Libro di Tobia


Generalità
Il libro di Tobia, come quelli di Rut, Ester e Giuditta, è stato catalogato tra i libri storici dell'Antico Testamento, ma nulla ha a che vedere con la storia così come oggi la intendiamo noi, cioè come storiografia. Si tratta infatti di una sorta di racconto popolare, di "racconto a lieto fine" il cui scopo è esaltare la condotta buona e rispettosa del prossimo e della Legge. E non è certo un caso se Tobia deriva da una radice ebraica che significa proprio "bontà": nei testi ebraici, come si è visto nel caso di Rut, i nomi hanno sempre un ben preciso significato correlato al contenuto della narrazione.
Si pensa che esso sia stato scritto all'epoca dei Maccabei, un'era di persecuzione per il popolo ebraico, nella quale era fondamentale proporre ad esso delle figure esemplari di fede incrollabile e di riconoscenza da parte del Signore. Evoca tuttavia uno sfondo storico molto più antico, quello dell'impero assiro ormai caduto da lungo tempo, ma esso viene ricordato solo in maniera confusa dall'autore del libro, che, come avviene con il libro di Daniele, ha ben altre preoccupazioni teologiche e didattiche che narrare una storia realmente accaduta.
Il libro di Tobia ci è pervenuto nella sola versione greca, e quindi non è ritenuto ispirato né dagli Ebrei né dai Riformati, ma è incluso nel canone cattolico.

Contenuto

Un ebreo esemplare ma sfortunato
Lo scopo principale dell'autore è quello di esaltare la fedeltà alla Legge di un ebreo della diaspora, quindi costretto a vivere in mezzo a popoli pagani che lo deridono e lo insultano. Questo scopo è portato avanti con uno stile che a buon diritto si può definire "romanzesco", fatto com'è di colpi di scena, di trovate geniali e di irruzioni del Soprannaturale nella vita quotidiana, che lasciano il lettore con il fiato sospeso fino al lieto fine.
Lo stesso protagonista del libro così esordisce in prima persona:

« Io, Tobi, passavo i giorni della mia vita seguendo le vie della verità e della giustizia. Ai miei fratelli e ai miei compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a Ninive, nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine. »

Il libro si può suddividere in diverse sezioni.
Nella prima (capitoli 1-3) si ha l'introduzione generale e l'antefatto della storia, in cui Tobia senior parla in prima persona da 1, 3 a 3, 6. Tobia è un pio israelita deportato a Ninive dalla sua patria nell'alta Galilea, che grazie alla sua pietà religiosa anche in tempo di persecuzione ha fatto carriera ed ha messo da parte un bel gruzzolo sotto forma di deposito presso un parente, Gabael, abitante a Rage, una città della Media. Ma il favore divino sembra voltare le spalle al pio israelita: proprio mentre si reca a seppellire il cadavere di un connazionale assassinato per strada ed ivi abbandonato (una colpa considerata gravissima  dai popoli mediorientali), diventa cieco perchè gli escrementi caldi di alcuni passeri gli sono caduti sugli occhi (capitolo 2). La cecità durerà per quattro anni, e sua moglie Anna deve mantenere la famiglia con lavori a cottimo. Un giorno però non ne può più e sbotta:

« Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene dal come sei ridotto! »

Tobia ne soffre molto ed invoca il Signore affinché lo faccia morire, perchè una simile prova gli sembra eccessiva per uno come lui, che ha sempre osservato la legge con grande scrupolo. Contemporaneamente si sviluppa la triste storia di Sara, giovane figlia di Raguele, un parente di Tobia che vive ad Ecbatana, capitale della Media (capitolo 3). Costei ha già avuto sette mariti, ma tutti sono stati uccisi dal demone Asmodeo durante la prima notte di nozze, e le serve la oltraggiano. Così anch'ella, disperata, leva la sua preghiera all'Altissimo. Le due preghiere giungono contemporaneamente all'orecchio di JHWH, che decide di ascoltarle entrambe, inviando loro in soccorso l'arcangelo Raffaele, il guaritore. E da qui in poi la storia entra nel vivo.

