Libro di Giuditta


Significato del nome
Giuditta, un nome molto diffuso sia tra gli Ebrei che tra i Cristiani, significa semplicemente "la Giudea".

Epoca della composizione
Il libro di Giuditta ci è giunto solo nella versione greca, anche se probabilmente si tratta della traduzione di un preesistente testo ebraico, visto che i destinatari del libro sono manifestamente i membri del popolo d'Israele. Per questo non è entrato nel canone dei libri della Bibbia ebraica, e di conseguenza neppure in quello delle Chiese Riformate. I Cattolici sono soliti invece definire questo testo come deuterocanonico, cioè entrato nel canone in un secondo tempo.
Pur narrando eventi che sono fatti risalire all'epoca del re Nabucodonosor, si ritiene che esso sia stato scritto in epoca maccabaica, quindi nel II secolo a.C., durante la dura repressione dei sovrani ellenistici di Siria. Anche in questo caso, come per i libri di Ester e Tobia, la definizione "libro storico" è dunque inesatta, dovendosi parlare piuttosto di "narrativa edificante", come diremo più sotto.

Contenuto del libro

Suddivisione del testo
L'opera è suddivisa in almeno tre parti. I capitoli 1-7 rappresentano l'antefatto e l'introduzione; nei capitoli 8-14 la vicenda entra nel vivo e si narra l'ideazione e l'attuazione del piano di Giuditta per salvare la sua gente; i capitoli 15-16 rappresentano invece l'epilogo, con il trionfo di Giuditta e dell'intero popolo d'Israele.

La guerra mondiale di Nabucodonosor
Nel capitolo 1 è descritta l'epica guerra condotta da re Nabucodonosor contro il re dei Medi Arpacsàd, che si è ribellato al suo vassallaggio. Il leggendario sovrano dell'oriente chiede l'aiuto dei popoli dell'Anatolia, della Siria, della Palestina e dell'Egitto, ma nessuno risponde al suo invito: « non lo seguirono nella guerra, perché non avevano alcun timore di lui, che agli occhi loro era come un uomo qualunque » (1, 11) Nabucodonosor si accende di sdegno e, regolati i conti con Arpacsàd, decide di punire i popoli che gli hanno risposto picche, misconoscendo il suo potere. Nell'anno diciottesimo del suo regno, che coincide con il 587 a.C., proprio quello della distruzione di Gerusalemme, il sire convoca il consiglio della corona e progetta addirittura una sorta di "guerra mondiale" ante litteram, con lo scopo di sterminare tutti i popoli ribelli. L'incarico di portare a termine questo massacro di dimensioni planetarie è affidato al generale Oloferne, il numero due del suo impero, nel capitolo 2, 1-20. Nabucodonosor gli si rivolge con tono minaccioso e volutamente malvagio, per rappresentare plasticamente la tracotanza del potere regale che si ritiene invincibile e superiore a tutto e a tutti, déi compresi. La potenza dell'esercito assiro è resa in 2, 15-16 con numeri assolutamente iperbolici, nei quali ha un peso determinante il simbolismo del numero 12 (120.000 uomini, 12.000 arcieri a cavallo...): come accade anche nell'Apocalisse di Giovanni, se unito ai multipli di dieci, questo numero viene a diventare sinonimo di quantità strabocchevole ed incalcolabile, nonostante tutti i tentativi fatti dai Testimoni di Geova per leggere in questi numeroni delle cifre reali. L'espressione "preparare terra e acqua" (2, 7) è tolta forse dagli storici greci Erodoto e Polibio, per indicare il passaggio e la sosta del trionfatore nella terra conquistata.

