De Bello Dacico

di Falecius


Prima di essere assassinato, secondo alcune fonti, Cesare progettava di invadere non la Partia ma la Dacia, dove il re Burebista aveva fondato un piccolo impero comprendente Romania, Moldova, Slovacchia, la maggior parte dell'Ungheria, la metà settentrionale della Bulgaria e parte dell'Ucraina occidentale. La base per l'offensiva doveva essere la Macedonia: è quindi probabile che la sua direttrice sarebbe stata lungo la Morava, per poi passare il Danubio e risalire la Tisza ed il Mures fino alla capitale dacica, Argedava in Transilvania. Solo dopo essersi sbarazzato della potenza dacica (i Daci erano arrivati a razziare la stessa Macedonia e si stavano espandendo verso l'Illiria), Cesare avrebbe attaccato i Parti.

Il POD, ovviamente, è che Cesare sopravviva alle Idi di Marzo.

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De Bello Dacico

Nell'aprile/maggio del 44 a.C., alla testa di una decina di legioni, Cesare avanza attraverso l'attuale Serbia, sottomette i Dardani, i Moesii e gli Scordisci, giunge presso Belgrado, entra in Dacia e piega verso Occidente, risalendo la Sava. Sul lago pannonico (il nostro Balaton) si ricongiunge alle sei legioni che Marco Antonio ha guidato da Aquileia attraverso le nostre Slovenia e Croazia, sconfigge i Daci, i Boi ed i Pannoni, passa il Danubio presso la nostra Esztergom, e sverna nel paese dei Cotini, che si sottomettono pacificamente a Roma.
Nel 43, Cesare muove contro i Carpodaci, li annienta ed affronta poi l'esercito imperiale di Burebista, che tenta di bloccargli il passaggio dei Monti Apuseni per salvare il cuore del regno. I Daci vengono battuti duramente, le legioni entrano in Transilvania e assediano Argedava. Antonio viene inviato al di là dei Carpazi, svernando presso Iasi.

Nella primavera del 42, Argedava cade. Burebista, pur di non cadere prigioniero dei Romani, si suicida, assiema a buona parte dei suoi più alti dignitari, ma molti nobili e capi daci si sottomettono a Cesare, che prosegue senza incontrare serie resistenze verso sud lungo l'Olt, fino al territorio degli Apuli, in Valacchia, che sconfigge: ridiscende il Danubio fino alla foce, ricevendo la sottomissione perlopiù pacifica dei popoli della pianura valacca dall'Emo al Delta del Danubio e delle città greche sulla costa del Mar Nero. Antonio si ricongiunge con lui dopo una vittoria sui Basterni, discendendo il Siret.

Nel 41 Cesare attacca i Costoboci, l'ultima grande tribù di Daci non soggetta a Roma, e riceve la sottomissione dell città greche di Olbia e Tyras. I Costoboci chiamano in aiuto le due grandi tribù sarmate degli Iazigi e dei Roxolani. Cesare distrugge l'esercito alleato dei basterni, dei Daci liberi, dei Sarmati e degli Sciti presso l'odierna Tiraspol sul fiume Tyras (Dnestr), avanza ancora verso est e arriva ad Olbia dopo aver distrutto un altro esercito sarmato ed aver sottoscritto con questi una pace: agli Iazygi sarà consentito stabilirsi in Dacia, come sudditi di Roma, nell'odierna Bessarabia, sul Delta del Danubio e in Dobrugia; i Roxolani accettano di ritirarsi ad est del fiume Hypanis (il Bug meridionale) che rappresentava il confine dell'impero di Burebista.

Mentre si avvia verso Dionisopoli lungo la costa del Mar nero, Cesare riceve la notizia che Sesto Pompeo si è impadronito della Sicilia e ha sconfitto ed ucciso Marco Emilio Lepido a Messina. la rivolta Pompeiana guidata da Sesto si estende a Sardegna, Corsica, Spagna ed Africa.

Il dittatore fa ritorno alle Porte di Ferro sul Danubio, inviando Antonio a Brindisi attraverso la Macedonia per difendere l'Italia dai pompeiani.

Nel 40 attacca e sottomette i Dalmati, (nell'attuale Bosnia) l'ultimo popolo indipendente da Roma nella penisola balcanica, procede verso Nord, rientra nella Gallia Cisalpina dopo aver fondato le colonie di Sirmio, Siscia ed Emona dove insedia veterani della guerra civile e della guerra dacica, sottomette i Tridentini ed i Venosti, riceve truppe ausiliarie dal regno dei Taurischi nel Norico, e raggiunge Rimini, dove, saputo della vittoria di Antonio a Taormina e del ritiro di Sesto dalla Sicilia orientale, decide di svernare. Nel frattempo Sesto, indebolito in Sicilia, si rafforza in Africa, dove conquista il regno di Bocco, re di Numidia e Mauretania. Il fratello di Bocco, Bogud, re della Mauretania Tingitana, è nel frattempo attaccato dai Getuli Baniuri, alleati di Sesto, riesce a respingerli ma non a soccorrere il fratello. Nel 39 Cesare, dopo aver celebrato a Roma il trionfo su Daci, Dalmati, Basterni e Sarmati, passa in Sicilia, raggiungendo Antonio. Marco Vipsanio Agrippa, un giovane ufficiale distintosi in Dacia, strappa ai pompeiani la Corsica e i principali porti sardi, e si impegna in una lunga campagna terrestre e navale per riprendere il controllo delle due isole. In Sicilia Sesto è sconfitto a Nissa (Caltanissetta) e fugge con il grosso dell sue truppe in Africa, inseguito da Cesare, mentre Antonio assedia Panormo e Lilibeo, riamste pompeiane. Prima della fine della stagione di operazioni, mentre Agrippa, domata la Sardegna, occupa le Baleari, la Sicilia è tornata a Cesare che sverna a Teveste (in Tunisia) e si prepara a ripercorrere il tragitto già fatto durante la guerra civile, da Tapso a Munda. Bogud è nel frattempo stato sconfitto e fatto prigioniero dai pompeiani, che consegnano a Giarba, re dei Baniuri, il grosso del suo regno. Tuttavia, la città di Tingis si ribella e si proclama città romana fedele a Cesare.

Il dittatore espugna Cirta, riprende la Mauretania, poi attacca i Baniuri, li sconfigge e fa del loro regno (il nostro Marocco) la provoncia di Gaetulia. Sesto si ritira in Spagna con le poche truppe rimastegli, dopo aver fatto uccidere Bogud e tutti i prigionieri per attraversare lo Stretto, e tenta di fomentarvi una rivolta, ma ottiene scarso successo: gli Iberi ricordano bene Ilerda e Munda.

Cesare lo insegue ma non riesce ad affrontarlo e sverna nella Betica,dove lo raggiunge Agrippa. Solo nel marzo del 38 ad Italica (Siviglia) i pompeiani sono definitivamente battuti; Sesto viene messo a morte. Cesare risale la Spagna verso nord, assale e sottomette, ne corso dell'estate, gli ultimi popoli liberi della penisola: Asturi, Gallaeci, Cantabri, Vasconi che annette alla Tarraconese. Entrato in Gallia, la attraversa e trascorre l'inverno a Marsiglia, preparandovi una offensiva destinata a sottomettere i Salassi, i Poenini e gli altri popoli alpini che ostacolano le comunicazioni tra Italia e Gallia. Questa operazione ha successo: Cesare dalla gallia e Antonio dall'Italia, in solo anno, ottengono la sottomissione di tutti i popoli dell'area, inclusi i Lepontii ed i Camuni, che vivono nelle valli più ad est. Quando in ottobre il dittatore rientra a Roma, è carico di bottino, di schiavi e di gloria. Tuttavia il padrone di Roma sente ormai il peso dei suoi sessantatré anni. Pur essendo ancora nel pieno delle forze, teme di non essere in grado di concludere da solo lo scopo che glia sta più a cuore: la campagna contro i parti, che hanno approfittato dell'impegno militare di Roma a Nord e a Ovest per estendere la loro influenza su Armenia, Bosforo ed Albania, e per favorire l'ascesa di un usurpatore, Archelao, al trono di Cappadocia quando l'ultimo re della dinastia locale, Ariobarzane, muore nel 37. Inoltre Asandro, il re del Bosforo, marito di Dynamis figlia di Farnace del Ponto, si dimostra degno successore della tradizione di Mitridate, Tigrane e Farnace stesso: cercando di evitare lo scontro diretto con Roma, rafforza però il suo potere sulla Sindica, la penisola di Taman, sottomette i Tauri ed estende il regno sulle rive settentrionali e orientali del Punto Eusino e della Palude Maeotide, dalle foci del Boristene ai Monti Pontici, espellendo i Roxolani dalla costa, annettendo il paese degli Heniochi e degli Abasgi e la Colchide, e sconfigge i Soani (Svaneti), gli Zygii (Adygeti?), gli Iberi (Georgiani) e i Cerceti (Circassi?). Nel 36 Asandro ha abbastanza potere prestigio da rappresentare una minaccia per Deiotaro, re dei Galati e principale alleato di Roma in Oriente. Cesare decide di combattere quella che, grazie al matrimonio tra l'usurpatore del Bosforo e la nipote di Mitridate, la propaganda romana farà passare come quarta guerra mitridatica.

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De Bello Parthico I

Cesare giunge in Asia nel 36 e per prima cosa si occupa di Archelao, lo depone e lo fa uccidere. I Cappadoci, già stufi dei suoi pochi mesi di governo arbitrario e dispotico, accolgono Deiotaro, scelto da Cesare come loro nuovo re, a braccia aperte.

E' il turno di Asandro: Cesare avanza nel Ponto e occupa la Colchide, sconfigge gli Abasgi ed i Soani e nel paese di questi ultimi, assieme ai re alleati (Deiotaro ed i sovrani di Licia, Cilicia Trachea, Zyx ed Iberia) incontra un ambasceria del re del Bosforo. Questi fa atto di sottomissione a Roma e cede la Colchide alla Res Publica. Rinuncia inoltre ad ogni pretesa sul Ponto orientale, che entra nei domini di Deiotaro. Istituita la provincia di Colchide e trasformati Bosforo, Iberia (Kartli) e Zyx (la nostra Kabardino-Balkaria) in regni clienti, Cesare può discendere il fiume Cyrus, entrando in Armenia dove depone l'infido re locale Artavasde, e insediando al suo posto il figlio minore, Tigrane, di tendenza filoromana. Un altro Artavasde, re della Media Atropatene, stringe allora alleanza con Roma, abbandonando i Parti e gli offre aiuto conto gli Albani, stanziati nel nostro Azerbaigian ed alleati di Pacoro re dei Parti. Cesare espugna Tabala, capitale della confederazione albana, e ne spartisce il paese tra Iberia, Armenia e Atropatene, per poi raggiungere il Caspio e svernare sulle sue rive, presso l'attuale Baku.

Nel 35 Cesare comincia la campagna contro i Parti, assistito da un esercito che sotto il comando di Ventidio Basso passa l'Eufrate dalla Siria mentre il grosso delle truppe romane attraversa indisturbato l'Atropatene per andare incontro a Pacoro.

La battaglia si svolge presso Urmia e termina con una schiacciante vittoria di Cesare, la morte del re dei Parti, cui segue una guerra civile tra di loro, che oppone i sostenitori del filoromano Tiridate e di Fraate, antiromano. Mentre i parti si combattono tra loro, Cesare invade e conquista l'Adiabene, la Corduene e la Mygdonia, per poi discendere il Balikh e ricongiungersi con Ventidio; insieme conquistano l'Osroene e discendono rispettivamente il Tigri e l'Eufrate. Prima della fine dell'estate, Cesare entra nella capitale occidentale dei Parti, Ctesifonte, tenuta dei sostenitori di Fraate; quindi procede fino a Charax sul Golfo persico e all'inizio del 34 prende Susa, capitale dell'Elimaide dove impone un re cliente di Roma. Il tracollo partico è totale, e Tiridate negozia una pace con Roma, che gli garantisce la sovranità sui Parti ma anche la completa indipendenza, in cambio della Mesopotamia: Cesare si rende conto di non poter fare della partia un semplice regno cliente. Lasciando Tiridate a sbarazzarsi di Fraate, ormai debole e screditato, Cesare lascia Ventidio a difendere la Mesopotamia (organizzata in tre province: Assyria ad est del Tigri, Mesopotamia tra Tigri ed Eufrate, Chaldaea nella zona a sud di Babilonia). Nel sito della antica babilonia, ormai decaduta, fonda una colonia romana di veterani, Babylonia Ceasarea Praetoria, per la quale desidera (e ordina) un progetto grandioso. Quindi rientra in Siria.

