Introduzione  

Prefazione
Dopo la realizzazione dell'ipertesto dedicato all'Apocalisse di Giovanni, alcuni amici mi hanno chiesto di mettere mano ad un altro dei testi più ricchi di fascino dell'intera Bibbia, quel piccolo capolavoro che è il Libro di Daniele. Sebbene affascinato dall'idea, ho esitato parecchio prima di mettermi al lavoro, perchè bisogna essere ben pronti, prima di attaccare uno dei libri più simbolici e complessi dell'intero Antico Testamento. Pochi libri biblici hanno avuto un influsso culturale così importante come il libro di Daniele, se si pensa che Gesù identificò se stesso con il celeberrimo "Figlio dell'Uomo" delle visioni notturne del nostro profeta. Come vedremo, certamente non ha esagerato chi ha definito questo libro « una sintesi della Teologia della Storia ». Le profezie di Daniele possono essere considerate il punto di arrivo dell'intervento di Dio in tutta la storia precedente, e allo stesso tempo l'apertura di nuovi orizzonti verso l'alba del meraviglioso Regno Messianico. Proprio in Daniele troviamo le prime avvisaglie dello spalancarsi dell'offerta del Regno a tutte le genti, e il riconoscimento della potenza di Dio e del Figlio dell'Uomo da parte di tutti i Grandi della Terra. Come per i Libri Storici e per l'Apocalisse, non ho certo la pretesa di poterne svelare tutti i misteri reconditi, sui quali da più di due millenni si arrovellano gli esegeti; tuttavia, sulla scia di quanto fatto da Vittorio Messori nelle sue "Ipotesi su Gesù" (1976) ed "Ipotesi su Maria" (2005), vorrei accumulare una serie di "ipotesi" su come decriptare l'incredibile folla di simboli, sogni, mostri, miracoli che l'ignoto compilatore ha concentrato nei 14 capitoli del libro. In questo spero di essere assistito da Colui che in sostanza è il vero protagonista del libro, quel Signore al quale Azaria rivolge queste parole, che potremmo pronunciare anche noi, che ci accingiamo a leggere insieme questo testo: « non volerci confondere, ma agisci con noi secondo la tua bontà e la tua grande misericordia » (Dan 3, 41-42).

Il contesto storico della redazione
Inserito tra i cosiddetti ''profeti maggiori'', il libro di Daniele è in realtà uno scritto tardivo, assai posteriore a quelli di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Si pensa che sia stato scritto nel secondo secolo avanti Cristo, e cioè in uno dei momenti di maggior pericolo per la Fede di Israele, a causa dell'irrompere nel Medio Oriente, fin qui dominato dalle potenze Assira, Caldea e Persiana, della civiltà ellenistica, originale sintesi fra la cultura greca e le civiltà millenarie delle valli del Tigri, dell'Eufrate e del Nilo. Le leggendarie imprese di Alessandro Magno avevano portato la cultura greca fino ai confini dell'India, ed i suoi successori, i Diadochi, che si erano spartiti il suo immenso dominio, cercavano di imporre ai loro sudditi la grecità e tutti i suoi valori (e disvalori). La koinonè, la lingua greca, divenne il vettore di interscambio culturale in un vastissimo bacino che andava dalla Spagna all'Indo, e i nuovi sovrani tentarono con ogni mezzo di imporre la loro superiorità culturale oltre che militare.

Purtroppo questo sforzo portò i Seleucidi, sovrani della regione siro-mesopotamica, a cercare di grecizzare anche la regione palestinese, così come avevano fatto con il resto del Medio Oriente, cancellando le tradizioni mosaiche. Colui che maggiormente si intestardì nell'opera di grecizzazione del popolo ebraico fu Antioco IV Epifane ("Colui che si manifesta con splendore"), re di Siria dal 175 al 164 a.C. Succeduto a suo padre Antioco III il Grande, portò avanti l'eterna disputa con la dinastia tolemaica d'Egitto per la preminenza tra i regni ellenistici; la Palestina era parte di questa disputa e, nel 198 a.C., essa passò dal governo tollerante dell'Egitto a quello "integralista" della Siria. Gli Ebrei ortodossi naturalmente non accettarono l'ellenizzazione forzata, che comportava tra l'altro la proibizione della circoncisione e del riposo sabbatico, e diedero vita ad una vera e propria Resistenza armata, guidata dalla famiglia del sacerdote Mattatia e dai suoi tre figli: Giuda, Gionata e Simone, detti Maccabei, dall'ebraico "martello". Di questi valorosi guerriglieri abbiamo parlato trattando il Primo e il Secondo Libro dei Maccabei.

I Regni ellenistici nel 169 a.C., disegno dell'autore di questo sito

I Regni ellenistici nel 169 a.C., disegno dell'autore di questo sito

 

Il libro di Daniele è stato quasi certamente messo per iscritto proprio durante la persecuzione di Antioco IV di Siria, per infondere coraggio agli Ebrei cui era stato vietato di praticare la propria religione, richiamando alla fedeltà alla legge divina non tramite discorsi astratti e misticheggianti, ma:

Queste rappresentazioni concrete erano necessarie perché la lingua ebraica non conosce concetti astratti. Non si troverà mai nell'Antico Testamento la « potenza di Dio », bensì il « braccio potente di Dio », anche se Dio, ovviamente, non ha braccia. Di qui il linguaggio per parabole, la descrizione di eventi prodigiosi come i Tre Giovani nella Fornace o il Banchetto di Baldassarre, ed anche i veri e propri mostri che vedremo affollare la sezione più propriamente profetica: il concetto di "orrore" e di "mostruosità" che nella nostra mente è associata alla malvagità, infatti, non può essere espresso, nelle lingue semitiche, se non nella descrizione effettiva di un mostro con ali, creste, zampacce, molte teste e molte corna. Un'eredità, questa, che arriverà sino all'Apocalisse giovannea ed a gran parte del gusto artistico del Medioevo e dell'età moderna (si pensi ai capitelli delle cattedrali gotiche, o agli allucinanti dipinti di Hieronymus Bosch).

Inoltre, nel periodo di dura persecuzione che Israele doveva subire, prendendo come immagine Nabucodonosor, l'antico distruttore del Tempio salomonico e deportatore dei discendenti di Abramo in terra straniera, sotto le righe il compilatore dell'opera narra proprio la vicenda di Antioco IV Epifane, il nuovo persecutore, profanatore anch'egli del Tempio con l'idolo di Zeus sull'altare degli olocausti. Il profanatore, incarnazione di tutte le forze del male raffigurati negli immaginosi mostri sognati da Daniele, sarà distrutto da un Re futuro, per la cui venuta si fissa una precisa cronologia. La storia tra i due persecutori, il caldeo e l'ellenista, viene riepilogata nelle famosissime quattro visioni, che hanno tutte un'unica intenzione: utilizzando metafore e immagini fantasiose tipiche del mondo onirico, svelare il mistero della salvezza futura, cioè che i persecutori passano, Israele resta, il Regno di Dio e dei Suoi Santi arriverà certamente (Dan 2, 44 e 7, 18.25.27), e la salvezza dei giusti è sicura.

Un libro apocalittico
Proprio per questo, pur essendo stato inserito nel Canone come l'ultimo dei quattro grandi profeti nell'Antico Testamento, più che un testo profetico, il libro di Daniele appare piuttosto come un libro apocalittico, e quindi facente parte di un genere fiorito in età ellenistica, a partire dal III secolo a.C., e destinato ad una notevole fioritura, come abbiamo detto in altra sede. Come tutti i libri di questo tenore, esso distingue nettamente tra Cielo e Terra, tra Dio e i demoni, tra bene e male, tra buoni e cattivi, promettendo la vittoria finale dei primi e la condanna definitiva dei secondi. Esattamente come fa l'Apocalisse di San Giovanni evangelista, scritta non a caso durante le persecuzioni scatenate dai Romani contro i cristiani.

