Il libro dei Giudici


Denominazione del libro
Il libro dei Giudici copre un arco di storia di circa duecento anni che va dal XIII secolo a.C. al 1030 a.C., data d'inizio della monarchia. Lasciate alle spalle le gloriose epopee della conquista della Terra Promessa, inizia l'esistenza di Israele in Terrasanta, circondata da nemici esterni ed interni di ogni genere. La conquista non era stata definitiva, come detto, e le popolazioni indigene cananee attendevano solo il momento della rivincita. Per questo, racconta la Bibbia, le singole tribù d'Israele elessero, spesso indipendentemente l'una dall'altra, dei capi detti Giudici (Shofetim), i quali riunivano in sé il potere politico, quello militare e quello giudiziario, da cui il nome. E così, prima dei libri dei Re, ecco il libro dei Giudici.

Struttura del libro
Il Libro si presenta piuttosto eterogeneo, composto da una giustapposizione di racconti assai arcaici e di rielaborazioni più tarde, di episodi storici fedelmente tramandati e di costruzioni mitologiche, di prosa asciutta ed essenziale e di stupendi passi poetici. L'introduzione è duplice: una storico-geografica e una di tipo dottrinale, cui segue una lunga serie di smacchi e di umiliazioni subite dal popolo d'Israele nei lunghi decenni durante i quali Israele non è ancora una nazione, ma solo una blanda federazione di tribù, spesso in aspra contesa tra di loro. L'autore dà una spiegazione religiosa agli insuccessi degli Ebrei: è l'infedeltà a Dio che provoca l'abbandono di Israele nelle mani dei nemici.
È proprio in questi momenti di crisi che sorgono delle figure carismatiche, destinate a far fronte agli assalti dei nemici dando compattezza ai vari clan e tribù.
Il Libro presenta tredici di queste figure, di cui cinque sono definite Giudici Maggiori, e otto Giudici Minori, per l'ampiezza della trattazione delle loro gesta. Con Barak, braccio armato di Debora, il numero totale arriva alla cifra simbolica di quattordici. Naturalmente le figure ricordate nel libro, siano esse grandi condottieri o semplici capiclan appena nominati, non esauriscono certamente la lista di tutte le figure storiche che giudicarono le tribù tra il XIII e l'XI secolo a.C.; l'autore riporta solo i principali, o quelli di cui ha avuto notizie, cercando così di colmare il vuoto tra Mosè e Samuele. I Giudici Maggiori sono:

Invece i giudici minori sono Otniel, Ehud, Samgar, Tola, Iair, Ibsan, Elon e Abdon. Ad essi poi andranno aggiunti Eli e Samuele, citati nel Primo Libro di Samuele.

La profetessa Debora come è stata disegnata nella "Sacra Bibbia a fumetti" della San Paolo (1997)

La profetessa Debora come è stata disegnata nella
"Sacra Bibbia a fumetti" della San Paolo (1997)

Debora
Debora (capitoli 4-5) si oppone a Iabin, re della città cananea di Cazor, il quale tiranneggia le tribù del nord con il suo esercito, guidato dal possente generale Sisara. La gloria della città cananea di Cazor è stata messa in luce dagli scavi archeologici. Della vicenda di Debora ("ape"), la prima donna a diventare giudice, ma descritta anche come "profetessa! (Gdc 4, 4), si danno due versioni: una in prosa, nel capitolo 4, ed una in poesia, nel capitolo 5, uno stupendo poemetto che, secondo alcuni, è antichissimo e rappresenta una delle prime pagine della Bibbia ad essere state tramandate e poste per iscritto. Braccio armato di Debora è Barak ("raggio" di sole), capo dell'esercito israelita e responsabile della sconfitta di Sisara che, cercando di salvarsi la vita con la fuga, ripara presso Eber il Kenita (dunque un discendente del Caino della Genesi), uno straniero che però ha una moglie ebrea, Giaele. Questi lo uccide fracassandogli il capo con un piolo da tenda: una scena macabra più volte ripresa nella storia dell'arte.
Storicamente si pensa che l'episodio rifletta le guerre vittoriose combattute dalle tribù settentrionali contro le città cananee ancora potenti e tut'altro che sottomesse, come lasciava invece credere il libro di Giosuè.