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De Bello Arabico I

Nel 34, Cesare è in Siria, dove viene raggiunto da emissari di Cleopatra: questa gli chiede di intervenire contro Malichus, re dei Nabatei, che ha sostenuto Antigono, pretendente al trono di Giudea, contro il filoromano Erode. Cesare discende dunque in Celesiria, annette Emesa, prende Damasco, Calcide, Gerasa e Filadelfia, e con l'aiuto di Erode pone l'assedio a Petra, capitale dei Nabatei; l'Egitto con un esercito sostiene le operazioni romane da ovest. La caduta di Petra, resa possibile dalla macchine d'assedio romane e dalle truppe ausiliarie cammellate che Cesare ha reclutato a Palmira e in Caldea, segna la fine dello stato nabateo, che viene diviso tra la nuova provincia romana di Celesiria e l'Egitto, che riceve il Sinai, Petra, Hegra e Filadefia.

Cesare si reca dunque a Gerusalemme; ma trova il re dei Giudei infido e crudele. Forte delle sette legioni che lo seguono, e del sostegno di Cleopatra, lo depone; buona parte dei Giudei, tra i quali il re è poco popolare e percepito come un usurpatore a causa della sua origine straniera, accoglie l'azione con favore; un piccolo esercito in suo appoggio viene facilmente sbaragliato presso la Torre di Stratone; la località diventa sede di una colonia romana, Cesarea.

Idumea, Perea e Gaza passano all'Egitto, Scytopoli e la Galilea sono annessi alla Celesiria; Giudea e Samaria passano a Tolomeo Cesare, il giovane principe figlio di Cesare e Cleopatra, che diventa il nuovo re dei Giudei. Sistemate le cose in Siria e Palestina ed eliminati i regnicoli locali, nel 33 Cesare si reca da Ailana sul mar Rosso: in questo modo segna simbolicamente l'estensione del potere di Roma in Oriente fino al mare (anche se la costa è in realtà territorio egiziano) e, di lì, ad Alessandria.

Qui si imbarca con Cleopatra e Cesarione per l'Italia, lasciando in oriente gran parte delle legioni (ai veterani è assegnata terra nelle colonie di Cesarea, Babylonia, Berito, ed alcune altre). Lo seguono rappresentanti di Rodi e dei regni di Licia, Galazia, Iberia, Bosforo, Armenia, Commagene, Cilicia Trachea, Sophene, Elimaide, Atropatene, Zyx, che portano la sottomissione dei rispettivi stati al potere romano, e un ambasciatore di Tiridate di Partia. Il trionfo di Cesare nel 33 a Roma è un evento senza precedenti per gloria e magnificenza: il bottino del tesoro reale partico saccheggiato a Ctesifonte è incredibile, per non parlare del numero di schiavi, delle altre ricchezze, delle terre assegnate a proletari romani e veterani in Oriente, in Africa, in Spagna, in Dacia e sulle Alpi.

Cleopatra d'Egitto e Arabia e Tolomeo Cesare di Giudea figurano accanto al dittatore romano sul carro. Se egli non osa ancora imporre alla Res Publica di essere chiamato re, è tale a tutti gli effetti.

Negli anni della sua assenza, a Roma sono stati consoli Marco Antonio e Vipsanio Agrippa: inizia inoltre a farsi strada nell'Urbe il nipote e figlio adottivo del dittatore, Ottaviano. Tra questo e Antonio corre una certa ruggine: mentre Agrippa sostiene senza riserve Ottaviano e non ha ambizioni proprie, gli altri due aspirano a succedere alla dittatura.

Agrippa, con la benedizione di Ottaviano e Cesare, si è distinto nel reprimere rivolte nelle Alpi, in Dalmazia ed in Pannonia; mentre Antonio ha ottenuto una vittoria sui Reti nel 34; vittoria che Cesare intende sfruttare. ordina di riunire un esercito nell'inverno del 33-32 a Milano, mentre a Roma si occupa di affari correnti, prosegue i suoi progetti di riforme popolari, ordina la fondazione di colonie, concede la cittadinanza ai provinciali, e inizia a sondare la possibilità di integrare la Gallia Cisalpina nell'Italia.

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I popoli d'Europa citati nel testo (grazie a Falecius)

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De Bello Suebico

La stagione di operazioni del 32 inizia con un'offensiva contro i Leponzi; poi le legioni passano nelle valli dell'Oenus, della Aare e del Reno, sconfiggendo separatamente i tre principali gruppi di Reti e riunendosi al lago di Costanza. Passato il Reno, entrano nel paese di Vindelici, che in parte chiedono l'aiuto di Roma contro i Suebi e si sottomettono a Cesare senza combattere; altre tribù vindelicie vengono sconfitte. Cesare sverna in quella che diventerà la colonia di Castra Vindelicorum, la nostra Augsburg, passa il Danubio e sconfigge duramente gli i Suebi nel loro territorio; dopo la vittoria, permette agli Usipeti, agli Hermunduri ed ai Tencteri di insediarsi sotto protezione romana a sud del Meno; una parte dei Suebi migra in Boemia, dove diventeranno noti come Marcomanni (uomini della frontiera); altri accettano di rimanere nella nuova provincia romana di Vindelicia. In Boemia intanto i Marcomanni, a cui si sono uniti i Vandali, i Quadi e altre tribù, si scontrano con i Celti Boi; il re dei Celti Taurischi del Norico, alleato di Roma, interviene a sostegno dei Boi, col consenso di Cesare, che sta risalendo l'Oenus verso il Brennero e pacificando le piccole popolazioni locali non sottomesse. La notizia della morte del re dei Taurischi per mano di un esercito di Vandali e Suebi lo raggiunge a Iuvavum, la nostra Salisburgo. Rinunciando a rientrare in Italia, Invia due legioni sotto Agrippa a Noreia, capitale dei Taurischi, a prendere il controllo del regno, mentre lui ripassa il Danubio, affronta e sconfigge un'avanguardia marcomanna e si ricongiunge ai resti delle forze celtiche di Boemia.

In marzo, avanza a nord, sconfigge i germani sul fiume Naab, ma permette ai Marcomanni e ai Quadi, sconfitti, di stanziarsi nella parte meridionale della Boemia e nel Norico; i Vandali sono invece ricacciati a nord dei monti di Asciburgo (i Sudeti) e costretti a pagare un tributo. Boiohemia e Norico diventano province. Ritornato a sud del Danubio, sconfigge una ribellione di Pannoni, Taurischi ed Histri presso Virunum, arriva a Tergeste e da lì, alla fine di ottobre, arriva a Roma, cui ha conquistato quatto province: Norico, Raetia, Vindelicia e Boiohemia. In questo modo assicura la frontiera settentrionale dell'Italia e il potere romano praticamente su tutta l'Europa: in particolare, tutti i popoli celtici del continente sono sudditi di Roma. La frontiera Reno-Meno-Sudeti-Carpazi-Dnestr-Bug meridionale separa la Res Publica dal Barbaricum, abitato principalmente da Germani e Sarmati.

Cesare ha ormai settant'anni e ha compiuto tutto ciò che desiderava: annuncia che d'ora in poi non ci saranno spedizioni di conquista, se non altro perché è rimasto ben poco da conquistare.

Si dedica alle riforme, promuove la fondazione di colonie in tutte le province e concede la cittadinanza a decine di migliaia di sudditi. Riorganizza le città satelliti della Grecia, tranne Rodi (che è unita all'Asia), nella provincia di Achaia. Ripartisce in quattro province la Spagna (Betica, Lusitania, Tarraconese, Asturia) e la Gallia Celtica (Aquitania, Armorica, Belgica, Lugdunese). Le Alpi Cozie e Marittime vengono annesse alla Narbonese. Nel 29 la provincia della Gallia Cisalpina viene abolita: le Alpi ed il fiume Varo diventano il nuovo pomerium della Terra Italia e tutti i popoli locali, compresi quelli alpini di recente sottomissione come Histri, Venosti e Salassi, ottengono la cittadinanza. Le riforme limitano il potere del Senato e trasformano la dittatura in una magistratura permanente a vita. Nel 27 ad un anziano ma ancora sano e capace Cesare sono conferiti i titoli di Imperator e Princeps.

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De Bello Nubiano

La questione che più preoccupa il vecchio imperatore è la successione, per la quale ci sono principalmente due candidati: il figlio carnale Tolomeo Cesare ed il nipote e figlio adottivo, Ottaviano; questi ha dimostrato grandi capacità politiche, mentre il primo, ancora giovane, ha dimostrato competenza militare in una piccola campagna contro i Lihan, una tribù araba che aveva minacciato la Via dell'Incenso con scorrerie, approfittando della fine del regno nabateo. Tolomeo tuttavia sarebbe percepito a Roma come uno straniero, come re dei Giudei e dell'Egitto prima che imperatore romano e figlio del grande Cesare. Cleopatra si è trasferita a Roma presso Cesare, lasciando la gestione degli affari egiziani al figlio.

Ottaviano ha dalla sua parte l'incrollabile fedeltà di Agrippa, che compensa le sue personali mancanze militari; mentre dalla parte di Tolomeo sembra stare Antonio. Nel 28, di ritorno dalla campagna contro i Lihan, Cesarione riceve la notizia che, i Nubiani hanno occupato File, nell'Alto Egitto. Nel 27 organizza dunque una spedizione, riprende File, ma viene fermato il suo tentativo di avanzare a sud. Amanirena, Candace (regina) di Kush, lancia il contrattacco. Cadono File, Elefantina, Syene; saputolo, Cesare invia Antonio con tre legioni per aiutare l'Egitto. Ma è troppo tardi. Mentre Antonio si trova ancora ad Alessandria, riceve la notizia della disfatta egiziana durante il tentativo di riprendere Syene: Tolomeo Cesare stesso è ferito e morirà d'infezione mentre viene riportato ad Alessandria. Antonio si dichiara reggente e rappresentante di Cleopatra in Egitto, Arabia e Giudea. Riunisce un esercito e fa richiamare un'altra legione dalla Siria. Muovendosi verso sud, riesce a riprendere Syene ed Elefantina, ma non ottiene vittorie decisive.

La morte di Cesarione risolve i problemi di successione: nel 26, un Cesare addolorato e triste chiede al senato di riconoscere Ottaviano come princeps e console a vita, collega dell'imperator, pontefice massimo e pretore, di fatto proclamandolo suo erede.

Muore Deiotaro, lasciando il suo regno al popolo romano. L'ultimo atto di Cesare come imperatore sarà organizzare il paese nelle province di Pisidia, Galazia e Cappadocia. Sempre nel 26, il principe partico Fraate, che era stato sconfitto ed esiliato da Tiridate, guida una nuova ribellione. Ventidio, al comando delle truppe romane nella regione, decide dapprima di aspettare, limitandosi ad inviare a Tiridate rifornimenti ed oro.

Il dittatore morirà l'anno successivo; negli ultimi mesi ha lasciato il governo dell'Impero ad Ottaviano , per ritirarsi di fatto a vita privata assieme a Cleopatra. Alla sua morte, la regina farà ritorno in Egitto, raggiungendo Antonio e riprendendo il governo del paese.