Tale genere letterario si manifesta nella Bibbia a cominciare proprio dall'era ellenistica, cioè quando il profetismo si esaurisce, JHWH cessa di parlare "direttamente" al suo popolo, e quest'ultimo ha la sensazione che i Cieli siano irrimediabilmente chiusi. È infatti allora che l'uomo sente la necessità di rileggere l'intera sua storia alla luce dell'Azione di Dio in essa, in modo che anche i momenti più tragici (la distruzione del Tempio di Salomone, l'esilio a Babilonia, la persecuzione da parte dei Seleucidi) assumano un senso nel quadro di un più generale piano salvifico del Signore. Questo genere letterario lo incontriamo nella cosiddetta "Apocalisse di Isaia" (capitoli 24-27) e in quella di Zaccaria (capitoli 9-11), ma anche nel libro di Gioele e in quello, straordinario, di Ezechiele:

« Ecco che il Signore spacca la terra, la squarcia e ne sconvolge la superficie e ne disperde gli abitanti (...) Certo, barcollerà la terra come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà. In quel giorno il Signore punirà in alto l'esercito di lassù e qui in terra i re della terra. Saranno radunati e imprigionati in una fossa, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e in Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani sarà glorificato » (Isaia 24, 1.20-23)

« Allora il Signore comparirà contro di loro, come fulmine guizzeranno le sue frecce; il Signore darà fiato alla tromba e marcerà fra i turbini del mezzogiorno. Il Signore degli eserciti li proteggerà: divoreranno e calpesteranno le pietre della fionda, berranno il loro sangue come vino, ne saranno pieni come bacini, come i corni dell'altare.  Il Signore loro Dio in quel giorno salverà come un gregge il suo popolo, come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra » (Zaccaria 9,14-16)

« Suonate la tromba in Sion e date l'allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di oscurità. Come l'aurora, si spande sui monti un popolo grande e forte; come questo non ce n'è stato mai e non ce ne sarà dopo, per gli anni futuri di età in età. Davanti a lui un fuoco divora e dietro a lui brucia una fiamma. Come il giardino dell'Eden è la terra davanti a lui e dietro a lui è un deserto desolato, non resta alcun avanzo » (Gioele 2,1-3)

« Questa parola del Signore mi fu rivolta: Ora, figlio dell'uomo riferisci: Così dice il Signore Dio al paese d'Israele: La fine! Giunge la fine per i quattro punti cardinali del paese. Ora che su di te pende la fine, io scaglio contro di te la mia ira per giudicarti delle tue opere e per domandarti conto delle tue nefandezze. Non s'impietosirà per te il mio occhio e non avrò compassione, anzi ti terrò responsabile della tua condotta e saranno palesi in mezzo a te le tue nefandezze; saprete allora che io sono il Signore. Così dice il Signore Dio: sventura su sventura, ecco, arriva. » (Ezechiele 7, 1-6)

Tale genere letterario era talmente diffuso da trovare espressione anche nel Cristianesimo nascente, come testimonia la cosiddetta "Apocalisse dei Sinottici" (Marco 13; Matteo 24, 1-36; Luca 17, 22-37; 21, 5-33):

« Gesù si mise a dire loro: "Guardate che nessuno v'inganni!  Molti verranno in mio nome, dicendo: "Sono io", e inganneranno molti. E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il principio dei dolori. (...) Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. (...) In quei giorni vi sarà una tribolazione, quale non è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà. Se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni. (...) In quei giorni, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo » (Marco 13, 5-8.12-13.19-20.24-27)

E l'"Apocalisse Paolina", presente in più passi delle Lettere di San Paolo (1 Tessalonicesi 4, 15-17; 2 Tessalonicesi 2, 1-12):

« Il Signore stesso, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole » (1Tessalonicesi 4, 16-18)

Fino ad arrivare, ovviamente, all'Apocalisse di Giovanni e alle apocalissi apocrife fiorite fin dai primi secoli dell'Era Cristiana, come l'Apocalisse di Sofonia (I secolo a.C. - I secolo d.C.), l'Apocalisse di Abramo (I-II secolo d.C.), l'Apocalisse di Adamo (I-IV sec d.C.), l'Apocalisse di Elia (I-IV secolo d. C.), l'Apocalisse greca di Baruc (I-III secolo d.C.), l'Apocalisse di Sidrac (II-V secolo d. C.), e persino la assai tardiva Apocalisse di Daniele (IX secolo d.C.)

Qualcuno cataloga il libro di Daniele anche come storico, contenendo una grande dovizia di particolari circa la storia di Israele durante l'esilio a Babilonia, ma vedremo che gran parte di tali particolari si rivelerà molto labile, alla luce delle conoscenze che oggi possediamo circa la storia del Medio Oriente nel VI secolo a.C.

Capolettera miniato all'inizio del Libro di Daniele nel Codice di Sant'Antimo, del XII secolo (Museo Diocesano di Montalcino)

Capolettera miniato all'inizio del Libro di
Daniele nel Codice di Sant'Antimo, del XII
secolo (Museo Diocesano di Montalcino)

 

Suddivisione del testo
Il libro di Daniele è arrivato a noi in tre lingue, caso unico nell'Antico Testamento:

Le sezioni in lingua greca, in particolare, ci sono state conservate solo nelle versioni greche del testo. Per questo esse sono considerate ''deuterocanoniche'' ed escluse dal canone ebraico e protestante, mentre si trovano nelle edizioni cattoliche della Bibbia.

Il trilinguismo del testo rappresenta un problema di assai difficile soluzione, che ha suscitato un vespaio di ipotesi. Secondo alcuni esegeti, la diversità delle lingue indica una diversa origine di ciascuna delle tre parti; in altre parole il libro di Daniele, tradizionalmente attribuito all'omonimo profeta, avrebbe in realtà tre autori diversi (come l'Odissea, che secondo alcuni sarebbe dovuta a tre poeti diversi, autori rispettivamente delle avventure di Telemaco, del resoconto del viaggio di Ulisse e della strage dei Proci). I tre manoscritti sarebbero poi stati riuniti in un unico libro, lasciandoli nella loro lingua originale perchè all'epoca della redazione definitiva (il II sec. a.C., come abbiamo detto sopra) il trilinguismo era abituale nella Palestina contesa tra i regni ellenistici.

Altri biblisti però non sono d'accordo, poiché altri libri di autori eterogenei (come la Torah) ci sono pervenuti in versione monolingue, e pensano invece ad una differenza di pubblico: i capitoli 2-6, per lo più aramaici, sarebbero destinati a un pubblico popolare, che dopo la deportazione a Babilonia aveva adottato la lingua dei vincitori, mentre i capitoli 8-12, interamente ebraici e densi di astruse profezie, sarebbero destinati a un pubblico più colto, dal momento che in era intertestamentaria l'ebraico era la lingua dei dotti. Le sezioni in greco invece sarebbero aggiunte posteriori dedicate agli Ebrei della diaspora, che si esprimevano unicamente in greco. Lo confermerebbero i testi di Qumran, fra i quali sono stati trovati frammenti di papiro del I secolo a.C., contenenti sia parti ebraiche che aramaiche del libro. Ciò però non spiega perchè il capitolo 2 sia scritto in ebraico dal versetto 1 alla prima parte del versetto 4, mentre dalla seconda parte di questo fimo al termine sia scritto in aramaico.