Gedeone
Gedeone (capitoli 6-8), della tribù di Manasse, deve invece opporsi ai Madianiti, un popolo nomade del deserto del Sinai, tradizionalmente ostile ad Israele nonostante da esso provenisse anche la moglie di Mosè, Sefora: in questo caso l'ostilità si traduce nella distruzione delle messi. La vocazione di Gedeone ricalca lo schema di molte altre chiamate bibliche, incluse quelle del Nuovo Testamento. Gedeone riceve l'epiteto di Ierub-Baal ("Baal giudichi") perchè, dopo la vocazione, ha spezzato l'altare del dio pagano edificato da suo padre, ma questi, a chi vorrebbe vendicarsi di Gedeone, risponde:

« Volete per caso essere voi a difendere Baal? Se è un dio, penserà lui a vendicarsi, perchè è stato abbattuto il suo altare! » (Gdc 6, 31)

Prima delle sue imprese belliche, Gedeone invoca più volte un segno: la rugiada che bagna un vello ma lascia asciutta tutta la terra circostante. Di seguito, con soli 300 uomini affronta i Madianiti e li sbaraglia. Di Gedeone si raccontano due campagne: una ad ovest (cap. 7) ed una ad est del Giordano (cap. 8). A queste vittorie si fa risalire il ruolo egemone di Efraim tra le tribù del nord. In ogni caso, egli rifiuta l'elezione a re perchè « il Signore è il vostro capo » (Gdc 8, 23).

Il vello di Gedeone, bassorilievo del Duomo di Orvieto, XIV secolo

Il vello di Gedeone, bassorilievo
del Duomo di Orvieto, XIV secolo

Abimelec
Al contrario Abimelec (capitolo 9), figlio di Gedeone e di una concubina di Sichem, tenta di imporsi come re almeno di questa città; il libro riporta la leggenda secondo cui avrebbe ucciso i suoi settanta (!) fratelli per non avere rivali che gli contendessero il trono. Da notare in Gdc 9, 2 Abimelec interpella "i signori di Sichem", cioè la nobiltà: ciò dimostra quanto ci dice l'archeologia, cioè che agli inizi dell'occupazione della Terra Promessa essa era divisa in città stato dotate di autogoverno di tipo oligarchico, come le città stato greche. Probabilmente si tratta di ricchi proprietari terrieri come i senatori romani, o di mercanti arricchitisi con il commercio: una situazione sociale che si adatta assai bene ad una città prospera come Sichem, ma che era del tutto estranea alla struttura tribale degli Israeliti, pastori ed agricoltori.
L'autore deuteronomista, a cui dobbiamo anche il libro dei Giudici, concepisce la monarchia solo come un'istituzione di origine divina, ed il re come "vicario" di JHWH in terra; la decisione unilaterale di Abimelec di farsi re è perciò del tutto disapprovata. Iotam, l'unico figlio di Gedeone scampato alla strage ordinata da Abimelec, risponde allora narrando una parabola, una vera e propria favola sul modello di quelle di Esopo e Fedro, in cui a parlare sono gli alberi: probabilmente un testo antecedente al libro dei Giudici, facente parte della ricca tradizione delle fiabe ebraiche, e qui inserito per spiegare quale tipo di potere eserciterà il sovrano. Infatti gli alberi fruttiferi rifiutano la corona del mondo vegetale, e ad accettarla è solo il terribile e spinoso rovo.
Comunque Abimelec fa la fine di tutti i tiranni di ogni epoca e nazione: uno "spirito malvagio" (inviato da Dio nella rilettura teologica che la penna del Deuteronomista fa della storia sacra) mette la discordia tra il tiranno e i sichemiti, in realtà ribellatisi alla sua autocrazia, e Gaal figlio di Ebed (può voler dire "figlio di uno schiavo") organizza un colpo di stato contro di lui. Abimelec dà l'assalto alle mura di Sichem e la espugna, ma poi osa troppo dando l'assalto a Tebez, munita rocca dove la popolazione si era rifugiata, ed ecco una donna lo uccide gettandogli in testa una macina da mulino; il libro introduce un elemento narrativo interessante sostenendo che il morente Abimelec chiede ad uno scudiero di finirlo, perchè non si potesse dire che era morto per mano di una donna (ma come avrà fatto a sapere che la macina non era stata scagliata da un uomo?) Nella misera fine di Abimelech è fatta balenare la teoria della retribuzione, carissima all'autore Deuteronomista:

« Dio fece ricadere su Abimelech il male che aveva commesso contro suo padre, quando uccise i suoi settanta fratelli, e ugualmente fece ricadere sui Sichemiti tutto il male da loro compiuto » (Gdc 9, 56-57)

Iefte
Iefte (capitolo 11) è una delle più tragiche figure dell'intera Bibbia. L'autore lo presenta come figlio di una prostituta, ma valoroso guerriero a capo di una sua banda di "mercenari", e per questo chiamato dagli anziani del Galaad (regione transgiordanica) a contrastare l'invasione degli Ammoniti, popolo anch'esso transgiordanico che compie razzie anche al di là del Giordano. La vittoria di Iefte è piena e totale, ma egli ha commesso un errore: ha fatto voto a Dio di immolargli, in caso di vittoria, il primo essere vivente che gli verrà incontro dalla porta di casa sua.
Purtroppo la prima a corrergli incontro è purtroppo la sua unica figlia, ancora vergine, che egli non esita a sacrificare per mantenere fede al patto con Dio. Il cruento episodio ispirò a Dante una celebre invettiva (Paradiso V, 64-68):

  « Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia;
  cui più si convenia dicer "Mal feci",
che, servando, far peggio... »

In altre parole: era meglio infrangere il voto che commettere un peccato peggiore osservandolo. In questo caso il peccato peggiore è il sacrificio umano, fortemente riprovato dalla Bibbia: Iefte qui sembra comportarsi infatti come quegli stessi cananei che egli ha ferocemente combattuto. L'autore deuteronomistico lo presenta comunque come il gesto isolato di un uomo che viveva ai confini estremi di Israele, e certamente da non imitare.
Il poeta David Maria Turoldo ha scritto una ballata intitolata "Pianto della figlia di Iefte". Eccone alcuni versi:

« Era sulla mensa nuda all'altare.
Profumata, bellissima. Intorno
tutta la terra rapita:
il sacerdote (occhi e volto
dal suo sangue macchiati) e il popolo
prostrato e senza respiro.
Quando in mezzo al silenzio
dagli ulivi gracchiarono i corvi.
Ognuno udì da se stesso uscire quell'eco
e la carne fu viva per improvviso risveglio.
Poi, alti, quei corvi, eran macchie nel cielo. »

