Contare la polvere della Terra

« Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. »

(Gen 13, 16)

 

Dato che stiamo affrontando un ipertesto che ruota intorno alla Matematica, il primo capitolo non può che essere dedicato ai sistemi di numerazione, con particolare attenzione a quello adoperato dagli autori del testo biblico: dopotutto, come si legge nella citazione di inizio capitolo, persino lo stesso YHWH ha parlato di "contare". Il problema fondamentale della numerazione è sempre stato quello di rappresentare con un insieme limitato di segni particolari, detti cifre, l'infinità dei numeri. Tutte le civiltà conosciute hanno ideato un proprio sistema di numerazione, dai più semplici fino al moderno sistema esadecimale, utilizzato nei nostri computer, come quello su cui state leggendo questa pagina.

Ancor oggi però ci sono popoli che non sanno contare, nel senso che noi diamo a questo termine, e non riescono a concepire numeri astratti. I Botocudos del Brasile e gli Aranda dell'Australia non vanno oltre l'"uno" e il "due", subito dopo i quali non vi sono termini per indicare i successivi numeri, ma solo "molti". I Boscimani dell'Africa australe non vanno oltre il cinque. Questa incapacità di contare oltre il tre o il quattro è tipica di molte culture, ed è di solito associata al fatto che a colpo d'occhio il cervello umano non riesce a distinguere più di quattro oggetti, e per andare oltre occorre contarli materialmente ad uno ad uno, come chiunque può verificare facilmente; andare oltre il 4 con una rappresentazione visuale non simbolica è insomma molto difficile per culture non abituate all'astrazione. Segno di questa divisione tra i primi due o tre numeri e la cognizione degli altri è la presenza nelle lingue antiche del duale oltre al singolare e al plurale (in greco "eston" significa "noi due siamo" ed "esmen" significa "noi tanti siamo"), e presso alcune tribù dell'Oceania vi sono addirittura il triale, il quadruplice e così via. La mancanza di astrazione nell'approccio numerico alla realtà è dimostrata anche dal fatto che molte lingue tribali hanno parole differenti per indicare determinate quantità numeriche di oggetti piatti, oppure di oggetti allungati, o di uomini, o di canoe... Nella lingua Tsimshian della Columbia Britannica, per esempio, "8 oggetti piatti" si dice "yuktalt" e "8 oggetti allungati" si dice "ektlaedskan". Ma anche nelle lingue europee vi è traccia di questa differenziazione: in inglese abbiamo "a pair" per indicare due scarpe, "a couple" per due persone, "a brace" per due polli, "a yoke" per due buoi... e in italiano abbiamo paio, pariglia, coppia. Del resto, nel lessico indoeuropeo "tre" e "quattro" hanno nelle loro radici lessicali lo stesso rimando alla molteplicità: in francese "molto" è "très"; "al di là" è "trans" in latino, "tres" in antico francese, "throug" in inglese; in inglese "folla" è "throng"; in tedesco "vier" ("quattro") e "viel" ("molto") sono quasi omofoni; il greco "tettares" e il latino "quattuor" sono etimologicamente collegati al latino "coetera", "le altre cose". In latino solo i numeri da 1 a 4 hanno genere e declinazione, mentre da 5 in poi no. Inoltre i Romani chiamavano i figli dal primo al quarto con nomi senza rapporto con i numerali; dal quinto in poi i nomi diventavano Quintus, Sextus, Septimius, Octavius, eccetera. Infine l'anno romano prima della riforma giuliana (46 a.C.) era composto da 10 mesi, di cui i primi quattro erano Martius, Aprilis, Maius e Iunius, mentre dal quinto mese in poi erano chiamati Quintilis, Sextilis, September, October, November e December.

Venendo a sistemi più evoluti, in grado di rappresentare numeri molto più grandi, noi oggi usiamo un sistema posizionale, ma gli antichi usavano un sistema molto più semplice, chiamato additivo. Uno dei più antichi di questi sistemi giunto fino a noi è quello degli antichi Egizi, che fu abbastanza semplice da decifrare, essendo fondata su base dieci, con riferimento all'atto di contare con le dita delle mani. Le informazioni circa le conoscenze matematiche dell'antica Terra del Nilo sono state desunte da alcuni importantissimi papiri, tra cui primeggia il Papiro di Rhind, largo 30 cm e lungo 5,46 m  acquistato nel 1858 in una località balneare sul Nilo da un antiquario scozzese, Alexander Henry Rhind (1833-1863). Fu composto dallo scriba Ahmes intorno al 1650 a.C., ma si pensa sia la copia di un testo più antico, che dimostra l'elevato livello di astrazione raggiunto dagli antichi Egiziani. Da tali papiri sappiamo che, facendo uso di un semplice schema iterativo e di simboli distinti per ognuna delle prime sei potenze del dieci, gli egiziani riuscivano a rappresentare numeri superiori al milione. Un unico trattino verticale rappresentava l'unità; un archetto capovolto veniva usato per indicare il 10; un ricciolo rappresentava il 100; un fiore di loto il 1000; un dito piegato il 10.000; un uccello il 100000; e un uomo seduto con le mani alzate il 1.000.000, secondo questo schema:

Come si vede, non c'erano simboli diversi per il 2, il 3, il 4, il 5... che venivano rappresentati ripetendo 2, 3, 4, 5... volte il simbolo dell'unità Ad esempio, il numero 5296 (come vedremo nella lezione dedicata alla cronologia, una delle possibile date della Creazione in anni avanti Cristo) poteva venire rappresentato con questa simbologia:

Si noti come i simboli erano rappresentati con valore crescente da destra verso sinistra. Questo sistema si presta molto bene ad essere utilizzato per compiere operazioni sull'abaco. Quest'antichissimo strumento di calcolo, vecchio quanto la stessa civiltà umana (nel nostro caso, sarebbe suggestivo dire "vecchio quanto Noè"), trae il suo nome dall'ebraico "abaq", "polvere", perchè il più antico modello era rappresentato da una tavoletta su cui veniva sparsa della polvere, nella quale si tracciavano segni con il dito. Lo utilizzavano gli antichi Fenici, Ebrei e Greci. Se consideriamo il più evoluto abaco a colonne, esso è formato da una tavoletta con delle scanalature nelle quali vengono infilati dei sassolini (ciascuno dei quali è detto "calculus", cioè "pietruzza"). I sassolini nella prima scanalatura a destra rappresentano le unità, cioè i trattini verticali; quelle nella seconda da destra rappresentano le decine, cioè gli archetti; e così via. Vogliamo dunque sommare ai 3389 anni dalla Creazione alla vocazione di Abramo secondo la Settanta (vedi ancora il capitolo dedicato alla cronologia) ai 1907 anni tra la vocazione di Abramo e la nascita di Cristo. Secondo la numerazione geroglifica, 3389 si scrive con nove asticelle, otto archetti, tre riccioli e tre fiori di loto, e sull'abaco si rappresenta così:

Invece 1907 si rappresenta con sette asticelle, nove riccioli e un fior di loto. Sommo i due numeri cominciando dalle unità: 9 + 7 = 16 asticelle, il che equivale a sei palline nella scanalatura delle unità dell'abaco. Ma dieci asticelle equivalgono a un archetto, cosicché lascio sei palline nella scanalatura delle unità e ne aggiungo una a quella delle decine. Avremo così 8 + 0 + 1 = 9: totale, nove archetti. Sommiamo le centinaia: 3 + 9 = 12 riccioli. Dieci riccioli danno vita ad un fior di loto, e due restano nella terza scanalatura. I fiori di loto complessivi sono così 3 + 1 + 1 = 5. Cinque fiori di loto, due riccioli, nove archetti e sei asticelle danno vita appunto al numero 5296, che come detto separano la Creazione dalla nascita di Cristo. Dalla parola latina "calculus" venne proprio l'espressione "calcoli" per indicare le operazioni matematiche!

Nel sistema di numerazione degli antichi Greci, detto anche sistema ionico perchè ideato ad Atene, che della Grecia Ionica era la città più importante, non vi era alcuna notazione per lo zero, e al posto di simboli appositi, come le attuali dieci cifre da 0 a 9, venivano utilizzate le lettere dell'alfabeto greco, associando a ciascuna di esse dei valori numerici; accostando le singole lettere, i rispettivi valori numerici venivano sommati tra di loro, da cui il nome "additivo". Ecco una tabella con i valori numerici di ogni lettera:

Valore Lettera Nome Valore Lettera Nome Valore Lettera Nome
1 α Alfa 10 ι Iota 100 ρ Ro
2 β Beta 20 κ Kappa 200 σ Sigma
3 γ Gamma 30 λ Lambda 300 τ Tau
4 δ Delta 40 μ Mi 400 υ Upsilon
5 ε Epsilon 50 ν Ni 500 φ Fi
6 ϛ Stigma 60 ξ Csi 600 χ Chi
7 ζ Zeta 70 ο Omicron 700 ψ Psi
8 η Eta 80 π Pi 800 ω Omega
9 θ Theta 90 ϟ Qoppa 900 ϡ Sampi

Si noti che le lettere dell'alfabeto greco sono 24, mentre i valori numerici di questa tabella sono 27. Per questo si è reso necessario adottare tre lettere arcaiche, non entrate a far parte dell'alfabeto greco classico: la stigma, ottenuta dalla fusione di sigma e tau; la qoppa, originata dalla ebraica qof, che attraverso l'alfabeto etrusco darà vita alla lettera latina q; e la sampi, letta come "ss", dal greco "o sàn pî", "come il pi". In epoca classica tali lettere sopravvissero solo come simboli numerici, per indicare rispettivamente 6, 90 e 900.

In questo sistema ad esempio il numero 969 (gli anni di Matusalemme in Gen 5, 27) si scriveva ϡξθ (900 + 60 + 9). Insomma, prima le centinaia, poi le decine e infine le unità; non era corrette invece la scrittura ϡθξ, sebbene potrebbe sembrare equivalente visto che la somma era sempre la stessa. E per scrivere numeri maggiori di 999? Per le migliaia fino a 9000 si faceva precedere uno dei numeri unitari da un apostrofo ('); in tal modo significava 1000, e 'ρμδ rappresentava 1440000., il numero dei segnati con il sigillo di Dio in Apocalisse 7, 4. Invece per le decine di migliaia si usava il simbolo M: ad esempio Mλβ rappresentava 320000. Il numero 304.805, che rappresenta il numero totale di lettere della Torah, si scrive dunque Mλ'δωε.

Il sistema di numerazione ebraico è molto simile a quello greco, anche se ovviamente utilizza le lettere dell'alfabeto ebraico. Questo sistema fu adottato alla fine del II secolo a.C., e probabilmente deriva proprio da quello greco; in precedenza, gli Ebrei utilizzavano un sistema analogo a quello egiziano sopra descritto. Questo tipo di numerazione è rimasto in uso fino a tempi recenti nelle comunità ebraiche, specie nei ghetti d'Europa, ed è tuttora usato dalla religione ebraica per le date del calendario liturgico e per i riferimenti al numero dei capitoli e versetti della Scrittura. Invece nel moderno Stato d'Israele in quasi tutti i casi vengono utilizzati i numeri arabi (matematica, economia, le date del calendario civile...) Eco i valori numerici assegnati alle lettere dell'alfabeto ebraico:

Valore Lettera Nome Valore Lettera Nome Valore Lettera Nome
1 א Aleph 10 י Yod 100 ק Kof
2 ב Beth 20 כ Kaf 200 ר Resh
3 ג Ghimel 30 ל Lamed 300 ש Shin
4 ד Dalet 40 מ Mem 400 ת Tav
5 ה Heu 50 נ Nun 500 ך Kaf (fin.)
6 ו Waw 60 ס Samekh 600 ם Mem (fin.)
7 ז Zayin 70 ע Ayin 700 ן Nun (fin.)
8 ח Het 80 פ Pe 800 ף Pe (fin.)
9 ט Tet 90 צ Sade 900 ץ Sade (fin.)

