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1.1  Una crepa nel palazzo di cristallo


Alla fine del XIX secolo, la Fisica raggiunse un traguardo straordinario, riuscendo a spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici attraverso una teoria unitaria e perfettamente coerente, espressa dalle quattro equazioni di Maxwell, cosiddette dal loro ideatore, James Clerk Maxwell (1831-1879), considerato da alcuni il più grande fisico matematico di tutti i tempi. Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica, che non esiste un campo elettrico separato dal campo magnetico, entrambi di natura vettoriale, ma che l'uno e l'altro sono manifestazioni di un'unica realtà fisica, chiamata il tensore elettromagnetico. Inoltre, esse predicevano con esattezza straordinaria che tale campo elettromagnetico dovesse propagarsi nello spazio sotto forma di onde, nonostante nessun esperimento avesse rivelato una simile propagazione ondosa. La scoperta delle onde elettromagnetiche da parte di Heinrich Hertz (1857-1894) rappresentò perciò il più alto trionfo della costruzione maxwelliana.

A ciò deve aggiungersi il fatto che Newton aveva già fornito, quasi due secoli prima, una precisissima formulazione teorica della meccanica, oggi nota come meccanica classica, nella quale tutto viene dedotto a partire dall'equazione di Newton:

 F  = m a   (1.1)

Frontespizio della prima edizione dei "Principia" di NewtonSecondo il modello di Newton, espresso nella fondamentale opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, lo spazio ed il tempo sono realtà assolute (un discepolo di Newton arrivò a considerarle attributi di Dio!!!) ed identiche per tutti gli osservatori. In altre parole, le misure di lunghezze e di durate effettuate da due osservatori diversi risulteranno identiche; due eventi che hanno luogo nello stesso punto secondo un osservatore, avranno luogo nello stesso punto secondo qualsiasi altro osservatore; e due eventi giudicati simultanei da uno di essi, saranno simultanei per tutti. In questo contesto, per passare da un sistema di riferimento all'altro occorre fare uso delle trasformazioni galileiane, delle quali abbiamo parlato in quel che precede.

In poche parole, usando sole cinque equazioni – la (1.1) e le quattro di Maxwell (0.3) + (0.4) + (0.5) + (0.6) – e le quattro formule delle trasformazioni galileiane (0.1), ovviamente sulla scorta del calcolo differenziale ed integrale, era possibile prevedere in modo semplice ed univoco l'evoluzione nello spazio e nel tempo di qualsivoglia sistema fisico; e non solo di una palla da baseball o di un pianeta attorno alla sua stella, perché anche la coesione molecolare e la luce sono fenomeni elettromagnetici, e quindi rientrano nell'ambito di competenza delle equazioni di Maxwell. Una visione del mondo di questo tipo, nella quale, a partire da determinate condizioni iniziali, l'evoluzione possibile del sistema fisico in considerazione è una ed una sola, prende il nome di meccanicismo; essa dominò tutta la Fisica dell'800, ed alimentò la  filosofia allora più in voga, quella positivistica.

Anche questo splendido e compiutissimo palazzo di cristallo presentava però una crepa, come sempre accade in tutte le opere della mano dell'uomo. Infatti, l'equazione (1.1) risulta covariante rispetto alle trasformazioni di Galileo. Cosa significa? Che se le applichiamo all'equazione fondamentale di Newton, essa viene ad assumere la forma:

 F' = m a'   (1.2)

Forze e accelerazioni non sono cioè invarianti rispetto alle solite trasformazioni: variano numericamente, ma variano secondo una ben precisa legge matematica.

Orbene, se, assieme all'equazione di Newton, anche le equazioni di Maxwell compongono una teoria fisica perfettamente compiuta e coerente (la cosiddetta Fisica Classica), ci si deve aspettare che anch'esse, se non invarianti, risultino almeno covarianti rispetto alle medesime trasformazioni. Ed ecco invece il colpo di scena: ci si accorse subito che le equazioni di Maxwell non erano né invarianti, né covarianti rispetto alle trasformazioni di Galileo; comparivano altri termini, a secondo delle velocità relative del sistema di riferimento. In altri termini, cambiando il sistema di riferimento adottato, le equazioni di Maxwell non cambiavano solo nella forma; non erano assolutamente più valide! Se si ritiene valida la relatività galileiana, le equazioni di Maxwell sono sì verificate, perché consentono di predire risultati sperimentali, ma cambiano col sistema di riferimento

Quest'aporia che indusse i fisici teorici alla ricerca di trasformazioni per cui le equazioni dell'elettromagnetismo risultassero invarianti. E chi credette di trovarle fu il fisico olandese Hendrik Lorentz, di cui parleremo ampiamente nei paragrafi seguenti, a partire dal 2.1.