Una terza ipotesi sostiene che il libro fosse stato scritto interamente in aramaico; in seguito alcune parti sarebbero state tradotte in ebraico affinché esso fosse accettato dai Dottori della Legge come libro canonico. In questo caso però la domanda sarebbe un'altra: perché non è stato tradotto tutto?

Il vocabolario della sezione aramaica del libro comprende 31 parole di origine babilonese riguardanti l'amministrazione e la cultura (governatore, palazzo, sapiente, ecc.); 27 di origine persiana riguardanti il governo e l'amministrazione (prefetto, consigliere, giudice, ecc.); alcune di origine ebraica a carattere religioso (sacerdote, profeta, ecc.); e tre di origine greca, consistenti nei nomi di tre strumenti musicali (cetra, salterio, zampogna). Quest'ultimo fatto potrebbe stupire, perché al tempo dei Seleucidi in cui il libro fu scritto il greco era molto diffuso in Palestina; tuttavia l'Autore vive al tempo del re Antioco IV che perseguitò senza sosta gli Ebrei, per cui è facile comprendere la sua avversione per la lingua greca. Inoltre l'aramaico di Daniele presenta una grammatica piena di ebraismi: ad esempio sostantivi maschili che hanno una forma di plurale ebraica anziché quella propria dell'aramaico. Evidentemente l'Autore conosceva molto bene i testi biblici in lingua ebraica, e ne fu influenzato.

Quanto all'ebraico, molti autori a partire dal IV secolo a.C. tentarono d risuscitarlo come lingua letteraria, come dimostrano i libri biblici più tardivi (1 e 2 Cronache, Esdra, Neemia, Rut, Giona, Siracide) e i rotoli di Qumran, pieni di aramaismi e di grecismi, visto che i loro Autori parlavano l'aramaico e lo scrivevano facilmente, ma non altrettanto l'ebraico. Il vocabolario ebraico del Libro di Daniele comprende aramaismi e parole di origine persiana; termini poetici ed arcaici dal significato non sempre chiaro; parole ed espressioni tradizionali usate con costruzioni insolite, che rivelano quindi il carattere tardivo del testo; e persino alcuni termini con significato nuovo. Ad esempio in Dan 10, 6, nella descrizione dell'Uomo Vestito di Lino viene usata la parola ebraica gheviyah, che tradizionalmente significava "cadavere", ma che qui ha il senso di "corpo vivo" (« il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l`aspetto della folgore »); e questo significato lo si ritroverà anche in testi di epoca posteriore!

Venendo al greco, la lingua in cui sono state scritte le parti deuterocanoniche del Libro, è facile accorgersi che non si tratta certo del greco classico né di quello ellenistico (parlato all'epoca in cui esse furono redatte), e che tali brani sono traduzioni di un originale ebraico andato perduto. Nella narrazione infatti si susseguono frequentemente verbi al passato introdotti dalla congiunzione "e", subito seguiti dal soggetto, un costrutto questo tipicamente ebraico. All'inizio di alcuni passi dell'Appendice Deuterocanonica (13, 7.15.19.28; 14, 13.18.28) la narrazione è introdotta dalla formula « e avvenne che »: questo uso, ignoto al greco, è frequente nelle traduzioni greche dell'Antico Testamento, dove riproduce una forma tipicamente ebraica e di largo uso, tanto che la troviamo pure nell'incipit dei libri di Giosuè, dei Giudici e del Secondo di Samuele. Inoltre le parole dei vari personaggi sono frequentemente introdotte dalla formula « e disse/e dissero » (la troviamo in 13, 13.17.20.59.56; 14, 5.6.7.8.9.11.17.20.25.26.29.35.38), anch'essa caratteristica non del greco ma dell'ebraico. Vi è poi il verbo "dire" che, oltre al suo senso proprio, ha quelli traslati di "domandare", "rispondere", "soggiungere", "spiegare", eccetera, che sono propri dell'ebraico.

Dal punto di vista dei contenuti, il libro di Daniele può essere diviso in tre parti. Dopo un'introduzione generale (Dan 1, 1-21), il cui scopo è quello di contestualizzare gli eventi nel tempo e nello spazio, la sezione che va da 2, 1 a 6, 29 è essenzialmente narrativa, ed apparentemente narra la vita del profeta durante l'esilio a Babilonia del Popolo Eletto, dividendola in cinque celebri quadri, uno per capitolo:

La sezione che va invece da 7, 1 a 12, 13 contiene invece quattro grandiose visioni, ed è la parte più propriamente "apocalittica" del libro:

Il libro si conclude con un'appendice storica, apparentemente scollegata dal resto delle narrazioni e delle profezie, contenendo un episodio riferito all'infanzia di Daniele e tre alla sua vecchiaia:

Il profeta Daniele affrescato da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina (1511-1512)

Il profeta Daniele affrescato da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina (1511-1512)

 

Un personaggio extrabiblico?
Di Daniele, nel libro a lui intitolato, e del quale per secoli egli è stato considerato anche l'autore, si dice che apparteneva ad una nobile famiglia giudea. Era ancora adolescente quando venne deportato a Babilonia nel corso della cosiddetta Prima Deportazione, quella del 597 a.C., quando Nabucodonosor (605-562 a.C.) re di Babilonia depose il giovanissimo re Ioiachin dopo appena tre mesi di regno, e lo sostituì con suo zio Mattania, cui cambiò nome in Sedecia. Come racconta il capitolo 24 del Secondo Libro dei Re, Ioiachim fu deportato a Babilonia insieme a settemila fra cortigiani, notabili ed artigiani; tra questi, vi era anche il futuro profeta Daniele (una Seconda Deportazione avvenne nel 587 a.C., quando Sedecia fu ridotto in schiavitù e Gerusalemme rasa al suolo dai Caldei). Per la sua saggezza Daniele seppe conquistarsi la fiducia del re Nabucodonosor e dei suoi successori, diventò funzionario di corte ed interprete dei sogni del sovrano. I suoi nemici, invidiosi, denunciarono al sovrano il fatto che egli, come monoteista ebreo, rifiutava di venerare gli idoli di stato, ed il re fu costretto a gettarlo in pasto ai leoni. Daniele però evitò miracolosamente il supplizio e si vide graziato. La sua reputazione gli permise di continuare la sua attività dopo la conquista di Babilonia da parte dei Persiani avvenuta nel 539 a.C. (anche se su questo punto, come vedremo, la linea temporale del libro non è affatto chiara). Anche il re persiano Ciro apprezzò i suoi consigli, ma a causa della sua fede i suoi nemici lo fecero cadere in disgrazia una seconda volta, salvandosi di nuovo grazie all'aiuto del suo Dio. Durante la prigionia a Babilonia egli ebbe visioni del futuro, fino ai lontani tempi escatologici, e per questo è considerato uno dei profeti dell'esilio insieme ad Ezechiele, Abacuc e al Secondo Isaia (Aggeo, Malachia, Zaccaria e il Terzo Isaia sono invece i profeti del postesilio). Di volta in volta, nel libro a lui dedicato Daniele è descritto come paggio di corte fedele alla legge (1, 8), interprete di sogni (2, 36; 4, 5; 5, 11), governatore e capo di sapienti (2, 48), capo di satrapi (6, 3), destinatario di messaggi divini (7, 1; 8, 1; 10, 5), giudice (13, 45), persino sacerdote (14, 2, nella versione greca dei Settanta). Il nome Daniele viene di solito interpretato come « il mio giudice è Dio », e in ebraico viene così scritto:

La Chiesa Ortodossa celebra la festa liturgica di San Daniele il 17 dicembre insieme ad Anania, Azaria e Misaele, i tre giovani gettati nella fornace di Babilonia ma rimasti illesi; invece la Chiesa Cattolica lo ricorda il 21 luglio. Nell'Inghilterra medievale il nome si diffuse (nella sua variante Daniel) proprio grazie alla figura del profeta omonimo, ma a partire dal Rinascimento il suo uso si fece più raro: furono prima la Riforma protestante e poi i Puritani di Oliver Cromwell a riportarlo in voga. Secondo il Dizionario Etimologico Online, negli Stati Uniti rimase ininterrottamente fra i quindici nomi maschili più usati dal 1972 al 2008. La forma Daniel rimane pressoché la stessa in innumerevoli lingue; in olandese risulta Daniël, in finlandese Tanieli, in croato e in serbo Danijel, in russo Даниил (Daniil). Suoi diminutivi sono Danny, Dannie e Dan (quest'ultimo però può essere anche un nome autonomo, essendo quello di una delle Tribù d'Israele). Danilo è una sua variante tipica delle lingue slave, ma è molto diffusa anche in italiano. Daniello era piuttosto comune nell'italiano antico (come Raffaello da Raffaele), e lo si ritrova anche in Dante, ma oggi è desueto. Anche lo slavo Danko e il sardo Taniebi si pensa derivino da Daniele. Molto popolare è la versione femminile Daniela con le varianti Danielle e Dania. Inoltre Danieli è un cognome italiano piuttosto diffuso: il sito paginebianche.it ne conta 1175, di cui 472 in Veneto. Ancor più diffuso è il cognome Daniels nei paesi anglosassoni.

Tra i personaggi più famosi con questo nome si ricordano il poeta ungherese Dániel Berzsenyi (1776-1836); il pittore di icone russo Daniil Čërnyj (Даниил Чёрный, 1360–1430); il missionario italiano San Daniele Comboni (1831–1881), primo vescovo dell'Africa Nera; l'attore britannico Daniel Craig (1968-), noto per le sue interpretazioni di 007; l'attore anglo-irlandese Daniel Day-Lewis (1957-); lo scrittore inglese Daniel Defoe (1660–1731), autore di "Robinson Crusoe" (1719); il pilota automobilistico olandese Daniël de Jong (1992-); il calciatore romano Daniele De Rossi (1983-); il compositore russo Daniil Nikitič Kašin (Данила Никитич Кашин, 1769–1841); il comico romagnolo Daniele Luttazzi (vero nome Daniele Fabbri, 1961-); il calciatore serbo Danijel Ljuboja (Данијел Љубоја, 1978-); il pittore olandese Daniël Mijtens (1590-1648); il pilota motociclistico spagnolo Daniel Pedrosa Ramal (1985-), due volte campione del mondo; lo scrittore francese Daniel Pennac (vero nome Daniel Pennacchioni, 1944-); il pallanuotista italo-croato Danijel Premuš (1981-); l'attore inglese Daniel Radcliffe (1989-), che ha prestato il volto ad Harry Potter; il monaco greco San Daniele lo Stilita (410–490); il calciatore svizzero-bosniaco Danijel Subotić (Данијел Суботић, 1989-); e il fumettista croato Danijel Zezelj (1966-). Nelle arti, portano questo nome Sir Daniel Brackley, il cattivo del romanzo storico "La Freccia Nera" (1883) di Robert Louis Stevenson (1850-1894); Daniele Cortis, protagonista dell'omonimo romanzo (1885) di Antonio Fogazzaro (1842-1911); Danilo Danilowitsch, personaggio dell'operetta "La Vedova Allegra" di Franz Lehár (1870-1948); Daniel Jackson, il linguista dell'universo "Stargate" interpretato dallo statunitense James Spader (1960-) nel film omonimo (1994) e dal canadese Michael Shanks (1970-) nella serie di telefilm "Stargate SG-1"; Daneel R. Olivaw, il robot umanoide protagonista assoluto dell'universo fantascientifico creato da Isaac Asimov (1920-1992); e Danny Zuko, lo scatenato ballerino del film musicale "Grease" (1978), diretto da Randal Kleiser (1946-) e interpretato da John Travolta (1954-).

Fino alle soglie del XX secolo, nessuno ha mai dubitato che le vicende del nostro profeta si siano svolte così come narrato dal Libro di Daniele. In favore di una lettura letterale dell'opera vi erano le scarse conoscenze degli eventi del Vicino Oriente: solo nel 1802 Georg Friedrich Grotefend (1775-1853) riuscì a decifrare la scrittura cuneiforme alfabetica, e solo nel 1870 Sir Henry Rawlinson (1810–1895) decifrò anche l'assai più complesso accadico sillabico. Inoltre, a differenza delle opere di altri profeti, quella di Daniele è ricco di elementi che nel cristianesimo hanno assunto una fortissima valenza cristologica, in particolare  la profezia delle Settanta Settimane e l'epiteto di "Figlio dell'Uomo" fatto proprio da Gesù. Quest'ultimo lo si trova anche altrove nell'Antico Testamento, ad esempio in Ezechiele 2, 1, ma ivi non significa nulla di diverso da "uomo" (è infatti l'epiteto con cui, lungo tutto il libro, JHWH si rivolge ad Ezechiele), mentre in Daniele 7, 13 esso assume un significato chiaramente messianico, proprio come nei Vangeli. Ad esempio, ecco cosa leggiamo nel celeberrimo Catechismo di San Pio X (1905), sul quale hanno studiato i nostri genitori e nonni prima del Concilio Vaticano II:

« (65) Durante la schiavitù di Babilonia visse il profeta Daniele. Scelto insieme con altri giovani ebrei, per essere educato e poscia destinato al servizio personale del re, colla sua virtù si acquisto la stima e l'affezione di Nabucodonosor specialmente dopo di aver al medesimo manifestato ed interpretato un sogno ch'egli aveva avuto e poscia dimenticato. Sebbene amato dal re, Daniele non andò esente dalle persecuzioni de' suoi nemici, i quali, accusandolo di disobbedienza agli ordini sovrani, perché adorava il suo Dio, giunsero a cacciarlo in una fossa piena di leoni, dai quali pero restò miracolosamente illeso.
(85) Il profeta Daniele sul finire della schiavitù di Babilonia annunziava chiaramente, che il Messia sarebbe comparso, vissuto, rinnegato dai Giudei, e da loro ucciso, dopo settanta settimane di anni, e che poco dopo Gerusalemme sarebbe distrutta ed i Giudei dispersi, senza più potersi costituire in nazione. »

In epoca moderna però la conoscenza delle tradizioni letterarie extrabibliche ci ha permesso di scoprire tracce del nostro profeta anche al di fuori del libro che gli è stato attribuito. Tra i testi scoperti negli anni trenta a Ras Shamra, l'antica città di Ugarit, pochi chilometri a nord della moderna città di Latakia in Siria e fiorita nell'Età del Bronzo (prima metà del II millennio a.C.) è stata ritrovata la narrazione (risalente al XIV secolo a.C.) delle gesta di Aqhat, figlio di Danel. Quest'ultimo è presentato come un governante saggio e giusto, che prende le difese dei deboli contro i forti. Da notare che "Danel" (in ebraico דנאל) è differente da Daniel, mancando la lettera yod che caratterizza il nome del profeta Daniele, e nel libro di Ezechiele (lui sì, sicuramente vissuto a Babilonia durante l'Esilio) sono presenti alcuni riferimenti proprio a un "Danel" senza la yod:

« Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell'uomo, se un paese pecca contro di me e si rende infedele, io stendo la mano sopra di lui e gli tolgo la riserva del pane e gli mando contro la fame e stèrmino uomini e bestie; anche se nel paese vivessero questi tre uomini: Noè, Daniele e Giobbe, essi con la loro giustizia salverebbero solo se stessi, dice il Signore Dio. » (Ezechiele 14, 12-14)