L'assedio di Betulia
Successivamente (capitolo 2, 21-28 e capitolo 3) vengono descritte le vittoriose campagne del generale Oloferne, che mette in ginocchio praticamente il mondo intero, obbligandolo a riconoscere la supremazia di Nabucodonosor. Nel capitolo 4 vediamo come il terrore per la violenza ed i saccheggi delle soldataglie assire investa anche la Giudea; il sommo sacerdote Ioakim, che compare anche nel libro di Neemia, chiama alla resistenza gli abitanti della piazzaforte di Betulia, perchè sbarrino il passo all'esercito di Oloferne e gli impediscano di raggiungere e devastare Gerusalemme, mentre l'intero Israele fa penitenza dei propri peccati (è la solita "teoria della retribuzione": se capitano delle disgrazie, si tratta di una punizione del Cielo per i nostri peccati).
Nel frattempo, Oloferne si stupisce del fatto che gli Ebrei vogliano resistergli sbarrando i passi montani, mentre tutti gli altri popoli hanno chinato la testa atterriti di fronte alla sua avanzata vittoriosa, e prende informazioni sul loro conto da Achior, re degli Ammoniti. Questi erano tradizionali nemici di Israele, eppure Achior tesse gli elogi del Popolo dell'Alleanza, narrando ad Oloferne tutta la loro storia sacra fin dal tempo di Abramo (capitolo 5). Achior anzi consiglia al generale di passare oltre senza molestare i Giudei, se non vuole incorrere nella punizione del loro Dio. La reazione di Oloferne (capitolo 6) è molto dura: egli proclama che nessuno è dio all'infuori di Nabucodonosor, che nessun altro nume potrà salvare gli Ebrei dal loro castigo, e che intende sterminarli tutti fino all'ultimo uomo. Quanto al povero Achior, viene legato davanti a Betulia per assistere alla rovina della città che sperava di salvare. Achior viene però tratto in salvo dai difensori di Betulia che, dopo aver udito ciò che egli ha fatto per loro, ringraziano Dio e lo accolgono nel loro popolo.
Le cose però per Betulia sembrano mettersi davvero male: nel capitolo 7 Oloferne decide di prenderla per fame; l'assedio durerà ben 34 giorni, e gli abitanti, disperati, chiedono ad Ozia, il capo della comunità, di arrendersi ad Oloferne. Ozia però li sprona a resistere almeno altri cinque giorni, perchè « non è possibile che Iddio ci abbandoni fino all'ultimo ».

Il piano di Giuditta
Sorge a questo punto la luminosa stella di Giuditta. All'inizio del capitolo 8 di lei si fornisce la più lunga genealogia di una donna contenuta nella Bibbia, nella quale si ritrovano alcuni nomi già noti da altri libri biblici. Di Giuditta, giovane vedova di un proprietario terriero morto improvvisamente di insolazione, l'autore traccia un ritratto esemplare, che unisce ricchezza materiale, sensuale ed incrollabile fede nel Dio dei suoi padri. Si direbbe che la Giuditta qui descritta sua quasi la tipizzazione della donna ebrea ideale. Costei rivela subito una tempra virile, convocando a casa sua i capi della comunità e spronandoli alla resistenza. Il suo discorso è costruito con grande sapienza retorica, perchè in realtà è indirizzato a tutti i lettori del libro, che presumibilmente erano tentati dal cedere all'ellenizzazione voluta dai Seleucidi. La donna accusa in particolare i capi di aver voluto "tentare il Signore" con la promessa di resistere ancora solo per cinque giorni, cercando di forzarGli la mano per accelerare il Suo intervento nella storia. Invece Giuditta ricorda che tutti i grandi d'Israele sono stati tentati con prove, e propone di mettersi in azione per capovolgere le sorti dell'assedio. Ozia le ribatte che la loro situazione è allo stremo, e le chiede di pregare perchè Iddio mandi almeno la pioggia per riempire le cisterne e calmare la loro sete. Ed ecco come risponde l'eroina (8, 32-34):

« Sentite, voglio compiere un'impresa che passerà di generazione in generazione ai figli del nostro popolo. Voi starete di guardia alla porta della città questa notte: io uscirò con la mia ancella ed entro quei giorni dopo i quali avete deciso di consegnare la città ai nostri nemici, il Signore per mia mano provvederà a Israele. Voi però non indagate sul mio piano: non vi dirò niente finché non sarà compiuto quel che voglio fare. »