Solo nel 24 Amanirena viene definitivamente sconfitta. La capitale della Nubia, Napata, viene presa e saccheggiata, ed il confine tra i due regni viene spostato a sud. La pace, sottoscritta nel 23 a Dakka in Nubia, imporrà ad Amanirena il pagamento di tributi, anche se leggeri. Antonio celebrerà il trionfo a Roma, dove Ottaviano sta consolidando il suo potere e comincia a temere il generale vittorioso e fedelissimo di Cesare.

Le prime mosse di Ottaviano sono caute: nel 25 una breve spedizione in Africa contro i Getuli Autotoli ed i Marmaridi, svolta dal generale Elio Gallo sotto i suoi auspici, si conclude con una vittoria, resa possibile anche dalla presenza di ausiliari arabi su cammelli: con un atto senza precedenti, Ottaviano celebrerà il trionfo assieme al generale vittorioso.

Non potrà tuttavia imporre la stessa cosa ad Antonio quando nel 23 questi trionfa dei Nubiani.

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De Bello Parthico II

La morte di Ventidio nel 23 dà respiro a Fraate, permettendogli di sconfiggere Tiridate e riportare Elimaide e Atropatene sotto controllo partico. Mentre Tiridate si ritira verso est, cercando ed ottenendo l'aiuto degli Sciti, Artvasde, re spodestato dell'Atropatene, fugge in Cappadocia e chiede aiuto a Roma. Ottaviano è ben conscio dei rischi che una nuova avventura in Oriente potrebbe portare: ma teme che Antonio, che è rientrato in Egitto per stare a fianco di Cleopatra e sta allestendo un esercito, non si sa se contro la Candace o i Parti, gli tolga l'iniziativa.

Inoltre Artasse, alleato di Fraate e fratello di Tigrane III d'Armenia, nel 22 destituisce il fratello e si impone come re del paese; per rafforzare la sua posizione, invade e conquista la Sofene. A questo punto Ottaviano invia il figliastro Tiberio al comando di un grande esercito in Asia minore. Non fidandosi di Antioco, re di Commagene che controlla un passaggio sull'Eufrate, e desiderando il favoloso bottino del suo tesoro reale, Tiberio invade e conquista per primo il suo piccolo regno, annettendolo alla Cappadocia. poi prosegue nella Sofene, sconfigge Artasse e occupa la Corduene, dove trascorre l'inverno.

Fraate, temendo ulteriori disfatte, propone a Tiberio un accordo che riconosca a Roma Elimaide ed Atropatene, e la spartizione dell'Armenia in due regni, uno per Artasse e l'altro sotto influenza romana (morto Tigrane, i romani sembrano voler imporre un certo Artavasde: Tigrane ha un figlio, dello stesso nome, che però si è schierato con i Parti). Ma Ottaviano, pur non volendo forzare eccessivamente la mano, non è disposto a cedere terreno. Ordina ad Antonio di portarsi in Mesopotamia con le truppe arabe ed egiziane e le legioni di Siria. Nel 21 Tiberio invade l'Armenia, occupa Artaxata e cattura Artasse, che viene messo a morte. Tuttavia i parti insediano Tigrane come re d'Armenia e Albania a Tabala, nell'est del paese; le province di Utichene e Orchistene e tutta l'Albania restano in suo potere. Tiberio, preoccupato, si ritira, anche perché in Armenia e Sofene una ribellione ha eliminato Artavasde, reclamando Tigrane come re di tutti gli Armeni, e lo minaccia alle spalle.

Asandro, re del Bosforo, coglie l'occasione per unirsi alla coalizione antiromana, attaccando lo Zyx, cliente di Roma dopo la campagna di Cesare, e la Svanetia, tributaria della provincia romana di Colchide. Tiberio invia contro di lui Polemon, re della Cilicia Trachea, e il nuovo re dell'Iberia, Arsace. Dopo due scontri nel paese degli Abasgi, Asandro sconfigge Polemon (che ha delle pretese sul trono del Bosforo) ed invade l'Iberia.

Mentre Tiberio combatte gli Armeni e invia un legato ad annettere la Cilicia Trachea dopo la morte di Polemon, Antonio gli copre le spalle a sud, attaccando Fraate in Media; la battaglia ha esito incerto ed Antonio si ritira in Mesopotamia, ma le nuove forze romane a sud e l'offensiva scita in aiuto a Tiridate obbligano il Re dei Re ad abbandonare Tigrane al suo destino. Tiberio, domata l'insurrezione nell'Armenia "inferiore", la annette e riduce a provincia, per poi passare in Orchistene, prendere Barda e obbligare il re armeno a ritirarsi a nord del Cyrus.

Nel 19, la situazione in Oriente appare decisamente migliore per Roma. Antonio ha ripreso Susa ed imposto un re filoromano all'Elimaide, Tiridate controlla l'Ircania e Tigrane, assediato da Tiberio a Tabala, si suicida. Utichene, Orchistene, Albania caucasica e parte dell'Atropatene diventano la provincia romana di Armenia Superiore o Caspia. Nel resto dell'Atropatene è reinsediato Artavasde, che sconfigge un esercito partico con l'aiuto di due legioni.

Arsace d'Iberia, tuttavia, è stato ancora battuto e costretto a abbandonare Cachetene, la parte centrale del suo regno, per ritirarsi nella meridionale provincia di Dao. Tiberio decide di sbarazzarsi dell'ultima vestigia dell'impero mitridatico, lasciando Artavasde, di nuovo saldo sul trono di Guzana, ed Antonio, a tenere testa a Fraate. I due si muovono in forze, assediando Ecbatana nel 18, mentre Tiberio scaccia Asandro dall'Iberia e dalla Colchide e forza la Porta dei Sarmati ( il passo del Darial ) entrando nollo Zyx, sconfigge i Cerceti alleati di Asandro ed espugna la capitale bosporana di Phanagoria. Ad Arsace viene restituito il regno, mentre il paese degli Heniochi, l'Abasgia e la Svanetia sono annessi o riannessi alla Colchide. Il vecchio regno bosporano diventa la provincia romana di Cimmeria. Dynamis e suo figlio Aspurgo, ultimi discendenti di Mitridate, vengono inviati prigionieri a Roma, mentre Asandro tenta a Tanais una disperata resistenza, chiamando Samrati, Tauri, Maeoti e Sindi a resistere all'esercito di Roma. Per volere di Ottaviano, Antonio negozia ad Ectabana la pace con i parti. La morte di Tiridate in battaglia nel 17 rende chiaro che la vittoria totale è impossibile, ma Fraate ha collezionato solo sconfitte con la sua politica antiromana. Deve inoltre occuparsi di una rivolta in Bactriana e delle incursioni scite, che la scomparsa di Tiridate non ha bloccato. In cambio del suo riconoscimento come Re dei Re da parte di Roma, e della restituzione della Media Maggiore, egli riconosce tutte le conquiste di Cesare, rinuncia ad Atropatene ed Elimaide ed accetta l'annessione romana dei regni mediorientali. Sulla via del ritorno a Roma, a Zeugma in Siria, Antonio muore. Sembra che stesse preparando una spedizione contro Ilasaro, re arabo di Marsiaba (Mecca).

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De Bello Arabico II

Nel 19 il console Balbo viene inviato contro i Marmarici della Cirenaica ed i Garamanti, li sconfigge con le truppe cammellate e nel 18 celebra il trionfo con Ottaviano. Nel 17, mentre Tiberio si occupa della Cimmeria e, sconfitti Sciti, Sindi e Tauri, entra in Sarmazia (dalla tauride) per stanare finalmente Asandro da Tanais, Ottaviano celebra a Roma il trionfo sui Parti che sarebbe spettato ad Antonio.

Priva del suo protettore, Cleopatra tenta di rafforzare il suo regno collaborando con Ottaviano, lo proclama suo figlio adottivo (secondo l'uso romano) e gli fa dono di Filadelfia. Nel 16 Ottaviano si reca in Egitto per soprintendere alla spedizione, comandata da Balbo, che Antonio aveva progettato contro gli Arabi. La spedizione parte da Leuke Kome, sul mar Rosso, raggiunge Hegra ultima città nabatea indipendente, e la vicina Dedan. Guarigioni egiziane occupano anche l'oasi di Teima e quelle più a nord sulla via dell'incenso, fino a Petra. La popolazione delle oasi arabe di Nugra e Atrulla sono sottomesse e fatte schiave, Ilasaro di Marsiaba viene sconfitto ed ucciso dopo un duro combattimento, le principali tribù della regione pagano tributo. Balbo prosegue verso sud, raggiunge il regno di Mina (nel nord dello Yemen) e ne saccheggia la capitale, Temna. Gli altri re dello Yemen, in particolare il potente re di Saba, che dalla sconfitta dei Minei trae vantaggi, pagano un tributo e fanno atto di simbolica sottomissione a Roma: ambasciatori di Saba, Qataban e Chadramut ritornano con Balbo ad Alessandria nel 15 e sono presentati ad Ottaviano.

Il bottino di Temna e quello di Phanagoria, che Tiberio ha riportato a Roma dopo aver preso Tanais, ucciso Asandro ed assicurato a Roma la Cimmeria, rimpinguano le casse dello Stato, messe a dura prova dalla costosa guerra partica.

Sempre nel 16, mentre Tiberio trionfa a Roma ed Ottaviano consolida il suo controllo sull'Egitto, ormai occupato da tre legioni (una delle quali impegnata a sedare una rivolta dei Marmarici; al suo seguito Ottaviano, imitando Alessandro, visiterà l'oasi di Ammone), il confine settentrionale dell'impero è attaccato. Proprio nel momento in cui la politica di Ottaviano, portando a termine quella di Cesare, ha definitivamente stabilizzato le frontiere meridionali ed orientali, dimostrando ad ogni possibile potenza (Parti, Arabi, Nubiani, Garamanti, Yemeniti, Getuli) la superiorità romana, i Sicambri, i Bructeri, i Batavi ed i Chauci passano il Reno sconfiggendo le legioni del governatore della Belgica, Lelio, che cade combattendo. La sconfitta, per quanto non disastrosa, provoca la rivolta degli Ubii, dei Menapi e dei Treveri, le tribù belghe sul lato romano del fiume.

Druso, fratello di Tiberio, viene inviato ad occuparsene. Già nel 15 ricaccia gli invasori oltre il fiume, e li insegue occupando la Germania fino all'Ems. Questa è la situazione quando Ottaviano celebra il trionfo sugli Arabi a Roma, dopo aver lasciato l'Egitto, ormai, malgrado gli sforzi di Cleopatra, provincia romana in tutto tranne il nome.

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I popoli del Medio Oriente citati nel testo (grazie a Falecius)

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De Bello Sarmatico

Ottaviano ritiene che Roma non abbia ormai che tre nemici esterni e non sconfitti: i Sarmati, i Germani e i Britanni. I Britanni non rappresentano per il momento un problema, i Germani vanno nei limiti del possibile sottomessi, per completare il dominio di Roma sull'Europa, i Sarmati vanno tenuti a bada: proprio nel 15 i Roxolani attaccano sull'Hypanis, mentre gli Alani, pressati verso ovest dagli Aorsi, invadono l'Iberia e lo Zyx, sterminando i Farnabazidi d'Iberia, la famiglia di Arsace. I Costoboci ed i Basterni, all'arrivo dei Sarmati, si ribellano; questo permette ai germanici Sciri di forzare i passi dei Carpazi e devastare la Dacia settentionale e l'alto Tyras.

A combattere i Roxolani e i loro alleati è inviato Tiberio, Domizio Enobarbo è inviato nel Caucaso contro gli Alani: a Druso Ottaviano dà ordine di proseguire la guerra contro le due maggiori tribù germaniche, Chatti e Cheruschi, arrivando se possibile all'Elba, e gli invia due legioni di rinforzo destinate ad attaccare i Chatti dal Meno.