Per l'alfabeto ebraico si ripresenta il problema offerto dall'alfabeto greco: occorrono 27 simboli, ma l'alfabeto ne contiene solo 22. Mancano dunque cinque simboli. Grazie a Dio però questi simboli non c'è bisogno di inventarli. Infatti le lettere kaf, mem, nun, pe e sade si scrivono in maniera diversa in fondo a una parola, la cosiddetta "forma finale"; ed ecco completato il set dei 27 caratteri richiesti! In altri casi, invece, le centinaia mancanti erano ottenute sommando quelle scritte con le lettere kof, resh, shin e tav: ad esempio, 700 = 400 + 300 era scritto ת + ש.

In ebraico inoltre sono usati i Gershayim (plurale di Geresh), segni di punteggiatura (") scritti prima dell'ultima lettera della forma non flessa di una parola o cifra; sono utilizzati per vari scopi, tra cui per indicare il fatto che un set di caratteri indica non un parola ma un numero. Ad esempio, ח"י rappresenta 18. Analogamente, un singolo Geresh viene aggiunto a sinistra di una sola lettera per indicare che la lettera rappresenta un numero piuttosto che una lettera alfabetica. Per esempio, 100 è scritto così: ק'. Vi sono però alcune eccezioni. Il numero 15, che dovrebbe essere scritto י + ה (pari a 10 + 5), è invece indicato com ו + ט (pari a 9 + 6), e 16 non viene scritto י + ו (pari a 10 + 6) ma con i simboli ז + ט (pari a 9 + 7), onde evitare di utilizzare lettere che sono parte del Tetragramma YHWH. Inoltre a volte sono evitate combinazioni di lettere con connotazioni negative commutando l'ordine delle lettere: ad esempio, 744 dovrebbe essere scritto come תשמ"ד che significa "tu sarai distrutto", e per questo viene scritto come תשד"מ o תמש"ד (che significa "fine del demone").

Grazie al valore numerico assegnato alle lettere dell'alfabeto ebraico, è nata una particolare esegesi biblica detta gematria, a cui dedicheremo l'Appendice di questo ipertesto.

Orologio da tasca con numeri ebraici, oggi presso il Museo Ebraico di Berlino

Orologio da tasca con numeri ebraici,
oggi presso il Museo Ebraico di Berlino

Le migliaia sono conteggiate separatamente, e precedono il resto del numero sulla destra, in quanto l'ebraico si legge da destra verso sinistra. Non ci sono segni speciali per indicare che il conteggio sta iniziando con le migliaia, il che può teoricamente portare ad ambiguità, anche se un unico segno è usato talvolta dopo la lettera. Quando si indicano gli anni del calendario ebraico in questo millennio, di solito si omettono le migliaia (attualmente 5). Ad esempio, lunedì 15 Adar 5764 si scrive « יום שני ט"ו באדר ןס"ד » dove 5764 = (5 × 1000) + 700 + 60 + 4, e 15 = 9 + 6. Per vedere come si scrive la data odierna nel calendario ebraico, si veda ad esempio, il convertitore Hebcal.

Più semplice appare il sistema numerico usato dagli antichi Romani, perchè esso non utilizza 27 simboli, ma solo sette lettere dell'alfabeto: I = 1, V = 5, X = 10, L = 50, C = 100, D = 500 e M = 1000. La I è associata all'uno perchè rappresenta la stilizzazione di un dito, la V è associata al 5 perchè si può pensare come la stilizzazione di una mano aperta con le cinque dita, la X è associata al 10 perchè può rappresentare due mani aperte. C è l'iniziale di "centum" e M di "mille"; L è la metà di una C tagliata orizzontalmente in due; quanto alla D, deriva dal fatto che (come vedremo sotto) in lingua etrusca "mille" veniva scritto come CIƆ, forse una deformazione della M in antico italico; tagliando verticalmente in due questo simbolo, si ottiene cioè D. È da notare che anche gli indiani Zuñi nel Nordamerica utilizzano gli stessi simboli dei numeri romani per le cifre 1, 5 e 10, ma si tratta probabilmente solo di una singolare coincidenza, legata all'uso delle dita e delle mani per rappresentare i numeri. Nell'antica Roma il sistema era puramente additivo, con i simboli I, X, C e M che potevano essere ripetuti consecutivamente fino a quattro volte, mentre i simboli V, L e D non potevano mai essere usati più di una volta consecutiva. In tal modo, ecco come venivano rappresentati alcuni numeri:

Arabo Romano Arabo Romano Arabo Romano
1 I 11 XI 24 XXIIII
2 II 12 XII 28 XXVIIII
3 III 13 XIII 30 XXX
4 IIII 14 XIIII 40 XXXX
5 V 15 XV 50 L
6 VI 16 XVI 60 LX
7 VII 17 XVII 70 LXX
8 VIII 18 XVIII 80 LXXX
9 VIIII 19 XVIIII 90 LXXXX
10 X 20 XX 100 C