Sansone
Ed eccoci al più famoso tra tutti i Giudici, Sansone (capitoli 13-16)
, appartenente alla piccola tribù di Dan, minacciata da un nemico nuovo e potente: i Filistei, popolo di stirpe indoeuropea stanziatosi sulla costa meridionale palestinese contemporaneamente all'Esodo-fuga. Molti ritengono che i Filistei appartengano ai famosi "Popoli del Mare" che si misero in moto nel XII secolo a.C., provenienti tra l'altro dalla Sardegna, distrussero l'impero Ittita e minacciarono l'Egitto; respinti da Ramses III (1198-1166 a.C.), l'ultimo grande faraone del Nuovo Regno, si sarebbero insediati in Palestina, dove fondarono cinque città, tra cui Gaza e Asdod. Ora questi nemici terribili, dotati di armi di ferro e di carri da guerra, minacciano i pacifici Daniti; Iddio manda perciò un angelo a Manoach e a sua moglie, ad annunciare loro la nascita di Sansone, ritenuto tradizionalmente l'Ercole dell'epica ebraica. A differenza delle imprese di Debora, Gedeone ed Abimelec, che si limitarono ad essere ingigantite dalla tradizione, quelle di Sansone sono di storicità assai controversa. probabilmente il Deuteronomista rielaborò racconti folcloristici in parte iperbolici e leggendari (il leone squartato a mani nude come il Leone di Nemea dell'epica greca, le porte di Gaza...) e li sovrappose a tradizioni cananee riguardanti il culto solare. Infatti Sansone richiama il nome di Shamash, dio babilonese del sole; la sua donna si chiama Dalila, cioè "luna", come se si trattasse di un racconto mitico degli amori tra i due astri, con il sole sconfitto dalla luna al calare della notte; la sua capigliatura richiama i raggi del sole; e, come il sole, incendia le messi.
Al di là di questo, l'"annunciazione" della nascita di Sansone richiama quelle di Isacco, di Samuele e dello stesso Gesù: in tutti i casi un angelo dal nome misterioso (solo di Gabriele conosciamo le generalità dal vangelo di Luca), perchè espressione di Dio stesso, annuncia la nascita ai genitori. Il bimbo è consacrato a Dio e diventa Nazireo. Non gli sono vietati i rapporti sessuali, perchè in Israele la perpetuazione della famiglia era l'unica forma di immortalità conosciuta, ma non deve bere alcolici né radersi i capelli. Il sole infatti, quando è prossimo al tramonto, perde i suoi raggi a causa dell'assorbimento atmosferico, e quindi perde la sua forza.

F. Monzio Compagnoni, Sansone uccide il leone, da "La Bibbia per la Famiglia", edizioni San Paolo

F. Monzio Compagnoni, Sansone uccide il leone,
da "La Bibbia per la Famiglia", edizioni San Paolo

Ma proprio le donne, a lui non vietate, saranno la rovina di Sansone. Egli infatti vuole prendersi una moglie filistea, e durante il banchetto nuziale pone ai filistei il celebre indovinello della carcassa di leone da lui stesso ucciso in cui le api hanno costruito un alveare ricco di miele. L'indovinello era un genere letterario frequente nel Vicino Oriente, utilizzato anche a scopo didattico; la capacità di scioglierli denotava la persona sapiente. Così, Edipo scioglie gli enigmi della Sfinge, Calaf quelli di Turandot e, nella Bibbia, Giuseppe e Daniele quelli rappresentati dai sogni rispettivamente del Faraone e di Nabucodonosor. Corrompendo la sua donna, i Filistei ottengono la soluzione, ma Sansone s'infuria e se ne va. Alla notizia che sua moglie è stata data a un altro, Sansone incendia le messi dei Filistei legando torce accese alle code delle volpi che ha catturato. Arrestato dai suoi nemici, prima spezza le corde che lo legano "come stoppini bruciacchiati", poi, raccolta una mascella d'asino, uccide più di mille uomini. L'episodio vuole spiegare il nome di una località oggi sconosciuta, nota a quei tempi come Lechi, "mascella". Da qui cominciano le prodezze di Sansone, che giudica Dan per vent'anni.
L'epilogo della storia è ben noto: Dalila estorce a Sansone il segreto della sua forza, gli rasa i capelli, la forza lo abbandona insieme al favore di Dio, ed egli è catturato, accecato ed umiliato. La conclusione assume i toni del "romanzo esemplare": pentitosi, Sansone riacquista la sua forza, ma come può vendicarsi dei suoi nemici se è cieco? L'estro glielo forniscono gli stessi Filistei, trascinandolo nel tempio del dio Dagon (il padre di Baal) perchè li diverta facendo il buffone. Ma Sansone spezza le colonne portanti del tempio, che rovina sul capo dei suoi nemici:

« Furono più quelli che Sansone uccise morendo, di quelli che aveva ucciso durante la vita » (Gdc 16, 30)

Certamente si tratta di un romanzo, ma ha il suo chiaro messaggio da comunicare: la forza e la salvezza vengono solo da JHWH, che è più forte di qualunque idolo e di qualunque nemico.