Mentre con i Sarmati Ottaviano opta per una politica di contenimento, limitandosi ad approvare l'annessione dell'Iberia alla provincia di Colchide, e cercando di rafforzare il turbolento stato cliente dello Zyx, in germania il suo obiettivo è almeno l'Elba. Le conquiste "a basso prezzo" che può ottenere in Europa gli servono a compensare il costo della difesa dell'Oriente (anche se per sua fortuna, i Parti hanno adesso altri problemi) e del presidio di zone lontane e poco difendibili come Caspia e Cimmeria.

Enobarbo, sconfitti gli Alani in Svanetia, si allea con due tribù sarmate loro rivali: Serbi e Aorsi, provenienti da est. In particolare offre ai Serbi la possibilità di stabilirsi come alleati di Roma sul basso Tanai (il Don), tra Alani e Roxolani. Poi forza la Porta dei Sarmati e annette lo Zyx merdionale alla Colchide, abbandonandone le regioni periferiche che lascia agli Alani. Nel 13, un esercito, composto in gran parte di ausiliari caucasici e dalla legione deiotarica (formata dalla vecchia fanteria pesante dell'esercito galato) e scortato dalla cavalleria pesante di Serbi, Maeoti e Iazygi, infligge agli Alani una sconfitta nei pressi del fiume Kuban'. Gli Alani, sempre più pressati dagli Aorsi, accettano la pace e si ritirano dal Caucaso e dalla costa del mar Nero; rimane loro soggetta la parte pianeggiante dello Zyx. Enobarbo si occupa allora di domare la rivolta dei Soani, che arroccati sulle loro vette montuose mettono a dura prova le legioni; più ad est, oltre le Porte Caspiche, anche i Lesgi, appoggiati dagli Isceri (i nostri Ceceni) si ribellano. Il generale Romano è costretto a chiedere aiuto proprio agli Alani che saccheggiano l'Isceria e si stabiliscono sui passi caucasici tra questa e lo Zyx romano: qui fonderanno un piccolo regno, l'Alania superiore, che in seguito diverrà nota come Ossetia. Sottomessi i lesgi nell'11, Enobarbo lancia tutte le forze a sua disposizione nell'assedio delle roccaforti Soane di Codoria e Zacameta, situate a quasi duemila metri di altitudine; utilizzando metodi brutali, otterrà la sottomissione della Svanetia nel 9 a.C. Gli altri popoli del Caucaso, vista la spietatezza di Roma verso i ribelli, ed apprezzando la sicurezza che il dominio romano dà contro i saccheggi dei popoli della steppa, neppure provano ad insorgere: anzi, Zygii, Iberi ed Abasgi benficeranno della rivolta occupando parte delle terre di Lesgi e Soani.

Nel frattempo, Tiberio respinge i Roxolani e schiaccia la rivolta dei Basterni, ristabilendo nel 14 la frontiera dello Hypanis, per poi marciare a nord contro Sciri e Navari. A questi ultimi, dopo la sconfitta, è permesso stabilirsi nella Dacia romana e formire truppe ausiliarie: anche grazie a queste, l'ultimo popolo ribelle, i Carpodaci, viene schiacciato nel 12. Sul territorio di Carpodaci e Costoboci sono dedotte le colonie di Iassia (Iasi), Cesarea Tyras (la nostra Tiraspol) Sata Magna (Szatmar) e Cassovia (Kosice). Nel 10 Tiberio passa lo Hypanis, attraversa il paese dei Roxolani saccheggiandolo, mentre questi ultimi sono impegnati a combattere i Serbi sul Tanai, passa il Borystene (Dnepr) e percorre la costa settentrionale della Cimmeria. Nel 9 raggiunge Enobarbo a Phanagoria, dove questi si è recato ad incontrarlo dopo aver debellato i Soani. Qui ricevono gli ambasciatori delle maggiori tribù sarmate (oltre ad Alani, Aorsi, Serbi e Roxolani, gli Achei e dei popoli
caucasici indipendenti (macropogoni, isceri, zygii settentrionali) e di quelli soggetti a Roma, raccolgono i tributi e si preparano a lasciare la regione del Mar Nero.

Tiberio lascia a difesa della Dacia quattro legioni: una nel paese dei Cotini e dei Carpi, una a presidare il passo di Uzhok nel Carpazi contro gli Sciri, una di stanza a Vinda (Vinnica, in ucraina) e la quarta ad Olbia sul basso Hypanis. In Cimmeria restano ugualmente quattro legioni; una di stanza a Tanais, una sul basso Borystene, una a Cesarea Syndica sulla costa della Maeotide (la parte orientale della provincia), la quarta ripartita tra Panticapeo e Phanagoria a presidio dello stretto, della tauride e della penisola di Taman. In Colchide restano invece due legioni, una in Zyx e alla Porta dei Sarmati, l'altra sulla costa, divisa tra Fasi e Dioscoride a sud del Caucaso e Gorgippa a nord nel paese degli Heniochi. Un'altra legione è messa a presidiare le Porte Caspiche nella provincia di Caspia.

Nel 9 la regione del Ponto Eusino risulta dunque pacificata e il Man Nero è un lago romano. A Phanagoria viene istituita, secondo gli ordini di Ottaviano, il comando della terza squadra della Flotta imperiale, dopo quelli di Ostia e Miseno (mediterraneo occidentale ed orientale). A Cesarea Alba Caspica (Baku) è insediata la quarta flotta (destinata chiaramente al Mar Caspio), la quinta, sempre nel 9, sarà organizzata da Druso col comando a Boinonia Belgica (Boulogne sur Mer) con il controllo sulla Manica ed il Mar del Nord, anche in vista di una futura invasione della Britannia.

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De Bello Germanico I

Mentre i grandi popoli sarmati vengono contenuti, senza che Roma tenti di sottometterli, Druso passa l'Ems e annienta i Chauci ed i Chatti, due delle tribù germaniche più potenti. Entro il 13, tutte le tribù più piccole ad ovest del Weser si sottomettono alle sei legioni di Druso. In quell'anno il principe romano passa con quattro legioni il fiume per attaccare i Cherusci.

Quando arriva a dare battaglia sul fiume Fulda, però, si trova davanti una sorpresa spiacevole: invece dei cinquemila guerrieri Cherusci e dei loro pochi alleati, si trova davanti anche settemila fanti e cavalieri ben armati, inviati dal re dei Vandali, il più potente sovrano della Germania, quattromila Semnoni, suoi alleati, e almeno altrettanti tra Angli, Sassoni, Iuti, Longobardi e altri Suebi. Pur preoccupato, tuttavia, Druso è ancora superiore per numero (trentaseimila lance contro le ventimila della coalizione germanica) ed armamenti (solo poche coorti dell'esercito vandalo hanno un armamento pesante che imita quello romano, e manca del tutto la cavalleria pesante). Decide di attaccare. la battaglia è durissima, si risolve in una sconfitta per i Germani, ma non una disfatta: il grosso delle truppe vandale e una parte degli alleati Suebi riesce a ritirarsi in buon ordine, mentre l'avanguardia germanica e soprattutto Sassoni e Semnoni vengono dispersi e subiscono gravi
perdite. I Cheruschi sono battuti, una parte si ritira ad est dell'Elba sotto protezione vandala, quelli che rimangono continuano a resistere ai Romani, praticando la guerriglia con l'aiuto dei Longobardi; solo nel 12 Druso riuscirà con metodi brutali ad assoggettarli.

Ma il generale romano si rende conto che non può confidare nell'Elba: sverna nel paese dei Cheruschi prima di passarlo, nell'11, e raccogliere i frutti della vittoria di Fulda. Juti, Angli, Sassoni, già sconfitti, si sottomettono: è la volta dei Semnoni e dei Longobardi. I Semnoni, perduti il grosso dei loro guerrieri a Fulda, si sottomettono dopo una breve resistenza: i Longobardi, forti del sostegno vandalo, combattono duramente ma non hanno speranza. Druso si ritira ad ovest dell'Elba, organizza la provincia di Germania (tra Elba, Reno e Meno) e di Sennonia (tra Eider, Elba e Sprea), nel 9 ripassa il fiume per attaccare i Vandali, ma non riesce ad attaccare battaglia e ottiene invece una pace di compromesso: il paese dei Semnoni a Roma, quello dei Longobardi rimarrà vassallo dei Vandali, l'Elba e la Sprea rappresentano il confine.

L'8 verrà ricordato a Roma come l'anno dei quattro trionfi: di Tiberio, Di Enobarbo, di Druso e di Sulpicio Balbo, che dal 14 è impegnato a respingere le scorrerie dei Bessi della Tracia, finendo con l'annettere l'intero regno. e ridurlo a provincia nel 9, senza che le altre tribù locali gli oppongano seria resistenza: l'ultimo re dei Traci viene portato con la sua famiglia a Roma e riceve un palazzo sui colli Albani.

La fine della guerra sarmatica libera truppe per ulteriori operazioni: nell'8 Ottaviano (che celebra tutti e 4 trionfi come se avesse vinto lui le guerre, e viene quindi insignito dal Senato del titolo onorifico di Augusto) riduce finalmente il numero di legioni da 48 a 40, assegnando ai veterani terre in Germania, Caucaso, Gallia, Spagna e Balcani, ed istituisce la sesta, settima ed ottava flotta, assegnate a Baltico (sede a Augusta Saxonum), Atlantico (Cadice) e Golfo Persico (Spasinou Charax). . L'8 ed il 7 sono anni di pace, con solo poche scaramucce contro gli Autololi in Africa e alcune piccole rivolte nei Balcani, subito soffocate.

Dal 6, Tiberio viene rinviato in Germania col compito di risolvere il problema Vandalo una volta per tutte. Druso, con tre legioni, lo appoggerà dalla Boiohaemia.

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De Bello Vandalico

Ad ovest dell'Elba i romani hanno un solo accampamento fisso, Augusta Saxonum sul Baltico, base della Sesta Flotta (la nostra Kiel). Sassoni, Angli, Semnoni, le principali popolazioni dell'area, pur essendo teoricamente soggette a Roma, tendono a gravitare verso i Vandali, per i quali la Sprea non è certo una barriera sufficiente. Ma l'apparizione delle legioni di Tiberio e la fondazione di Castra Tiberii (Berlino) li riporta rapidamente all'ordine. I due principi imperiali marciano da nord e da sud contro la capitale vandala di Dersidium (Dresda) e la assediano, molestati dalla guerriglia germanica fuori dai campi. La resistenza vandala si mostra però più forte del previsto; al calare dell'inverno, i due fratelli si ritirano in Boemia e Semnonia rispettivamente, devastano la Vandalia ma senza riuscire a piegarla. Nella primavera successiva, Semnoni e Longobardi si ribellano, impegnando Tiberio a nord. Anche i Rugii ed i Lemovii, mai sottomessi da Roma, prendono parte all'insurrezione. Tiberio li sconfigge alla fine presso il villaggio lemovio di Stadia (Stettino), mentre la Sesta Flotta si occupa di Rugii e Burgundi.

Per assicurarsi definitivamente la vittoria, mentre sverna a Castra Libera (Frankfurt am Oder) Tiberio riceve ambasciatori della confederazione germanico-veneda dei Lugii, che vive ad est dei vandali. A questi Tiberio garantisce l'alleanza con Roma ed il possesso del paese tra Viadrus (Oder) e Vistola, incluse Lemovia e Venedia, ottenendo in cambio la libertà di attaccare i Vandali da est. I Buri, un popolo germanico affine ai Lugii ma politicamente nell'orbita vandala, e stanziato ad ovest dell'Oder, si sottomettono pacificamente alle legioni di Druso che risalgono da sud nell'Alta Slesia. Nel 4, finalmente, le legioni romane riunite e gli ausiliari Lugii e Buri investono Dersidium. I raccolti sono stati insufficienti per i Vandali, a causa delle scorrerie romane, e gli alleati sono stati decimati dalle precedenti guerre. L'oppidum non dispone di riserve né di difensori, e cade prima dell'autunno. Le legioni rientrano al di là dell'Elba, a parte le poche coorti di presidio nei quattro accampamenti della nuova provincia di Germania Ulterior (che include la vecchia Semnonia). Nel 3 tuttavia, due legioni sotto Druso passano l'Elba per combattere ancora Angli, Rugii e Lemovii, assieme agli alleati Lugii, mentre la Flotta saccheggia i villaggi venedi e boruschi sulle coste, lasciando ai Lugii tutto l'agio di conquistare la regione costiera oltre il Viadrus.

