PROVERBI PER UN ANNO

(da "La Nona Campana", gennaio - dicembre 2010)

Genôr - Febrôr - Môrz - Aprîl - Môg - Giügn - Lüj - Ust - Sitémbär - Utúbär - Nuémbär - Dicémbär


L'alternarsi delle stagioni, scandite dalle fasi lunari (lünä nöä, prím quôrd, lünä pjnä, ültím quôrd o anche lünä nöä le prime due, lünä végiä le altre) e il rinnovarsi ogni anno del ciclo liturgico (avénd-Natöl, quarésíma-Pásquä, säntä Crûs, la Madónä, i Sänd-ul mês di môrd), intervallato dalle feste di un gran numero di santi (da san Mául a san Stéän), caratterizzarono per secoli i giorni della civiltà contadina.

Gli alimenti disponibili per le famiglie erano forniti quasi esclusivamente dai campi, dall'orto e dall'allevamento degli animali (mucca, maiale, pollame). Oltre che nelle proprie gravose fatiche, si confidava pertanto nell'aiuto della provvidenza, come afferma il ben noto detto popolare: Díu vêd, Díu pruêd (Dio vede, Dio provvede). Basti ricordare al riguardo le rogazioni primaverili attraverso i campi, per invocare la "clemenza dell'aria e la fecondità della terra", il suono del "campanone" (sunà rüm) per scongiurare la grandine, all'avvicinarsi di minacciosi temporali estivi, e la benedizione delle stalle, allora considerata importante quanto quella delle case, in occasione della festa di Sant'Antonio abate.

Ripetute nei corso dei secoli, le osservazioni relative ai fenomeni atmosferici e all'avvicendarsi delle coltivazioni, assieme alle credenze popolari più diffuse concorsero alla formazione dei proverbi, che si ritenevano idonei a pronosticare l'alternarsi del clima e ad indicare i tempi dei lavori campestri.

Poiché ancora sul finire dell'Ottocento era privilegio di pochi saper leggere e scrivere, i proverbi riferiti ai mesi dell'anno e quelli relativi alle principali festività religiose costituivano lo strumento fondamentale, facilmente memorizzabile, per trasmettere di generazione in generazione i contenuti della saggezza popolare, in particolar modo di quella attinente all'agricoltura.

Essendo molti proverbi determinati dalla rima finale, i loro dettami venivano tuttavia accolti con cautela, soprattutto quelli relativi alla durata e all'intensità del caldo e del freddo, alla pioggia e al bel tempo, oltre che ai periodi di maturazione dei frutti della terra. Lo suggerisce un noto detto, che sembra insinuarne l'inconsistenza: i pruèrbi di víc a hin bóm da fa i cavíc (i proverbi dei vecchi sono buoni per fare i cavicchi!). In questa pagina perciò proporrò i proverbi relativi ad ogni mese, nella convinzione che possano contribuire a conoscere e a mantenere vivo quel mondo ormai perduto, intessuto di fatiche e di privazioni, ma anche di viva solidarietà, rapidamente scomparso dopo il termine della seconda guerra mondiale, e costituire l'occasione per prendere coscienza che l'alto tenore di vita di cui oggi godiamo è il risultato del duro lavoro dei nostri nonni e bisnonni.

Caratteristico portone ottocentesco in via Matteotti

Caratteristico portone ottocentesco in via Matteotti

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Genôr

Pasquétä, 'n'urétä; sant'Antóni,`n'úrä bónä.
A Pasquetta (6 gennaio) un'oretta, a sant'Antonio (17 gennaio) un'ora buona.

È palese il desiderio che presto si allunghino le giornate. L'Epifania veniva chiamata "Pasquetta" perché nelle messe, al termine della lettura del Vangelo, viene annunciato il giorno nel quale sarà celebrata la Pasqua.

San Mául, un fréc dal diául, sant'Antóni, un fréc da demóni; san Sebastiän, un fréc da cän.
San Mauro (15 gennaio), un freddo del diavolo; sant'Antonio, un freddo da demonio; san Sebastiano (20 gennaio), un freddo da cani.

Con san Marcello, i santi Mauro e Antonio erano considerati i márcant da nê (mercanti della neve), il cui candore ben si adegua alla barba bianca del santo protettore degli animali (sant'Antóni da la bárbä biäncä). Nonostante i fastidi che le ripetute nevicate arrecavano - se necessario, lo spartineve (caláä) iniziava ad aprire le strade anche in piena notte - la neve era ritenuta benefica per le colture di frumento e segale, come afferma il detto "sotto la neve c'e pane, sotto l'acqua la fame".
La festa di Sant'Antonio abate risultava di primaria importanza non solo perché il sacerdote passava di cortile in cortile a benedire le stalle, ma anche perché era il tempo nel quale si uccideva il maiale, con grande festa di tutta la famiglia.

San Sebastiän, 'n'úrä in mäan.
A san Sebastiano, un'ora in mano.

Per la festa del santo la luce del giorno è già aumentata di un'ora piena, affermazione fondata su un proverbio dicembrino, anteriore alla riforma gregoriana del calendario, secondo il quale quello di santa Lucia "è il giorno più corto che ci sia".

Sänta Gnesä, la risärtä la cûr in da la scésä.
A sant'Agnese (21) la lucertola corre nella siepe.

Auspicio del ritorno di temperature meno rigide, più che probabilità a quei tempi di scorgere le prime lucertole tra le siepi. Anche se all'ultimo giovedì del mese in tutte le famiglie si festeggiava ul Cinín, mangiando ul salamín cui fasurít (salamino lessato con i fagiolini dall'occhio) per augurarsi la rapida fine dell'inverno, ancora dovevano arrivare, a fine gennaio, i tri dí da la mèrlä (i "tre giorni della merla"), ritenuti i più freddi dell'inverno.

Genôr fa 'l pónd, febrôr la rómp.
Gennaio fa il ponte, febbraio lo rompe.