Ma questo non è tutto, perché un semplice ostacolo di natura matematica non avrebbe giustificato la ricerca di una nuova Fisica, da sostituire a quella Classica, peraltro perfettamente in grado di spiegare pressoché tutti i fenomeni meccanici, elettrici e magnetici. A porre ulteriori problemi fu però la luce. Prima le osservazioni di Thomas Young (1773-1829) riguardanti i fenomeni di interferenza della luce (1800), e poi la costruzione teorica delle equazioni di Maxwell, fecero trionfare definitivamente il modello ondulatorio della luce a discapito di quello corpuscolare, risalente all'autorità di Newton. In altre parole, la luce è un'onda esattamente come il suono o le onde sismiche. Questo fatto però, lungi dal rassicurare gli animi dei fisici dell'ottocento, poneva loro una spinosissima questione: se la luce è un'onda, deve esistere un mezzo attraverso cui essa si propaga! Ma nessuno dei mezzi materiali conosciuti, come nel caso delle onde sonore o delle scosse di terremoto, può essere il sostegno delle onde luminose, giacché esse si propagano pure nel vuoto, come dimostra il fatto che i raggi solari raggiungono tranquillamente la terra (inoltre, se si leva l'aria da una campana di vetro sotto la quale è posto un campanello, il suono da esso emesso non ci raggiunge più, ma noi continuiamo comunque a vederlo).

Fu così introdotto un nuovo mezzo materiale, supposto impalpabile, trasparente e perfettamente elastico, che impregnerebbe ogni angolo dell'universo e trasporterebbe in ogni dove i raggi di luce, oltre che le onde radio e le radiazioni X e gamma. Per analogia con la celebre quintessenza di aristotelica memoria, a tale misteriosa realtà fu dato il nome di etere.

Questo strano materiale tuttavia poneva più problemi di quanti non ne volesse risolvere. Di che tipo di materia era composto? Perché di materia sicuramente doveva trattarsi, anche se a quei tempi il concetto stesso di "materia" non era ben definito, e la teoria atomica era ancora di là da venire. Ed in che modo permeava tutto l'universo? Doveva essere estremamente rigido, in modo da permettere la trasmissione di onde tanto veloci, ma allo steso tempo non doveva offrire alcuna resistenza al moto dei pianeti... Eppure, tutti accettarono di buon grado l'introduzione di questa stranissima sostanza, perché se non altro veniva incontro ad una delle principali preoccupazioni della Fisica Classica: essa poteva infatti rappresentare il sistema di riferimento assoluto per tutte le trasformazioni di Galileo, sostituendo quel « centro dell'universo » che, in un modello infinito del cosmo, non aveva alcun significato. La terra è in moto attorno al sole, il sole lo è intorno alla Galassia, questa lo è rispetto alle altre galassie, ma l'etere può considerarsi "immobile" in senso assoluto; immobile, come si diceva ai tempi, rispetto alle stelle fisse (il primo ad avanzare questa ipotesi fu Fresnel nel 1818). Dalle leggi di Newton risultava che nessun sistema di riferimento può ritenersi privilegiato rispetto agli altri; se il corpo B è in moto con velocità pari a 3 m/s rispetto al corpo A, ritenuto fermo, nulla proibisce di ritenere che sia fermo il corpo B, e che sia A a muoversi rispetto ad esso con velocità pari a 3 m/s, senza che le leggi della dinamica vengano violate. Parlare dunque di « posizione assoluta » di un corpo è privo di senso, esattamente quanto lo sarebbe cercare il « centro » di un piano illimitato. La meccanica newtoniana consente tutt'al più di parlare di « posizione relativa » ad un determinato osservatore. Anche il concetto di « velocità assoluta » va sostituito perciò con quello di « velocità relativa » ad un dato osservatore, potendo poi passare dalla velocità misurata da un sistema a quella misurata da un altro mediante le solite trasformazioni galileiane (0.1).

L'etere veniva a colmare questa lacuna, permettendo di stabilire una volta per tutte un sistema di riferimento nel quale le distanze, gli intervalli di tempo e le velocità potevano venire misurati in maniera univoca per tutti gli osservatori di questo mondo. Anche la velocità della luce, fissata univocamente dalla teoria elettromagnetica secondo la formula (1.3), diventava « velocità assoluta » rispetto alla fantomatica etere. Ma fu proprio questa la crepa che, allargandosi, finì per spezzare tutta quanta la costruzione!!! Di questo parleremo nel paragrafo successivo.


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