Migliaia di vandali e altri germani sono deportati come schiavi in Italia. Il tesoro della campagna consiste soprattutto in terra per i coloni, schiavi e ambra: i popoli germanici dell'Est non hanno molti tesori da offrire. Tuttavia, il commercio con i Lugii attirerà negli anni successivi un certo numero di Italici nelle diverse colonie sull'Oder.

Nel 2 a.C. Augusto potrà dichiarare "Germania Capta": i due soli popoli germanici completamente indipendenti da Roma sono gli Sciri, già sconfitti in battaglia, ed i remoti Gothones ad est della Vistola, oltre alle genti del Nord: Dani, Svioni, Gothi (un altro ramo dei Gothones, rimasto nelle terre d'origine), Alvaringi, Eruli, Juti, Rothi, Suitoni, Norreni. Nello stesso anno muore il re d'Atropatene, Artavasde, a cui succede un certo Farnabazo, che riporta il regno nell'orbita partica senza che Roma intervenga: i costi di una operazione contro il potente vicino sarebbero superiori ai benefici, e la potenza di Roma è già stata sufficientemente dimostrata negli anni precedenti.

Sempre nel 2 muore Cleopatra, senza eredi diretti; lascia Giudea ed Arabia in eredità al popolo romano, ma nel suo testamento non fa cenno al trono d'Egitto. Tuttavia, la legione romana di stanza ad Alessandria e la sua adozione di Augusto dopo la scomparsa di ogni altro concorrente al potere assoluto su Roma sono ottimi argomenti che inducono questi a proclamarsi Faraone. Celebrato il trionfo sui vandali a Roma, si reca ad Alessandria per ricevere la corona dei Lagidi. A contestargliela però arriverà Amanitores, nipote di Amanirena ed erede al trono di Nubia, sostenuta dalla madre, la Candace Amanishakheto, che reclama di discendere dai faraoni della dinastia etiopica degli Psammmetico e di avere quindi più titoli sull'Egitto di un Romano.

La Nubia intende infatti vendicare la sconfitta di vent'anni prima; inoltre confida nel sostegno degli Egiziani posti davanti all'alternativa tra Roma e Meroe. Anche gli Arabi Nabatei si ribellano ad Augusti, chiamando in aiuto le altre tribù del deserto, con un vago appoggio dei Sabei.

Nell'1, Amanishakheto muore e le succedono Amanitore ed il genero Natakamani, che continuano la guerra invadendo l'Alto Egitto fino ad Asiut.

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De Bello Nubiano

Assicurata la situazione in Germania, con i Sarmati tranquilli, Ottaviano può dedicare alla minaccia di Amanitore e alla rivolta araba tutto il potenziale militare dell'Impero, una dozzina di legioni e decine di migliaia di ausiliari, rinunciando ad un nuovo conflitto con la Partia. Per prima cosa occupa, già nell'1 a.C., il Basso Egitto e la Giudea.

Ad Asiut avviene il primo scontro tra ausiliari romani (Sarmati e Lugii) e Nubiani, che occupano la città. Solo quando Druso discende il Nilo col grosso delle truppe romane riesce a far sloggiare il nemici, inseguendolo per qualche centinaio di miglia fino in prossimità di Syene.

Ma questa prima fase della campagna ha fatto sanguinare Roma, al punto che la progettata campagna contro gli Arabi viene rimandata per respingere il nemico principale.

L'1 d.C. vedrà la riconquista romana di Philae, i Nubiani subiscono una dura sconfitta e sono di fatto obbligati a rinunciare alle pretese sull'Egitto. Così, nel 2 Ottaviano, che è rimasto ad Alessandria, ordina di inviare rinforzi in Arabia, lasciando a Druso il piacere di completare la vittoria sui Nubiani saccheggiando Napata, per poi avanzare ancora verso sud e ottenere una vittoria campale.

Nel 3 le truppe romane sotto Enobarbo riprendono Petra ed avanzano fino a Leuke Kome sul mar Rosso. Nello stesso tempo Ottaviano stabilisce ad Arsinoe (Suez) la Nona Flotta, con la quale progetta di attaccare Saba.

Nel 4, con il sostegno della flotta, Enobarbo avanza fino a Gadda (Jedda, presso la Mecca), distrugge Nugra e Taifa, ristabilisce guarnigioni a Teima, Chabra (Khaybar), Dedan ed Hegra, sconfigge gli Arabi Tamudi, Cindi e Coressi (Thamud, Kinda e Quraysh), saccheggia Marsiaba. Poi ritorna indietro con schiavi, tributi e bottino. I Sabei, ricordando la sorte di Temna, rinunciano ad intervenire, e si limitano a preparare un ritorno nell'area dopo l'inevitabile ritiro delle legioni. Intanto sconfiggono Himyariti e Qatabaniti e conquistano il regno di Awsat.

Sempre nel 4, le legioni di Druso, sostenute da truppe cammellate, procedono fino alla confluenza di Nilo ed Atbara, annientando l'esercito principale di Amanitore. Roma ha stabilito rapporti commerciali e diplomatici con Aksum, il potente regno a sud della Nubia, rivale sia di questa che di Saba. Gli Etiopi compiono devastanti incursioni nella penisola di Meroe, il cuore dell'Impero di Kush, a sud dell'Atbara, e permettono a Druso di passare le difese nemiche ed espugnare la stessa Meroe. Nel 5, dopo due anni di guerra, Druso rientra a Syene, e di lì ad Alessandria. Porta con sé ottantamila schiavi, un bottino colossale, ed Amanitore in catene. Il confine romano è stabilito alla seconda cataratta; i Kushiti riescono a riorganizzarsi, ma divisi in due regni: Dongola, a nord, legata a Roma, e Meroe, a sud, la cui dinastia, imparentata a quella di Kush, si imparenta ai re di Aksum e ne diventa vassalla. Il confine tra i due regni è alla quarta cataratta.

Le conquiste romane sono organizzate nelle province di Alto e Basso Egitto (confine ad Asiut), Giudea, Arabia superiore (Petra) ed inferiore (Hegra) ciascuna con una legione tranne l'Alto Egitto che ne ha due. Nel 3, con le truppe liberate dopo la vittoria sugli Arabi, viene occupata parte dell'Atropatene, senza che i Parti reagiscano; il confine viene stabilito sul lago di Urmia. la perdita della clientela dell'Atropatene, con l'annessione di circa un quarto del regno, viene giudicata da Augusto un normale assestamento periferico nei rapporti con una potenza con cui Roma tratta su una base di sostanziale parità, dal momento che non vengono toccati (anzi, si allargano di un po') i confini dell'Impero in senso stretto. Nel 4, un esercito (tre legioni) sotto Tiberio sbarca in Britannia, sconfigge Cantii, Belgi, Atrebati e Trinovanti, per poi rientrare in Gallia senza tentare di consolidare l'occupazione. Nello stesso anno, ha luogo una riorganizzazione amministrativa: il territorio dei Sassoni, degli Angli, dei Teutoni, e parte di quelli dei Cimbri e degli Iuti assieme all'isola di Burgundia, viene organizzato in provincia col nome di Cimbrica, separandolo dalla Germania Ulteriore; questo per dividere il comando delle legioni destinate a combattere Iuti, Cimbri ed Eruli da quelle accampate sul Viadrus al confine con Venedi e Lugii. Nel 5, Tiberio ritorna in Britannia, e stavolta sverna a Londinium, nel territorio dei Trinovanti; Belgi, Atrebati e Cantii accettano il dominio di Roma, nel 6 sono sottomessi Cornii e Trinovanti..

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De Bello Germanico II

Mentre Druso ed Enobarbo celebrano il trionfo ed Augusto con loro, ricevendo gli ambasciatori Parti, Sabei, Chadramuti, Nubiani ed Etiopi, gli ausiliari Sigambri e Cheruschi sotto Tiberio si ribellano, obbligandolo a rinunciare alla campagna contro gli Iceni a ritirarsi a sud del Tamigi. Il capo della rivolta si chiama Arminio (Hermann) ed è il giovane principe dei Cheruschi; dalla sua si schierano tutta la Germania ulteriore, i Cimbri e gli Iuti a nord del territorio romano, i Chatti, i Sigambri, i Suebi, i Chauci. Tiberio riporta rapidamente le sue legioni sulla terraferma, mentre le due sotto il comando dell'inetto Quintilio Varo si ritirano ad est dell'Elba con gravi perdite. Tiberio arriva alle spalle dei Sigambri nel 7, e li annienta prima che il grosso dei germani possa aiutarli.

Ma l'anno seguente, Varo, nella foresta di Teutoburgo, viene sconfitto dai rivoltosi, perdendo quasi un'intera legione e migliaia di ausiliari. E' la più grave sconfitta di Roma dai tempi di Canne.

Tiberio, pur sapendo che la Britannia, non più presidiata, è perduta, richiama da oltre Manica le ultime coorti che vi ha lasciato, e muove contro Arminio. Maroboduo, un marcomanno che, avuta la cittadinanza romana, è salito ai più alti comandi militari combattendo in Sarmazia ed Egitto, lo affianca. Sconfitti i Cheruschi, resi troppo audaci dopo la vittoria di Teutoburgo, Tiberio muove a nord, riprende la Cimbrica ed annienta Angli, Iuti e Cimbri alleati. Maroboduo, passata l'Elba, sconfigge per l'ultima volta quanto resta di Vandali e Longobardi, arriva con due legioni a Castra Libera e qui sverna. Tiberio si trova ad Augusta Saxonum, nel 9 d.C. le due armate si riuniscono a Stadia. Tiberio ripassa in Cimbrica, Maroboduo oltrepassa il Viadrus, Arminio con i suoi ha cercati rifugio nella Venedia, presso i Lemovii. Ma il regno dei Lugii, cha ha dato un certo appoggio alla rivolta, protesta contro l'incursione ed invia contro Maroboduo un esercito. Il Marcomanno vince, percorre, primo tra in condottieri romani, la terra tra Viadrus e Vistola, cattura Arminio e impone ai Lugii un nuovo re nell'11, per poi rientrare in Boemia. Tiberio, per parte sua, allarga nello stesso anno la Cimbrica a tutta la penisola dello Jylland. Entrambi i condottieri riportano schiavi, oro, terra, ambra, gloria.

Nel 9, a seguito della rivolta, una nuova legione arriva in Britannia. Cantii e Belgi si risottomettono a Roma ed il castrum di Londinium viene ricostruito. Gli Atrebati ed i Trinovanti sono sconfitti. Nel 10, Atrebati e Dumnonii ritornano sotto dominio romano. Nell'11, dopo la riconquista della Cimbrica, Augusto invia una seconda legione in Britannia. Nel 13 i Cornii ritorneranno sudditi romani e verrà istituita la provincia di Britannia, tra la Manica ed il Tamigi. Nello stesso anno la Germania fino al Viadrus, inclusa tutta la Cimbrica fino al mare e la Burgundia nel Baltico, sono del tutto riassoggettate. Al di là della frontiera i Lugii sono alleati sicuri ed il loro potere, sostenuto da quello di due legioni romane, di cui una permanentemente installata presso Castra Posita (Poznan, ad est dell'Oder in Polonia) saldo fino alla Vistola e alla San; in questo anno Lugii e Romani sconfiggono da un lato gli Sciri insediati tra Carpazi, San ed Alta Vistola; il loro paese è annesso alla Lugia; e gli Eruli, le cui isole ad est del Chersoneso Cimbrico sono attaccate e saccheggiate dalla Sesta Flotta e da una legione, ma non sottomesse.