Con febbraio finalmente comincia il disgelo del terreno e possono iniziare i lavori di preparazione dei campi per le arature. Quando i campi risultavano liberi dalla neve, si iniziava la raccolta delle sterpaglie che, non appena asciutte, venivano bruciate.

Métá genê, metá casínä e metá granê.
A metà gennaio, metà cascina e metà granaio.

Per arrivare con tranquillità alla fienagione di maggio e ai nuovi raccolti, a gennaio era necessario disporre di metà del fieno e della metà di frumento, segale e granoturco. Va ricordato che, sino agli inizi del secolo scorso, ben pochi viveri si acquistavano nelle botteghe.

Chi gh'ha 'l fên, gh'ha tüc i bên.
Chi ha il fieno ha tutti i beni.

Chi dispone di foraggio, sufficiente per nutrire la mucca (il latte era così assicurato) e gli animali da lavoro (asino o cavallo), dispone dei beni essenziali per famiglia e per i lavori nei campi. Il proverbio lascia intendere quanto erano allora importanti i prati irrigati dalla roggia nella valle del Ticino, poiché fornivano abbondante quantità di fieno.

Ul sü da genê l' ha fáí murì la só miê.
Il sole di gennaio ha fatto morire sua moglie.

In gennaio ancora non è tempo di cominciare a passare delle ore all'aperto, soprattutto per le donne, le cui giornate trascorrevano in gran parte tra la cucina e la stalla.

A san Sebastiän i tusán a hín rabiô 'me i cän.
A san Sebastiano le ragazze sono arrabbiate come cani.

Alle ragazze che ancora non erano fidanzate per la festa del santo risultava impossibile sposarsi prima della quaresima, periodo nel quale erano vietate le nozze solenni. Alta era per loro la probabilità di dover attendere un anno per maritarsi; fino a metà Ottocento, tre matrimoni su quattro vennero celebrati nella nostra parrocchia nei mesi di gennaio e di febbraio, prima dell'inizio dei lavori nei campi.

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Febrôr

A la Madónä Giriörä da l'invêr sóm förä, ma s'al piö o al tírä vénd par quaräntä dí sóm dénd.
Alla Madonna Candelora (2) dall'inverno siamo fuori, ma se piove o tira vento per quaranta giorni siamo dentro.

Le condizioni atmosferiche della festa della Purificazione della Vergine aiutavano a pronosticare il tempo dei giorni successivi; tuttavia un'altra versione del proverbio sosteneva che comunque il freddo sarebbe continuato, perché tra nüär e sirên, par quaräntä dí al sa mantên (tra nuvole e sereno, per quaranta giorni si mantiene). Dalla chiesa si portavano a casa le candele benedette e si appendevano in camera da letto. Sarebbero state poi accese in occasione della benedizione natalizia delle case, quando veniva amministrata l'Estrema Unzione agli ammalati gravi e si portava il Viatico ai moribondi, oltre che per scongiurare la grandine, quando ul campanóm al sunéä rüm (ai ragazzi, rientrati di corsa in casa sotto i primi goccioloni, le nonne facevano recitare il Pater Noster e il Credo sull'uscio della cucina). Il termine Giriörä costituisce la versione dialettale della parola "Ceraiola", riferimento alla gran quantità di cera utilizzata per la festa.

A san Biôs ga gérä la gútä sut'ál nôs.
A san Biagio (3) gela la goccia sotto il naso.

Subito un altro proverbio costringeva ad affermare che l'inverno ancora non era terminato.

A san Biôs sa binidís la gúrä e 'l nôs.
A san Biagio si benedicono la gola e il naso.

Al termine della messa il sacerdote benediceva il pane, che sarebbe stato mangiato a pranzo da tutta la famiglia per benedire la gola (sino agli anni Quaranta era abitudine dare dei bocconi di pane benedetto anche agli animali, particolarmente alle mucche). I fedeli presenti in chiesa poi si accostavano in fila all'altare, e il celebrante toccava loro la gola con due candele incrociate. La cerimonia della benedizione della gola rimanda a un miracolo, con il quale il santo aveva guarito un bambino che si era infilato una spina di pesce in gola.

A san Valentín la prümaérä l'é visín.
A san Valentino (14) la primavera e vicina.

A metà febbraio il clima comincia a raddolcirsi e già si avverte l'approssimarsi della primavera. il terreno non più gelato consente, come afferma il proverbio che segue, di preparare le aiuole per la semina dell'aglio e delle cipolle.

A san Valentín sa piäntä l'áj e 'l scigulín.
A san Valentino si seminano l'aglio e le cipolline.

L'aglio e la cipolla costituivano allora ortaggi molto preziosi per le massaie, e trovavano largo impiego in cucina.

A san Matíä la nê la vá víä.
A san Mattia (25) la neve va via.

Anche la neve accumulata all'ombra delle case finalmente si scioglie, e il lungo inverno si avvia alla fine.

L'áquä da fevrê la impĵnís ul granê.
La pioggia di febbraio riempie il granaio.

Terminati i freddi intensi, le precipitazioni si convertono in pioggia, la quale risulta benefica per la coltivazione del frumento e della segale.

Chi vör cambiá miê la ménä al sú da févrê.
Chi vuol cambiare moglie la porta al sole di febbraio.

Ancora non è tempo di scoprirsi, e occorre prudenza nell'eseguire i primi lavori all'aperto. Il proverbio lascia intendere la cura nel preservare la salute della moglie, alla quale spettavano compiti ben gravosi per il buon andamento della famiglia: allevare i numerosi figli, attendere ai lavori di casa e all'orto, mungere la mucca e badare agli animali da cortile.

Febrôr, cürd e môr.
Febbraio, corto e amaro.

Non solo il clima si mantiene inclemente e ancora non riprende il ciclo vegetativo delle piante, ma pure cominciano ad assottigliarsi le scorte nel granaio e sul fienile.

