Giovanni Semplici. Nel 1985 i detenuti ricevettero la visita dell'arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, testimoniata dalla fotografia sottostante.

Il complesso comprendeva, oltre al padiglione dei detenuti, la palazzina d'ingresso, quella dell'agronomo, quella degli uffici amministrativi, quella delle guardie carcerarie, quella del cappellano, il palazzo a più piani con funzioni di laboratorio di materiale plastico, i moderni e funzionali silos contenenti tonnellate di granaglie prodotte nei numerosi ettari di terreno disboscato e coltivato, le grandi stalle con bovini, ovini e animali da cortile, coperte fino a due metri di altezza con piastrelle di ceramica, la disponibilità di acqua corrente e di attrezzi desiderati nelle migliori fattorie agricole d'Europa.

Più di una volta, al ricorrere della Befana, su proposta di don Angelo Maffioli i giovani di Lonate capaci di intrattenere con musiche e sketch si esibirono sul palco del complesso per allietare i detenuti. Nell'occasione capitava che qualche detenuto raccontasse la sua odissea.

A maggio del 1996, dopo demolizioni parziali, fu completata la demolizione di quello che restava del complesso per fare posto a Malpensa Duemila. Comprensibile lo sdegno di don Giovanni, per trent'anni cappellano della Bellaria e contemporaneamente parroco di Vizzola Ticino. Ma, come detto, in Italia tutte le buone idee tramontano troppo presto.

Incontro del cardinal Martini con i detenuti nel 1985

 

Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.

 

Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia antica di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.


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