Ottaviano Augusto celebra con Maroboduo e Tiberio il trionfo su Germani e Britanni. La rivolta di Arminio ha fermato il suo sogno di conquistare l'intera Britannia e di estendere il potere di Roma fino alla Vistola; i Lugii si sono rivelati alleati indispensabili e troppo potenti, e la vittoria su di loro solo una fortuna temporanea; l'alleanza è stata ristabilita dalla spedizione congiunta contro gli Sciri, da cui Roma ottiene la nostra Podolia (unita alla provincia di Basternia) su cui però esercita solo una vago controllo militare, ed i Lugii la Galizia occidentale. Il 14 ed il 15, ultimi anni del suo regno, vedono solo piccole campagne contro i Cornii e gli Iuti, ancora ribelli.

Morirà nel febbraio del 16, lasciando il titolo imperiale al figlio adottivo, Tiberio.

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De bello Britannico

Tiberio, appena salito al trono, invia il parente Germanico, già distintosi in Germania, ad occuparsi dei Trinovanti a nord del Tamigi.

Germanico li sconfigge e prosegue assoggettando gli Iceni e altre tribù minori, procede e a nord e nel 17 fonda il castrum di Eburacum presso il confine coi Briganti. Nel 18 si scontra con i Siluri nell'Ovest dell'Isola e prende la loro capitale, Isca, poi si accampa a Glevum (Gloucester).

Nel 19, mentre si prepara a sferrare l'attacco all'ultima tribù britannica libera a sud dello Humber, Germanico muore in modo misterioso. Tiberio spedisce in Britannia Lucio Domizio Enobarbo, generale che aveva dato buona prova nella sottomissione degli Juti e nella guerra contro i Lemovii e i Venedi. Prima che questi arrivi,però, gli Iceni insorgono ed i Briganti passano lo Humber e saccheggiano Eburacum.

Lucio arriva a soccorrere le due legioni assediate a Londinium (altre due sono bloccate a Glevum) e nel 21 schiaccia gli Iceni. Respinti i Briganti, recupera Eburacum dove sverna, per poi avanzare nella valle della Mersey distruggendo la tribù di Gwynedd. Disceso il Severn, riunisce le sue legioni a quelle di Glevum, attraversa la Siluria e attacca gli Ordovici, radendo al suolo la loro capitale, Caradiganum. Nel 24 si porta a Castra Lannis, e da lì inizia la campagna contro i Briganti.

Nel frattempo Tiberio cade sotto l'influenza del prefetto del pretorio, Seiano, e sotto il suo influsso fa uccidere diversi familiari accusati di cospirare contro di lui. Nel 26, tuttavia, viene scoperto che lo stesso Seiano cospira per succedere a Tiberio ed è messo a morte.

Tiberio, amareggiato, si ritira in esilio a Capri e lascia al cugino Claudio la gestione degli affari di Roma. Claudio, che non è particolarmente amato, e ha dato qualche segno di squilibrio, mostra però ottime doti di amministratore e riesce a gestire con capacità i problemi militari della turbolenta frontiera sarmatica, dove i Gothoni avanzano nella Sciria orientale e i Roxolani premono su Basternia e Cimmeria. Nel 30, Enobarbo è richiamato dalla Britannia e morirà poco dopo a Roma; la guerra contro i Briganti si è conclusa in un successo che porta il confine romano fino a Castra Nova, sul fiume Tyne. A nord del fiume, oltre ai Briganti, vive un popolo bellicoso e bizzarro, i Picti.

I diversi generali che amministrano le tre province di Britannia Inferior, Britannia Superior e Brigantia compiono diverse incursioni contro i Briganti liberi; inoltre, a Caradiganum, ricostruita come colonia romana nel 29, inizia l'allestimento della Nona Flotta che presidierà il Mare d'Irlanda. Nel 34 viene inviato in Brigantia Caligola, il giovane figlio di Germanico, che mostra eccellenti capacità militari e in tre anni di campagne porta il confine al Firth, soggiogando definitivamente i Briganti.

Nel 35 scoppia un Partia una guerra civile tra Tiridate, filoromano, ed il ribelle antiromano Artabano. Roma ne approfitta per riprendere il  controllo dell'Atropatene imponendovi un re di sua scelta, e occupa alcune località sul confine assiro; ma non invia aiuti sostanziali a Tiridate.

Nel 37, quando Tiberio muore, vi è incertezza. Caligola, impegnato contro i Picti sul monte Graupio, sarebbe l'erede al trono, assieme al giovane Tiberio gemello; Claudio assume la reggenza in attesa che il principe venga informato, anche perché non vede l'ora di lasciare il governo per tornare agli studi di lingua etrusca che ama.

Tuttavia, quando il messaggero che porta la notizia della morte di Tiberio arriva a Castra Nova, trova il campo in lutto: Caligola, sconfitti i Picti sul Monte Graupio, ha passato la catena montuosa,solo per cadere in un'imboscata degli Scoti presso il lago Nessium, assieme a quattro coorti dell'avanguardia.

Claudio dovrà mantenere la reggenza finché Gemello non avrà l'età per governare.

Sua prima preoccupazione è vendicare la morte di Caligola; a questo scopo rafforza la frontiera settentrionale, portandone gli effettivi a quattro legioni, e ordina il potenziamento della Nona Flotta, per punire gli Scoti provenienti dall'Hibernia.

Falecius

Se l'impero Romano fosse riunito... (cliccare per ingrandire)

Se l'impero Romano fosse riunito... (cliccare per ingrandire)

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Ecco un'altra versione della stessa ucronia tradotta per noi da Generalissimus:

E se Giulio Cesare fosse sopravvissuto?