Appendici
Dopo aver presentato le figure dei Giudici e le loro gesta, l'autore ci intrattiene con due appendici: la prima narra l'origine del santuario di Dan (Gdc 17-18), la seconda narra del crimine commesso dai cittadini di Gabaa (Gdc 19-21) "quando non c'era re in Israele", come il libro ci tiene a sottolineare (per questo, secondo alcuni, il libro dei Giudici rappresenta la "preistoria" di Israele in Canaan, un po' come l'epoca predinastica in Egitto).

Storicità
Da un punto di vista storico è difficile stabilire cosa sia successo esattamente in quell'epoca, visto che il libro dei Giudici fu messo per iscritto secoli e secoli dopo gli eventi che narra. Certamente il quadro della conquista presentatoci dal Libro dei Giudici fin dal suo primo capitolo è completamente diverso da quello incontrato nel libro di Giosuè. Infatti qui si presentano azioni militari sparse, compiute dalle singole tribù indipendentemente le une dalle altre, a cominciare da Giuda, la tribù predominante nel sud, mentre nel libro precedente si accreditava l'idea che tutte le tribù si fossero mosse all'unisono sotto il comando unitario del successore di Mosè, visto quasi come un re ante litteram. Inoltre, questo libro afferma che le conquiste degli Israeliti furono inizialmente limitate:

« Giuda non riuscì a vincere gli abitanti della pianura, perchè essi avevano carri di ferro » (Gdc 1, 19)

Anche se ricostruire la cronologia esatta degli eventi è oggi impossibile, verosimilmente Israele nel primo secolo dopo l'ingresso in Canaan ha conquistato solo le zone montagnose della Palestina e alcuni territori della Transgiordania, dove meno densa era la presenza dei ben attrezzati cananei. Alcuni gruppi, come la tribù di Giuda, penetrarono in Canaan da sud, attraverso il Neghev, e ciò rafforza l'idea che essa avesse lasciato l'Egitto in precedenza, al tempo dell'Esodo-espulsione. Invece la "casa di Giuseppe", cioè le tribù di Efraim e Manasse, penetrarono da oriente, cioè dalla parte del Giordano, così come descrive il libro di Giosuè, provenienti dall'Esodo-fuga. Ciò spiega le differenze tra le tribù, ed il motivo per cui dopo Salomone l'unità politica andò in pezzi.

Scene di battaglia in un bassorilievo della città di Ugarit, XIV secolo a.C. (Damasco, Museo Nazionale)

Scene di battaglia in un bassorilievo della città di
Ugarit, XIV secolo a.C. (Damasco, Museo Nazionale)

Lungi dall'essere un'entità politica ed etnica compatta, Israele nell'era dei Giudici è soltanto una federazione di tribù alla ricerca di una propria identità e unità: la stessa adunanza di Sichem (Gs 24) dimostra la presenza in Terrasanta di clan e tribù eterogenee che già vi dimoravano e che avevano adottato culti cananei. Israele dunque cerca ancora una sua identità come popolo, che verrà solo nel 1030, con l'avvento della monarchia.
Quanto poi alla storicità dei singoli giudici, essa è per noi irraggiungibile, se si fa eccezione per Debora, Barak e Samuele. Ma esemplare è, ancora una volta, il caso di Sansone. Che le sue imprese siano state esagerate non c'è alcun dubbio; tuttavia, come accade per altre figure semimitiche, da Gilgamesh ad Ettore, da Orfeo a Sigfrido, noi non possiamo provare la sua storicità né negarla del tutto. In lui sopravvivono ricordi di epoche ancestrali, in cui la scrittura non era in uso ed era facile amplificare le leggende, lasciando campo libero alla fantasia. Nell'impossibilità di ricostruire come è nata la leggenda, ce la teniamo con tutto il rigoglio artistico e letterario che essa ha prodotto (si pensi ad esempio all'opera "Sansone e Dalila" di Camille Saint-Saëns), e soprattutto con il suo significato morale, che suona attuale persino oggi.