A scuola però ci hanno insegnato un sistema diverso, nel quale non è ammesso ripetere quattro volte un simbolo, ma al massimo tre. In tal modo scrivere numeri come 4 e 9 diventa un problema. Nel Medioevo infatti si decise di trasformare il sistema additivo in uno additivo-sottrattivo. Se pongo un simbolo a destra di uno di valore superiore, i loro valori si sommano; se invece lo pongo a sinistra, il suo valore si sottrae dall'altro. Possono essere sottratti dagli altri solo i valori di I, X e C. In tal modo la tabella precedente va così modificata:

Arabo Romano Arabo Romano Arabo Romano
1 I 11 XI 24 XXIV
2 II 12 XII 28 XXIX
3 III 13 XIII 30 XXX
4 IV 14 XIV 40 XL
5 V 15 XV 50 L
6 VI 16 XVI 60 LX
7 VII 17 XVII 70 LXX
8 VIII 18 XVIII 80 LXXX
9 IX 19 XIX 90 XC
10 X 20 XX 100 C

In verde ho indicato le notazioni che sono cambiate rispetto alla tabella precedente. In caso di ambiguità, si sceglie sempre la stringa di caratteri più corta. Ad esempio, 99 potrebbe essere scritto XCIX oppure IC, e di solito si usa quest'ultima. Benché questa notazione ci sia stata insegnata come l'"autentica" notazione romana, in realtà il sistema sottrattivo risale al Medioevo; ed infatti sui 76 degli 80 ingressi del Colosseo destinati al pubblico il quattro viene riportato nella forma "antica" IIII, anche se alcune epigrafi ritrovate a Pompei contengono il quattro nella forma sottrattiva IV, che evidentemente era già in uso in epoca imperiale.

Il 52° ingresso al Colosseo, indicato con un numero romano (foto dell'autore di questo sito)

Il 52° ingresso al Colosseo, indicato con un
numero romano (foto dell'autore di questo sito)

Con questi soli simboli, il più alto numero rappresentabile è MMMCMXCIX, cioè 3999: decisamente troppo piccolo. Per andare oltre sono state inventate varie notazioni, quella più diffusa è la seguente, detta del "vinculum". Sopralineando una lettera (diversa da I, esistendo già la M) il suo valore viene moltiplicato per 1000. Bordando una lettera con due linee verticali ai lati e una linea orizzontale soprastante, il suo valore originale viene moltiplicato per 100.000. Sopralineando una lettera con due linee orizzontali soprastanti, il suo valore originale viene moltiplicato per 1.000.000, secondo lo schema seguente:

Si osservi che, usando queste notazioni, alcuni grandi numeri possono essere espressi in maniere diverse ed equivalenti, com'è il caso di 100.000.000. Un metodo alternativo, che non dà adito ad ambiguità, è quello detto "dell'apostrophus", che ha origine dal sistema di numerazione etrusco. In esso 500 è espresso come | Ɔ anziché come D, 1.000 è espresso come C | Ɔ anziché come M, 5.000 come | ƆƆ, 10.000 come CC | ƆƆ, 50.000 come | ƆƆƆ, 100.000 come CCC | ƆƆƆ, e via dicendo. La scrittura con l'"apostrophus" porta a scrivere 1.500 come C | Ɔ | Ɔ, 10.500 come CC | ƆƆ | Ɔ, 15.000 come CC | ƆƆ | ƆƆ, 100.500 come CCC | ƆƆƆ | Ɔ, 105.000 come CCC | ƆƆƆ | ƆƆ e 150.000 come CCC | ƆƆƆ | ƆƆƆ. Qui sotto si vede il numero 1630 scritto mediante l'"apostrophus" come C | Ɔ | Ɔ C X X X, alternativa alla forma più comune MDCXXX. Si noti che il moderno simbolo ∞ dell'infinito, introdotto dall'inglese John Wallis (1616-1703) nel 1655, come vedremo in un'altra lezione, è quasi certamente una deformazione del simbolo  che indica il mille, iperbolicamente inteso come prototipo di un numero grandissimo!

Il numero 1630 inciso su una parete della Westerkerk ad Amsterdam, iniziata appunto nell'anno 1630

Il numero 1630 inciso su una parete della Westerkerk
ad Amsterdam, iniziata appunto nell'anno 1630

Cliccando qui potete accedere ad un ottimo convertitore di numeri arabi in numeri romani. I numeri romani rappresentano scritture aritmetiche molto eleganti, ma sono del tutto inutilizzabili per i calcoli, che venivano svolti con l'abaco, spianando la strada al metodo decimale posizionale.

Siccome gli Ebrei furono a lungo esuli a Babilonia, vogliamo parlare della numerazione usata dalle antiche civiltà mesopotamiche. Si pensa che esso risalga al Primo Impero Babilonese, fondato nel XVIII secolo a.C. da Hammurabi, uno dei primi grandi legislatori della storia dell'uomo. Probabilmente questo personaggio è citato nel libro della Genesi: si pensa che sia lui l'Amrafèl re di Sennaar, cioè della regione di Babilonia (dall'ebraico "Shene neharot", "i due fiumi"), che sotto la guida di Chedorlaòmer re dell'Elam (presumibilmente il re di Larsa Kudur-Mabuk, contemporaneo di Hammurabi) invase la Palestina per sottomettere le sue città stato ribelli:

« Al tempo di Amrafèl re di Sennaar, di Ariòc re di Ellasàr, di Chedorlaòmer re dell'Elam e di Tidal re di Goìm, costoro mossero guerra contro Bera re di Sòdoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di Adma, Semeber re di Seboìm, e contro il re di Bela, cioè Zoar. » (Gen 14, 1-2)

Il sistema babilonese a differenza di quello egiziano è sessagesimale, cioè fondato su una base 60. Le 59 cifre di tale sistema però possono essere scritte con un sistema additivo formato da soli due simboli: un cuneo verticale che rappresenta l'unità e un punzone con la punta diretta a sinistra che rappresenta la decina. Ecco le 59 cifre babilonesi: 