I tre personaggi qui citati ad esempio per la loro giustizia, e cioè Noè, "Danel" e Giobbe, non appartengono al popolo d'Israele, e sono menzionati come giusti non discendenti di Abramo. Noè infatti è vissuto prima di Abramo, e Giobbe è nato nel paese di Uz (cfr. anche Genesi 22, 21), situato nel deserto di Edom, a sud di Israele, dato che il libro delle Lamentazioni afferma:

« Esulta, gioisci, o figlia di Edom, che risiedi nel paese di Uz! » (Lamentazioni 4, 21)

Anche il "Danel" di Ezechiele dunque non può essere il profeta Daniele dell'omonimo libro, del quale si dice che apparteneva sicuramente al popolo d'Israele, ma evidentemente è il giudice di Ugarit, la cui fama doveva essere proverbiale in tutto il Vicino Oriente, tanto da essere accostato al veneratissimo Noè ed all'altrettanto proverbiale Giobbe, simbolo di pazienza per antonomasia. Di "Danel" si magnificava la sapienza, tanto che Ezechiele dice del Re di Tiro:

« Ecco, tu sei più saggio di Daniele, nessun segreto ti è nascosto » (Ezechiele 28, 30)

Ed infatti il profeta Daniele di cui ci stiamo occupando sa interpretare i sogni di Nabucodonosor (virtù che era considerata il vertice della sapienza umana) e sa smascherare la truffa dei sacerdoti di Bel ai danni di re Ciro:

« Il re parlò con loro, ma fra tutti non si trovò nessuno pari a Daniele, Anania, Misaele e Azaria, i quali rimasero al servizio del re;  in qualunque affare di sapienza e intelligenza su cui il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che c'erano in tutto il suo regno. » (Daniele 1, 19-20)

La bontà di "Danel" era proverbiale, ed infatti il profeta Daniele sfida la morte per andare ad interpretare il sogno di Nabucodonosor, e salvare così tutti i sapienti di Babilonia. Nella letteratura ugaritica, infine, di "Danel" era ben nota la rettitudine nei giudizi a favore di vedove e orfani, ed ecco il giovane Daniele che salva dalla lapidazione l'innocente Susanna. Tutto questo ha portato molti storici e biblisti moderni a considerare il profeta Daniele una figura mitica, derivata dalla storicizzazione del racconto ugaritico.

Altri però, a partire da Harold Dressler (1979) e John Day (1980), hanno smentito che il "Danel" di Ugarit possa essere la stessa persona che è protagonista del libro di Daniele, visto che quest'ultimo non è giudice e principe ma solo un funzionario, e per di più dotato di profezia, a differenza del corrispondente ugaritico. Ezechiele scrisse il suo libro al principio dell'esilio (la celebre e grandiosa visione introduttiva di Ezechiele viene datata dai più al 4 giugno del 593 a.C., prima ancora della distruzione del Tempio), quando Daniele il profeta era solo un giovinetto; la fama di quest'ultimo si sarebbe diffusa tra gli Ebrei della diaspora solo molti decenni dopo, forse dopo la morte del profeta Ezechiele, per cui quest'ultimo doveva necessariamente rifarsi al "Danel" di Ugarit e non al Daniele biblico, con il quale non vi sarebbe alcuna identificazione, considerando anche il fatto che "il mio giudice è Dio" doveva essere un nome semitico assai diffuso in quei secoli, e molti personaggi dovevano portarlo in tutto l'arco della Mezzaluna Fertile.

Il Profeta Daniele, scultura in legno del "Maestro dei Profeti", secolo XII, Duomo di Cremona

Il Profeta Daniele, scultura in legno del "Maestro
dei Profeti", secolo XII, Duomo di Cremona

 

In altre parole, indipendentemente dal "Danel" ugaritico, il Daniele ebraico è realmente esistito, per quanto in seguito gli eventi a lui attribuiti siano stati rielaborati in chiave leggendaria, esagerandone le imprese, e addirittura raddoppiandone una, come la disavventura nella fossa dei leoni. È la stessa cosa accaduta ad altri personaggi biblici cui si attribuiscono imprese sovrumane, come Giosuè, Gedeone e soprattutto Sansone. Costoro sono esistiti davvero? Anche se non vi è menzione di loro al di fuori del testo biblico, non vi è motivo per dubitarne, essendo entrati a far parte della storia patria d'Israele. Ma davvero Sansone si mise in spalla le porte di Gaza, o uccise mille Filistei con una mascella d'asino? Difficile da credere. A lui è accaduto quanto è successo a personaggi molto più vicini a noi, come Arduino d'Ivrea e Alberto da Giussano: le loro figure furono mitizzate durante il Risorgimento italiano, al punto da attribuire loro velleità di unificazione dell'Italia contro i dominatori stranieri, velleità che essi non possedevano di certo (di Alberto da Giussano si è messa persino in dubbio la storicità, vista la mancanza di documenti coevi a suo riguardo). Eppure, l'Ottocento è considerato il secolo del trionfo della scienza, non certo un'epoca di elaborazione di miti... Sfortunatamente, la storicità di personaggi come Sansone, ma anche (per uscire dal contesto biblico) di Eracle, Orfeo, Odisseo, Gilgamesh ormai è per noi irraggiungibile, poiché tra il momento in cui vissero e quello in cui le loro gesta furono messe per iscritto sono intercorsi troppi secoli di rielaborazione orale e di infioramento mitologico. E allora? E allora ci teniamo le leggende con il loro fascino innegabile, avvertendo chi le legge che si tratta di miti, ma che essi ci possono trasmettere un immortale insegnamento morale. Lo stesso discorso si può ripetere per il Daniele biblico. Dato per assodato che un Daniele sia stato effettivamente deportato a Babilonia da Nabucodonosor e che egli abbia fatto carriera nell'amministrazione dell'impero caldeo, ciò che a noi deve interessare oggi non è quanto effettivamente egli ha detto o fatto, ma quanto di lui l'ignoto compilatore del II secolo a.C. ha presentato come modello ai Giudei oppressi dalla persecuzione di Antioco IV Epifane. Ed è proprio quest'eredità di Daniele, consegnata ai lettori della Bibbia in ogni tempo, che noi andremo ad analizzare in questo ipertesto.

Altri libri su Daniele
Oltre al classico Libro di Daniele che ci apprestiamo ad analizzare, è degna di nota l'"Apocalisse di Daniele", un testo apocrifo dell'Antico Testamento attribuito all'omonimo Profeta per conferire un'aura di sacralità ai suoi contenuti. Scritto probabilmente in aramaico, questa prima versione è andata perduta, ed è pervenuto fino a noi solo una sua traduzione in lingua Farsi della prima metà del IX secolo d.C. (per questo si parla anche di "Apocalisse Persiana di Daniele". Anch'essa appartiene al genere apocalittico come il libro biblico cui si ispira, e di quest'ultimo ricalca stile e contenuti. Come il Libro di Daniele è costituita da due parti ben distinte: nella prima sono narrate altre avventure di Daniele durante l'esilio a Babilonia, mentre la seconda è costituita da visioni apocalittiche. In queste ultime si preannuncia la sottomissione a un dominatore, sotto il quale si nasconde la figura di Maometto, ma anche il riscatto tramite il Messia figlio di Davide che instaurerà (lo vedremo anche nel capitolo 2 di Daniele) un regno indistruttibile.