Arriva Azaria/Raffaele
La parte centrale del testo (capitoli 4-10) è dedicata alle vicende di Tobia junior (spesso nelle versioni il figlio è chiamato Tobia e il padre Tobi, ma in sostanza i due nomi sono gli stessi). Questi viene inviato dal padre presso Gabael a ritirare il suo denaro, affinché egli possa disporne prima che il padre muoia e Gabael resti padrone di tutto. Il capitolo 4 contiene molti consigli di natura sapienziale che il padre fornisce al figlio. Si tratta di un genere letterario assai diffuso nella Mezzaluna Fertile, se è vero che il cosiddetto "Insegnamento di Ptahhotep", contenente i consigli di un funzionario egiziano della V dinastia al proprio figlio per far carriera, risale addirittura al III millennio a.C.! Questi brani avvicinerebbero il testo di Tobia più ai libri sapienziali che a quelli storici.
In ogni caso, appena Tobia junior si mette in cammino (capitolo 5), gli si accosta un misterioso viandante che si dice pratico della Media ed è disposto ad accompagnarlo. Questi si presenta come Azaria, figlio di Anania: due nomi assai significativi, poiché vogliono dire rispettivamente "JHWH aiuta" e "JHWH è benevolo". Il giovane non immagina certo quale personaggio celeste si celi sotto le spoglie del viandante, anche se questi dimostra subito una sapienza sovrumana, consigliando (capitolo 6) al suo protetto di conservare il fiele, il cuore e il fegato di un pesce da lui pescato nel grande fiume Tigri, per le virtù terapeutiche da essi possedute. È sempre lo stesso Azaria ad informare Tobia junior della triste vicenda di Sara, appena essi arrivano ad Ecbatana.

Antonio Pollaiolo, L'Arcangelo Raffaele e Tobia, 1460, tempera su legno, Galleria Sabauda, Torino

Antonio Pollaiolo, L'Arcangelo Raffaele e Tobia,
1460, tempera su legno, Galleria Sabauda, Torino

Appena vede la sfortunata giovane (capitolo 7), il giovane Tobia si innamora di lei e domanda che siano celebrate le nozze, essendo suo parente. Raguele, padre di Sara, acconsente, ma ad ogni buon conto fa scavare una fossa per seppellire in segreto il corpo del malcapitato, se Asmodeo deciderà di rientrare in azione, affinché l'ennesimo insuccesso matrimoniale della figlia resti segreto. Durante la prima notte di nozze Tobia e Sara pronunciano un celebre cantico (capitolo 8) che viene spesso letto durante le cerimonie nuziali cattoliche. Asmodeo è in agguato, ma Azaria/Raffaele è pronto con un esorcismo: brucia il cuore e il fegato del pesce, seguendo probabilmente un rituale ebraico antichissimo per allontanare il Maligno, ed Asmodeo fugge per sempre. Tobia junior passa indenne la notte, tra il tripudio di Sara e Raguele, e Azaria va a Rage a ritirare la somma colà depositata da Tobia molti anni prima (capitolo 9). Infine Tobia, Sara ed Azaria fanno rientro a Ninive (capitolo 10).

Epilogo sapienziale
Si arriva così alla parte conclusiva del libro (capitoli 11-14). Tobia senior è guarito dalla cecità non appena il figlio gli applica sugli occhi il fiele del pesce provvidenziale (capitolo 11). A questo punto il padre vorrebbe dare ad Azaria la sua ricompensa (capitolo 12), ma questi li porta in disparte, li intrattiene con un altro discorso sapienziale ed infine si palesa loro, ritornando in Cielo tra lo spavento dei nostri protagonisti. Il capitolo 13 contiene un pezzo di alta poesia, il cosiddetto Cantico di Tobia, un vero e proprio salmo nel quale si sviluppano vari temi:

Infine, il capitolo 14 contiene altri discorsi sapienziali rivolti dal vecchio Tobia a suo figlio prima di morire e l'epilogo, che sa di rivincita nei confronti della perfida Ninive (14, 15):