Naturalmente sono espresse attraverso la scrittura cuneiforme. Il numero 38, ad esempio, è espresso con tre punzoni ed otto cunei; anche in questo caso, la cifra delle decine sta a sinistra di quella delle unità. E i numeri superiori a 59? Essi erano scritti con una notazione non additiva, ma posizionale. In altre parole, ogni simbolo ha un valore diverso a seconda della posizione che occupa all'interno del numero. Questo è il caso della moderna numerazione araba. Se considero il numero che esprime l'età alla quale morì Matusalemme, 969, il "9" più a destra indica nove unità, il "9" più a sinistra indica nove centinaia. Infatti la prima posizione a destra è sempre quella delle unità, la seconda da destra è sempre quella delle decine, la terza da destra è sempre quella delle centinaia, e così via. Il numero arabo 969 insomma ha questo significato numerico:

969 = 9 x 102 + 6 x 101 + 9 x 100 = 900 + 60 + 9

Questo tipo di numerazione richiede necessariamente un simbolo per lo zero, perchè ad esempio Enos, figlio di Set e nipote di Adamo, morì secondo Gen 5, 11 a 905 anni. Bisogna dunque esprimere in qualche modo il fatto che vi sono cinque unità, nove centinaia ma nessuna decina: scrivere semplicemente "95" porterebbe all'errore, perchè la seconda cifra da destra è quella delle decine, non delle centinaia, e quindi 95 ha il valore di novantacinque, non di novecentocinque!

Perché i mesopotamici hanno adottato la base 60, tuttora utilizzate nel computo del tempo e degli angoli? Sono state fatte molte ipotesi al riguardo. Una delle più credibili è quella astronomica, dal momento che gli Assiri e i Babilonesi avevano vaste conoscenze nel campo dell'osservazione degli astri: dopotutto, l'anno è composto da 360 giorni (12 mesi lunari di 30 giorni ciascuno). Teone di Alessandria nel IV secolo fece notare che il numero 60 ha tantissimi divisori, compresi i primi sei numeri interi di cui è il minimo comune multiplo, oltre ad esserlo di 12 e 10; ma questo spiega il successo della base 60, non tanto la sua origine. Altri hanno pensato a una sintesi tra basi diverse, ad esempio base 10 e base 6, ma questa tesi ha l'inconveniente di dover poi spiegare l'origine altrettanto misteriosa di questa base 6. Il matematico francese George Ifrah (1947-) ha proposto invece una sintesi tra la base 5 e la base 12, quest'ultima fondata sul conteggio delle falangi di quattro dita usando il pollice: la base 12 sarebbe computata su di una mano e la base 5 sull'altra mano. Traccia linguistica di quest'usanza sarebbe rimasta nella lingua inglese con i nomi specifici (non composti con un suffisso) "eleven" e "twelve", che indicano rispettivamente il numero undici ed il numero dodici, mentre il suffisso "teen" inizia ad essere usato solo dal numero 13. "Eleven" in particolare deriverebbe dall'antico inglese "endleofan", oggi "one left", cioè "una lasciata fuori", e "twelve" dal'antico inglese "twelf ", oggi "two left", cioè "due lasciate fuori": sottinteso, dopo che sono state usate tutte le dieci dita. La base 12 è stata molto diffusa e tuttora conserva molti relitti in tutto il mondo (es. il termine "dozzina"); 12 sono le ore del giorno, i mesi dell'anno, le costellazioni dello Zodiaco; per i Romani l'asse, unità di misura di peso e moneta, era divisa in 12 once, e ancor oggi nei paesi anglosassoni un piede è composto da dodici pollici.

A spuntarla però non è stata la base 60, bensì la base 10, un felice compromesso né troppo grande, con l'inconveniente di troppi simboli per indicare le cifre, né troppo piccola con l'inconveniente di complicate combinazioni di pochi segni. Secondo alcuni la vasta diffusione della base 10 è legata all'espansione degli Indoeuropei in Eurasia, ma i pareri tra gli esperti sono discordi. In base decimale, occorrono dieci simboli dette cifre per indicare i valori da zero a nove. Le cifre come oggi le conosciamo nacquero in India all'inizio dell'era cristiana e furono adottate da matematici ed astronomi arabi. Fino a poco tempo fa, la più antica testimonianza scritta di un simbolo usato per indicare lo zero era un'iscrizione che riportava il numero "0" in riferimento alla misurazione del terreno all'interno di un tempio nella città di Gwalior, in India centrale; nel 1883 il famoso filologo tedesco Eugen Julius Theodor Hultzsch (1857-1927) la scoprì e la tradusse, datando il testo all'anno 876 d.C. Tuttavia nel 1891 un gruppo di archeologi francesi scoprì una stele di pietra presso il villaggio di Sambor, sulle rive del fiume Mekong, in quella che allora era l'Indocina francese e oggi la Cambogia; essa recava incisa un'iscrizione in lingua khmer che riportava la data dell'anno 605, calcolato secondo il calendario indù, e corrispondente al nostro 685 d.C.: dunque lo zero indocinese è anteriore a quello indiano. In realtà però lo zero è ancora più antico: sull'isola di Sumatra tra il 650 e il 1377 d.C. fiorì l'impero Sriwijaya, una grande potenza commerciale e marittima di religione buddista che controllava le rotte dei mari dal Madagascar fino alle Filippine. Sriwijaya fu anche un antico centro di insegnamento e proselitismo buddista. Sull'isola di Sumatra sono state rinvenute tre pietre cerimoniali datate con gli anni 605, 606 e 608, sempre secondo il calendario indù (il 683, 684 e 686 della nostra era); lo zero nelle iscrizioni di queste pietre precede dunque di due secoli quello indiano di Gwalior! Considerando la forte influenza economica e le attività mercantili dell'impero Sriwijaya, è possibile che il simbolo per indicare lo zero sia stato concepito nel sud-est asiatico e si sia poi diffuso verso ovest, in Indocina, in India e quindi in Europa, ma per esserne certi occorreranno ulteriori indagini.