Antica pietra miliare sita in via Matteotti

Antica pietra miliare sita in via Matteotti

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Môrz

Môrz l'é 'n fiö d'unä baltrócä: un dí al piö, un dí al tira vénd, un dí al fiócä.
Marzo è figlio di una baldracca: un giorno piove, un giorno tira vento, un altro nevica.

L'incostanza dei clima di marzo, che alterna in continuazione la pioggia al vento, con rischio di qualche fuggevole spruzzata di neve, giustifica il giudizio popolare sulla sua qualità di figlio di buona donna.

La nê marzulínä la dúrä da la sirä a la matinä.
La neve marzolina dura dalla sera alla mattina.

Fortunatamente le nevicate tardive subito si sciolgono in acqua, poiché ormai fervono le arature dei campi per la semina dei granoturco, delle patate e dei trifoglio incarnato.

Môrz pulvurénd, pócä pájä e tänd furménd.
Marzo asciutto, poca paglia e tanto frumento.

Un marzo poco piovoso favorisce l'accestimento delle piccole piante di frumento ed evita lo sviluppo eccessivo del loro fusto, a scapito della spiga: il grano è ben più prezioso della paglia! Vi è un analogo proverbio anche nel mese di maggio (vedi).

A san Binidét, la rúndulä sút al téc.
Per san Benedetto (21) la rondine è sotto il tetto.

Sino al 1969 la festa di San Benedetto da Norcia venne celebrata il primo giorno di primavera; pertanto, assieme a temperature più miti, si riteneva imminente il ritorno delle rondini sotto i tetti e sotto i portici delle case. Se era una bella giornata, per la festa di San Giuseppe già si cominciava ad andare scalzi e qualche ardimentoso si arrischiava a camminare persino a piedi nudi (a pentérä). Con l'arrivo della primavera finalmente si tornava a vivere all'aria aperta!

Prümaérä tardíä l'é mòi falíä.
Primavera tardiva non e mai fallita.

L'innalzamento della temperatura favorisce la rapida ripresa dei ciclo vegetativo delle piante; tuttavia gelate e brinate tardive possono compromettere la fioritura delle piante da frutto, con gravi danni per il raccolto estivo. Perciò è meglio se la primavera tarda ad arrivare.

Quán' che'l curnôgh l'é fiurî, l'invêr l'é finî.
Quando il corniolo è fiorito, l'inverno è finito.

Il corniolo veniva coltivato negli orti ed era apprezzato non solo per i frutti dolci-aciduli, ma anche perché i suoi rami durissimi servivano per preparare i denti dei rastrelli.

Quán la quarésímä la túcä trí mês, ga nás la róbä äncä süi scês.
Quando la quaresima tocca tre mesi, nascono i frutti anche sulle siepi.

Il proverbio preannuncia un'annata di raccolti abbondanti negli anni in cui la quaresima interessa tre mesi (febbraio, marzo aprile): sconosciuta l'origine della credenza. Ricordiamo che il giorno della celebrazione della Pasqua è determinato dal plenilunio di primavera.

Sa cäntä ul trón prümä dal sciát, l'é 'n'án da mát; sa cäntä ul sciát prümä dal trón, l'é n'án bón.
Se tuona prima che gracidi il rospo, sarà un anno da matti, se gracida il rospo prima che tuoni sarà un anno buono.

L'arrivo di temporali anzitempo, prima dei risveglio dei rospi dal letargo invernale, era ritenuto il preannuncio di un anno avverso.

Göbä punénd, lünä crescénd; göbä levänd, lünä caländ.
Gobba a ponente, luna crescente; gobba a levante, luna calante.

La luna crescente è quella compresa tra la lünä nöä (quella invisibile) e la luna piena; la luna calante, o lünä végiä, va dalla luna piena alla luna nuova. Il mondo contadino riservava grande importanza alle fasi lunari, dalle quali faceva dipendere le piogge, la germinazione delle sementi, lo sviluppo delle piante e il periodo dei loro trapianto, il tempo propizio all'accoppiamento degli animali domestici, eccetera. Le semine dei cereali e degli ortaggi venivano fatte in tempo di luna crescente, mentre i raccolti e il taglio delle piante erano effettuati possibilmente in tempo di luna calante.

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Aprîl

S'al piö sü l'ulíä, l'é 'n án da carastíä. S'al piö la stimána säntä, l'é 'n án d'abundänzä.
Se piove alla Domenica delle Palme è un anno di carestia. Se piove durante la settimana santa è un anno di abbondanza.

Poiché la settimana santa segue immediatamente la Domenica delle Palme, le conseguenze della pioggia negative o positive in questi giorni non sono motivate da ragioni atmosferiche, e l'origine esatta del noto proverbio è sconosciuta. Probabilmente l'affermazione della prima parte del proverbio è giustificata dal disagio che essa provoca quando cade nella dumínigä da l'uä. La Domenica delle Palme è cosi chiamata perché, prima delle Sante Messe, il sacerdote benediceva i rami di ulivo, che venivano poi portati nelle case e collocate accanto ai crocifissi appesi in cucina e nelle camere da letto. L'ulivo benedetto si conservava con molta cura perché ne veniva bruciato un rametto all'avvicinarsi dei violenti temporali estivi, allo scopo di scongiurare la grandine.

Pásquä, bütä la fráscä. Vóltä o básää Pásquä, la ga sémpär la só fráscä.
A Pasqua spunta la foglia. Alta o bassa che sia, Pasqua ha sempre la sua foglia.

Pasqua ricorre la prima domenica che segue il plenilunio di primavera. "Alta" significa tardi, "bassa" vuol dire presto: i limiti estremi entro i quali viene celebrata la Pasqua sono il 22 di marzo (quando il plenilunio avviene sabato 21 marzo) e il 25 aprile (il plenilunio si verifica domenica 18 aprile). Poiché si ritiene che la luna regoli i cicli vegetativi delle piante, come affermano i due proverbi, anche quando è "bassa" per Pasqua spuntano almeno le prime gemme. Quando Pasqua cadeva in marzo, allora non era possibile mangiare insílátä e ciáp (insalata e uova sode), piatto tipico della tradizione pasquale. In tal caso l'insalata veniva sostituita dalla zücóriä mátä (tarassaco), colta nei prati.