E non è tutto. Sotto varî titoli (oracula, visiones, interpretationes Danielis) è attestata dall'VIII secolo d.C. l'esistenza di un vero e proprio genere letterario ispirato al libro biblico che ci apprestiamo ad analizzare. La cosa curiosa è che in esso non si parla più di una successione di regni corrotti, bensì di imperatori bizantini. Tra gli autori che si inserirono in questo filone letterario vi sono Metodio di Patara e Leone il Saggio. Un'Apocalisse di Metodio fu pubblicata in greco a Lione nel 1677; nella versione armena, pubblicata per la prima volta in Germania nel 1892, viene detta "Settima Visione di Daniele"; infine, una versione copta è inserita addirittura in varî manoscritti copti dell'Antico Testamento in appendice al libro canonico di Daniele. Quest'ultimo fu certamente redatto sotto la dominazione araba, e ciò conferma l'ipotesi da cui siamo partiti: il genere apocalittico non fiorisce in tempi di pace, bensì in quelli di più cupa persecuzione.

Daniele nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento Gesù fa innumerevoli riferimenti al Libro di Daniele, che dimostra di conoscere molto bene. La citazione più esplicita la troviamo nel cosiddetto "Discorso Escatologico" contenuto nel capitolo 13 di Marco e nel capitolo 24 di Matteo, allorché utilizza l'espressione "abominio della desolazione" (Daniele 9, 27 e Daniele 11, 31) per indicare la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito:

« Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda -, allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti... » (Matteo 24, 15)

Come vedremo, tale espressione viene usata da Daniele per riferirsi all'idolo di Zeus posto sull'ara del Tempio dall'empio Antioco IV Epifane, e perciò a Gesù viene naturale usare il medesimo termine per indicare la nuova profanazione del Santuario. Cristo afferma chiaramente che questo evento accadrà alla stessa generazione cui Egli si rivolge (Marco 13,2-4.14.30), ma molte frange del cristianesimo ritengono ancor oggi che questa sia un'allusione profetica ad una tribolazione ancora da venire, ed immediatamente precedente al Giorno del Giudizio. La stessa cosa vale per la profezia delle Settanta Settimane, che invece probabilmente si riferisce sempre alla persecuzione ellenistica.

Ma praticamente tutti gli episodi della sezione narrativa del libro (Dan 1-6 e 13-14) e tutte le visioni della sezione apocalittica (Dan 7-12) secondo noi cristiani prefigurano gli eventi narrati nei Vangeli. Particolare importanza riveste l'immagine di "uno simile ad un figlio di uomo" di Daniele 7, 13, poiché Gesù presenta se stesso proprio con questo titolo distintivo (vedi ad es. Matteo 26, 64 e Marco 14, 62), che ritroviamo anche in Apocalisse 1, 13. Già i Padri della Chiesa vedevano nell'utilizzo di questo titolo l'identificazione di Gesù con il Messia delle profezie. Più tardi, anche molti esegeti ebraici hanno attribuito questo titolo come il Messia da loro atteso, come si legge in alcuni testi apocrifi, ad esempio nel Libro di Enoc e nel Quarto Libro di Esdra.

Evidente è poi la lettura cristologica dei vari episodi del libro. Il masso che in Daniele 2, 34 abbatte la statua sognata da Nabucodonosor e dà vita a un regno eterno viene identificata con Gesù Cristo, il vero Re dell'Universo, che abbatte ogni potestà terrena ed instaura un « Regno che non avrà mai fine », come annuncia Gabriele a Maria (Luca 1, 33). I Tre Giovani nella Fornace vengono visti come prefigurazione di Cristo nella Sua triplice veste di Re, Sommo Sacerdote e Dio, che cala nella fornace della morte ma viene risuscitato dallo Spirito del Padre (l'angelo); sono inoltre simbolo del popolo di Dio che affronta le persecuzioni ma risorge a nuova vita grazie all'assistenza divina, ed è in tale veste che venivano spesso raffigurati nelle catacombe, come si vede nell'esempio sottostante. Anche Daniele nella Fossa dei Leoni viene interpretata come la Discesa agli Inferi di Gesù cui segue la gloria della Risurrezione, oppure come prototipo dell'assistenza divina nei confronti della Chiesa perseguitata. La Casta Susanna poi simboleggia la condanna ingiusta di Gesù, cui il Padre pone rimedio con la Risurrezione. Infine, l'uccisione del Drago di Babilonia indica la vittoria sul demonio e la redenzione dell'umanità.

E l'Apocalisse, della quale il Libro di Daniele è spesso visto come il "prototipo"? Anche se non tutti gli studiosi condividono la posizione estrema di Gregory K. Beale (1949-), professore di Nuovo Testamento al Westminster Theological Seminary di Glenside, secondo cui l'Apocalisse di Giovanni non sarebbe altro che un ripensamento del Libro di Daniele, la presenza di quest'ultimo nel testo giovanneo è indubitabile: si sono contate ben 76 riprese! Scritta in un tempo di rapporto conflittuale tra la Chiesa e l'Impero Romano, esattamente come Daniele riflette la pressione del movimento ellenizzante sul mondo giudaico, l'Apocalisse non intende semplicemente suggerire ai cristiani come resistere all'aggressione da parte del paganesimo, così come Daniele non è semplicemente un antidoto ad Antioco Epifane. L'uso ossessivo della simbolizzazione, frequentemente mutuata da Daniele, ne fa un messaggio di tipo universale. La Chiesa, incarnata nelle sette comunità cristiane della Provincia d'Asia, è invitata ad interpretare la storia dal punto di vista di Dio, così come suggeriscono i capitoli 7-12 di Daniele, e il suo avversario storico viene ad identificarsi con Babilonia, luogo della cattività del nostro profeta. Così ha scritto in proposito il biblista Ugo Vanni (1929-2018):

« L'asse temporale nell'Apocalisse raggiunge una conclusione più esplicita e radicale: il male sarà disattivato (Babilonia sarà distrutta), il bene avrà il massimo del suo sviluppo, in qualità ed estensione. L'universalità, che è la dimensione spaziale dell'apocalittica, che in Daniele si può intravedere, raggiungerà nelle pagine dell'Apocalisse il suggestivo livello della Gerusalemme Celeste. Con un'audacia intuitiva e mistica senza precedenti,  l'Autore supera la barriera che adesso separa la trascendenza e l'immanenza. Quella realizzazione altissima non è né un sogno né un'illusione; è la realizzazione piena, attuata giorno per giorno, del Regno del Figlio dell'Uomo intravisto da Daniele. »

Il "Cantico dei Tre Giovani nella Fornace" infine fa parte del rito del Mattutino nelle Chiese Ortodosse, e della liturgia delle Lodi della domenica e dei giorni festivi nel cattolicesimo.

 

Anania, Misaele e Azaria nella fornace, Roma, Catacombe di Priscilla, III secolo

Anania, Misaele e Azaria nella fornace, Roma, Catacombe di Priscilla, III secolo

 

Daniele nella tradizione musulmana
Daniele (in arabo دانيال, Daniyal) è considerato un profeta anche dai musulmani. Non è mai menzionato nel Corano, ma vi sono Hadith che portano il suo nome e che raccontano la sua permanenza nella fossa dei leoni (gli Hadith sono brevi narrazioni islamiche che fanno parte integrante della Sunna, la seconda fonte della Legge Islamica dopo il Corano). I musulmani distinguono tra messaggeri di Dio (rusūl) e profeti (nabī): entrambi sono portatori della rivelazione divina (Wahi), ma i messaggeri sono portatori del Messaggio divino alla comunità islamica attraverso un libro. I musulmani dicono: « mentre tutti i "rasūl" sono "nabī", non tutti i "nabī" sono "rasūl" ». Nel mondo islamico si discute se Daniyal sia un rusūl o un nabī, visto che non tutti sono d'accordo su quanto durò la sua predicazione. Alcune tradizioni musulmane riferiscono che, al momento della conquista islamica della Persia, nella città di Susa fu portata alla luce la presunta tomba di Daniyal/Daniele, nella quale c'era anche un libro pieno di rivelazioni apocalittiche: evidente richiamo al biblico Libro di Daniele. Esso però fu fatto nuovamente seppellire per ordine del califfo Omar, e se ne sono perse le tracce.