« Prima di morire [Tobia junior] sentì parlare della rovina di Ninive e vide i prigionieri che venivano deportati in Media per opera di Achiacar re della Media. Benedisse allora Dio per quanto aveva fatto nei confronti degli abitanti di Ninive e dell'Assiria. Prima di morire potè dunque gioire della sorte di Ninive e benedisse il Signore Dio nei secoli dei secoli. »

Alcuni personaggi

L'arcangelo Raffaele
Il nome Raffaele significa "Il Signore guarisce". Nel libro di Tobia viene ampiamente sviluppato il tema dell'angelologia ebraica, ripresa anche dal libro di Daniele e da molti apocrifi. Questa è una prova della composizione assai tardiva del libro, perchè l'angelologia e la demonologia si svilupparono principalmente sotto l'influsso ellenistico. Nel libro dell'Esodo, infatti, si dice (3, 2):

« L'angelo del Signore apparve [a Mosè] in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. »

Subito dopo tuttavia (3, 4-6) l'interlocutore cambia completamente:

« Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!" Rispose: "Eccomi!" Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!" E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe..." »

Dunque l'angelo è ancora indistinguibile dal Signore, del quale appare solo come la manifestazione nel mondo degli uomini. Del resto anche in Gen 18, 1-5 il Signore appare ad Abramo presso il querceto di Mamre sotto forma di tre uomini, ma in 18, 22 due di essi si dirigono a Sodoma mentre il terzo rimane con Abramo. A quest'ultimo egli si rivolge come al Signore, mentre in 19, 1 gli altri due sono definiti "i due angeli". Ancora una volta perfetta indistinguibilità tra Dio e i suoi angeli, e siamo già al tempo della deportazione babilonese.
Al tempo della composizione del libro di Tobia, il quadro è radicalmente mutato. In Tobia 12, 15 Raffaele, che si è sempre comportato come un'entità personale dotato di propria volontà e non come un alter ego di JHWH, dice di sé stesso:

« Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore »

Il numero sette è simbolico, indice di pienezza assoluta, ma può riferirsi anche al fatto che la corte persiana era organizzata in modo da affiancare al sovrano sette alti funzionari: probabilmente l'autore si è ispirato a questo ricordo per foggiare quest'immagine della corte celeste. Dalla Bibbia abbiamo i nomi di Gabriele (Vangelo di Luca), Michele (libro di Daniele, Apocalisse di Giovanni), Raffaele (libro di Tobia); gli apocrifi (libri di Enoc, IV Libro di Esdra) danno nomi anche agli altri quattro: Raguele, Remeiele, Saraquiele e Uriele. Quanto alla parola "angelo", essa deriva dal greco "messaggero". Agli angeli vengono contrapposti i demoni, visti dall'ebraismo e poi dal cristianesimo come angeli caduti, nemici di Dio e degli uomini; la parola greca "daimones" indicava i "geni", esseri intermedi fra gli déi e gli uomini. Solo in epoca ellenistica demone diventa sinonimo di spirito maligno; in precedenza tale parola non possedeva alcuna connotazione negativa.

Asmodeo
In Tobia 3, 8 compare uno dei pochi demoni chiamati dalla Bibbia con il suo nome: Asmodeo. Il suo nome deriva dal persiano "Aeshma Deva", cioè "colui che fa morire", "l'assassino", certamente in relazione con il fatto di aver ucciso tutti e sette i mariti della povera Sara, ma anche in contrapposizione a Raffaele, che come abbiamo detto significa "Dio guarisce". Nella religione zoroastriana che rappresentava il culto di stato in Persia, Aeshma Daeva indicava il demone (daēva) della collera (aēšm); si noti che "deva" sono degli dei anche nel'antichissima religione indiana, ma hanno valenze decisamente positive, mentre in Persia indicavano delle deità maligne. Nell'Avestā, i libri sacri del Parsismo, Aeshma Deva è il corrispettivo dell'ebraico Satana, e siccome la vicenda della sfortunata Sara, di cui il demone si è invaghito e trucida tutti i suoi rivali, è ambientata ad Ecbatana, sulle montagne dell'Iran, l'identificazione appare spontanea.
Del resto Asmodeo era un personaggio ben noto alle leggende ebraiche. Compare ad esempio nell'apocrifo "Testamento di Salomone" dove, guarda caso, è presentato proprio come nemico dell'unione coniugale:

« Il mio compito è quello di cospirare contro i novelli sposi, per impedire loro di congiungersi in matrimonio. Io distruggo la bellezza delle vergini e muto il loro cuore, e porto gli uomini alla follia e alle brame disoneste »

Il libro di Tobia non fa dunque che sfondare una porta già aperta.
La descrizione della cacciata di Asmodeo da parte di Raffaele in Tobia 6, 17-18 è legata proprio ad antichissime pratiche esorcistiche: nell'Oriente antico si era convinti che il fumo nauseabondo fosse indigesto a spiriti e demoni, e che quindi li facesse fuggire. Si noti però che questo rito un po' ingenuo e quasi sciamanico non basterebbe da solo a salvare Tobia junior, se lo stesso Raffaele non intervenisse ad incatenare il demonio "nell'Alto Egitto", segno evidente dell'intervento di Dio che salva i Suoi protetti. Perchè nell'Alto Egitto? In epoche antiche si riteneva che i demoni abitassero in regioni lontane e deserte; infatti, appena Gesù si ritira nel deserto di Giuda a pregare, è assalito dalle tentazioni diaboliche (Mt 4, 1); e in Mt 12, 43 si ribadisce:

« Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova »

L'Egitto era considerato all'estremità meridionale del mondo conosciuto, così come la Media era all'estremità nordorientale: come dire che Raffaele incatena il demonio agli antipodi del luogo dove si trovano Tobia e Sara, per renderlo definitivamente inoffensivo.
Da notare che, nei racconti di Sherlock Holmes, uno degli acerrimi nemici del leggendario investigatore è chiamato proprio Asmodeo Moriarty.

Achikar
Achikar, nominato più volte nel libro di Tobia (1, 21-22; 2, 10; 11, 19; 14, 10), è in realtà il personaggio di un antico e popolarissimo romanzo orientale, "La Sapienza di Achikar". Tale testo extrabiblico racconta come il protagonista, divenuto ministro di un grande sovrano, adotta Nadab, un giovane parente a cui dà molti saggi consigli di natura sapienziale. Ma questi calunnia il suo benefattore presso il re. Tuttavia, poco prima che Achikar sia messo a morte, la verità viene a galla e il calunniatore è condannato al posto suo. A questa vicenda si fa esplicito riferimento in Tobia 14, 10. La presenza di Achikar nel libro di Tobia appare dunque come un vero e proprio "crossover" tra saghe letterarie diverse, un po' come se in un romanzo storico venisse fatto comparire ad un certo punto il manzoniano Renzo Tramaglino.
È proprio nella "Sapienza di Achikar" che viene citato il proverbio:

« È bene tener nascosto il segreto del re »

a sua volta riportato in Tobia 12, 7 per bocca di Raffaele. Probabilmente si riferisce al fatto che, durante la diaspora, molti Ebrei divennero consiglieri di sovrani orientali (uno per tutti: Mardocheo nel libro di Ester), e la segretezza era una delle doti principali richieste ad un consigliere.

Il profeta Naum predice la distruzione di Ninive, miniatura del secolo XIII

Il profeta Naum predice la distruzione di Ninive, miniatura del secolo XIII

L'oracolo di Naum
Una delle prove del fatto che il Libro di Tobia è molto più recente della maggior parte degli altri libri biblici è rappresentata dall'inclusione, in 14, 4, dell'"oracolo del profeta Naum", un evidente riferimento ai capitoli 1-3 del libro del profeta omonimo, dove si profetizza la distruzione di Ninive. Con lo stile tipico del genere apocalittico, che contiene delle "rivelazioni" sul futuro (tale è il significato della parola Apokalypsis), come avviene ad es. nel libro di Daniele, il libro di Tobia presenta come venturi degli avvenimenti che si sono già verificati, in questo caso la caduta di Ninive nel 612 a.C. Il profeta Naum invece scriveva in effetti nel VII secolo a.C. quando Ninive era ancora in piedi e l'Assiria una grande potenza. La sua descrizione della rovina della più superba capitale del mondo ha però l'efficacia di un cronista di guerra:

« La regina è condotta in esilio, le sue ancelle gemono come con voce di colombe percuotendosi il petto.
Ninive è come una vasca d'acqua agitata da cui sfuggono le acque.
"Fermatevi! Fermatevi!" ma nessuno si volta.
Saccheggiate l'argento, saccheggiate l'oro,
ci sono tesori infiniti, ammassi d'oggetti preziosi.
Devastazione, spogliazione, desolazione;
cuori scoraggiati, ginocchia vacillanti,
in tutti i cuori è lo spasimo,
su tutti i volti il pallore... » (Naum 2, 8-11)

Storicità

I Re d'Assiria
Il quadro storico del libro di Tobia, come rivelano già le prime battute del primo capitolo, è quello della diaspora israelitica. Le vicende di Tobia padre e di Tobia figlio andrebbero collocate a cavallo tra l'VIII e il VII secolo a.C., visto che:

« Al tempo di Salmanàssar, re degli Assiri, egli fu condotto prigioniero da Tisbe, che sta a sud di Kades di Nèftali, nell'alta Galilea, sopra Aser, verso occidente, a nord di Sefet... »

Tisbe è una cittadina della Galilea settentrionale, da non confondersi con Tisbe di Transgiordania, patria del profeta Elia (detto infatti "il Tisbita"); non a caso la tribù di Neftali (vedi il libro di Giosuè) era stanziata proprio nella Galilea settentrionale. Il Salmanassar qui nominato dovrebbe essere il quinto del suo nome, che regnò dal 727 al 722 a.C. e, dopo aver assediato Tiro, si volse contro Osea, re d'Israele (vedi il Secondo Libro dei Re); il suo successore Sargon II (722-705 a.C.) avrebbe espugnato Samaria, ponendo fine al regno settentrionale d'Israele. Come si vede, Salmanassar V non riuscì a portare a termine la conquista delle tribù settentrionali; eppure in 1, 13 lo stesso Tobia senior afferma in prima persona di essere divenuto provveditore del re, come se questi avesse regnato ancora a lungo dopo la conquista.
Subito dopo Salmanassar sale al trono Sennacherib (705-681 a.C.), il re che aveva attaccato Gerusalemme ma che aveva dovuto ritirarsi perchè la pestilenza infuriava tra le sue schiere (2 Re 19). Forse rammentandosi di questo fallito attacco, l'autore anonimo del libro parla di una dura repressione scatenata dall'imperatore contro gli Ebrei. Ben presto però Sennacherib viene assassinato dentro il tempio di Nisroch dai suoi due figli Adram-Melech e Sarezer, e gli succede il terzo figlio Assaraddon (681-669 a.C.). Così Dante rievoca quell'episodio (Purgatorio XII, 52-54):

  « Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro »

Siamo a oltre quarant'anni dall'assedio di Tisbe di Galilea, e Tobia senior era già sposato con Anna ed aveva già avuto Tobia junior prima della deportazione; eppure la narrazione delle vicende non è ancora neppure cominciata.