S'al piö ul dí da Pásquä, püsê ügä che fráscä.
Se piove il giomo di Pasqua, più uva che foglie.

La pioggia nel giorno di Pasqua era considerata una benedizione per le vigne, quale pronostico di un abbondante raccolto di uva. Da noi la diffusione del proverbio è strettamente connessa al fatto che a Lonate, specie sul Monte Castano, esistevano numerose vigne fino alla metà del XIX secolo, periodo nel quale i vitigni vennero distrutti dalla peronospora. Successivamente si dovette coltivare l'uva fragola, che è immune delle malattie; ogni abitazione disponeva di un pergolato, addossato al ballatoio (la tópiä da l'úgä miricánä). Parte dei grappoli veniva fatta appassire su graticci, per il consumo nelle feste di fine anno.

Quan' ch'al fiócä 'n sü la föjä, da fiucá ga nó vöjä.
Quando nevica sulle foglie, di nevicare non ha voglia.

In caso di Pasqua "bassa" potrebbe cadere ancora qualche nevicata tardiva. Sarebbe però di scarsa intensità, poiché avverrebbe dopo un periodo di clima mite, dato che già vi sono le prime foglie.

A san Giôrg la suménzä la sa mét al cóld.
Per san Giorgio (23) le uova dei bachi le si mente al caldo.

La festa di San Giorgio è stata soppressa con la riforma del Calendario Liturgico del 1969. Verso tale data le uova dei bachi da seta dovevano essere poste nelle incubatrici, per accelerare la nascita delle larve, approssimativamente entro il 10 maggio. Fino agli anni Trenta del secolo scorso, quando subentrò una grave crisi dell'industria serica, l'allevamento del baco da seta costituì per le famiglie contadine un lavoro faticoso ma remunerativo. Dovevano essere liberati dei locali e predisposti i graticci a castello, sui quali venivano poste le larve. Poiché i bachi si nutrono esclusivamente delle foglie dei muróm, i campi intorno al paese pullulavano allora di filari di gelsi, ed era necessario disporre nei cortili di un grosso gelso, per assicurarsi che non venisse a mancare il nutrimento ai bachi appena nati, anche in caso di brinate o gelate tardive.

Aprîl ga n'á tréntä, ma s'ál pjués trentön ga faríä mô a nisön.
Aprile ha trenta giorni, ma se piovesse per trentun giorni non farebbe male a nessuno.

Un notissimo detto afferma che "in aprile, acqua ogni dì un barile", e certamente la pioggia è benefica per la vegetazione; da qui si spiega l'iperbole del suddetto proverbio.

L'unica stazione delle Rogazioni oggi superstite, in via Santa Savina

L'unica stazione delle Rogazioni
oggi superstite, in via Santa Savina

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Môg

A ntä Crûs ga bütä ul fiûr
A Santa Croce (3) [il trifoglio] mette il fiore.

Per la festa dell'Invenzione della Croce i campi seminati a trifoglio erano ormai in fiore e tappezzavano con macchie di rosso vivo le campagne, creando forti contrasti di colore, come in questi anni i campi di colza. La festa di Santa Croce veniva celebrata con grande solennità: al mattino si svolgeva la processione, dalla Parrocchiale alla Chiesa di San Giovanni in Campagna, alla quale partecipavano tutte le confraternite e un gran numero di parrocchiani; là giunti, si celebrava la Santa Messa cantata. Raccontano i più anziani che, sulla via del ritorno in paese, qualche volta le candele più esili si piegavano per il caldo. Tra San Marco (25 aprile) e la metà di maggio si svolgevano le processioni primaverili attraverso i campi, le cosiddette "Rogazioni", suddivise in "litanie maggiori" e "litanie minori". Alle cinque del mattino il sacerdote e numerosi fedeli dalla Chiesa Parrocchiale si incamminavano verso una delle "stazioni" poste all'incrocio delle carrarecce (nella foto sopra, l'ultima oggi superstite), recitando preghiere per propiziare il buon esito dei raccolti e la loro salvaguardia dalla grandine.

A Säntä Crûs gh'é 'n'invernin a pûs.
A Santa Croce c'è un piccolo inverno dietro 1'angolo.

Affermazione che può apparire esagerata, ma che ad esempio nel maggio 2010 ha trovato clamorosa verifica con un mese piovosissimo. D'altro canto, per i primi giorni di maggio si ricordano non solo temporanei abbassamenti della temperatura, ma addirittura una spruzzata di neve.

S'al piö a l'Ascensióm, par quaräntä dí ga sóm. S'al piö a l'Ascensióm, tüt i früd ai ván in perdizióm.
Se piove il giorno dell'Ascensione continuerà a piovere per quaranta giorni, Se piove per l'Ascensione tutti i frutti vanno in perdizione.

L'Ascensione si celebra quaranta giorni dopo la Pasqua, ed è la prima delle feste mobili. Se risulta remota la possibilità che la pioggia per la festa dell'Ascensione continui poi per quaranta giorni, più realistico appare il secondo proverbio, quando la Pasqua e "alta" (in tal caso l'Ascensione si celebra nella prima decade di giugno, periodo nel quale segale e frumento sono già in fase di maturazione).

Môg urtúlän, täntä pájä e póch grän; môg süc, grän par tñc.
Maggio piovoso, tanta paglia e poco grano; maggio asciutto, grano per tutti.

Piogge regolari risultano benefiche alla crescita dei cereali; tuttavia, se cadono in misura sovrabbondante, provocano l'eccessivo sviluppo dello stelo, a scapito della spiga. Analoga previsione era già stata formulata da un proverbio del mese di marzo (vedi).

A nt'Urbän ul furménd l'é grän.
Per Sant'Urbano (20) il frumento è grano.

Per la festa del Santo la spiga del frumento è ormai formata, e si attendono giornate di sole affinché giunga a maturazione.