La tradizione musulmana ha conservato memoria di entrambi i Daniele nella Bibbia ebraica, il saggio dei tempi antichi cui fa riferimento Ezechiele e il profeta vissuto al tempo della cattività babilonese. Il primo è indicato negli scritti islamici come "Daniyal il Vecchio", mentre il secondo è citato semplicemente con il nome di Daniyal, e le sue vicende sono molto simili a quello di un altro profeta dell'Islam, Idris, la cui figura si ritiene ispirata a quella del biblico Enoc. Sia Daniyal che Idris sono considerati portatori di rivelazioni circa i misteri del futuro, oltre che esperti nelle arti e nella scienza. Altri imam musulmani rifiutano però tale distinzione e trattano Daniyal il Vecchio e Daniyal come un solo personaggio. La tradizione islamica racconta che Daniyal ha predicato a Babilonia durante il regno di Ciro, esortando il popolo a tornare a Dio e insegnando a quel sovrano l'unicità di Dio e i precetti dell'Islam. I principali eventi della vita di Daniyal coincidono con quelli del racconto biblico: l'educazione sua e dei suoi compagni alla corte di Nabucodonosor; i sogni di quest'ultimo; il banchetto di Baldassarre e la decifrazione della misteriosa scritta comparsa sul muro; l'invidia dei nemici di Daniyal e la sua miracolosa salvezza dalla fossa dei leoni. Altri eventi dal libro di Daniele invece sono completamente ignorati dalla letteratura musulmana, come la vicenda della casta Susanna o del drago di Babilonia.

Vi è però una leggenda che non si trova nella tradizione ebraica, ma solo negli scritti musulmani: è quella dell'incontro tra Daniele e Geremia, chiamato Aramaya Ibn Hilkiah (إرميا). Si pensa che esso sia modellato sull'incontro tra Abacuc e Daniele sul bordo della fossa dei leoni (Daniele 14, 33-39). Lo scrittore iracheno Ibn Abi Al-Dunya (823-894) narra così questo evento leggendario:

« Nabucodonosor catturò due leoni e li gettò in una fossa. Condusse poi Daniyal e lo lo gettò nella fossa insieme a loro, eppure i leoni non si avventarono contro di lui, anzi egli rimase illeso come volle Allah. Quando poi egli ebbe necessità di mangiare e bere cibo e bevande, Allah parlò ad Aramaya, che era in Sham [in Palestina]: "Prepara cibo e bevande per Daniyal." Egli rispose: "O Signore, io sono a Gerusalemme, mentre Daniyal è a Babilonia". Allah soggiunse: "Fai ciò che ti ho comandato di fare, io manderò uno che porterà là te e quello che hai preparato." Aramaya fece come gli era stato detto, ed Allah gli mandò qualcuno che lo avrebbe portato fin sull'orlo della fossa. Allora Daniyal chiese: "Chi sei?" Egli rispose: "Io sono Aramaya." Gli chiese: "Che cosa ti ha portato?" Egli rispose: "Il tuo Signore mi ha mandato da te." Soggiunse: "E così il Signore si è ricordato di me?" Egli replicò: "Sì." Daniyal disse: "Sia lode ad Allah che non mi ha mai dimenticato; lode ad Allah che non si dimentica mai di chi si appella a Lui; Lode a Colui che compensa il bene con il bene, premia la pazienza con la sicurezza, dissipa il male dopo il pericolo, ci rassicura quando siamo minacciati, ed è la nostra speranza quando l'ostilità ci minaccia! »

Come si vede, l'influsso del racconto biblico è incontestabile.

Daniele è considerato un profeta minore anche nella religione Baha'i, religione monoteistica sincretista fondata alla metà del XIX secolo da Bahá'u'lláh (1817-1892).

Il libro di Daniele nella storia dell'arte
Il testo di cui ci stiamo occupando ha avuto un largo spazio nell'iconografia cristiana fin dalle sue origini, per via del ruolo fondamentale giocato in esso dalla Profezia delle Settanta Settimane. Nelle catacombe si contano 39 affreschi (di cui tre oggi perduti) ad esso dedicati; il più antico, risalente al secondo secolo, si trova nelle catacombe di Domitilla, dove si fissa fin dal principio la rappresentazione di Daniele nella fossa: il profeta è mostrato tra due leoni, in preghiera con le braccia aperte, per lo più nudo, in modo da trasformarsi in prefigurazione della risurrezione, dell'aiuto di Dio ai suoi martiri e della potenza della fede in Cristo. Spesso a questa scena viene accompagnata quella di Daniele 14, 32-38, nella quale Abacuc è letteralmente "teletrasportato" dalla Palestina a Babilonia, onde recare il cibo a Daniele nella fossa; in essa infatti fu preconizzata l'Eucaristia, come appare chiaro nel cosiddetto Sarcofago di Brescia, dove sono posti in mano ad Abacuc un pane e un pesce.

La connessione tra il Libro di Daniele e l'interpretazione messianica delle sue profezie attuata in Gesù Cristo è chiara, tra l'altro, nell'affresco del Coemeterium maius risalente alla prima metà del quarto secolo, dove si riuniscono in un unico ciclo Daniele nella fossa dei leoni, i suoi tre compagni nella fornace e in mezzo il Buon Pastore. L'iconografia dei tre giovani gettati nella fornace ardente dovette far presa nell'immaginario paleocristiano, mentre è più rara nel corso del Medioevo, quando diverse furono le sue letture simboliche, la più diffusa delle quali fu la prefigurazione della verginità di Maria. Inoltre è impossibile non citare le "Storie di Daniele" dipinte intorno al 1535 da Girolamo Romani, detto il Romanino (1485-1566), nella chiesa di Sant'Antonio Abate a Breno (BS), nelle quali gli episodi del nostro Libro, a partire da quello di Anania, Azaria e Misaele nella fornace ardente, sono interpretati come prefigurazioni della passione e della morte di Cristo. La condanna dei tre giovani ricorda le composizioni figurative di Gesù davanti a Pilato, mentre la scena dei tre giudei che inneggiano a Dio dentro la fornace, con i soldati riversi a terra dopo essere stati investiti dalle fiamme, ricordano l'iconografia della Risurrezione, con le guardie abbattute al suolo in seguito al ritorno in vita del Redentore.

Un'altra iconografia molto diffusa è quella del banchetto di Baldassarre del capitolo 5: nel XVII secolo la rappresentazione di questo soggetto era frequente, poiché consentiva agli artisti di allestire scene di fasto barocco colme di oggetti preziosi e scene lascive, come si può vedere ad esempio nell'omonimo olio su tela di Rembrandt van Rjin (1606-1669). Meno riprodotta è invece la scena di Daniele che uccide il serpente, icona del Salvatore che distrugge gli idoli pagani. Impossibile poi non citare il "Profeta Daniele con i leoni", litografia di Marc Chagall (1887-1985), che dimostra l'interesse per questo libro anche nell'era contemporanea.