Il capitolo 9 contiene un'intensa preghiera a Dio: come altri personaggi biblici, ad esempio Ester e Tobia junior, prima di accingersi all'impresa invoca su di sé la protezione dell'Altissimo, affinché le doni una vittoria che copra di gloria il Suo Santo nome. Nel capitolo 10, invece, passa all'azione: smette le vesti vedovili, si lava, si copre di unguenti, si trucca, veste gli abiti più belli che ha, e quindi esce dalla città con la sua ancella e si presenta all'accampamento assiro, chiedendo di essere ammessa alla presenza di Oloferne. Le sentinelle restano conquistate dal fascino della donna e cedono alla sua richiesta. Così, nel capitolo 11 la vediamo di fronte al terribile Oloferne: il discorso che gli rivolge è un capolavoro di diplomazia, perchè apparentemente la giudea sembra esaltare Nabucodonosor, ma in realtà ella pensa al vero Signore della storia; e l'impresa grandiosa che Dio l'ha inviata a compiere non è certo quella che Oloferne immagina. Il vanitoso Oloferne resta soggiogato dalle parole di quella che sembra solo una piccola donna indifesa, e imbandisce per lei un grandioso banchetto, descritto nel capitolo 12. Subito dopo, e siamo ormai nel cuore del racconto, al capitolo 13, Oloferne si illude di poter godere delle grazie della splendida ebrea, e si ritira nella sua tenda offuscato dal gran vino bevuto. Ma Giuditta improvvisamente afferra la scimitarra che Oloferne tiene a capo del letto, mormora una preghiera e con un solo fendente gli spicca il capo dal busto. Una scena macabra narrata con forte realismo, e ripresa più volte dai grandi artisti di tutti i tempi.

Caravaggio, Giuditta che decapita Oloferne, 1598-1599, olio su tela, Roma, Galleria nazionale di arte antica

Caravaggio, Giuditta che decapita Oloferne, 1598-1599,
olio su tela, Roma, Galleria nazionale di arte antica

Epilogo
In tal modo Giuditta è diventata una seconda Giaele (la donna ebrea che nel libro dei Giudici fracassò la testa al generale nemico Sisara) ed un secondo Davide, perchè anche il celebre re betlemita spiccò la testa dal busto a Golia con la sua stessa spada (vedi il Primo libro dei Re). A questo punto non le resta che nascondere la testa del superbo generale nella bisaccia dei viveri della sua ancella, lasciare l'accampamento assiro con la scusa della preghiera di rito, e rientrare a Betulia. Tutto il popolo è stupito dall'incredibile impresa compiuta, e si prostra a terra per ringraziare Dio e per coprire l'eroina di benedizioni. Nel capitolo 14 la testa di Oloferne è esposta sulle mura di Betulia (nonostante un simile gesto fosse apertamente condannato), e gli Assiri scoprono la morte del loro generale; il capitolo 15 si apre con la fuga precipitosa dell'esercito, inseguiti dagli Israeliti: sembra quasi che il pugno di difensori di Betulia possa sopraffare l'esercito mastodontico messo in moto da Nabucodonosor nel capitolo 2. Ecco come Dante descrive la scena:

  « ...mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro. »
(Purg. XII, 58-60)

Le "reliquie del martiro", ovviamente, altro non sono se non il corpo e la testa mozzata di Oloferne. Segue la descrizione del trionfo di Giuditta e, nel capitolo 16, il cantico di vittoria da questa innalzata al cielo. Si tratta una delle tante, suggestive composizioni poetiche che si trovano nella Bibbia anche al di fuori dei libri Sapienziali. Vale la pena di ricordare che, prima di Giuditta, avevano elevato a Dio inni di trionfo anche:

Dopo di lei, il suo esempio sarà seguito nel Nuovo Testamento da:

Si tratta dunque di un genere letterario assai diffuso, ma sempre ricco di fascino. Questo testo poetico richiama alcuni salmi, certamente non ignoti a chi ha composto il libro, ed insiste sull'antitesi tra il Forte ed il ebole, completamente ribaltata dall'opera prodigiosa del Signore. In esso si accenna (16, 17) anche al Giorno del Giudizio, dimostrando che si tratta di un testo tardo, contemporaneo al libro di Daniele: il genere dell'Apocalittica è già entrato nel suo rigoglio.
Come il libro di Ester e quello di Tobia, anche il libro di Giuditta si chiude con lo scontato lieto fine. L'eroina vive fino a centocinque anni, così come Tobia junior aveva toccato i 117, secondo il ben noto ragionamento in base al quale la lunga vita è segno sicuro della benedizione di JHWH. Ma il vero "lieto fine" è rappresentato dalla chiusura del libro (16, 25):

« Non vi fu più nessuno che incutesse timore agli Israeliti finché visse Giuditta e per un lungo periodo dopo la sua morte. »

Storicità

Un "minestrone" storico
Se per altri presunti libri "storici" della Bibbia abbiamo detto che la loro storicità risulta piuttosto dubbia, in questo caso essa è del tutto inconsistente. Basta leggere l'attacco stesso del libro:


« Nell'anno decimosecondo del regno di Nabucodònosor, che regnava sugli Assiri nella grande città di Ninive, Arpacsàd regnava sui Medi in Ecbàtana... »

In realtà, sappiamo benissimo che Nabucodonosor II ("il dio Nabu protegga il mio erede"), che regnò dal 605 al 562 a.C., non era affatto re degli Assiri, ma dei Caldei (per la precisione il suo è definito impero Neobabilonese), e la sua capitale non era Ninive, già distrutta da suo padre Nabupolassar nel 612 a.C., ma Babilonia. Evidentemente l'autore del libro di Giuditta, che non ha certo preoccupazioni storiche, sapeva genericamente che gli Assiri avevano più volte attaccato i regni di Giuda e Israele (fino a distruggere quest'ultimo), che Ninive era sede di un grande impero pagano e che Nabucodonosor aveva distrutto il tempio di Gerusalemme; ed ora, volendo costruire una narrazione esemplare che esalta la forza d'animo degli Ebrei e la protezione divina di cui essi godono, si limita ad unificare tutti questi dati in un unico personaggio, un po' come se uno di noi scrivesse: "Adolf Hitler, re di Spagna, fece mettere a morte molti patrioti durante il Risorgimento..." In questo caso ad essere unificati sarebbero la furia assassina di Hitler, la lunga dominazione spagnola subita dall'Italia e i numerosi martiri che il nostro paese contò per giungere all'unificazione, anche se la dominazione spagnola riguarda i secoli XVI-XVII, il Risorgimento il secolo XIX e Adolf Hitler il secolo XX.

Arpacsàd
Quanto ad Arpacsàd, un re dei Medi con questo nome è sconosciuto alla storia, mentre portava questo nome un patriarca biblico figlio di Sem ed antenato di Abramo (Gen 10, 22); niente a che vedere, dunque, con i Medi indoeuropei. L'aporia potrebbe essere risolta ipotizzando che Arpacsàd, un nome ben noto agli Ebrei perchè incluso nella lista genealogica della Genesi che corre da Adamo ad Abramo, sia la deformazione di Fraorte, fondatore del regno dei Medi vissuto nell'VIII secolo a.C. In pratica gli Ebrei avrebbero ricordato quel sovrano, di cui avevano udito parlare durante la deportazione a Babilonia, con il nome di un personaggio biblici che risultava più vicino a quello di Fraorte. Secondo altri invece l'enigmatico Arpacsàd sarebbe uno dei tanti pretendenti eliminati da Ciro il Grande al principio del suo regno.