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Giügn

Giügn, la misúriä in piign.
Giugno, la falce messoria in pugno.

Pájä e fên, quindès dí al vên.
Paglia e fieno maturano in quindici giorni.

A san Barnabá ségrä e méj in tärä vá.
A san Barnaba (11) si mietono la segale e il miglio.

Giugno è il mese nel quale giungono a maturazione la segale e il frumento; occorreva pertanto mettere mano alla falce messoria per la loro mietitura (sino al termine degli anni Quaranta tale operazione venne compiuta completamente a mano). Come afferma il secondo proverbio, bastano quindici giorni di bel tempo per la loro maturazione; gli steli venivano tagliati al piede e stesi in mannelli nei campi per una giornata, per completarne l'essiccamento. Riuniti in covoni, si trasportavano con i carri nei cortili e si ammucchiavano sulle cascine o sotto i portici, in attesa della loro trebbiatura. II terzo proverbio ricorda che nei secoli passati per San Barnaba si mieteva anche il miglio.

A san Vito e Mudèst l'áquä l'é pêg di tampèst.
Per i santi Vito e Modesto (15) l'acqua è peggio della grandine.

La carastiä la végn in brcä.
La carestia arriva in barca.

S'al piö a san Giuán, ul süc al fá poch dágn.
Se piove per san Giovanni (24), la siccità fa pochi danni.

In prossimità della mietitura la pioggia è più dannosa della grandine, perché non consente la piena maturazione dei cereali. Per rafforzare tale affermazione, si rimandava ai danni prodotti dalle esondazioni dei fiumi. Terminata la mietitura, come lascia intendere l'ultimo proverbio, subito si attendeva l'arrivo delle piogge, a beneficio delle restanti colture dei campi e delle semine del granoturco quarantino (ul mirigunín).

La rusáä da san Giuán la fá guarí tüt i malán.
La rugiada di san Giovanni guarisce tutti i malanni.

La tradizione contadina attribuiva benefici effetti alla rugiada raccolta ai primi chiarori della festività di Sam Giovanni Battista, l'unico santo dei quali la liturgia celebra la nascita. Di primo mattino, le massaie raccoglievano la camomilla e altre erbe medicinali ancora roride di rugiada; essiccate, venivano utilizzate per le tisane.

A san Pédär sa cátän i scirês.
Per san Pietro (29) si raccolgono le ciliegie.

A san Pédär sa cátän i galét.
Per san Pietro si raccolgono i bozzoli.

Oltre alle ciliege (ve n'era una pianta in ogni orto), in tale periodo si raccoglievano dal "bosco" anche i bozzoli, il cui ricavato assicurava alle famiglie un prezioso introito in contanti (solo la metà per gli affittuari).

Tampurôl da matínä, sa sá mój s'ál cumbínä.
Temporale di mattina, non si sa cosa combina.

L'é scriü sü la tápä che dòpu ul vénd ga vegn l'áquä.
È scritto sul chiavistello [della porta di casa] che dopo il vento viene la pioggia.

Se 'l sú al guárdä indré, al fa bèl ul dí adré.
Se il sole spunta dalle nuvole al tramonto, sarà bello il giorno dopo.

Dall'osservazione dei fenomeni atmosferici derivano altri tre proverbi, relativi alle tanto desiderate piogge estive.

Distesa di campi coltivati a grano in via Principessa Mafalda

Distesa di campi coltivati a grano in via Principessa Mafalda

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Lüj

Lüj, la tärä la büj.
A luglio la terra bolle [per il gran caldo].

La sücínä l'é pêg da la tampèstä.
La siccità è peggio della grandine.

Tampèstä, quaicós rästä; süc, dágn par tüc.
Dopo la grandine qualcosa resta; asciutto, danni per tutti.

Quindäs dí da sücinä i a fá andá tüc a dutrínä.
Quindici giorni di siccità invogliano tutti ad andare alla dottrina.

Tranne l'esile ma importantissima striscia di prati irrigati dalla Roggia Molinara nella valle del Ticino, il territorio di Lonate Pozzolo appartiene all'altipiano asciutto lombardo. L'esito dei raccolti settembrini (le patate e in particolare il granoturco, allora componente fondamentale dell'alimentazione contadina) dipendevano dalle piogge che cadevano net mese di luglio. Tutto ciò è rispecchiato dai proverbi sopracitati: la pur temuta grandine, che colpisce a strisce, risulta più tollerabile della siccità, e il perdurare di quest'ultima convinceva anche gli uomini a frequentare i Vespri della domenica pomeriggio, durante i quali veniva spiegata la "dottrina" (le nozioni fondamentali della fede e della morale cattolica), per invocare dal Signore il dono della pioggia.

Rús da matínä, l'áquä l'é visínä.
Rosso di mattina, l'acqua è vicina.

Tampurôl da basúrä, dürä gnéncä 'n'ürä.
Temporale pomeridiano non dura neanche un bra.

Se 'l tampurôl al végn da la muntágnä, ciápä la sápä e vá in campágnä; s'al végn da Bièlä, al végn cum la marälä; s'al végn da Nuárä, mét viä la sápä parché ta bágnä.
Se il temporale viene dalla montagna, prendi la zappa e vai in campagna; se viene da Biella, viene col manganello; se viene da Novara, riponi la zappa perché ti bagna.

I tre ultimi proverbi rispecchiano le osservazioni secolari riguardo al modo di manifestarsi dei temporali (loro probabilità e durata, i primi due), ma sopratutto le possibilità della caduta della pioggia: pressoché nulla se provenienti da nord, con grandine se da Biella, con pioggia se in arrivo da Novara.

A Säntä Madalénä sa tájä l'avénä.
A Santa Maddalena (22) si taglia l'avena.

Verso la metà di luglio l'avena è matura e dev'essere prontamente falciata, anche perché per la festa della Madonna del Carmine, compatrona di Sant'Antonino Ticino, che si festeggia nella terza domenica di luglio, già arrivavano i primi temporali; non di rado la processione con la statua delta Vergine veniva interrotta da improvvisi e violenti acquazzoni.