Molto raffigurato soprattutto a partire dal cinquecento è l'episodio della casta Susanna riportato nel deuterocanonico capitolo 13 di Daniele, che permette ai pittori di mettere su tela un perfetto corpo femminile associato alle grottesche figure dei due malvagi vecchioni. Nei secoli XVI e XVII anzi l'episodio dei guardoni diventa uno dei più popolari, a cominciare dagli affreschi del Pinturicchio (1452-1513) nell'Appartamento Borgia del Palazzo Vaticano. Tra le altre ricordiamo le Susanne di Lorenzo Lotto (1517), con dei cartigli a mo' di "fumetti"; del Tintoretto (1555 e 1560); di Guido Reni (1625), con la pelle di un innaturale incarnato color avorio; di Rembrandt (1634), particolarmente spaventata e timorosa; quella di Artemisia Gentileschi (1610), anche lei visibilmente terrorizzata, poiché la Gentileschi da giovane subì uno stupro; di Francesco Hayez (1850), assai sensuale e particolarmente tranquilla; fino ad arrivare a quella di Fernando Botero (1998), con le forme esagerate e volutamente sproporzionate che caratterizzano l'artista colombiano. In proposito ha commentato Lina Bolzoni, ordinaria di Letteratura Italiana alla Scuola Normale Superiore di Pisa« L'iconografia sfrutta eroticamente Susanna. Ma lei è anche una donna carica di fascino che emerge da un racconto scritto da mano maschile. La sopraffazione della vecchiaia sulla giovinezza, che è quanto si vorrà comprendere di questa storia, diventa un topos della letteratura. »

Quanto alla musica, spesse volte si è occupata della più celebre calunniata della storia, a cominciare da "La Susanna" di Giovan Battista Borri (1665-1688) all'omonimo oratorio HWV 66 del 1749 di Georg Friedrich Händel (1685-1759), dalla farsa "Susanne im Bade" (1911) di Fritz Redl (1902-1988) fino al dramma "Susannah" (1955) di Carlisle Floyd (1926-), una rielaborazione in chiave moderna e in ambiente americano della vicenda biblica, che dimostra la sua costante attualità.

L'oratorio "Susanna" (HWV 66) di Georg Friedrich Händel

 

Un chiasmo nel libro di Daniele?
È stato proposto che l'intero libro di Daniele sia organizzato secondo una struttura chiastica o concentrica, una caratteristica comune nell'antica poesia e letteratura ebraica. Il chiasmo (dal greco chiasmos, dal nome della lettera χ, chi, per la sua struttura incrociata) è una famosa figura retorica, consistente nell'accostamento di due proposizioni concettualmente parallele, in modo però che i termini della seconda siano disposti nell'ordine inverso a quelli della prima. In pratica si organizza un incrocio tra due coppie di parole, in versi o in prosa, con uno schema sintattico ABBA. Eccone alcuni esempi, in cui ho evidenziato i termini corrispondenti con il medesimo colore:

a) nel Limbo descritto da Dante (1265-1321): « Ovidio è il terzo, e l'ultimo è Lucano » (Inf. IV, 90)

b) nel primo verso dell'"Orlando furioso" di Ludovico Ariosto (1474-1533): « Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori... » (le donne sono legate agli amori, e i cavalieri alle armi)

c) nel "Cinque Maggio" di Alessandro Manzoni (1785-1873) « la fuga e la vittoria, / la reggia e il tristo esiglio » (vv. 47-48): a "vittoria" e "reggia", momenti di gloria, si contrappongono "fuga" e "tristo esiglio", a delimitare gli estremi nella vita di Napoleone.

d) nei "Promessi Sposi" dello stesso autore: « ...sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire... » (capitolo 19)

e) nell'"Ode all'Italia" di Giacomo Leopardi (1798-1837): « io solo / combatterò, procomberò sol io » (v. 38)

f) nel "Passero Solitario" dello stesso autore: « Odi greggi belar, muggire armenti » (v. 8)

g) il celeberrimo motto dei Tre Moschettieri nell'omonimo romanzo di Alexandre Dumas padre (1802-1870): « Uno per tutti, tutti per uno! »

Un particolare tipo di chiasmo è quello in cui, oltre all'inversione sintattica, si ha anche un mutamento o addirittura un rovesciamento del senso delle parole: viene frequentemente usato nella pubblicistica moderna, per la creazione di frasi programmatiche e di enunciati di effetto, con esiti spesso paradossali. Ad esempio: « l'arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi » (Karl Marx).

Nel 1978 Joyce G. Baldwin (+ 1996), ex preside del Trinity College di Bristol, ha proposto una struttura chiastica per la sezione in aramaico del libro di Daniele, cioè per i capitoli 2-7, così strutturata:

A1 (2, 4b-49): il sogno dei quattro imperi e dell'avvento del Regno di Dio

     B1 (3, 1–30): i tre amici di Daniele nella fornace ardente, salvati da Dio

          C1 (4, 1–37): Daniele interpreta un sogno per conto di Nabucodonosor

          C2 (5, 1–31): Daniele interpreta la scritta sul muro per conto di Baldassarre

     B2 (6, 1–28): Daniele nella fossa dei leoni, salvato da Dio

A2 (7, 1–28): la visione dei quattro imperi e dell'avvento del Regno di Dio

Nel 1986 William H. Shea ha proposto invece che Daniele sia composto da un doppio chiasmo, sottolineato dalle diverse lingue in cui il libro è scritto. Il primo chiasmo è scritto in aramaico e il secondo in ebraico, e ciò spiegherebbe perché l'aramaico continua ad essere utilizzato nel capitolo 7, anziché concludersi nel capitolo 6. In tale prospettiva il capitolo 7 rappresenta la conclusione della prima metà del libro, e non il capitolo 6 come su ritiene usualmente. Il teologo luterano Andrew E. Steinmann, dell'Università di Cincinnati, ha proposto di leggere il doppio chiasmo del libro di Daniele (escludendo gli ultimi due capitoli in greco, come fanno i Protestanti) nel modo seguente:

Argomenti Stile Lingua
Prima introduzione: Daniele in esilio a Babilonia (Dan 1) Narrativo Ebraico
A Nabucodonosor sogna quattro Regni e il Regno di Dio (Dan 2)
B Nabucodonosor assiste alla salvezza dei Servi di YHWH (Dan 3) Narrativo Aramaico
C Nabucodonosor è giudicato (Dan 4) Narrativo Aramaico
C Baldassarre è giudicato (Dan 5) Narrativo Aramaico
B Dario il Medo assiste alla salvezza dei Servi di YHWH (Dan 6) Narrativo Aramaico
Seconda Introduzione: profezia del ritorno dall'esilio a Babilonia (Dan 7, 13-14) Apocalittico Aramaico
A Daniele ha visioni di quattro Regni e del Regno di Dio (Dan 7)
D Dettagli sui regni post-babilonesi (Dan 8) Apocalittico Ebraico
E I Settant'Anni e il ritorno del popolo di Dio (Dan 9) Apocalittico Ebraico
D Maggiori dettagli sui regni post-babilonesi (Dan 10-12) Apocalittico Ebraico

Le sezioni corrispondenti sono evidenziate con i medesimi colori, e lo stile "apocalittico" è quello utilizzato per le visioni. I contenuti principali del libro possono essere riconosciuti nelle sezioni CC, dove Babilonia sarà giudicata, e in E, dove il popolo di Dio verrà riportato in patria; si tratta infatti del centro dei due chiasmi. Possiamo concludere che questo è il nocciolo principale del libro di Daniele, indipendentemente da quanto enigmatici possano apparire i dettagli del racconto.

A questo punto, non ci resta che inoltrarci nell'analisi dei singoli versetti, ma sempre tenendo conto dell'avviso che l'Uomo Vestito di Lino fornirà allo stesso Daniele:

« Molti saranno purificati, resi candidi, integri, ma gli empi agiranno empiamente: nessuno degli empi intenderà queste cose, ma i saggi le intenderanno! » (Daniele 12, 10)

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