Il I secolo a.C. fu un punto di svolta per Roma e l’intero Vecchio Mondo, perciò sembra molto poetico che l’inizio del secolo, l’anno 100 a.C., abbia visto la nascita dell’uomo destinato a portare quel cambiamento, e quell’uomo era Giulio Cesare.
Cesare nacque in un’era di grandi problemi per la Repubblica Romana: corruzione, dissolutezza e conflitti piagavano le istituzioni repubblicane una volta così care ai Romani.
I rappresentanti del Senato, un tempo modelli di virtù romana che difendevano gli interessi di tutti all’interno della repubblica, adesso erano diventati egoisti e pigri, sempre più potere veniva concesso alle classi plebee non istruite che perseguivano esse stesse politiche di auto-arricchimento a scapito della stabilità sul lungo termine, e il vecchio sistema non poteva più stare al passo con le richieste di espansione territoriale.
Durante la sua vita Cesare fu testimone dell’impetuosa ascesa di Lucio Cornelio Silla alla posizione di dittatore, il primo Romano a fare questo nella storia della repubblica.
Fu un atto eseguito non per mero desiderio di auto-arricchimento, ma un estremo necessario intrapreso per far sì che Roma si modernizzasse e sopravvivesse, e anche se lo stesso Cesare non simpatizzava politicamente per Silla, la sua ascesa e le sue azioni lasciarono un’impressione duratura sul giovane uomo che avrebbe a sua volta conquistato la dittatura con la forza.
Silla alla fine abbandonò la dittatura, soddisfatto di aver corretto la rotta di Roma, e avrebbe scoraggiato gli altri dall’intraprendere le stesse azioni estreme che aveva compiuto, desiderando solo che la repubblica andasse avanti come era supposto che facesse.
Le azioni di Silla stabilirono un nuovo precedente per la potenza romana, e una volta che degli uomini ambiziosi capirono quanto facilmente potessero essere replicate le azioni di Silla le cose non furono più le stesse per Roma.
Cesare negoziò un’alleanza nota come Primo Triumvirato con due altri Romani influenti: Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi, se non il più ricco di tutta Roma, e Gneo Pompeo Magno, un generale e politico che era stato sotto la tutela diretta di Silla.
Insieme i tre riuscirono a sfruttare il sistema di pesi e contrappesi costituzionale per rafforzare reciprocamente la loro influenza, Cesare in particolare usò l’alleanza per facilitare la sua conquista della Gallia mentre Crasso partì per conquistare la Persia.
Crasso, diversamente da Cesare e Pompeo, non aveva molto prestigio militare alle spalle, e anche se erano alleati fra i tre esisteva una tacita rivalità, e Crasso si rifiutava di essere percepito come l’anello debole dell’alleanza.
Una conquista dell’Impero Partico e della Persia avrebbe certamente cementato il suo posto di membro alla pari o più grande dell’alleanza, ma l’invasione si dimostrò disastrosa, costando a Crasso la vita e destabilizzando il triumvirato, che si trasformò rapidamente in una battaglia per la supremazia fra Cesare e Pompeo che alla fine scatenò una guerra civile.
Da un lato c’erano Cesare e la fazione dei Populares a favore della plebe, mentre dall’altro c’erano Pompeo e i senatori degli Ottimati a favore dei patrizi.
La fazione di Pompeo vide il sostegno dei Parti, che vedevano Roma come un impero rivale che bisognava destabilizzare e indebolire a tutti i costi.
Pompeo, comunque, venne sconfitto, e Roma adesso era saldamente sotto la leadership esclusiva di Cesare.
Saldamente, però, potrebbe non essere il termine corretto, perché anche se Cesare adesso non aveva l’opposizione del triumvirato fu molto indulgente con i nemici rimasti e gli permise in larga parte di mantenere le loro posizioni di potere.
Quando Cesare solidificò la sua presa su Roma questi nemici rimasti credettero che bisognava fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.
Cesare avrebbe potuto benissimo prepararsi a diventare re, un qualcosa assolutamente inaccettabile nella cultura romana, e per cementare questo status di re avrebbe aggiunto un’altra grande conquista al suo nome: l’Impero Partico, come vendetta per il sostegno a Pompeo nella guerra civile, per vendicare la morte di Crasso anni prima, per rimuovere dai confini di Roma l’unica minaccia a livello imperiale e per sorpassare l’impero di Alessandro Magno.
La Persia sarebbe caduta, ma pochi giorni prima dell’inizio della sua campagna gli infidi senatori attirarono Cesare in una trappola e lo assassinarono nel Teatro di Pompeo, gettando Roma in una nuova guerra civile.
Ma se tutto questo cambiasse? E se in una TL alternativa Cesare vivesse abbastanza a lungo per vedere realizzata la sua campagna? Nel nostro mondo Cesare venne ripetutamente avvertito da chi gli stava intorno che la sua vita era in pericolo e che avrebbe dovuto evitare ad ogni costo i colleghi politici.
Cesare era più al sicuro quando era circondato dalle sue legioni, che gli erano devotamente leali e che avrebbero guadagnato poco o nulla dal mettere in pericolo la sua vita.
I politici, d’altro canto, nutrivano sia animosità politica verso Cesare e lo vedevano come un ostacolo per il proprio avanzamento.
Fu per questo che a Cesare venne consigliato di partire per la sua campagna in anticipo e di lasciare la politica nelle mani di coloro che gli erano più vicini.
Se avesse seguito questo consiglio sarebbe stato sulla strada per la Macedonia all’epoca del complotto per l’assassinio, forse lasciando che sia qualcun altro ad essere il bersaglio dell’assassinio, per esempio Marco Antonio, anche se con tutta probabilità il complotto si sarebbe semplicemente dissolto, per non parlare del fatto che i nemici di Cesare sarebbero stati placati.
Dalla Macedonia Cesare avrebbe prima invaso e conquistato la Dacia.
Neutralizzare questa regione sarebbe stato cruciale, perché anche se il regno costituiva una minaccia di poco conto per Roma nel complesso era un regno bellicoso, e Cesare non poteva permettersi di distogliere uomini e attenzioni da quello che sarebbe stato un fronte molto impegnativo come quello contro la Persia, perciò neutralizzare prima di tutto la Dacia sarebbe l’opzione migliore dal punto di vista strategico e avrebbe aperto l’accesso alle risorse e alle truppe ausiliarie di questa terra conquistata.
Nella nostra TL il re dei Daci venne assassinato poco dopo Cesare, destabilizzando il paese, e stavolta questo renderebbe la conquista più facile.
Dalla Dacia conquistata Cesare salperebbe attraverso il Mar Nero, arrivando in Anatolia orientale per farsi strada fino in Armenia, da dove verrebbe lanciata l’invasione della Partia.
Nella nostra TL, dopo l’assassinio di Cesare, Marco Antonio tentò di eseguire l’invasione della Persia di persona, ma Marco Antonio non si avvicinava nemmeno all’esperto di tattiche che era Cesare e si gettò di fretta nel combattimento soccombendo alle tattiche con gli arcieri partiche, che distrussero completamente le sue forze nonostante avesse la superiorità in termini di numeri e armi.
La sua sussistenza rimase separata dalla forza principale, venendo distrutta dai Parti che in seguito costrinsero Marco Antonio alla ritirata, ma stavolta le cose sono diverse: presumendo che Cesare avanzi sulla Partia con una forza simile a quella di Marco Antonio avrebbe alle sue spalle un’armata forte di 100.000 uomini.
Cesare conosceva bene le tattiche con gli arcieri dell’epoca, perché le aveva utilizzate lui stesso durante la conquista della Gallia e le aveva anche affrontate in combattimento durante quella stessa campagna.
Le tattiche più avanzate impiegate dai Parti probabilmente coglieranno Cesare con la guardia abbassata durante il suo primo scontro, ma considerata la sua storia di rapido pensiero si adatterebbe a queste tattiche e non farebbe gli stessi errori di Marco Antonio.
I Parti all’epoca erano a pochi anni dal subire una grave crisi di successione e una guerra civile, ed è probabile che la pressione aggiuntiva di una campagna efficace contro di essi aggravi solo questi problemi, permettendo a Cesare di fare conquiste significative nei primi anni.
Mentre avanzerà ulteriormente nelle terre persiane, i Parti probabilmente cercheranno assistenza dalla Scizia a nord.
Nel nostro mondo le terre scitiche furono una fonte affidabile di soldati e arcieri aggiuntivi per la Persia, questi ausiliari nomadi ebbero una parte importante nel decidere la faida dinastica che scosse la Persia nella nostra TL.
È stato suggerito che la conquista di Cesare non si sarebbe fermata semplicemente alla Persia, ma si sarebbe estesa ulteriormente a praticamente tutte le terre europee ad est di Roma.
Ovviamente sembra un’esagerazione, ma un resoconto suggerisce che il piano di Cesare in seguito alla caduta della Persia era avanzare verso nord in Scizia, conquistare la steppa occidentale, avanzare in Germania, conquistarla e infine tornare a Roma compiendo un cerchio completo.
Questa sarebbe stata ovviamente un’impresa enorme, e certamente una mossa troppo ampia perfino per Cesare, ma se si presentasse l’opportunità sembra probabile che Cesare conquisti perlomeno la steppa occidentale oltre alla Persia.
Se presumiamo che i Parti fuggano a nord e continuino a muovere guerra dalla Scizia, questa porrà una continua minaccia per la recentemente conquistata Persia.
La steppa è ovviamente composta in gran parte da pianure, e questo significa che non ci saranno molti ostacoli per una rapida avanzata attraverso la regione.
Cesare aveva a disposizione ben tre percorsi d’invasione: uno era il Caucaso, che è montuoso e difficile da attraversare, ma gli altri due erano il Mar Nero e il Mar Caspio, col primo già sotto il controllo di Roma.
Tenendo questo in mente, una conquista della Persia verrebbe quasi certamente seguita da una conquista della Scizia, mentre dopo la guerra la Colchide verrà dichiarato un territorio cliente, visto che adesso sarà completamente circondata da Roma.
Cesare tornerà a Roma vittorioso, il suo status di dittatore sarà adesso solidificato dalle sue enormi conquiste, ma molto sarà accaduto in sua assenza: mentre Cesare era lontano i suoi nemici avranno quasi certamente provato a far riottenere il potere al Senato contro i desideri della maggioranza di plebei, che erano in gran parte fedeli a Cesare.
Scoppierà una guerra civile tra le fazioni favorevoli a Cesare e al Senato, la prima sarà guidata da Marco Antonio e Ottaviano.
Nel nostro mondo scoppiò una guerra civile simile, ma in questa TL alternativa le condizioni sono estremamente diverse.
Prima di tutto, i cosiddetti Liberatores che assassinarono Cesare occuparono le provincie orientali e usarono le loro armate contro i sostenitori di Cesare ad occidente, ma questo non sarà possibile se Cesare è presente di persona in oriente e sta utilizzando le legioni di quelle provincie contro la Partia, se tentassero di farlo sarebbero drasticamente superati di numero dai sostenitori di Cesare, che godeva di un supporto tremendo da parte delle legioni occidentali, e non farebbero che compromettere lo sforzo bellico di Cesare concedendo ai Parti un punto debole da sfruttare.
In alternativa i Liberatores potrebbero tentare di prendere il controllo di alcune legioni occidentali, ma non importa come si svilupperà questa situazione, non sembra che ci siano opzioni ottimali per questa fazione.
Nel nostro mondo vennero sconfitti con un numero di legioni uguali a quello dei sostenitori di Cesare, e qualsiasi riduzione non farà che rendere più certa la loro sconfitta.
L’unico evento che potrebbe cambiare le cose in favore dei Senatori sarebbe l’assassinio di Marco Antonio al posto di Cesare, cosa che lascerebbe la difesa dell’occidente in gran parte nelle mani di Ottaviano.
Anche se questo accadrà i fattori avversi non sono terribilmente a sfavore di Ottaviano, e una vittoria potrebbe ancora essere ottenuta se i Liberatores rimanessero inferiori di numero.
Il ritorno di Cesare sarebbe celebrato con due trionfi, uno per la sua conquista della Gallia e un altro per la sua conquista della Scizia, arrivando ad un totale di sei, il doppio di quelli che Pompeo ottenne nella sua vita e più di qualsiasi altro Romano prima di lui.
Con i suoi nemici sconfitti dal suo generale più fidato e dal suo erede adottivo, Cesare inizierebbe a riformare Roma incontrastato, imitando molte delle politiche accentratrici che il suo successore Ottaviano adottò nel nostro mondo, che alla fine trasformarono la Repubblica Romana nell’Impero Romano.
Le provincie avranno un governo standardizzato che risponderà al dominatore centralizzato di Roma.
Il Senato diventerà in gran parte impotente e dipendente da Cesare, un po’ come successo con Ottaviano, promuovendo al contempo un nuovo ordine sociale che indebolirà lo status delle élite esistenti, consentendogli di promuovere e degradare sia i membri dei patrizi che dei plebei.
Lui stesso assumerà un titolo semi-regale, un po’ come fece Ottaviano per evitare lo stigma associato alla regalità nella cultura romana, anche se si distinguerà comunque come la figura guida centrale del paese.
Verranno iniziate varie opere nazionali, inclusa la creazione di un equivalente romano della Biblioteca di Alessandria e un enorme tempio al dio Marte, per non parlare dei vari canali e progetti acquatici, inclusi l’allargamento del porto e la ricostruzione della città di Cartagine da parte di Cesare e la bonifica di varie paludi per creare nuove terre coltivabili per gli insediamenti.
Con l’impero stabilizzato e i suoi più grandi nemici sia esterni che interni sconfitti, e Roma ormai in rotta verso la prosperità, Cesare proverà un profondo orgoglio: ha costruito un impero che supera per dimensioni e forza perfino quello di Alessandro Magno, e mentre quell’impero è morto con il suo fondatore Cesare si assicurerà attraverso la creazione di un nuovo codice di successione che questo non accada a Roma.
Ottaviano, l’erede di Cesare, verrà nominato co-imperatore, regnando sull’oriente appena conquistato per imparare di persona cosa ci vuole per dominare e assimilare una popolazione ribelle e che resiste.
Il lavoro di Cesare, però, non sarà finito: una volta venne scritto che Cesare non avrebbe ritenuto il suo impero al sicuro fino a quando Roma non fosse stata circondata dalle acque a sud, ad ovest e a nord, portando specificamente l’attenzione alle terre selvagge della Germania, che rimasero una minaccia sui confini di Roma e che prima della sua morte Cesare vedrebbe sotto il totale controllo romano.

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William Riker commenta:

Sono l'unico a cui simili conquiste appaiono un po' utopistiche, considerando che a questo punto Cesare sarebbe un po' troppo anziano per fare qualcosa di così grandioso? Sarebbe però possibile, a mio avviso, che queste conquiste avvengano nel giro di un paio di secoli, fino a Traiano ed Adriano per capirci, tralasciando altre campagne dispendiose e poco fruttuose come quelle in Germania e in Britannia.

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E Andrea Villa fa notare:

Piccola ipotesi: e se invece Cesare mandasse Ottaviano o qualcuno dei suoi collaboratori più fidati ad aprire accordi diplomatici e commerciali con la Cina e il Giappone?

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Ma Perchè No? sorride:

Non esisteva ancora un Giappone, a quell'epoca!

Piuttosto, un matrimonio tra Cesare e Cleopatra sarebbe stato legale agli occhi della legge romana? E che fine fa Calpurnia?

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feder puntualizza:

Dato che ho dovuto studiare per due esami di diritto romano pochi mesi fa, provo a spiegare come funzionava l'atto giuridico del matrimonio a Roma, nella speranza di rispondere alla domanda di Perchè No?.

Nell'ordinamento giuridico romano si distinguono due generi di matrimonio: le iustae nuptiae e le iniustae nuptiae (matrimonio legittimo e illegittimo).
Perché un matrimonio fosse legittimo erano necessarie:

1) la manus del marito sulla moglie (ius vitae ac necis, cioè diritto di vita e di morte; in pratica la proprietà), conferita tramite il rituale della coemptio (compravendita della donna e della dote) per plebei e patrizi, oppure della confarreatio (spezzamento di una tavola di pane di fronte a Giove) per i soli patrizi, oppure dell'usus, vale a dire la consumazione del matrimonio per un anno. Ciò si spiega con il fatto che per l'ordinamento antico era impossibile che una donna non avesse padrone: la sua proprietà doveva sempre essere riconducibile a un pater familias. Con il tempo questa istituzione e i suoi riti vennero a decadere, finché l'imperatore Ottaviano non lì eliminò con la lex Iulia de privatorum officis del 14 a.C.;

2) tuttavia, la necessità di convivenza sotto il medesimo tetto così come configurata dalla necessità di acquisire l'usus, rimase vigente. Se moglie e marito erano lontani per più di tre notti nel corso del primo anno di convivenza, il loro matrimonio veniva annullato.

3) lo ius connubium, il parametro certamente più importante. Nell'ordinamento giuridico romano non tutti potevano contrarre matrimonio. Tale rito poteva essere contratto solo tra un uomo pubere (adulto) e una donna viripotens (capace di generare), corrispettivi circa i reciproci stati. Il diritto romano prevedeva tre tipi di stato giuridico: lo status libertatis, che caratterizzava i liberi e non gli schiavi; lo status civitatis, che caratterizzava i cittadini romani e non gli stranieri; lo status familiae, che caratterizzava i capifamiglia e non gli altri membri della familia. La pienezza della capacità giuridica era quindi prerogativa solo di pochi soggetti, detti sui iuris, la cui condizione personale era quella di liberi cittadini romani e nel contempo di capifamiglia (per le donne chiaramente la qualifica di capofamiglia decade).