A Sant'Ánä l'áquä l'é méj da la mánä.
A Sant'Anna (26) la pioggia e più preziosa della manna.

A Sant'Ánä l'áquä la cür in da la piánä. A Sant'Ánä l'aáquä la cür in da la riánä.
A Sant'Anna l'acqua corre nella distesa dei campi. A sant'Anna l'acqua corre nella riana.

Per fortuna verso la fine del mese giungeva la festività di Sant'Anna, con la sua "dote" di abbondanti piogge ristoratrici dei campi (più preziosa della manna per gli ebrei nel deserto, afferma il primo proverbio), che si auguravano tanto abbondanti da scorrere, durante la caduta, sulla superficie dei coltivi e da correre con abbondanza nelle riane delle contrade (canalicoli centrali per il deflusso delle acque piovane).

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Ust

San Lurénz da la grän calürä, ma póch la dürä.
San Lorenzo (10) della gran calura, ma poco dura.

L'áquä da ust la rinfréscä ul busch.
L'acqua di agosto rinfresca il bosco.

Per san Lorenzo martire, cui è dedicata la notte delle "stelle cadenti", la temperatura e ancora molto alta; però il caldo ha breve durata, poiché i temporali della seconda metà di agosto presto rinfrescano l'aria. Da un'altra versione del proverbio il "gran caldo" di inizio agosto viene contrapposto al freddo intenso di fine gennaio, tuttavia entrambi durano poco: San Vincénz (22/1) da la grän frigiürä, San Lurénz da la grän calürä, ma l'ünä e l'ólträ poch la dürä.

S'al piö a San Lurenz al piö a témp.
Se piove per San Lorenzo, piove per tempo.

S'al piö a la Madónä l'é anmó bónä; a San Bartulamé l'é búnä da lavá i pé.
Se piove all'Assunta è ancora utile; per San Bartolomeo (24) [la pioggia] serve solo per lavare i piedi.

Dopo i sospirati temporali di fine luglio, si attendono nuove piogge a beneficio delle colture, soprattutto del granoturco, delle verze e dei prati asciutti. In concreto, le piogge risultano tempestive per San Lorenzo, ancora utili per l'Assunta, ma decisamente inutili se cadono per la festa dell'apostolo Bartolomeo. Un agosto siccitoso può compromettere il ciclo vegetativo delle piante con grave danno per i raccolti: ecco perché si afferma tanta indifferenza nei confronti delle piogge che cadono sul finire del mese.

La prümä áquä da ust la ménä viä un sach da pürès e vön da musch.
La prima pioggia di agosto si porta via un sacco di pulci e uno di mosche.

Tutte le piogge agostane risultano comunque motto attese, soprattutto da massaie e bambini, poiché allontanano le mosche e anche le pulci, un tempo purtroppo assai diffuse.

Ust, gió ul su l'é fusch.
Agosto, calato il sole è buio.

Ust, fas ciapá nó in dal busch.
Ad agosto non farti sorprendere dall'oscurità nel bosco.

Le giornate iniziano ad accorciarsi (in totale, di 75 minuti nel corso del mese), e il sole a fine agosto tramonta alle ore 19.45. II ritorno dai campi viene perciò anticipato e nelle cucine, a cena, già si deve accendere il lume (a Lonate la corrente elettrica sarebbe arrivata nelle case solamente nel 1907).

Affresco della Crocifissione visibile in Via Matteotti

Affresco della Crocifissione visibile in Via Matteotti

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Sitémbär

Sitémbär, al ga füs sémpär!
Settembre, ci fosse sempre!

Un dí bèl, un dí brüt, ga marúä tüt.
Un giorno bello, un giorno brutto, matura tutto.

"Ci fosse sempre settembre!" Il proverbio bene esprime la soddisfazione per aver superato le pesanti fatiche dell'estate, soprattutto le due fienagioni e la mietitura e trebbiatura dei cereali, e di potersi dedicare agli ultimi raccolti importanti poiché, una settimana prima o una settimana dopo, entro fine mese giungono a maturazione l'erba del terzo taglio dei prati irrigui, le patate e il granoturco (punatärä, mirigóm e mirigunín). Palese era la soddisfazione delle famiglie contadine, quando l'annata era stata favorita dal clima: la segale, il frumento e le pannocchie di granoturco nel granaio, oltre alla cascina colma di fieno, davano la garanzia di poter superare la lunga stagione invernale senza problemi. E così risultava facile consegnare la "primizia" (frumento o segale) alla parrocchia, per ringraziare il Signore dei frutti della terra.

A säntä Crûs partégä i nûs.
Per santa Croce (14) bacchia le noci.

A säntä Crûs pän e nûs.
Per santa Croce pane e noci.

Già per la festa dell'Esaltazione della Croce le prime noci sono mature, pronte da bacchiare con una lunga pertica; mangiare pane e noci è un mangiare da sposi (l'é 'n mangiá da spûs), afferma un proverbio notissimo. Entro fine mese giunge a maturazione anche l'uva fragola (ügä miricánä), più gustosa da mangiare quando non è ancora completamente matura, poi impiegata anche per preparare pane e uva (pän e ügä, detto anche pän tramvái).

A sitémbär la nóc e ul dí a hín lí.
A settembre la notte e il giorno hanno quasi la stessa durata.

A san Michê tän l'é lü 'me lê.
A san Michele (29) il giorno dura quanto la notte.

Ariä sitémbrinä, fréscä da sírä e da matínä.
Aria settembrina, fresca alla sera e alla mattina.

Nel mese di settembre la durata delle giornate continua ad accorciarsi, tanto che a san Michele, afferma il proverbio, il giorno e la notte hanno la stessa durata. In effetti ciò accade il 23 settembre, in occasione dell'equinozio d'autunno. Con la diminuzione della durata e dell'intensità dell'insolazione, la temperatura va man mano diminuendo e lo si avverte chiaramente, soprattutto al mattino e alla sera.