Un quadro anacronistico
E non è finita. In Tob 4, 1 è citata Rage di Media, una cittadina dell'odierno Iran, che ai tempi dell'apogeo assiro non era certo una grande potenza nella quale potessero avere sede banche ed istituti di credito. In Tob 5, 6 invece si parla di Ecbatana, la grande capitale della Media, corrispondente all'attuale Hamadan. L'impero dei Medi fu però fondato da Deioce (700-647 a.C.) e portato al massimo splendore da Ciassare (633-584 a.C.), molto tempo dopo gli eventi narrati dal libro di Tobia. Invece gli Ebrei (in questo caso nella persona di Gabael) appaiono già stanziati da tempo nelle principali città dell'Assiria e della Media, il che fa comprendere subito come l'autore sia di gran lunga posteriore ai fatti che racconta, e descriva non la situazione storico-geografica ai tempi degli Assiri, ma ai suoi tempi, quando forse anche l'impero persiano è già caduto, sostituito dai regni ellenistici, e gli Ebrei hanno fatto fortuna praticamente in tutte le città del Medio Oriente. Altrimenti come potrebbe Gabael, parente di Tobia, trovarsi già in Media prima ancora che egli abbia fatto carriera, se egli appartiene alla prima ondata della deportazione ebraica verso est?
Vi è bensì un cenno nel libro di Tobia alla rovina di Ninive, che sappiamo avvenuta nel 612 a.C. ad opera del babilonese Nabupolassar e del medo Ciassare, ma quest'ultimo è chiamato Achiacar (forse una corruzione popolare dovuta al lungo periodo di trasmissione orale). Inoltre, per vivere dalla deportazione degli israeliti fino all'epoca della distruzione di Ninive, la città simbolo dei nemici di Israele, Tobia junior avrebbe dovuto davvero raggiungere i 117 anni che il libro iperbolicamente gli attribuisce (14, 14). Forse nel suo lasciare Ninive e trasferirsi ad Ecbatana vi è un ricordo dell'impero dei Medi e dei Persiani, subentrato a quello assiro dopo la rovina della superba capitale.

In montagna o in pianura?
Per di più, l'imprecisione della narrazione storica si estende a quella dei dati geografici. Infatti Rage ed Ecbatana distano tra loro almeno 300 Km, una distanza ben difficilmente percorribile « in due giorni interi di cammino » (Tob 5, 6). Come se non bastasse, il testo della Vulgata dice:

« Rage è sulle montagne ed Ecbàtana è nella pianura. »

Si tratta di un'evidente incongruenza, perchè entrambe le città sono poste ad alta quota: Rage a 1132 metri ed Ecbatana a 2010. Infatti molte versioni moderne correggono il tiro traducendo « Entrambe le città si trovano in montagna ».
Infine, in Tob 11, 1 viene nominata la città di « Caserin, di fronte a Ninive »: un luogo assolutamente sconosciuto, forse confuso con Charran, l'attuale Urfa in Turchia, la città dell'alta Mesopotamia da cui Abramo iniziò il suo viaggio verso Canaan, chiamata Charrae dai Romani e per essi tristemente famosa poiché Crasso vi trovò la morte sconfitto dai Parti. Ma Charran si trova a 400 Km da Ninive, e non certo di fronte ad essa.
Conclusione: come incerta e approssimativa è la cornice storica del libro di Tobia, così le indicazioni geografiche, che apparentemente paiono descrivere con esattezza le tappe di un lungo ed avventuroso viaggio, in realtà sono presentate alla luce di semplici conoscenze popolari, reminiscenze di eventi lontani della storia d'Israele. Si direbbe che l'autore voglia limitarsi a destare la curiosità dei lettori per contrade lontane dal sapore esotico, senza scrupoli di esattezza storica o geografica.

Le mura dell'antica Ecbatana, oggi Hamadan

Le mura dell'antica Ecbatana, oggi Hamadan

Significato
Che dire, in conclusione, di un libro come quello di Tobia? Le parole più adeguate a descriverlo sembrano quelle usate da Martin Lutero:

« Se si tratta di storia, è storia sacra; se si tratta di poesia, è un poema davvero bello, salutare e proficuo, opera di un poeta geniale, commedia fine e amabile »

Si noti che il libro di Tobia esalta fin dall'inizio le opere del giusto che gli procurano la salvezza, com'è per Tobia senior il seppellire i morti; una tesi in netto contrasto con le idee del padre della Riforma. Se dunque lui la esaltava, noi non possiamo far altro che trovarci d'accordo. Il libro di Tobia rappresenta certamente la celebrazione della fedeltà alla Legge anche in mezzo a difficoltà e persecuzioni: il giusto che obbedisce ai precetti è beneficato da Dio secondo la ben nota "teoria della retribuzione". Ma il libro di Tobia va al di là, mostrando - attraverso la vicenda del giusto Tobia divenuto cieco - che Dio può anche mettere alla prova gli innocenti, ma non li abbandona mai, veglia sempre su di loro e li rimerita al tempo debito. E questo messaggio suona speranzoso e consolante anche per noi, credenti dell'era spaziale.