Significato
Una cosa occorre tenere assolutamente presente: pur rientrando tra i libri storici della Bibbia, l'intento del Libro dei Giudici non è affatto storografico, ma teologico, come ben evidenziato in Gdc 10,6-16:

« (I) Gli Israeliti continuarono a fare ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal, le Astarti, gli dèi di Aram, gli dèi di Sidòne, gli dèi di Moab, gli dèi degli Ammoniti e gli dèi dei Filistei; abbandonarono il Signore e non lo servirono più.
(II) L'ira del Signore si accese contro Israele e li mise nelle mani dei Filistei e nelle mani degli Ammoniti. Questi afflissero e oppressero per diciotto anni gli Israeliti, tutti i figli d'Israele che erano oltre il Giordano, nel paese degli Amorrei in Gàlaad. Poi gli Ammoniti passarono il Giordano per combattere anche contro Giuda, contro Beniamino e contro la casa d'Efraim e Israele fu in grande angoscia.
(III) Allora gli Israeliti gridarono al Signore: "Abbiamo peccato contro di te, perché abbiamo abbandonato il nostro Dio e abbiamo servito i Baal."
Il Signore disse agli Israeliti: "Non vi ho io liberati dagli Egiziani, dagli Amorrei, dagli Ammoniti e dai Filistei? Quando quelli di Sidòne, gli Amaleciti e i Madianiti vi opprimevano e voi gridavate a me, non vi ho forse liberati dalle loro mani? Eppure, mi avete abbandonato e avete servito altri dèi; perciò io non vi salverò più. Andate a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra angoscia!"
Gli Israeliti dissero al Signore: "Abbiamo peccato; fa' di noi ciò che ti piace; soltanto, liberaci in questo giorno."
(IV) Eliminarono gli dèi stranieri e servirono il Signore, il quale non tollerò più a lungo la tribolazione di Israele. »

Questo schema si ripete innumerevoli volte nel libro. Si tratta essenzialmente di uno schema quadripartito, indicato nel brano soprastante dai quattro numeri romani rossi:

  1. Il peccato, l'infedeltà all'Alleanza con il quale il popolo si allontana da Dio: "Gli Israeliti facevano ciò che è male agli occhi del Signore"; oppure "Prestavano culto a Baal allontanandosi dal Signore". Questo peccato è abbastanza naturale, a contatto con popoli pagani che spesso praticano la prostituzione sacra. Si noti come il peccato è presentato come prostituzione e adulterio, poiché il rapporto tra Dio e il suo popolo è spesso descritto attraverso l'immagine dell'unione sponsale.
  2. Il castigo, considerato una reazione divina al cattivo comportamento del popolo. Esso si concretizza sempre nell'abbandono di Israele ai suoi nemici da parte di Dio.
  3. Il pentimento: sotto la sferza del castigo, gli Ebrei si ravvedono e tornano al culto del solo Dio.
  4. La liberazione, conseguenza del ritorno a Dio. Il Signore mostra la sua misericordia inviando un "salvatore", cioè un giudice. L'espressione comunemente ripetuta è: "Il Signore suscitò un liberatore..."

Ancora una volta, è all'opera la teoria della retribuzione cui si è accennato sopra: una teoria che incontreremo ancora varie volte in questo nostro lungo percorso.