Löä vistíä, invêr fréc.
Spesso il cartoccio delle pannocchie, inverno rigido.

Mirigóm rári, puléntä spésä.
[Piante di] granoturco distanziate, polenta spessa.

Colte le pannocchie di granoturco, si scartocciavano (sfuiá ul mirigóm) di sera nei cortili. Tale operazione costituiva una festa per i residenti nel cortile, poiché tutti, uomini, donne e ragazzi vi partecipavano, aiutandosi reciprocamente: ogni sera si scartocciava a turno il granoturco di una famiglia. Dalla consistenza delle brattee (frascóm), i più anziani traevano previsioni sulla rigidità dell'inverno (tanto più freddo, quanto più spesse erano le foglie delle pannocchie), e giudicavano saggio l'aver consigliato di tenere rade nei campi le piante di granoturco. L'ultimo proverbio è tipico del pianalto asciutto della Lombardia: in assenza di irrigazione, solo distanziandole si riusciva ad ottenere un raccolto sufficiente a garantire "spessa" la polenta.

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Utúbär

A Säntä Terésä sa suménä a distésä.
Per Santa Teresa (15) si semina a distesa.

Bagnô o süc, par San Lúcä ai suménän tüc.
Sia il terreno bagnato o asciutto, per San Luca (18) seminano tutti.

Chi rispármiä ul letám, rispármiä a só dágn.
Chi risparmia il letame [nell'aratura], risparmia a proprio danno.

Ottobre è il mese della semina del frumento e della segale, basilari assieme al granoturco nell'alimentazione contadina perché venivano utilizzati, in varia combinazione, nella preparazione del pane. Nella loro coltivazione si seguiva la rotazione annuale: frumento e segale si alternavano, di anno in anno, al granoturco e alle patate. All'inizio di ottobre occorreva innanzitutto ripulire i campi, strappando gli steli essiccati del granoturco (scaróm) e, qualora ne fosse rimasta, l'erba (èrbä mirigúnä). Seguiva la concimazione con stallatico maturo, operazione quest'ultima indispensabile per garantirsi un buon raccolto; doveva essere abbondante poiché era stata tolta l'erba, utilizzabile per il sovescio. Lo ricorda il proverbio Tärä négra fá furménd, tärä biäncä fá niénd (il terreno scuro [ben concimato] dà frumento, il terreno bianco non dà niente). Per le feste dei santi Teresa e Luca, come affermano i due proverbi, le arature dei campi risultavano già quasi concluse. Prima dell'utilizzo delle seminatrici meccaniche, la semina del frumento e della segale avveniva a spaglio ed era effettuata dalla persona più esperta della famiglia (di solito ul rigiú. Sorreggendo la cavágnä con il braccio sinistro e procedendo con passo lento, spandeva la semente con la mano destra, colma ogni volta della stessa quantità, curando che si distribuisse in modo uniforme sul terreno.

A sumaná tampurî, ul racóld l'é mój falî.
Seminando per tempo, il raccolto non è mai andato male.

S'al piö a San Gal, al piö fínä a Natál.
Se piove a San Gallo (16), piove fino a Natale.

I due proverbi invitano ad eseguire le semine entro la prima metà di ottobre, poiché le giornate vanno sempre più accorciandosi e la temperatura diminuisce. La pioggia in tempo di semine risultava tanto fastidiosa da far dire dal proverbio che essa sarebbe continuata sino a Natale! La preminenza della rima fa sussistere anche un proverbio del tutto opposto: S'al fá bel a San Gal, al fá bèl finä a Natál (se fa bel tempo a San Gallo, sarà bello fino a Natale).

A san Simóm e Giüdä strépä la ráä, ca l'é marüä.
Per i santi Simone e Giuda (28) raccogli la rapa, poiché e matura.

Alla fine di ottobre i lavori nei campi sono ormai giunti al termine e, ultima, rimane la raccolta delle rape. Ingrediente ricco di vitamine e di sali minerali, la rapa veniva utilizzata per le minestre di riso.

A Säntä Térésä lodól a distésä. A San Simóm lódul a muntóm.
Per Santa Teresa allodole a distesa. Per San Simone allodole a mucchi.

La selvaggina occupava allora uno spazio ben maggiore nell'alimentazione, e la diffusione dell'agricoltura favoriva anche il passaggio nelle nostre contrade degli uccelli migratori. Il "passo" delle allodole raggiungeva il culmine fra santa Teresa e san Simone, in coincidenza con le prime brinate e le prime nebbie: in tale periodo era facile riempirne il carniere.

Processione del 1963 lungo via San Fortunato (foto di proprietà della sig.na Giuseppina Peraboni)

Processione del 1963 lungo via San Fortunato (foto di proprietà della sig.na Giuseppina Peraboni)

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Nuémbär

Par i Sänt, paltô e guänt.
Per i Santi (1), cappotto e guanti.

Nébiä básä, quél ca la tröä la lásä.
Nebbia bassa, quello che trova lascia.

Nei primi giorni di novembre (ul témp di Môrd: "il tempo dei Morti", dicevano i nostri nonni, dedicato al ricordo e alla preghiera), il freddo aumenta; uscendo di casa è necessario coprirsi con indumenti più pesanti. Cominciavano anche le giornate di nebbia intensa (la scighérä), un tempo ben più frequenti di adesso, con visibilità ridotta a pochi metri alla sera. Il proverbio afferma che, quando si dissolve, la nebbia lascia il tempo com'è: sereno o nuvoloso.

L'éstô da san Martín al dürä tri dí e un cicinín.
L'estate di san Martino (11) dura tre giorni e un pochino.