In ogni caso, una pietra miliare per la diffusione della nuova numerazione è l'anno 825, quando il matematico persiano Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi (780-850) scrisse il trattato "Sul calcolo con i numeri indiani", che fu tradotto in latino nel XII secolo con il titolo "Algoritmi de numero Indorum"; "algoritmi" in realtà era la traduzione del cognome dell'autore (che a sua volta vuol dire "del Khovaresm", cioè dell'attuale Uzbekistan), ma da allora il termine algoritmo assunse il significato di "metodo di calcolo", significato che ha tuttora. Attraverso la Spagna, dove arabi e cristiani convivevano, tali dieci cifre raggiunsero l'Europa, soprattutto grazie a Papa Silvestro II (950-1003), al secolo Gerbert d'Aurillac, che aveva vissuto a lungo a Barcellona, a contatta con la cultura dei Mori di Spagna; per questo ancor oggi si parla di "numeri arabi", anche se in realtà le cifre sono nate nel subcontinente indiano. Gi arabi infatti li chiamano "arqām hindiyya", cioè "numeri indiani". Molti però rifiutavano di utilizzare le dieci cifre perchè erano state diffuse dai nemici Saraceni; a imporle ovunque per la loro praticità fu il matematico pisano Leonardo Fibonacci (1175-1235), che aveva studiato a Bijaya (in Algeria) dove suo padre lavorava come mercante, grazie al suo fondamentale trattato "Liber Abaci" (1202). Ecco l'evoluzione nel tempo delle dieci cifre:

Pochi lo sanno, ma anche gli antichi Cinesi a partire dal III secolo a.C. utilizzarono un sistema posizionale in base 10. Essi in particolare utilizzavano 13 segni, la cosiddetta "Numerazione Suzhou":

Numeri arabi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 20 100 1000 10000
Caratteri cinesi 二十
Pronuncia pinyin èr sān wu liù jiu shí èrshí bai qiān wàn

Per rappresentare i numeri da 11 a 19 i Cinesi usavano il sistema additivo e mettevano a destra del 10 i numeri che al 10 si dovevano addizionare. Ad esempio 14 = 10 + 4 = 十四. Invece da 20 in poi si utilizzava il sistema posizionale in base 10; 20 = 2 x 10 = 二十, ed il moltiplicatore della base si metteva a sinistra. Ad esempio:

万九千五百六十四 = qī wàn jiu qiān wu bai liù shí sì = 7 x 10.000 + 9 x 1.000 + 5 x 100 + 6 x 10 + 4 = 7 x 104 + 9 x 103 + 5 x 102 + 6 x 101 + 4 x 100 = 79. 564

In questo modo si evitavano le fastidiose ripetizioni di segni identici e l'uso di troppi simboli. Questo sistema consentiva di scrivere anche numeri grandissimi grazie ad opportune combinazioni di segni. Ad esempio: 10.000= yī wàn = 1 x 10.000; 100.000 = shì wàn = 10 x 10.000; 1.000.000 = yī bai wàn = 1 x 100 x 10.000; 10.000.000 = yī qiān wàn = 1 x 1.000 x 10.000; 100.000.000 = yī wàn wàn = 1 x 10 000 x 10 000; e così via, fino a raggiungere numeri veramente astronomici, che gli Europei non erano neppure in grado di concepire. Il calcolo era comunque demandato all'abaco, e perciò appannaggio solo di pochi specialisti.

Il sistema mesopotamico utilizza lo stesso principio, ma su base 60. In quello indiano ed arabo si conta quante unità, decine, centinaia ecc. sono contenute in un numero; in base sessagesimale occorre controllare quante unità (pari al 600), quante volte 60, quante volte 3600 ecc. sono contenute nel numero in questione. Per questo, consideriamo ad esempio l'anno 2371 d.C., che secondo il sito Hypertrek è quello in cui è ambientata l'ultima stagione della serie di telefilm "Star Trek, Voyager". Come diremo nel capitolo dedicato alla Cronologia, esso potrebbe essere fatto coincidere con l'anno 7667 dalla Creazione secondo la versione della Settanta. Vogliamo rappresentare tale numero nella notazione mesopotamica sopra riportata. Prendiamo 7667 e dividiamolo per 60; si ha 127 con resto di 47. Prendiamo 127 e dividiamolo ancora per 60; abbiamo 2 con resto di 7, secondo questo schema:

In altre parole, il numero 7667 può essere così riscritto:

7667 = 2 x 3600 + 7 x 60 + 47 x 1 = 2 x 602 + 7 x 601 + 47 x 600

Di conseguenza, gli antichi Babilonesi di Re Hammurabi avrebbero scritto il numero 7667 in questo modo:

Consideriamo però l'anno dalla Creazione del Mondo in cui, secondo la Settanta, Giacobbe si trasferì in Egitto dietro invito di suo figlio Giuseppe; a suo tempo vedremo che questa data può essere fatta coincidere con il 3604. Ripetiamo il calcolo ora svolto per questo numero:

Stavolta una delle tre cifre è pari a zero (parola che viene dal sanscrito "śūnyá", "vuoto", da cui deriva l'arabo "sifr", "nulla"). Occorre dunque un simbolo per indicare una posizione vuota! A questo scopo, i Babilonesi usavano due cunei obliqui, ottenendo così questa rappresentazione numerica:

Il simbolo dei due cunei obliqui tuttavia non può però essere assimilato alla cifra 0 del sistema di numerazione arabo che noi oggi usiamo, perchè non è mai utilizzato singolarmente con valore nullo, a differenza per l'appunto dello "zero" arabo. In ogni caso, le civiltà mesopotamiche furono le prime, per quanto ne sappiamo, ad utilizzare il sistema di numerazione posizionale. Per comprenderne l'importanza, eseguiamo l'esperimento inverso. Consideriamo il seguente numero babilonese:

e vogliamo tradurlo nell'odierna notazione decimale. Le tre cifre sono 4, 0, 1, cioè le stesse dell'anno della discesa di Giacobbe in Egitto, ma in ordine inverso. Per risolvere il problema basterà ricordare che 4 rappresenta il numero di volte in cui 602 e 1 quello in cui 600 compaiono nel numero cercato:

4 x 602 + 0 x 601 + 1 x 600 = 14400 + 0 + 1 = 14401

Un valore completamente diverso da quello del 3604 considerato prima, perchè in quel caso 1 rappresentava il numero di volte in cui 602 e 4 quello in cui 600 compaiono nel numero cercato! Se avete compreso la differenza, avete capito il cuore del sistema posizionale.

Si noti che il sistema di numerazione mesopotamico è molto più "compatto" di quello che utilizziamo noi. Infatti con tre delle dieci cifre da 0 a 9 il massimo numero che può essere scritto è 999, cioè novecentonovantanove. Invece, con tre delle sessanta cifre mesopotamiche il massimo numero rappresentabile è questo:

il cui valore è:

59 x 602 + 59 x 601 + 59 x 600 = 212400 + 3540 + 59 = 215999

Come si vede, un numero eccezionalmente grande per sole tre cifre (anche se queste ultime sono formate ciascuna da 14 simboli più piccoli). Esso è pari a 216000 meno 1, cioè a 603 – 1. Infatti 603 è il primo numero che deve essere scritto necessariamente con quattro cifre: 1 x 603 + 0 x 602 + 0 x 601 + 0 x 600. Abbiamo così imparato che, in un sistema posizionale in base B, con n cifre si possono scrivere i numeri fino a Bn – 1: maggiore è la base B, maggiori sono i numeri che si possono rappresentare anche con un numero ristretto di cifre, anche se ciò richiede di memorizzare un numero più alto di simboli per rappresentare le cifre. Da questo punto di vista, il sistema babilonese è a dir poco geniale, usando per le cifre dei simboli realizzabili con il metodo additivo a partire da due soli simboli!

Facciamo ora un cenno al sistema di numerazione usato dai Maya. Esso era posizionale come quello mesopotamico ma a base venti, non sessanta, e aveva un simbolo per indicare lo zero. Si pensa che la base 20 derivi dall'uso nei conti sia delle dita dei mani e dei piedi. I numeri erano rappresentati attraverso tre simboli: un ovale, un puntino e una lineetta orizzontale, che si pensa rappresentino l'evoluzione di una conchiglia vuota, un chicco di mais e un bastoncino di legno, e che avevano rispettivamente i valori di zero, uno e cinque:

Le cifre erano ordinate verticalmente, cioè la cifra che rappresentava un valore più alto si trovava al livello superiore. Consideriamo per esempio il numero:

Esso è ricavato, come si vede, da un'antica iscrizione precolombiana. Il valore più in basso indica le unità, quello più in alto le ventine, quindi tale numero equivale nella nostra numerazione a:

16 x 201 + 9 x 200 = 320 + 9 = 329

Questo sistema di numerazione era certamente migliore di quello ebraico, greco e romano: non è certo un caso se i primi spagnoli rimasero impressionati dalla rapidità con cui i Maya contavano, senza misure di capacità o peso, i semi di cacao, che vendevano uno ad uno in quantità variabili da 400 a 8.000. Spesso inoltre questi numerali erano utilizzati per indicare date nel loro complesso conteggio degli anni (una cattiva interpretazione del quale generò il mito della fine del mondo il 21 dicembre 2012). Per indicare una posizione vuota i Maya inventarono lo zero, indipendentemente dagli indù, il che la dice lunga sul livello intellettuale raggiunto dalla loro civiltà. Per effettuare addizioni e sottrazioni inoltre i Maya usavano un abaco non dissimile da quello inventato nel Vecchio Mondo. Per sommare ad esempio 8 + 9, rappresentati rispettivamente con un'asta e tre unità e con un'asta e quattro unità, si ottengono due aste e sette unità; raggruppando cinque unità in una terza asticella, si ottengono tre asticelle e due unità, cioè per l'appunto il numero 17:

Restando tra i popoli precolombiani, del tutto misterioso rimane invece il sistema di numerazione usato nell'Impero Inca. Le teorie che sono state formulate circa tale sistema di numerazione derivano dallo studio del cosiddetti "quipu", parola in lingua quechua che significa "nodo" e che designa un insieme di cordicelle annodate (alcuni arrivano ad averne 2000), distanziate in modo opportuno tra di loro e legate a una corda più grossa e corta che le sorregge. I nodi delle corde sono di diversi colori: si pensa che rappresentino numeri, e dalla loro reciproca posizione se ne potrebbero ricavare le unità, le decine, le centinaia e le migliaia. L'ipotesi è che siano stati inventati per eseguire complicati calcoli astronomici, fondamentali per la cultura Inca, ma anche per molto più prosaiche registrazioni economiche e per il calcolo delle tasse. Ad annodarli provvedevano i Quipucamayocs (in quechua "khipukamayuq", "autorità dei quipu"), i ragionieri dell'Impero Inca, che li usavano anche per eseguire le operazioni di base (addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni), ma ignoriamo come, dal momento che i Quipucamayocs non ne hanno lasciato testimonianze scritte. Inoltre la maggior parte dei quipu venne distrutta dagli ottusi Conquistadores; oggi ne restano circa 600. Lo storico italo-peruviano Carlo Radicati di Primeglio (1914-1990) e l'ingegnere inglese William Burns Glynn (1923-2014) sostenevano che essi si fondassero su un sistema posizionale in base 10, mentre l'ingegnere italiano Nicolino de Pasquale (1949-) pensa invece ad un sistema posizionale in base 40. La loro fama è comunque stata alimentata da questo mistero: Dirk Pitt, personaggio del romanzo "L'oro dell'Inca" (1994) di Clive Cussler (1931-), cerca proprio di decifrare il messaggio contenuto in un quipu per scovare il tesoro dell'ultimo re Inca Huascar.