L'Idaspe e l'Elam
L'espediente utilizzato dall'autore anonimo per giustificare la spedizione del presunto Nabucodonosor contro la Giudea è quello di una guerra da lui combattuta contro Arpacsàd, per vincere la quale egli invia messaggeri a tutti i popoli conosciuti perchè lo sostengano con le sue truppe; siccome le nazioni dell'occidente (cioè quelle lungo la costa del Mediterraneo Orientale) rifiutano di aderire alla coalizione, dopo essersi sbarazzato di Arpacsàd Nabucodonosor ha il pretesto per la sua spedizione punitiva. Tra i popoli che si sono schierati accanto ai Medi sono elencati:

«Ma si schierarono a fianco di costui tutti gli abitanti delle montagne e quelli della zona dell'Eufrate, del Tigri e dell'Idaspe e gli abitanti della pianura di Arioch, re degli Elamiti. »

L'Idaspe è un fiume noto agli antichi, trattandosi di uno dei cinque affluenti del fiume Indo che innervano la regione dell'India nota ai Greci come Pentapotamia ("cinque fiumi"), ed a noi con il nome di Penjab ("cinque": si noti la somiglianza con la radice greca "penta"). Se così è, appare evidente l'anacronismo, perchè quella regione fu sottomessa ai Persiani (e non ai Medi) solo da Dario I (521-485 a.C.), e poi resa famosa in occidente dopo le imprese di Alessandro Magno, che nel 326 a.C. ivi sconfisse Poro, uno dei ragià di quella regione. Questa è una conferma del fatto che l'autore biblico, quando scrive il libro di Giuditta, ha in mente uno scenario storico  e politico completamente diverso da quello dell'epoca di Nabucodonosor.
Quanto all'Elam, esso è la regione sudoccidentale della Persia, ad est del Tigri, sede di un fiorente regno nel II millennio a.C., poi caduto in potere degli Assiri e quindi dei Persiani; è in questa regione che si trovava Susa. Però il nome di Arioch, il suo re citato in 1, 6, è completamente ignoto alla storia; nella Bibbia compare solo in Genesi 14, 1, ma come re di Ellasar (probabilmente la città sumerica di Larsa) e non dell'Elam.
Da notare che in Giuditta 1, 7-12 sono elencati tutti i popoli che hanno ignorato il comando di Nabucodonosor, e la lista si chiude con le parole « fino alle frontiere dei due mari ». Già Sargon di Accad (2400 a.C.) affermava di regnare "da mare a mare": questi due mari non possono essere che il mare orientale, cioè il golfo Persico, e il mare occidentale, cioè il Mar Mediterraneo. Qui si parla di paesi dell'occidente, ma non bisogna dimenticare che il Mar Rosso era considerato una propaggine del Mare Orientale, com'è in effetti, essendo in comunicazione con l'Oceano Indiano.

Oloferne
Il nome del presunto comandante dell'esercito di Nabucodonosor non è affatto assiro ma persiano, come altri simili attestati dalle fonti greche (Artaferne, Tissaferne, ecc.) Si pensa che voglia dire
« fortunato ». Di lui parlano, fuori della Bibbia, gli storici greci Appiano e Diodoro Siculo; dunque, incredibilmente, esso non è una mera invenzione dell'autore come altri personaggi di questo libro. Nella forma "Oroferne" è descritto tra i generali che guidarono la campagna del re persiano Artaserse III Ocho (358-338 a.C.) contro l'Egitto, che si era ribellato e si era reso indipendente dall'impero sotto la XXX dinastia; nel 342 a.C. Nectanebo, ultimo faraone indigeno dell'Egitto, fu sconfitto grazie anche all'aiuto di mercenari greci, e l'Egitto ritornò una satrapia persiana. Il Re dei Re poté godere per breve tempo della vittoria, perchè nel 338 a.C. Bagoa, un eunuco che aveva fatto carriera nella burocrazia imperiale, lo avvelenò sperando di succedergli. Anche questo personaggio è citato nel libro di Giuditta (12, 11-15) come eunuco e come sovrintendente di Oloferne, confermando l'ambientazione persiana e non assira del libro. Sappiamo dallo storico ebreo Giuseppe Flavio che Bagoa venne a sua volta avvelenato dal successore di Artaserse, Dario III Codomano, l'ultimo imperatore achemenide (chi la fa l'aspetti); ma anche il regno di questi fu breve, a causa dell'improvvisa irruzione di Alessandro il Macedone. Senza dubbio l'autore si è ispirato a queste vicende, evidentemente divenute famose in epoca ellenistica, anche per dimostrare che l'impero persiano era ormai agonizzante tra intrighi e delitti di stato, e quindi la conquista da parte macedone era legittima per colmarne il vuoto di potere.