Insomma: perché il matrimonio fosse iustus, Cesare avrebbe dovuto divorziare da Calpurnia, convincere il Senato a concedere a Cleopatra la cittadinanza, e persuadere quest'ultima a trasferirsi presso di lui almeno per un anno. Solo in quel caso Tolomeo Cesare avrebbe acquisito la qualifica di filius alieni iuris, che si sarebbe tramutata in quella di haeres (erede) sui iuris alla morte del padre. Attenzione: Cesarione poteva ereditare (ed ereditò) i beni di Cesare a prescindere dalla qualifica di hares sui iuris; non soltanto perché gli spettava di diritto quale figlio, ma anche perché il de cuius in procinto di morte può nominare chi vuole come legato per succedere nei suoi beni (come è oggi). Ma il titolo di erede, a differenza di quello di successore legale o di quello di legato (successore nominato), era riservato a chi era sottoposto alla patria potestas dell'ereditando (era quindi filius alieni iuris) e diventava sui iuris con la sua morte.
Tutti gli altri potevano prendere solo il patrimonio ereditario, quindi le res materiali in capo al soggetto.

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E Alessio Mammarella conclude:

Quindi per poter vedere un Cesarione che ripercorre le orme del padre ci sarebbe bisogno di una ucronia di questo tipo:

- Cleopatra non diventa regina d'Egitto (perde la lotta con qualche fratello o fratellastro rivale al trono) ma non viene assassinata, come sarebbe facile immaginare in questi casi, perché Cesare la vede, se ne innamora e la salva portandola a Roma.
- Cleopatra vive a Roma, acquisisce la cittadinanza romana e quando Cesare divorzia, lo sposa.
- Cesarione (o magari Gaio Giulio Cesare Tolomeo, per dargli un nome più altisonante) nasce e cresce come cittadino romano e ripercorre la carriera militare e politica del padre.
- (Bonus) il giovane generale ha l'occasione di combattere contro un suo cugino che regna sull'Egitto e dopo averlo sconfitto prende possesso del regno. Essendo discendente della dinastia tolemaica si lascia proclamare re del paese, ma poi lo affida (come fatto in HL da Ottaviano) a un procuratore volendo continuare a risiedere a Roma e a vivere come un romano.
- (e Ottaviano?) in questo scenario potrebbe essere roso dall'invidia e attentare alla vita del parente "in stile Bruto"...

 

William Riker, ispirato dalle parole di Perchè No, ha voluto a sua volta proporci questa incredibile lettera:

L'imperatrice del Sol Levante all'imperatore del Sol Calante: pace, gloria e salute!

Io, Himiko, figlia della dea Amaterasu Ōmikami, Sacerdotessa del Sole, sovrana di Yayoi e delle isole dell'arcipelago di Ōyashima, governo su un popolo di guerrieri a me fedeli fino all'estremo sacrificio. Risiedo in un palazzo eccelso circondato da mura di solida pietra, da cento torri e da un cancello d'oro, che racchiude sconfinati giardini di ciliegi in fiore. Ai comandi dei miei cinquanta generali ci sono cinquecentomila uomini pesantemente armati, ed una truppa di giganti con un occhio solo in mezzo alla fronte, venuti dal lontano Nord per obbedirmi. Mille ancelle mi servono e mille dignitari mi omaggiano ogni giorno. Sono maestra di magia e conosco tutti i poteri delle erbe, delle gemme e delle piante. Non mi sono ignoti i cammini degli astri, e grazie ad essi compilo oroscopi per me e per il mio popolo. Grazie alle mie arti occulte so evocare i morti e li consulto per conoscere il passato, il presente ed il futuro. Nonostante tutto questo, non ho finora sposato alcun uomo poiché ritenevo che nessun uomo fosse degno di sposare una donna come me.

So che tu, Alessandro Severo Augusto, sovrano del Daqin, governi un impero posto ai confini occidentali del mondo, che si estende dai deserti infuocati del mezzogiorno, infestati da serpenti dal veleno mortale con una testa a ciascuna estremità del corpo, fino alle cupe montagne della mezzanotte, là dove il gelo è così intenso che il mare si fa pietra bianca e vi si può camminare sopra a piedi. Mi è giunta notizia della tua recente vittoria sul sovrano della Persia e dei tributi ricchissimi che hai ricevuto da parte di tutti i popoli dell'occidente, per i quali tu sei il re dei re. Ora io, che sono la regina delle regine, ho una proposta da farti. So che, come me, non hai mai contratto matrimonio. Vieni dunque nella mia reggia di Yayoi, tu con la tua flotta e il fiore della tua nobiltà, e unisciti a me come mio legittimo sposo: tu sei l'unico, sotto la cappa azzurra del cielo, che può essere degno di questo privilegio. I tuoi nobili sposeranno le mie dignitarie di corte, e il Daqin e Yayoi diverranno un unico regno e un'unica nazione. Insieme, potremo conquistare i regni di Zhōngguó, il Paese di Mezzo, e governare tutta la Terra; io e te daremo vita a una dinastia che regnerà sul mondo per mille anni. Attendo la tua risposta sdraiata sui cuscini di seta di quella che potrà diventare la nostra alcova nuziale. Che Izanagi e Izanami, le divinità creatrici, veglino insonni su di te e ti rendano sempre vittorioso, o prode sovrano del Daqin.

La nobile Himiko, figlia primogenita di Amaterasu Ōmikami

Il matrimonio tra Himiko e Alessandro Severo in un antico mosaico romano (realizzata con Bing Image Creator)

Il matrimonio tra Himiko e Alessandro Severo in un mosaico romano del III secolo (realizzata con Bing Image Creator)

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Perchè No? commenta:

Molto divertente, con la dovuta sospensione di incredulità. Solo sapere come tale lettera sarebbe arrivata nelle mani del "Sol Calante" sarebbe roba degna di un romanzo d'avventura alla Valerio Massimo Manfredi!

Ma avrei una proposta: al posto di Himiko si dovrebbe usare Jingû.

Himiko è una regina storica (anche se non sappiamo molto di lei), ma era solo la regina di un piccolo regno, probabilmente su una porzione del Kyushu (un piccolo regno, ma noto in Cina). Non era l'imperatrice del Sol Levante.

Al posto suo abbiamo l'imperatrice Jingû. Lei sì è totalmente mitica, al punto di essere stata ritirata dalla lista ufficiale dei sovrani all'epoca Meiji. Infatti Jungû è probabilmente la versione mitizzata di Himiko, mescolata con tratti di diverse imperatrici posteriori, sopratutto Suiko. Perché scegliere Jingû?

1- Lei era imperatrice (sale al trono alla morte del marito per preservarlo per il bene di suo figlio, il futuro imperatore Ôjin, lui stesso divinizzato poi come dio della guerra Hachiman).
2- Lei ha vissuto (secondo la ricostruzione mitica) alla stessa epoca di Alessandro Severo, benché il suo regno sia durato 60 anni e sarebbe vissuta fino a 100 anni.
3- Lei avrebbe conquistato vasti territori in Corea (sempre secondo il mito, poi usato nel XX secolo per dimostrare i diritti del Giappone sulla Corea).

Punti deboli :
Benché mitica (sarebbe rimasta incinta per anni per proteggere il figlio postumo di suo marito), non ha i poteri magici legati al personaggio di Himiko, vera regina-profetessa.

Nello stesso momento la Cina vede un cambiamento epocale con la fine della prestigiosa dinastia Han nel 220 d.C. Il paese cade in una lunga guerra civile che sfocerà nella divisione del famoso periodo dei Tre Regni (Wei/Wu/Shu). Potrebbe essere il momento buono per immaginare una minaccia esterna contro la Cina divisa.

In questo "romanzo" poi si potrebbero usare le scoperte recenti di monete romane del III secolo d.C. in diverse tombe di Okinawa (non un contatto diretto, ma comunque si può sfruttarlo). Si potrebbe anche sfruttare il personaggio di Maes Titiano, mercante romano della Macedonia che sarebbe arrivato fino in Cina) o un suo discendente per conservare il III secolo d.C. Cosa ne dite?

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Paolo Maltagliati annuisce:

Su Jingu in effetti ho scritto un luuuuuungo pezzo della Magellania, stele di Gwanggaeto compresa...

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aNoNimo invece aggiunge di suo:

Io propongo che tale lettera sia stata spedita in un mondo come questo:

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Lord Wilmore apre poi un nuovo thread di discussione:

Secondo voi Burebista avrebbe potuto fondare un Impero dei Daci nel primo secolo avanti Cristo?

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A rispondergli è Bhrihskwobhloukstroy:

Per fondare l’Impero Dacico, Burebista non dovrebbe essere assassinato e sarebbe meglio che Ottaviano venisse sconfitto da Antonio e Cleopatra, poi a loro volta sconfitti dai Parti: in questo modo Burebista potrebbe tentare la sottomissione della Tracia e in ogni caso effettuare al posto di Augusto le conquiste dell’Illirico, della Pannonia e della Rezia, rendendo vassallo anche il Norico e, se possibile, sobillando la secessione della Gallia Comata e almeno di parte della Spagna.
Il nucleo dell’Impero sarebbe costituito dal bacino idrografico del Danubio, da estendere anzitutto al resto del bacino del Mar Nero, a cominciare dall’alleanza con gli Iazigi e i Rossolani, per concludersi col passaggio del Ponto e della Bitinia da Roma alla Dacia.

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feder aggiunge:

Bella ricostruzione! Quale il destino di tale formazione geopolitica? Roma sopravvive a Occidente?

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Gli risponde per primo Generalissimus:

Possibile, sicuramente questo Impero Dacico si comporterà in maniera diversa con i Goti. Bisogna vedere cosa succederà quando arriveranno gli Unni...
Tra l'altro narra lo storico latino Lattanzio che l'Imperatore Galerio, di origine dace, fosse talmente antiromano da arrivare a proporre che l'impero cambiasse nome da romano a dacico, trattando i cittadini romani per tutto il periodo in cui detenne il massimo potere come un conquistatore trattava i conquistati per vendicarsi di quello che aveva fatto Traiano alla sua patria duecento anni prima.

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E Bhrihskwobhloukstroy obietta:

Lo stesso Impero Dacico avrebbe seguìto le direttrici geopolitiche di quelli degli Unni, degli Avari e dei Bulgari, mirando anzitutto agli Stretti e alla Grecia ed eventualmente minacciando in qualche occasione la Carnia. Contro il pericolo di una Riconquista romana è indispensabile l’indipendenza della Gallia Transalpina, che però inevitabilmente punterà almeno alla Cisalpina (oltre che alla Spagna), in un’anticipazione generale del sistema (alto)medioevale.
Come dimostra la vicenda di Galerio, è difficilissimo che l’Impero Dacico conquisti l’Italia; inoltre, appunto, entro la metà del V. secolo verrà distrutto e assorbito dagli Unni, cui come nella Storia reale subentreranno i Gepidi.
Certo che il povero condottiero, col nome che si ritrovava (*Bŭrē-bĭstăs ‘peto di pecorella’ in dacio)...

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Lord Wilmore esclama:

Stai scherzando?

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Bhrihskwobhloukstroy conclude:

Niente affatto: il nome significa anche ‘vento nelle vele’ (è indistinguibile, ha tutti e due i significati), ma non è detto che fosse il nome datogli alla nascita: i condottieri non grecolatini sono stati tramandati con uno dei loro tanti nomi (che nell’Antichità tutti avevano), più verosimilmente il soprannome che quello di nascita (e il soprannome è spesso volutamente ingiurioso e così tollerato da chi lo porta). I nomi proprî nell’Antichità sono diventati un oggetto di interesse della ricerca etnolinguistica; fra l’altro, càpita di trovarvi antroponimi ingiuriosi (‘morto’; ‘sterco’ &c.) dati proprio alla nascita e interpretati come un modo di ingannare gli spiriti cattivi, facendo loro credere che si tratti di un bambino fragile, già destinato a morte certa e quindi non meritevole di attenzione (non mi sto inventando niente, la spiegazione è davvero questa). Si tratta di una pratica che si ritrova già presso i Cacciatori-Raccoglitori!

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A partire dallo stesso POD di quest'ucronia, l'autore ne ha realizzato un'altra: per leggerla, cliccate qui. Per fornire utili suggerimenti all'autore, cliccate qui.


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