Al pari della primavera, l'autunno è caratterizzato da una notevole variabilità del clima, la cui manifestazione più nota e la cosiddetta "estate di san Martino", che regala verso metà novembre; giorni di sereno e di tiepido sole. Per alcune ore si torna a vivere all'aperto e si godono gli ultimi colori dell'autunno; un tempo le massaie aprivano le finestre nelle ore di sole, per intiepidire la cucina e la camera da letto. L'11 novembre scadevano i contratti colonici di quanti disponevano della partíä (abitazione, rustico e terreni) in affitto. In quel giorno gli affittuari che cambiavano "padrone" dovevano traslocare da un cortile all'altro del paese (fá san Martín) con il bestiame, le masserizie e gli attrezzi agricoli.

A san Martín ul must l'é vín.
A san Martino il mosto è vino.

Sino alla metà del XIX secolo, quando i vigneti vennero distrutti dalla peronospora, a Lonate era diffusa la coltivazione della vite; numerose erano le vigne, specie sul Monte Castano. Si dovette coltivare l'"uva fragola" (ügä miricánä, refrattaria alla malattia, da consumare a tavola), i cui pergolati (tópi) venivano addossati alle abitazioni. Il proverbio ricorda che, fino a quando esistettero le vigne, per la festa del santo Vescovo di Tours già si iniziava a bere il vino "novello". Era un giorno che si trascorreva in allegria, favoriti dal bel tempo, anche perché dalla domenica seguente inizia l'Avvento: a quel tempo era un periodo austero, interrotto solamente dalle festività di Sant'Ambrogio e dell'Immacolata.

A san Martín l'invêr l'é visín.
A san Martino 1'inverno e vicino.

A säntä Catarínä o nê o brínä.
Per santa Caterina (25) o neve o brina.

A säntä Catarínä prepárä la fasínä.
Per santa Caterina prepara la fascina.

A sant'Andréä prepárä la préä.
Per sant'Andrea (30) prepara il mattone.

Il primo proverbio avverte che, terminata la parentesi dell'estate di san Martino, il freddo aumenta, con intense brinate notturne a partire dalla festa di Santa Caterina d'Alessandria (possibile, addirittura, una prima spruzzata di neve!) Occorre pertanto preparare le fascine per accendere il camino ed anche procurarsi un mattone, da scaldare al fuoco ed infilare tra le coperte, per intiepidire il letto prima di coricarsi.

Végn l'invêr, végn l'infêr!
Viene l'inverno, viene l'inferno!

L'affermazione è ben giustificata, quando si rammenta che allora il freddo era più pungente, e ben più abbondanti erano le nevicate. Le abitazioni non venivano riscaldate perché la poca legna disponibile bastava appena per cucinare, e le persone dovevano passare le lunghe serate invernali al caldo umido delle stalle. Solo nei primi decenni del secolo scorso si resero disponibili l'energia elettrica per illuminare le abitazioni e la "stufa economica", che cuoceva i cibi, riscaldava l'acqua ed anche la cucina.

Il Presepio della Contrada di Mara realizzato per il Natale 2010

Il Presepio della Contrada di Mara realizzato per il Natale 2010

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Dicémbär

S'al piö a säntä Bibiánä, al piö par 'na stimánä.
Se piove a santa Bibiana (2), piove per una settimana.

Anche se all'inizio di dicembre sono ricorrenti le brinate notturne e persino le spruzzate di neve, per santa Bibiana (nome oggi diffuso come Viviana) può tornare la pioggia, anche se solo per breve tempo.

A sant'Ambrös ul fréc al cös. 
A sant'Ambrogio il freddo cuoce.

A sant'Ambrös bürátä e cös.
A sant'Ambrogio abburatta [la farina] e cuocila.

Già per Sant'Ambrogio il freddo punge; per riscaldarsi si deve setacciare la farina di granoturco e cuocere la polenta sul fuoco del camino.

La fiócä decembrínä tri mês la cunfínä.
La neve decembrina per tre mesi confina [in casa].

La neve che cade a dicembre, se abbondante, rimaneva anche sino all'inizio di febbraio sul terreno in ombra (al ravèrs), con grande soddisfazione dei ragazzi che vi formavano piccole piste ghiacciate su cui scivolare (piantá la viúsä).

Ul fréc la mängiä nó gnäncä ul lúf.
Nemmeno il lupo si mangia il freddo.

Il proverbio ricorda che il lungo inverno poteva essere intervallato da alcune giornate miti. Però i rigori invernali, ed anche le nevicate, tornavano presto, poiché il freddo non lo mangia nemmeno il lupo (ricordo di tempi andati, quando alcuni lupi vagavano d'inverno in brughiera).

Säntä Lüzíä l'é '1 dí püsé cürt ca ga síä.
Santa Lucia (13) e il giorno più corto che ci sia.

Proverbio antichissimo, formatosi quando, a causa di un'inesattezza del Calendario Giuliano, il solstizio d'inverno cadeva il giorno della festa della martire siracusana. Solo con la riforma del vecchio calendario giuliano, voluta nel 1582 da Papa Gregorio XIII, il solstizio invernale fu riportato al 21 dicembre.

Altro proverbio del mondo contadino. Tanto era il desiderio che si allungasse la durata delle ore di luce, che venivano osservate anche le sue più piccole variazioni!

Natôl al sú, carnavöl al fögh.
Natale al sole, carnevale al fuoco.

Natôl al fögh, carnavôl al sú.
Natale al fuoco, carnevale al sole.

Si tratta di una delle frequenti contrapposizioni nei proverbi. Meno diffusa l'altra versione: Natôl al sú, Pásquä al fögh e viceversa.

San Giuán, un sbaác dal gal.
A San Giovanni (27) la luce è aumentata di una durata pari allo sbadiglio del gallo.

Anche se non rientra nei proverbi dei mesi, è bello chiudere con un proverbio che rimanda alla concezione ciclica del tempo tipica della cultura popolare:

Dópu tänt'án, tänt dí e tänt mês, l'áquä la túrnä tüta ai só paês.
Dopo tanti anni, tanti giorni e tanti mesi, l'acqua torna tutta ai suoi paesi [col passare del tempo, tutto torna alla situazione precedente].

Rino Garatti

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Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia recente di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.


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