La moderna informatica, evolutasi a partire dalle ricerche di Alan Turing (1912-1954), lo sfortunato matematico cui è stato dedicato il film "The Imitation Game" (2014), non utilizza però nessuno dei sistemi di numerazione ora descritti. Essa infatti adotta il sistema binario, cioè in base 2, che fa uso di due sole cifre: 0 e 1, corrispondenti alla corrente che non passa e alla corrente che passa. Usata dai cinesi molto tempo prima della nostra era, la numerazione binaria presenta inoltre il vantaggio di non richiedere la conoscenza di una tavola di addizione e di moltiplicazione.

Naturalmente, se la numerazione babilonese in base 60 permette di scrivere numeri enormi con una straordinaria economia di simboli, in questo caso invece per scrivere numeri relativamente piccoli occorre una lunga stringa di zeri e di uni, e i calcoli necessitano di un tempo molto lungo di elaborazione, ma l’enorme velocità dei computer odierni ha saputo risolvere anche questo problema. Leggiamo ad esempio il seguente versetto biblico della Genesi:

« Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. L'intera vita di Noè fu di novecentocinquanta anni; poi morì. » (Gen 9, 28-29)

Consideriamo 950, la supposta età di Noè al momento della sua morte, e vediamo come si può tradurre questo numero nella notazione binaria. Ricordate le divisiomi per 60 della notazione babilonese? Bene, qui basterà dividere molte volte per la base 2, indicando ogni volta il quoziente e il resto, che può essere solo 0 o 1:

Leggendo a ritroso i resti trovati, si ottiene che il numero 950 in notazione decimale equivale al numero 1110110110 in notazione binaria! Un numero in codice binario è quindi ottenuto dalle cifre 0 e 1 che, da destra a sinistra, indicano le potenze di 2 necessarie a formare il numero cercato. Proviamo allora, come controllo, ad eseguire la conversione inversa di questo numero, da binario a decimale:

1 x 29 + 1 x 28 + 1 x 27 + 0 x 26 + 1 x 25 + 1 x 24 + 0 x 23 + 1 x 22 + 1 x 21 + 0 x 20 = 512 + 256 + 128 + 32 + 16 + 4 + 2 = 950

I conti tornano. Cliccando qui potrete accedere ad un comodo convertitore dal sistema binario a quello decimale e viceversa, e potrete provare ad eseguire la conversione appena svolta tra numeri di vostro gradimento, controllando poi con il convertitore l'esattezza del risultato!

La più antica rappresentazione delle cifre indoarabe in Europa si trova nel Codex Vigilianus (976), conservato nel monastero di Saint Martin de Albeda

La più antica rappresentazione delle cifre indoarabe in Europa si trova nel
Codex Vigilianus (976), conservato nel monastero di Saint Martin de Albeda

Naturalmente la numerazione posizionale può essere costruita con una base B qualunque, dove B è un numero naturale diverso da zero e da uno. Bisogna scegliere B simboli diversi, chiamati cifre. Il valore numerico di ogni combinazione di cifre si ottiene moltiplicando la prima cifra a destra per B alla zero (cioè 1), la seconda cifra da destra per B1, la terza cifra da destra per B2, e così via; la somma di tutti i numeri così ottenuti è il valore numerico che stiamo cercando. Al contrario, per convertire un numero in base 10 in un numero in base B lo si divide per B, ottenendo un quoziente Q1 e un resto R1; Q1 viene diviso per B, ottenendo un quoziente Q2 e un resto R2; e così via, finché il quoziente Qn è minore di B. Il numero cercato è allora QnRn...R3R2R1.

Provate voi stessi a convertire un numero da una base all'altra, per poi ritornare alla base precedente con il procedimento che vi ho appena illustrato. Io ho provato a convertire l'età del patriarca Noè in tutte le basi principali, ed ecco ciò che ho ottenuto. Il 950 in base 10 corrisponde a 1110110110 in base 2 (si usano le sole cifre 0 e 1), a 1022012 in base 3 (si usano le cifre 0, 1, 2), al 32312 in base 4 (si usano 0, 1, 2, 3), al 12300 in base 5 (si usano 0, 1, 2, 3, 4), al 4222 in base 6 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5), al 2525 in base 7 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6), al 1666 in base 8 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7), al 1265 in base 9 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8), al 794 in base 11 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A), al 672 in base 12 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B), al 3B6 in base 16 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, D, E, F), al 27A in base 20 (si usano 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, D, E, F, G, H, L, M perchè la I si confonde con l'1), ed infine al simbolo (15-50) nella notazione mesopotamica in base 60 che abbiamo illustrato sopra. Non dimentichiamo però che, se la Bibbia si apre con il "conteggio" dei sette "giorni" della Creazione e prosegue con la promessa ad Abramo di un numero di discendenti pari a quello dei granelli di polvere, il Libro dei Libri si chiude nell'Apocalisse con un conteggio impossibile da eseguire utilizzando qualunque sistema di numerazione umano:

« Dopo queste cose ecco, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua... » (Ap 7, 9a)