Betulia
La città di Giuditta, assediata con accanimento da Oloferne, è stata cercata a lungo e variamente identificata, ma probabilmente ogni sforzo è vano. Quasi certamente infatti si tratta di un luogo fittizio, come dimostra il suo nome che significa « casa di JHWH ». Alcuni fanno notare l'assonanza tra questo nome e la parola che in ebraico significa "vergine", una designazione metaforica frequente del Popolo Eletto. Nonostante il libro di Giuditta (4, 6) tenti una collocazione precisa della leggendaria piazzaforte, sulle montagne che circondano la fertile valle di Izreel, una posizione strategica da cui si controllavano le vie dirette a Gerusalemme, molto probabilmente Betulia è una figura dell'intera Terra d'Israele, così come Giuditta è quasi certamente figura dell'intero popolo giudaico, visto che il suo nome significa semplicemente "la Giudea".

Ioakim
Un'ulteriore conferma del fatto che lo sfondo storico del libro è ellenistico e non certo assiro-babilonese ci viene dal capitolo 4, versetto 6, dove il Sommo Sacerdote d'Israele è detto essere Ioakim, personaggio che compare nel libro di Neemia (12, 12); poco prima del resto si era detto (4, 3):

« Oltre tutto, essi erano tornati da poco dalla prigionia e di recente tutto il popolo si era radunato in Giudea; erano stati consacrati gli arredi sacri, l'altare e il tempio dopo la profanazione »

Effettivamente, come si è detto sopra, Nabucodonosor distrusse Gerusalemme nel diciottesimo anno del suo regno, ma egli morì nel 562 a.C., mentre i Giudei tornarono in patria dopo l'editto di Ciro del 538 a.C., ed il Tempio fu riconsacrato intorno al 515 a.C. Qui il Tempio non sarebbe stato ancora neppure distrutto...
Ma non basta. Israele è definito sprezzantemente da Oloferne come « razza che viene dall'Egitto » (6, 5). Un riferimento all'Esodo? No, piuttosto una frecciata polemica dell'orientale Oloferne contro l'Egitto che, al tempo in cui scrive l'autore, era governato dai Tolomei, fieri nemici dei Seleucidi di Siria che tentavano di ellenizzare la Palestina!

Soldati assiri catturano degli israeliti, Londra, British Museum (clicca per andare alla fonte)

Soldati assiri catturano degli israeliti, Londra,
British Museum (clicca per andare alla fonte)

Una possibile reminiscenza storica?
Sulla scorta di tutto quanto abbiamo detto fino ad ora, alcuni hanno tentato di "razionalizzare" il racconto del libro di Giuditta, cercando di ritrovare un "nucleo storico" attorno al quale esso si sarebbe formato. Secondo tale ricostruzione, poco dopo il 350 a.C. Artaserse III Ocho avrebbe tentato di ricostruire il potere centrale degli Achemenidi, gravemente fiaccato dalle ribellioni di molti satrapi e dal comportamento di altri che, pur dicendosi fedeli a parole al Re dei Re, governavano le rispettive satrapie in linea ereditaria come dei veri e propri sovrani. Così, dopo aver domato la ribellione del satrapo di Media, chiamato fittiziamente Arpacsàd nel libro che stiamo esaminando, Artaserse avrebbe inviato il suo generale Oloferne a riconquistare l'Egitto, impresa portata a termine vittoriosamente. Sulla strada del ritorno Oloferne avrebbe attaccato il popolo di Giuda, accusato di collusione con il faraone Nectanebo, ma sarebbe morto in una battaglia combattuta in una zona oggi del tutto sconosciuta, fittiziamente chiamata Betulia. L'esercito persiano allora si sarebbe ritirato precipitosamente. Più tardi gli Ebrei, che nulla sapevano delle vicende persiane ma che conoscevano per sommi capi la propria storia patria, avrebbero creduto che ad inviare loro contro Oloferne fosse stato Nabucodonosor, l'eterno nemico di Giuda che aveva abbattuto il Tempio di Salomone; e ciò avrebbe ingenerato l'equivoco. Una ricostruzione davvero affascinante, ma che non può essere suffragata da prove in alcun modo, a meno di clamorose (quanto improbabili) scoperte archeologiche in Palestina o in Iran.

Significato
Il libro di Giuditta è una creatura del giudaismo tardo, perseguitato dai governanti ellenistici di Siria ma sicuramente orgoglioso della propria libertà, indipendenza ed identità nazionale. Per rafforzare nella fede i propri fratelli in un tempo di fiera persecuzione (persino circoncidere i figli era considerato reato), l'autore del libro di Giuditta propone loro una figura esemplare di donna guerriera che, nonostante la debolezza di solito associata alla femminilità, riesce ad aver ragione dell'esercito più potente del mondo e del generale più abile e più furbo che ci sia. Giuditta vuole dunque essere una figura di tutti i Giudei, i quali, con l'aiuto potente del loro Dio, possono capovolgere qualunque situazione sfavorevole e vincere qualunque battaglia, come poi in effetti accadde in epoca maccabaica.
Tutto ciò va spiegato con chiarezza perchè, in tempi recenti, la figura di Giuditta è stata attaccata come una spregiudicata assassina che seduce, inganna e poi uccide a tradimento, il tutto per di più con la benedizione divina. Ecco per esempio come
la descrive il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli nel suo sonetto "La bbella Ggiuditta", datato 14 ottobre 1831:

  «
...ed agguattata la capoccia, aggnede
pe ffà la mostra ar popolo ggiudio
sino a Bbettujja co la serva a ppiede.
  Ecchete come, Pavoluccio mio,
se pò scannà la ggente pe la fede,
e ffà la vacca pe ddà ggrolia a Ddio.
»

La condotta di Giuditta tuttavia non va giudicata alla luce dei canoni moderni o cristiani, ma alla luce del difficilissimo momento vissuto in epoca ellenistica dal Popolo Eletto. Se nel 1943 un ebreo polacco avesse scritto un libro nel quale immaginava una sua connazionale che seduce e poi uccide Hitler, nessuno di noi negherebbe che ella aveva delle ottime ragioni per farlo, considerando che il pazzo dittatore tedesco sterminò non meno di sei milioni di Ebrei. L'autore vuole esortare tutti i Giudei alla resistenza nazionale, con la forza delle armi se necessario, contro i nemici dell'unico Dio, rassicurandoli del fatto che la protezione di JHWH è efficace al punto da permettere ad una povera vedova di sconfiggere la tracotanza di chi pensava di conquistare il mondo intero con le armi della violenza e della distruzione.
Consapevole di ciò, lo scrittore italiano Carlo Sgorlon, nei suoi "Racconti della Terra di Canaan", ha voluto ingentilire il gesto truce di Giuditta, presentandola come colei che voleva offrire sé stessa in cambio del proprio popolo. Solo dopo essersi resa conto che, pur avendola posseduta, Oloferne si faceva beffe di lei ed avrebbe comunque sterminato gli Israeliti fino all'ultimo uomo, ella comprese che non sarebbe stata una seconda Ester, ma che Dio la chiamava piuttosto ad essere un'intrepida guerriera. E zaff, spiccò la testa dal busto del tracotante generale, che in qualche modo è descritto davvero come un Kappler o un Göring dell'antichità.